Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Concorrenza e coesione sociale (di Mario Libertini )


"Concorrenza" e "coesione sociale" sono entrambe beni giuridicamente tutelati. L'autore riflette sulla compatibilità e sul contemperamento di questi due valori, muovendo da un tentativo di ricostruzione analitica del significato dei due concetti.

Con riguardo alla coesione sociale, l'autore nota come la storia della civiltà sia segnata da un processo non lineare, in cui si registra la stratificazione di orizzonti diversi di solidarietà, che convivono e confliggono fra loro. Una "rivoluzione copernicana" si realizza però con la dicotomia, che diviene tratto costitutivo della civiltà moderna, tra sfera pubblica e sfera privata. I vincoli afferenti alla prima (rispetto della legge, senso civico) divengono dominanti rispetto agli altri orizzonti di solidarietà, che vengono confinati alla sfera privata e ammessi solo in quanto compatibili con la prima.

La dicotomia pubblico-privato e la supremazia dell'etica pubblica hanno subito però, nella storia, diversi attacchi, fra cui il più penetrante è stato, nell'ultimo quarto di secolo, l'egemonia neoliberista. L'evoluzione delle idee e del costume legata alla "globalizzazione" non ha portato - secondo l'autore - ad una crisi generale di valori di solidarietà, bensì ad uno squilibrio fra sfera pubblica e sfera privata, con un sistema di incentivi che orienta i migliori talenti individuali verso il solo settore privato, e con il diffondersi di sentimenti antistatalistici ed antiburocratici, che riduce gli incentivi a bene operare di coloro che agiscono all'interno delle istituzioni pubbliche. Secondo l'autore, il problema centrale del nostro tempo è quello della ri-costruzione di una funzione pubblica forte e indipendente e quindi di un sistema di incentivi virtuosi per gli individui, nonché di una cultura e di un'educazione civica volte a riconoscere ed esaltare il ruolo delle funzioni pubbliche istituzionali, come momenti indispensabili di equilibrio della vita sociale.

Passando all'analisi del concetto di concorrenza, l'autore distingue fra una concezione antica (concorrenza come libertà di scambio; utilità sociale del regime di concorrenza per il contributo che tale regime dà alla formazione del "giusto prezzo" e quindi di un giusto equilibrio nel mercato) ed una moderna (competizione fra imprese, che porta alla selezione di quelle più efficienti e innovatrici, in un processo di "distruzione creatrice"). Oggi la concorrenza, come bene giuridicamente tutelato, si identifica con questo processo dinamico di distruzione creatrice (che comporta anche pesanti costi sociali, tuttavia legittimati dall'idea di sovranità del consumatore). Ciò spiega perché, come è sancito nel Trattato di Lisbona, la concorrenza debba essere tutelata come strumento e non come valore in sé. Si tratta di sostenere e governare un processo di sviluppo economico, pur sapendo che lo stesso dev'essere "sostenibile" e non può essere illimitato.

            Il problema centrale torna ad essere - ad avviso dell'a. - quello di reagire alla mitologia dell'ordine spontaneo e di ricostituire un ordine politico in grado di mantenere e sostenere, per quanto possibile, l'economia di mercato concorrenziale, ma anche di governare i processi economici, nei momenti e nei punti di crisi che questi inevitabilmente manifestano.

                La compatibilità e il contemperamento di "concorrenza" e "coesione sociale" possono essere assicurate, in astratto, dal principio di sussidiarietà orizzontale (i mercati concorrenziali come struttura di base della società e dell'economia e l'azione pubblica in funzione complementare); ma questa aspirazione può essere concretizzata solo affrontando nella sua centralità il problema della crisi delle democrazie contemporanee.

" Competition " and " social cohesion" are both legally protected. The author moves from the analysis of the meaning of these two concepts, in order to reflect on their compatibility and the way to conciliate them.

As far as the idea of "social cohesion" is concerned, the author observes that the history of civilization is marked by a non-linear process, where there is a layering of different horizons of solidarity, which coexist and conflict between them. A "Copernican revolution" occurs, however, by means of the dichotomy - which becomes a constitutive feature of the modern civilization - between the public and the private sphere. The constraints related to the first (rule of law, civic sense) become dominant than the other horizons of solidarity, which are confined to the private sphere and allowed only to the extent compatible with the first.

The public-private dichotomy and the supremacy of public ethics have suffered, however, in history, several attacks, including the strongest one in the last quarter of this century, i.e. the neo-liberal hegemony. The evolution of ideas and customs related to "globalization" has not led - according to the author - to a general crisis of the solidarity values, but to an imbalance between the public and the private sphere, with a system of incentives that orient best individuals to the private sector only, and with the spread of anti-State and anti-bureaucratic feelings, which reduces the incentives to act well for those who work in public institutions. According to the author, the main problem nowadays is to re-build a strong and independent civil service and thus a virtuous system of incentives for individuals, as well as a culture and civic education aimed at recognizing and promoting the essential role of public institutions in social life balances.

As far as the concept of "competition" is concerned, the author distinguishes between an ancient conception (competition as freedom of trade; social utility of the system of competition for its contribution to the "fair price" formation and, as a consequence, to a right balance in the market) and a modern conception (competition among firms, which leads to the selection of the most efficient and innovative ones, in a process of " creative destruction"). Now, the dominating opinion identifies the competition, as a legally protected interest, with a dynamic process of creative destruction (that involves heavy social costs, which are justified, however, by the idea of ​​"consumer sovereignty"). This explains why, as it is enshrined in the Treaty of Lisbon, the competition must be protected as a tool and not as a value in itself. The question is to support and govern the process of economic development in the awareness that economic development must be "sustainable " and cannot be unlimited.

The central problem - in the opinion of the Author - is to abandon the myth of spontaneous markets' order and to rebuild a political order able to maintain and support, as far as possible, the competitive market economy, but also to govern economic processes in critical moments and situations.

In order to assure the compatibility and the reconciliation of "competition" and "social cohesion", the principle of horizontal subsidiarity (competitive markets as the basic structure of society and economy, while the public action would have a complementary function) plays theoretically an important role; however, this can become concrete only by addressing the central issue of the crisis of contemporary democracies.

Sommario/Summary:

1. “Concorrenza” e “coesione sociale” sono entrambi beni giuridicamente tutelati - 2. Il contemperamento fra questi due valori dev’essere cercato sul terreno della “sussidiarietà orizzontale” - 3. Difficoltà di contemperamento e opportunità di approfondimento analitico dei due termini - 4. La stratificazione di diversi orizzonti di solidarietà nella civiltà contemporanea e l’importanza della distinzione tra sfera pubblica e sfera privata - 5. Gli attacchi contro il primato della sfera pubblica: l’egemonia liberistica della fine del XX secolo - 6. La società globalizzata e l’idea di indebolimento strutturale e irreversibile della sfera pubblica - 7. L’idea di irreversibile disgregazione sociale nel mondo globalizzato. Critica - 8. Possibilità di ricostruzione di un’etica pubblica liberale in un mondo globalizzato - 9. La concorrenza come bene giuridicamente tutelato: dall’idea di concorrenza come equilibrio negli scambi e garante del giusto prezzo a quella di concorrenza come processo di distruzione creatrice - 10. La legittimazione della concorrenza dinamica: sostegno dello sviluppo e del benessere, in un quadro di sovranità del consumatore. La concorrenza fra imprese è uno strumento e non un valore in sé - 11. Le critiche radicali alla concorrenza come valore: la concorrenza economica come fattore di disgregazione sociale - 12. Il problema insoluto del controllo dello sviluppo capitalistico - 13. La migliore risposta oggi presente sta nei principi costituzionali dell’ordinamento europeo: sussidiarietà (anche orizzontale) ed economia sociale di mercato - 14. Ritorno al punto centrale della necessità di ricostruzione di un potere pubblico forte e indipendente - NOTE


1. “Concorrenza” e “coesione sociale” sono entrambi beni giuridicamente tutelati

Una riflessione sui temi indicati nel titolo impone di muoversi, sia pure con prudenza, su un terreno storico e filosofico. Vorrei però subito aggiungere che questi temi hanno anche un diretta rilevanza di diritto positivo, nel senso che, attualmente, sia la "concorrenza" sia la "coesione sociale" sono entità espressamente tutelate dall'ordinamento. Per quanto riguarda la concorrenza (i.e. la concorrenza fra imprese) non ci sono più dubbi sul fatto che essa sia un bene giuridicamente tutelato - anche a livello costituzionale - sia nell'ordinamento europeo sia in quello italiano[1]. Ma uguale rilevanza di diritto positivo deve attribuirsi al valore della "coesione sociale". In tal senso suona espressamente l'Art. 3 T.U.E.: "L'Unione promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà fra gli Stati membri"; ed in tal senso deve essere letto (come si tornerà a vedere più avanti), il principio generale di tutela dello "sviluppo sostenibile" (così, ancora nell'art. 3 T.U.E.:"L'Unione si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un'economia sociale di mercato fortemente competitiva…")[2]. Anche nel diritto italiano si nota lo stesso fenomeno. La Repubblica tutela la concorrenza (artt. 42, 117 Cost.), ma "richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale"(art. 2 Cost.). Nell'organizzazione governativa italiana abbiamo poi un Ministero per lo Sviluppo Economico e un Ministero per la Coesione territoriale; abbiamo anche un Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Economica. Anche nella legislazione si tende sempre più ad utilizzare come endiadi l'espressione "sviluppo economico e coesione sociale" (v., per es., art. 27, comma 2, d.l. 6.12.2011, n. 201, conv. con l. 22.12.2011, n. 214).


2. Il contemperamento fra questi due valori dev’essere cercato sul terreno della “sussidiarietà orizzontale”

Occorre dunque riflettere sulla compatibilità e sui modi di contemperamento di questi diversi valori ed obiettivi. Si può subito osservare che quella che, a prima vista, sembra una "quadratura del cerchio", trova una soluzione normativa, abbastanza diffusa, in termini di complementarietà e di "sussidiarietà orizzontale"[3]: il diritto europeo vuole quanta più concorrenza possibile, ma garantisce anche la presenza di servizi di interesse economico generale e garantisce i diritti sociali degli individui. Aggiungo che, a mio avviso, questa idea "di primo impatto" è anche quella giusta, nel senso che la concorrenza fra imprese non favorisce di per sé la coesione sociale, ma è necessaria per l'efficienza del sistema economico e per il benessere complessivo: perciò dev'essere tutelata, ma in un quadro di valori che la consideri come uno strumento (insieme con altri) e non come fine a se stessa. Il problema sta piuttosto nel "come" questa complementarietà fra i due valori possa realizzarsi. E qui si deve francamente riconoscere che la coesistenza fra i due valori non è semplice, né lineare. Sarebbe facile farsi tentare da un'idea decourbertiniana, per cui una concorrenza ben ordinata cementerebbe la solidarietà complessiva (così come si dice tradizionalmente che accada con la partecipazione in comune a competizioni sportive). Ma si tratterebbe di un'idea bugiarda: a parte la considerazione che essa non funziona bene neanche per le competizioni sportive, né per la competizione fra individui all'interno di organizzazioni stabili, ancor meno questa idea potrebbe funzionare per la concorrenza fra imprese. Questa è una gara in cui i perdenti sono normalmente destinati a scomparire; e la sconfitta delle imprese perdenti porta con sé non solo la perdita di capitali, ma anche il sacrificio deglistakeholders(lavoratori, in primo luogo),che su quelle imprese avevano puntato, per volontà o per necessità.  E' vero che un'economia di mercato concorrenziale ben funzionante realizza risultati di efficienza allocativa: ma questo tipo di efficienza misura la soddisfazione degli individui in termini di beni e servizi acquistabili nei mercati - che è certo una componente fondamentale del "benessere" - ma non misura interamente il benessere collettivo (che è fatto anche della fruizione di beni pubblici), e tanto meno la [...]


3. Difficoltà di contemperamento e opportunità di approfondimento analitico dei due termini

Dunque, se la coesione sociale è un valore, l'economia di mercato concorrenziale non è l'ambiente più adatto a realizzarlo. Devono esserci altri strumenti sociali e giuridici che sostengano il valore della coesione. La mia tesi è che il contemperamento fra queste due istanze rimane possibile, nel senso della complementarietà fra mercati concorrenziali e azione pubblica volta a garantire un livello elevato di beni pubblici e di servizi pubblici, ma non è affatto semplice e lineare; esso richiede scelte consapevoli sul terreno filosofico-politico; scelte difficili perché dovrebbero innestarsi sulla consapevolezza (di solito censurata, o mancante) delle aporie profonde del nostro sistema economico e giuridico. Per argomentare questa tesi, ritento opportuno muovere da un tentativo di  esercizio analitico, che investirà prima il concetto di "coesione sociale" e poi quello di "concorrenza".


4. La stratificazione di diversi orizzonti di solidarietà nella civiltà contemporanea e l’importanza della distinzione tra sfera pubblica e sfera privata

Cominciando dunque dal primo termine, credo che "coesione sociale" possa definirsi come riconoscimento reciproco di una comune appartenenza ad una formazione sociale, chiusa o aperta, ma comunque legata da valori e beni comuni e da vincoli di solidarietà, pur nella possibilità di differenze, anche cospicue, di ruoli e di condizioni di vita dei singoli[5]. Nelle sue grandi linee, la storia della civiltà umana (intesa come storia delle idee, prima ancora che come storia del diritto e delle istituzioni) ci mostra un processo espansivo degli orizzonti di solidarietà, che appare segnato dai seguenti passaggi idealtipici[6]: 1)                 coesione di branco (fondata su convivenza stabile e sul riconoscimento di gerarchie interne); 2)                 coesione tribale (fondata su vincoli di comune parentela, cioè di discendenza di sangue); 3)                 coesione comunitaria (fondata su vincoli religiosi, linguistici, di costume, di norma collegati alla residenza in un certo territorio); 4)                 coesione feudale (fondata su vincoli relazionali, su base volontaria, di fedeltà/protezione); 5)                 coesione statale/nazionale (monarchie, repubbliche e imperi, non sempre monolitici dal punto di vista religioso; patriottismo); 6)                 coesione umanitaria universalistica (cristianesimo, diritti dell'uomo; fino a un certo punto anche l'Islam); 7)                 coesione universalistica altruistica (i.e. estesa alla protezione di soggetti deboli: solidarietà intergenerazionale, riconoscimento di diritti dell'ambiente e degli animali)[7]. Quello disegnato nel precedente elenco è stato, ed è, un processo nient'affatto lineare: il passaggio ad uno stadio più avanzato non implica mai cessazione dei vincoli di solidarietà precedenti. Il passaggio ad orizzonti di solidarietà più ampi [...]


5. Gli attacchi contro il primato della sfera pubblica: l’egemonia liberistica della fine del XX secolo

Questa risposta, tuttavia, non ha mai acquisito (fatte salve, forse, poche eccezioni in alcuni contesti europei) una posizione socioculturale di piena e generale accettazione da parte degli individui. Non mi riferisco solo all'inevitabile permanere di fatto, nel costume e nelle consuetudini, di forme di solidarietà premoderne. La difficoltà di conseguimento di una posizione egemonica si coglie chiaramente anche nella storia delle idee. La dicotomia pubblico/privato e la supremazia dell'etica pubblica e del diritto pubblico sono stati, da prima, contrastati dai nostalgici delle società intermedie e dei valori comunitari tradizionali, nonché del primato della religione; poi ha subito l'attacco del pensiero marxista, volto ad affermare il primato etico-politico della solidarietà di classe internazionale, contro l'ideologia statalistica "borghese". Nell'ultimo mezzo secolo l'ideologia liberale ha anche subito l'attacco delle filosofie politiche neocomunitarie[9] (queste ultime, peraltro, di scarso seguito in Italia[10]). Tutte queste critiche sono accomunate dall'avversione all'individualismo liberale, visto da un lato come distruttivo di valori profondi della vita collettiva, dall'altro come astrazione ideologica, atta a nascondere le reali dinamiche della vita sociale. Nell'ultimo quarto di secolo, il più penetrante attacco all'etica pubblica liberale e alla dimensione centrale del "pubblico", che in essa è stata struttura portante, è venuto però proprio "dall'interno", cioè dall'egemonia neoliberistica che ha seguito la caduta dei regimi comunisti ed ha creato un diffuso atteggiamento antistatalistico, accompagnato dalla fiducia nelle capacità di autoregolazione spontanea dei mercati. Sullo sfondo di questa ondata neoliberistica (che ha visto il liberismo economico conquistare, per la prima volta nella storia, posizioni egemoniche nella cultura politica del mondo occidentale[11]) sta una sorta di individualismo ontologico: l'individuo è visto come unica realtà e unico valore, la funzione della sfera pubblica dovrebbe essere solo quella di garantire l'esplicazione delle libertà individuali, la stessa coesione sociale diviene un fatto privato, normativamente irrilevante (e comunque vista come risultato dell'ordine spontaneo di coesistenza delle scelte individuali). La crisi del 2008 (ancora in corso) ha scosso le fondamenta di questa costruzione, senza aver [...]


6. La società globalizzata e l’idea di indebolimento strutturale e irreversibile della sfera pubblica

Volendo avviare unapars construens,e quindi tentare una definizione di "coesione sociale" come bene e valore giuridicamente tutelato, non è oggi soltanto necessario compiere temerarie incursioni sul terreno della filosofia politica, ma è anche necessario muoversi su un terreno in cui l'evoluzione della storia delle idee non sembra offrirci alcun punto fermo. Con questocaveatmi cimento tuttavia in un percorso che si concluderà con una difesa della concezione liberale della coesione sociale fondata sul rispetto della dicotomia pubblico/privato. Alla base dal ragionamento sta un assunto valutativo, che peraltro non richiede particolari dimostrazioni, perché appartiene ai fondamenti della cultura occidentale: l'ordine politico è preferibile all'anarchia ed è necessario per l'esistenza stessa della civiltà umana[12]. Una volta accettato questo primo punto, un secondo passaggio basilare sta nella scelta tra due fondamentali visoni del mondo, che pur sono presenti nella civiltà occidentale. Da un lato c'è il mito di un'età dell'oro, perduta ma in qualche modo ricostruibile. Questo mito porta alla costruzione mentale di società ideali viventi in perfetto equilibrio e questa costruzione mentale porta con sé, almenoin nuce,proposte ideologico-politiche totalitarie o comunque integraliste: di solito anche al riconoscimento di capi carismatici e alla (necessaria) demonizzazione di un nemico (il distruttore di quell'ordine spontaneo perfetto, che si potrebbe costruire nel mondo e che solo oscure forze del male impediscono di inverare). Pur con rilevanti differenze strutturali (da un lato la mancanza di capi carismatici, dall'altro l'illusione di un possibile equilibrio spontaneo delle vite individuali) il liberismo economico estremistico (anarco-capitalismo) può ascriversi a questa serie di ideologie politiche integraliste e assolutizzanti. Dall'altro lato c'è il relativismo costruttivo, che vede nell'ordine sociale e politico una costruzione artificiale, imperfetta e sempre modificabile, della civiltà umana: dalla cultura greca al liberalismo è questo il filo rosso che lega la corrente principale di idee politiche della civiltà occidentale. In questa prospettiva, la costruzione dell'ordine politico è vista come un compito fondamentale dell'uomo civilizzato, ma l'ordine politico costituito sarà sempre imperfetto e perfettibile. Una [...]


7. L’idea di irreversibile disgregazione sociale nel mondo globalizzato. Critica

Sono numerosissime le denunzie aventi ad oggetto l'individualismo e la disgregazione sociale nella società contemporanea: dalla "folla solitaria" del sociologo D. Riesman (metà del XX secolo)[14] alla "morte del prossimo" dello psicologo L. Zoja (2009)[15]. Numerosissime sono poi le descrizioni dei fenomeni di "disgregazione sociale", che caratterizzano il nostro tempo: bande giovanili, sette religiose fanatiche, "ultras" del calcio, violenza urbana in genere. Anche al di fuori dei fenomeni più gravi, è frequente (ed anche tendenzialmente fondata) l'analisi che descrive il mondo post-'68 (i.e. dopo la ventata anarchica che ha scosso i paesi occidentali nel decennio iniziato nel 1968) come un'affermazione generalizzata di "individualismo desiderante", nutrito di illusioni ma atto a minare alla radice ogni coesione sociale più allargata[16]. Appare anche indebolita quella che, per lungo tempo, era stata vista come la controspinta fondamentale alla supposta disgregazione sociale contemporanea, cioè l'associazionismo e, più in generale, la tutela delle società intermedie[17]. Per i marxisti, poi, l'associazionismo operaio era l'embrione della futura società comunista (e per qualche aspetto lo è stato veramente). Ma l'associazionismo tradizionale - a parte il fatto che non esprime sempre e necessariamente idee di solidarietà, ma spesso riproduce strutture di separazione (nonché fenomeni di autoritarismo all'interno delle varie organizzazioni private) - è entrato in crisi, perfino negli Stati Uniti. E non solo per quanto riguarda i partiti e i sindacati di massa. E' importante però considerare che oggi la comunicazione interpersonale è divenuta soprattutto comunicazione in rete. Molti ritengono che ciò porti ad un isolamento crescente degli individui. In realtà, credo che la rete presenti, su dimensione amplificata, anche fenomeni di portata più generale, già prima presenti, che vanno in direzioni opposte. Da un lato, ci sono fenomeni di comunicazione di gruppo tendenzialmente chiusa (anche se, bisogna aggiungere, quasi sempre pacifica). Questi fenomeni portano effettivamente alla ricostituzione di forme di coesione di prossimità, se pure su base telematica, con una carica potenziale di separazione dal resto del mondo. Dall'altro, tuttavia, ci sono fenomeni di solidarietà universalistica, fra cui spicca la [...]


8. Possibilità di ricostruzione di un’etica pubblica liberale in un mondo globalizzato

In conclusione, direi che la "coesione sociale", come bene giuridicamente tutelato, dovrebbe intendersi come una condizioni socioculturale che ha come suo perno il rispetto della sfera pubblica e del valore della legalità e come suo contenuto il riconoscimento di doveri di solidarietà universalistica allargata, anche nella sua dimensione altruistica, sopra indicata nell'elenco di cui al § 4.


9. La concorrenza come bene giuridicamente tutelato: dall’idea di concorrenza come equilibrio negli scambi e garante del giusto prezzo a quella di concorrenza come processo di distruzione creatrice

Mi propongo ora di fare lo stesso tentativo di esercizio analitico per quanto riguarda il termine "concorrenza", o meglio le ideologie economiche e il riconoscimento corrente della concorrenza (fra imprese) come valore, o comunque come bene giuridicamente tutelato. In proposito si dovrebbe muovere dal convincimento che c'è stata nella storia, e permane tuttora, una profonda differenza nel modo di intendere la nozione stessa di "concorrenza". Sul punto ho cercato, da qualche tempo, di stimolare un dibattito[22], che purtroppo non mi sembra ancora sviluppato in tutta la sua importanza. La concezione più tradizionale (che ho chiamato "concorrenza degli antichi"), identifica la concorrenza con la libertà di scambio (o "di commercio"), cioè con la libertà individuale di comprare e vendere, e vede l'utilità sociale del regime di concorrenza (idealmente coincidente con "libertà di concorrenza") nel contributo che tale regime dà alla formazione del "giusto prezzo" e quindi di un giusto equilibrio nel mercato. [N.B.: la teoria neoclassica della concorrenza perfetta e tutta l'analisi economica del diritto "tradizionale"[23] sono idealmente discendenti da questa concezione antica, anche se traducono l'antica nozione di "giustizia" dei prezzi in quella, idealmente neutrale, di "efficienza allocativa"]. Questo ideale di equilibrio viene messo in crisi allorché, ad un certo punto della storia economica europea, l'obiettivo politico dominante è divenuto non più quello della difesa di un "ordine naturale delle cose" (che comprendeva anche il "giusto prezzo" concorrenziale e l'equilibrio dei mercati, ma prima ancora la stabilità sociale), bensì quello dello sviluppo economico. Dall'età mercantilistica in poi, questo obiettivo dello sviluppo è divenuto realtà politico-economica, e la concorrenza è stata sempre più concepita in un modo differente rispetto al passato: non più libero gioco di scambi fra individui, bensì competizione (dura) fra imprese, in cui il vincitore è anche il più efficiente e il più innovatore; ma la concorrenza fatta di efficienza e di innovazione è, per definizione, un processo in cui soccombe chi non riesce a "tenere il passo". E' nato così quel gioco di "distruzione creatrice", che ha caratterizzato il capitalismo e il suo successo storico. La concorrenza non è [...]


10. La legittimazione della concorrenza dinamica: sostegno dello sviluppo e del benessere, in un quadro di sovranità del consumatore. La concorrenza fra imprese è uno strumento e non un valore in sé

Riflettendo sul sistema economico che abbiamo costruito e che apprezziamo come migliore rispetto a tutti gli altri sperimentati nella storia, dobbiamo chiederci: perché consideriamo equo e degno di tutela un risultato così duro, e a prima vista anche iniquo, come l'espulsione di certe imprese dal mercato, la fine di certe produzioni (anche a scapito della nostalgia di qualche consumatore), talora la scomparsa di intere realtà territoriali (è di questi giorni loshockrisultante dallo spopolamento di Detroit, che era stata una delle capitali dell'industria mondiale), e che, in ogni caso, comporta anche alterazioni ambientali irreversibili? La risposta è intuitivamente nel senso che questi risultati appaiono eticamente e politicamente giustificati solo per il fatto che essi non provengono dalla volontà di un singolo despota, e neanche da quella di un decisore politico collettivo, bensì dall'operare di una "giuria" di consumatori anonimi (e non consapevoli, al momento della loro scelta, dei risultati complessivi a cui questa scelta contribuirà); è dunque un risultato che viene intuitivamente percepito come "democratico", e come tale giustificato. In altri termini, la legittimazione della tutela della concorrenza è pur sempre utilitaristica (in senso lato): il sacrificio di certi interessi (di produttori, ma anche di lavoratori e di consumatori) è giustificato dall'incremento del benessere collettivo; e quest'ultimo assume, a sua volta, un valore positivo sul piano dell'etica collettiva, in quanto "benessere" è la somma di bisogni delle persone soddisfatti, e pertanto maggior benessere significa maggiore quantità di persone che vedono i loro bisogni soddisfatti. A questo punto credo che tutti possiamo convenire con l'assunto secondo cui la concorrenza non è un valore in sé, ma uno strumento che dev'essere governato[24], affinché dia il massimo di benessere alle persone e non si traduca nel suo contrario. Dev'essere governato perché la libera concorrenza, affidata ai soli strumenti giusprivatistici, può svilupparsi (e normalmente si sviluppa) nella formazione di cartelli e monopoli. Ma dev'essere governato anche perché non si deve pensare che la concorrenza fra imprese, e l'offerta sul mercato di beni e servizi, possa offrire la soluzione a tutti i problemi dell'umanità. Vi è stato un lungo periodo della storia [...]


11. Le critiche radicali alla concorrenza come valore: la concorrenza economica come fattore di disgregazione sociale

Più in generale, sul piano della storia delle idee esiste anche una lunga linea di pensiero ottocentesco e del primo Novecento, che sottolinea la "immoralità" della concorrenza economica e i suoi effetti di disgregazione sociale[25]. Su questa linea si è innestato un piccolo filone di pensiero, oggi sopravvissuto soprattutto nell'ambito della corrente di idee ecologista (o meglio: anarco-ecologista), che collega idealmente il principio di libera concorrenza ad una pulsione di morte, che pervaderebbe la civiltà contemporanea[26]. Ma queste sono correnti di pensiero assolutamente minoritarie. Il mainstream è completamente diverso: il principio di tutela della concorrenza si è oggi affermato, praticamente, in tutto il mondo. Determinante è stata l'emulazione dell'esperienza americana. Ma ancor più determinante è stata, al fondo, l'idea per cui la concorrenza fra imprese porta sviluppo e lo sviluppo economico porta maggior benessere alle persone e il maggior benessere comporta, in linea di massima, anche maggiore libertà per le persone[27] (idea che sarebbe sciocco denunziare come priva di fondamento). Con ciò si è spesso dimenticato che la prima affermazione del principio di libertà di concorrenza era legata alla scoperta che i vizi privati potevano divenire pubbliche virtù, e quindi era strutturalmente collegata all'idea della tutela dei "vizi privati" e alla fiducia nella "mano invisibile". Poi, com'è noto, A. Smith teorizzava che gli egoismi sarebbero stati temperati dalla naturale inclinazione all'empatia fra gli uomini. Ma questo non toglie nulla all'aporia di fondo del sistema economico che si è costruito su queste fondamenta. In ciò vi è una ambiguità diversa, che riguarda la stessa impostazione concettuale del problema: la tutela della "concorrenza" è divenuta un principio fondamentale dell'ordinamento, ma pochi si chiedono come debba costruirsi il bene giuridico "concorrenza", e molti hanno gli occhi rivolti al passato (e magari continuano a identificare semplicisticamente concorrenza capitalistica e libertà negoziale).


12. Il problema insoluto del controllo dello sviluppo capitalistico

In questo senso può essere illuminante una riflessione storica. L'antitrust americano è nato come disciplina penale antimonopolio e - soprattutto - come disciplina atta a difendere le piccole imprese contro la prepotenza delle grandi. Nella sua lunga storia, l'antitrust ha avuto molte evoluzioni, ma da qualche decennio vede prevalere, se pure fra molti contrasti, l'approccio economico-analitico, che pretende di fondare le proprie soluzioni su un'analisi scientifica dei fatti economici. E, soprattutto, ripropone sostanzialmente il mito della "mano invisibile": la fiducia in un ordine spontaneo salvifico che porta al massimo benessere collettivo. In realtà, l'analisi economica neoclassica è fondata su un'ipotesi irrealistica (un "individualismo ontologico": l'idea di un mondo fatto da individui che calcolano razionalmente il proprio benessere decidendo se compiere o meno certi atti di scambio); l'analisi economica più sofisticata, fondata sulla teoria dei giochi, presenta complicazioni tali da renderne sconsigliabile l'impiego diretto sul piano giuridico. L'approccio economico dominante alla politica di concorrenza è, in realtà, in un'impasse.I giuristi non sono stati all'altezza della sfida degli economisti (o ne hanno sposato opportunisticamente le ragioni, in una prospettiva di rafforzamento dello specialismo professionale e accademico in materia). Oggi un approccio razionale alle politiche di tutela della concorrenza deve muovere dal riconoscimento che la concorrenza va tutelata come strumento e non come valore in sé, e va tutelata proprio in quanto processo dinamico di distruzione creatrice. Ma proprio per questo la tutela della concorrenza deve incontrare dei correttivi e dei limiti. Il problema è quello di "governare lo sviluppo capitalistico"; ma l'individuazione di un modello di equilibrio, all'interno di questo sistema, è un problema insoluto. Più volte è stata usata, in proposito, una felice metafora: "afferrare Proteo"[28]. Negli ultimi trent'anni Proteo è cresciuto a dismisura, e per qualche tempo è stato anche oggetto di adorazione acritica. Negli ultimi anni l'adorazione è generalmente cessata, ma continuano a mancare gli strumenti e le idee necessari per guidare i processi economici. Le vicende finanziarie degli ultimi anni e di oggi stanno a confermare questa tesi.           Per riflettere [...]


13. La migliore risposta oggi presente sta nei principi costituzionali dell’ordinamento europeo: sussidiarietà (anche orizzontale) ed economia sociale di mercato

Personalmente sono convinto che la sola, grande sfida alternativa al pensiero liberista sia già presente nelle scelte di principio ("costituzionali") compiute nell'ordinamento europeo, ed ancora solo in parte attuate. Da un lato il principio di sussidiarietà, con la carica universalistica che in esso è presente e che ha come sbocco logicamente necessario anche la costruzione di un ordine politico globale. Dall'altro, per ciò che attiene ai rapporti fra mercato concorrenziale e potere politico, l'eredità del pensiero ordoliberale e la dottrina dell'economia sociale di mercato.           L'idea, che sta alla base della dottrina dell'ESM, è quella per cui l'economia di mercato, caratterizzata dalla concorrenza fra imprese, selezionate dalla libera scelta dei consumatori, costituisce il sistema migliore che l'umanità abbia mai sperimentato, sulla via del benessere economico e della libertà delle persone. Tuttavia, l'economia di mercato concorrenziale, presenta - secondo l'ESM - due limiti strutturali e funzionali: (i)                 il primo limite è dato dal fatto che la concorrenza fra imprese è un meccanismo che tende ad essere autodistruttivo, nel senso che i meccanismi di mercato, lasciati alle libere negoziazioni, tendono ad irrigidire le posizioni acquisite, sfociando nella creazione di cartelli e monopoli:  nel momento in cui la concorrenza si irrigidisce ed il potere di mercato si rafforza con le sue alleanze sociali, la macchina "meravigliosa" del mercato perde la sua funzione essenziale di progresso ed anche la sua legittimazione democratica; da qui la necessità che il potere pubblico riesca a porre in essere una efficace politica antitrust, volta a garantire il buon funzionamento dei mercati nel tempo e il controllo del potere economico privato; (ii)               il secondo limite è dato dal fatto che, pur essendo il mercato lo strumento principale per assicurare alle persone i beni e i servizi di cui esse sentono effettivamente il bisogno, tuttavia esso non è in grado di assicurare alle persone tutti i beni necessari per una elevata qualità della vita: alcuni di questi beni (compresi in un elenco che può andare dall'aria pulita alla sicurezza [...]


14. Ritorno al punto centrale della necessità di ricostruzione di un potere pubblico forte e indipendente

Ritorna quindi il tema centrale, che avevo cercato di evidenziare di porre al centro della precedente riflessione su solidarietà e coesione sociale. Il problema centrale del nostro tempo è - a mio avviso - quello di reagire alla mitologia dell'ordine spontaneo e di ricostituire un ordine politico in grado di mantenere e sostenere, per quanto possibile, l'economia di mercato concorrenziale, ma anche di governare i processi economici, nei momenti e nei punti di crisi che questi inevitabilmente manifestano.           Il ragionamento sopra svolto riconduce però nuovamente al punto centrale della necessità di costruzione di un ordine politico forte, in grado di assumere decisioni di portata strutturale, quando se ne presenti il bisogno. Tutto il contrario della tesi della "competizione fra ordinamenti", che ha avuto un effimero successo una decina di anni fa, e che riduceva la funzione del potere pubblico in materia economica a quella di strumento ausiliario rispetto al libero dispiegarsi del funzionamento dei mercati finanziari.           Ci sarebbe dunque da ricostruire una democrazia, caratterizzata ovviamente sempre da una scelta dei governanti mediante libere elezioni, ma con un rafforzamento delle funzioni di governo (ai vari livelli), con garanzia di indipendenza e con parlamenti di piccole dimensioni e con funzioni primarie di controllo.           Non voglio proseguire in un discorso che potrebbe facilmente cadere nelle nebbie del pensiero desiderante, e ci porterebbe anche lontano dal tema principale.           Aggiungo però due considerazioni finali.           La prima è che il principio di concorrenza, come strumento di selezione di persone, gruppi, organizzazioni migliori, non dovrebbe valere solo per il livello della concorrenza fra imprese (che è un tipo di concorrenza, come abbiamo visto, che presenta anche profili di rischio per il mantenimento di elevati livelli di coesione sociale). Dovrebbe valere anche per quanto riguarda la concorrenza di merito fra individui all'interno delle organizzazioni pubbliche (scuole, uffici) e per quanto riguarda la concorrenza fra organizzazioni non imprenditoriali (per es., le università[29]). E' questo un tipo di selezione [...]


NOTE