Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
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Procedure di allerta e doveri degli organi di gestione e controllo: tra nuovo diritto della crisi e diritto societario (di Francesco Brizzi, Ricercatore confermato di diritto commerciale, Università degli Studi di Napoli Federico II)


L’articolo cerca di dare risposta ad alcuni interrogativi suscitati dalla recente introduzione delle procedure di allerta, di cui al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. n. 145/2019), offrendo una chiave di lettura che, di là dal carattere premiale ed incentivante delle disposizioni previste in caso di loro osservanza, ne sottolinea il carattere di doverosità, tentando di individuare il punto di raccordo tra le suddette procedure ed i doveri degli organi di gestione e controllo destinati a sorgere o ad intensificarsi in prossimità della crisi o dell’insolvenza.

This paper try to give an answer some questions raised by the recent introduction of the new early warning tools, within the Business Crisis and Insolvency Code (d.lgs. n. 145/2019), offering an interpretation which, apart from the rewarding and incentive nature of the provided provisions in the event of their compliance, it underlines the dutifulness, looking for to identify the connection point between these tools and directors’ and auditors’ duties destined to arise or to intensify in vicinity of crisis or insolvency.

Keywords: early warning tools – business crisis and insolvency Code – directors’ and auditors’ duties in vicinity of crisis or insolvency

Sommario/Summary:

1. Premessa: alcuni interrogativi preliminari. - 2. L'inserimento delle procedure di allerta e di composizione della crisi nel contesto delle tecniche preesistenti di allarme rispetto all'appros­simarsi della crisi. - 3. Segue: le ragioni alla base dell’introduzione del nostro ordinamento delle procedure di allerta. - 4. L'incidenza delle procedure di allerta sui doveri e sulle responsabilità degli organi di amministrazione e controllo. I settori dell'ordi­namento in cui possono ritenersi già vigenti specifiche procedure di allerta. - 5. Segue: l'estensione dei modelli di allerta disciplinati nei settori speciali attraverso le procedure di allerta previste dal codice della crisi. - 6. Segue: gli interessi protetti. - 7. La codificazione dei criteri di quantificazione del danno risarcibile nelle azioni di responsabilità e l'insufficienza dei rimedi risarcitori quali deterrenti rispetto alle condotte opportunistiche in prossimità dell’insolvenza. Le possibili soluzioni anche in una prospettiva de jure condendo. - 8. Business judgment rule e adeguatezza organizzativa dell'impresa. - NOTE


1. Premessa: alcuni interrogativi preliminari.

Come è noto, il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d’ora in poi: c.c.i.i.), di cui al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, emanato in attuazione della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, ha introdotto nel nostro ordinamento, sulla falsariga di quello francese, le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi [1]. Si tratta, più precisamente, delle procedure previste dagli art. 12 ss. del capo I del titolo II del suddetto codice, applicabili, con talune eccezioni [2], ai debitori che svolgono attività imprenditoriale, mediante le quali il Governo ha esercitato la delega ad esso assegnata dall’art. 4 della legge sopra citata.

Certamente, come è stato da più parti evidenziato, la previsione di procedure di natura non giudiziale e di carattere confidenziale [3] intende assolvere il compito, assegnato dal d.m. 28 gennaio 2015, con il quale venne istituita la Commissione di riforma, di introdurre misure idonee a incentivare l’emersione della crisi. In sostanza si intende introdurre (o forse solo specificare) il principio secondo il quale la crisi e l’insolvenza non devono solo essere gestite, ma anche prevenute.

In tal modo, si legge nella Relazione allo schema di legge delega della commissione [4], si è inteso rispondere alle sollecitazioni provenienti dall’Uni­one Europea – si vedano la più volte richiamata Raccomandazione della Com­missione Europea 2014/135/UE [5], il Regolamento UE 2015/845 sull’insol­ven­za transfrontaliera – muovendosi, peraltro, sulla falsariga dei principi della model law elaborati dalla Commissione delle Nazioni Unite per il diritto commer­ciale internazionale (UNCITRAL) [6]. Si giunge così ad esiti che dovranno ora essere confrontati con gli obiettivi indicati dalla direttiva UE/2019/1023 del 20 giugno 2019, di recente promulgazione [7], con modifiche non prive di rilevanza, in particolare in ordine al tema in oggetto, rispetto alla precedente Proposta del 22 novembre 2016 [8].

In sostanza, il leitmotiv di tutte tali sollecitazioni può essere individuato in quello di creare un quadro giuridico che incentivi il debitore a procedere alla ristrutturazione dell’impresa in una fase precoce, prima cioè che subentri l’insol­venza, e ciò in considerazione dell’assunto, difficilmente contestabile, secondo il quale «le possibilità di salvaguardare i valori di un’impresa in difficoltà sono direttamente proporzionali alla tempestività dell’intervento risanatore e che, viceversa, il ritardo nel percepire i prodromi di una crisi fa sì che, nella maggior parte dei casi, questa degeneri in vera e propria insolvenza sino a divenire irreversibile ed a rendere perciò velleitari – e non di rado addirittura ulteriormente dannosi – i postumi tentativi di risanamento» [9].

Ed è questa una prospettiva seguita già da tempo dalla direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) UE/2014/59, che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento, e dai relativi decreti legislativi di attuazione (d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180 e d.lgs. 16 novembre 2015, n. 181).

Con il presente contributo ci si propone di indagare l’incidenza dei nuovi stru­menti sulla ricostruzione dei doveri degli organi di gestione e di controllo, in specie all’approssimarsi della crisi e dell’insolvenza. Tanto con il dichiarato fine di individuare il punto di raccordo tra le misure di allerta e i doveri destinati a sorgere o a intensificarsi nelle predette circostanze, non senza segnalare alcune delle criticità che emergono dalla lettura delle previsioni del decreto delegato.

A tale stregua, si tratta di porsi i seguenti interrogativi, strettamente correlati, e di tentare di offrire qualche possibile risposta: i) perché il legislatore ha avvertito l’esigenza di introdurre specifici strumenti di allerta nella disciplina della crisi d’impresa; ii) come tali strumenti sono destinati ad incidere sui doveri degli organi di gestione e di controllo; iii) se le predette misure siano idonee allo scopo che si è prefissato il legislatore.


2. L'inserimento delle procedure di allerta e di composizione della crisi nel contesto delle tecniche preesistenti di allarme rispetto all'appros­simarsi della crisi.

Innanzitutto, andrebbe attentamente chiarito se, e in che termini, l’inseri­mento nella disciplina di misure di allerta e di composizione assistita, elaborata seguendo la falsariga della disciplina francese [10], pur con alcune non trascurabili differenze [11], sia stato davvero necessario. Come da più parti rilevato [12], si può ritenere che tecniche di allerta siano già presenti o siano comunque ricostruibili nel nostro ordinamento a prescindere dalle procedure introdotte dal codice della crisi.

Il riferimento è, in primo luogo, ai doveri del collegio sindacale, con particolare riguardo al dovere di vigilanza sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile (art. 2403 c.c.) [13]; ovvero ai poteri-doveri dei sindaci di chiedere notizia agli amministratori circa l’andamento delle operazioni sociali (art. 2403-bis, secondo comma, c.c.) e di convocare l’assemblea qualora, nell’espletamento del loro incarico, ravvisino fatti censurabili di rilevante gravità e vi sia urgente necessità di provvedere (art. 2406, secondo comma, c.c.) [14], sino ad arrivare al potere-dovere di denuncia al Tribunale in presenza di fondato sospetto di gravi irregolarità compiute dagli amministratori, che possano arrecare danno alla società o alle società controllate (2409 c.c.) [15]. Poteri che, come sovente si ricorda, sono potenziati nel caso di società quotate, in connessione con una maggiore intensificazione degli obblighi dell’organo di controllo (artt. 149 ss. t.u.f.) [16].

Un controllo, quello dei sindaci, che una notazione diffusa intende ormai emancipato dal ruolo di mera verifica ex post, essendo divenuto «elemento coessenziale dell’esercizio dell’impresa», come avvertito dalla dottrina all’esito della riforma di diritto societario [17] e prima ancora di quella delle società quotate introdotta dal t.u.f. [18].

Il che assume significativi risvolti proprio in situazioni di crisi, ove quei poteri-doveri trovano spesso il loro terreno elettivo di esercizio [19], in specie in punto di verifica dei fatti idonei a pregiudicare la continuità aziendale, nonché di sollecito agli amministratori ad adottare le opportune misure idonee a porvi rimedio, come del resto messo in luce e specificato dalle Norme di comportamento del collegio sindacale (delle società quotate e non) [20].

Si pensi, ancora, allo scambio di informazioni tra il collegio sindacale ed il soggetto incaricato della revisione legale (art. 2409-septies c.c. [21]), ai documenti e notizie utili all’attività di revisione che quest’ultimo ha diritto di ottenere dagli amministratori, legittimato altresì a procedere ad accertamenti, controlli ed esame di atti e documentazione per le verifiche periodiche della regolare tenuta della contabilità sociale (arg. ex art. 14, sesto comma, d.lgs. n. 39/2010) nel rispetto dei principi di revisione ed in particolare del Principio (ISA Italia) n. 250B, da leggere in congiunzione con il Principio (ISA Italia) n. 200. Ed in questa direzione ai compiti specificamente assegnati al revisore dall’art. 14, secondo comma, lett. f), d.lgs. n. 39/2010, in conformità del principio di Revisione Internazionale (ISA Italia) n. 570 [22], di rilevare nello svolgimento di procedure di valutazione del rischio le eventuali incertezze significative relative ad eventi o a circostanze che potrebbero sollevare dubbi significativi sulla capacità della società di mantenere la continuità aziendale, quali desumibili dagli indicatori finanziari, gestionali ed altri indicatori, e di esprimere ciò in un’apposita dichiarazione contenuta nella relazione di revisione.

Si pensi, inoltre, sul fronte dei doveri dell’organo amministrativo, alla specificazione del contenuto dell’attività di gestione in seno all’art. 2380-bis c.c., declinato nel compimento di tutte le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale – quest’ultimo identificabile non solo nello scopo mezzo (l’attività), ma anche nello scopo-fine di lucro oggettivo nell’interesse dei soci – che già nella versione precedente a quella, modificata dal d.lgs. n. 14/19, che richiama l’art. 2086, secondo comma, c.c. (v. anche infra), poteva e doveva costituire il fondamento dal quale ricavare il dovere di continuo monitoraggio della situazione patrimoniale economica e finanziaria incombente sugli amministratori di s.p.a., nonché di s.r.l. Un esito conseguibile, in quest’ultimo caso, anche in assenza del dato normativo richiamato – ora riprodotto testualmente, oltre che nell’art. 2257 c.c. in tema di società semplice, nell’art. 2475 c.c. in ambito di s.r.l. [23] – per il tramite di percorsi interpretativi basati unicamente sulla disciplina del tipo da ultimo menzionato, in grado di condurre ad affermare una competenza sovraordinata sulla gestione, ancorché non esclusiva, dei soggetti chiamati a ricoprire le relative cariche [24].

Un dovere di monitoraggio quale, tra l’altro, può desumersi dagli svariati doveri previsionali presenti nella disciplina, da intendersi come strumentali al dovere di accertare e controllare permanentemente la continuità aziendale, correlati al dovere dell’amministratore delegato di curare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile di cui all’art. 2381 c.c. – potendo trovare conferma anche sotto tale aspetto la declinazione dell’adegua­tezza organizzativa rispetto al­l’idoneità degli assetti a fornire gli elementi significativi circa la capacità dell’im­presa di continuare come entità in funzionamento per un prevedibile futuro – nonché dal dovere di reazione alla crisi e di elaborare un piano di risanamento ricavabile, tra l’altro, dalla responsabilità gravante, ai sensi dell’art. 2392, secondo comma, c.c., sugli amministratori che siano a conoscenza di fatti pregiudizievoli e non abbiano fatto quanto potevano per impedire il compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose, e più in generale dalla doverosità di una gestione sociale improntata al rispetto dei principi di corretta amministrazione [25].

Il che spiega il consolidamento, già a livello interpretativo, del principio secondo il quale l’adeguatezza degli assetti deve essere valutata, innanzitutto, riguardo alla loro idoneità ad identificare precocemente i sintomi di una crisi incipiente [26].

Quanto si qui esposto conforta nel ritenere ricompresa nella funzione gestoria la fase della prevenzione dell’insolvenza, nel duplice profilo, di accertamento tempestivo dei sintomi di una crisi incipiente e nell’obbligo di attivarsi per fare fronte ad essa. E ciò sulla sola base dei dati indicati.

A completare il quadro sinteticamente descritto possono, inoltre, essere menzionati gli specifici istituti previsti dal nostro diritto fallimentare (piani attestati, accordi di ristrutturazione e concordato preventivo), il cui utilizzo viene incentivato mediante i noti meccanismi di esonero dalla revocatoria fallimentare, per un verso, e di assegnazione del rango di prededucibilità ai crediti da finanziamento e della sospensione della disciplina della riduzione del capitale sociale per perdite, per l’altro, tutti istituti confermati, pur con talune specificazioni, ed in qualche caso estesi, dal nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza [artt. 166, terzo comma, lett. d) ed e), 64 e 89, 98 ss. c.c.i.i.].

Poste tali premesse, è assai agevole constatare che la previsione del codice della crisi, in attuazione della legge delega, circa il dovere dell’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva, di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attua-zione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale – dovere previsto dall’art. 2086, secondo comma, c.c., inserito dall’art. 375 d.lgs. n. 14/2019, rubricato «Assetti organizzativi dell’impresa», che della norma codicistica muta a sua volta la rubrica [27], nonché significativamente richiamato dall’art. 3, secondo comma, d.lgs. cit. [28] – si ponga in linea di continuità con i risultati raggiunti con l’esegesi [29].

Ed egualmente è a dirsi rispetto alla previsione di cui all’art. 14 c.c.i.i. circa l’obbligo dell’organo di controllo, oltre che del revisore e della società di revisione [30], ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni, di verificare che l’organo amministrativo svolga un’attività di constante monitoraggio, assumendo se del caso le conseguenti idonee iniziative, circa l’adeguatezza del­l’assetto organizzativo, l’equilibrio economico finanziario ed il prevedibile andamento della gestione [31], nonché di segnalare immediatamente allo stesso organo amministrativo, mediante una comunicazione scritta e motivata [32], l’esistenza di fondati indizi della crisi: discutendosi, peraltro, della loro attivazione ad una fase precedente la crisi, intesa quest’ultima, ai sensi dell’art. 2, primo comma, lett. a), c.c.i.i., come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a fare fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate che rende probabile l’insolvenza [33] (ma sul punto si tornerà successivamente).


3. Segue: le ragioni alla base dell’introduzione del nostro ordinamento delle procedure di allerta.

Tanto acclarato, si può tentare di affrontare il primo interrogativo.

A tal riguardo, appare d’uopo prendere le mosse dalle parole della Relazione allo schema di legge delega, richiamate pure dalla Relazione allo schema di decreto legislativo e dalla Relazione illustrativa al d.lgs. n. 14/2019, in ordine a recenti studi empirici sull’incapacità delle imprese italiane – specie piccole e medie – di promuovere autonomamente processi di ristrutturazione (per una serie di fattori, quali: il sottodimensionamento, il capitalismo a condizione familiare, il personalismo autoreferenziale, la debolezza degli assetti di corporate governance, le carenze nei sistemi operativi, l’assen­za di monitoraggio e di pianificazione anche a breve termine, ecc.). Sempre la stessa Relazione fa riferimento ad un problema di tipo culturale, concernente la diffidenza con la quale sono viste le procedure concorsuali dagli imprenditori, intese quale male da allontanare ad ogni costo, ciò che spiegherebbe anche il motivo per il quale il concordato preventivo sia stato utilizzato per lo più da imprese in stato di irreversibile decozione [34].

In realtà alcune di queste osservazioni non costituiscono risposte davvero soddisfacenti al quesito di cui sopra, evidenziando semmai un atteggiamento di inerzia dei soggetti chiamati a ricoprire le cariche dirigenziali societarie rispetto agli obblighi di pianificazione e di elaborazione strategica in funzione della prevenzione dell’insolvenza su costoro gravanti. E dunque ci si dovrebbe interrogare sui motivi della scarsa deterrenza, per gli operatori, svolta dalla disciplina dei doveri e delle responsabilità degli organi di gestione e di controllo. E, a tale stregua, domandarsi se il rimedio risarcitorio svolga davvero un efficace ed esaustivo ruolo in tale direzione, ovvero se sia lecito immaginare di introdurre altri e più efficaci strumenti coercitivi (black list dei cattivi pagatori, disqualification, ecc.: ma anche su questo punto si avrà modo di ritornare).

Tra tutte le possibili spiegazioni, quella più probabile può forse essere ricercata nel fatto che raramente la crisi può essere affrontata (solo) mediante iniziative unilaterali, attraverso, cioè, una mera riprogrammazione interna, occorrendo più spesso il coinvolgimento a tal fine dei creditori nei procedimenti di ristrutturazione del debito. Se così è, è da ritenere che il ritardo delle imprese nell’esternare la propria situazione di crisi sia dettato soprattutto dal timore delle reazioni dei creditori, con particolare riferimento alle banche creditrici, e nei provvedimenti che questi potrebbero adottare (rientro e/o blocco dei fidi etc.), con possibile aggravamento della crisi, a fronte di una obiettiva situazione di incertezza sulla situazione patrimoniale ed economica dell’impresa [35].

Se questo è vero, può convenirsi che la previsione di specifici doveri di iniziativa gravanti sugli organi di controllo e sui revisori, quali quelli indicati, oltre che sui creditori qualificati [36], al verificarsi di fondati indizi di crisi, ma soprattutto la presenza di un organismo esterno, non giudiziale, quale il collegio nominato dall’organismo di composizione della crisi d’impresa costituito presso ciascuna camera di commercio (OCRI) [37], rispondano all’intento di assicurare un clima di reciproca fiducia e soprattutto di trasparenza tra debitore e creditori nello svolgimento delle trattative per la composizione assistita della crisi, al netto di un certo margine di compromissione della libertà di iniziativa economica dell’impresa: un clima che, evidentemente, si suppone difficilmente realizzabile in assenza di tali strumenti [38]. La scommessa del legislatore è, dunque, quella di presumere che tali strumenti, una volta attivati, non comportino un pregiudizio per gli imprenditori [39], incentivati dal contesto stragiudiziale e confidenziale ad assumere comportamenti virtuosi, riducendo le asimmetrie informative tra debitore e creditori.


4. L'incidenza delle procedure di allerta sui doveri e sulle responsabilità degli organi di amministrazione e controllo. I settori dell'ordi­namento in cui possono ritenersi già vigenti specifiche procedure di allerta.

Se si conviene su quanto sin qui esposto, si può a questo punto tentare di offrire una risposta al secondo quesito, chiedendosi quale sia l’incidenza della nuova disciplina rispetto ai doveri e responsabilità sopra indicati. Più specificatamente, si tratta di verificare in che modo la suddetta disciplina sia destinata ad inserirsi nel sistema delineato delle responsabilità degli organi di gestione e di controllo, e ciò anche al fine di valutare se le misure siano idonee allo scopo prefissato, evitando o minimizzando il rischio della mancata osservanza dei rispettivi doveri (di reazione alla crisi) da parte dei destinatari.

A tale stregua, si deve partire da un dato, costituito dalla mancata previsione nel decreto legislativo che ha introdotto il codice della crisi, e a monte nella legge delega, di sanzioni in caso di inadempienze da parte degli organi di controllo e dei revisori dell’obbligo su questi gravante di avvisare immediatamente l’organo amministrativo circa l’esistenza di fondati indizi della crisi e su quello, insorgente nel caso di omessa o inadeguata risposta, ovvero di mancata adozione nei successivi sessanta giorni delle misure ritenute necessarie per superare lo stato di crisi, di informare tempestivamente l’organismo di composizione della crisi.

In entrambi i casi, la legge stabilisce l’esonero dalla responsabilità solidale degli organi di controllo con i componenti dell’organo amministrativo, per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni successivamente poste in essere dal suddetto organo, e sempre che sia stata effettuata la tempestiva segnalazione all’OCRI nelle ipotesi prima citate [si veda l’art. 14 c.c.i.i., in attuazione dell’art. 4, lett. c) ed f), l. n. 155/2017].

Le uniche sanzioni previste sono quelle poste a carico dei creditori qualificati in caso di inadempimento degli obblighi di segnalazione su questi incombenti, contemplando l’art. 15 c.c.i.i. [in attuazione dell’art. 4, lett. d), l. n. 155/2017], l’inefficacia del titolo di prelazione che assiste i crediti di cui sono titolari l’Agenzia delle Entrate e l’Inps, e l’inopponibilità del credito per spese ed oneri di riscossione dell’agente della riscossione, laddove i suddetti creditori omettano di dare avviso al debitore che la sua esposizione debitoria ha superato un determinato importo reputato rilevante dalla legge, e di segnalare all’OCRI, anche per la segnalazione agli organi di controllo della società, che il debitore non ha ottemperato ai comportamenti indicati dal medesimo articolo di legge. Ed in stretta coerenza con tale previsione, si pone l’utilizzo del termine «obbligo» in riferimento alle condotte prescritte a carico dei creditori qualificati, oltre che a quelle a carico degli organi di controllo societari [40].

Volgendo lo sguardo sulla posizione dell’imprenditore, può evidenziarsi l’as­senza a monte di un vero e proprio dovere su costui gravante, e in caso di società sui suoi amministratori, di presentare l’istanza di accesso alla procedura di composizione della crisi [41]. Un dovere di tal fatta non è destinato a sorgere neppure a seguito delle segnalazioni degli organi di controllo e dei revisori, ovvero dei creditori qualificati. Alla mancata previsione di un apparato rimediale sanzionatorio fa da pendant, in ossequio evidentemente ad un approccio ideologico di tipo liberale, solo la previsione di incentivi, quali, in primis, la possibilità per il debitore che ha presentato istanza per la soluzione concordata della crisi di chiedere alla sezione specializzata in materia di imprese le misure protettive per condurre a termine le trattative in corso, nonché il differimento degli obblighi in tema di capitale sociale e la sospensione della causa di scioglimento per riduzione o perdita dello stesso (art. 20 c.c.i.i.), seguendo la medesima logica seguita dall’art. 182-sexies l. fall. attualmente vigente (e dagli artt. 64 e 89 c.c.i.i. destinati a sostituirlo) [42]; ed in secundis, le vere e proprie misure premiali stabilite dall’art. 25 c.c.i.i. (in materia di riduzione di interessi, sanzioni tributarie, sanzioni e interessi sui debiti tributari, proroga del termine stabilito dal giudice in caso di preconcordato, diminuzione dal 30 al 20% della soglia valevole per l’inammissibilità di proposte concorrenti dei creditori in caso di concordato con continuità aziendale, esenzione da alcuni reati, ovvero riduzione delle pene alle condizioni previste). Incentivi, questi, che potrebbero reputarsi non del tutto idonei agli scopi (passando, quindi, anche al terzo interrogativo) che il legislatore si è prefissato di conseguire.

Ad onta di ciò, mi pare si possa immaginare un rapporto di reciproca integrazione tra la disciplina degli strumenti di allerta e di composizione della crisi e la disciplina generale dei doveri degli organi di gestione e di controllo [43], senza peraltro trascurare i settori dell’ordinamento all’interno del quale una specifica disciplina di allerta può ritenersi già vigente.

Il riferimento è innanzitutto ai poteri di intervento dell’autorità di vigilanza presenti nella disciplina, recentemente novellata, della crisi bancaria.

In effetti, a seguito delle modifiche apportate al testo unico dell’intermedia­zione bancaria dal d.lgs. n. 181/2015, in attuazione della direttiva BRRD prima menzionata, sono stati attribuiti alla Banca d’Italia poteri penetranti di intervento precoce (c.d. early intervention). È, questa, la seconda fase del c.d. crisis management, che segue a quella di prevenzione e preparazione, costituita dall’obbligatoria predisposizione da parte delle banche, prima ancora che subentri una situazione di crisi, di un piano di risanamento (individuale o di gruppo) che preveda l’adozione di misure volte al riequilibrio della situazione patrimoniale e finanziaria in caso di suo significativo deterioramento (artt. 69-quater e 69-quinquies t.u.b.) [44]; ed a cui può fare ulteriore seguito la terza fase, costituita dai meccanismi di risoluzione, disciplinata, invece, dal d.lgs. n. 180/2015 (resolution[45].

Al ricorrere dei presupposti di legge [46] – in ordine alla seconda fase di cui si diceva –, la Banca d’Italia potrà chiedere alla banca o alla società capogruppo «di dare attuazione, anche parziale, al piano di risanamento adottato o di preparare un piano per negoziare la ristrutturazione del debito con tutti o alcuni creditori secondo il piano di risanamento, ove applicabile o di modificare la propria forma societaria» [artt. 69-octiesdecies, primo comma, lett. a) e 69-noviesdecies t.u.b.] [47]. E nell’ipotesi in cui «risultino gravi violazioni di disposizioni legislative, regolamentari o statutarie o gravi irregolarità nell’am­mini­strazione, ovvero quando il deterioramento della situazione della banca o del gruppo sia significativo», potrà disporre la rimozione dei componenti degli or­gani di amministrazione e controllo e dell’alta dirigenza [artt. 69-octiesdeci­es, primo comma, lett. b) e 69-vicies-semel t.u.b.], sempre che gli interventi prima indicati, oltre a quelli già previsti dal t.u.b. per la società individuale e per la società capogruppo (artt. 53-bis e 67-ter t.u.b.), non siano sufficienti per porre rimedio alla situazione; nonché assoggettare la banca all’amministrazio­ne stra­ordinaria in base alla disciplina, anch’essa modificata dal medesimo d.lgs. n. 181/2015, sancita dagli artt. 70 ss. t.u.b. [48].

Ma il riferimento è anche e soprattutto alla disciplina contenuta agli artt. 6 e 14 del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, come modificato dal d.lgs. 16 giugno 2017, n. 100: d’ora in poi t.u.s.p.p.). Ed il richiamo a tale disciplina si rivela quanto mai opportuno, in specie considerando che è opinione comune quella secondo la quale il Testo unico anzidetto abbia anticipato l’ingresso degli strumenti di allerta nel sistema concorsuale [49], ancorché le due discipline, quella vigente e quella del codice della crisi d’impresa, presentino non poche differenze.

In quella sede, infatti, in particolare all’art. 6 rubricato «Principi fondamentali sull’organizzazione e sulla gestione delle società a controllo pubblico», si prevede l’obbligo per le società a controllo pubblico (rectius: per l’organo di gestione di queste) di predisporre specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e di informarne l’assemblea nell’ambito della relazione sul governo societario che deve essere annualmente predisposta a chiusura dell’esercizio sociale e pubblicata contestualmente al bilancio di esercizio (commi 2 e 4).

Ancora, all’art. 14 t.u.s.p.p., rubricato «Crisi d’impresa a partecipazione pubblica», si prevede che qualora emergano nell’ambito dei suddetti program­mi uno o più indicatori di crisi aziendale, l’organo amministrativo deve adottare senza indugio i provvedimenti necessari al fine di prevenire l’aggrava­mento della crisi, di correggerne gli effetti ed eliminarne le cause, attraverso un idoneo piano di risanamento (secondo comma); che la mancata adozione di provvedimenti adeguati costituisce grave irregolarità ai sensi dell’art. 2409 c.c. (terzo comma); che non costituisce provvedimento adeguato la previsione di un ripianamento delle perdite da parte dell’amministrazione pubblica, anche se attuato in concomitanza a un aumento di capitale o ad un trasferimento stra­ordinario di partecipazioni o al rilascio di garanzie o in qualsiasi altra forma giuridica, a meno che tale intervento sia accompagnato da un piano di ristrutturazione aziendale, dal quale risulti comprovata la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico delle attività, anche in deroga al quinto comma [50] (quarto comma).

Ed è del tutto evidente che l’obbligo per prima menzionato, quello di predisporre specifici programmi di valutazione del rischio, si pone in senso strumentale rispetto all’adozione di una condotta tempestiva ed attiva di fronte alla crisi, rilevando, dunque, quale specificazione dell’obbligo più generale di predisporre adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, misurandosi l’adeguatezza proprio in relazione all’idoneità degli stessi ad individuare precocemente i sintomi della crisi aziendale incipiente, in modo che questa sia tempestivamente fronteggiata. Ed al fine di concretizzare il precetto in oggetto, in mancanza di definizione della crisi contenuta nel Testo unico [51], ben potrà farsi riferimento agli indicatori contenuti nel codice della crisi [52], come propugnato anzitempo da parte della dottrina [53], a conferma di una reciproca interconnessione tra segmenti di ambiti disciplinari differenti [54].

Sotto altro profilo, la previsione secondo cui i provvedimenti necessari a fronteggiare la crisi devono essere suffragati da un piano di risanamento, unitamente alla specificazione per la quale la mancata adozione di provvedimenti adeguati costituisce grave irregolarità denunciabile al Tribunale ex art. 2409 c.c., per un verso chiarisce quale sia l’obbligo dell’amministratore, da ascriversi alla categoria dei doveri specifici [55], ma a contenuto indeterminato: quello, cioè, di predisporre un piano di risanamento all’interno del quale siano collocati i singoli provvedimenti e misure, dipendendo l’adeguatezza dei provvedimenti dall’idoneità del piano di risanamento, fondamento e limite del potere di gestione in questa fase. Per l’altro, contribuisce a legittimare l’eserci­zio da parte dell’organo di controllo dei poteri-doveri di segnalazione presenti già nella disciplina generale, oltre che in quella del codice della crisi se ritenuta applicabile, sia all’interno della società sia, qualora l’organo amministrativo non si attivi nel senso indicato, all’esterno di essa.

Ne consegue che tanto l’inerzia dell’organo gestorio, tanto quella dell’or­gano di controllo nei confronti della crisi, ovvero l’inadeguata attivazione nel senso precisato, e prima ancora la mancata predisposizione degli strumenti di rilevazione della crisi, saranno destinate ad integrare, o concorrere ad integrare, i presupposti di giusta causa per la revoca dei soggetti titolari delle relative cariche, nonché per l’e­sercizio di corrispondenti azioni di responsabilità, fondate sui rispettivi addebiti [56].


5. Segue: l'estensione dei modelli di allerta disciplinati nei settori speciali attraverso le procedure di allerta previste dal codice della crisi.

Questi risultati, in punto di emersione di obblighi di condotta degli organi di amministrazione e controllo rispetto alla crisi, appaiono suscettibili di essere ge­neralizzati proprio alla luce delle novità contenute nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza. Tanto in considerazione della già accennata modifica, costituita dall’art. 2086, secondo comma, c.c., in ordine ai doveri ed alle conseguenti responsabilità che gravano, prima ancora che sugli organi di gestione e controllo, ovvero sui revisori, sull’imprenditore societario o collettivo [57].

Con la conseguenza di rileggere in controluce (ed in negativo) le disposizioni premiali ed incentivanti, giungendo così alla conclusione che la mancata, intempestiva o inadeguata risposta dei predetti organi alla crisi d’impresa, sub specie del mancato rispetto degli obblighi ivi previsti, e prima ancora la mancata predisposizione degli assetti finalizzati a rilevarla, costituiscano o concorrano a costituire le gravi irregolarità integranti, anche solo se potenzialmente dannose, il presupposto di una denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c. ad istanza dei soggetti legittimati (da attivare se del caso successivamente alla convocazione dell’assemblea, ai sensi dell’art. 2406, secondo comma, c.c., o del­l’art. 151 t.u.f., ed all’impugnazione delle eventuali deliberazioni assembleari): istituto, questo, divenuto, proprio a seguito del codice della crisi, nuovamente applicabile alla s.r.l., anche se priva di organo di controllo, e ciò in virtù di apposito richiamo contenuto nell’art. 2477 c.c., come modificato dall’art. 379 c.c.i.i. [58].

Le medesime condotte potrebbero altresì reputarsi foriere di responsabilità gestorie per il relativo danno [59], e ciò anche a prescindere dalla sussistenza degli estremi per addebitare la responsabilità da omesso accertamento della causa di scioglimento o da gestione non conservativa (artt. 2485-2486 c.c.). Un danno risarcibile se ed in quanto correlato alla violazione di un più generale dovere di risanamento dell’impresa, da condurre se del caso nel quadro della procedura di composizione, che nelle menzionate previsioni sembrerebbe ricevere un fondamento normativo ulteriore rispetto a quello desumibile in loro assenza [60]; ovvero derivante dalla stessa prosecuzione dell’attività in costanza di insolvenza, senza accedere ad una delle procedure di regolazione della crisi previste dalla legge [61].

Tanto, senza omettere di estendere la responsabilità da gestione non conservativa anche laddove gli indicatori della crisi facciano ritenere non più sussistente la prospettiva della continuità aziendale, accogliendo le proposte favorevoli alla lettura di tale situazione quale causa di scioglimento per impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale, interpretata estensivamente; o comunque, più in generale, anche a prescindere dal verificarsi di una causa di scioglimento, ed eventualmente anche solo in presenza di una mera incertezza circa la sussistenza della predetta prospettiva, ricostruendo a livello interpretativo un dovere di gestione conservativa implicita, destinato a sorgere nelle more tra il verificarsi dei predetti indicatori e l’interpello dei soci nelle iniziative di risanamento dell’impresa, da reputarsi quest’ultimo come obbligatorio alla stregua di un principio agevolmente ricavabile dall’art. 2446, primo comma, c.c. oltre che dalla stessa disciplina del mandato (art. 1720, secondo comma, c.c.), e suscettibile di operare anche in altri frangenti, come altrove si è ritenuto di proporre [62].

Tutto questo, senza che si renda necessaria la possibile anticipazione degli obblighi di segnalazione interna ad una fase precedente al verificarsi dello stato di crisi [inteso quest’ultimo, ai sensi dell’art. 2, primo comma, lett. a), c.c.i.i., in senso non molto dissimile dall’insolvenza prospettica], e dunque a quella twilight zone dagli incerti confini che la dottrina ha tentato di individuare per ricostruire gli obblighi di comportamento dei gestori in prossimità della crisi [63]. Osta, infatti, al conseguimento di tale risultato esegetico la circostanza che gli indizi della crisi, a norma dell’art. 14 c.c.i.i., appaiono destinati a rilevare, per l’insorgere degli obblighi di allerta interna, solo laddove siano «fondati»: il che accadrà laddove, anche mediante la valutazione unitaria degli indici elaborati dal CNDCEC, si possa ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi quale probabilità di insolvenza (arg. ex art. 13, secondo comma, c.c.i.i.) [64].

Ma ciò non esclude che nell’osservanza del dovere di verificare il rispetto da parte dell’organo amministrativo degli obblighi di valutazione circa l’ade­guatezza dell’assetto organizzativo dell’impresa e dell’equilibrio economico-finanziario e sul prevedibile andamento della gestione (art. 14, primo comma, c.c.i.i.) e più in generale dei doveri riconducibili ai principi di corretta amministrazione, l’organo di controllo ed i revisori, ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni e nell’esercizio dei propri poteri, ma anche attraverso lo scambio tempestivo e reciproco delle informazioni rilevanti, siano comunque tenuti a segnalare all’organo amministrativo le criticità di cui siano venuti a conoscenza e a sollecitare quest’ultimo ad adottare gli opportuni provvedimenti, a pena di attivazione dei rimedi ordinari (convocazione assembleare, impugnazione deliberazioni, denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c., in caso di gravi irregolarità gestionali), al di fuori e prima della specifica procedura di allerta stabilita dall’art. 14 c.c.i.i. (arg. ex artt. 14 c.c.i.i., 2086, secondo comma, e 2381-2403 c.c.) [65], laddove quest’ultima si imporrà solo in presenza dei fondati indizi della crisi [66]. Ed è solo in caso di mancata o inadeguata reazione dell’organo amministrativo allo stato di crisi che andrà, a sua volta, effettuata la segnalazione esterna, eventualmente in concomitanza con la denuncia al Tribunale, in sintonia con quanto espressamente previsto per le società pubbliche [67].


6. Segue: gli interessi protetti.

Qui peraltro si giunge forse ad un punctum dolens della disciplina, costituito dall’assenza di specificazione al suo interno degli interessi che gli amministratori siano tenuti a perseguire o a proteggere in situazioni di crisi, in specie laddove si tratti di adottare iniziative in funzione del recupero della continuità aziendale e del risanamento dell’impresa, al di fuori di una procedura di regolazione della crisi.

In effetti, è questo un aspetto destinato ad emergere ogniqualvolta ci si confronti con i poteri-doveri di iniziativa e di attivazione nei confronti della crisi. Un problema che in rapporto agli strumenti di allerta e di composizione assistita, può così essere impostato: quale è l’interesse che deve essere salvaguardato da parte degli amministratori allorquando, sollecitati nei modi previsti, si accingano a promuovere percorsi di risanamento e/o di riorganizzazione funzionali alla rimozione delle cause della crisi ed al recupero della continuità aziendale, eventualmente per il tramite di accordi con i creditori nell’ambito della procedura di composizione assistita? Continua ad essere l’interesse dei soci, oppure è ormai quello dei creditori? Si può individuare un interesse alla continuazione dell’impresa in sé?

Al riguardo, appare innanzitutto necessario chiarire se per gli amministratori sia legittimo o addirittura doveroso perseguire, in presenza di una situazione di crisi o di insolvenza, in aggiunta all’interesse dei soci o in sua sostituzione, un interesse differente, e segnatamente quello dei creditori.

In argomento, sono ben note le posizioni che, sulla scia delle riflessioni presenti in alcuni orientamenti anglo-statunitensi, tendono a rispondere positivamente alla domanda da ultimo sollevata. Un tema, questo, che si inserisce nella più ampia problematica circa l’estensione dell’interesse sociale a favore degli altri soggetti interessati alle sorti dell’impresa [68].

Senza ripercorrere l’intero dibattito, che meriterebbe ben altro spazio, ciò che occorre evidenziare è che la questione risulta affrontata non sempre con la dovuta consapevolezza, e soprattutto trascurando che gli orientamenti di cui si diceva, peraltro recessivi alla luce dei più recenti sviluppi [69], pur affermando che l’interesse sociale in situazioni di crisi sia permeato da quello dei creditori, oscillano, più o meno coscientemente, nella specificazione del dovere di tenere conto degli interessi dei creditori, tra l’utilizzo dei due diversi concetti di promozione e protezione, o se si vuole di limite interno o funzionale e limite esterno del suddetto interesse.

Ed è del tutto evidente che un’impostazione forte, che consenta un’esten­sione del limite interno anche a favore dei creditori, sia pure in situazioni di crisi, oltre a determinare non pochi problemi in ordine all’individuazione del c.d. moment of truth, ossia del momento temporale in cui dovrebbe verificarsi la suddetta estensione [70], è destinata non già a restringere la discrezionalità gestoria, ma semmai ad ampliarla, determinando il risultato di assegnare agli amministratori un più esteso potere di bilanciamento dei vari interessi, almeno in assenza di criteri ex ante di individuazione del bilanciamento suddetto [71].

Né d’altro canto un tale criterio di bilanciamento, almeno al di fuori di una procedura concorsuale, può essere costituito da quello del miglior soddisfacimento dell’interesse dei creditori. In effetti, come in altre sedi argomentato, in assenza di meccanismi di compenetrazione del sistema di corporate governance con quello di bankruptcy governance – come quelli, presenti nelle soluzioni concordatarie, che consentono la fusione degli interessi in un piano di regolazione della crisi, che funge così da standard oggettivizzato della corretta gestione [72] – diviene difficile orientare l’impresa anche nell’interesse dei creditori, posta la molteplicità di componenti presenti in tale variegato ceto e la conseguente difficoltà a far emergere un interesse unitario.

Problemi non minori si determinano qualora, viceversa, si ipotizzi una sostituzione dell’interesse da perseguire, dai soci ai creditori, in quanto soluzione che, oltre a scontare le medesima difficoltà di individuare il momento iniziale del mutamento di paradigma e di emersione di un interesse unitario, rischia di favorire la prematura liquidazione di imprese, suscettibili, invece, di essere riorganizzate, stante l’assenza di incentivi in capo agli appartenenti a tale categoria di massimizzare in senso assoluto il valore del patrimonio sociale: questi ultimi, infatti, non si appropriano dell’intero guadagno della società, come avviene per i soci, ma della sola parte corrispondente alle loro pretese. Emerge, dunque, l’insufficienza della minimizzazione delle perdite ai fini del rilancio dell’impresa, ai creditori potendosi per questo riconoscere uno status solo incompleto di residual claimants, destinato, invece, ad avere un senso compiuto nella fase liquidazione fallimentare alias giudiziale a favore dei creditori non garantiti, beneficiando questi ultimi del diritto di concorrere sul patrimonio sociale se e nella misura in cui i creditori privilegiati abbiano ricevuto il pagamento delle proprie spettanze.

Diverso è il caso in cui il tenere conto degli interessi dei creditori sia ricostruito in termini di protezione. Secondo siffatta ricostruzione, l’interesse dei creditori assurge, piuttosto, al livello di limite esterno al perseguimento dell’in­teresse sociale, sì da condizionare dal di fuori, riducendolo, il raggio d’azione degli amministratori, onde il relativo dovere andrebbe più correttamente configurato in negativo, quale cioè dovere di non arrecare pregiudizio a siffatto interesse. In questa seconda accezione, del resto, il dovere di protezione dei creditori è già presente nella nostra tradizione giuridica, e più in generale in quella continentale, radicantesi, se non altro, negli obblighi di conservazione dell’integrità del patrimonio sociale incombenti sugli amministratori di s.p.a. ex art. 2394 c.c. ed anche, per effetto delle modifiche al codice civile connesse al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di s.r.l. Obblighi che, a prescindere da un’espres­sa menzione, possono ritenersi il riflesso di una serie di istituti di protezione dei cre­ditori sociali (non ultime le regole del capitale sociale), e più in generale dello stesso diritto societario, che sulla tutela dei terzi continua a trovare, anche al­l’esito della riforma delle società di capitali, uno dei suoi pilastri fondanti [73].

Da ciò ne consegue che il ricorso agli strumenti di prevenzione o di gestione della crisi risulta finalizzato pur sempre al perseguimento dello scopo di lucro, e per il soddisfacimento dell’interesse dei soci, ma nel limite di una migliore protezione dei creditori [74]. Tanto sul presupposto del riconoscimento al­l’interesse dei soci della natura di interesse imprenditoriale, a cui, cioè, l’am­ministratore deve mirare senza pregiudicare gli equilibri dell’impresa, ovvero in funzione del loro ripristino [75]. Sicché sarà solo il subentro dell’insolvenza non reversibile stragiudizialmente, in specie usufruendo degli strumenti previsti dall’ordinamento (arg. anche ex art. 2086, secondo comma, c.c.) che impedirà all’organo amministrativo di proseguire nella gestione dell’impresa, imponendo l’accesso ad una procedura concorsuale di spossessamento (nella scelta tra concordato preventivo e fallimento alias liquidazione giudiziale).

Se si conviene con l’adozione di tale impostazione, appare d’uopo distinguere, rispetto al tema trattato, l’ipotesi in cui, a seguito delle segnalazioni ricevute in ordine ai fondati indizi della crisi, l’organo gestorio si attivi senza accedere ad una procedura concorsuale, da quella in cui al contrario una tale ipotesi si realizzi.

Nella prima ipotesi, l’interesse da perseguire dovrebbe continuare ad identificarsi in quello dei soci, da perseguire pur sempre nel rispetto dei principi di corretta amministrazione, e, dunque, conseguentemente, evitando di ledere (ma anzi proteggendo) gli interessi dei creditori, tutelati sotto questo aspetto solo indirettamente; laddove nella seconda, il compito dell’organo gestorio ri­masto in carica – ed è chiaro che l’ipotesi non può prospettarsi nel fallimento alias liquidazione giudiziale – consisterà in quello di comporre l’interesse dei creditori, a cui dovrà riconoscersi la prevalenza, con gli interessi dei soci, alla ricerca di un punto di equilibrio ottimale, composizione resa possibile dalla compresenza dei meccanismi di governance societaria e concorsuale e coadiuvata dal sistema di controlli e di vigilanza previsti.

Sicché, almeno in linea teorica, la risposta al quesito posto circa l’interesse da perseguire a seguito dell’accesso alla procedura di composizione assistita della crisi e del suo svolgimento dovrà farsi dipendere dalla qualificazione della suddetta procedura, se concorsuale o meno.

Sul punto, la soluzione più plausibile appare quella negativa, non potendosi riscontrare in tale procedura i caratteri salienti della concorsualità, quali l’in­tervento dell’autorità giudiziaria e la presenza di meccanismi che consentono di organizzare la collettività dei creditori sulla base del principio maggioritario.

Ove, tuttavia, lo sbocco della composizione assistita della crisi sia rappresentato dall’accesso alla procedura di concordato preventivo, le cose sono destinate a mutare nel senso prima indicato, il che rileverà soprattutto nell’ipo­tesi del concordato con continuità aziendale. Sicché la prosecuzione dell’atti­vità, lungi dal rappresentare un valore-fine in sé, in tanto sarà ammessa se costituirà il mezzo per pervenire ad una soddisfazione dell’interesse dei creditori più elevata rispetto alle alternative disponibili (ossia, secondo quanto dispone l’art. 112 c.c.i.i., rispetto alla liquidazione giudiziale), senza allora trascurare la possibilità che il piano contempli il mantenimento in capo ai soci di una parte del patrimonio, in un’ottica di riorganizzazione e ricomposizione degli interessi delle due categorie. Ed a supporto di tale soluzione, si può anche far leva sulla disciplina presente nel codice della crisi e dell’insolvenza, secondo cui con il concordato preventivo il debitore realizza il soddisfacimento dei creditori mediante la continuità aziendale o la liquidazione del patrimonio (art. 84, primo comma, c.c.i.i.), dovendo il piano specificare, in caso di continuità diretta, che l’attività d’impresa sia diretta ad assicurare il ripristino dell’equi­li­brio economico finanziario nell’interesse prioritario dei creditori, oltre che del­l’impren­ditore e dei soci; disposizione, quest’ultima, applicabile in quanto compatibile anche al caso di continuità indiretta con riferimento però all’atti­vità aziendale proseguita dal soggetto diverso dal debitore (art. 84, secondo comma, c.c.i.i.) [76]. Ed ancor prima sulla disposizione di cui all’art. 4, secondo comma, lett. b), c.c.i.i., facente parte dei principi generali, circa il dovere del debitore di gestire il patrimonio o l’impresa durante la procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza nell’interesse prioritario dei creditori.


7. La codificazione dei criteri di quantificazione del danno risarcibile nelle azioni di responsabilità e l'insufficienza dei rimedi risarcitori quali deterrenti rispetto alle condotte opportunistiche in prossimità dell’insolvenza. Le possibili soluzioni anche in una prospettiva de jure condendo.

Tuttavia, anche a far emergere e ad accentuare la doverosità della condotta degli organi di amministrazione e controllo in occasione dell’attivazione degli strumenti di allerta, e conseguentemente configurando le varie ipotesi di responsabilità discendenti dai vari inadempimenti sinora considerati, il fine di incentivare ulteriormente la prevenzione dell’insolvenza non sembra pienamente conseguito. Resta, infatti, solo in parte risolto l’altro punctum dolens delle azioni di responsabilità degli amministratori di gran lunga dibattuto nelle aule di giustizia, costituito dalla quantificazione del danno risarcibile. Un tema sovente affrontato dalla giurisprudenza, che, in assenza di dati normativi, si è sovente fatta carico del problema di conciliare le esigenze di riparazione del danno con la necessità di accertare in modo rigoroso il nesso di causalità tra evento e danno, così da giungere, dunque, a pronunce di condanne risarcitorie rispettose del principio del danno effettivo.

Certo, entro certi limiti, relativamente al danno prodotto dalla violazione del dovere di gestione conservativa, si potrà e dovrà fare riferimento ai consueti criteri di quantificazione adoperati dalla giurisprudenza; i quali hanno acquisito, a seguito delle modifiche apportate al codice civile dal d.gs. n. 14/2019, una specifica rilevanza normativa, con l’aggiunta di un nuovo comma all’art. 2486 c.c., ad opera dell’art. 378, secondo comma, c.c.i.i. Aggiunta rivelatrice, peraltro, dell’intento di politica legislativa di agevolare la posizione processuale dell’attore – e dunque, in caso di fallimento, del curatore – nei giudizi di responsabilità contro gli organi di gestione, e di conseguenza, contro gli organi di controllo.

Ci si riferisce, in primo luogo, al criterio dei netti patrimoniali, che ora la legge, opportunamente, pone quale oggetto di una presunzione semplice, laddove – è il caso di precisare – sia stata accertata la responsabilità per violazione del dovere di gestione conservativa [77]. Salvo prova di diverso ammontare, infatti, il danno sarà quantificabile nella misura pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura, e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e sino al compimento della liquidazione.

Un criterio adoperato anche dalla giurisprudenza di legittimità, non senza l’aggiunta di correttivi o limitazioni, ed il cui recepimento da parte del legislatore conduce a negare legittimità all’interpretazione che la formulazione del dovere di gestione conservativa, nel prendere il posto al precedente divieto di nuove operazioni, aveva generato, in ordine alla necessità di allegare e provare le specifiche conseguenze pregiudizievoli scaturenti dagli atti contrari o non coerenti alle finalità liquidatorie, secondo i principi generali in tema di risarcimento del danno [78]. Il timore è, però, quello di trovarsi al cospetto di un criterio utilizzabile per la presunzione non già (solo) del danno in tal modo quantificato, bensì, prima ancora, dell’illegittimità della stessa prosecuzione del­l’attività, in presenza del solo dato dell’aggravamento del passivo. In tal senso, è dunque da auspicare un suo impiego nei confini di legge che gli sono propri, ossia sul terreno della quantificazione, logicamente successivo all’accerta­mento della responsabilità e del nesso di causalità con il danno al patrimonio sociale.

Tanto anche al fine di evitare il prodursi di un effetto di overdeterrence, che determini la prematura cessazione dell’attività di impresa i cui valori di avviamento sia invece opportuno preservare nel contesto della liquidazione, ed altresì di non precludere successivi tentativi di riorganizzazione dell’impresa, se del caso avvalendosi delle soluzioni di ristrutturazione del debito che consentono la sospensione dell’operatività della causa di scioglimento e con essa del dovere di gestione conservativa al momento della presentazione delle rispettive domande (art. 182-sexies l. fall.; artt. 64 e 89 c.c.i.i.) [79]. Sotto altro profilo, non sembra neppure da escludere, sempre nel solco dell’attenuazione del suo rigore applicativo, un’interpretazione della norma che subordini l’ap­pli­cazione del criterio dei netti patrimoniali alla predisposizione di situazioni patrimoniali omogenee, in conformità a quanto si rinviene nella prassi giurisprudenziale, sì da evitare di ricomprendere nel danno le minusvalenze determinate dal venir meno dell’efficienza produttiva e dell’operatività dell’im­presa.

In alternativa al criterio indicato potrà ancora essere utilizzato quello della differenza tra attivo e passivo fallimentare, che, nell’esperienza giurisprudenziale pregressa, ha goduto di alterne fortune, finendo per assumere il ruolo residuale per la liquidazione del danno in via equitativa: da far valere, in particolare, nelle sole ipotesi di mancata o irregolare tenuta delle scritture contabili [80], o nelle quali siano lo stesso dissesto ed il suo fallimento ad essere direttamente imputabili a mala gestio degli amministratori, sì da rinvenire l’esi­stenza del nesso causale tra la condotta degli amministratori e lo sbilancio fallimentare [81]. E che trova, come anticipato, anch’esso una sua rinnovata legittimazione nel comma prima citato, in caso di apertura di una procedura concorsuale e di mancanza delle scritture contabili, o se, a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni, non sia possibile determinare i netti patrimoniali [82].

Si tratta, peraltro, di comprendere se vi siano ulteriori spazi di applicazione dei criteri enunciati e fatti propri dal legislatore.

In effetti, il primo di essi potrebbe essere invocato, sempre in via di presunzione semplice, in tutte le ipotesi di violazione del dovere di gestione conservativa, specie se l’azione gestoria sia proseguita nella noncuranza dei segnali di allerta eventualmente evidenziati dai soggetti a ciò legittimati, sì da imputare l’aggravamento del passivo conseguente. Il che potrà avvenire qualora il capitale sociale si sia ridotto al di sotto del minimo legale, ovvero sia persa la continuità aziendale, quale causa di scioglimento per impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale; ma anche qualora entri in gioco la violazione dei doveri di gestione conservativa implicita eventualmente ricostruibili [83], addebitando agli amministratori la differenza tra il netto patrimoniale esistente alla data dell’accertamento degli indicatori della crisi o al verificarsi delle ulteriori sonnette d’alarme previste o evincibili dal sistema, e quello esistente alla data dell’interpello dei soci o a quella della cessazione dalla carica, precedente o successiva al suddetto interpello, ovvero a quella dell’apertura della procedura di liquidazione, volontaria o concorsuale.

A fortiori, tale criterio potrà essere adoperato laddove la situazione, anche a prescindere dal verificarsi di una causa di scioglimento, sia talmente grave da essere sfociata nell’insolvenza irreversibile (almeno stragiudizialmente), e l’amministratore ometta di accedere ad una procedura concorsuale, ad onta delle eventuali segnalazioni ricevute: con l’unico correttivo che nella predetta circostanza, in considerazione dell’illegittimità in sé della prosecuzione del­l’impresa, potrebbe operare un regime presuntivo assoluto sulla prova del dan­no, non ammettendosi, cioè, la prova di un diverso ammontare.

Ancora, il criterio del deficit potrebbe continuare ad essere adoperato, oltre che rispetto alle ipotesi di impossibilità di determinare i netti patrimoniali, anche a quella in cui il dissesto sia direttamente imputabile agli amministratori. Tanto, specie se l’imputabilità del deficit patrimoniale per la mancata o irregolare tenuta della contabilità sia giustificata dalla ricostruzione, legittimata ora anche dal legislatore, di una duplice presunzione: che l’inadempimento accertato – la mancanza della contabilità sociale o la sua non corretta tenuta – sia servita a celare condotte dissipative del patrimonio sociale in violazione dei relativi obblighi di conservazione, e che queste ultime erano tali proprio da determinare il dissesto [84].

Se così è, ci si potrebbe anche spingere oltre, e ritenere che, qualora a causa della colpevole inerzia degli organi di controllo e dei revisori, ed ancor prima di quelli di amministrazione, nell’attivarsi di fronte ai fondati indizi della crisi, in particolare se oggetto delle segnalazioni previste, sia subentrato il dissesto con conseguente accesso dell’impresa alla procedura di liquidazione giudiziale, quest’ultimo evento potrà ai medesimi organi addebitarsi. Il che sembrerebbe presupporre la dimostrazione che, ove fosse stata tenuta una condotta corretta, quell’evento non si sarebbe verificato. In alternativa, non è da escludere la possibilità di adoperare la figura del danno da perdita di chance, almeno in alcune delle ipotesi considerate, sull’assunto che la colpevole inerzia nei confronti della crisi abbia fatto venir meno la possibilità di raggiungere il risultato sperato, ovvero il superamento della crisi, anche mediante il suo componimento: e dunque giungendo a ritenere risarcibile tale possibilità, intesa quale entità patrimoniale autonoma, almeno in via equitativa.

Al netto dei criteri di quantificazione individuabili o ricostruibili, si torna tuttavia al problema iniziale, costituito probabilmente dall’insufficienza dei rimedi risarcitori a fungere da serio deterrente riguardo ai comportamenti opportunistici degli amministratori in prossimità della crisi o dell’insolvenza, e più in generale nei confronti dell’inadempimento ai doveri previsti o ricostruibili, che induca questi ultimi ad adottare un atteggiamento corretto nelle suddette evenienze. Per questo, in prospettiva de jure condendo, non sembra insensato pensare di introdurre degli ulteriori strumenti coercitivi, importando il modello tedesco delle black list dei cattivi pagatori, attraverso l’invio periodico alle camere di commercio di un report sulla regolarità dei pagamenti [85]; ovvero, con specifico riguardo al management, immaginare di introdurre misure paragonabili alla disqualification di diritto inglese [86], come del resto suggerito dai principi di Model law Uncitral, da applicare nei confronti dei soggetti che ricoprano cariche all’in­terno dei cda o degli organi di controllo, nei confronti dei quali sia possibile addebitare l’atteggiamento di colpevole inerzia che si è detto.

Per altro versante, appare fondato ritenere che il successo dei nuovi strumenti di allerta e di composizione della crisi dipenderà anche dalla collaborazione dei creditori, in particolare di quelli forti, nella partecipazione ai tentativi di composizione della crisi, come del resto può desumersi dalla previsione circa i doveri delle parti, cui si è già accennato, facente parte dei principi generali del codice della crisi [87]. Sotto questo profilo, non è da escludere che l’ado­zione di comportamenti ostruzionistici ed immotivati nelle trattative di componimento della crisi sia passibile di essere sanzionata mediante adeguati meccanismi risarcitori, se e nella misura in cui si riconoscano come condotte opportunistiche poste in essere, in ultima analisi, in violazione dei più generali doveri di correttezza e buona fede.


8. Business judgment rule e adeguatezza organizzativa dell'impresa.

Dalle linee sinora tratteggiate appare evidente che il disegno complessivo sotteso al codice della crisi, in piena continuità con la riforma del diritto societario del 2003, sia dominato dall’adeguatezza organizzativa dell’impresa, quale regola di diritto dell’impresa, funzionale al governo del rischio dell’attività ed alla sua conservazione nel medio-lungo termine [88]. Regola quest’ultima destinata, però, a fare i conti con il principio cardine della responsabilità gestoria, costituito dalla business judgment rule.

Si applica tale principio in ordine alle valutazioni svolte dagli organi di gestione e di controllo, nell’ambito delle rispettive competenze, sull’adeguatezza degli assetti e sull’idoneità dei piani di risanamento al superamento della crisi?

Rispetto al primo profilo, ferma restando la responsabilità degli amministratori (e della stessa società) in caso di omessa predisposizione degli assetti [89], in specie alla luce della disciplina tratteggiata dall’art. 2086, secondo comma, c.c., trattandosi della violazione di un dovere specifico ancorché a contenuto indeterminato, si tratta di discernere se l’elasticità del canone richiesto dalla disciplina – l’adeguatezza da rapportare alla natura ed alle dimensioni dell’impresa – sia sintomatica dell’assegnazione all’organo gestorio di un ambito di discrezionalità insindacabile ex post dal giudice se non nei limiti del modus decidendi [90]; ovvero se tale discrezionalità, per quanto ampia, sia in astratto di natura prevalentemente tecnica, sindacabile almeno nei limiti in cui si accerti che l’assolvimento dell’obbligo sia avvenuto in violazione delle regole desumibili dalle scienze dell’economia aziendale, oltre che dalla prassi professionale di settore [91].

Senza voler qui approfondire l’intera tematica, che meriterebbe ben altro spazio non consentito nel presente scritto, il problema sembra suscettibile di essere ridimensionato, considerato che difficilmente l’inadeguatezza organizzativa potrà di per sé causare un danno risarcibile. Al più il danno deriverà dalla scelta che sia stata poco informata in dipendenza dell’inadeguatezza degli assetti, rilevando quest’ultima quale argomento per sostenere il mancato adempimento del dovere di agire in modo informato, come aspetto del più generale dovere di diligenza. Sotto altro profilo, la valutazione sull’adeguatezza organizzativa potrebbe costituire l’oggetto di un’apposita deliberazione di revoca per giusta causa degli amministratori, e dell’eventuale giudizio risarcitorio che gli amministratori revocati dovessero a quella far seguire, nonché (se non costituire almeno) concorrere a costituire il presupposto della denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c. in presenza di gravi irregolarità gestionali, in specie nel caso dell’omessa, ritardata o inidonea reazione alla crisi, sulla falsariga di quanto espressamente disposto per le società pubbliche.

Più complicato è il secondo aspetto, quello inerente alla sindacabilità dei piani di risanamento e di intervento per il recupero della continuità aziendale. Invero, al netto della sicura sanzionabilità di una condotta che si caratterizzi per l’inerzia nei confronti dei segnali di allerta, come più volte si è detto, non appare azzardato sostenere che il metro di giudizio per il sindacato sulle azioni intraprese sia costituito dal canone della ragionevolezza – cui pure si riferiva la già citata Proposta di direttiva del 22 novembre 2016, e deve ritenersi si riferisca anche la direttiva finale UE/2019/1023, in tema di obblighi dei dirigenti [92] – ovvero della correttezza [93]: tutte formule dalle quali sembrerebbe evincibile il dovere dell’organo amministrativo di rapportarsi alle informazioni disponibili secondo un rapporto di normale consequenzialità, almeno ogniqualvolta l’azione imprenditoriale sia idonea a mettere a repentaglio la continuità aziendale, ovvero abbia lo scopo di recuperare le condizioni di equilibrio, trattandosi in tal caso di sindacare l’esercizio di una discrezionalità tecnica e non imprenditoriale in senso stretto [94]. La prospettiva appare, dunque, di attenuazione in misura più o meno ampia della consueta b.j.r., laddove in definitiva si tratti di preservare o ripristinare il profilo della sostenibilità dell’impresa nel tempo. In tal senso, proprio la previsione di specifici strumenti di allerta consentirà di fare applicazione di tale canone, in particolare rispetto all’azione gestoria conseguente all’allerta interna ed esterna, al contempo esonerando dalla responsabilità l’amministratore che si muova in senso consequenziale rispetto alla crisi, eventualmente in esecuzione delle misure concordate con il collegio di esperti nominato dal referente dell’OCRI, o degli accordi conclusi con i creditori in sede di composizione assistita.

In sostanza, la logica del sistema sembra quella di ammettere il sindacato sull’adeguatezza, a monte, e sulla ragionevolezza, a valle, dei piani di risanamento, ponendo però al riparo, alla stregua di un salvacondotto o se si vuole di una specifica business judgment rule in rapporto alla crisi, l’amministratore che si adoperi in funzione dei percorsi di riorganizzazione dell’impresa incentivati e protetti dall’ordinamento.


NOTE

[1] Sul nuovo codice della crisi e di insolvenza, si vedano, in generale, i contributi raccolti in Il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, a cura di S. Sanzo, D. Burroni, Bologna, Zanichelli, 2019, nonché in La nuova disciplina delle procedure concorsuali. In ricordo di Michele Sandulli, Torino, Giappichelli, 2019; G. FAUCEGLIA, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, Giappichelli, 2019; M. FABIANI, Il codice della crisi di impresa e dell’insolvenza tra definizioni, principî generali e qualche omissione (nota a Cass. civ., sez. I, 19 novembre 2018, n. 29742) in Foro it., 2019, I, 162 ss.; F. LAMANNA, Il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, Milano, Giuffrè, 2019; S. ROSSI, V. DI CATALDO, Nuove regole generali per l’impresa nel nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, in RDS, 2018, 475 ss.; N. ABRIANI, A. ROSSI, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile, in Società, 2019, 393 ss.; L. DE ANGELIS, L’influenza della nuova disciplina dell’insol­venza sul diritto dell’impresa e delle società, con particolare riguardo alle s.r.l., in questa Rivista, n. 1/2019, 9 ss.; P. MONTALENTI, Il codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza: assetti organizzativi adeguati, rilevazione della crisi, procedure di allerta nel quadro generale della riforma, relazione presentata al XXXIII Convegno di studio su Crisi d’impresa. Prevenzione e gestione dei rischi: nuovo Codice e nuova cultura (Courmayeur, 20-21 settembre 2019), cnpds.it/documenti/relazione_prof_montalenti.pdf. Si vedano, inoltre, le riflessioni preconizzatrici di A. JORIO, Legislazione francese, raccomandazione della commissione europea e alcune riflessioni sul diritto interno, in Fallimento, 2015, 1070 ss.; in tema, anche G. CARMELLINO, Le droit francais des entreprises en difficulté e i rapporti con la nuova normativa europeaivi, 1057 ss. Con specifico riguardo alle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, oggetto di precedenti proposte legislative (raccolte in La riforma delle procedure concorsuali. I progetti, a cura di A. Jorio, S. Fortunato, Milano, Giuffrè, 2004), senza presunzione di completezza, a commento delle sole previsioni contenute nella legge delega ed anche in rapporto alla disciplina francese, cfr. A. JORIO, Su allerta e dintorni, in Giur. comm., 2016, I, 261 ss., nonché in Le proposte per una riforma della legge fallimentare. Un dibattito dedicato a Franco Bonelli, a cura di M. Arato, G. Domenichini, Milano, Giuffrè, 2017, 55 ss., da cui si cita; L. PANZANI, Le procedure di allerta e conciliazioneivi, 65 ss.; G. LOMBARDI, Il ruolo degli organi di controllo e di revisione nelle procedure di allerta di cui al disegno di legge-delega per la riforma delle procedure concorsualiivi, 77 ss.; S. DE MATTEIS, L’emersione anticipata della crisi d’impresa. Modelli attuali e prospettive di sviluppo, Milano, Giuffrè, 2017, 317 ss.; L. BENEDETTI, Le procedure d’allerta: mieux vaut prévenir que guérir, paper presentato all’VIII Convegno annuale dell’associazione di diritto commerciale “Orizzonti del Diritto Commerciale”, dal titolo “Il Diritto commerciale verso il 2010: i grandi dibattiti in corso, i grandi cantieri aperti” (Roma, 17-18 febbraio 2017); F. PERNAZZA, The Legal Transplant into Italian Law of the Procédure d’Alerte. Duties and Responsibilities of the Companies’Bodies, in Italian Law Journal, 2017, 553 ss.; e v. anche G. BERTOLOTTI, Poteri e responsabilità nella gestione di società in crisi. Allerta, autofallimento e bancarotta, Torino, Giappichelli, 2017, 149 ss.; G. BALP, Early Warning Tools at the Crossroads of Insolvency Law and Company Law, (28 luglio 2017), Bocconi Legal Studies research Paper No. 3010300, 12 ss., reperibile in internet al seguente indirizzo: https://www.ssrn.com/index.cfm/en/. In tema, cfr. anche G.A. POLICARO, La crisi d’impresa e gli strumenti di monitoraggio nel disegno di legge di riforma della legge fallimentare, in Giur. comm., 2017, I, 1038 ss.; R. RANALLI, Le procedure di allerta e di composizione assistita della crisi: insidie ed opportunità, 31 ottobre 2017, reperibile in internet al seguente indirizzo: www.
ilfallimentarista.it; M.S. SPOLIDORO, Procedure d’allerta, poteri individuali degli amministratori non delegati e altre considerazioni sulla composizione anticipata della crisi, in Riv. soc., 2018, 171 ss.; A. NIGRO, D. VATTERMOLI, Disciplina delle crisi dell’impresa societaria, doveri degli amministratori e strumenti di pianificazione, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 1 novembre 2018, reperibile in internet al seguente indirizzo: www.ilcaso.it.; P. VALENSISE, Organo di controllo nelle procedure di allerta, in Giur. comm., 2019, I, 583 ss. Per un commento, invece, delle previsioni contenute nel codice della crisi, sempre in tema di allerta, anche in connessione con le responsabilità degli organi di gestione e controllo, cfr. P. VELLA, L’epocale introduzione degli strumenti di allerta nel sistema concorsuale italiano, in Questione Giustizia, n. 2/2019, 240 ss. nonché R. RANALLI, Le tecniche per gestire in anticipo la crisiivi, 252 ss., entrambi reperibili in internet al seguente indirizzo: questionegiustizia.it.; A. BARTALENA, Le azioni di responsabilità nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, 298 ss.; M. FERRO, Allerta e composizione della crisi nel D.Lgs. n. 14/2019: le istituzioni della concorsualità preventivaivi, 419 ss.; M. PERRINO, Crisi di impresa e allerta: indici, strumenti e procedure, in Corr. giur., 2019, 653 ss.; M. BINI, Procedura di allerta: indicatori della crisi ed obbligo di segnalazione da parte degli organi di controllo, in Società, 2019, 430 ss.; P. BENAZZO, Il Codice della crisi di impresa e l’organizzazione dell’imprenditore ai fini dell’allerta: diritto societario della crisi o crisi del diritto societario?, in Riv. soc., 2019, 274 ss. Ed in tema di gruppi, cfr. M. MIOLA, Crisi dei gruppi e finanziamenti infragruppo nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenzaivi, 306 ss., spec. 315 ss.

[2] Si vedano sul punto le eccezioni previste dai commi 4 e 5 dell’art. 12 c.c.i.i., costituite, rispettivamente, dalle grandi imprese, gruppi di imprese di rilevante dimensione, società con azioni quotate in mercati regolamentati o diffuse tra il pubblico in misura rilevante (quarto comma); imprese assoggettate in via esclusiva alla liquidazione coatta amministrativa (banche, imprese di intermediazione finanziaria, istituti di moneta elettronica e di pagamento, sim, fondi comuni di investimento, imprese di assicurazione e riassicurazione, fondazioni bancarie, cassa depositi e prestiti, fondi pensione, società fiduciarie e di revisione), sul presupposto, evidentemente, della ritenuta esaustività per queste dello specifico regime di vigilanza previsto nelle rispettive discipline; laddove per le imprese soggette alla liquidazione coatta amministrativa diverse da quelle indicate, l’ottavo comma dell’art. 12 c.c.i.i. si limita a disporre l’integrazione delle procedure di allerta con l’attribuzione di funzioni alle autorità amministrative di vigilanza, secondo quanto dispone l’art. 316, primo comma, lett. a) e b), c.c.i.i.

[3] Argex art. 12, secondo comma, c.c.i.i., secondo cui il debitore, all’esito dell’allerta o anche prima della sua attivazione, può accedere al procedimento di composizione assistita della crisi, che si svolge in modo riservato e confidenziale dinanzi all’OCRI.

[4] Cfr. Relazione allo schema di legge delega per la riforma delle procedure concorsuali, Roma, 29 dicembre 2015, 3 s., reperibile in internet al seguente indirizzo: https://www.os­servatorio-.org.it.

[5] Ci si riferisce alla Raccomandazione del 12 marzo 2014 «Su un nuovo approccio al fallimento delle imprese e all’insolvenza», che fa seguito alla comunicazione «Un nuovo approccio europeo al fallimento delle imprese e all’insolvenza» COM(2012) 742 final del 12 dicembre 2012, entrambe reperibili in internet al seguente indirizzo: http://ec.europea.eu: in tema, cfr. A. JORIO, Legislazione francese, (1), 1070 ss.

[6] Si legge nella Legislative Guide of Insolvency Law (UNCITRAL, Legislative Guide of Insolvency Law, United Nations, New York, 2005, Part Two, 53, n. 46): «One of the objectives of reorganization proceedings is to establish a framework that will encourage debtors to address their financial difficulties at an early stage to enable the business to continue to the benefit of the debtor and creditors alike. A commencement standard that is consistent with that objective may be one that is more flexible than the commencement standard for liquidation and does not require the debtor to wait until it has ceased making payments generally before making an application, but allows an application in financial circumstances that, if not addressed, will result in a state of insolvency». In tema, sottolineando l’apertura del processo riformatore agli orientamenti internazionali in materia di insolvenza, A. MAZZONI, Procedure concorsuali e standards internazionali: norme e principi di fonte Uncitral e Banca Mondiale, in Giur. comm., 2018, I, 43 ss.

[7] Direttiva riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione, e che modifica la direttiva UE/2017/1132. In particolare, vanno sottolineati i considerando nn. 1-2-22 e 69-71, rispettivamente sugli obiettivi e le finalità della ristrutturazione preventiva e sulle misure che all’uopo dovrebbero adottare i dirigenti d’impresa, tra cui proprio il ricorso a strumenti di allerta [si legge, in particolare, nel considerando n. 70: «Qualora l’impresa versi in difficoltà finanziarie, i dirigenti dovrebbero prendere misure per ridurre al minimo le perdite ed evitare l’insolvenza, come: richiedere consulenza professionale, anche sulla ristrutturazione e sull’insolvenza, ad esempio facendo ricorso a strumenti di allerta precoce (enfasi nostra), se del caso»]. Tra le norme della direttiva, si vedano, inoltre, gli artt. 3-4, che, rispettivamente, vincolano gli Stati membri a provvedere affinché i debitori e gli imprenditori abbiano accesso a strumenti di allerta in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza (e non più, quindi, un andamento degenerativo dell’im­presa, previsto in sede di proposta) e segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio (art. 3), nonché a provvedere affinché, qualora sussista una probabilità di insolvenza, il debitore abbia accesso a un efficace quadro di ristrutturazione preventiva, così da tutelare i posti di lavoro e preservare l’attività imprenditoriale (art. 4); l’art. 19, sugli obblighi dei dirigenti in presenza di probabilità dell’insolvenza, da leggersi in stretta connessione con i già citati considerando 69-71 (su cui v. anche infra), e che fa seguito alla proposta formulata dall’High Level Group of Company Law Expert, contenuta nel Report of High Level Group, Chapter III, § 4.4, di introdurre nella disciplina europea una regola ispirata al wrongful trading di diritto inglese, a cui ha fatto più volte riferimento anche il Report of the Reflection Group on the Future of EU Company Law, in Riv. soc., 2011, 911 ss., raccomandando l’introduzione a livello europeo di una regola di responsabilità gestoria in caso di appartenenza di una società ad un gruppo, che distingua le due situazioni di vicinanza o meno all’insolvenza.

I limiti del presente contributo non consentono di approfondire la questione, cui si è accennato nel testo, circa il grado di compatibilità del codice della crisi con la direttiva citata, ma preme sin d’ora evidenziarsi la possibile incongruenza dell’esclusione delle grandi imprese dall’applicazione delle suddette procedure, stante il tenore del considerando 22, in ordine al­l’applicabilità degli strumenti di allerta anche alle grandi imprese, sia pure con la possibilità di prevedere alcuni adattamenti. Come pure riguardo alle esigenze informative messe in luce dalla direttiva (art. 3, §§ 3-5), con particolare riferimento all’accesso dei rappresentanti dei lavoratori alle informazioni sugli strumenti di allerta e sulle procedure di ristrutturazione e di esdebitazione, e sul sostegno degli Stati membri agli stessi nella valutazione della situazione economica del debitore [sul punto, cfr. P. VELLA, (1), 247 ss.]: tutti profili, questi, che, presumibilmente, dovranno essere presi in considerazione dal Governo in sede di emanazione di disposizioni integrative e correttive, in attuazione della legge delega 8 marzo 2019, n. 20.

[8] A commento della suddetta proposta, si vedano, tra i tanti, L. PANZANI, La proposta di Direttiva della Commissione Ue: early warning, ristrutturazione e seconda chance, in Fallimento, 2017, 129 ss.; L. STANGHELLINI, La proposta di Direttiva UE in materia di insolvenza, in Fallimento, 2017, 873 ss.; A. NIGRO, La proposta di direttiva comunitaria in materia di disciplina della crisi delle imprese, in Riv. dir. comm., 2017, II, 201 ss.; J. PULGAR EZQUERRA, Holdout” degli azionisti, ristrutturazione di impresa e dovere di fedeltà del socio, in Dir. fall., 2018, I, 13 ss. Sulla lettura combinata delle norme previste dalla Proposta di direttiva, cfr. G. BALP, (1), 12 ss.

[9] Così la Relazione illustrativa allo schema di accompagnamento ai decreti delegati, Roma, 22 dicembre 2017, § 2, 3. Pressoché nello stesso senso si esprime anche la Relazione illustrativa al decreto legislativo di attuazione della legge delega, Roma, 2 ottobre 2018, 5, entrambe reperibili in internet al seguente indirizzo: https://www.osservatorio.org.it.

[10] Ci si riferisce alla nota procédure d’alerte disciplinata dagli artt. L. 234-1 ss. Code com. Superflue le citazioni. Cfr., comunque, C. SAINT-ALARY-HOUIN, Droit des entreprises en difficulté11, Montchrestien, L.G.D.J, Paris, 2018, 107 ss. Sul tema, v., inoltre, gli autori citati in nt. 1.

[11] La principale delle quali è da ravvisarsi nel maggiore potere di ingerenza del Tribunaux de Commerce nel diritto francese, titolare di un autonomo potere di allerta, anche in considerazione della peculiare composizione di tale organo, formato da giudici non togati ed eletti tra imprenditori e commercianti, che contribuirebbe a fondare il successo delle procedure d’allerta in quell’ordinamento: per tali notazioni, cfr. L. BENEDETTI, (1), 29 s.; e v. anche F. PERNAZZA, (1), 574 ss.

[12] Cfr., per tutti, V. CALANDRA BUONAURA, L’amministrazione della società per azioni nel sistema tradizionale, Torino, Giappichelli, 2019, 306 ss. E v. anche R. SACCHI, Sul così detto diritto societario della crisi: una categoria concettuale inutile o dannosa, in Nuove leggi civ. comm., 2018, 1285 ss.

[13] Funzione, come è noto, esercitata anche dal consiglio di sorveglianza, in virtù di quanto disposto dall’art. 2409-terdecies c.c., che richiama, al primo comma lettera c), proprio il primo comma dell’art. 2403 c.c.; come pure dal comitato per il controllo sulla gestione, sebbene mediante la differente formulazione contenuta nell’art. 2409-octiesdecies, quinto comma, lett. b), c.c., chiamato a vigilare sull’adeguatezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo e contabile, nonché sulla sua idoneità a rappresentare correttamente i fatti di gestione.

[14] Norme, quelle da ultimo menzionate, applicabili, in quanto compatibili, anche al consiglio di sorveglianza, per effetto del rinvio disposto dall’art. 2409-quaterdecies c.c.

[15] Potere-dovere esercitabile, in caso di adozione del sistema dualistico o monistico, rispettivamente dal consiglio di sorveglianza e dal comitato per la gestione, in virtù di quanto previsto dall’art. 2409, ult. comma, c.c. Cui è da aggiungersi, per effetto di quanto disposto dal non ancora vigente art. 37 c.c.i.i., il potere-dovere di presentare la domanda di apertura della liquidazione giudiziale, spettante genericamente all’organo svolgente funzione di controllo.

[16] Si pensi al dovere di comunicare senza indugio alla Consob qualsiasi irregolarità gestionale riscontrata nell’attività di vigilanza (art. 149, terzo comma, t.u.f.) e di riferire i fatti censurabili all’assemblea convocata per l’approvazione del bilancio (artt. 153, primo comma, t.u.f.); come pure al potere di convocare l’assemblea in assenza di presupposti specifici (art. 151, secondo comma, t.u.f.): in tema, cfr. G. LOMBARDI, (1), 82.

[17] Cfr. P. MONTALENTI, Amministrazione e controllo nella società per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma, in Id., Impresa, società di capitali, mercati finanziari, Torino, Giappichelli, 2017, 194 s., ID., Diritto dell’impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi: appunti, in Giur. comm., 2018, I, 75, ove altri riff., riprendendo alcuni spunti, in particolare, di P. FERRO-LUZZI, Per una razionalizzazione del concetto di controllo, in I controlli societari. Molte regole nessun sistema, a cura di M. Bianchini, C. Di Noia, Milano, EGEA, 2010, 122 ss. Cfr. anche M. Cera, I controlli nelle società di capitali «chiuse» fra modelli legali ed evoluzione della realtà, in Giur. comm., 2006, I, 373. In senso critico nei confronti della tendenza ad assegnare al collegio sindacale ruoli di cooperazione con i soggetti vigilati, nel confronto con i c.d. sistemi alternativi, v. M. LIBERTINI, Le funzioni di controllo nell’organizzazione della società per azioni, in Società, banche e crisi d’impresa. Liber amicorum Pietro Abbadessa, diretto da M. Campobasso, V. Cariello, V. Di Cataldo, F. Guerrera, A. Sciarrone Alibrandi, vol. 2, Torino, Utet, 2014, 1063 ss., 1083.

[18] Cfr. G. CAVALLI, Art. 149, in Testo unico della finanza, commentario diretto da Gian Franco Campobasso, Torino, Utet, 2002, vol. **, 1234 s.

[19] Cfr. G. LOMBARDI, (1), 83; G. RACUGNO, Crisi d’impresa di società a partecipazione pubblica, in Riv. soc., 2016, 1147 ss.; R. RUSSO, Collegio sindacale e prevenzione della crisi d’impresa, in Giur. comm., 2018, I, 119 ss., ove altri riff.; P. BENAZZO, (1), 291 s.

[20] Si veda, in particolare, la norma Q.3.3. (Vigilanza sul rispetto dei principi di corretta amministrazione) delle Norme di comportamento del collegio sindacale delle società quotate, aprile 2018, e le norme 3.3. (Vigilanza sul rispetto dei principi di corretta amministrazione) e 11.1 (Prevenzione ed emersione della crisi) delle Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate, settembre 2015 (reperibili in internet al seguente indirizzo: www.cndcec.it.). Sulla funzione interpretativa delle norme di comportamento, quali precetti di soft law, cfr. S. POLI, Il ruolo del collegio sindacale nelle crisi di impresa tra regole deontologiche, norme di sistema e prospettive de iure condendo, in Contr. impr., 2012, 1320 ss.

[21] Applicabile, in quanto compatibile, al consiglio di sorveglianza, in caso di adozione del sistema dualistico, in virtù di quanto disposto dall’art. 2409-quaterdecies c.c. Qualora, invece, si sia optato per il sistema monistico, sarà il comitato per il controllo sulla gestione ad avere rapporti con il revisore, nell’ambito dei compiti che il consiglio di amministrazione – stante il disposto di cui all’art. 2409-otiesdecies, quinto comma, lett. c), c.c. – gli avrà per l’appunto affidato.

[22] Che fa seguito al principio contabile di cui documento 570-2017 della commissione paritetica per i principi di revisione, richiamato dal documento congiunto Consob, Banca d’Italia e Isvap del 2 febbraio 2009.

[23] Come da più parti notato, è discutibile la scelta del codice della crisi di estendere la regola dell’esclusività della gestione a tutti i tipi societari, ed in particolare alla s.r.l. La modifica dell’art. 2475 c.c., infatti, nell’affermare la spettanza esclusiva della gestione dell’impresa a favore degli amministratori di s.r.l., in conformità con la soluzione adottata dall’art. 2380-bis c.c. per gli amministratori di s.p.a., pone delicati problemi di coordinamento con quanto previsto dall’immutato art. 2479 c.c., in ordine alla competenza dei soci nel medesimo ambito, oltre che rispetto a quei diritti riguardanti l’amministrazione che l’atto costitutivo può affidare ai soci ex art. 2468, terzo comma, c.c. (e v. infatti le critiche avanzate su tali aspetti, già quando la modifica era allo stadio della proposta, da P. MONTALENTI, Gestione dell’impresa, assetti organizzativi e procedure di allerta nella riforma Rordorf, in NDS, n. 6/2018, 4 ss.). Problemi destinati probabilmente a confrontarsi, anche per la ricerca delle relative soluzioni, con quelli già presenti nel contesto del­l’attività di direzione e coordinamento di società per azioni, in vista della necessità di delimitare le sfere di influenza, rispettivamente della società che dirige e coordina (rectius: dell’organo amministrativo di questa) e gli organi amministrativi delle società dirette e coordinate. Ed è noto che, a tale ultimo riguardo, la tendenza sia quella di distinguere il profilo meramente operativo della gestione di impresa, spettante agli amministratori, da quello inerente alle scelte strategiche, alle politiche aziendali ed allo sviluppo dell’impresa, oggetto, invece delle eventuali direttive, formali o informali, emanate dagli organi di vertice della società o ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento: cfr., sul punto, tra i tanti, ancorché con accenti differenti, M. SANDULLI, Art. 2380-bis, in La riforma delle società. Commentario, a cura di M. Sandulli, V. Santoro, vol. 2/I, Torino, Giappichelli, 2003, 399; C. ANGELICI, La società per azioni. Principi e problemi, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da A. Cicu, F. Messineo, L. Mengoni e continuato da P. Schlesinger, vol. I, Milano, Giuffrè, 2012, 368; L. A. BIANCHI, Problemi in materia di disciplina dell’attività di direzione e coordinamento, in Riv. soc., 2013, 441 ss., che giunge ad escludere dall’area della fattispecie della direzione e coordinamento l’ingerenza della controllante nella gestione corrente della controllata; e v. anche G. GUIZZI, Riflessioni intorno all’art. 2380-bis, in Società, banche e crisi d’impresa, vol. 2, (17), 1051 ss., rimarcando gli spazi di autonomia decisionale degli amministratori delle società di gruppo; nonché L. BOGGIO, L’or­ganizzazione ed il controllo della gestione finanziaria nei gruppi di società (non quotate)ivi, 1502 ss. In quest’ultimo senso, cfr. anche Cass. civ., sez. un., 25 novembre 2013, n. 26283, edita tra le tante in Giur. comm., 2014, II, 5 ss., in motivazione.

Si veda, però, per la soluzione c.d. «riduzionista» di distinguere il piano della gestione del­l’impresa, intesa limitatamente alla sola predisposizione di assetti adeguati, di competenza esclusiva degli amministratori, ed il piano dell’amministrazione della società, concernente tutte le altre scelte a contenuto imprenditoriale, rispetto al quale continuerebbero ad operare le norme preesistenti, lo Studio n. 58-2019/I del Consiglio Nazionale del Notariato, Il nuovo articolo 2475 c.c. Prima lettura, a cura di N. Atlante, M. Maltoni, A. Ruotolo; posizione, questa, condivisa anche da P. BENAZZO, (1), 300 ss., M.S. SPOLIDORO, (27), 270 ss., pur con alcuni distinguo, nonché da N. ABRIANI, A. ROSSI, (1), 399 ss., ove anche un panorama delle diverse soluzioni, su cui v. pure S. ROSSI, V. DI CATALDO, (1), 758 SS., che propendono per la soluzione di assegnare valenza autorizzatoria alle ingerenze dei soci di s.r.l.

[24] Su tale posizione, ci si permette di rinviare a F. BRIZZI, Doveri degli amministratori e tutela dei creditori nel diritto societario della crisi, Torino, 2015, 194 ss., ove altri riff.

[25] Ibidem; e v. anche V. CALANDRA BUONAURA, (12), 306 ss.

[26] Costituendo, in sostanza, l’adeguatezza in specifico delle procedure di segnalazione preventiva dei sintomi della crisi elemento della complessiva adeguatezza degli assetti: si veda, di recente, P. MONTALENTI, La gestione dell’impresa di fronte alla crisi tra diritto societario e diritto concorsuale, in RDS, 2011, 827; ID., Diritto dell’impresa in crisi, (17), 77 ss.; N. ABRIANI, Corporate governance e doveri di informazione nella crisi dell’impresa, in Riv. dir. impr., 2016, 234 s.; R. RUSSO, (19), 139 s.; G. BALP, (1), 4; F. BRIZZI, (24), 209; G. MERUZZI, L’adeguatezza degli assetti, in Assetti adeguati e modelli organizzativi, diretto da M. Irrera, Bologna, Zanichelli, 2016, 41 ss., spec. 75 ss.; V. DE SENSI, Adeguati assetti organizzativi e continuità aziendale, in Riv. soc., 2017, 311 ss., anche alla luce dei contenuti della (non più) futura riforma Rordorf; G. MEO, La difficile via normativa al risanamento d’impresa, in Riv. dir. comm., 2018, I, 617 ss.; S. DE MATTEIS, (1), 224 s. In tema, v. anche A.M. LUCIANO, Adeguatezza organizzativa e funzioni aziendali di controllo nelle società bancarie e non, in Riv. dir. comm., 2017, I, 317 ss.

[27] Da «Direzione e gerarchia nell’impresa» a «Gestione dell’impresa»: sul punto, con accenti critici, cfr. M.S. SPOLIDORO, Note critiche sulla «gestione dell’impresa» nel nuovo art. 2086 c.c. (con una postilla sul ruolo dei soci), in Riv. soc., 2019, 253 ss.; P. MONTALENTI, (1), 11 s.

[28] Si osservi che la norma contenuta nella bozza di decreto delegato estendeva tale dovere anche agli imprenditori individuali. Peraltro, la versione definitiva del decreto assegna a questi ultimi il dovere, sancito dal primo comma dell’art. 3 c.c.i.i., di adottare le misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie a farvi fronte. In sostanza, la predisposizione di assetti organizzativi adeguati, in specie ai fini della rilevazione tempestiva della crisi, ma anche della perdita della continuità aziendale, costituisce una condotta obbligatoria per i soli imprenditori societari o collettivi; mentre quelli individuali sembrano legittimati ad adottare anche altro genere di misure e per la sola rilevazione dello stato di crisi [e v. in senso critico, P. MONTALENTI, (1), 8 ss.]. Allo stesso modo, solo i primi parrebbero tenuti ad usufruire degli strumenti previsti (e incentivati) dall’ordinamento per il superamento della crisi, liberi restando i secondi di perseguire lo stesso obiettivo per il tramite di percorsi differenti. Si tratta, tuttavia, di una differenza di disciplina di cui non è agevole cogliere la ragionevolezza, sol se si pensi che l’adeguatezza degli assetti riguarda il piano dell’organiz­zazione dell’impresa e non quello della sua forma [così, N. ABRIANI, A. ROSSI, (1), 395, testo e nt. 6]. Né d’altro canto appare condivisibile desumere la stessa dall’assenza di complessità strutturale delle imprese individuali [così, invece, S. ROSSI, V. DI CATALDO, (1), 750 S.] – complessità del resto egualmente non riscontrabile nelle società di persone ed in molte s.r.l. – non presupponendo la norma sull’ade­guatezza degli assetti alcun limite dimensionale ed anzi dovendo questa diversamente calibrarsi a seconda della natura e le dimensioni dell’impresa [e v. anche M.S. SPOLIDORO, (27), 261 s.], evidente essendo, allora, il rischio di circolarità del ragionamento, nella commistione dei due livelli, fattuale e deontico, del discorso.

[29] Cfr. R. RUSSO, (19), 139 s.; e v. anche P. BENAZZO, (1), 282 ss., argomentando anche sulla base di principi di diritto dell’impresa ricavabili dal sistema.

[30] E v., al riguardo, la ridefinizione al ribasso delle soglie previste dall’art. 2477 c.c. ad opera dell’art. 379, primo comma, c.c.i.i., e quella successiva al rialzo delle stesse operata, con una nuova modifica della norma codicistica, dall’art. 2-bis d.l. n. 32/2019 (conv. con modifiche dalla l. n. 55/2019), al superamento delle quali diviene obbligatoria la nomina dei soggetti indicati nel caso di s.r.l. Si dischiude, tuttavia, la questione se ed in che termini sia giustificabile la disapplicazione dei doveri di iniziativa incombenti sugli organi previsti dall’art. 14 c.c.i.i., in assenza, a monte, del loro presupposto, costituito proprio dall’organo di controllo o del revisore. Un’assenza che, al netto delle soluzioni tendenti ad individuare nell’amministratore non esecutivo ovvero nel singolo socio i soggetti legittimati ad esercitare gli stessi, potrebbe trovare una sua giustificazione nell’estensione anche alle s.r.l., a prescindere dalle dimensioni raggiunte, del controllo giudiziario ad opera del codice della crisi: sul punto, cfr. anche P. BENAZZO, (1), 295 ss.; e v. anche infra, testo e nt. 58.

[31] Obbligo di monitoraggio, quindi, incombente sull’organo amministrativo, sul quale si concentrerà a sua volta il controllo degli organi indicati: cfr. P. BENAZZO, (1), 290, testo e note di riferimento, che discorre, quanto a quest’ultima attività, di monitoraggio di secondo grado.

[32] Un passaggio, questo, sintomatico della procedimentalizzazione che caratterizza l’adem­pimento dei doveri di segnalazione previsti dal codice della crisi [cfr. P. BENAZZO, (1), 295; v. anche infra, § 3]. In particolare, secondo quanto dispone il secondo comma dell’art. 14 c.c.i.i., la comunicazione deve recare l’invito a riferire sulle soluzioni individuate entro un termine non superiore a trenta giorni, decorso il quale, in caso di omessa o inadeguata risposta, i medesimi soggetti saranno legittimati ad effettuare una tempestiva segnalazione all’OCRI, fornendo ogni elemento utile, per le relative determinazioni. Segnalazione, questa, che andrà eseguita anche in caso di mancata adozione nei successivi sessanta giorni delle misure proposte. Sul punto, non appare superfluo sottolineare che tale attività potrà essere svolta anche in deroga all’ob­bligo di segretezza sancito dall’art. 2407, primo comma, c.c. Ed un potenziamento del flusso di comunicazioni può ritenersi costituito dall’obbligo posto a carico di banche ed intermediari finanziari di dare notizia agli organi di controllo circa le variazioni, revisioni o revoche degli affidamenti comunicate al cliente (art. 14, ult. comma, c.c.i.i.).

[33] Ai sensi dell’art. 13 del codice della crisi, costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche del­l’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi. A questi fini, sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi. Costituiscono altresì indicatori di crisi i ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24 del medesimo codice, in ordine alla tempestività dell’iniziativa del de­bitore per evitare l’aggravarsi della crisi, ai fini dell’applicazione delle misure premiali [norma che considera tempestiva l’iniziativa se proposta entro tre mesi a decorrere alternativamente da quando si verifica: a) l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno sessanta giorni per un ammontare pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni); b) l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno centoventi giorni per un ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti; c) il superamento nell’ulti­mo bilancio approvato, o comunque per oltre tre mesi, degli indicatori elaborati dal CNDCEC]. Si prevede, infatti, sempre all’art. 13, ma ai commi 2 e 3, che sia compito del CNDCEC elaborare con cadenza almeno triennale i suddetti indici che valutati unitariamente facciano ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa. Indici specifici saranno tuttavia elaborati da tale organismo in riferimento alle start-up innovative, alle PMI innovative, alle società in liquidazione ed alle imprese costituite da meno di due anni [sullo stato dell’arte di tale elaborazione, si veda la bozza del 19 ottobre 2019 predisposta dal CNDCEC (reperibile in internet al seguente indirizzo: press-magazine.it), che prevede per la generalità delle imprese l’impiego del c.d. DSCR (Debt Service Coverage Ratio) al fine di evidenziare la non sostenibilità del debito nei sei mesi successivi attraverso i flussi finanziari, o, laddove questo non sia disponibile o i dati non affidabili, ed in assenza di altre manifestazioni di crisi quali il patrimonio netto negativo o reiterati e significativi ritardi, all’impiego combinato della seguente serie di cinque indici, quali: a) indice di sostenibilità degli oneri finanziari in termini di rapporto tra gli oneri finanziari ed il fatturato; b) indice di adeguatezza patrimoniale in termini di rapporto tra patrimonio netto e debiti totali; c) indice di ritorno liquido in termini di rapporto tra cash flow e attivo; d) indice di liquidità in termini di rapporto tra attività a breve termine e passivo a breve termine; e) indice di indebitamento previdenziale e tributario in termini di rapporto tra l’indebitamento previdenziale e tributario e l’attivo]. Peraltro, l’impresa che non ritenga adeguati tali indici potrà specificarne le ragioni nella nota integrativa al bilancio di esercizio, dando atto nella medesima nota, degli indici idonei a far presumere lo stato di crisi, la cui adeguatezza dovrà essere attestata, per espressa previsione di legge, da un professionista, nonché – è da ritenere per via interpretativa, sindacata dall’organo di controllo: per questo rilievo, cfr. P. BENAZZO, (1), 293, nt. 21.

[34] In tal senso, v. la Relazione allo schema di legge delega, (4), 11, e la Relazione illustrativa al decreto legislativo, (9), 5; in dottrina, di recente, cfr. G. MEO, (26), 613.

[35] Cfr. G. LOMBARDI, (1), p. 86.

[36] Questi ultimi (Agenzia delle entrate, Istituto nazionale della previdenza sociale e Agente della riscossione) hanno l’obbligo di dare avviso al debitore, all’indirizzo di posta elettronica certificata di cui siano in possesso, o, in mancanza, a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento inviata all’indirizzo risultante dall’anagrafe tributaria, che la sua esposizione debitoria ha superato l’importo rilevante di cui al secondo comma e che, se entro novanta giorni dalla ricezione dell’avviso egli non avrà estinto o altrimenti regolarizzato per intero il proprio debito con le modalità previste dalla legge o se, per l’Agenzia delle entrate, non risulterà in regola con il pagamento rateale del debito previsto dall’articolo 3-bis del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 462 o non avrà presentato istanza di composizione assistita della crisi o domanda per l’accesso ad una procedura di regolazione della crisi e dell’insolvenza, essi ne faranno segnalazione all’OCRI, anche per la segnalazione agli organi di controllo della società.

[37] Ai sensi dell’art. 17 c.c.i.i., il referente attraverso cui opera l’OCRI, una volta ricevuta la segnalazione da parte degli organi di controllo societari o dai creditori pubblici qualificati, o su istanza del debitore, procede senza indugio a dare comunicazione della segnalazione stessa agli organi di controllo della società, se esistenti, ed alla nomina di un collegio di esperti tra quelli iscritti nell’apposito albo previsto dall’art. 356 c.c.i.i., dei quali uno designato dal presidente della sezione specializzata del tribunale competente, o da un suo delegato; uno designato dal presidente della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, o da un suo delegato; uno appartenente all’associazione rappresentativa del settore di riferimento del debitore, individuato dal referente, sentito il debitore, tra quelli iscritti nell’elenco trasmesso annualmente dalle associazioni imprenditoriali di categoria.

[38] Cfr. G. LOMBARDI, (1), 87; e v. anche P. VELLA, (1), 243.

[39] In tale direzione, potrebbe rivelarsi di una certa utilità, in funzione neutralizzante le reazioni dei creditori, la norma di cui all’art. 12, terzo comma, c.c.i.i., secondo cui l’attivazione della procedura di allerta conseguente all’assolvimento degli obblighi di segnalazione da parte dei soggetti legittimati (organi di controllo e creditori pubblici qualificati), nonché la presentazione dell’istanza di composizione assistita della crisi da parte del debitore, non costituiscono causa di risoluzione dei contratti pendenti, anche se stipulati con pubbliche amministrazioni, né di revoca degli affidamenti bancari concessi; una disposizione, questa, completata dall’e­spres­sa sanzione della nullità dei patti contrari. Nella direzione opposta, sembrerebbe porsi, quasi a temperamento dell’elemento della stragiudizialità insita nelle procedure, la segnalazione che il collegio, tramite il referente, è tenuto ad effettuare al pubblico ministero in ordine al­l’insol­venza del debitore, nelle circostanze delineate dall’art. 22 c.c.i.i. (mancata comparizione del debitore per l’audizione; mancato deposito dell’istanza di composizione della crisi; mancato deposito di domanda di accesso ad una procedura di regolazione della crisi). Una previsione, tuttavia, da valutare con favore, in quanto tendente ad evitare l’aggiramento delle procedure da parte del debitore, mediante un utilizzo solo formale delle stesse, contribuendo ad evidenziare la doverosità delle condotte prescritte [in senso critico, cfr., invece, P. VELLA, (1), 245, che intravede nell’emersione della figura del pubblico ministero un possibile disincentivo per l’im­prenditore ad avvalersi dei nuovi strumenti, per via delle possibili ricadute penali derivanti dal suo coinvolgimento].

[40] Si vedano gli artt. 14 e 15 c.c.i.i., e ancor prima l’art. 12 c.c.i.i., in ordine alla nozione degli strumenti di allerta. Con riferimento alla segnalazione dei creditori qualificati, deve ravvisarsi un opportuno ravvedimento del legislatore delegato nell’utilizzo del termine obbligo in luogo di onere, come invece stabilito in precedenza dall’art. 15 della bozza.

[41] Esamina il punto, M.S. SPOLIDORO, (1), 174 ss., concludendo per la soluzione affermativa, facendo salva l’attuazione di scelte alternative debitamente motivate ai soggetti legittimati a presentare l’informativa all’OCRI.

[42] Incentivi da leggere unitamente al possibile sbocco della procedura di composizione della crisi nella conclusione di un accordo con alcuni creditori, che per espressa previsione di legge (art. 19, quarto comma, c.c.i.i.), produce gli stessi effetti degli accordi che danno esecuzione al piano attestato di risanamento: di talché appare chiaro il disegno del legislatore di estendere i meccanismi di protezione altrove previsti (in tema di accordi di ristrutturazione e di concordato preventivo) anche alle trattative sfocianti in accordi non regolati dalle suddette procedure.

[43] Integrazione reciproca, da intendersi nel duplice senso di individuazione di nuovi obblighi e conseguenti responsabilità, e di ulteriore fondamento di quelli preesistenti, in specie se ricostruibili anche in via interpretativa (v. anche infra, § 5), quale può ritenersi messa in luce proprio dalla Direttiva UE/2019/1023 (v. anche supra, nt. 7): cfr., sul punto, G. BALP, (1), 7 SS., che evidenzia, alla luce degli spunti offerti dall’allora Proposta (supra, nt. 8), la stretta complementarietà tra gli strumenti di allerta ed i doveri degli amministratori in prossimità dell’insolvenza, finalizzati entrambi alla tempestiva ricognizione della crisi e ad una ristrutturazione efficiente. Per alcuni spunti in proposito, cfr. anche V. CALANDRA BUONAURA, (12), 309.

[44] Piano che, dopo essere stato approvato dall’organo amministrativo, viene sottoposto alla Banca d’Italia per le valutazioni di cui all’art. 69-sexies t.u.b., in ordine alla verifica della completezza e adeguatezza in conformità dei criteri indicati nelle pertinenti disposizioni dell’Unione Europea. Sulla possibile rilevanza sistematica dell’obbligo di predisporre in via preventiva un piano di risanamento nel diritto bancario, ipotizzando, sia pure dubitativamente, una sua generalizzazione per le imprese di diritto comune, cfr. A. NIGRO, D. VATTERMOLI, (1), 24 ss.

[45] Sulla distinzione delle tre fasi della direttiva BRRD e sulla sua attuazione nell’ordina­mento italiano, cfr. G. BOCCUZZI, La crisi della banca e del gruppo bancario. Quadro normativo di sintesi, in Trattato delle procedure concorsuali, a cura di A. Jorio, B. Sassani, vol. V, Milano, Giuffrè, 2017, 911 ss. Con particolare riferimento alla risoluzione, cfr. ID., La risoluzione e le altre procedure di gestione delle crisi di banche insolventiivi, 929 ss.; e v. anche M. RISPOLI FARINA, La disciplina europea di soluzione delle crisi bancarie. L’attua­zione nell’or­dinamento italiano. Profili problematici, in Regole e mercato, a cura di M. Rispoli Farina, A. Sciarrone Alibrandi, E. Tonelli, t. II, Torino, Giappichelli, 2017, 3 ss.; in tema, cfr. anche V. CALANDRA BUONAURA, La disciplina del risanamento e della risoluzione delle banche, in questa Rivista, 2/2017, 1 ss.

[46] Consistenti nell’accertamento delle violazioni dei requisiti previsti a livello di legislazione europea, ovvero nella previsione circa la violazione dei predetti requisiti (art. 69-octiesdecies t.u.b.).

[47] Si prevede, peraltro, che nell’esercizio di tale potere di intervento, la Banca d’Italia possa: a) richiedere l’aggiornamento del piano di risanamento quando le condizioni che hanno con­dotto all’intervento precoce divergono rispetto alle ipotesi contemplate nel piano; b) fisare un termine per l’attuazione del piano e l’eliminazione delle cause che formano presupposto del­l’intervento precoce (art. 69-novesdecies, secondo comma, t.u.b.).

[48] È da segnalare, in particolare, l’inserimento dell’art. 75-bis t.u.b., che prevede la nomina da parte della Banca d’Italia di uno o più commissari in temporaneo affiancamento all’organo amministrativo, in alternativa allo scioglimento degli organi di amministrazione e di controllo ed alla nomina del commissario straordinario.

[49] Cfr. in tal senso G. GUIZZI, M. ROSSI, La crisi di società a partecipazione pubblica, in La governance delle società pubbliche nel d. lgs. 175/2016, a cura di G. Guizzi, Milano, Giuffrè, 2017, 271 ss.; G. D’ATTORRE, I piani di risanamento e di ristrutturazione nelle società pubbliche, in Fallimento, 2018, 139 ss.; P. VALENSISE, (1), 589; L. PICARDI, Prevenzione della crisi d’impresa e governance delle società pubbliche, in La nuova disciplina delle procedure concorsuali, (1), 557 ss., spec. 564 ss.

[50] Comma, quest’ultimo, che stabilisce il divieto per le amministrazioni pubbliche di sottoscrivere aumenti di capitale, effettuare trasferimenti straordinari, aperture di credito, rilasciare garanzie a favore delle società partecipate, con esclusione delle società quotate e degli istituti di credito, che abbiano registrato per tre esercizi consecutivi perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali, salvo quanto previsto dagli artt. 2447-2482-ter c.c. in tema di reintegrazione del capitale sociale.

[51] Su cui si vedano le differenti soluzioni proposte da G. GUIZZI, M. ROSSI, (49), 294, secondo cui la crisi aziendale ricomprende anche la crisi dell’investimento; V. DONATIVI, La società a partecipazione pubblica, Milano, Wolters Kluwer, 2016, 1207, favorevole ad intenderla in senso ampio come qualunque stato di difficoltà, anche finanziaria; G. D’ATTORRE, (49), 141, ove l’accento è posto, invece, sugli squilibri di carattere economico, patrimoniale o finanziario. In tema, cfr. anche F. GUERRERA, Crisi e insolvenza delle società a partecipazione pubblica, in questa Rivista, n. 1/2017, 1 ss.

[52] Ossia gli squilibri che diano conto della (i) non sostenibilità del debito nei successivi sei mesi o del (ii) pregiudizio alla continuità aziendale nell’esercizio in corso o se la durata residua è inferiore a sei mesi nei successivi sei mesi; (iii) ritardi nei pagamenti reiterati e significativi (supra, nt. 33).

[53] G. D’ATTORRE, (49), 141.

[54] E v. in questo senso, sul profilo più generale dei rapporti tra le misure di allerta previste nel t.u.s.p.p. e nella legge delega, G. D’ATTORRE, (49), 142, concludendo nel senso dell’assog­gettamento delle società pubbliche sia alle une che alle altre.

[55] G. D’ATTORRE, (49), 141.

[56] Cfr. anche G. D’ATTORRE, (49), 141; G. RACUGNO, Crisi d’impresa delle società a partecipazione pubblica e doveri degli organi sociali, in Giur. comm., 2018, I, 195 ss., spec. 209, favorevole, peraltro, ad includere nel novero delle irregolarità gestorie rilevanti ex art. 2409 c.c., prima ancora che la mancata adozione dei provvedimenti anticrisi, la mancata adozione dei programmi di valutazione del rischio aziendale; in tal senso, anche V. DONATIVI, (51), 1205.

[57] Il che dischiude, peraltro, scenari nuovi, cui non ci si può soffermare, per il possibile profilarsi di nuove fattispecie di responsabilità (anche extracontrattuali). Si pensi all’eventuale responsabilità nei confronti dei lavoratori dell’impresa per la perdita del posto di lavoro cagionata dalla mancata attivazione nel senso indicato dalla norma – responsabilità a cui dovrebbe ragionevolmente assegnarsi natura contrattuale – e che in assenza di una previsione di tal fatta parrebbe assai disagevole ricostruire; ovvero nei confronti di terzi non in diretta relazione d’af­fari con l’impresa, e che, tuttavia, abbiano subito nocumento dalla mancata o inadeguata reazione alla crisi da parte della stessa (si pensi ai soggetti esercenti servizi di diversa natura o di supporto, facenti parte del c.d. indotto di una determinata zona o area ove opera l’impresa in crisi): un tassello, se si vuole, di quella responsabilità per danno all’integrità del patrimonio (accolta da Cass. civ., sez. III, 4 maggio 1982, n. 2765, in Giust. civ., 1982, I, 1745 ss., con nota di A. DI MAJO, per la quale il diritto all’integrità del proprio patrimonio si identifica nel diritto di determinarsi liberamente nello svolgimento dell’attività negoziale relativa al patrimonio), che potrebbe trovare nella suddetta ipotesi uno specifico ambito di applicazione.

[58] In effetti, l’estensione del controllo giudiziario alla s.r.l., sebbene in controtendenza con la soluzione seguita dal legislatore con la riforma del diritto societario del 2003, appare coerente con le novità del codice menzionato in punto di obblighi di adeguatezza organizzativa in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e dell’adozione delle misure idonee a farvi fronte, valevoli per ogni imprenditore societario e collettivo, al punto che non è da escludere una ripresa del dibattito circa l’applicazione analogica dell’art. 2409 c.c. alle società di persone: per questi ed altri rilievi, cfr. N. ABRIANI, A. ROSSI, (1), 405; ed anche P. BENAZZO, (1), 297 ss., ove ult. riff.

[59] Si possono, al riguardo, formulare una serie di ipotesi, ancorché, per lo più, solo teoriche: i) l’organo gestorio non predisponga assetti idonei e l’organo di controllo, ovvero i revisori, ciascuno nell’ambito delle proprie competenze, non lo rilevino; ii) l’organo di controllo, ovvero i revisori, non segnalino all’organo amministrativo la presenza di fondati indizi di crisi; iii) li segnalino, ma non informino tempestivamente l’OCRI circa la mancata adozione delle misure necessarie per superare lo stato di crisi, da inquadrare in un idoneo piano di risanamento da parte dell’organo gestorio (cui è da aggiungere l’ipotesi dell’inerzia dell’organo gestorio rispetto alle segnalazioni dei creditori pubblici qualificati); iv) a seguito della tempestiva informazione e dell’audizione dell’organo gestorio, salva l’ipotesi dell’archiviazione, l’organo gestorio non attui alcuna iniziativa allo scadere del termine stabilito per l’adozione delle misure suggerite dal Collegio, ovvero non presenti l’istanza di composizione della crisi; v) infine, presentata l’istanza, non svolga in modo corretto, trasparente e leale le eventuali trattative con i creditori o non attui le misure contemplate, né presenti domanda di accesso alle procedure di regolazione della crisi.

[60] Sul punto, ci si permette di rinviare a F. BRIZZI, (24), 212 ss.; cfr. anche G. BALP, (1), 38 ss.

[61] V. anche infra, § 7.

[62] È infatti da ritenere sussistente un’esigenza informativa dei soci sulle iniziative volte al risanamento dell’impresa, da evadere mediante la convocazione assembleare, e ciò anche al fine di garantire loro la scelta se proseguire l’attività con lo stesso o diverso organo amministrativo ovvero interromperla (su queste proposte, ci si permette di rinviare a F. BRIZZI, Doveri degli amministratori, cit., 218 ss., ove anche altri riff.). Più delicato è comprendere se sia affermabile la competenza dei soci sui piani di risanamento e la vincolatività sul punto delle eventuali deliberazioni o decisioni (un aspetto, questo, del più ampio tema delle c.d. competenze implicite, su cui, di recente, v. N. DE LUCA, Da “Holzmüller e Gelatine” a “Bulli e Pupe”. Competenze implicite dell’assemblea e limiti legali ai poteri degli amministratori nelle società di capitali, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, II, 380 ss.), da affrontare separatamente per la s.p.a. e per la s.r.l., ed anche alla luce delle modifiche apportate dal codice della crisi in tema di assetti organizzativi societari (v. supra, nt. 23), dipendendo l’esito dal grado di rilevanza del principio di esclusività della gestione dell’impresa. Ove tuttavia si continuasse a rimarcare la distinzione, quanto a tale ultimo aspetto, tra s.p.a. e s.r.l., potrebbe riaffermarsi una differenza tra la deliberazione dei soci di s.p.a., da ascriversi alla stregua di un parere non vincolante, e le decisioni dei soci di s.r.l., rispetto alla quale potrebbe formularsi una conclusione divergente.

[63] Per questa posizione, pur con itinerari argomentativi non sempre coincidenti, cfr., invece, S. DE MATTEIS, (1), 365 s., con riferimento, però, alle sole previsioni della legge delega; ma v., anche rispetto alle previsioni del codice della crisi, A. ROSSI, (1), 296 s.; M. BINI, (1), 430 ss. Una costruzione, in linea teorica, compatibile con il meccanismo di esonero della responsabilità dell’organo di controllo per le condotte successive alla segnalazione all’organo amministrativo, destinato a scattare solo in caso di adempimento dell’obbligo di segnalazione successiva (ed eventuale) all’OCRI nelle ipotesi previste dal secondo comma dell’art. 14, richiedente espressamente il vero e proprio stato di crisi.

[64] Quali quelli individuati supra, nt. 33 e 52. Cfr., però, M. BINI, (1), 431 ss., il quale pone in evidenza la maggiore severità del giudizio sulla continuità aziendale, che presuppone la sostenibilità per almeno i 12 mesi successivi, rispetto agli indicatori previsti dal codice della crisi, e dunque il rischio che i segnali di crisi giungano in ritardo. Da qui il suggerimento di un’in­terpretazione estensiva della dizione «fondati indizi della crisi», atta a ricomprendere un sistema di stima del rating della società basato su parametri oggettivi.

[65] Diversamente, cfr., invece, A. ROSSI, (1), 297, favorevole ad un’anticipata attivazione di quest’ultima procedura.

[66] Cfr. la bozza del CNDCEC, (33), 26, che individua un discrimen tra situazioni di crisi che possono ancora essere gestite internamente all’impresa e quelle che invece comportano l’obbligo di segnalazione; sul punto, condivisibilmente, anche P. MONTALENTI, (1), 15 ss.

[67] Cfr. P. BENAZZO, (1), 297 ss., ove ult. riff., secondo il quale, peraltro, in caso di coincidenza dei campi di applicazione delle diverse misure (denuncia al Tribunale e doveri di iniziativa previsti dal codice della crisi), l’organo di controllo dovrà prima ricorrere all’OCRI e poi all’autorità giudiziaria, salvo diversa valutazione in ordine alla capacità di intervento dell’orga­no amministrativo rispetto alla crisi. Proprio tale valutazione risulta, tuttavia, necessitata in presenza di inerzia o di azione inefficace rispetto alla crisi. Esclusa l’alternatività dei due rimedi, appare preferibile non vincolare la loro attivazione, aventi pur sempre finalità differenti, secondo un ordine prestabilito, data l’opportunità, in considerazione della gravità della crisi e della disuguale tempistica procedimentale, di un loro simultaneo avvio, e ciò anche qualora l’unica irregolarità evidenziabile sia costituita proprio dalla mancata o inadeguata risposta per superare lo stato di crisi, al fine di non aggravare la situazione nelle more tra l’attivazione del­l’allerta interna e quella esterna ed a pena di non usufruire dei benefici premiali [cfr. sul punto A. BARTALENA, (1), 302]. Ciò, a tacer d’altro, tenendo conto del presumibile effetto di deterrenza del ricorso di denuncia al Tribunale sull’organo amministrativo – che può condurre anche solo ad una sostituzione degli amministratori con soggetti di adeguata professionalità da parte dell’assemblea dei soci –, sì da incentivare quest’ultimo ad un’attiva e consapevole partecipazione alla procedura di composizione assistita. Né in senso contrario pare deporre il carattere non giudiziale della composizione della crisi, che egualmente permarrebbe anche laddove, nei casi più gravi, le trattative della procedura fossero condotte dall’amministratore giudiziario [diversamente, v., però, V. DI CATALDO, S. ROSSI, (1), 780], realizzandosi in tal modo un potenziamento delle procedure di allerta, che le avvicinerebbe al modello francese, pur senza mutarne la loro natura.

[68] E v., in questo senso, il lavoro di E. RECAMÁN GRAÑA, Los Deberes y la Responsabilidad de los Administradores de Sociedades de Capital en Crisis, Cizur Menor, Aranzadi Thomson Reuters, 2016, 86 ss., sul quale, anche per un confronto tra diritto spagnolo ed italiano sul tema, ci si permette di rinviare a F. Brizzi, Il dibattito sui doveri degli amministratori in rapporto alla crisi di impresa (a proposito di un libro spagnolo), in Riv. dir. comm., 2019, II, 387 ss. Dubitativamente, alla luce delle novità del codice della crisi, cfr. anche P. BENAZZO, (1), 278 ss., che giunge ad ipotizzare che l’interesse tutelato dalle norme sia da identificarsi con quello generale di mercato; salvo valutare l’adeguatezza organizzativa in termini di mera opportunità per l’imprenditore (e dunque a tutela, se ben si intende, del suo interesse), a tutela solo in via mediata dei creditori sociali.

[69] Si veda in tal senso la pronuncia Quadrant Structured Products Co., Ltd. v. Vertin, C.A. No. 6990-VCL (DelCh. 2014).

[70] Cfr. A. NIGRO-D. VATTERMOLI, (1), 7 ss., che sottolinea anche l’assenza di base normativa adeguata che consenta di distinguere il regime degli obblighi e responsabilità degli amministratori, a seconda della situazione patrimoniale in cui versi la società; e v. in senso conf. A. ROSSI, Dalla crisi tipica ex CCI alle persistenti alterazioni delle regole di azioni sociali nelle situazioni di crisi atipica, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 11 gennaio 2019, reperibile in internet al seguente indirizzo: www.ilcaso.it, 15 ss.

[71] In termini generali, in critica alle tesi che postulano l’esistenza di obblighi fiduciari nei confronti degli stakeholders, cfr. F. DENOZZA, L’interesse sociale tra «coordinamento» e «coo­perazione», in L’interesse sociale tra valorizzazione del capitale e protezione degli stakeholders. In ricordo di Pier Giusto Jaeger, Milano, Giuffrè, 2010, 9 ss., spec. 41.

[72] Cfr. F. BRIZZI, Proposte concorrenti nel concordato preventivo e governance dell’impre­sa in crisi, in Giur. comm., 2017, I, 344 ss., anche in ordine all’individuazione dei criteri di condotta degli amministratori nella fase di accesso al concordato preventivo ed in pendenza della stessa procedura, nelle diverse fasi che la riguardano, e delle relative ipotesi di responsabilità; in tema, con accenti contrari, si veda anche G. D’ATTORRE, Creditori posteriori e doveri degli amministratori nell’esecuzione del concordato preventivo, in Riv. soc., 2018, 526 ss.

[73] Di talché i nuovi strumenti di allerta, una volta attivati, non paiono destinati a svolgere la funzione di identificare il momento temporale in cui sorga il dovere di tenere conto degli interessi dei creditori [così, invece, se ben si intende, G. BALP, (1), 23 ss.], quanto piuttosto di intensificare un canone di tutela di un interesse, quello dei creditori, sussistente pur sempre durante l’intera vita della società.

[74] Così P. MONTALENTI, La gestione dell’impresa, (26), 827; e v., per analogo ordine di idee, V. CALANDRA BUONAURA, (12), 307 ss. Si veda altresì il considerando n. 71, della direttiva UE/2019/1023, in specie riguardo all’importanza per il debitore in prossimità dell’in­solvenza di proteggere i legittimi interessi dei creditori da decisioni di gestione che potrebbero ripercuotersi sulla costituzione della massa fallimentare, ed alla necessità di evitare che i dirigenti, deliberatamente o per grave negligenza, adottino decisioni opportunistiche; si veda altresì l’art. 19 in tema di obblighi dei dirigenti (v. anche infra, nt. 92).

[75] Si veda, in generale, anche P. MONTALENTI, L’interesse sociale: una sintesi, in Riv. soc., 2018, 303 ss., ove la sostanziale coincidenza tra interesse all’efficienza dell’impresa ed interesse sociale, il cui fine ultimo viene pur sempre inteso quale interesse dei soci alla valorizzazione della propria partecipazione.

[76] Peraltro, nel caso di continuità indiretta, almeno in parte, una specifica rilevanza sembra assumere l’interesse dei lavoratori alla conservazione del posto di lavoro, destinato a prevalere su quello dei creditori, in una logica non dissimile, ancorché attenuata, da quella seguita nella procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato di insolvenza (arg. ex art. 63 d.lgs. n. 270/1999): si consideri, infatti, che l’art. 84, secondo comma, c.c.i.i., nell’am­mettere in alcune ipotesi predeterminate la continuità indiretta (ossia: nel caso in cui sia prevista la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di un soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, affitto, stipulato anche anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, o a qualunque altro titolo) impone che nel contratto o nel titolo sia previsto il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dal­l’omologazione.

[77] Una responsabilità che, come è noto, scaturisce dalla prosecuzione dell’attività dopo il verificarsi della causa di scioglimento secondo logiche e finalità non conservative, non imponendo la norma sempre e comunque la cessazione dell’attività d’impresa, rendendosi quest’­ultima, tuttavia, necessaria in presenza di un’attività stabilmente ed irreversibilmente in perdita.

[78] Interpretazione che, tra l’altro era stata recepita nella prima formulazione del comma aggiunto contenuta nella bozza di decreto delegato, che richiamava le disposizioni del codice civile sul risarcimento del danno in quanto compatibili con la natura della responsabilità, in relazione al pregiudizio arrecato al patrimonio sociale dai singoli atti compiuti in violazione del­l’art. 2486 c.c.; e che rendeva ammissibile l’impiego del criterio dei netti patrimoniali nel solo caso di scritture contabili mancanti o inattendibili.

[79] Cfr. N. ABRIANI, A. ROSSI, (1), 410, che evidenziano come, in tal caso, laddove successivamente venga disposta l’apertura di una procedura concorsuale, il calcolo del danno dovrà arrestarsi alla data di presentazione delle domande suddette.

[80] Cass. civ., sez. I, 4 aprile 1998, n. 3483, in Giur. it., 1999, 324 ss.; Cass. civ., sez. I, 11 marzo 2011, n. 5876, in Mass. Foro it., 2011, 217; Cass. civ., sez. I, 4 aprile 2011, n. 7606 in Danno resp., 2012, 48, ancorché limitando l’inversione dell’onere della prova alle sole ipotesi dell’assoluta mancanza della contabilità sociale o della sua tenuta in modo così sommario da rendere impossibile per il curatore la dimostrazione del nesso eziologico; in quella di merito, App. Bologna, 5 febbraio 1997, in Foro it., 1997, I, 2284 ss.; ed in particolare Trib. Catania, 1° settembre 2000, in Fallimento, 2001, 1128 ss.; conf. Trib. Catania, 23 giugno 2011, in Società, 2012, 377 ss. In senso contrario, cfr. Cass. civ., sez. I, 3 febbraio 2014, n. 2324, in Società, 2014, 1199 ss.

[81] Cfr., tra le tante, Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2005 n. 2538, in Giur. it., 2005, 1637 ss., Cass. civ., sez. I, 15 febbraio 2005 n. 3032, in Foro it., 2006, I, 1898 ss., e, più di recente, Cass. civ., sez. I, 4 luglio 2012, n. 11155, in Giur. it., 2013, 1105 ss., i cui insegnamenti sono puntualmente ripresi da Cass. civ., sez. I, 24 luglio 2012, n. 12966, in Fallimento, 2013, 169 ss., con nota di A. PATTI. Nella giurisprudenza di merito, v. App. Milano, 11 luglio 2007, in Società, 2008, 590 ss.; Trib. Milano, 30 ottobre 2003, in Fallimento, 2005, 45 ss. e Trib. Milano, 14 novembre 2006, in Società, 2007, 864 ss.

[82] Sul punto, il legislatore sembra, peraltro, essersi mosso in direzione contraria al recente arresto della Suprema Corte a sezioni unite, che aveva escluso l’utilizzo di tale criterio in caso di assenza o di irregolare tenuta delle scritture contabili. Si allude a Cass. civ., sez. un., 6 maggio 2015, n. 9100, edita, tra le tante, in Foro it., 2016, I, c. 271 ss., i cui principi sono richiamati e fatti propri da Trib. Napoli, 9 febbraio 2016, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, II, 53 ss., con nota di F. BRIZZI, I principi delle Sezioni Unite in tema di danno al patrimonio sociale al vaglio della giurisprudenza di merito: assenza di scritture contabili e concessione abusiva di credito, alla quale si rinvia, anche per ulteriori riferimenti. Per analoghi rilievi, cfr. N. ABRIANI, A. ROSSI, (1), 411.

[83] Su cui v. supra, § 5.

[84] Sul meccanismo presuntivo riportato nel testo si veda la giurisprudenza indicata supra, nt. 80.

[85] A. JORIO, Su allerta e dintorni, (1), 58, ove altri riferimenti.

[86] Si tratta, in effetti, di sanzioni giudiziarie previste dal Company Directors Disqualification Act (1986), in funzione complementare o integrativa al wrongful trading sancito, invece, dall’Insolvency Act (1986), che impedisce ai directors di esercitare funzioni direttive per un periodo determinato di tempo.

[87] In base, infatti, all’art. 4 c.c.i.i., creditori e debitore devono comportarsi secondo buona fede e correttezza non solo nell’esecuzione degli accordi e nelle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, ma anche durante le trattative che le precedono (primo comma). La stessa norma dispone, inoltre, che i creditori hanno il dovere di collaborare lealmente con il debitore e con i soggetti preposti alle procedure di allerta e di composizione della crisi, oltre che con gli organi nominati nelle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza, dovendo altresì rispettare l’obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore, sulle iniziative da costui assunte e sulle informazioni acquisite (quarto comma). Sulla ricostruzione di un dovere di collaborazione dei finanziatori istituzionali, valorizzando in particolare la figura della responsabilità da rottura brutale del credito, cfr. G. BERTOLOTTI, (1), 196 ss., spec. 200 ss.

[88] Cfr. M. MAUGERI, Note in tema di doveri degli amministratori nel governo del rischio di impresa (non bancaria), in questa Rivista, n. 1/2014, 17.

[89] Così la prevalente dottrina: si veda sul punto, C. AMATUCCI, Adeguatezza degli assetti, responsabilità degli amministratori e Business Judgment Rule, in Giur. comm., 2016, I, 643 ss., spec. 665, ove altri riff.; in senso contrario, I. KUTUFÀ, Adeguatezza degli assetti e responsabilità gestoria, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Torino, Giappichelli, 2010, 725 s. e di recente L. BENEDETTI, L’applicabilità della business judgment rule alle decisioni organizzative degli amministratori, in Riv. soc., 2019, 448 s., il quale precisa che il comportamento omissivo sarà comunque sindacabile se non sia stato preceduto dall’assolvimento di una congrua istruttoria, rientrando invece nel safe harbour laddove il procedimento istruttorio sarà esaustivo e la decisione non sia manifestamente irrazionale.

[90] L. BENEDETTI, (89), 448 s., ove anche altri riff., assegnando alle decisioni inerenti all’isti­tuzione degli assetti, come di tutte le scelte organizzative, natura imprenditoriale. E v. anche V. DE SENSI, (26), 357 ss.; R. FORMISANI, Business judgment rule e assetti organizzativi: incontri (e scontri) in una terra di confine, in RDS, 2018, 455 ss., spec. 479 ss.; V. CALANDRA BUONAURA, (12), 300 ss.

[91] Per questa posizione, si veda C. AMATUCCI, (89), 666 ss.; e v. anche gli scritti di Montalenti, citati supra, nt. 1 e 17, cui adde R. SACCHI, (12), 1288 S.

[92] Sancendo l’articolo 19 della Direttiva, che fa seguito all’art. 18 della Proposta (supra, § 1, testo e nt. 8), sulla falsariga del wrongful trading di diritto inglese, ma seguendo un criterio di armonizzazione minima, l’obbligo dei dirigenti, qualora sussista una probabilità di insolvenza, di tenere conto come minimo dei seguenti elementi: a) gli interessi dei creditori, e dei detentori di strumenti di capitale e degli altri portatori di interessi (tentando evidentemente di ridurre le perdite dei relativi titolari); b) la necessità di prendere misure per evitare l’insolvenza; c) la necessità di evitare condotte che, deliberatamente o per grave negligenza, mettono in pericolo la sostenibilità economica dell’impresa. Si osservi che a differenza della norma contenuta della Proposta, la versione definitiva testé elencata non fa riferimento espresso al criterio della ragionevolezza, come in precedenza poteva desumersi dall’utilizzo dell’aggettivo ragionevoli per qualificare le misure da adottare per evitare l’insolvenza, ma tale criterio può nondimeno essere recuperato dal contesto della direttiva ed in particolare dal suo utilizzo nei più volte indicati considerando 69-71, in tema, rispettivamente, di operazioni necessarie per le trattative e l’attuazione del piano di ristrutturazione (69), di decisioni commerciali che migliorino la probabilità di successo della ristrutturazione di un’impresa potenzialmente sana (70), e di protezione degli interessi dei creditori (71).

[93] Cfr. P. MONTALENTI, La gestione dell’impresa, (26), 826 s.

[94] Per questa ricostruzione, cfr. F. BRIZZI, (24), 386 ss. Nello stesso ordine di idee, ancorché con differente sviluppo argomentativo, mi sembra, A.M. LUCIANO, La gestione della s.p.a. nella crisi pre-concorsuale, Milano, Giuffrè, 2016, 161 ss., che discorre di test di coerenza logica; nonché F. NIEDDU ARRICA, I principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale nella prospettiva della tutela dei creditori, Torino, Giappichelli, 2016, 41 ss., secondo il quale il conflitto tra libertà di iniziativa economica e lealtà verso i creditori si risolve sul piano del metodo, che impone a chi programma ed effettua scelte gestorie di considerare, oltre alle finalità imprenditoriali, anche la preservazione delle condizioni di equilibrio e solvibilità dell’impresa quale presupposto dell’effettività della garanzia patrimoniale a cui gli amministratori sono tenuti in ossequio all’art. 2394 c.c. Di talché la stessa clausola di cui all’ultima norma menzionata potrà dirsi violata in tre ipotesi: a) compimento di atti depauperativi non giustificabili ex ante nel rispetto della discrezionalità tecnica; b) omissioni contrarie a disposizioni specifiche o a principi di corretta amministrazione; c) inadeguata o tardiva o mancata reazione al deterioramento dei fattori di equilibrio aziendale e al sopraggiungere della crisi; e v. anche A. ROSSI, (70), 20 ss., circa la rimodulazione in senso prudenziale del profilo di rischio ove le conseguenze della scelta gestione possano minare la capacità di adempimento integrale e regolare delle obbligazioni sociali.