Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Fallimenti del mercato: i limiti della giustizia mercantile e la vuota nozione di parte debole (di Francesco Denozza)


Sommario/Summary:

1. Fallimenti del mercato e disciplina dei contratti - 2. Fallimenti del mercato, “debolezza” della parte e problemi di giustizia. - 3. Quale rapporto tra “debolezza” e giustizia? - 4. Il corretto funzionamento del mercato implica l’esistenza di meccanismi che garantiscono la giustizia degli scambi e che non operano nella situazioni qualificabili come market failures? - 5. La “ volontarietà” come meccanismo presunto idoneo ad assicurare la giustizia degli scambi che si svolgono sul mercato e che verrebbe meno nei casi di suo fallimento. - 6. I fattori di involontarietà degli scambi presenti in caso di market failure non sono qualitativamente diversi da quelli che operano su mercati pur correttamente funzionanti. - 7. Conclusioni - NOTE


1. Fallimenti del mercato e disciplina dei contratti

Le nozioni di market failure e di "contraente debole" giocano un ruolo fondamentale nella spiegazione della recente evoluzione della disciplina del contratto, e in particolare delle  regole speciali (rispetto ai rimedi tradizionali connessi ai vizi della volontà) relative al divieto di inserimento di clausole abusive, e agli obblighi di informazione, introdotti nella disciplina di alcune situazioni contrattuali. Molti ritengono che la protezione del contraente debole è, o dovrebbe essere, la finalità perseguita da tutte queste discipline speciali[1]. Altri usano la nozione di market failure per tipizzare le situazioni che giustificano l'intervento del legislatore[2]. La c.d. asimmetria informativa è oramai un punto di riferimento imprescindibile di tutte le discussioni sugli obblighi di informazione precontrattuale, mentre la presenza di posizioni di potere di tipo monopolistico è un riferimento inevitabile (sia pure, talvolta, in competizione con la stessa asimmetria informativa[3]) nelle discussioni in tema di clausole e comportamenti abusivi. Meno trattabile dal punto di vista giuridico si è rivelata l'altra grande categoria di fallimenti del mercato (forse la più importante di tutte), quella delle c.d. esternalità[4] (resta comunque il fatto che la giustificazione prima di ogni limitazione dell'autonomia contrattuale è proprio il rischio di esternalità: molti problemi specifici, anche tra quelli rientranti nelle materie cui si è pocanzi accennato, possono infatti essere impostati sostanzialmente in termini di esternalità[5]). Una certa connessione tra i fenomeni di market failure e il riferimento alla nozione di "parte debole" è evidente. Debole può essere qualificata la vittima di una asimmetria informativa, debole può essere considerata la parte, costretta o ingannata, che accetta clausole per lei inique, debole può essere considerato il soggetto discriminato da un'impresa dominante, ecc. Quale sia l'esatto rapporto tra le due prospettive (quella in termini di protezione della parte debole e quella in termini di market failure) non è però chiarissimo, né sul piano del criterio di identificazione dell' insieme di situazioni che richiedono un intervento (i due insiemi coincidono o sono diversi?) né su quello della descrizione delle finalità dell'intervento (dove [...]


2. Fallimenti del mercato, “debolezza” della parte e problemi di giustizia.

All'analisi delle precise ragioni che possono potenzialmente motivare la necessità di un intervento legislativo non viene dedicata in genere particolare attenzione. L'esistenza di una market failure, o la presenza di una parte debole, vengono presentati come motivi auto-evidenti non bisognosi di ulteriore illustrazione. Si pone allora il problema di chiarire se i due fenomeni in questioni evochino questioni di efficienza o di giustizia. Per chi opera con il concetto di market failure è facile stabilire un legame con questioni di efficienza. L'efficienza, intesa come massimizzazione del benessere complessivo, è uno dei pregi fondamentali rivendicati al mercato dai suoi sostenitori e il fatto che chi ha a cuore le sorti dell'economia di mercato debba preoccuparsi delle cadute di efficienza provocate da malfunzionamenti dei mercati concretamente esistenti, può sembrare una conclusione così ovvia da non avere bisogno di alcuna giustificazione particolare[10]. Qualche incertezza può invece suscitare il riferimento alla parte debole. Sul piano retorico è evidente che l'uso di questo appellativo ha l' ovvia capacità di allontanarci da freddi calcoli di efficienza e di trascinarci in un mondo di empatia nei confronti dei soggetti protetti, sollecitando riflessioni, vagamente attinenti a temi di giustizia, in ordine alla opportunità che i deboli siano protetti e i prepotenti puniti[11]. Resta comunque una certa ambiguità, soprattutto in quelle formulazioni in cui la parità di forza delle parti è presentata come una caratteristica del mercato ideale e dove potrebbe sorgere il dubbio che l'intervento a favore della parte debole sia concepito come strumento per ripristinare un mercato perfettamente funzionante come obiettivo valido in sé, a prescindere da ogni ulteriore considerazione di giustizia (e quindi non con l' intento di intervenire sugli esiti del gioco, ma col solo fine di creare un campo da gioco appropriato[12]). Non mi sembra perciò inutile una pur breve trattazione del tema se la protezione dei soggetti deboli possa giustificare interventi correttivi di situazioni di market failure, a prescindere da considerazioni di giustizia, e al solo fine di ripristinare un corretto funzionamento dei meccanismi di mercato. La tesi che intendo sostenere è che in una prospettiva di ripristino dei meccanismi di mercato, la finalità [...]


3. Quale rapporto tra “debolezza” e giustizia?

Ricondotta la valutazione di debolezza al tema della giustizia, occorre ora chiarire quali sono le questioni di giustizia precisamente evocate dal riferimento alla debolezza di una parte. Non intendo qui entrare nel dibattito (che comporterebbe, tra l'altro, pesanti oneri definitori) relativo alla distinzione tra giustizia commutativa e giustizia distributiva[20]. Mi limito a qualche circoscritta precisazione.   Ogni interazione può essere sottoposta a due tipi di giudizio. Uno osserva le caratteristiche dell' interazione isolatamente considerata e valuta, per esempio, se esista parità (in qualsiasi modo definita) tra prestazione e controprestazione. L'altro inquadra l'interazione nell'ambito di uno schema di appropriata assegnazione di benefici e sacrifici tra i membri di una certa comunità[21], e valuta se esista corrispondenza tra ciò che ciascuno dà o ottiene e certe sue qualità considerate rilevanti dal punto di vista di un ordinamento generale[22]. Posti di fronte al  problema della giustizia di uno scambio si tratta pertanto di decidere preliminarmente  se si intende valutarlo  dal punto di vista della sua idoneità a realizzare una qualche forma di armonia tra le parti, o se si intende valutarlo dal punto di vista della sua capacità di far pervenire alle parti quello che a ciascuna di esse spetta in base alle rilevanti qualità possedute. La seconda valutazione suppone ovviamente il riferimento ad un sistema che attribuisce rilevanza a qualità che le parti possiedono prima e a prescindere dalla interazione considerata. Ciò premesso, mi sembra che le tesi che attribuiscono rilevanza alla debolezza di una parte si collochino piuttosto nella prima che non nella seconda prospettiva[23]. Anzitutto, la debolezza è valutata con esclusivo riferimento allo scambio di cui si discute, con l'ovvia conseguenza per cui il soggetto protetto potrebbe essere per molti profili altri (rispetto alla sua posizione in quello specifico scambio) molto più forte del soggetto nei cui confronti è protetto[24]. Inoltre,  la sostenuta rilevanza della debolezza non è in genere supportata dal riferimento ad un ordine che stabilisca in via generale cosa spetta ai forti e cosa spetta ai deboli[25]. La debolezza del soggetto non rileva come una qualità apprezzabile nell'ambito di un sistema che definisce la giusta ripartizione [...]


4. Il corretto funzionamento del mercato implica l’esistenza di meccanismi che garantiscono la giustizia degli scambi e che non operano nella situazioni qualificabili come market failures?

A questo punto una piena valutazione della tesi enunciata, e dei tre enunciati in cui articola, richiederebbe la preliminare valutazione dell'esattezza dell'enunciato sub a (un mercato correttamente funzionante garantisce la giustizia - procedurale- degli scambi che in esso si svolgono). Con il che si porrebbero interrogativi di grandissima portata: quello relativo a cosa debba intendersi per mercato che funziona in maniera soddisfacente, quello relativo alla precisazione del contenuto delle  regole che lo caratterizzano, quello relativo ai criteri in base ai quali si potrebbe sostenere la giustizia degli esiti che si producono rispettando le regole in questione. Poiché siamo partiti dal tema delle market failures, e dalla connessa debolezza di un contraente, possiamo alleggerire il compito enorme di affrontare tutti questi interrogativi e limitarci a chiederci se questi fenomeni siano caratterizzabili come ipotesi in cui viene meno il funzionamento di qualche meccanismo, che, in caso di mercato funzionante, è invece presente, e che sia apprezzabile in base a considerazioni di giustizia. Si tratta cioè di ipotizzare che qui (presenza di contraenti deboli) non opera un meccanismo che nei mercati efficienti garantisce il verificarsi di scambi giusti. La tesi dovrebbe quindi essere: a) esiste un criterio per valutare come giuste certe regole procedurali che presiedono allo svolgimento degli scambi e definiamo come giusti tutti gli scambi che si svolgono nel rispetto di queste regole, b) il mercato efficiente attiva dei meccanismi che garantiscono il rispetto di questo criterio e perciò consideriamo giusti tutti gli scambi che in esso si svolgono; c) questi meccanismi vengono però meno in presenza di parti deboli, con la conseguenza che non possiamo più  accettare come giusti  gli scambi che si svolgono in queste condizioni. A questo punto anticipo per comodità del lettore la conclusione cui intendo pervenire. L'elaborata tesi da ultimo ipotizzata, che parte dal criterio di valutazione delle procedure e arriva a stabilire che le procedure di mercato funzionante rispettano un criterio di giustizia mentre quelle in cui c' è una parte debole possono non rispettarlo, è inaccettabile per la ragione che i fenomeni che si verificano in caso di market failures e di presenza di parti deboli, non sono qualitativamente diversi, in una prospettiva di giustizia, da quelli che [...]


5. La “ volontarietà” come meccanismo presunto idoneo ad assicurare la giustizia degli scambi che si svolgono sul mercato e che verrebbe meno nei casi di suo fallimento.

I meccanismi apprezzabili in una prospettiva di giustizia che sarebbero presenti in un mercato funzionante, e che verrebbero meno in caso di fallimenti, possono essere ricondotti a tre categorie[29]. Il primo attiene all'assenza di costrizioni connesse al potere di mercato della controparte(la concorrenza è troppo debole). Il secondo attiene alla consapevolezza della scelta (le asimmetrie informative). Il terzo attiene alla protezione dei terzi che non sono parti dello scambio (le esternalità). Non è difficile constatare che questi tre meccanismi sono tutti riconducibili al denominatore comune della volontarietà. Il che ci conduce non per caso al centro delle considerazioni che vengono solitamente utilizzate per argomentare in favore della giustizia degli esiti di mercato[30]. La tesi formulata pocanzi in astratto può essere ora concretizzata. Il criterio di giustizia è la volontarietà: è ingiusto l'atto di egoche modifica la posizione di altera prescindere o addirittura contro la volontà di quest'ultimo. Nel mercato correttamente funzionante sono presenti meccanismi che assicurano il rispetto di questa regola procedurale e i risultati delle singole interazioni sono perciò giusti. In presenza di fallimenti, e di debolezza di uno dei contraenti, la volontarietà (e con essa la giustizia dello scambio) non è più garantita[31] Il quesito diventa allora se il mercato assicuri normalmente la volontarietà delle posizioni che l'individuo viene a ricoprire mentre in caso di fallimento la volontarietà viene meno[32].


6. I fattori di involontarietà degli scambi presenti in caso di market failure non sono qualitativamente diversi da quelli che operano su mercati pur correttamente funzionanti.

ono in grado adesso di riformulare la mia tesi in modo più concreto. Il mercato non assicura in generale la volontarietà nell'assunzione delle posizioni individuali e gli stessi fenomeni di "involontarietà" che si assumono come caratteristici delle  principali situazioni di market failure  si verificano ugualmente anche là dove non ci sono fallimenti. Cominciamo dagli effetti indiretti degli scambi, le c.d. esternalità. Il mercato, pur correttamente funzionante, è in realtà una fabbrica gigantesca di effetti indiretti su soggetti che non partecipano agli scambi da cui gli effetti derivano, e che vedono perciò modificata la propria situazione da eventi indipendenti dalla loro volontà e su cui non hanno alcun controllo. Questo è un effetto del meccanismo stesso con cui si formano i prezzi di mercato e cioè della legge della domanda e dell'offerta. Per limitarci al fenomeno più facile da cogliere, è evidente che il fatto che altri consumatori abbiano o non abbiano i miei stessi gusti incide sulla domanda del bene che mi interessa e sul suo prezzo,  in un senso che può essere per me casualmente (a seconda delle circostanze) negativo (facendo crescere il prezzo sia in caso di domanda eccessiva, che fa direttamente aumentare il prezzo, sia in caso di domanda insufficiente, che impedisce economie di scala) o positivo (i reciproci dei fenomeni indicati). Questo dato evidente è in genere oscurato dalla distinzione, canonica presso gli economisti, tra esternalità pecuniarie ed esternalità non pecuniarie[33]. Per esternalità non pecuniarie si intendono quelle in cui l' atto di un soggetto incide direttamente sull'utilità di un altro soggetto (è il caso, ad es, di un atto di inquinamento, valutato dal punto di vista della sua idoneità a diminuire direttamente l'utilità che il soggetto vittima dell'inquinamento trae dal bene inquinato). I fenomeni del tipo di quelli descritti pocanzi con riferimento al movimento dei prezzi, appartengono invece alla categoria delle esternalità pecuniarie, definite come quelle in cui l'effetto sull'utilità altrui si produce in conseguenza di una modifica dei prezzi relativi di mercato. In quest'ultimo caso non si ha alcuna distruzione diretta di alcun valore altrui. Il peggioramento (o il miglioramento) della situazione dei terzi è [...]


7. Conclusioni

Se è vero che nelle situazioni di market failure si verificano fenomeni che dal punto di vista della volontarietà, e della conseguente giustizia dello scambio, sono analoghi a quelli che si verificano su qualsiasi mercato, la conclusione è che questioni di giustizia non possono di per sé motivare interventi di correzione dei fallimenti del mercato in nome della tutela di parti deboli e/o della presunta uguaglianza tra le parti che dovrebbe caratterizzare scambi giusti.  Questo non vuol dire che le questioni di giustizia diventino irrilevanti. Significa però che tali questioni devono essere valutate all'interno di un contesto politico, all'interno cioè del contesto che autorizza la correzione di una ingiustizia ma non quella di un'altra. Può ben darsi che in situazioni di fallimento del mercato ci si allontani da un ideale di giustizia (inteso qui come attribuzione ad ognuno delle posizioni che ha deciso volontariamente di assumere) ancora di più di quanto già non ci si allontani in un mercato correttamente funzionante.  L'eventuale intervento non può però essere motivato esclusivamente con l'appello alla giustizia. Occorre invece spiegare quale scelta politica sorregge la volontà di rimediare ad una particolare ingiustizia, in un mondo in cui ingiustizie qualitativamente analoghe sono invece tollerate. Qui il discorso in termini di giustizia esaurisce inevitabilmente le sue possibilità esplicative. Con il che, vorrei in fine chiarire, non significa che si entra nel regno di un opinabile politico, che sfugge totalmente alle competenze del giurista. Significa invece che il quadro diventa più ampio e che chi vuole sostenere l'opportunità di intervenire in favore dei soggetti che considera "deboli" non può affidarsi a facili formulette del tipo "è giusto solo lo scambio tra uguali", ma deve invece acconciarsi al più impegnativo compito di spiegare cosa pensa del mercato in generale, e di chiarire se valuta come giusti o come ingiusti i risultati che il suo funzionamento, anche correttissimo, produce. Deve cioè chiarire se valuta anche i risultati prodotti da un mercato funzionante in base ad un criterio di giustizia, e quale.  


NOTE