Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
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La gestione delle società di persone dopo il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: una prima lettura del nuovo art. 2257, primo comma, c.c. (di Ilaria Capelli, Professore associato di diritto commerciale, Università degli Studi dell’Insubria)


Lo scopo di questo lavoro consiste nell’interpretare le nuove regole tenendo doverosamente in considerazione le specificità delle società di persone. Il dovere di predisporre adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili, previsto dal nuovo art. 2086, secondo comma, c.c. richiamato dall’art. 2257, primo comma, c.c. difetta di qualsiasi forma di controllo interno (salvo l’eventuale controllo individuale del socio ex art. 2261 c.c.); la presenza di questo dovere, inoltre, impone di rivedere la tradizionale ricostruzione delle prerogative degli amministratori nel regime legale di amministrazione disgiunta. L’attribuzione in via esclusiva agli amministratori della gestione dell’impresa pone ulteriori e rilevanti questioni interpretative, che devono essere parimenti risolte partendo dall’analisi del contesto normativo di riferimento.

The partnership management compliant with the new Italian Bankruptcy Code: a first reading of the art. 2257, first paragraph, c.c.

The purpose of this article is to interpret the new rules considering the characteristics of partnerships. The duty to establish adequate internal organizational, administrative and accounting structures (art. 2086, second paragraph, c.c. and art. 2257, first paragraph, c.c.) is exempt from any form of internal control (except for the individual control of the shareholder, art. 2261 c.c.). The presence of this duty requires as well a review of the traditional prerogatives exercised by the directors within the legal regime of the administrative office. The exclusiveness conferred to directors in managing the company raises additional significant issues of interpretation, which must be settled beginning with an accurate analysis of the regulatory context of the partnerships.

Keywords: partnership – management – adequate internal structure

Sommario/Summary:

1. Le nuove regole di diritto dell'impresa e la gestione delle società di persone. - 2. Autonomia, imperatività e standard aziendalistici. - 3. Gli "assetti adeguati" nel contesto delle società di persone. - 4. "Assetti adeguati" e amministrazione delle società di persone. - 5. "Assetti adeguati" e (mancanza di) controlli. - 6. Gli amministratori di società di persone e la c.d. "gestione esclusiva". - 7. "Assetti adeguati" e profili di responsabilità degli amministratori. - NOTE


1. Le nuove regole di diritto dell'impresa e la gestione delle società di persone.

L’attenzione del legislatore, negli ultimi vent’anni, si è prevalentemente concentrata sulle società di capitali: dall’entrata in vigore del t.u.f. (d.lgs. 58/1998), alla Riforma del 2003, per arrivare alla più recente e tumultuosa serie di interventi nei confronti del tipo s.r.l. (si pensi, ad esempio, ai plurimi interventi sull’art. 2477 c.c., in tema di controllo legale dei conti, e alle nuove declinazioni della s.r.l., quali le start-up innovative, le s.r.l. PMI innovative e le s.r.l. piccole e medie imprese), il panorama normativo ha subito profonde modificazioni. Nel frattempo, la disciplina dedicata alle società di persone sembrava, almeno in termini generali, rimanere ai margini della politica legislativa, che tuttavia si preoccupava, con la Riforma del 2003, di riconoscere la contrapposizione fra le due classi di società, in occasione della regolazione delle trasformazioni (artt. 2500 ter e 2500 sexies c.c.), individuando, come ha osservato la dottrina, una sorta di “spartiacque tra le due sottocategorie di società” [1].

La mancanza di una diretta attenzione del legislatore societario non ha impedito una vivace evoluzione delle società di persone sul piano della disciplina applicabile: la Riforma del 2003, infatti, ha finito per assumere anche il valore di un “intervento trasversale nel diritto delle società di persone” [2], tramite il quale, ad esempio, si consente alla società di persone di passare al tipo capitalistico con decisione adottata dalla maggioranza dei soci computata secondo la partecipazione di ciascuno agli utili (art. 2500 ter[3]; si offre ai soci di società di persone, come ai soci di s.r.l., la possibilità di ricorrere al c.d. “arbitrato economico” per risolvere i contrasti che dovessero insorgere “tra coloro che hanno il potere di amministrazione” (art. 37 d.lgs. 5/2003) [4] e, in contrasto con un divieto di lunga tradizione, si consente alle società di capitali di partecipare alle società di persone (art. 2361, secondo comma, c.c. e art. 111 duodecies disp. att. c.c.), con la conseguente possibilità, per la società di persone partecipata da una società di capitali, di nominare quale amministratore una persona giuridica [5].

Sul piano interpretativo si è, inoltre, realizzato un vero e proprio “processo osmotico in duplice direzione” [6], in quanto, se da una parte, alcuni problemi ermeneutici della disciplina delle s.r.l. e delle s.p.a. possono essere affrontati alla luce dei consolidati principi in tema di società di persone, dall’altra, gli interpreti sono sempre più consapevoli che le nuove norme dettate per le società di capitali possono offrire valide soluzioni interpretative su punti controversi in tema di società di persone [7].

In questo panorama, in cui come si accennava le società di persone hanno continuato ad evolvere senza particolari clamori, in virtù degli indiretti effetti di una regolazione attenta alle sole società di capitali, si assiste alla recente modifica dell’art. 2257, primo comma, c.c. ad opera dell’art. 377 (“assetti organizzativi e societari”) Codice della crisi e dell’insolvenza (d.lgs. 12 febbraio 2019, n. 14), emanato in attuazione della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155 [8]. L’impatto di questa novella è decisamente rilevante, non solo perché finalmente il legislatore rivolge l’attenzione verso le società personali, ma soprattutto per le ricadute di queste nuove regole sulla gestione delle stesse.

L’intervento del legislatore, per vero, non si limita alle sole società di persone: le nuove regole, infatti, attuano quanto previsto dall’art. 14 dell’appena evocata legge delega e, in particolare, accanto a numerosi altri interventi, per la maggior parte destinati alle società di capitali, introducono a carico dell’imprenditore e degli organi sociali il dovere “di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione della crisi e della perdita della continuità aziendale” (art. 14, primo comma, lett. b).

Coerentemente con quanto disposto dalla legge delega, il nuovo art. 2257, primo comma, prevede, per le società semplici e, in virtù dei rinvii previsti dall’art. 2293 e dall’art. 2315, per tutte le società di persone, che la gestione dell’impresa si svolga nel rispetto di quanto previsto dal nuovo art. 2086, secondo comma, e che la gestione medesima spetti “esclusivamente” agli amministratori, “i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’og­getto sociale”.

In particolare, e lasciando a successive considerazioni gli aspetti relativi all’introduzione, per ciò che concerne la gestione, di un vincolo di esclusività a favore degli amministratori, si osserva che il riferimento, contenuto nell’art. 2257, primo comma, al rispetto di quanto previsto dall’art. 2086, secondo comma, comporta l’estensione alle società di persone di regole espressamente dettate in materia di diritto dell’impresa [9]. Il nuovo art. 2086, secondo comma, infatti, in questo più generale ambito, riferendosi agli imprenditori in forma societaria o collettiva, impone il dovere di istituire “un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale (…)”.

L’art. 2086, secondo comma, costituisce un’attuazione “particolarmente intensa” dell’appena evocato principio contenuto nell’art. 14 della richiamata legge delega: la nuova disposizione codicistica, infatti, impone la predisposizione degli “assetti adeguati” finalizzandola “anche” alla rilevazione della crisi d’im­presa e della perdita della continuità aziendale, con ciò attribuendo a questo obbligo una valenza che, necessariamente, va oltre la sola prevenzione della crisi e affidando ad esso un ruolo centrale nella disciplina generale in materia di impresa e società.

Queste differenze, tra la legge delega e il nuovo art. 2086, secondo comma, che comportano la trasformazione dell’obbligo di predisporre “assetti adeguati” da regola esplicitamente finalizzata alla prevenzione della crisi a norma centrale del diritto dell’impresa e delle società, rispecchiano, in termini pressoché analoghi, la lunga parabola normativa che ha avuto per protagonista proprio il dovere di predisporre “assetti adeguati”, il quale da specifica previsione della disciplina di settore è confluito al livello di regola generale in materia di società di capitali. Guardando al passato, infatti, si rileva come i primi interventi sulle concrete modalità di organizzazione interna dell’attività d’im­presa risultino collocati in specifiche norme di settore e trovino giustificazione nella complessità dell’attività imprenditoriale o nell’ampia platea di soggetti potenzialmente coinvolti dalle ricadute di quella data attività: si pensi, ad esempio, alla disciplina, ora abrogata, in tema di intermediazione mobiliare (l. 2 gennaio 1991, n. 1) [10]; alla disciplina contenuta nell’art. 53, primo comma, lett. a, t.u.b., che attribuisce alla Banca d’Italia la competenza ad emanare disposizioni di carattere generale aventi ad oggetto, fra l’altro, l’adeguatezza patrimoniale; infine, si pensi a quanto prevede l’art. 149 t.u.f., con riguardo alla vigilanza da parte del collegio sindacale delle società quotate sull’adegua­tezza della struttura organizzativa della società, del sistema di controllo interno e del sistema amministrativo [11].

La rilevanza della predisposizione di un’adeguata organizzazione si è manifestata, inoltre, con il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, in tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, il cui art. 6 prevede che la persona giuridica possa esonerarsi dalla responsabilità amministrativa connessa con reati posti in essere nel suo interesse dalla propria struttura di vertice, quando provi che “l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quelli verificatisi” [12]. A ciò si aggiunge quanto recentemente previsto nel Testo Unico Società Partecipate (art. 6, secondo e terzo comma, lett. b, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, come integrato dal d.lgs. 16 giugno 2017, n. 100), che impone alle società a controllo pubblico la predisposizione di specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e l’istituzione di “un ufficio di controllo interno strutturato secondo criteri di adeguatezza rispetto alla dimensione e alla complessità dell’impresa sociale” (art. 6, terzo comma, lett. b).

La lunga parabola normativa fin qui sintetizzata è giunta, come si diceva, a riconoscere al dovere di predisporre “assetti adeguati” il ruolo di regola generale in materia di società di capitali: con la Riforma del 2003, infatti, l’ade­guatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della società deve essere oggetto di valutazione da parte del consiglio di amministrazione nelle s.p.a. (art. 2381, terzo comma), mentre “gli organi delegati curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa (…)” (art. 2381, quinto comma) [13]. La vis expansiva fin qui dimostrata ha poi coinvolto, ben prima della recente modifica del­l’art. 2475, primo comma, (art. 377, quarto comma, Codice della crisi d’im­pre­sa), anche le s.r.l., con l’effetto dell’attribuzione, in via interpretativa [14], all’or­gano amministrativo di queste società del compito di predisporre, curare e monitorare l’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili.

La vicenda appena descritta induce ad interpretare gli assestamenti già evocati, a partire da quanto previsto dall’art. 14 della legge delega per giungere al contenuto dell’art. 2086, secondo comma, che al dovere di predisporre “assetti adeguati” attribuisce “anche” la finalità di prevenire le crisi, come una consapevole presa d’atto, da parte del legislatore delegato, in ordine al fatto che il dovere in parola non attiene al solo diritto della crisi, ma assume senz’altro un ruolo centrale nella disciplina delle imprese collettive e societarie [15].


2. Autonomia, imperatività e standard aziendalistici.

Poste queste premesse, potrebbe farsi strada l’idea che la previsione del dovere di predisporre “assetti adeguati” nelle società di persone rappresenti l’esito di un procedimento lineare, necessario e privo di conseguenze problematiche. La realtà, invece, presenta questioni di non poco conto, che prendono forma non appena ci si appresti a calare la nuova disciplina introdotta dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza nel contesto dei modelli personalistici.

Con il nuovo art. 2257, primo comma, l’organizzazione delle società di persone, infatti, tradizionalmente affidata all’incontro tra le volontà dei singoli, privo di formalità e adempimenti di carattere organizzativo o procedurale, risulta ora soggetta ad una norma imperativa, il cui adempimento passa dall’applicazione di tecniche di derivazione aziendalistica [16]. Ciò implica che l’organizzazione interna della società personale non possa essere lasciata al caso, ma debba essere il risultato di processi decisionali tracciabili che, a loro volta, come vedremo, rappresentano il criterio di valutazione della responsabilità degli amministratori [17].

Più nel dettaglio, la disposizione appena citata presenta, sostanzialmente, due facce.

Da una parte, l’obbligo di predisporre “assetti adeguati”, giusta il rinvio al­l’art. 2086, secondo comma, non è suscettibile di deroga o di limitazioni da parte dell’autonomia statutaria, trattandosi di una norma posta a tutela dell’in­teresse generale, volta non solo a rilevare tempestivamente situazioni di crisi, ma anche a promuovere una migliore gestione dei rischi, dell’organiz­zazione e dei procedimenti decisionali interni [18]; l’imperatività, in questo contesto, risulta coerente con la stretta relazione di complementarietà che intercorre tra impresa e programma, posto che, come osserva la dottrina, “non si può fare impresa senza una pianificazione aziendale, intesa come individuazione degli obiettivi strategici, anche se non formalizzata in un documento” [19].

Dall’altra, però, il disposto dell’art. 2086, secondo comma, presenta un contenuto non perfettamente delimitato, in quanto impone l’osservanza di regole non giuridiche e standard flessibili per la corretta gestione dell’impresa. Il riferimento agli “assetti adeguati”, infatti, mostra le caratteristiche di una clausola generale [20] e lascia all’interprete l’individuazione della concreta fisionomia degli “assetti organizzativi, amministrativi e contabili”, i quali a loro volta devono rispondere ad un criterio di “adeguatezza”, concetto che, per sé, sottintende un giudizio di relazione [21]. La relazione di cui si discorre, e che aggiunge un ulteriore elemento di complessità, vede, da un capo, gli assetti in parola e trova, al capo opposto, un’ampia serie di elementi, tra i quali le dimensioni dell’impresa (per le quali si può rinviare all’art. 2083), la natura della stessa (si veda l’art. 2195), la complessità dell’attività programmata e le concrete circostanze presenti nel momento in cui l’organo amministrativo provvede ad attivare (o monitorare) i già richiamati assetti [22].


3. Gli "assetti adeguati" nel contesto delle società di persone.

Come si diceva, il dato normativo tace sul concreto contenuto degli assetti, per i quali il legislatore si limita a prescrivere l’adeguatezza. A questo proposito soccorre la dottrina, che individua negli “assetti organizzativi” la presenza di un idoneo e dettagliato organigramma della società, con la previsione del­l’attribuzione delle funzioni, dei poteri e delle relative responsabilità; gli “assetti amministrativi” indicano, invece, le procedure atte ad assicurare il corretto e ordinato svolgimento delle attività aziendali e delle singole fasi e, infine, gli “assetti contabili” sono rappresentati da un efficiente sistema di rilevazione contabile, dalla redazione di un budget almeno annuale e da un controllo periodico dei saldi contabili e bancari [23].

La predisposizione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili implica, come rileva la dottrina, una procedimentalizzazione delle varie fasi dell’attività [24], con l’effetto che ogni momento, decisionale o esecutivo, risulta rispondere a parametri predeterminati e riconoscibili [25]. L’attività, così strutturata, è sottratta più facilmente ad improvvisazioni che mettano a repentaglio la continuità aziendale, essendo presenti strumenti di previsione (budget, piani industriali, analisi dei cash-flow prospettici, ecc.) che consentono una consapevole e informata decisione gestoria, a favore sia di una maggiore “solidità” del­l’im­presa, sia del tempestivo accertamento dei prodromi della crisi.

Per quanto concerne l’attività delle società di persone, che può esigere for­me di organizzazione minimali o elementari, o persino indurre a ritenere ultro­nea la predisposizione di forme di programmazione e procedure interne, occorre ribadire che l’art. 2086, secondo comma, al quale come si diceva l’art. 2257, primo comma, fa rinvio, distingue nettamente due diversi piani: l’og­getto dell’obbligo, vale a dire il concreto significato di assetto amministrativo, organizzativo e contabile, e la misura dell’obbligo medesimo, che deve rapportarsi “alla natura e alle dimensioni dell’impresa”; fatta questa distinzione, dunque, si può osservare che il sistema così risultante impone a qualsiasi impresa, indipendentemente dalle misure ridotte o minime, o dall’attività esercitata, la predisposizione di una struttura organizzativa e di un sistema contabile.

Per vero, può essere utile a questo proposito osservare che la previsione dell’obbligo di predisporre “assetti adeguati” è altresì presente, come previsto dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, per l’imprenditore individuale. Costui, infatti, come prevede l’art. 3, secondo comma, dell’appena evocato Codice, deve adottare “un assetto organizzativo adeguato ai sensi dell’art. 2086 del codice civile”. Anche se il rinvio alla clausola generale di cui si discorre è formulato, per l’imprenditore individuale “ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi”, mentre, come si è avuto modo di osservare, con riferimento alle imprese collettive la pronta rilevazione dello stato di crisi è solo una delle funzioni dell’obbligo ex art. 2086, secondo comma, si può a questo punto legittimamente ritenere, astraendo rispetto alle dichiarate finalità dell’obbligo, che ogni forma di impresa, sia individuale sia collettiva, debba sottostare al predetto obbligo [26].

Il dovere di cui si tratta attiene naturalmente all’istituzione dei richiamati assetti e, quindi, per certo, ad una fase che si potrebbe definire come costitutiva, ma riguarda altresì la “revisione” dei medesimi, che può rendersi necessaria periodicamente o al verificarsi di rilevanti modificazioni della natura e delle dimensioni dell’impresa collettiva [27].

La presenza di questi obblighi nei tipi personalistici, tuttavia, rende necessaria una specifica indagine: si assiste, infatti, all’applicazione del dovere di predisporre assetti adeguati in un ambiente normativo in cui mancano minimi di capitale sociale, può mancare l’osservanza di una data forma, potendo sussistere una società di fatto, può mancare la prescrizione di oneri pubblicitari, potendo sussistere una società irregolare, e infine può mancare l’obbligo di tenuta delle scritture contabili, quando si tratti di società semplici.

Se, ancora una volta, si guarda all’evoluzione normativa di questi ultimi anni, anche oltre il ristretto ambito delle società di persone, si può rilevare che alla già richiamata vis expansiva del dovere di predisporre “assetti adeguati” si è accompagnato il forte depotenziamento, se non addirittura l’abbandono, di una delle tradizionali garanzie per i terzi, qual è il capitale minimo [28], nonché il temperamento, in determinate circostanze, del principio “ricapitalizza o liquida” [29].

In questa prospettiva, il legislatore sembra riconoscere nelle società di capitali e nelle società di persone esigenze di tutela simili, o quantomeno parimenti suscettibili di protezione per mezzo dell’imposizione degli obblighi di predisporre “assetti adeguati”, e la stessa presenza di soci a responsabilità illimitata pare non giustificare in linea di principio, almeno secondo l’impostazione data dal legislatore del Codice della Crisi d’impresa, una disparità di trattamento tra società di capitali e società di persone.

Ciò vale, come si diceva, solo in linea di principio, in quanto, come il riferimento alla “adeguatezza” contenuto nell’art. 2086, secondo comma, suggerisce, facendo leva su un’idea di relazione, o confronto, rispetto alla natura e alle dimensioni dell’impresa [30], risulta necessario ricostruire il significato della regola tenendo doverosamente conto dell’ambiente normativo in cui l’obbligo di predisporre assetti adeguati va ad operare, anche in considerazione della circostanza che vede tradizionalmente lasciata alla volontà dei soci la fisionomia interna della società di persone. L’idea di relazione sottesa al concetto di “adeguatezza” consente, per certo, di evitare il rischio di un pericoloso appiattimento delle regole su modelli in concreto irrealizzabili, perché concepiti avendo quale punto di riferimento realtà completamente differenti.

Le naturali differenze che intercorrono fra le diverse iniziative societarie, specialmente per ciò che concerne le società di persone, caratterizzate, di norma, rispetto agli altri modelli societari, da una grande semplicità e immediatezza nella gestione, possono essere salvaguardate grazie alla stessa struttura dell’art. 2086, secondo comma, che si caratterizza per il fatto di unire la forza imperativa ad un contenuto sostanzialmente aperto, proprio di una clausola generale, in grado di includere le diverse possibili varianti organizzative e procedimentali, ugualmente conformi al dettato legislativo e ai riferimenti aziendalistici che esso implica.

Posto che non esiste un “assetto adeguato” ideale e universalmente valido, in adempimento al precetto, dunque, gli amministratori possono scegliere fra numerosi modelli di “assetti organizzativi adeguati”, tenendo in considerazione i parametri indicati dall’art. 2086, secondo comma, vale a dire la natura e le dimensioni dell’impresa. Essi possono, sussistendone le condizioni, optare anche per un grado minimo di organizzazione, nei termini di un’elementare procedimentalizzazione delle decisioni più rilevanti.

In questa prospettiva, dunque, l’assetto “adeguato” concretamente adottato è sempre il frutto di una scelta dell’impresa (rectius degli amministratori del­l’impresa collettiva).


4. "Assetti adeguati" e amministrazione delle società di persone.

A questo punto, la questione principe su cui focalizzare l’attenzione è la nuova fisionomia che l’amministrazione nelle società di persone viene ad assumere a seguito di quanto ora previsto dall’art. 2257, primo comma.

Secondo la dottrina, la costante presenza dell’obbligo di predisporre “assetti adeguati”, nelle disposizioni che riguardano tutte le imprese collettive, comporta l’espressa estensione a tutte queste iniziative imprenditoriali, comprese le società di persone, del principio di corretta amministrazione, inteso come conformità delle scelte imprenditoriali ai criteri di razionalità economica [31].

Tra le prime ricadute dell’applicazione di questo principio vi è, certamente, l’inammissibilità della sottoposizione dell’organizzazione ad improvvisazioni e rischi riconoscibili ex ante: la previsione dell’obbligatorietà della predisposizione di assetti adeguati comporta necessariamente l’adozione di consapevoli tecniche “di governo del rischio” [32], anche in contesti, come appunto quello dell’amministrazione delle società di persone, tradizionalmente lasciati dal legislatore alla completa discrezionalità dei soggetti preposti, vale a dire dei soci amministratori.

Un’ulteriore conseguenza è la necessità che l’impresa collettiva sia amministrata in modo informato: infatti, presupposto imprescindibile perché sia adempiuto l’obbligo ex art. 2086, secondo comma, è l’assunzione delle necessarie informazioni, in mancanza delle quali l’adempimento del prescritto dovere sarebbe del tutto impossibile. Il dovere degli amministratori di agire in modo informato, previsto per le s.p.a. nell’ultimo comma dell’art. 2381, e che la dottrina estende anche alle s.r.l. [33], riguarda anche gli amministratori delle società di persone, quantomeno con riferimento a quelle informazioni che si rendono necessarie perché sia concretamente possibile predisporre un minimo di organizzazione.

Gli amministratori, dunque, hanno il dovere di assumere le necessarie informazioni prima di agire, svolgendo un’indagine preventiva del contesto e at­tuando una pianificazione in termini di organizzazione, contabilità e amministrazione; il tutto, naturalmente, commisurato alle condizioni, alle dimensioni e alla natura dell’impresa.

Questa attività di analisi conoscitiva, punto di partenza perché sia adempiuto l’obbligo ex art. 2086, secondo comma, può certamente avvalersi dell’operato di consulenti e collaboratori, compatibilmente con il vincolo dell’esclusività del­l’amministrazione sancito dal nuovo art. 2257, primo comma [34].

Un’ulteriore questione, strettamente collegata con quanto appena rilevato, attiene alle possibili reciproche ricadute dell’applicazione di quanto previsto dall’art. 2086, secondo comma, sulle modalità di amministrazione delle società di persone: in altri termini, ci si chiede se l’obbligo di predisporre assetti adeguati in parola vada declinato non solo in ragione della natura e delle dimensioni dell’impresa, ma anche avendo a mente il concreto regime di amministrazione adottato e se il regime di amministrazione stesso, e segnatamente l’amministrazione disgiunta, debba essere rivisto alla luce della necessità di predisporre gli “assetti adeguati” previsti dalla legge.

In linea generale, l’organizzazione interna della società di persone risulta, almeno tendenzialmente, votata alla snellezza degli apparati e alla velocità di assunzione delle decisioni e della loro esecuzione: lo stesso modello legale delineato dall’art. 2257, primo comma, pur avendo carattere dispositivo, attribuisce individualmente a ciascun socio l’intera gestione, così riducendo al minimo le necessità di coordinamento, che possano rallentare l’operato degli amministratori medesimi. Il coordinamento fra le esigenze di semplicità e agilità esecutiva di cui la norma si fa portatrice e la necessità che l’attività di gestione si doti di una strutturazione anche minima, per mezzo dell’individuazione di adeguati assetti amministrativi, organizzativi e contabili, può risultare di non immediata realizzazione.

La combinazione tra le due previsioni, il regime legale di amministrazione disgiuntiva e l’obbligo di predisporre assetti adeguati ex art. 2086, secondo comma, il quale implica, come si diceva, quantomeno una minima ripartizione di competenze, impone un ripensamento in ordine alla tradizionale interpretazione circa l’estensione dei poteri degli amministratori e il ruolo dei co-amministratori. Lo schema dell’amministrazione disgiuntiva, infatti, è stato letto quale struttura elementare [35], espressione della matrice storica che delinea i soci della collettiva come plures mercatores unam mercantiam gerentes [36], con l’effetto dell’attribuzione integrale a ciascuno di essi della piena titolarità del potere d’amministrazione. Ciò implicherebbe che ogni socio possa compiere “tutti gli affari compresi nel contratto sociale senza darne notizia agli altri, perché ognuno di essi esercita l’amministrazione nella totalità dei suoi rapporti” [37], mentre il diritto di opposizione dei singoli soci amministratori si pone “come un rimedio eccezionale, che deve subordinarsi al diritto di esercitare l’ufficio di amministratore” [38].

Nel panorama normativo attuale, il coordinamento interno all’art. 2257, primo comma, che rinvia all’art. 2086, secondo comma, e delinea il regime le­gale dell’amministrazione disgiuntiva, può condurre ad un’interpretazione me­no aderente al dato tradizionale. In presenza dell’obbligo di predisporre assetti amministrativi adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa, infatti, l’adozione di schemi organizzativi anche minimi comporta forme di reciproco coordinamento fra gli amministratori, oltre alla condivisione delle informazioni, nell’ambito di quella procedimentalizzazione (magari elementare) delle decisioni che si ritiene costituisca il risultato dell’adozione di quegli schemi di derivazione aziendalistica cui si riferisce la clausola generale contenuta nel­l’art. 2086, secondo comma.

Da ciò si ricava, senza snaturare le caratteristiche essenziali del modello di amministrazione disgiuntiva, posto che l’amministratore non è tenuto a ricercare il consenso dei co-amministratori (come, invece, avviene, nel ben diverso schema dell’amministrazione congiuntiva), che la predisposizione di assetti “minimamente” adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa conduce alla condivisione delle informazioni fra i co-amministratori secondo schemi predisposti, in modo da garantire ai co-amministratori di accedere in modo completo e corretto alle informazioni relative alla gestione della società e, quindi, di agire in modo informato [39].

Ugualmente necessario risulta, anche nel caso di amministrazione disgiuntiva, individuare una struttura interna che costituisca il referente per quanto ri­guarda gli adempimenti strettamente amministrativi (iscrizioni e depositi di legge quando previsti) e gli adempimenti contabili che, appunto per la previsione dell’obbligatorietà di un adeguato assetto contabile, non possono essere improntati ad improvvisazione e mancanza di coordinamento.

Sempre avendo riguardo all’obbligo di predisposizione di assetti adeguati in un regime di amministrazione disgiuntiva, ci si domanda se, in presenza di un accordo interno fra i soci amministratori, costoro possano affidare solo ad alcuni di essi i compiti organizzativi previsti dall’art. 2086, secondo comma. In presenza di un accordo interno per la ripartizione dei compiti, dal momento che la delega di potere gestorio non è compatibile con il regime di amministrazione disgiunta, l’eventuale ripartizione interna di competenze non solleva gli amministratori dal potere-dovere di provvedere alla costituzione degli assetti e non può valere come divisione di responsabilità [40], con la conseguenza che sugli altri amministratori permane il dovere di monitorare l’adeguatezza degli assetti, per i quali rimangono comunque corresponsabili.

L’obbligo di predisporre assetti amministrativi adeguati, inoltre, impone la necessità di attuare un corretto comportamento circa i tempi della gestione, dato che l’eventuale intenzionale agire in via d’urgenza, al solo scopo di giustificare la mancata condivisione delle informazioni, quando risulta invece possibile agire con una tempistica corretta, può esporre l’amministrazione a responsabilità nei confronti della società, per aver dolosamente frustrato il diritto di veto dei co-amministratori. Il diritto di veto, in questo contesto, segnato dal diritto-dovere di informazione dei co-amministratori, non presenta le caratteristiche di una prerogativa eccezionale, subalterna rispetto alla piena titolarità della gestione di ciascun socio amministratore[41]: in un contesto in cui l’eser­cizio delle prerogative gestorie, pur essendo interamente imputabile a ciascun socio amministratore, è suscettibile di un coordinamento e prevede lo scambio reciproco di informazioni, il diritto di veto acquisisce, invece, il ruolo di strumento a salvaguardia dello schema organizzativo condiviso tra i gestori.


5. "Assetti adeguati" e (mancanza di) controlli.

Sempre sotto il profilo informativo, ma con riguardo alle prerogative del socio non amministratore, il possibile esercizio del diritto individuale di controllo ex art. 2261 può avere ad oggetto la predisposizione degli assetti ex art. 2086, secondo comma. Gli aspetti relativi all’organizzazione interna, dunque, possono essere oggetto di riscontro da parte del socio, il quale agisce nell’esercizio del proprio individuale diritto all’informazione [42], senza che gli amministratori possano opporre le dimensioni minime o la scarsa complessità dell’attività.

La presenza del diritto individuale di controllo comporta, ai fini dell’adem­pimento dell’obbligo di predisporre adeguati assetti amministrativi e se la natura e la complessità dell’attività esercitata lo richiedano, la predisposizione di procedure interne volte a consentire un efficace e sicuro esercizio del diritto del socio ex art. 2261, con il conseguente tempestivo adempimento delle legittime richieste individuali dei soci [43]. L’individuazione di queste procedure interne può naturalmente variare in ragione di ciò che può essere considerato “adeguato” nel caso concreto [44].

Com’è noto, la prerogativa individuale assegnata al socio di società personale, al pari del diritto di informazione e controllo ex art. 2476, secondo comma, attribuisce al singolo la facoltà di attivarsi, nel proprio interesse, per reperire le informazioni alle quali è interessato, senza che si possa ravvisare in capo al socio un dovere di iniziativa, né tanto meno un obbligo di provvedere a tutela di interessi diversi dai propri [45].

Manca, perciò, nelle società di persone, la previsione di un “momento valutativo” necessario in ordine alla predisposizione di “assetti adeguati”.

Se si guarda, più in generale, alla disciplina che regola questo dovere con riferimento agli altri tipi societari, l’assenza di ogni riferimento ad un momento successivo di accertamento e verifica degli assetti, escluse le iniziative individuali, quali appunto il diritto di controllo ex art. 2261, risulta del tutto singolare. In tema di s.p.a., infatti, il dovere di predisporre assetti adeguati arricchisce l’organizzazione interna di un’articolata ripartizione di competenze, delineata dal terzo e quinto comma dall’art. 2381, fra amministratori delegati e amministratori privi di deleghe, in quanto il consiglio di amministrazione deve valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile (art. 2381, terzo comma) [46]; a ciò si aggiunge la vigilanza da parte del collegio sindacale, che deve occuparsi del concreto funzionamento degli assetti (art. 2403, primo comma) [47].

Per quanto concerne la s.r.l., forme di verifica ex post circa l’adeguatezza degli assetti possono essere presenti in caso di articolazione delle competenze del consiglio di amministrazione per delega, in virtù del rinvio all’art. 2381, contenuto, con il limite della compatibilità, nell’art. 2475, ultimo comma [48]; parimenti, sempre nella s.r.l., in presenza dell’organo di controllo, al quale si applicano le disposizioni previste per le s.p.a. (art. 2477, quarto comma), l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile e il suo concreto funzionamento sono sottoposti a vigilanza. In ogni caso, e quindi anche quando i parametri quantitativi di legge non impongano la nomina di un organo di controllo o di un revisore [49], una verifica ex post circa l’adeguatezza degli assetti risulta comunque possibile, in ragione del rinvio contenuto nell’art. 2477, quinto comma, anche per le s.r.l. prive dell’organo di controllo, all’art. 2409 [50].

Lo stretto collegamento tra il dovere di predisporre assetti adeguati in capo agli amministratori e l’opportunità di un riscontro interno e, si conceda il termine, “fisiologico”, è ulteriormente dimostrato da quanto prevede l’art. 14 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: questa norma, infatti, pur non introducendo una modifica espressa alla disciplina codicistica, prevede che l’organo di controllo interno e il revisore, “ciascuno nell’ambito delle proprie funzioni”, debbano verificare che l’organo di gestione valuti costantemente, assumendo le conseguenti idonee iniziative, se l’assetto organizzativo del­l’im­presa è adeguato, se sussiste l’equilibrio economico finanziario e quale sia il prevedibile andamento della gestione. Da ciò consegue una costante attenzione sul versante degli assetti e della programmazione dell’attività, fondata anche sul regolare coinvolgimento dell’organo di controllo o del revisore.

Nelle società di persone, risultando in ogni caso assenti queste forme di controllo ex post, gli amministratori si trovano a predisporre gli assetti in mancanza di interlocutori istituzionali interni (o esterni, se si pensa al procedimento attivabile ex art. 2409), che vigilino in merito all’attività compiuta o omessa, o reagiscano a fronte di decisioni organizzative del tutto estemporanee. La completa assenza di un momento successivo di verifica rappresenta il più evidente gap fra la disciplina in tema di “assetti adeguati” nelle società di persone e la medesima regolazione con riferimento agli altri tipi societari e questa circostanza non è certo priva di effetti sul concreto significato del rinvio all’art. 2086, secondo comma, da parte dell’art. 2257, primo comma: gli amministratori, infatti, risultando privi di stabili interlocutori interni e, essendo esenti anche da forme di controllo esterne ed eventuali (come, appunto, la denunzia ex art. 2409), dispongono, in concreto, di margini di libertà molto ampi.

In questo contesto, dunque, l’eventuale iniziativa individuale dei soci (grazie al controllo individuale ex art. 2261, nonché all’azione di responsabilità ex art. 2260) rappresenta l’unico vero e concreto limite alla discrezionalità degli amministratori.


6. Gli amministratori di società di persone e la c.d. "gestione esclusiva".

Il nuovo art. 2257, primo comma, oltre a prevedere il rinvio all’art. 2086, secondo comma, introduce la regola secondo cui la gestione “spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale”. Nell’attribuire in via esclusiva agli amministratori la gestione della società, la norma introduce per la prima volta, nelle società di persone, una netta ripartizione di competenze fra coloro che sono dotati della qualifica di amministratore e i soci non amministratori [51].

Come avviene per il rinvio all’art. 2086, secondo comma, anche l’attribuzione della c.d. “gestione esclusiva” ricorre in termini analoghi con riferimento ai diversi tipi societari [52]: si veda l’art. 2257, primo comma, per le società di persone; gli artt. 2380 bis e 2409 novies per le s.p.a. e l’art. 2475 per le s.r.l.

Anche in questo caso, come appunto si è avuto modo di osservare in merito alla disposizione in tema di “assetti adeguati”, la nuova regola assume una specifica fisionomia, ponendosi in relazione con la realtà normativa in cui risulta immersa. Ciò risulta particolarmente evidente se, per un momento, si amplia lo sguardo a ciò che contemporaneamente avviene nelle società di capitali: nel contesto delle s.p.a., infatti, non si registrano particolari contraccolpi rispetto al passato, in quanto la competenza esclusiva degli amministratori per la gestione assume rilievo tipologico nella società azionaria [53]; diversamente, per la s.r.l. il disposto dell’art. 2475, primo comma, (“la gestione dell’impresa (…) spetta esclusivamente agli amministratori, i quali compiono le operazioni necessarie per l’attuazione del­l’og­getto sociale”) presenta non facili problemi di coordinamento con le regole che presuppongono l’ingerenza dei soci nella gestione, quali l’art. 2479, primo comma, in tema di decisioni dei soci, l’art. 2468, terzo comma, in tema di diritti particolari dei soci anche relativi all’amministrazione e l’art. 2476, settimo comma, in tema di responsabilità dei soci per la decisione o autorizzazione di atti dannosi per la società i soci o i terzi [54].

Guardando nello specifico alle sole società di persone, si deve immediatamente constatare come l’art. 2257, primo comma, replichi la disposizione che attribuisce esclusivamente agli amministratori la gestione nel medesimo contesto in cui introduce l’amministrazione disgiunta di tutti i soci quale regime legale. La regola generale, applicabile in mancanza di diversa disposizione del contratto sociale è, dunque, che la gestione è ripartita fra tutti i soci e, per converso, dunque, l’esclusione del socio dalla gestione discende da un’espressa manifestazione di volontà, a seguito della quale il medesimo socio viene a perdere il potere di opporsi alla produzione di atti gestori da parte dell’ammi­nistratore [55]. Posto che, diversamente dalle società di capitali, nelle quali la qualifica di amministratore viene assunta unicamente per mezzo della nomina, nelle società di persone il potere di amministrazione è un effetto naturale del contratto di società [56], il vincolo di esclusiva, contenuto nell’art. 2257, primo comma, lungi dal voler introdurre una forma di amministrazione per uffici [57], concentra in capo a coloro che non sono stati espressamente esclusi la titolarità e la responsabilità per la gestione.

La ricerca del significato della norma, e in particolare della specifica valenza da attribuire all’avverbio “esclusivamente” nel contesto delle società personali, potrebbe spingersi fino a focalizzarsi su una “porzione” della gestione stessa, vale a dire sulla predisposizione di assetti amministrativi, organizzativi e contabili adeguati ex art. 2086, secondo comma [58]. In questa prospettiva, la norma acquisirebbe il significato dell’attribuzione necessaria agli amministratori della paternità, e conseguentemente della responsabilità, circa le sole decisioni sugli “assetti”, che pertanto sono insuscettibili di essere affidate a terzi o a soci non amministratori, né per iniziativa degli amministratori stessi, né in virtù di un’apposita clausola del contratto sociale. Una simile soluzione potrebbe risultare particolarmente apprezzabile almeno con riferimento alla posizione del socio illimitatamente responsabile, che la dottrina tradizionalmente identifica quale imprenditore [59], e che in questo modo potrebbe essere comunque legittimamente coinvolto nella gestione, anche se convenzionalmente escluso dall’amministrazione.

Ciononostante, il prospettato contenimento del significato da attribuire al vincolo di esclusività non si presenta come una soluzione adeguatamente percorribile. Immediatamente, infatti, si pone la questione relativa al letterale significato della norma, ove il predetto vincolo dell’esclusività si riferisce non solo a quella porzione della gestione riconducibile all’attività “organizzativa”, ma anche all’at­tività di gestione in generale, e ciò risulta particolarmente evidente se si tiene in considerazione l’inciso finale della nuova disposizione, che attribuisce in termini omnicomprensivi agli amministratori l’incarico di compiere “le operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale”. Da ciò consegue l’impossibilità di individuare un condivisibile confine fra l’attività di gestione in generale e quel­l’attività prodromica che più specificamente risulterebbe preordinata all’orga­niz­zazione interna. Ciò vale a maggior ragione in un contesto improntato su schemi elementari o, comunque, tendenzialmente adatti alle microimprese.

Ed è, appunto, l’indissolubile intreccio fra l’attività volta alla predisposizione degli “assetti” e la gestione che potrebbe essere definita “operativa” ad impedire di accogliere l’interpretazione sostanzialmente “depotenziante” del vincolo di esclusività: risulterebbe, infatti, particolarmente contraddittorio riservare ad un gruppo ristretto, vale a dire esclusivamente agli amministratori, la predisposizione degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili per consentire, allo stesso tempo, a tutti i soci di adottare, quali soci imprenditori, decisioni gestorie che potrebbero non conformarsi, o in ipotesi persino contrastare, con le decisioni organizzative di vertice.

L’obbligo di predisporre assetti adeguati impone agli amministratori doveri di informazione, accertamento e monitoraggio continuo [60], del tutto estranei al socio, e un eventuale intervento del socio non amministratore nella gestione c.d. “operativa” confluisce nell’attività di gestione degli amministratori, poiché si inserisce nell’alveo di un programma, per quanto sintetico ed elementare, da essi predisposto [61]. Per questa ragione, l’eventuale attività posta in essere dal socio può, al più, esplicarsi nel contesto degli assetti delineati dagli am­ministratori, sotto la responsabilità degli stessi [62].

Si tratta di una condizione che ricorda, pur non identificandosi con essa, quella dell’accomandante (art. 2320, primo comma), in grado di agire in nome della società in forza di una procura speciale per singoli affari, di prestare la propria opera sotto la direzione dell’amministratore e, se l’atto costitutivo lo consente, di fornire autorizzazioni e pareri per determinate operazioni (art. 2320, secondo comma); naturalmente, il socio della società semplice e della collettiva, che già risponde illimitatamente per le obbligazioni sociali non potrebbe subire le ripercussioni in termini di responsabilità patrimoniale previste per il socio di s.a.s. che abbia violato il divieto di immistione (art. 2320, primo comma), potendo invece essere esposto alla responsabilità per i danni eventualmente cagionati alla società e potendo anche essere escluso ex art. 2286, per gravi inadempienze delle obbligazioni che derivano dalla legge [63]. Dato che si tratta di un caso di esclusione facoltativa dalla società, se l’attività di gestione da parte del soggetto privo della qualifica risulta, in concreto, tollerata o accettata dalla maggioranza dei soci, sotto questo profilo è ben possibile che non vi siano conseguenze per il medesimo [64].

La grande attenzione per l’individuazione dei soggetti titolari della gestione è certamente figlia del dato storico, che collega indissolubilmente l’art. 2257, primo comma, con l’art. 377 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolven­za [65]. Questa tensione verso aspetti tradizionalmente trascurati, come appunto l’organizzazione interna delle società di persone, risponde ad una cultura di prevenzione delle crisi, che si concentra non solo sulle soluzioni concorsuali, ma anche sugli aspetti organizzativi e programmatici, la cui adeguata strutturazione è in grado di tutelare anche i creditori sociali [66].


7. "Assetti adeguati" e profili di responsabilità degli amministratori.

L’art. 2257, primo comma, nel delineare il vincolo di esclusività della gestione a favore degli amministratori e nell’imporre a costoro il compito di predisporre “assetti adeguati”, non dà alcuna indicazione in merito alle conseguenze di un eventuale inadempimento. Per questo, risulta naturale individuare i profili di responsabilità degli amministratori nell’art. 2260, secondo comma, trattandosi dell’adempimento degli obblighi imposti dalla legge.

L’accertamento della responsabilità per la violazione degli obblighi di predisporre assetti amministrativi, organizzativi e contabili adeguati impone un supplemento di indagine, in quanto ciò che la norma richiede non appartiene affatto al novero degli adempimenti precisi e puntuali: essa, come si diceva, ponendosi quale clausola generale, lascia all’interprete l’individuazione della concreta fisionomia degli “assetti organizzativi, amministrativi e contabili”, i quali a loro volta devono rispondere ad un criterio di “adeguatezza”. La condotta che gli amministratori sono obbligati a tenere, dunque, confluisce in una scelta concreta che viene effettuata dai medesimi fra le possibili varianti: essi devono, dunque, provvedere all’analisi della concreta situazione, per la quale si rende necessario assumere almeno informazioni essenziali, e giungere alla scelta degli assetti che vorranno predisporre, selezionati fra quelli astrattamente disponibili e parimenti adeguati [67].

La discrezionalità che necessariamente accompagna le scelte degli amministratori impone di verificare i limiti entro i quali i giudici possono sindacare l’adeguatezza degli assetti: vi è, infatti, la necessità di comprendere se lo sche­ma amministrativo, organizzativo o contabile, concretamente adottato, tra le diverse opzioni a disposizione degli amministratori, possa essere oggetto di un sindacato ex post dal giudice, oppure se l’accertamento giudiziale incontri i limiti derivanti dalla Business Judgement Rule [68]; e il quesito risulta tanto più centrale, in concreto, se si considera la già richiamata assenza, nelle società di persone, di qualsiasi fisiologico momento valutativo o di riscontro “interno” in ordine gli assetti.

Per meglio inquadrare la questione della possibile responsabilità degli amministratori per i danni, va in prima battuta osservato che la mancata predisposizione degli assetti costituisce senz’altro una violazione dell’obbligo di condotta sancito dall’art. 2086, secondo comma, cui l’art. 2257, primo comma, fa rinvio, senza che possa invocarsi alcuna protezione della libera scelta imprenditoriale, a mente della Business Judgement Rule [69]Ciò vale sia nel caso in cui si tratti di una mera omissione, sia che risulti quale esito di una scelta deliberata, in ipotesi giustificata dalle limitate dimensioni dell’impresa o dalla sua natura: la norma, infatti, concede che gli assetti siano adeguati alle appena richiamate circostanze di fatto, ma non individua specifici ambiti di esenzione [70].

Quando, invece, una predisposizione di assetti, anche elementari, sia avvenuta, il sindacato giudiziale deve tenere conto del fatto che gli amministratori sono in condizione di scegliere fra un ventaglio di possibili assetti, che le pratiche della scienza aziendalistica mettono a disposizione: il sindacato giudiziale deve, allora, verificare che la decisione degli amministratori sia stata assunta con quella diligenza e ragionevolezza che devono connotare la figura del­l’imprenditore, così focalizzandosi sul processo di assunzione della decisione imprenditoriale [71].

Un giudizio ex post, nel merito, comporterebbe, invece, la sostanziale riformulazione da parte del giudice delle decisioni imprenditoriali [72], avendo in più quale panorama di riferimento non le sole circostanze conosciute o, almeno, conoscibili dagli amministratori nel momento “organizzativo”, ma anche tutte le vicende successive, che potrebbero anche includere eventi non verosimilmente prevedibili o prevenibili [73].

L’adesione all’orientamento che ritiene applicabile in questo caso la protezione data dalla Business Judgement Rule comporta, pertanto, l’impossibilità di contestare la scelta imprenditoriale in sé (e alla luce delle risultanze successive) [74], per focalizzare l’attenzione, piuttosto, sulle modalità concrete con cui la scelta risulta avvenuta, in una prospettiva che tenga in considerazione le circostanze conosciute o agevolmente conoscibili dagli amministratori (ex ante e in concreto) [75]. In questa prospettiva, acquisisce centralità l’elemento di raccordo rappresentato dall’”adeguatezza”, da intendersi non solo come riferibile alla relazione che intercorre fra le scelte organizzative, votate o meno alla massima semplicità in vista dell’eventuale limitata complessità dell’attività della società, e la dimensione e la natura dell’impresa (come esige testualmente l’art. 2257, primo comma), ma anche al complesso delle circostanze conosciute o, verosimilmente conoscibili, dagli amministratori al momento del­l’attuazione della c.d. “gestione organizzativa”. In questa prospettiva e con queste precisazioni, la valutazione dell’adempimento può ritenersi affidata al raggiungimento di uno specifico risultato, rappresentato appunto dall’“adegua­tezza”, ma esso si pone, in realtà, quale misura del corretto svolgimento del­l’attività di gestione, vale a dire del procedimento decisionale adottato e delle modalità concrete con cui la scelta organizzativa risulta avvenuta.

In conclusione, da quanto si è avuto occasione di osservare, il primo intervento diretto del legislatore sulle società di persone, dopo molti anni, presenta le caratteristiche di un vero e proprio cambio di paradigma: oggetto di regolazione sono “spazi” che, tradizionalmente e forse non a torto, erano stati lasciati “vuoti”, perché affidati alle determinazioni, frequentemente inespresse, dei privati. Come si è avuto modo di osservare, tuttavia, le nuove norme, lungi dal creare un appiattimento verso il modello delle società di capitali, esigono di essere coordinate con l’ambiente normativo delle società di persone, nell’am­bito di una reciproca interazione che impone di rivedere risalenti principi e regole e fa emergere ulteriori profili tradizionalmente lasciati sottotraccia, come ad esempio la programmazione dell’attività d’impresa e il ruolo, in merito ad essa, degli amministratori.


NOTE

[1] S. PATRIARCA, Disciplina della s.r.l. e società di persone: alla ricerca delle reciproche influenze, in AA.VV., Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze, a cura di P. BENAZZO, M. CERA e S. PATRIARCA, Torino, Utet, 2011, 253 ss.; cfr. P. SPADA, Classi e tipi di società dopo la riforma organica (guardando alla “nuova” società a responsabilità limitata), in Le grandi opzioni della riforma del diritto e del processo societario, a cura di G. Cian, Padova, Cedam, 2004, 31 ss., il quale osserva che, dopo la Riforma, le due “classi” assurgono al rango di vera e propria categoria normativa.

[2] R. WEIGMANN, Luci ed ombre del nuovo diritto azionario, in Società, 2 bis, 2003, 270 ss.

[3] In argomento, rinvio a G. FERRI jr., La nuova disciplina in tema di trasformazione omogenea e le società di persone: un primo confronto, in Riv. dir. comm., 2005, I, 724 ss.

[4] Cfr. M. GARCEA, I gruppi di società di persone, Napoli, Jovene, 2008, 96 s., che osserva come questa regola si ponga in contrasto con il tradizionale bilanciamento tra potere e rischio nelle società di persone, assicurato dalla circostanza per cui chi ha più investito, e più rischia, ha un maggior peso nella gestione della società.

[5] Cfr. A. CETRA, La persona giuridica amministratore, Torino, Giappichelli, 2013, 6 ss. e G. PESCATORE, L’amministratore persona giuridica, Milano, Giuffrè, 2012, 39 ss.

[6] G. COTTINO, Premessa per il lettore, in Le nuove società di persone, Bologna, Zanichelli, 2014, XVIII s.

[7] Per la dottrina che ha preso atto dei riflessi interpretativi delle nuove regole dettate per le società di capitali sulle società di persone, rinvio a S. PATRIARCA, (nt. 1), 253 ss.: si pensi al controllo individuale del socio di società di persone (art. 2261) che, grazie alla simile formulazione del­l’art. 2476, secondo comma, in tema di s.r.l., può avvenire anche con la partecipazione all’attività di controllo di un professionista di fiducia del socio; per quanto riguarda la disciplina in tema di responsabilità degli amministratori, l’art. 2260 c.c. è suscettibile di essere interpretato alla luce di quanto prevede l’art. 2476, terzo comma, con la conseguente legittimazione attiva di ciascun socio e, infine, senza pretesa di completezza, si pensi all’incidenza della disciplina in tema di estinzione delle società di capitali (art. 2495) sulle società di persone (Cass. SS.UU. 22 febbraio 2010, n. 4062, in Giur. comm., 2010, II, 698, con nota di L. ROSSANO).

[8] L’art. 389, secondo comma, d.lgs. 12 febbraio 2019, n. 14 prevede che l’entrata in vigore delle norme relative alla modifica degli articoli del Codice civile riguardanti gli assetti organizzativi dell’impresa (art. 375), gli assetti organizzativi societari (art. 377), la responsabilità degli amministratori (art. 378) e la nomina degli organi di controllo (art. 379), avvenga il trentesimo giorno successivo rispetto alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del d.lgs. 14/2019; dunque si tratta di disposizioni attualmente già pienamente applicabili. Per gran parte delle altre disposizioni, invece, l’entrata in vigore è prevista decorsi diciotto mesi dalla predetta pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. A ciò bisogna anche aggiungere che, con l’emanazione della l. 8 marzo 2019, n. 20, è stata assegnata al Governo una nuova delega per la promulgazione di disposizioni integrative e correttive della riforma della disciplina della crisi di impresa e del­l’insolvenza: l’art. 1, l. 8 marzo 2019, n. 20 prevede, infatti, che il Governo, entro due anni dalla data di entrata in vigore dell’ultimo dei decreti legislativi adottati in attuazione della delega di cui alla l. 19 ottobre 2017, n. 155 e nel rispetto dei principi e criteri direttivi da essa fissati, possa adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi medesimi. Le disposizioni che potranno intervenire sul Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza dovranno pur sempre essere conformi ai principi generali ed ai criteri direttivi fissati nella legge delega 19 ottobre 2017, n. 155.

[9] Sia la rubrica dell’art. 375 d.lgs. 12 febbraio 2019, n. 14 (“Assetti organizzativi dell’im­presa”), sia la stessa nuova rubrica dell’art. 2086 c.c. (“Gestione dell’impresa”) indicano chiaramente che il dovere di predisporre assetti adeguati si pone come un principio generale del diritto dell’impresa, applicabile a tutti i casi di impresa collettiva; si osserva che, in questo modo, il legislatore ha compiuto quel processo di “metabolizzazione del principio di adeguatezza” cui si riferisce V. BUONOCORE, Adeguatezza, precauzione, gestione, responsabilità: chiose sul­l’art. 2381, commi terzo e quinto, del codice civile, in Giur. comm., 2006, 5 ss.

[10] M. ANNUNZIATA, Intermediazione mobiliare e agire disinteressato: i profili organizzativi interni, in Banca borsa tit. cred., 1994, I, 634 ss., ivi 636.

[11] Si veda S. FORTUNATO, Sub art. 149, in Commentario al testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, a cura di G. ALPA e F. CAPRIGLIONE, II, Padova, Cedam, 1998, 1385 ss.; S. AMBROSINI, Sub art. 149, in AA.VV., La legge Draghi e le società quotate in Borsa, Torino, Utet, 1999, 277 ss. e G. SCOGNAMIGLIO, Recenti tendenze in tema di assetti organizzativi degli intermediari finanziari (e non solo), in Banca borsa tit. cred., 2010, I, 137; cfr. A. MINTO, Assetti organizzativi adeguati e governo del rischio nell’impresa bancaria, in Giur. comm., 2014, I, 1165 ss.

[12] M. RABITTI, Rischio organizzativo e responsabilità degli amministratori, Milano, Giuffrè, 2004, 43 ss.; R. RORDORF, I criteri di attribuzione della responsabilità. I modelli organizzativi e gestionali idonei a prevenire i reati, in Società, 2001, 1207 ss.; G.B. ALBERTI, Fondamenti aziendalistici della responsabilità degli enti ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001, in Società, 2002, 539 ss.

[13] Con queste previsioni, considerate particolarmente innovative da parte della dottrina (V. BUONOCORE, nt. 9, 5 ss.), la Riforma del 2003 eleva al rango di principio giuridico di carattere generale, almeno con riferimento al tipo s.p.a., l’adeguatezza degli assetti interni dell’impresa, già richiamata nel Codice di Autodisciplina per le società quotate, nel criterio applicativo 1.C.1 e nell’art. 7.

[14] O. CAGNASSO, Gestione attribuita ai soci della società a responsabilità limitata e ruolo degli organi di amministrazione e di controllo, in RDS, 2008, 459 ss.; ID., Gli assetti adeguati nella s.r.l., in Assetti adeguati e modelli organizzativi nella corporate governance delle società di capitali, diretto da M. IRRERA, Bologna, Zanichelli, 2016, 579 ss.; cfr. P. ABBADESSA, Profili topici della nuova disciplina della delega amministrativa, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. ABBADESSA e G.B. PORTALE, 2, Torino, Utet, 2006, 496 ss.

[15] Cfr. M. SPIOTTA, Continuità aziendale e doveri degli organi sociali, Milano, Giuffrè, 2017, 32 ss., che attribuisce alla previsione dell’adeguatezza degli assetti il rango di “obbligo trasversale, connaturale alla gestione di qualsiasi impresa (individuale o collettiva, pubblica o privata), suscettibile di essere adattato a differenti scenari e di essere esteso, sebbene con forza e geometria variabile, non solo alla s.r.l. e alle cooperative, ma anche agli amministratori di società di persone”; si veda anche O. CAGNASSO, C. SARACINO, L’ammi­nistrazione e il controllo, in AA.VV., Le nuove società di persone, diretto da O. CAGNASSO e G. COTTINO, Bologna, Zanichelli, 2014, 170 ss. e V. BUONOCORE, (nt. 9), 5 ss.

[16] Non si tratta certamente dell’unico caso in cui si registra l’ingresso, nella regolazione, di concetti non giuridici, derivati, come in questo caso, dalle scienze aziendalistiche: si pensi, per rimanere solo nell’ambito del diritto dell’impresa, al concetto di equilibrio economico-finanziario e al c.d. going concern (in argomento, rinvio a M. SPIOTTA, Continuità aziendale. Una nuova ratio decidendi: il going concern, nota a Trib. Milano 6 luglio 2016, in Giur. it., 2017, 403 ss.).

[17] Cfr. P. MONTALENTI, Amministrazione e controllo nelle società per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma, in Riv. soc., 2013, 42 ss., il quale rileva come il legislatore nel 2003 (riferendosi alle s.p.a.) abbia fatto sì che “il rispetto delle regole, anche tecniche, elaborate dalla prassi e dalle scienze aziendali, e non solo giuridiche, di buona gestione” sia divenuto “norma di diritto comune”.

[18] Per la possibile non applicazione della regola alle microimprese, rinvio a N. ABRIANI, A. ROSSI, Nuova disciplina della crisi d’impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, in Società, 2019, 393 ss. A questo proposito, si anticipa che, pur mantenendo ferma l’impe­ratività della norma, può essere d’aiuto, specialmente nelle realtà di dimensioni molto ridotte, il principio di adeguatezza previsto dallo stesso art. 2086, secondo comma, c.c., per mezzo del quale è consentito un adempimento dell’obbligo “proporzionale” alle concrete condizioni del­l’impresa.

[19] M. SPIOTTA, (nt. 15), 11, che aggiunge, inoltre, che un assetto organizzativo è inadeguato, ad esempio, quando non vi sia alcuna pianificazione strategica, non si conosca quando i ricavi potranno realizzarsi e nemmeno vi sia una, almeno programmatica, copertura dei costi con i ricavi.

[20] M. IRRERA, Gli obblighi degli amministratori di società per azioni tra vecchie e nuove clausole generali, in RDS, 2011, 361 ss.

[21] Cfr. V. BUONOCORE, (nt. 9), 5 ss., il quale osserva che l’art. 2381, nello stabilire che “gli organi delegati curano che l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile sia adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa”, “relativizza” l’obbligo medesimo “oltre che alle dimensioni, alla concreta attività che l’impresa svolge”; cfr. O. CAGNASSO, Divieti “funzionali” e problemi di qualificazione, in AA.VV., La comparazione giuridica alle soglie del terzo millennio, Scritti in onore di Rodolfo Sacco, a cura di P. CENDON, II, Milano, Giuffrè, 1994, 111 ss.

[22] Come osserva V. BUONOCORE, (nt. 9), 5 ss., l’adeguatezza muta al modificarsi delle circostanze concrete, così come diverso è l’assetto organizzativo di un’impresa di servizi da quello di un’impresa di produzione e altrettanto diverso è l’assetto organizzativo “adeguato” in relazione ad un’impresa che eserciti una lavanderia senza avere alcun dipendente rispetto a quello di un’impresa che fabbrichi automobili ed abbia migliaia di dipendenti.

[23] Cfr. M. IRRERA, Profili di corporate governance della società per azioni tra responsabilità, controlli e bilancio, Milano, Giuffrè, 2009, 17 s.; ID., Gli obblighi degli amministratori di società per azioni tra vecchie e nuove clausole generali, in RDS, 2011, 358 ss., il quale rinvia, al fine di individuare il concreto significato degli “assetti” alle norme di comportamento del collegio sindacale emanate dal consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.

[24] M. SPIOTTA, (nt. 15), 45 ss.; M. IRRERA, (nt. 23), 18 ss.; M. DE MARI, Adeguatezza degli assetti societari e profili di responsabilità degli organi sociali, in NDS, 2009, 3, 51 ss.

[25] Ciascuna fase dell’attività di impresa si colloca all’interno di un procedimento a sua volta valutato a priori per accertarne l’adeguatezza: A. TOFFOLETTO, Amministrazione e controlli, in AA.VV., Diritto delle società (manuale breve)5, Milano, Giuffrè, 2012, 215 ss.

[26] In particolare, la dottrina osserva che la previsione dell’obbligatorietà, per gli imprenditori individuali, della predisposizione di assetti adeguati consente di evitare che si proseguita un’attività non in grado di produrre ricchezza, ma destinata a dissipare l’esistente: M. SPIOTTA, (nt. 15), 47 ss.

[27] Come osserva ancora V. BUONOCORE, (nt. 9), 5 ss., anche se per un differente contesto normativo, l’obbligo di predisporre assetti adeguati implica anche quello di “aggiornare” costantemente gli assetti alle circostanze sopravvenute, quali le modifiche normative o il progresso scientifico o tecnologico.

[28] Si pensi, ad esempio, all’introduzione della s.r.l. a capitale ridotto ex art. 2463 bis e all’abbassamento del capitale minimo della s.p.a. a 50.000 euro con il c.d. Decreto Competitività (d.l. 91/2014); in merito all’evoluzione dell’ammontare minimo del capitale dalla c.d. Legge Pandolfi del 1977 ai nostri giorni, rinvio a G. ZANARONE, Il capitale sociale nella s.r.l., in AA.VV., Il nuovo capitale sociale, a cura di S. PATRIARCA e I. CAPELLI, Milano, Giuffrè, 2016, 93 ss.

[29] Si pensi al rinvio di un anno per l’obbligo di ricapitalizzare, in caso di riduzione del capitale per perdite ai sensi degli artt. 2446 e 2447 c.c., previsto a favore di start-up innovative e PMI innovative dall’art. 26 del c.d. Decreto Crescita 2.0 (d.l. 179/2012).

[30] Come osserva la dottrina, V. BUONOCORE, (nt. 9), 5 ss., il significato di “adeguatezza” risulta riconducibile a “commisurare, rendere idoneo o conveniente”.

[31] Cfr. ancora M. SPIOTTA, (nt. 15), 44 ss. In termini generali, dunque, e per il tramite della ricorrente previsione della necessità di assetti adeguati, si impone a tutte le imprese collettive il principio di corretta amministrazione societaria e imprenditoriale, di cui appunto la previsione dell’art. 377 Codice della crisi d’impresa è un corollario. Per la dottrina che ritiene che il dovere di predisporre assetti adeguati concorra a definire il dovere di corretta amministrazione che si “traduce nel rispetto di principi di comportamento e di regole anche tecniche, codificate nella prassi, di buona amministrazione”, si veda: M. IRRERA, Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Milano, Giuffrè, 2005, 67 ss.; cfr. C. AMATUCCI, Adeguatezza degli assetti, responsabilità degli amministratori e Business Judgement Rule, in Giur. comm., 2016, 643 ss. e G. MERUZZI, L’informativa endo-societaria nella società per azioni, in Contr. impr., 2010, 737 ss., ivi 765, il quale distingue fra regole di correttezza, che impongono scelte rispettose del dettato normativo e, in più, coerenti con l’interesse sociale, e i principi di corretta amministrazione, relativi alle modalità di organizzazione e di svolgimento dell’attività d’im­presa; ID., L’adeguatezza degli assetti, in AA.VV., Assetti adeguati e modelli organizzativi nella corporate governance delle società di capitali, a cura di M. IRRERA, Bologna, Zanichelli, 2016, 41 ss., ivi 42, il quale individua il quid novi della Riforma del 2003 nella scelta di qualificare l’adozione e il concreto funzionamento degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili “come un risvolto dei principi di corretta amministrazione societaria” e I. KUTUFÀ, Adeguatezza degli assetti e responsabilità gestoria, in AA.VV., Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber Amicorum Antonio Piras, Torino, Giappichelli, 2010, 712, nt. 3, per l’individuazione di uno stretto nesso rispetto all’obbligo di corretta amministrazione, in quanto il perseguimento dei principi di corretta amministrazione “dipende anche dall’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili e dal loro concreto ed effettivo funzionamento”. Si veda, altresì: P. MONTALENTI, L’informazione e il diritto commerciale: principi e problemi, in Riv. dir. civ., 2015, 779 ss. e in ID., Impresa. Società di capitali. Mercati finanziari, Torino, Giappichelli, 2017, 41 ss., ivi, 44; ID., I principi di corretta amministrazione: una nuova clausola generale, in AA.VV., Assetti adeguati e modelli organizzativi nella corporate governance delle società di capitali, a cura di M. IRRERA, Bologna, Zanichelli, 2016, 3 ss.; G. DONGIACOMO, Insindacabilità delle scelte di gestione, adeguatezza degli assetti ed onere della prova, in AA.VV., Responsabilità degli amministratori di società e ruolo del giudice, un’ana­lisi comparatistica della business judgement rule, a cura di C. AMATUCCI, Milano, Giuffrè, 2014, 29 ss. e, focalizzando l’analisi sui doveri di informazione, G. ZAMPERETTI, Il dovere di informazione degli amministratori nella governance delle società per azioni, Milano, Giuffrè, 2005, 309.

[32] M. SPIOTTA, (nt. 15), 33 ss.

[33] Cfr. O. CAGNASSO, Gli assetti adeguati nella s.r.l., in Assetti adeguati e modelli organizzativi nella corporate governance delle società di capitali, diretto M. IRRERA, Bologna, Zanichelli, 2016, 573 ss., ivi 575 e ID., L’“attività preparatoria” della gestione affidata ai soci di s.r.l. e l’attribuzione della relativa responsabilità, in AA.VV., Il diritto delle società oggi. Innovazioni e persistenze, a cura di P. BENAZZO, M. CERA e S. PATRIARCA, Torino, Utet, 2011, 372; ID., (nt. 14), 459; ID., Gli assetti adeguati nella s.r.l., in NDS, 18, 2014, 8; M. IRRERA, (nt. 31), 309 ss. e C. PECORARO, Sulla responsabilità per l’indebito rimborso dei finanziamenti ai soci, nota a Trib. Roma, 1° giugno 2016, in Soc., 2017, 49, ivi, 50.

[34] Gli amministratori hanno, come osserva la dottrina, “la responsabilità ultima circa la fisionomia degli assetti”: M. SPIOTTA, (nt. 15), 32 ss.; M. IRRERA, Profili, cit., 17; cfr., per quanto concerne la disciplina di settore, P. MONTALENTI, La corporate governance degli intermediari finanziari: profili di diritto speciale e riflessi sul diritto societario generale, in Società banche e crisi d’impresa, Liber amicorum P. Abbadessa, diretto da M. Campobasso, V. Cariello, V. Di Cataldo, F. Guerrera, A. Sciarrone Alibrandi, 3, Torino, 2014, 2179; G. SCOGNAMIGLIO, Recenti tendenze in tema di assetti organizzativi degli intermediari finanziari (e non solo), in Banca borsa tit. cred., 2010, I, 137; A. MINTO, Assetti organizzativi adeguati e governo del rischio nell’impresa bancaria, in Giur. comm., 2014, I, 1165.

[35] P. SPADA, La tipicità delle società, Padova, Cedam, 1974, 218.

[36] F. GALGANO, Il principio di maggioranza nelle società personali, Padova, Cedam, 1960, 78 ss.; cfr. L. MOSSA, Società commerciali personali, in Trattato del nuovo diritto commerciale, II, Padova, Cedam, 1951, 280 ss.

[37] C. VIVANTE, Trattato di diritto commerciale, V ed., II, Milano, 1929, 110, s., il quale osserva che se l’amministratore “dovesse dare notizia, il beneficio della loro contemporanea attività, spesso distribuita in luoghi e in tempi diversi, andrebbe perduto”; cfr. V. BUONOCORE, Sub art. 2295Società in nome collettivo, in Il Codice civile commentato, a cura di P. SCHLESINGER, Milano, Giuffrè,1995, 96 s.; ID., Fallimento e impresa, Napoli, Morano, 1969, 73, per la precisazione che, al fine di preservare le caratteristiche dell’amministrazione disgiuntiva, non può essere previsto un obbligo di preventiva informazione a carico degli amministratori sulle operazioni che intendono compiere, dovendo essere gli altri amministratori ad attivarsi; cfr. DRESTUCCIA, Amministrazione e controllo nelle società personali; in Dir. fall., 2012, I, 199 ss., ivi 206.

[38] C. VIVANTE, (nt. 37), 111.

[39] Per la dottrina che attribuisce all’agire in modo informato il ruolo di clausola generale del diritto societario, rinvio a V. BUONOCORE, Le nuove frontiere del diritto commerciale, Napoli, Esi, 2006, 189 ss., il quale, inoltre, estende l’operatività di questo principio anche all’impresa individuale; cfr. ID., Adeguatezza, precauzione, gestione, responsabilità: chiose sull’art. 2381, commi terzo e quinto del codice civile, in Giur. comm., 2006, I, 5 ss.; P. MONTALENTI, La responsabilità degli amministratori nell’impresa globalizzata, in Giur. comm., 2005, I, 444 ss.; O. CAGNASSO, (nt. 33), 575 ss. La necessaria predisposizione di assetti amministrativi adeguati rende particolarmente attuale la questione relativa al diritto all’informazione del singolo socio amministratore e al correlativo obbligo del socio amministratore che si accinge a porre in essere un atto o un’operazione, di informare gli altri delle proprie intenzioni, obbligo che può trovare generale giustificazione nel canone di buona fede.

[40] M. SPIOTTA, (nt. 15), 137 ss., la quale a sua volta rinvia a Cass. 5 maggio 2010, n. 10910, reperibile in www.deiure.it.

[41] Come osserva la dottrina meno recente, infatti, la conoscenza dei fatti concernenti la società è “essenziale anche nella ipotesi di amministrazione disgiuntiva, posto che ciascun socio, per esercitare il diritto di opporsi all’operazione che altro socio voglia compiere (ex art. 2257, ultimo comma), deve essere al corrente dell’attività che gli altri soci amministratori pongono in essere: in tal caso ciascun socio amministratore ha non solo un diritto, ma anche un dovere di informazione e di conoscenza sui fatti concernenti la società”: M. FOSCHINI, Il diritto dell’azio­nista all’informazione, Milano, Giuffrè, 1959, 80, testo e n. 29; cfr. anche per la necessità, in caso di amministrazione congiuntiva, di una conoscenza da parte di ogni amministratore, tramite i poteri di rendiconto ed informazione, degli atti compiuti in via d’urgenza da uno solo di essi: R. BOLAFFI, La società semplice: contributo alla teoria delle società di persone, Milano, Giuffrè, 1947, 363. Per una recente analisi, rinvio a F. VESSIA, La responsabilità per la gestione nella società di persone, Napoli, Esi, 2017, spec. 261 e 263 ss., in cui l’Autrice osserva che in ipotesi di amministrazione disgiuntiva spetta “a ciascun socio amministratore il «dovere/di­ritto» di tenersi informato sul generale andamento della gestione, il che significa conoscere le iniziative che gli altri amministratori intendano prendere in punto di gestione sociale, al fine di poter essere in condizione di utilizzare la forma tipica di intervento prevista dall’art. 2257 c.c., cioè il veto sull’operazione non ancora conclusa (…)”.

[42] Si osserva che la società di persone non è necessariamente connotata da dimensioni minime e scarsa complessità; gli amministratori sono tenuti a comunicare al socio che esercita il diritto individuale di controllo gli elementi che consentano di riconoscere, ad esempio, l’orga­nigramma aziendale e le procedure interne: R. PEROTTA-L. BERTOLI, Assetti organizzativi, piani strategici, sistema di controllo interno e gestione dei rischi. La corporate governance a dieci anni dalla riforma del diritto societario, in Riv. dott. comm., 2013, 863 ss.

[43] Gli amministratori possono predisporre schemi di comportamento relativi, ad esempio, alle tempistiche o alle modalità di consultazione, oppure ancora all’individuazione dei dipendenti che saranno di ausilio all’attività di esecuzione dei doveri degli amministratori, con valenza meramente interna e allo scopo di snellire le numerose decisioni pratiche che devono essere prese in quelle circostanze.

[44] Spetta agli amministratori il compito di creare ed applicare gli assetti organizzativi adeguati alle circostanze; cfr. O. CAGNASSO, Gli assetti adeguati, (nt. 33), 575; cfr. ID., L’“attività preparatoria” della gestione, (nt. 33), 372; ID., (nt. 14), 459. La consultazione dei documenti relativi alla gestione può certamente dare al socio un quadro completo dell’andamento della gestione, ma può anche consentire allo stesso di prendere in esame, da un punto di vista certamente privilegiato, grazie alla consultazione di organigrammi e documenti riguardanti le procedure e le competenze interne, l’organizzazione interna della società e di accertare quali siano gli assetti amministrativi, organizzativi e contabili concretamente adottati, anche al fine di verificarne l’adeguatezza; sul tema in generale, rinvio a M. IRRERA, (nt. 31), 315 s.; con riferimento al contenuto dell’organigramma, al quale può essere rivolto l’interesse informativo del socio, si veda: G. BIANCHI, Il contenuto. Una visione d’insieme, in AA.VV., Assetti adeguati e modelli organizzativi nella corporate governance delle società di capitali, a cura di M. IRRERA, Bologna, Zanichelli, 2016, 149 ss., ivi 153 s.; sul diritto di consultazione del socio, in generale, rinvio a M. FOSCHINI, (nt. 41), 43 ss.

[45] Il diritto individuale di controllo ha la capacità di atteggiarsi come uno strumento di tutela degli interessi dei soci ed eventualmente, ma solo di riflesso, di salvaguardia della corretta gestione della società; esso rimane, a tutti gli effetti ed in ogni circostanza, una prerogativa individuale a totale disposizione del socio, il quale può avvalersene o meno, senza poter essere chiamato a rispondere del suo concreto utilizzo.

[46] Sull’articolata ripartizione di competenze nella s.p.a. e il dovere di predisporre assetti adeguati, si veda M. IRRERA, L’obbligo di corretta amministrazione e gli assetti adeguati, in NDS, 2009, 562 ss.; ID., La responsabilità degli organi sociali: profili generali, doveri di correttezza ed assetti adeguati, in AA.VV., Le nuove procedure concorsuali, a cura di S. AMBROSINI, Bologna, Zanichelli, 2008, 371 ss.

[47] Al riguardo si osserva che gli amministratori non esecutivi valutano l’adeguatezza degli assetti basandosi essenzialmente sulle informazioni rese in consiglio dagli amministratori esecutivi, mentre i sindaci, oltre ad esaminare le medesime informazioni, verificano direttamente gli assetti ed il loro concreto funzionamento, avvalendosi anche dei propri poteri ispettivi e utilizzando anche dipendenti o ausiliari.

[48] Norma così modificata dall’art. 377, quinto comma, Codice della crisi d’impresa e del­l’insolvenza; il rinvio contenuto nell’ultimo comma dell’art. 2475 si rivolge all’intero art. 2381, vale a dire non solo al generale obbligo degli amministratori di agire informati, ma altresì alle possibili articolazioni interne dell’organo amministrativo e alle competenze degli organi delegati. Si può ritenere che, con questa operazione, il legislatore abbia esteso i principi e le regole in tema di delega e di flussi informativi all’interno dell’organo di gestione a tutte le società di capitali, naturalmente con gli opportuni adattamenti che potranno risultare dall’appar­tenenza al tipo s.r.l. che, ad esempio, abbia optato per l’amministrazione disgiuntiva.

[49] Il nuovo art. 2477, come modificato dall’art. 379 del Codice della crisi e successivamente emendato dall’art. 2 bis d.l. 18 aprile 2019, n. 32, conv. in l. 14 giugno 2019, n. 55, prevede l’obbligatorietà della nomina dell’organo di controllo o del revisore quando la società sia tenuta alla redazione del bilancio consolidato; controlli una società obbligata alla revisione legale dei conti o superi uno dei seguenti limiti: 1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 4 milioni di euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 4 milioni di euro; 3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 20 unità. Rispetto ai parametri quantitativi introdotti dall’appena citato art. 379 Codice della crisi e dell’insolvenza, si ha un sensibile innalzamento, in quanto il legislatore si è preoccupato di escludere dall’obbligo di nomina (e dalle relative spese) un’am­pia platea di s.r.l. di dimensioni minori.

[50] È possibile ritenere che, per le società per le quali sia prevista l’applicazione del controllo giudiziario ex art. 2409, la violazione del disposto che impone la costituzione di assetti adeguati possa essere oggetto di denunzia al tribunale per il sospetto di gravi irregolarità nella gestione, in quanto l’orientamento prevalente include nel concetto di “gestione”, richiamato dall’art. 2409, “anche gli atti funzionali allo svolgimento dell’attività imprenditoriale e, quindi, gli atti concernenti l’aspetto organizzativo della stessa e l’operatività dei suoi organi”: S. VANONI, Denunzia al tribunale. Art. 2409, in Commentario Schlesinger, Milano, Giuffrè, 2017, 44 s.; cfr. S. ROSSI, Sub art. 2409, in AA.VV., Delle società. Dell’azienda. Della Concorrenza, a cura di D. SANTOSUOSSO, Commentario del Codice civile, diretto da E. GABRIELLI, Milano-Torino, Utet, 2015, 572 ss. La novella dell’art. 2477, ad opera dell’art. 379, secondo comma, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, consente la compresenza fra i diritti individuali di controllo e di revoca cautelare degli amministratori e la legittimazione attiva del socio alla denunzia al tribunale ex art. 2409, determinando un reciproco potenziamento degli strumenti di tutela, posto che l’esercizio del diritto di informazione e consultazione potrebbe far rilevare indizi di gravi irregolarità nella gestione e le circostanze potrebbero suggerire al socio, sussistendone le condizioni, di attivare il procedimento di denunzia al tribunale; in argomento, mi permetto di rinviare a I. CAPELLI, Il controllo individuale del socio di s.r.l. Il modello legale, Milano, Giuffrè, 2017, 269 ss. Con riferimento alle società di persone, può essere utile rilevare come l’inapplicabilità del procedimento ex art. 2409 a queste ultime sia tradizionalmente fondata sull’esperibilità dell’azione di responsabilità contro gli amministratori da parte del singolo socio (art. 2260), nonché sul diritto del medesimo, ex art. 2259, terzo comma, di chiedere giudizialmente la revoca per giusta causa degli amministratori: F. VASSALLI, Responsabilità d’impresa e potere di amministrazione nelle società personali, Milano, Giuffrè, 1973, 153 ss. Infine, per l’interpretazione dell’estensione alle s.r.l. prive dell’organo di controllo della denunzia al tribunale, prevista dall’art. 14, lett. f., legge delega 155/2017, quale “punto di rottura e ritorno al passato”, rinvio a G. RIOLFO, Il nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e le modifiche al codice civile: il diritto societario tra “rivisitazione” e “restaurazione”, in Contr. impr., 2019, 399 ss.

[51] Prima dell’introduzione di questa norma, le regole dettate in tema di società di persone non si occupavano affatto della ripartizione di competenze fra amministratori e soci non amministratori, come invece avviene, rispettivamente per le s.p.a. e per le s.r.l., giusta il disposto degli artt. 2364 e 2380 bis e degli artt. 2475 e 2479, limitandosi a prevedere la possibilità di affidare solo ad alcuni soci la gestione della società e a delineare i diversi modelli di amministrazione, partendo dal modello legale per giungere all’amministrazione congiuntiva e, infine, per consentire all’autonomia privata di modulare la gestione secondo le specifiche esigenze della società (cfr. artt. 2257 e 2258). Sulle difficoltà di coordinamento fra il vincolo dell’amministrazione esclusiva e la normativa in tema di società di persone, ove “mancando una struttura di tipo corporativo, risulta addirittura arduo definire i confini tra le competenze dei soci in quanto tali e quelle dei soci amministratori”, si veda M. DE ACUTIS, Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), in Studium Juris, 2019, 853 ss.

[52] Cfr. N. ABRIANI, A. ROSSI, (nt. 18), 393, che parlano di “mantra” del legislatore, in merito al ricorrere dei medesimi concetti con riferimento a situazioni fra loro diverse.

[53] Per tutti: G. GUIZZI, Riflessioni intorno all’art. 2380 bis c.c., in AA.VV., Società, banche e crisi d’impresa. Liber Amicorum Pietro Abbadessa, diretto da M. CAMPOBASSO, V. CARIELLO, V. DI CATALDO, F. GUERRERA, A. SCIARRONE ALIBRANDI, Torino, Utet, 2014, 1043 ss., il quale rileva come corollario, nella s.p.a., la necessaria specializzazione della funzione di gestione, alla quale è collegata la regola generale che consente di affidare l’amministrazione a non soci (mentre per la s.r.l. questa possibilità è prevista solo come eccezione statutaria).

[54] Cfr. D. REGOLI, La carica di amministratore, in AA.VV., L’amministrazione, la responsabilità gestoria, a cura di G.D. MOSCO, D. REGOLI, M. RESCIGNO, G. SCOGNAMIGLIO, Trattato delle società a responsabilità limitata, diretto da C. IBBA e G. MARASÀ, V, Padova, Cedam, 2012, 63 ss. e S. PATRIARCA, La responsabilità del socio “gestore” di s.r.l., in Società, 2007, 1195 ss. Non volendo abbracciare l’ipotesi di un’implicita abrogazione delle appena citate nor­me, per incompatibilità con il nuovo art. 2475, primo comma, si prospetta la necessità di individuare un approccio ermeneutico che consenta di conciliare la disciplina dettata per la s.r.l. con il principio dell’esclusività della gestione in capo agli amministratori. Un tentativo di conciliare la nuova disposizione con la disciplina dettata in tema di s.r.l. è stato prospettato da N. ATLANTE, M. MALTONI, A. RUOTOLO, nello Studio n. 58/2019/I, “Il nuovo articolo 2475 c.c. Prima lettura”, approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il 14 marzo 2019: la previsione dell’esclusività della gestione in capo agli amministratori non comporta alcuna abrogazione degli artt. 2479, 2468, terzo comma, e 2476, settimo comma, in quanto occorre distinguere “il piano dell’organizzazione”, che spetta esclusivamente agli amministratori, da quello “dell’ope­ratività della società”, così che la “gestione organizzativa” va separata dalla “gestione operativa” che, invece, può essere ripartita fra i soci e gli amministratori; cfr. per l’attribuzione ai soli amministratori della “competenza” e “responsabilità” esclusiva in tema di assetti e di loro funzionamento: G. RIOLFO, (nt. 50)408; G.A.M. TRIMARCHI, Codice della crisi: riflessioni sulle prime norme, in Notariato, 2019, 117 ss. e si veda M. DE ACUTIS, (nt. 51), 853, che prospetta la necessità dell’abrogazione tout court delle norme contenute nell’art. 377, commi 1-4, nel primo dei decreti correttivi da emanarsi ai sensi della l. 8 marzo 2019, n. 20; cfr. R. RORDORF, Prime osservazioni sul Codice della crisi e dell’insolvenza, in Contr., 2019, 129 ss., che ritiene non condivisibile questo intervento del legislatore sulle s.r.l. e sulle società di persone. Va rilevato, come si osserva in queste pagine, che una ripartizione fra atti di amministrazione, che possono essere condivisi e allocati presso i soci non amministratori, e l’attività di predisposizione dell’architettura interna della società (che non potrebbe, ad esempio, essere decisa dai soci ex art. 2479), risulterebbe non solo difficilmente prospettabile nella realtà, ma anche piuttosto approssimativa, in quanto gli stessi atti che, in questa prospettiva, possono essere catalogati come atti di “gestione operativa” concorrono, anche se in misura variabile, a delineare la struttura organizzativa e amministrativa, e in ogni caso devono essere coerenti con la stessa, salvo, naturalmente, che non si tratti di atti meramente esecutivi e consequenziali rispetto a direttive degli amministratori.

[55] Cfr. P. SPADA, La tipicità delle società, Padova, Cedam, 1974, 366 ss.

[56] Per quanto riguarda l’attribuzione ai soci del potere di amministrazione come effetto naturale del contratto di società, rinvio, anche per ulteriori riferimenti, a M. BUSSOLETTI, Società semplice, in Enc. dir., XLII, Milano, Giuffrè, 1990, 917 ss.

[57] Cfr. R. SACCHI, Sul così detto diritto societario della crisi: una categoria concettuale inutile o dannosa? in Nuove leggi civ. comm., 2018, 1280 ss., ivi, 1287.

[58] Cfr. gli orientamenti ermeneutici già evocati, con riferimento ai problemi di coordinamento nella s.r.l.: N. ATLANTE, M. MALTONI, A. RUOTOLO, Studio n. 58/2019/I, (nt. 54). Per quanto riguarda le società di persone in particolare, si pone sulla stessa linea di pensiero l’orientamento espresso da N. ATLANTE, D. BOGGIALI, nello Studio n. 110/2019/I, Riflessi del nuovo codice della crisi d’impresa sull’amministrazione delle società di persone, Approvato dalla Commissione Studi d’Impresa del Consiglio Nazionale del Notariato il 21/05/2019, che riferisce l’esclusiva competenza degli amministratori ai soli doveri introdotti dal nuovo secondo comma dell’art. 2086, riguardanti l’adeguatezza degli assetti societari, in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa, di cui rispondono gli amministratori. Contra, con riferimento alla s.r.l., L. CALVOSA, Gestione dell’impresa e della società alla luce dei nuovi artt. 2286 e 2475 c.c., in Società, 2019, 799 ss.

[59] W. BIGIAVI, Sulla qualità di imprenditore del socio illimitatamente responsabile, in Riv. dir. civ., 1958, II, 296 ss.; F. GALGANO, Gli amministratori di società personali, Padova, Cedam, 1963, 103 ss.; ID., (nt. 36), 82 ss.; cfr. P. SPADA, (nt. 55), 348 ss.

[60] Naturalmente i doveri di predisposizione degli assetti e i collegati doveri di monitoraggio degli stessi devono essere commisurati, come prevede lo stesso art. 2257, primo comma, alla natura e alle dimensioni dell’impresa, con la conseguenza che la gestione “organizzativa” può anche essere particolarmente snella, perché rapportata ad attività prive di elementi di particolare complessità; ciò non toglie che la successiva attività gestoria debba, comunque, essere coerente con quanto predisposto dagli amministratori e debba svolgersi sotto la loro responsabilità, pena il venir meno di qualsiasi utilità dell’attività, anche elementare, di pianificazione nei termini di adeguatezza degli assetti richiesta dalla legge.

[61] I due profili cui l’art. 2257, primo comma, fa riferimento, vale a dire l’“adeguatezza degli assetti” e le “operazioni necessarie per l’attuazione dell’oggetto sociale” risultano, pertanto, fortemente intrecciati ed entrambi caratterizzati dalla presenza del vincolo dell’esclusività a favore degli amministratori. Resta, naturalmente, da coordinare il nuovo principio con la norma che chiama i soci a decidere in merito all’esercizio del diritto di veto da parte di un socio amministratore (art. 2257, terzo comma), aderendo all’orientamento risalente che interpreta l’opposizione come un potere individuale che non sposta la competenza dell’operazione sulla collettività dei soci: F. GALGANO, (nt. 36), 62 ss.; cfr. V. BUONOCORE, (nt. 37), 98 e nt. 42.

[62] Il dovere dei soci non amministratori di attenersi al programma predisposto dagli amministratori in sede di attuazione degli assetti, sotto la responsabilità degli amministratori medesimi, derivante dal disposto dell’art. 2257, primo comma, potrebbe essere inteso come non congruente con il rinvio alle regole sul mandato contenuto nell’art. 2260; questa norma, infatti, nel delineare i diritti e gli obblighi degli amministratori, rinvia espressamente alle regole sul mandato, le quali non prevedono una simile ripartizione di competenze a favore del mandatario che, infatti, può ricevere istruzioni dal mandante e subire limitazioni nella propria attività (art. 1711). Va, tuttavia, osservato che, nonostante il richiamo al mandato in punto di responsabilità, l’amministratore non può essere considerato come mandatario degli altri soci, ma parte di un rapporto sui generis, diverso dal mandato, che può mutuare dalla disciplina di quest’ultimo talune disposizioni non incompatibili con le peculiarità del ruolo e delle funzioni dell’am­ministratore: D. REGOLI, L’organizzazione delle società di persone, in AA.VV., Diritto delle società (manuale breve)5, Milano, Giuffrè, 2012, 54 ss.; si deve, dunque, ritenere che le norme sul mandato si applichino solo in quanto compatibili con la disciplina delle società: così si applicherà la norma per cui il mandatario non può, senza espressa autorizzazione, farsi sostituire da altri nell’esecuzione dell’incarico, o quella relativa alla diligenza del mandatario: F. GALGANO, Diritto commerciale, II, Le società, Bologna, Zanichelli, 2004, 65 ss.

[63] Sotto questo profilo, la sanzione applicabile al socio di società semplice o di collettiva che abbia violato l’art. 2257, primo comma, si allinea con la sanzione specificamente prevista per l’accomandante che abbia violato il divieto di immistione, in quanto l’art. 2320, primo comma, espressamente rinvia all’istituto dell’esclusione facoltativa del socio (art. 2286).

[64] Naturalmente questo vale sul piano del mantenimento del rapporto sociale e impregiudicata la responsabilità per gli eventuali danni cagionati dal socio.

[65] Certamente, il legislatore nell’emanare il Codice della Crisi e dell’insolvenza è parso attento più ai profili relativi all’individuazione dei soggetti responsabili, che al coordinamento delle nuove regole con le caratteristiche dei tipi sociali su cui vanno ad insistere; cfr. A. BARTALENA, Le azioni di responsabilità nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, 298 ss.

[66] Cfr., in generale, F. GENNARI, Modelli organizzativi dell’impresa e responsabilità degli amministratori della s.p.a. nella riforma della legge fallimentare, in Giur. comm., 2018, I, 293 ss., spec. 300 e A. ZANARDO, Fiduciary Duties of Directors of Insolvent Corporations: A Comparative Perspective, in Chicago-Kent Law Review, 93, 2018, 867 ss. Per quanto riguarda la tutela dei creditori sociali, in questo contesto, si può prospettare, ad esempio, l’iniziativa del liquidatore o del curatore fallimentare; l’ammissibilità dell’azione proposta dai creditori sociali risulta controversa: secondo parte della dottrina va riconosciuto esclusivamente l’esercizio dell’azione sociale di responsabilità in via surrogatoria ex art. 2900: G. GHIDINI, Società personali, Padova, Cedam, 1972, 435; altra parte della dottrina ritiene, invece, che ai creditori sociali spetti un’azione autonoma rispetto a quella della società, derivante da fatto illecito, per lesione della loro aspettativa di prestazione: F. GALGANO, Le società di persone, in Trattato Cicu-Messineo, XXVIII, Milano, Giuffrè, 1972, 387 ss.; in argomento, rinvio alla monografia di F. VESSIA, (nt. 41), spec. 261 e 263 ss.

[67] Sul tema, rinvio a M. MOZZARELLI, Appunti in tema di rischio organizzativo e procedimentalizzazione dell’attività imprenditoriale, in AA.VV., Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber Amicorum Antonio Piras, Torino, Giappichelli, 2010, 733 e M. RABITTI, Rischio organizzativo e responsabilità degli amministratori, Milano, Giuffrè, 2004, passim.

[68] Sul sindacato giudiziale in merito all’adeguatezza degli assetti, rinvio a C. AMATUCCI, (nt. 31), 643 ss. e M. IRRERA, (nt. 31), 266 ss. In generale, rinvio a D. SEMEGHINI, Il dibattito statunitense sulla Business Judgement Rule: spunti per una rivisitazione del tema, in RDS, 2013, 206 ss. nonché a D. CESIANO, L’applicazione della “Business Judgement Rule” nella giurisprudenza italiana, in Giur. comm., 2013, II, 941 ss.; S. SCOTTI CAMUZZI, Note sull’im­portazione nel diritto italiano, dal diritto statunitense, della “Business Judgement Rule”, in Foro pad., 2015, 467 ss.; R. SACCHI, (nt. 57)1288.

[69] Cfr., in generale, in ordine ai principi che sovraintendono la Business Judgement Rule, C. AMATUCCI, (nt. 31), 643 ss.; M. MOZZARELLI, (nt. 67), 739.

[70] Come osserva la dottrina, infatti, la stessa nozione di azienda implica un’attività di programmazione e organizzazione, quali prerequisiti per fare impresa: M. SPIOTTA(nt. 15), 180 ss.; cfr. N. ABRIANI, Doveri e responsabilità degli amministratori e dei sindaci, in AA.VV., La riforma del fallimentoItalia Oggi, Serie speciale, 2, 2019, 51 ss., ivi, 53.

[71] Così Trib. Torino, 4 giugno 2013, reperibile in internet al seguente indirizzo: www.giuri­sprudenzadelleimprese.it.

[72] La dottrina paventa il pericolo di una “deriva giustizialista”, essendovi “il rischio che la giurisprudenza, chiamata a verificare il rispetto da parte degli amministratori del generale principio di adeguatezza amministrativa, sia indotta a trasporre meccanicamente approcci e metodologie finora utilizzati ed approdi ermeneutici fino ad oggi conseguiti per accertare l’idoneità dei modelli di cui al d.lgs. n. 231/2001: N. ABRIANI, Doveri e responsabilità, (nt. 70), 52.

[73] Secondo la giurisprudenza “il giudice non è legittimato a sostituire la propria valutazione a quella degli amministratori”: Cass., 23 marzo 2004, n. 5718, in Società, 2004, 1517 ss., con nota di A. FUSI, Valutazione della responsabilità dell’amministratore; si veda anche Cass. 12 agosto 2009, n. 18231, in Società, 2009, 1247 ss.; Cass., 12 marzo 2012, n. 3902, reperibile in www.dejure.it. L’inoperatività del sindacato giudiziario va garantita a condizione che la scelta di gestione: a) non coinvolga alcun interesse diretto o indiretto degli amministratori; b) sia una decisione informata (c.d. duty of care); c) adottata in buona fede e d) nella convinzione di agire nell’interesse della società; cfr. C. ANGELICI, Diligentia quam in suis e Business Judgement Rule, in Riv. dir. comm., 2006, I, 690 ss.; F. BONELLI, Gli amministratori di S.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, Giuffrè, 2004, 183 ss.; P. PISCITELLO, La responsabilità degli am­ministratori di società di capitali tra discrezionalità del giudice e business judgement rule, in Riv. soc., 2012, 1167 ss.; A. TINA, Insindacabilità nel merito delle scelte gestionali degli amministratori e rinuncia all’azione sociale di responsabilità (art. 2393, ultimo comma, c.c.), in Giur. comm., 2001, II, 334 ss.; S. SCOTTI CAMUZZI, (nt. 68), 467.

[74] Va comunque registrato un diverso ed autorevole orientamento secondo cui la Business Judgement Rule non potrebbe trovare applicazione in quanto il legislatore avrebbe già individuato con precisione l’obbligo, nei termini non di qualsiasi assetto, ma di un assetto adeguato, così circoscrivendo la discrezionalità degli amministratori e, pertanto, la decisione in merito agli assetti sarebbe sottoposta ad un sindacato giudiziario pieno: P. MONTALENTI, La gestione dell’impresa di fronte alla crisi tra diritto societario e diritto concorsuale, in RDS, 2011, 828 ss.; cfr. ID., Diritto dell’impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi: appunti, in Giur. comm., 2018, 62 ss., ivi, 78 s., ove si prospetta, per la valutazione delle condotte con rifermento alle “nuove clausole generali” (quali, appunto, l’adeguatezza degli assetti organizzativi), il ricorso allo scrutinio fondato sulla clausola di correttezza, che “consente uno scrutinio più stringente delle scelte d’impresa rispetto alla sindacabilità delle sole opzioni manifestamente irrazionali consentita dalla business judgement rule”.

[75] Per la necessità che la valutazione di adeguatezza, se effettuata in termini di responsabilità, debba essere “effettuata con la ragionevolezza del giudizio ex ante, tenuto conto dei margini di imprevedibilità dei fenomeni economico-finanziari”, rinvio a P. MONTALENTI, Diritto del­l’impresa in crisi, (nt. 74)78. L’assolvimento del dovere di informazione è il necessario presupposto per la predisposizione di assetti adeguati: alla luce dei principi di cui la Business Judgement Rule costituisce la sintesi, il giudice può sindacare la condotta degli amministratori sotto il profilo istruttorio e informativo, naturalmente con riferimento alle circostanze concrete presenti e normalmente conoscibili nel momento in cui le condotte sono poste in essere; per la sindacabilità del mancato apprestamento degli strumenti adeguati per assumere le necessarie informazioni, si veda M. MOZZARELLI, (nt. 67), 733; ciò vale anche con riferimento all’assun­zione di informazioni rilevanti ai fini della rilevazione di una situazione di crisi: M. MIOLA, Riflessioni sui doveri degli amministratori in prossimità dell’insolvenza, in AA.VV., Studi in onore di U. Belviso, I, Bari, Cacucci, 2011, 609 ss.; N. ABRIANI, Le azioni di responsabilità nei confronti degli organi della società fallita, in Riv. dir. impr., 2008, 371 ss.; F. BRIZZI, Responsabilità gestorie in prossimità dello stato di insolvenza e tutela dei creditori, in Riv. dir. comm., 2008, I, 1027 ss.