Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo pdf fascicolo


Obbligo di trasparenza e contenzioso sui costi dell'operazione bancaria (di Giuseppe Santoni, Professore ordinario di diritto commerciale, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata)


Obbligo di trasparenza e contenzioso sui costi dell’operazione bancaria.

Lo scritto inizialmente sintetizza i principi desumibili dalla disciplina della trasparenza bancaria e identifica gli scopi della funzione informativa e della funzione di riequilibrio del rapporto contrattuale, tradizionalmente attribuite alla suddetta disciplina. La funzione di informazione, prima della stipula o al momento della stipula del contratto, tende a garantire che il cliente della banca sia informato dei costi e dei rischi assunti, mentre, dopo la stipula, è volta a consentire al cliente di verificare che i costi e i rischi da lui sostenuti durante il rapporto contrattuale corrispondano a quelli che gli erano stati indicati. La funzione di riequilibrio del rapporto contrattuale è il logico corollario della funzione di informazione e costituisce la fase correttiva per l’inadeguatezza delle informazioni fornite. Lo scritto si sofferma quindi su alcuni esempi applicativi tratti dalla giurisprudenza del Collegio di coordinamento ABF e dalla Corte di cassazione, rispettivamente sull'argomento del TAEG dei contratti di credito al consumo e sul diritto del cliente di ottenere copie dei documenti relativi alle operazioni bancarie.

Transparency obligation and litigation on banking operations’ costs.

In its first part, the essay focuses on the identification of the principles underlying the banking transparency regulation. Furthermore, it analyzes the purposes of the information function, and of the function of rebalancing the contractual relationship traditionally attributed to the aforementioned discipline. Before the stipulation of the contract or at that time, disclaiming information aim to guarantee the knowledge of the bank's client about costs and risks assumed. After that time, information aim to allow the customer to verify if costs and risks in which he has incurred during the contractual relationship correspond to those that had been shown to him. The function of rebalancing the contractual relationship is the logical consequence of transparency and claims to correct the failure in supplying adequate information. In its second part, the article focuses on some cases taken from the jurisprudence of the Collegio di Coordinamento ABF and from the Corte di Cassazione respectively on the subject of the APR of consumer credit agreements and on the customer's right to obtain copies of documents relating to banking operations.

Keywords: transparency Banking transparency – information function – function of rebalancing the contractual relationship – APR in consumer credit agreements – customer’s right to obtain banking documentation

Sommario/Summary:

1. Le funzioni della trasparenza bancaria. - 2. L'opacità delle operazioni bancarie e la discrezionalità dei giudici. - 3. I principi elementari della trasparenza bancaria. - 4. L'esempio tratto dalla giurisprudenza sul TAEG dei contratti di credito al consumo. - 5. L'esempio tratto dalla giurisprudenza sul diritto del cliente di ottenere copia dei documenti inerenti a operazioni bancarie. - NOTE


1. Le funzioni della trasparenza bancaria.

Nella relazione da me tenuta in uno dei due convegni organizzati l’anno scorso a Campobasso da Andrea Barenghi per ricordare i 25 anni dall’intro­duzione della disciplina della trasparenza bancaria [1], ricordavo come nel tempo a detta disciplina siano state riconosciute varie funzioni.

In primo luogo, una funzione informativa, strumentale soprattutto allo scopo di innalzare la concorrenzialità del mercato, e che si esplica nell’obbligo della banca di rilasciare informazioni alle sue controparti, siano esse consumatori che professionisti, in tutte le fasi del rapporto contrattuale, e dunque prima della stipula del contratto, al momento della conclusione del contratto, ed infine nel corso dell’esecuzione dello stesso.

Una seconda funzione, di riequilibrio del rapporto contrattuale, è stata invece riconosciuta alle norme che sanzionano l’inadempimento della banca per carente o insufficiente trasparenza del rapporto contrattuale.

Secondo alcuni Autori, detta finalità sfocerebbe poi in una ulteriore e più controversa funzione della trasparenza bancaria, volta ad assicurare anche un’assistenza consulenziale al cliente. Il riconoscimento di una tale funzione rivelerebbe però una visione paternalistica ed antiquata dell’ordinamento bancario, così da imporre alle banche obblighi addirittura tutori della propria clientela, deresponsabilizzandola e annullando la portata “educativa”, e pedagogica, che è possibile attribuire alla funzione informativa della trasparenza. Infatti, ogni disciplina dei consumatori che tenda ad assicurare la massima tutela al più sprovveduto finisce poi per gravare il consumatore più accorto dei maggiori costi che inevitabilmente le imprese dovranno perciò sostenere. Inoltre, ogni scelta legislativa in tema di informazione della clientela deve necessariamente confrontarsi con la differenziazione e la personalizzazione dell'informazione, e se questa debba conformarsi ad un unico modello di tutela ovvero a tipologie diverse, e più adeguate alle esigenze del singolo cliente, non solo aggravando in tal caso i relativi oneri a carico delle banche ma rendendoli anche più facilmente contestabili.

Ricordavo anche che alcuni degli interventi giurisprudenziali più discussi in materia sono stati tacciati di populismo giudiziario e di eccessiva imprevedibilità e al tempo stesso di scarsa sensibilità agli effetti economici delle interpretazioni adottate, tenuto conto della complessità degli interessi, anche generali, perseguiti dal funzionamento di un efficiente sistema bancario.

 


2. L'opacità delle operazioni bancarie e la discrezionalità dei giudici.

La dialettica tra le varie finalità via via attribuite negli anni agli obblighi di trasparenza bancaria, pur riconducibile a scelte interpretative molto diverse, può trovare la sua efficace sintesi da un lato nell’ampiezza e nella durata degli obblighi informativi a carico delle banche, che si colloca tra un momento addirittura anteriore alla conclusione del contratto e continua fino alla completa esecuzione dello stesso; e dall’altro nella consapevolezza che l’informazione non è sinonimo di trasparenza, e che la riduzione delle asimmetrie informative non basta da sola a riequilibrare la disparità delle posizioni contrattuali delle parti, né a consentire al cliente di cogliere i costi ed i rischi insostenibili per lui: con la duplice conseguenza che il formale adempimento da parte della banca di obblighi informativi sempre più pervasivi e numerosi non è comunque da solo sufficiente ad integrare un comportamento conforme alle clausole generali di buona fede e di correttezza, come richiamate, per i consumatori, dall’art. 127 t.u.b., e che in definitiva nessuna informazione è sufficiente se non è fornita con l’intento di informare, e che pertanto non conta la quantità di informazioni rese o ricevute, bensì rileva la qualità e il contenuto delle stesse e soprattutto l’atteggiamento soggettivo con il quale sono rese: in una parola, la correttezza e la buona fede della banca.

Si tratta di una conclusione di cui occorre verificare la coerenza con il minuzioso apparato normativo, che si preoccupa di indicare specificamente la miriade di singole informazioni che le banche devono fornire alla propria clientela: se in definitiva la giurisprudenza si riserva di valutare la diligenza della banca e di verificare il carattere completo ed esaustivo delle informazioni rese, anche andando oltre il formale adempimento degli obblighi legali e re­golamentari, ciò significa che esiste un margine di discrezionalità dei giudici ampio, che in definitiva finisce con l’estendere la portata di quegli obblighi.

Tuttavia, prima di considerare come eccessiva la discrezionalità in concreto esercitata dalle corti italiane, o di ritenere che i modi di soluzione alternativi delle controversie recepiti in Italia proprio in attuazione della disciplina della trasparenza, abbiano adottato un approccio troppo penalizzante per gli intermediari, occorre chiedersi se le nostre banche non abbiano in qualche modo profittato del più grave dei difetti di quella tecnica normativa consistente nel parametrare la diligenza richiesta a comportamenti minuziosamente descritti nella legge. Difetto costituito dall’inevitabile formarsi di interstizi nella regolamentazione, o non disciplinati oppure disciplinati in modo ambiguo o incompleto, così da giustificare condotte che conducono a risultati esattamente opposti agli obiettivi di tutela perseguiti dal legislatore.

Con la conseguenza che il diffuso giudizio di “intrasparenza” o se preferite di opacità delle operazioni bancarie, come regolate nei contratti proposti dagli intermediari italiani alla propria clientela a distanza di 25 anni dalla emanazione del t.u.b., appare tutt’altro che infondato.

Ne consegue ancora che, andando ad esaminare la giurisprudenza sulla scarsa trasparenza dei costi delle operazioni bancarie, si deve innanzitutto rilevare che la resistenza opposta dagli intermediari ad adeguarsi agli standard imposti dalla legislazione europea e nazionale è stata ed è veramente molto tenace. E che pertanto la funzione di riequilibrio del rapporto contrattuale svolta dalla disciplina della trasparenza, e che trova il suo momento di attuazione nell’applicazione della disciplina da parte dei giudici arbitrali e ordinari, lungi dal dover essere tacciato dall’apparire caratterizzato da un prevenuto approccio ideologico contrario alle banche, si giustifica per la necessità di consentire finalmente l’attuazione in materia dei principi imposti dalla legislazione europea e recepiti nell’ordinamento italiano.


3. I principi elementari della trasparenza bancaria.

In effetti, andando oltre la complessità, a volte inutilmente ridondante, di tale legislazione, detti principi sono piuttosto elementari, e le decisioni più convincenti – anche delle corti comunitarie – sono proprio quelle che, al fondo, si ispirano ad essi.

In estrema sintesi, e per tentare di fornirne una chiave di lettura unitaria, si può affermare che la funzione informativa, di cui si parlava, svolta dalla disciplina in esame prima della stipula o al momento di questa del contratto, tende ad assicurare che il cliente della banca sia reso effettivamente consapevole dei costi e dei rischi che si assume, mentre, una volta stipulato il contratto, è rivolta a mettere il cliente in grado di controllare in ogni momento che i costi ed i rischi che sono gravati su di lui nel corso dello svolgimento del rapporto corrispondano effettivamente a quelli che gli erano stati illustrati e in relazione ai quali si era convinto a stipulare il contratto. Gli strumenti attraverso i quali si realizza detta funzione informativa mutano pertanto considerevolmente a seconda della fase del rapporto nella quale si innestano, essendo nella fase anteriore alla stipula o in quella della stipula stessa, costituiti dal contenuto e dalla qualità delle notizie fornite ai singoli clienti, mentre in quella successiva alla stipula un ruolo decisivo assume la documentazione inerente alle informazioni in precedenza erogate.

Di certo la funzione informativa non è agevolata andando a rendere nota al cliente la scomposizione analitica, molto spesso artificiosa quando non pretestuosa, dei costi che la banca dichiara di sostenere a lato di quelli creditizi, con la pretesa di giustificare oneri che si vanno ad aggiungere a questi ultimi. Mentre, al contrario, per il cliente è essenziale essere consapevole del costo complessivo di ciascuna delle operazioni creditizie che conclude, per poterne valutare la compatibilità con il proprio reddito ed il proprio patrimonio e per poter eventualmente reperire sul mercato proposte alternative.

Ne consegue inoltre che la funzione di riequilibrio del rapporto contrattuale, che pure la disciplina in esame effettivamente svolge, è il logico corollario della funzione informativa, nel senso che essa costituisce la fase rimediale al mancato rilascio di una adeguata informazione. E ne consegue altresì che, nel­l’assolvimento della citata funzione di riequilibrio, il ruolo da un lato dell’au­torità di vigilanza e dall’altro della giurisprudenza, sia arbitrale che ordinaria, oltre che quella comunitaria, è insostituibile, e, se talora è apparso troppo energico o pervasivo, è perché l’opacità delle operazioni era ed è da ritenere intollerabile, e non per un orientamento interpretativo preconcetto o ideologicamente orientato contro le banche.


4. L'esempio tratto dalla giurisprudenza sul TAEG dei contratti di credito al consumo.

A riprova delle conclusioni appena proposte, citerò alcuni esempi tratti da sentenze recenti, che hanno ritenuto insufficiente la trasparenza sui costi gravanti sulla clientela bancaria. Mi limiterò ad un paio di questioni emblematiche, non disponendo nel tempo necessario per riferire della varietà dei casi che la pratica quotidianamente offre.

La prima questione è relativa a quello che potremmo definire il costo per eccellenza, vale a dire il tasso annuo effettivo globale (TAEG), o indicatore sintetico di costo (ISC) in relazione a contratti bancari riguardanti il credito al consumo, tema sul quale, in primo luogo, vorrei ricordare la recente decisione del Collegio di Coordinamento dell’ABF 8 novembre 2018 n. 23293 (est. Maugeri), che invero ha fornito, attraverso un richiamo ampio ad una sentenza del 2018 della Corte di Giustizia UE, la soluzione alla questione sottopostale, sul se fosse sufficientemente trasparente l’indicazione del TAEG attraverso l’indicazione in contratto della sola equazione matematica che consentiva di calcolarlo.

La soluzione individuata nella sentenza C-448/17 della Corte di giustizia UE 20/09/2018 si fonda sulla constatazione che, già secondo la direttiva 87/102, il contratto di credito deve essere concluso per iscritto e tale documento scritto deve contenere, in quanto informazione di importanza essenziale, l’indicazione del TAEG nonché le condizioni a cui quest’ultimo può essere modificato. La medesima direttiva stabiliva le modalità di calcolo del TAEG, calcolo che deve essere effettuato «al momento in cui si conclude il contratto». La Corte di Giustizia conclude perciò che la mancata indicazione del TAEG in un contratto di credito costituisca un elemento decisivo affinché il giudice nazionale possa stabilire se la clausola contrattuale relativa al costo del credito sia formulata in modo chiaro e comprensibile e per valutarne il carattere vessatorio. Alla mancata indicazione del TAEG va perciò assimilata la situazione in cui il contratto contenga soltanto un’equazione matematica di calcolo di tale TAEG priva degli elementi necessari a effettuare tale calcolo, situazione nella quale non si può ritenere che il consumatore abbia piena conoscenza delle condizioni della futura esecuzione del contratto sottoscritto, al momento della sua conclusione, e, conseguentemente, che disponga di tutti gli elementi idonei a incidere sulla portata del suo impegno.

Attraverso il richiamo a tale orientamento della Corte di Giustizia, il Collegio di Coordinamento ha concluso che il TAEG deve servire a fornire al consumatore una rappresentazione della portata dell’impegno e della convenienza dell’accordo rispetto ad altre soluzioni di mercato, cosicché non vi è ragione di distinguere la mancata dalla non corretta indicazione, poiché in entrambi i casi il consumatore non è in grado di entrare in possesso di un’informazione per lui essenziale, pur potendo egli astrattamente ricavare il TAEG in base a quanto disposto nella legge, nei regolamenti e nel contratto, ma trattandosi in ogni caso di operazione troppo complessa per lui, in quanto contraente debole.

D’altra parte, già nella decisione del Collegio di coordinamento dell’ABF 8 giugno 2018 n. 12832 (rel. ancora Maugeri), era stato adottato come decisivo, con riferimento alla tormentata questione della necessità di computare i costi assicurativi nel TAEG, il criterio di valutare se l’elemento informativo carente o insufficiente fosse stato tale da non consentire al consumatore di valutare la portata del proprio impegno. Così la sentenza della Corte di Giustizia UE, 9 novembre 2016, causa C-42/15, ha stabilito che non osta a che uno Stato membro (nel caso di specie si trattava dell’ordinamento slovacco) preveda, nella sua normativa nazionale, che, qualora un contratto di credito non menzioni tutti gli elementi richiesti dall’art. 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48, tale contratto sia considerato esente da interessi e spese (e dunque con conseguenze ancor più gravose di quelle previste, nell’ordinamento italiano, dall’art. 125 bist.u.b.), sempre che si tratti di un elemento la cui assenza possa rimettere in discussione la possibilità per il consumatore di valutare la portata del proprio impegno.

Il richiamo alla giurisprudenza comunitaria ha consentito a tale decisione del Collegio di Coordinamento dell’ABF di ribadire la propria posizione già assunta con la decisione n. 1430 del 18 febbraio 2016, secondo cui l’apparato rimediale previsto in tema di credito al consumo prevede sicuramente, in caso di mancanza di informazioni anche nella sola fase precontrattuale, rimedi invalidativi. E, alla critica mossa in seno al Collegio ABF di Roma, che si tratterebbe di rimedi “sproporzionati” rispetto alla violazione commessa dalla banca, il Collegio di Coordinamento nella decisione ha nuovamente chiarito che la circostanza che “questa soluzione possa apparire una sanzione inadeguata o sproporzionata per l’intermediario è rilievo di politica legislativa che non spetta all’interprete sindacare, soprattutto per derivarne conseguenze esegetiche non in linea con il dettato normativo e ancor più con la sua complessiva logica.

Di conseguenza se la clausola relativa al costo in sé considerata è nulla, nulla è dovuto per tale titolo, e di conseguenza è anche nulla la clausola relativa al TAEG che non ha previsto quel costo, e in tale ipotesi opera la forma di integrazione legale del contratto con applicazione del tasso nominale sostitutivo, come previsto dall’art. 125 bis, settimo comma, t.u.b.

L’orientamento appena ricordato comporta però un importante corollario, che ripetutamente è stato ribadito dal Tribunale di Roma e da varie corti di merito. Cito per tutte la sentenza Trib. Roma 11 luglio 2018 (est. Garrisi), ove ulteriori richiami, per la quale la nullità derivante dalla carente o mancante indicazione del TAEG possa essere dichiarata solo ove una espressa norma di legge la preveda, come nel caso del credito al consumo, di cui si è appena parlato. Ma ove tale tasso, o indicatore sintetico di costo (ISC), non sia riportato in relazione a contratti per i quali non sia prevista una corrispondente disciplina, come è il caso del contratto di mutuo, nell’anticipazione bancaria o in altri finanziamenti si potrà semmai configurare una mera violazione della disciplina della trasparenza, e dunque una violazione del criterio di buona fede nella predisposizione e nella esecuzione del contratto, senza però che si possa parlare di nullità della clausola; con la conseguenza che la tutela che il cliente potrà invocare sarà di tipo risarcitorio, semmai per responsabilità precontrattuale, sempre che il cliente riesca a dimostrare che l’indicazione dell’ISC fornita dalla banca sia stata determinante ai fini della scelta di contrarre il mutuo a quelle date condizioni.


5. L'esempio tratto dalla giurisprudenza sul diritto del cliente di ottenere copia dei documenti inerenti a operazioni bancarie.

L’orientamento interpretativo che però, in assoluto, mi sembra più significativo è quello, costante, che nel tempo ha sempre più ampliato la portata sistematica della disposizione contenuta nell’art. 119, quarto comma, t.u.b., per la quale “Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione”.

Si tratta di una norma la cui portata era stata inizialmente sottovalutata, tenuto conto che generalmente al cliente è comunque consegnata copia della documentazione inerente al proprio rapporto contrattuale con la banca, con la conseguenza che il riconoscimento del diritto del cliente di ottenerne, in un arco temporale di dieci anni, una nuova copia poteva apparire come una inutile superfetazione.

In realtà, la norma si è rivelata essere uno degli architravi dell’intera disciplina della trasparenza bancaria, grazie anche all’interpretazione che ne ha costantemente fornito la giurisprudenza.

Uno dei punti nodali dell’interpretazione della norma concerne la limitazione della documentazione di cui può essere richiesta copia a quella inerente a “singole operazioni”. Con la conseguenza che ogni richiesta generica o priva di riferimento ad una specifica operazione era parsa in una prima fase interpretativa inidonea ad essere accolta. Erano state perciò considerate come esplorative, e perciò non meritevoli di essere accolte, le richieste, per lo più avanzate dagli eredi del cliente defunto ovvero dal curatore fallimentare chiamato a occuparsi del patrimonio del fallito, volte genericamente ad ottenere copia di tutta la documentazione bancaria dell’ultimo decennio.

Questo iniziale orientamento si è però venuto modificando ormai da oltre un decennio in senso più favorevole alla clientela.

L’attuale punto di arrivo sembra essere la sentenza Cass. 8 febbraio 2019, n. 3875 (est. Dolmetta), nella quale innanzitutto si ribadisce, alla stregua del notevole precedente contenuto già in Cass. 12 maggio 2006, n. 11004 (est. Schirò), il carattere sostanziale e non processuale del diritto del cliente, con la conseguenza che la relativa tutela si configura situazione giuridica finale e non come diritto strumentale e pertanto non può essere negata sulla base del preteso carattere esplorativo dell’istanza.

Inoltre, entrambe le sentenze sottolineano come l’art. 119, quarto comma, t.u.b., non limiti in alcun modo l’esercizio del diritto alla fase anteriore al­l’eventuale controversia sorta con la banca, ovvero che sia subordinato al rispetto di determinate formalità espressive o di date vesti documentali; né ancora che la formulazione della richiesta costituisca un affare riservato alle parti, e pertanto non conoscibile o transitabile dal giudice. Ciascuna di tali limitazioni, ove ritenuta sussistente si tradurrebbe in appesantimenti all’esercizio del diritto sostanziale del cliente, estranei alla funzione propria dell’istituto.

Ne consegue che è sufficiente che il richiedente fornisca elementi minimi per l’individuazione dei documenti richiesti, quali, ad esempio, i dati concernenti il soggetto titolare del rapporto, il tipo di rapporto a cui è correlata la richiesta e il periodo di tempo entro il quale le operazioni da documentare si sono svolte, e, in definitiva si limiti a fornire la prova dell’esistenza del rapporto contrattuale [2]. Quest’ultima sentenza affronta altresì l’ulteriore questione della eventuale tardività della produzione documentale, risolvendola ancora a favore del cliente richiamando altra giurisprudenza della Suprema Corte che ha precisato che “se la parte obbligata rende il conto solo in modo lacunoso e incompleto, inidoneo ad adempiere gli oneri a suo carico, il giudice può integrare la prova carente con altri mezzi di cognizione disposti anche d’ufficio, in particolare con la consulenza contabile o il giuramento” [3]. Quanto alla durata dell’obbligo della banca, espressamente qualificato come dovere di protezione nei confronti del cliente, esso si protrae per tutta la durata del rapporto, e pure oltre, nel limite dei dieci anni a seguire dal compimento delle operazioni interessate [4]

La portata sistematica di tale consolidato orientamento interpretativo, a mio avviso, travalica i casi contingenti ai quali di volta in volta si è riferito, per lo più volti ad acclarare l’illegittimità del rigetto delle istanze istruttorie dirette ad ottenere in sede processuale documentazione bancaria non richiesta prima dell’avvio della controversia. Se infatti il diritto del cliente di ottenere la documentazione inerente ai rapporti intrattenuti con la propria banca è sostanziale, e non conosce limiti formali di sorta, tanto meno in sede processuale, allora esso si concretizza nel diritto del cliente ad accedere ad ogni documento in possesso della banca purché inerente al proprio rapporto contrattuale. 

Così affermato il contenuto del diritto, e tenuto conto del cambiamento radicale che sta investendo le modalità di elaborazione e di conservazione dei documenti, che si stanno rapidamente evolvendo da cartacei ad elettronici – e considerata anche l’ulteriore giurisprudenza di legittimità secondo cui la banca per poter provare le ragioni dei propri diritti nei confronti della clientela ha l’onere di conservare i documenti che dimostrano quelle ragioni anche oltre il limite di dieci anni di cui all’art. 2220 c.c., non potendosi confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito [5] – mi sentirei di avanzare la previsione che il diritto di cui all’art. 119, quarto comma, t.u.b., si estenderà rapidamente, anche con l’aiuto della giurisprudenza, sino a divenire il diritto del cliente a poter visualizzare sul portale internet della banca tutta la documentazione elettronica riguardante il suo rapporto contrattuale e per tutta la durata del rapporto (e forse anche per i dieci anni successivi alla sua estinzione), così da poter controllare ex post ed in ogni momento la corretta redazione ed applicazione delle clausole contrattuali.

Si tratterebbe di uno sviluppo del tutto coerente con le finalità perseguite dalla disciplina della trasparenza, e che di fatto non aggraverebbe di molto i costi che le banche di fatto già ora sopportano per la produzione e conservazione dei documenti, e peraltro in buona misura già addebitati alla clientela, anzi favorendo l’adozione di modelli organizzativi e gestori più moderni ed efficienti, ed una protezione sostanziale del cliente molto più effettiva.


NOTE

[1] Gli atti sono pubblicati nel volume La trasparenza bancaria venticinque anni dopo, a cura di A. Barenghi, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018.

[2] Cfr. altresì Cass., 15 settembre 2017, n. 21472, est. Paolo Di Marzio.

[3] Cass., 26 gennaio 2006, n. 1551 e Cass., 3 novembre 2004, n. 21090.

[4] Così l’importante Cass., 11 maggio 2017, n. 11554, est. Dolmetta.

[5] Così Cass., 20 gennaio 2017, n. 1584, est. Falabella.