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Il diritto vivente in divenire (di Loredana Nazzicone, Consigliere della Corte Suprema di Cassazione)


Sommario/Summary:

I. Perché "il diritto vivente in divenire" - II. Questioni sostanziali - 1. La forma del negozio fiduciario su beni immobili, con l'ulteriore questione della forma del trasferimento fiduciario di partecipazioni sociali. - 2. La nullità selettiva dei contratti di investimento. - 3. Lo swap degli enti locali. - 4. Invio dell’assegno per posta e concorso del fatto del debitore ex art. 1227 c.c. - 5. La prededuzione del subappaltatore negli appalti pubblici. - 6. Cartella di pagamento e beneficium excussionis ex art. 2304 c.c. - 7. Il rapporto di lavoro giornalistico. - 8. Fondi immobiliari chiusi ed aliquota ridotta per le imposte ipotecarie e catastali. - III. Questioni processuali - 1. La responsabilità della Consob e della Banca d’Italia per omessa vigilanza: questione di giurisdizione. - 2. Rapporti tra sezioni ordinarie e sezioni specializzate per l'impresa. - 3. Contratti bancari, decreto ingiuntivo ed onere di intraprendere il procedimento di mediazione. - 4. Proponibilità dell'azione revocatoria contro un fallimento. - 5. Ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione contro il decreto che decide sul reclamo avverso il riparto parziale. - 6. La rappresentanza processuale di Agenzia delle Entrate Riscossione.


I. Perché "il diritto vivente in divenire"

Lo scopo della presente rubrica, che si inaugura in questo fascicolo nella sezione “Giurisprudenza delle Corti superiori”, è dare conto dei più recenti sviluppi della giurisprudenza di legittimità, e, ove possibile, di quelli ancora in divenire.

Se l’ordinamento assegna alla Corte di cassazione il ruolo di esprimere «l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni» (art. 65 ord. giud.), essa vi concorre con le altre magistrature e con le corti sovranazionali.

Da qualche tempo si assiste ad un’evoluzione nel ricorso ai criteri interpretativi, con una progressiva svalutazione di quello puramente letterale (e non è un caso che lo stesso avviene per l’interpretazione del contratto), sino ad affermare che l’art. 12 delle preleggi persegua soprattutto il fine della coerenza della norma e del sistema.

Al canone dell’interpretazione logico-sistematica si dà, così, rilievo preminente, nella ricerca della coerenza entro il settore specifico (ratio legis), nonché con i principî costituzionali e con i principî generali dell’ordinamento (ratio iuris).

Il “diritto vivente”, come risulta dalle pronunce della Cassazione, finisce in tal modo per integrare l’ordinamento.

Ma le pronunce dei giudici sono delimitate dalla soluzione della questione sottoposta (il thema decidendum), né possono ambire a sistema, specie ove individualmente considerate.

La ricostruzione di un sistema, normativo e concettuale, efficiente è però ineludibile, tanto più a fronte, proprio nel diritto dell’economia, di tante norme e concetti di derivazione europea, di taglio pragmatico e non di rado provenienti da sistemi giuridici segnati da una tendenziale sottoteorizzazione.

Una volta ricondotta l’interpretazione della disposizione (bandito ogni eccesso di interpretazione creativa) a rinvenire quella più corretta all’interno del range permesso dall’enunciato positivo – e non, semplicemente, di una tra le tante interpretazioni possibili – il contributo degli esponenti dell’accademia si palesa quanto mai prezioso: ad essi spetta di concorrere con le corti alla ricostruzione di una dogmatica fruibile, preservando il valore della certezza del diritto.

In questo spirito si pone la rubrica, che dedicherà attenzione soprattutto alle questioni sostanziali del diritto commerciale, senza trascurare i profili processuali interferenti.

 


II. Questioni sostanziali

1. La forma del negozio fiduciario su beni immobili, con l'ulteriore questione della forma del trasferimento fiduciario di partecipazioni sociali.

Cass., sez. II, ord. interl., 5.8.2019, n. 20934 (Pres. Manna, est. Grasso)

1. – La questione. È stata rimessa alle Sezioni unite la questione concernente la necessità, a pena di nullità, della forma scritta per il negozio fiduciario che riguardi diritti reali immobiliari.

L’udienza pubblica innanzi alle Sezioni unite è fissata per il giorno 28 gennaio 2020.

2. – La tesi dominante sul trasferimento di beni immobili. Al riguardo, la tesi pressoché unanime afferma che l’intestazione fiduciaria di un bene comporta un vero e proprio trasferimento in favore del fiduciario, sebbene limitato dagli obblighi stabiliti a carico del medesimo, ivi compreso quello del trasferimento: onde il pactum fiduciae deve risultare, allorché abbia ad oggetto beni immobili, da un atto in forma scritta ad substantiam, atteso che esso è sostanzialmente equiparabile al contratto preliminare, per il quale l’art. 1351 c.c. prescrive la stessa forma del contratto definitivo (Cass., ord., sez. I, 11 aprile 2018, n. 9010, in Dir. fall., 2018, 951, con nota di NICITA, in tema di fallimento del fiduciario; Cass., ord., sez. II, 25 maggio 2017, n. 13216, inedita; Cass., sez. II, 9 maggio 2011, n. 10163, in Giur. it., 2012, 1045, con nota di MICHETTI, la quale esclude quindi la possibilità che l’atto scritto venga sostituito dalla confessione dell’altra parte; Cass., sez. II, 7 aprile 2011, n. 8001, in Riv. not., 2011, 1428; Cass., 13 ottobre 2004, n. 20198, in Contr., 2005, 437, con nota di VALENTINI; Cass., 19 luglio 2000, n. 9489, in Dir. fall., 2000, II, 1099, con nota di RAGUSA MAGGIORE; Cass., 29 maggio 1993, n. 6024, in Corr. giur., 1993, 855, con nota di CARBONE).

Ne deriva che l’esistenza del patto scritto non può essere semplicemente desunta da altri documenti scritti che, sia pure implicitamente, ne lasciano solo presumere l’esistenza, ai sensi degli artt. 2725, secondo comma, e 2729, secondo comma, c.c. (Cass., ord., sez. I, 11 aprile 2018, n. 9010, cit.).

3. – La possibilità di ravvisare un negozio unilaterale di assunzione del­l’obbligo di ritrasferimento. Dall’altro lato, una sola decisione – che l’ordi­nanza di rimessione n. 20934/2019 considera in contrasto con la tesi prevalente – si segnala per avere riguardo ad una vicenda particolare, seppur non rara: l’esistenza della mera dichiarazione unilaterale, da parte del fiduciario, in cui egli riconosca la propria obbligazione di ritrasferimento dei beni immobili, a suo tempo intestatigli.

È il caso degli accordi fiduciari, specie tra coniugi, relativi all’intestazione degli immobili acquistati da uno di essi, ma con denaro in tutto o in parte del­l’altro: situazione in cui non è infrequente che l’accordo fiduciario non sia scritto, ma che il soggetto in quel momento beneficiario della intestazione si impegni unilateralmente a modificare in un futuro la situazione secondo gli impegni presi con l’altro soggetto.

In tale sentenza (Cass., sez. III, 15 maggio 2014, n. 10633, vicenda in cui era stato concluso un accordo tra i coniugi, in forza del quale il marito aveva fornito alla moglie il denaro per l’acquisto di quattro immobili, ad essa intestati, finché reputato opportuno, da ritrasferire in proprietà a richiesta), oggetto di numerosi commenti in dottrina (è edita o commentata in Foro it., 2014, I, 2860, con nota di richiami; Guida dir., 2014, n. 25, 72, con nota di PIRRUCCIO; Giur. it., 2015, 582, con nota di STEFANELLI; Contr., 2015, 12, con nota di PATRONE; Resp. civ. prev., 2015, 140, con nota di CORALLO; Questioni dir. famiglia, 2015, n. 5, 90) si afferma – anzitutto – di non condividere la classica ricostruzione del contratto fiduciario come articolato in due negozi, l’uno esterno e reale e l’altro interno ed obbligatorio, osservando che: «qualora tra due parti intercorra un accordo fiduciario, esso comprende l’intera operazione e la connota di una causa unitaria, quella appunto di realizzare il programma fiduciario, mentre per la sua realizzazione possono essere posti in essere diversi negozi giuridici, che a seconda dei casi e degli obiettivi che con l’accor­do fiduciario ci si propone di realizzare possono essere differenti sia nel numero che nella tipologia».

Se ne fa ivi discendere il principio secondo cui, una volta che lo scopo del negozio fiduciario non sia stato realizzato per indisponibilità di uno dei soggetti co­involti, l’analisi deve scendere ad identificare e qualificare i singoli negozi giuridici, onde verificare se taluno possa fondare l’obbligo di ritrasferimento.

E tale negozio viene rinvenuto dalla Corte nell’impegno al ritrasferimento, assunto dal fiduciario con una dichiarazione unilaterale, all’esito di un periodo pluriennale che era iniziato con un pactum fiduciae concluso oralmente dai coniugi.

Si trattava di un atto unilaterale ricognitivo del precedente negozio fiduciario, ma con assunzione di un impegno attuale in capo al fiduciario («Io sottoscritta ... dichiaro che i seguenti beni ... (segue descrizione analitica e comprensiva dei dati catastali e dell’indicazione degli atti di provenienza) sono stati a me intestati fiduciariamente al solo scopo di tutelare i rischi imprenditoriali di mio marito ... Detti beni sono stati acquistati e pagati con denaro di esclusiva proprietà di mio marito e a sua semplice richiesta mi impegno a ritrasferirgliene la proprietà che riconosco essere solo sua»).

Onde, conclude la S.C., «[I]l riferimento alla causa di questo impegno, indicata nel negozio fiduciario intercorso tra le parti, non rileva ai soli fini dell’astrazione processuale, ma è idoneo a dare liceità causale e meritevolezza all’impegno assunto dalla (…) con l’atto unilaterale».

In sostanza, una dichiarazione unilaterale non costituisce necessariamente ed esclusivamente una semplice promessa di pagamento ex art. 1988 c.c., ma ben può costituire autonoma fonte dell’obbligazione, ai sensi dell’art. 1174 c.c.

L’ordinanza interlocutoria n. 20934/2019 si preoccupa anche di riportare le critiche dottrinarie alla predetta decisione.

Si ricorda la diversa qualificazione che, in simili vicende, aveva visto nel­l’impegno al ritrasferimento una proposta e nella produzione di esso in giudizio dalla controparte, di cui mancava la sottoscrizione, l’accettazione (Cass., 1° aprile 2003, n. 4886, in Corr. giur., 2003, 1042, con nota di MARICONDA, e in Arch. civ., 2003, 869, con nota di NAPOLILLO), secondo il principio consolidato, per cui la mancata sottoscrizione di una scrittura privata è supplita dalla produzione in giudizio del documento stesso da parte del contraente non firmatario che ne intende avvalersene (fra le tante, Cass., sez. II, 22 gennaio 2018, n. 1525, Cass., 5 giugno 2014, n. 12711, Cass., 17 ottobre 2006, n. 22223, Cass., sez. III, 12 giugno 2006, n. 13548, Cass., 5 giugno 2003, n. 8983 e Cass., sez. II, 6 ottobre 2000, n. 13335, tutte inedite).

4. – Il trasferimento fiduciario della partecipazione in società immobiliare. In materia societaria, una sentenza, peraltro non molto chiara nel suo svolgimento (anche perché si dilunga in un obiter, dopo avere ritenuto il motivo inammissibile in ragione della novità della questione rilevata dal giudice di appello e non fatta oggetto di censura in cassazione: è Cass., sez. I, 26 maggio 2014, n. 11757, inedita), ha affermato, in applicazione della ricordata tesi dominante, che persino il pactum fiduciae comportante il trasferimento indiretto di beni immobili, attraverso l’intestazione di quote di partecipazione della società proprietaria di tali beni, dovrebbe essere stipulato per iscritto.

L’assunto, nella sua apoditticità, si presta a critica; ma la sentenza non è chiara nelle sue affermazioni e si tratta di un obiter dictum.

Peraltro, con recente ordinanza (Cass., ord. 23 settembre 2019, n. 23609), la sesta sezione o “sezione filtro” della Corte di cassazione ha rimesso alla pubblica udienza della Sezione I civile una questione analoga, ai sensi dell’art. 380-bis, terzo comma, c.p.c., non avendo ravvisato evidenze decisorie tali da consentire la definizione del ricorso presso la sezione. Ivi la sentenza di appello aveva affermato che il negozio fiduciario di quota societaria non richieda la necessaria forma scritta: e ciò, non ritenendo convincente proprio la pronuncia della Corte di cassazione, n. 11757/2014, su cui si era fondata la contraria decisione di primo grado: infatti, in realtà, non si ha necessità della forma scritta del pactum fiduciae quando l’effetto consegua solo indirettamente, come nel­l’ipotesi di trasferimento di partecipazioni societarie.

L’ordinanza n. 23609/2019, nel rimettere alla udienza pubblica, non ha evitato di sottolineare che la peculiarità del caso consisterebbe nella circostanza secondo cui la struttura societaria sarebbe stata posta in essere «solo come mezzo – ovvero puro schermo – per la realizzazione di un trasferimento immobiliare», avendo la parte sostenuto che la società semplice esauriva la sua ragion d’essere nell’essere proprietaria dell’immobile, ed ha richiamato il negozio indiretto, proprio in supposta funzione della definizione della disciplina da applicare sulla forma ad substantiam.

Si ricorda che l’intestazione fiduciaria di quote sociali è ricostruita (da Cass., ord., sez. I, 14 febbraio 2018, n. 3656, in Foro it., 2018, I, 1682; Danno resp., 2018, 735, con nota di MERLI; Società, 2018, 968, con nota di FANELLI; Trusts, 2018, 508; Guida dir., 2018, n. 27, 61, con nota di FINOCCHIARO, pronuncia che ammette l’azione individuale ex art. 2395 c.c. in capo al fiduciante, per il danno cagionato dal mancato esercizio del diritto di opzione da parte del fiduciario, dipeso dalla falsità della situazione patrimoniale redatta dagli amministratori ex art. 2447 c.c.) come avente la propria causa non nel trasferimento del bene, né nella sostituzione al mandante ai fini del compimento di specifici atti, ma «nella combinazione dei due momenti allo scopo della cd. spersonalizzazione della proprietà», con preferenza per la sua «qualificazione – piuttosto che come collegamento negoziale di più atti che restano distinti – come contratto unitario, avente una causa propria, pur nell’ambito del genus dell’agire per conto altrui», con la possibile ricostruzione di un nesso funzionale specifico alla luce del complessivo regolamento d’interessi perseguito, mediante l’individuazione della causa concreta; e dove si discosta dalla ricostruzione alternativa, che delimita gli effetti dell’intestazione fiduciaria di partecipazioni sociali, individuando in capo al fiduciante la titolarità dell’investi­mento ed in capo al fiduciario una mera detenzione autorizzata: con il corollario indesiderabile di dovere così, di volta in volta, stabilire se un certo diritto collegato alla qualità di socio spetti all’uno o all’altro soggetto.

5. – In generale, sul trasferimento di partecipazione sociale di società proprietaria di immobili. In tema di rilevanza dei beni in patrimonio, al fine della alienazione delle quote societarie, si vedano ancora, a vari effetti:

– Cass., sez. III, 7 luglio 2010, n. 16030, inedita, secondo cui l’interme­diazione nella cessione di quote sociali, per gli effetti di cui alla l. 3 febbraio 1989 n. 39, richiede l’iscrizione non già nella sezione sub a) del ruolo di cui all’art. 3, secondo comma, d.m. 21 dicembre 1990 n. 452, relativo agli agenti che svolgano attività per la conclusione di affari relativi a immobili ed aziende, ma in quella sub d), riservata a tutti quegli agenti che non trovano collocazione in una delle sezioni precedenti;

– Cass., sez. II, 11 marzo 2003, n. 3556, in Dir. e pratica società, 2003, n. 13, 80, con nota di FICO, che esclude la necessità di forma scritta ad substantiam ad probationem per il contratto di trasferimento di quote di s.r.l.;

– Cass., sez. I, 23 luglio 1998, n. 7209, in Foro it., 1999, I, 3017, con nota di LA ROCCA e in Giur. it., 1998, 2327, che nega il diritto di prelazione per la vendita di immobili urbani quando si tratti di cessione delle azioni o delle quote di una società di capitali, che non integra trasferimento a titolo oneroso dei beni che ne costituiscono il patrimonio;

– Cass., sez. I, 28 febbraio 1998, n. 2252, in Giust. civ., 1998, I, 1245, Società, 1998, 1163, con nota di PONTI e Giust. civ., 1998, I, 1245, nello stesso senso, con riguardo alla cessione della quota sociale di società di persone con patrimonio immobiliare.

Una lontana decisione (Cass., sez. III, 13 dicembre 1993, n. 12260, non massimata, ma edita in Giur. comm., 1998, II, 443, con nota di CIAN) aveva peraltro ammesso il rilievo della sostanza sulla forma, ed il principio è stato così riassunto dalla massima redazionale: «Ove una società di capitali, costituita per lo svolgimento di un’attività economica, limiti la sua attività, contrariamente al dichiarato scopo sociale, all’acquisto di un immobile ed alla sua concessione in locazione, è ammissibile e non irrilevante – ai fini del riconoscimento del diritto di riscatto a favore dei conduttori dell’immobile, a seguito del trasferimento delle quote sociali – l’indagine diretta ad accertare se il negozio costitutivo della società sia simulato e dissimuli, fra gli apparenti soci, una situazione di comproprietà dell’immobile di cui le quote sociali rappresentino solo le quote di appartenenza; tale accertamento è infatti preliminare alla verifica della reale natura del trasferimento delle quote».


2. La nullità selettiva dei contratti di investimento.

Cass., sez. un., 4.11.2019, n. 28314 (Pres. Mammone, est. Acierno)

Cass., sez. I, ord. interl. 2.10.2018, n. 23927 (Pres. Schirò, Rel. Valitutti)

1. – La questione. La sezione prima ha rimesso all’esame del primo presidente, per la valutazione dell’eventuale assegnazione alle sezioni unite, la questione di massima di particolare importanza concernente la possibilità per l’investitore di fare un uso selettivo della nullità del contratto quadro, limitandone gli effetti solo ad alcune delle operazioni poste in essere in esecuzione del rapporto dichiarato nullo.

2. – I precedenti non univoci. La possibilità di eccepire la nullità soltanto con riguardo ad alcuni ordini di acquisto era stata decisa con ampia tolleranza da una sentenza, secondo cui l’investitore ben potrebbe regolarsi in tal modo in qualsiasi evenienza e con qualunque effetto finale (Cass. 27 aprile 2016, n. 8395).

In senso diverso, si era invece rilevata l’esigenza di scongiurare uno «sfruttamento “opportunistico” della normativa di tutela dell’investitore», con eventuale possibilità per l’intermediario di opporre l’exceptio doli generalis, in ipotesi di mala fede (Cass., ord., sez. I, 27 aprile 2017, n. 10447, in Foro it., 2017, I, 2731, con nota di LA ROCCA; Società, 2017, 1243, con nota di AFFERNI; Dir. banc., 2017, I, 553, con nota di ROMANO; Nuova giur. civ., 2017, 1370, con nota di AMAGLIANI; Banca, borsa, tit. cred., 2017, II, 535, con nota di TUCCI, GIROLAMI; Foro it., 2018, I, 289, con nota di MEDICI). Se ne era desunto che, una volta dichiarata la nullità del contratto d’investimento, il venir meno della causa giustificativa delle attribuzioni patrimoniali comporti l’ap­plicazione della disciplina dell’indebito oggettivo, di cui agli art. 2033 ss. c.c., con il conseguente sorgere dell’obbligo restitutorio reciproco, subordinato alla domanda di parte ed all’assolvimento degli oneri di allegazione e di prova, con conseguente applicazione della compensazione fra i reciproci debiti sino alla loro concorrenza (Cass., ord., sez. I, 16 marzo 2018, n. 6664, in Foro it., 2018, I, 3246 e Contratti, 2018, 543, con nota di CICATELLI).

L’ordinanza interlocutoria ha, dunque, rimesso la questione alle Sezioni unite. La causa è stata peraltro affidata a relatore artefice di uno dei due orientamenti in contrasto latente (situazione in passato evitata).

3. – La pronuncia delle S.U. La decisione è stata assunta dalle Sezioni unite nell’udienza del 9 aprile 2019 con la sentenza n. 28314 del 2019.

Un saggio punto di equilibrio era stato, in verità, individuato già nell’or­dinanza interlocutoria n. 23927 del 2018, menzionando, da un lato, l’esigenza di garanzia degli investimenti dei privati in relazione alla collocazione dei propri risparmi (art. 47 Cost.) e, dall’altro lato, la tutela dell’inter­mediario anche in funzione della certezza dei mercati in materia d’investi­menti finanziari.

Questa la soluzione (offerta dalle S.U. nel testo della decisione per ben tre volte, sebbene con parole diverse):

– al fine di modulare correttamente il meccanismo di riequilibrio effettivo delle parti contrattuali di fronte all’uso selettivo delle nullità di protezione, deve procedersi ad un esame degli investimenti complessivamente eseguiti, ponendo in comparazione quelli oggetto dell’azione di nullità con quelli che ne sono esclusi, verificando se permanga un pregiudizio per l’investitore, corrispondente al petitum azionato; onde poi,

– se gli ordini non colpiti dall’azione di nullità abbiano prodotto un rendimento economico superiore al pregiudizio, l’eccezione di buona fede paralizzerà in toto gli effetti della dichiarazione di nullità degli ordini selezionati; invece,

– se permanga un danno per l’investitore, questo andrà risarcito, l’effetto paralizzante dell’eccezione operando, in sostanza, all’esito della comparazione fra tutti gli investimenti, nei limiti del vantaggio ingiustificato conseguito dal­l’investitore.

Peraltro, occorre notare come nella pratica la prima evenienza sia ben più frequente; non è un caso che così fosse anche quella all’esame della Corte.

Un’ulteriore utile puntualizzazione, infine, contiene la sentenza: l’eccezione di buona fede avverso la nullità selettiva non è eccezione in senso stretto, pur dovendo formare oggetto di specifica allegazione dell’intermediario.


3. Lo swap degli enti locali.

Cass., sez. I, ord. interl. 10.1.2019, n. 493 (Pres. De Chiara, rel. Falabella)

1. – Le questioni. La prima sezione civile ha sollecitato l’intervento delle Sezioni unite sui seguenti punti: «se lo swap, in particolare quello che preveda un upfront – e non sia disciplinato ratione temporis dalla l. n. 133/2008, di conversione del d.l. n. 112/2008 – costituisca per l’ente locale un’operazione che generi un indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, a norma dell’art. 30, comma 15, l. n. 289/2002; se la stipula del relativo contratto rientri nella competenza riservata al Consiglio comunale implicando una delibera di spesa che impegni i bilanci per gli esercizi successivi, giusta l’art. 42, comma 2, lett. i), t.u.e.l.».

Si tratta un tema decisivo per le finanze dei comuni, sia con riguardo alla possibilità di qualificare l’assunzione dell’impegno dell’ente locale come indebitamento finalizzato a finanziare spese diverse dall’investimento; sia quanto alla individuazione dell’organo tenuto a deliberare l’operazione.

L’ordinanza rileva che il tema ha grande rilievo sia sul piano pratico, nel­l’ambito del contenzioso tra gli intermediari e gli enti locali in tema di derivati (spesso per flussi monetari di notevole consistenza), sia perché su di esso la Corte dei conti, nelle diverse articolazioni amministrativa e giurisdizionale, ed il Consiglio di Stato hanno fornito risposte contrastanti.

L’udienza pubblica si è tenuta innanzi alle Sezioni unite il giorno 8 ottobre 2019.

2. – Riferimenti. Si vedano, in materia, fra le più recenti, Cass., sez. un., 5 aprile 2019, n. 9680, inedita, in tema di limiti esterni alla giurisdizione del giudice contabile, non violati allorché esso censuri non la scelta amministrativa adottata, bensì il modo con cui è stata attuata, in occasione della ristrutturazione dell’indebitamento di un comune mediante la stipulazione di un contratto di finanza derivata; e Corte conti, sez. contr. reg. Liguria, 10 gennaio 2018, n. 1, in Riv. Corte Conti, 2018, n. 1, 170, sulla responsabilità del personale degli enti locali.


4. Invio dell’assegno per posta e concorso del fatto del debitore ex art. 1227 c.c.

Cass., sez. I, ord. int. 3.9.2019, n. 22016 (Pres. De Chiara, est. Nazzicone)

Cass., sez. I, ord. int. 3.9.2019, n. 22015 (Pres. De Chiara, est. Nazzicone)

Cass., sez. I, ord. int. 5.8.2019, n. 20900 (Pres. De Chiara, est. Solaini)

1. – La questione. È stata rimessa alle Sezioni unite (udienza pubblica del 17 dicembre 2019) la seguente questione, reputata di particolare importanza anche tenuto conto della sua rilevanza pratica: «se possa ravvisarsi un concorso del danneggiato, ai sensi dell’art. 1227, comma 1, c.c., nella spedizione di un assegno a mezzo posta – sia essa ordinaria, raccomandata o assicurata – con riguardo al pregiudizio patito dal debitore che non sia liberato dal pagamento, in quanto il titolo venga trafugato e pagato a soggetto non legittimato in base alla legge cartolare di circolazione».

Le ordinanze di rimessione sono tre, tutte assunte alla medesima udienza.

2. – I precedenti di legittimità. Alcuni precedenti si erano già occupati del tema della concorrente responsabilità di chi abbia spedito l’assegno a mezzo posta, al fine di escluderla: vuoi che l’inoltro sia avvenuto con lettera raccomandata (Cass., 30 marzo 2010, n. 7618, in Danno resp., 2010, 897, con nota di BENEDETTI, Giur. it., 2010, 2339 e Banca, borsa, tit. cred., 2011, II, 677, con nota di GHERARDI; Cass., 16 maggio 2003, n. 7653, in Giust. civ., 2004, I, 3017, con nota di SEVERINI, sul punto non massimata; nonché, ma in mero obiter, Cass., ord. 22 agosto 2018, n. 20911, non massimata e non edita), vuoi per posta ordinaria (Cass., ord., 15 maggio 2019, n. 12984; Cass., ord. 17 gennaio 2019, n. 1049; Cass., 1° febbraio 2018, n. 2520; Cass., 4 novembre 2014, n. 23460, tutte inedite e non massimate).

Dall’altro lato, da alcune decisioni è stata confermata la sentenza di merito, che aveva ravvisato il concorso di colpa nella misura della metà in capo a chi aveva inviato il titolo per posta ordinaria, ma avendo reputato «inammissibili le censure intese a sindacare l’accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito in ordine all’esistenza di tale concorso» (Cass., 2 dicembre 2016, n. 24659 e Cass., 22 febbraio 2016, n. 3406, inedite); simile il percorso logico della ordinanza più recente (Cass., ord. 11 marzo 2019, n. 6979).

Le ordinanze di rimessione manifestano insoddisfazione per la tesi che si va affermando, anche attesi i risvolti indotti dalle recenti Cass., sez. un., 21 maggio 2018, nn. 12477 e 12478 (l’una o l’altra in Foro it., 2019, I, 1011, Guida dir., 2018, n. 39, 28, con nota di PIRRUCCIO, Corr. giur., 2018, 895, con nota di DARRATO e Nuova giur. civ., 2018, 1589, con nota di DEGL’INNOCENTI).

Il punto è riflettere se la scelta di spedire un assegno a mezzo posta sia davvero causalmente neutra, alla luce della teoria civilistica della causalità adeguata o della c.d. regolarità causale, applicata all’esegesi dell’art. 1227 c.c., nel perseguimento dell’esigenza di non imputare immotivatamente al prossimo le conseguenze economiche dannose che derivino da condotte di esposizione consapevole ed agevolmente evitabile a rischio.

Le ordinanze chiamano le Sezioni unite a pronunciarsi anche sulla questione connessa, relativa al valore degli artt. 83 e 84 del regolamento postale (d.p.r. 29 marzo 1973, n. 156; ma v. ancora oggi il d.m. 9 aprile 2001, il d.m. 26 febbraio 2004, la deliberazione n. 385/13/CONS del 20 giugno 2013 dell’Agcom), laddove prescrivono alcuni comportamenti all’utente del servizio, tema sulla quale vi sono alcuni spunti in diverse decisioni, ove si afferma l’irrilevanza per il discorso all’esame (Cass., 30 marzo 2010, n. 7618, cit., nonché, ma in un obiter, Cass., ord. 22 agosto 2018, n. 20911, cit.) e la non assimilabilità dell’assegno non trasferibile agli “oggetti preziosi”, “denaro” o carte di valore esigibili al portatore”, quali elementi della fattispecie (Cass., 30 marzo 2010, n. 7618, cit.). Ciò rileva, si noti, sia quando la banca negoziatrice coincida con Poste Italiane s.p.a., che dunque potrebbe ancor più dolersi del mancato rispetto del regolamento da parte del proprio utente, sia per ogni altro caso.

Nulla di rilievo afferma al riguardo, invece, altra decisione, nonostante la massima ufficiale sembri dire il contrario (Cass., ord. 2 luglio 2019, n. 17737).


5. La prededuzione del subappaltatore negli appalti pubblici.

Cass., sez. I, ord. interl. 12.7.2019, n. 18837 (Pres. Genovese, est. Terrusi)

Cass., sez. I, ord. interl. 23.72019, n. 19877 (Pres. Genovese, est. Pazzi)

1. – La questione. Le due ordinanze interlocutorie (entrambe decise al­l’udienza del 4 giugno 2019), hanno rimesso alle Sezioni unite la seguente questione: «se, ove residui un credito dell’appaltatore verso l’amministrazio­ne appaltante e l’amministrazione abbia in base al contratto opposto la condizione di esigibilità di cui all’art. 118 del d.lgs. n. 163 del 2006, il curatore, che voglia incrementare l’attivo, debba subire o meno, sul piano della concreta funzionalità rispetto agli interessi della massa, la prededuzione del subappaltatore».

Occorre ricordare che il problema concerne i rapporti tra l’istituto fallimentare della prededuzione e l’art. 118, terzo comma, d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17-CE e 2004/18-CE, abrogato dal d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ma nel caso di specie applicabile.

 

In sostanza, il disposto dell’art. 118, terzo comma, del codice dei contratti pubblici del 2006 impone la sospensione dei pagamenti della stazione appaltante in favore dell’appaltatore, in attesa delle fatture dei pagamenti di que­st’ultimo al subappaltatore.

Pertanto, ove sopravvenga il fallimento dell’appaltatore allorché sia stato concluso il subappalto, la disposizione va coordinata con l’art. 111, ultimo comma, legge fall., secondo il quale sono considerati crediti prededucibili quelli «sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali».

2. – I precedenti di legittimità. In passato, alcune decisioni (Cass., sez. I, 5 marzo 2012, n. 3402, in Riv. trim. app., 2012, 237, con nota di BARBIERI e Giust. civ., 2012, I, 1217; e, quindi, Cass., sez. I, 7 marzo 2013, n. 5705; Cass., ord., 16 febbraio 2016, n. 3003; Cass., ord., 22 marzo 2017, n. 7392; Cass., 22 giugno 2017, n. 15479, inedite) hanno ritenuto che la prededucibilità dei crediti nel fallimento richiede il nesso con la procedura concorsuale, non soltanto con riguardo al sorgere del credito, ma anche con riguardo alla circostanza che il pagamento del credito, ancorché avente natura concorsuale, rientri negli interessi della massa e sia utile alla gestione fallimentare. Ciò, osservandosi che l’art. 118, terzo comma, del d.lgs. n. 163 del 2006 determina una condizione di esigibilità del pagamento anche in caso di sopravvenuto fallimento dell’appaltatore, cosicché il soddisfacimento del subappaltatore diviene essenziale al fine di consentire all’appaltatore (fallito) di ottenere il pagamento del proprio credito.

Si precisa ivi che il credito del subappaltatore – in caso di società appaltatrice fallita – può essere ammesso in prededuzione, solo se esso comporti un sicuro vantaggio per la procedura, in ragione del conseguente al pagamento della committente P.A., la quale subordini il suo pagamento di una maggior somma alla quietanza del subappaltatore in ordine al proprio credito, ai sensi dell’art. 118, comma 3, d.lgs. n. 163 del 2006.

Ma una sentenza più recente (Cass., sez. I, 21 dicembre 2018, n. 33350, inedita) ha inaugurato il contrasto di giurisprudenza, affermando che, nel caso di fallimento dell’appaltatore di un’opera pubblica, il subappaltatore è creditore concorsuale come tutti gli altri, nel rispetto della par condicio creditorum e dell’ordine delle cause di prelazione, non essendo il suo credito espressamente qualificato prededucibile da una norma di legge, né potendosi considerare sorto in funzione della procedura concorsuale, ai sensi dell’art. 111 l. fall.: ciò perché il meccanismo ex art. 118, terzo comma, d.lgs. n. 163 del 2006 è calibrato sull’ipotesi di appalto con impresa in bonis, a tutela del pubblico interesse, e solo indirettamente a tutela del subappaltatore, onde detto meccanismo non ha ragion d’essere nel momento in cui, con la dichiarazione di fallimento, il contratto di appalto di opera pubblica si scioglie.

Difetterebbe, dunque, una volta sopravvenuto fallimento dell’impresa affidataria ed in presenza dello scioglimento automatico del contratto, il presupposto giuridico dell’inesigibilità del credito dell’appaltatore verso la stazione appaltante ove non preceduto dal pagamento al subappaltatore: donde l’inap­plicabilità della disciplina dettata dall’art. 118 citato.

Tra i giudici di merito, del pari alcune decisioni hanno negato che la condizione di esigibilità del credito dell’appaltatore nei confronti della stazione appaltante, stabilita dall’art. 118, terzo comma, del d.lgs. cit., possa rilevare in caso di fallimento: cfr. Trib. Milano 1° settembre 2015, in Urb. app., 2016, 274, con nota di AMORESE; Trib. Milano 17 luglio 2014, in Fallimento, 2014, 1289, con nota di BOTTAI; Trib. Pavia 26 febbraio 2014, in Fallimento, 2014, 1290, con nota di BOTTAI; Trib. Bolzano 25 febbraio 2014, in Fallimento, 2014, 1292, con nota di BOTTAI). Essa ha trovato una conferma nella modifica del terzo comma dell’art. 118, laddove è stata aggiunta la previsione che, in condizioni di particolare urgenza inerenti al completamento dell’esecuzione del contratto accertate dalla stazione appaltante, per i contratti di appalto in corso, possa provvedersi anche in deroga alle previsioni del bando di gara al pagamento diretto al subappaltatore.

3. – L’udienza pubblica. La causa è stata rimessa alla pubblica udienza delle Sezioni unite del 14 gennaio 2020.


6. Cartella di pagamento e beneficium excussionis ex art. 2304 c.c.

Cass., ord. int., sez. V, 30.72019, n. 20494 (Pres. Locatelli, est. Condello)

1. – La questione. Viene rimessa alle S.U. la questione se l’eccezione di omessa preventiva escussione del patrimonio della società possa essere sollevata dal socio solo in fase di riscossione coattiva, oppure anche in sede di opposizione alla cartella di pagamento, in quanto atto che preannuncia l’esecu­zione forzata.

2. – I precedenti. L’ordinanza interlocutoria ricorda un primo indirizzo, di lunga durata, secondo cui il beneficio d’escussione di cui all’art. 2304 c.c. non osta all’emissione ed alla notifica al socio della cartella di pagamento, in quanto quest’ultima non è atto esecutivo, ma conclusivo di un procedimento volto alla formazione di quel titolo esecutivo e che, semmai, “preannuncia” l’esercizio dell’azione esecutiva (Cass., ord., 24 gennaio 2019, n. 1996; Cass., 21 dicembre 2016, n. 26549; Cass., 29 luglio 2016, n. 15966; Cass., ord. 16 giugno 2016, n. 12494; Cass., ord. 22 giugno 2015, n. 12839; Cass., 5 dicembre 2014, n. 25764; Cass., 3 gennaio 2014, n. 49; Cass., 16 gennaio 2009, n. 1040).

Un diverso orientamento afferma, viceversa, che, in caso di ricorso al procedimento mediante ruolo, il contribuente può opporre il beneficium excussionis quando riceva la notificazione della cartella, in quanto l’iscrizione a ruolo avvenuta in violazione del beneficium excussionis è illegittima e tale illegittimità si riverbera sulla notificazione della cartella, determinandone un vizio proprio (Cass., sez. V, 31 gennaio 2019, n. 2878; Cass., sez. V, 27 settembre 2018, n. 23260; Cass., sez. V, 27 febbraio 2017, n. 4959).

3. – Le specificità del processo tributario. Evidenzia l’ordinanza di rimessione come, a differenza del creditore ordinario, nell’ordinamento tributario la cartella di pagamento va notificata entro il termine di decadenza previsto dall’art. 25 d.p.r. n. 602 del 1973 (due anni dalla data in cui sono divenuti definitivi gli accertamenti effettuati dall’Ufficio): onde, se fosse inammissibile la notifica della cartella di pagamento al socio in virtù del beneficio d’escus­sio­ne, è probabile il maturare della decadenza.


7. Il rapporto di lavoro giornalistico.

Cass., sez. lav., ord. int. 24.52019, n. 14262 (Pres. Balestrieri, rel. Ponterio)

1. – La questione giuridica. L’ordinanza pone la questione se, ai fini di un valido rapporto di lavoro subordinato giornalistico quale collaboratore fisso, sia necessaria l’iscrizione nell’elenco professionisti dell’albo dei giornalisti, oppure sia sufficiente l’iscrizione nell’elenco pubblicisti del predetto albo.

Il lavoro giornalistico è disciplinato dalla legge n. 69 del 1963, Ordinamento della professione di giornalista, il cui art. 1 distingue tra «giornalisti professionisti» e «pubblicisti», iscritti nei rispettivi elenchi dell’albo.

Interpretando la relativa disciplina, è costante l’affermazione della nullità del contratto allorché l’attività di giornalista professionista sia espletata di fatto da soggetto non iscritto nell’elenco dei professionisti (l’ordinanza interlocutoria ricorda Cass. n. 5370 del 1998; n. 7020 del 2000; 12820 del 2002; n. 23472 del 2007; n. 21884 del 2016; n. 10158 del 2017) ed una recente decisione ha esteso il principio, oltre che all’esercizio dell’attività giornalistica di redattore ordinario, a quella di mero collaboratore fisso (Cass., sez. lav., 4 febbraio 2019, n. 3177), posto che «l’attività di giornalista svolta da un collaboratore fisso in modo continuativo ed esclusivo a scopo di guadagno, rientra pur sempre nel concetto di professione di giornalista e, in quanto tale, è bisognosa di previa iscrizione nell’elenco dei giornalisti professionisti a pena di nullità del contratto».

L’ordinanza interlocutoria manifesta insoddisfazione per tale orientamento, e, per prevenire un contrasto, rimette la questione alle S.U., dove l’udienza pubblica si è tenuta il 5 novembre 2019.


8. Fondi immobiliari chiusi ed aliquota ridotta per le imposte ipotecarie e catastali.

Cass., sez. trib., ord. interl. 7.6.2019, n. 15433 (Pres. Di Iasi, Rel. Penta)

1. – La questione sottoposta alla Corte di giustizia UE. L’ordinanza rileva che non risultano precedenti esegesi pregiudiziali da parte della Corte di giustizia, lasciando l’ambito applicativo dell’art. 35, comma 10-ter, d.l. n. 223 del 2006 spazio a fraintendimenti, onde pone il seguente quesito: «se il diritto comunitario – ed in particolare le disposizioni del Trattato in materia di libertà di stabilimento e di libera circolazione dei capitali, come interpretate da codesta Corte – ostino all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come quella di cui all’art. 35, comma 10-ter, d.l. n. 223 del 2006 (nella parte in cui limita ai fondi di investimento immobiliare chiusi l’agevolazione delle imposte ipotecarie e catastali)».

2. – Il rilievo di manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale. Il Collegio in primis dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 35, comma 10-ter, d.l. n. 223 del 2006, (convertito, con modificazioni, nella l. n. 248 del 2006), in relazione ai principî di uguaglianza e di progressività dell’imposizione, di cui agli artt. 3 e 53 Cost., nella parte in cui tale norma prevede il dimezzamento delle aliquote delle imposte ipotecaria e catastale per gli acquisti di beni immobili strumentali limitatamente ai fondi immobiliari c.d. chiusi.

Reputa, invero, l’ordinanza che costituisce una scelta discrezionale insindacabile la concessione della agevolazione fiscale in relazione all’unica tipologia di fondi di investimento immobiliari prevista e disciplinata nel panorama normativo italiano.

«Le differenze riscontrabili tra i due tipi di fondi (“chiusi” e “aperti”) giustifica la diversa imposizione ed è sufficiente ad escludere l’irrazionalità o l’arbitrarietà della norma, attesa l’ampia discrezionalità riservata al legislatore nell’individuazione dei presupposti per il godimento di agevolazioni (v., tra le altre, Cass. 1105/2008, 16248/07, 4620/03, 3971/02). Il preteso effetto distorsivo di natura economica che la ricorrente ritiene generato dalla esposta interpretazione della norma non risulta rilevante sotto il profilo costituzionale, costituendo il prodotto della scelta insindacabile del legislatore, che non è tenuto ad estendere agevolazioni e benefici tributari a casi, che, come nella specie, non siano omogenei».

3. – La necessità del rinvio pregiudiziale per il diritto UE. Viceversa, ritiene il Collegio che la questione, riguardata alla luce della normativa eurounitaria, imponga di verificare se le innegabili differenze che intercorrono tra le due figure di fondi siano rilevanti ai fini fiscali, al punto da giustificare un diverso trattamento fiscale tra fondi italiani e fondi di altri Paesi dell’Unione.

Compie, a tal fine, una disamina della disciplina nazionale di riferimento, che ha avuto negli anni due opposte finalità: incentivare lo sviluppo di un peculiare strumento del risparmio gestito e di limitarne l’utilizzo con finalità elusive; nonché del diritto dell’Unione europea.


III. Questioni processuali

1. La responsabilità della Consob e della Banca d’Italia per omessa vigilanza: questione di giurisdizione.

1. – Il regolamento preventivo R.G. n. 8896/19 sulla giurisdizione nei confronti delle autorità indipendenti. È fissata per il giorno 3 dicembre 2019 la pubblica udienza innanzi alle Sezioni unite, concernente il regolamento preventivo di giurisdizione – del giudice ordinario oppure del giudice amministrativo – sulla domanda di risarcimento del danno per omessa vigilanza, proposta dagli investitori finanziari contro la Consob e la Banca d’Italia, sostenendo i primi la giurisdizione del g.o. e Banca d’Italia quella del g.a.

In argomento un precedente, reso del pari in sede di regolamento preventivo (Cass., ord., sez. un., 18 maggio 2015, n. 10095, in Giur. comm., 2016, II, 511, con nota di ROMANI, e Riv. dir. comm., 2016, II, 473, con nota di LOMBARDI) ha affermato che appartiene al giudice amministrativo la giurisdizione sulla domanda volta ad imporre alla Consob di esercitare i poteri di vigilanza di cui dispone affinché ulteriori danni non si producano, trattandosi di un comportamento dell’amministrazione destinato necessariamente ad estrinsecarsi in provvedimenti previsti dalla legge, quindi non riducibile alla sua semplice materialità; ed ha disatteso la configurabilità di tale pretesa come meramente ricompresa in quella risarcitoria, quale domanda di risarcimento in forma specifica ex art. 2058 c.c.

In tale occasione, la S.C. ha enunciato vari principî, quali:

– la pretesa a che un’autorità amministrativa eserciti i poteri che la legge le assegna per la tutela di un interesse pubblico non si configura come diritto soggettivo di colui il quale quella pretesa voglia far valere in giudizio, né quanto all’an, né quanto ai tempi e modi del suo esercizio;

– può solo eventualmente qualificarsi come interesse legittimo (fermo che è rimesso al g.a. stabilire se, in concreto, esso sia davvero configurabile o se invece si tratti di un interesse di mero fatto) la situazione soggettiva del privato ad ottenere o a conservare un bene della vita, quando esso viene a confronto con un potere attribuito dalla legge all’amministrazione non per la soddisfazione proprio di quell’interesse individuale, ma di un interesse pubblico che lo ricomprende, per la realizzazione del quale l’amministrazione è dotata di discrezionalità: e proprio questa è la situazione con riguardo ai poteri di vigilanza della Consob;

– non è dato distinguere tra l’accusa di aver male esercitato i poteri o la totale omissione di quell’esercizio, in quanto pure in questo secondo caso sussiste un ambito di discrezionalità;

– ove pure si potesse ipotizzare l’esistenza di una qualche posizione di diritto soggettivo facente capo agli attori, essa ricadrebbe nell’ipotesi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, quale prevista dall’art. 133, primo comma, lettera c), c.p.a., trattandosi incontestabilmente di una controversia relativa alla vigilanza sul mercato mobiliare.

Si trattava del caso in cui alcuni risparmiatori lamentavano di avere investito in azioni del Monte dei Paschi di Siena, società quotata in borsa, che aveva realizzato spericolate operazioni, senza che Consob esercitasse i suoi poteri di vigilanza e permettesse al mercato di ricevere le dovute informazioni.

Il predetto orientamento superava quello meno recente (Cass., ord., sez. un., 29 luglio 2005, n. 15916, in Foro it., 2005, I, 3018, Giur. it., 2005, 2395, Dir. e pratica società, 2005, n. 24, 70, con nota di BOMBARDI, Guida al dir., 2005, n. 38, 43, con nota di ATELLI, Urb. app., 2005, 1413, con nota di FRATINI; e Cass., ord., sez. un., 2 maggio 2003, n. 6719, fra l’altro in Corr. giur., 2003, 734, con nota di DI MAJO e Urb. app., 2003, 1163, n. GIOVAGNOLI), secondo cui la domanda di risarcimento del danno proposta da risparmiatori nei confronti della Consob per violazione degli obblighi di vigilanza sul credito e sul mercato mobiliare, è devoluta al giudice ordinario, in quanto soggetti non destinatari dell’attività di vigilanza e difetterebbe il collegamento ad una relazione di potere con la pubblica amministrazione.

In dottrina, fra gli altri, v.: F. ROMANI, Esercizio dei poteri di vigilanza della Consob e riparto di giurisdizione, in Giur. comm., 2016, II, 514; F.V. RINALDI, Il riparto di giurisdizione per i comportamenti dell’amministrazione: il caso dell’omessa vigilanza della Consob, in www.filodiritto.com, 2013; G. SERGES, La difficile determinazione dei confini della giurisdizione esclusiva mediante rinvio ai principi desumibili dalla giurisprudenza, in Giur. cost., 2012, 2218; W. TROISE MANGONI, Azione risarcitoria del risparmiatore nei confronti della Consob: considerazioni attinenti alla giurisdizione, in Dir. proc. amm., 2007, 414; A. MONTINI, In tema di responsabilità per danni tra vecchia e nuova giurisdizione, in Resp. civ., 2002, 1081; A. DI MAJO, Vecchio e nuovo nel riparto di giurisdizione nel tempo, in Corr. giur., 2001, 1161.

2. – La giurisdizione sulla domanda risarcitoria verso la pubblica amministrazione. Costante, del resto, è il principio di devoluzione al giudice amministrativo della domanda risarcitoria proposta avverso una P.A. da chi pretenda l’adozione di provvedimenti secondo legge prospettando in astratto un proprio interesse legittimo.

Così, con riguardo:

– alla domanda di risarcimento del danno contro il comune proposta dal cittadino, con riguardo ai comportamenti molesti, oltre che pericolosi per la circolazione, posti in essere dai c.d. «lavavetri» ai semafori, con relativa questua; negata la responsabilità da custodia in capo all’ente pubblico comunale, sul lamentato danno non patrimoniale sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo (Cass., sez. un., 2 luglio 2015, n. 13568, in Riv. neldiritto, 2015, 1513 e Arch. circolaz., 2015, 821);

– alla domanda risarcitoria contro il comune per il collocamento sulla pubblica via – pur senza l’adozione della necessaria ordinanza motivata ex art. 5, terzo comma, del codice della strada – di opere (fioriere, dissuasori di sosta e portarifiuti) nel tratto antistante la rivendita di tabacchi-edicola, di cui l’attore era titolare, cosicché non era più consentito alla clientela di effettuare neppure una breve fermata per effettuare i propri acquisti, lamentando egli un vistoso calo del volume di affari (Cass., ord., sez. un., 8 novembre 2016, n. 22650, in www.lanuovaproceduracivile.com, 2017 e Arch. circolaz., 2017, 137);

– alla domanda di risarcimento del danno proposta dal proprietario dei terreni confinanti con un parco eolico, per la collocazione delle pale e le immissioni da esse provocate, trattandosi di un intervento di interesse pubblico e di una condotta implicante scelte sull’an ed il quomodo dell’opera pubblica (Cass., sez. un., ord. 24 luglio 2017, n. 18165, inedita);

– alla domanda del privato, volta a sollecitare l’emissione dell’ordinanza di demolizione di un’opera abusiva e di rimessione in pristino, rispetto al mancato esercizio dei poteri sanzionatori da parte dell’amministrazione comunale, in quanto si configura un interesse legittimo (Cass., sez. un., ord. 17 luglio 2019, n. 19231).

Non mancano, tuttavia, pronunce in contrario.

Infatti, è stata dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario sulla pretesa risarcitoria azionata nei confronti di un comune dal privato, che deduceva di essere proprietario di un prestigioso immobile a Taormina, gravemente pregiudicato, per la perdita del panorama in precedenza goduto, da una sopraelevazione abusiva, della quale il Comune di Taormina non aveva ingiunto la demolizione: ciò, in quanto si tratterebbe di danno provocato non dalla mancata o illegittima adozione di provvedimenti amministrativi discrezionali ma dal comportamento materiale con cui l’amministrazione comunale ha omesso di compiere un’attività vincolata (Cass., sez. un., 16 dicembre 2016, n. 25978, ined.).

3. – Alcuni principî affermati sulla responsabilità delle autorità indipendenti. Molte delle pronunce di legittimità più recenti riguardano in realtà una medesima vicenda, in cui un agente di cambio (Guido de Asmundis) ed una S.i.m. (S.i.m. Professione & Finanza s.p.a.) avevano distratto a vantaggio proprio e di terzi le somme depositate per investimenti (in epoca prossima al fallimento superiore ai 68 miliardi di lire), onde era stata convenuta in giudizio la Consob per omessa vigilanza (nonché, in alcune cause, la Repubblica Italiana, e per essa Presidenza del Consiglio dei Ministri ed il Ministero dell’economia e delle finanze, con domanda questa disattesa sin dal primo grado di giudizio).

3.1. Il concorso omissivo nel fatto illecito altrui

Fissa alcuni principî una decisione (Cass., sez. I, 12 aprile 2018, n. 9067, inedita), in cui la S.C. ha disatteso entrambe le tesi, secondo cui:

a) trattandosi di responsabilità omissiva, sarebbe insussistente l’obbligo giuridico, in capo alla Consob, di impedire l’evento, ai sensi dell’art. 40, secondo comma, c.p., in quanto se in origine, dopo l’istituzione della Consob con la l. 7 giugno 1974, n. 216, si riteneva la medesima dotata di larga discrezionalità e le situazioni soggettive degli investitori prive del rango del diritto soggettivo, tale «vagheggiata» immunità dalla responsabilità aquiliana oggi non sussiste, in ragione del principio fissato sin da Cass., sez. un., 22 luglio 1999, n. 500, sulla risarcibilità ex art. 2043 c.c. del danno causato dall’eserci­zio illegittimo della funzione pubblica. Al contrario, essa è titolare di poteri di vigilanza tali da giustificare l’addebito di un illecito aquiliano omissivo, quale “organo di garanzia del risparmio”;

b) non sussisterebbe il nesso causale tra la denunciata omissione ed il danno lamentato, in quanto il giudice del merito, facendo applicazione dei principi della condicio sine qua non e della causalità adeguata, ha concluso che un tempestivo e corretto esercizio dei poteri di vigilanza della Consob avrebbe impedito il verificarsi del danno. Peraltro, la S.C. ha cassato la sentenza di appello, sotto il profilo seguente: «se sul piano dell’an va qui confermata la statuizione della Corte d’appello secondo cui la Consob doveva intervenire sollecitamente, dopo le notizie diffuse nel luglio 1994, ad esercitare i propri poteri di vigilanza, sul piano del quantum occorreva che la stessa Corte stabilisse quanto tempo la Consob avrebbe dovuto impiegare per intervenire».

Si veda già Cass., sez. I, 25 febbraio 2009, n. 4587, in Foro it., 2009, I, 3355; fra i giudici di merito, più di recente, Trib. Roma 26 settembre 2018, in Foro it., 2018, I, 4085; App. Milano 24 dicembre 2012, in Resp. civ. prev., 2013, 1622, con nota di NOBILE DE SANTIS.

3.2. Obbligazioni solidali e transazione

In una diversa vicenda, in cui i sottoscrittori delle quote di H.V.S.T.-Hotel Villaggio Santa Teresa s.r.l. hanno convenuto in giudizio risarcitorio il Ministero dell’economia e delle finanze, la Consob, un commissario ed esperti della Consob stessa, è stata cassata la sentenza di appello, la quale aveva mancato di tenere conto delle ingenti somme già ricevute dagli investitori, in forza di una transazione con il Ministero e con alcuni dei corresponsabili: in tal modo, tuttavia, cagionando un’indebita duplicazione dei risarcimenti, nonché degli obblighi risarcitori, mancando altresì di verificare l’applicabilità dell’art. 1304 c.c. e l’esistenza delle dichiarazioni dei coobbligati di volerne profittare (Cass., sez. I, 17 novembre 2016, n. 23418, in Foro it., 2016, I, 3771, con nota di PALMIERI A.; Società, 2017, 320, con nota di PELLEGRINI; Danno resp., 2017, 155, con nota di FIN). La corte ha richiamato il principio di cui all’art. 1304, primo comma, c.c., che si riferisce unicamente alla transazione che abbia ad oggetto l’intero debito, e non la sola quota del debitore con cui è stipulata, poiché è la comunanza dell’oggetto della transazione che comporta, in deroga al principio secondo cui il contratto produce effetti solo tra le parti, la possibilità per il condebitore solidale di avvalersene pur non avendo partecipato alla sua stipulazione; se, invece, la transazione stipulata tra il creditore ed uno dei condebitori solidali ha avuto ad oggetto la sola quota del condebitore che l’ha stipulata, occorre distinguere: nel caso in cui il condebitore che ha transatto ha versato una somma pari o superiore alla sua quota ideale di debito, il residuo debito gravante sugli altri debitori in solido si riduce in misura corrispondente all’importo pagato; nel caso in cui, invece, il pagamento è stato inferiore, il debito residuo gravante sugli altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari alla quota di chi ha transatto (cfr. Cass., sez. I, 7 ottobre 2015, n. 20107, inedita; Cass., sez. un., 30 dicembre 2011, n. 30174, fra l’altro in Contr., 2012, 469, con nota di PATERNOSTRO, Corr. mer., 2012, 260, con nota di TRAVAGLINO, Assicurazioni, 2012, 297, con nota di ROSSETTI, Giur. it., 2012, 1338, con nota di AIELLO ed altre numerose).

3.3. Obbligazioni solidali e interruzione della prescrizione

In tema di prescrizione, convenuto in giudizio l’agente di cambio autore degli illeciti e la Consob per omesso esercizio dei poteri di controllo previsti dalla legge, è applicabile l’art. 1310, primo comma, c.c., in base al quale l’atto interruttivo compiuto contro uno dei debitori ha effetto riguardo agli altri debitori: ciò si afferma, sebbene i diritti di credito fatti valere sono l’uno contrattuale (verso l’agente di cambio), l’altro extracontrattuale (verso la Consob), in ragione della solidarietà passiva, cui si applica dunque la relativa disciplina, ivi compresa quella sulla prescrizione (Cass., ord., sez. III, 17 gennaio 2019, n. 1070, inedita, la cui massima ufficiale, del tutto generica, non dà adeguata informazione del principio estratto). La sentenza si segnala anche per avere (ma è un obiter) smentito la tesi secondo cui in difetto di un obbligo giuridico di impedire l’evento a carico della Consob è da escludere l’esistenza di un nesso di causalità rilevante per il diritto: affermando come, al contrario, sulla Consob grava un vero e proprio obbligo giuridico di impedire o circoscrivere il danno, mediante l’esercizio dei propri poteri di vigilanza.

Si è anche affermato (Cass., sez. I, 7 novembre 2014, n. 23872, in Foro it., 2015, I, 1292) che, chiamata la Consob a rispondere, per omessa vigilanza, del danno derivante da un fatto illecito costituente reato, il diritto al risarcimento fatto valere nei suoi confronti è assoggettabile al più lungo termine di prescrizione eventualmente previsto per tale reato soltanto ove sussista un titolo di responsabilità indiretta per un fatto criminoso commesso da un proprio funzionario o dipendente, ma non quando si configuri una mera obbligazione a titolo di responsabilità extracontrattuale con l’autore del reato.


2. Rapporti tra sezioni ordinarie e sezioni specializzate per l'impresa.

Cass., sez. un., 23.72019, n. 19882 (Pres. Spirito, est. Di Virgilio)

Cass., ord. interl., sez. I, 30.1.2019, n. 2723 (Pres. De Chiara, Rel. Nazzicone)

Rimessa al primo presidente, per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite, la questione se il rapporto tra le sezioni ordinarie e le specializzate in materia d’impresa dello stesso tribunale debba configurarsi in termini di competenza ovvero di mera ripartizione interna degli affari giurisdizionali, le Sezioni unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: «Il rapporto tra sezione ordinaria e sezione specializzata in materia di impresa, nello specifico caso in cui entrambe le sezioni facciano parte del medesimo ufficio giudiziario, non attiene alla competenza, ma rientra nella mera ripartizione degli affari interni all’ufficio giudiziario, da cui l’inammissibilità del regolamento di competenza, richiesto d’ufficio ai sensi dell’art. 45 c.p.c.; rientra, invece, nell’ambito della competenza in senso proprio la relazione tra la sezione specializzata in materia di impresa e l’ufficio giudiziario diverso da quello ove la prima sia istituita».


3. Contratti bancari, decreto ingiuntivo ed onere di intraprendere il procedimento di mediazione.

Cass., sez. III, ord. interl. 12.7.2019, n. 18741 (Pres. Vivaldi, est. Scoditti)

1. – La questione. L’ordinanza ha rimesso al P.P., per l’eventuale asegnazione  alle Sezioni unite, la questione di particolare importanza, anche per la «vastità del contenzioso interessato dalla mediazione (condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, da responsabilità medica e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari), ed il diffuso ricorso al procedimento monitorio».

Nella specie si tratta del contratto bancario di conto corrente, per i quali l’art. 5 d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28 impone il preliminare procedimento di mediazione, quale condizione di procedibilità della domanda.

Ora, il punto è chi – opposto od opponente – sia il soggetto onerato.

Da un lato, si è infatti sostenuto che l’onere di esperire il tentativo obbligatorio di mediazione gravi sulla parte opponente, soggetto interessato ad evitare la definitività del decreto ingiuntivo (Cass., sez. III, 3 dicembre 2015, n. 24629, fra l’altro in Foro it., 2016, I, 1319, con nota di BRUNIALTI, DALFINO, Giur. it., 2016, 71, con nota di BENIGNI e Riv. dir. proc., 2016, 1283, con nota di BALENA).

Ma altra tesi, sostenuta specie in dottrina, rileva come l’onere dovrebbe invece gravare sul creditore, vero attore in senso sostanziale.

Si è in attesa della fissazione della pubblica udienza.


4. Proponibilità dell'azione revocatoria contro un fallimento.

Cass., sez. I, ord. interl. 23.7.2019, n. 19881 (Pres. Didone, est. Amatore)

1. – La questione. Il quesito concerne la proponibilità dell’azione revocatoria nei confronti di un fallimento, in relazione al c.d. principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso.

2. – L’orientamento attuale. La tesi negativa, anche di recente riaffermata, è stata espressa da chi (cfr. Cass., sez. un., 23 novembre 2018, n. 30416, in www.lanuovaproceduracivile.com, 2019; Cass. 8 marzo 2012, n. 3672; Cass. 12 maggio 2011, n. 10486, in Giust. civ., 2011, I, 2305) reputa prevalente detto ultimo principio, in una con il carattere costitutivo dell’azione revocatoria, ordinaria e fallimentare.

L’ordinanza dubita, però, della fondatezza di tale opinione, rinviando che l’insoddisfazione deriva, sul piano dogmatico e su quello più strettamente pratico-applicativo, anche dalle osservazioni avanzate al riguardo dalla dottrina.

Ciò, ricordando altresì le novità introdotte dal «Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza», in particolare dall’art. 290, terzo comma, d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, che l’ordinanza pretende di richiamare «a fini interpretativi e ricostruttivi, perché, da un lato, la stessa fa ora parte integrante dell’ordina­mento positivo (nonostante la lunga vacatio legis prevista) e perché, dal­l’al­tro, segna un’evidente incrinatura nelle argomentazioni spese dalle Sezioni Unite nel precedente arresto», e sostiene dunque «la natura generalizzante del principio dell’ammissibilità dell’azione revocatoria nei confronti di altre procedure di liquidazione giudiziale, anche al di là dei ristretti ed angusti limiti delle azioni esercitate “infragruppo”».

Ma sia permesso avanzare qualche dubbio sulla correttezza di una simile operazione ermeneutica.

In tema, v. G. LO CASCIO, Revocatoria ordinaria e fallimentare promossa tra fallimenti: rimessione alle sezioni unite, in Fallimento, 2018, 707, concernente la precedente ordinanza interlocutoria, che aveva dato àdito al citato arresto delle sezioni unite.


5. Ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione contro il decreto che decide sul reclamo avverso il riparto parziale.

Cass., sez. un., 26.9.2019, n. 24068 (Pres. Manna, est. Genovese)

Cass,, sez. I, ord. interl. 13.4.2018, n. 9250 (Pres. Didone, rel. Ferro)

1. – La questione. Le sezioni unite hanno dato risposta positiva al quesito se – una volta escluso, ai sensi dell’art. 26 l. fall., che il decreto pronunciato dal tribunale in sede di reclamo avverso un provvedimento del giudice delegato sia a sua volta impugnabile con ulteriore reclamo alla corte d’appello – sia ammesso il ricorso straordinario innanzi alla Corte di cassazione della decisione assunta dal tribunale sulle impugnative endoconcorsuali al piano di riparto.

Il quesito, rimesso dalla ordinanza interlocutoria Cass. 13 aprile 2018, n. 9250, era il seguente: «se sia ammissibile il ricorso per cassazione, ex art. 111, comma settimo, Cost., nei confronti del decreto del tribunale fallimentare che, decidendo sul reclamo contro il provvedimento del giudice delegato, abbia ordinato l’esecuzione del piano di riparto parziale, avuto riguardo alla sua idoneità a stabilire, in maniera irreversibile o meno, da un lato, il diritto del creditore concorrente a partecipare al riparto dell’attivo fino a quel momento disponibile e, dall’altro, il diritto degli altri interessati ad ottenere gli accantonamenti nei casi previsti dall’art. 113 l.fall.».

Le Sezioni unite hanno risposto, pronunciando i seguenti principî di diritto:

«Il decreto del Tribunale che dichiara esecutivo il piano di riparto parziale, pronunciato sul reclamo avente ad oggetto il provvedimento del giudice delegato, nella parte in cui decide la controversia concernente, da un lato, il diritto del creditore concorrente a partecipare al riparto dell’attivo fino a quel momento disponibile e, dall’altro, il diritto degli ulteriori interessati ad ottenere gli accantonamenti delle somme necessarie al soddisfacimento dei propri crediti, nei casi previsti dall’art. 113 l.fall., si connota per i caratteri della decisorietà e della definitività e, pertanto, avverso di esso, è ammissibile il ricorso straordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 111, co. 7°, Cost.».

«In tema di riparto fallimentare, ai sensi dell’art. 110 l.fall. (nel testo applicabile ratione temporis come modificato dal d.lgs. n. 169 del 2007), sia il reclamo ex art. 36 l.fall. avverso il progetto – predisposto dal curatore – di riparto, anche parziale, delle somme disponibili, sia quello ex art. 26 l.fall. contro il decreto del giudice delegato che abbia deciso il primo reclamo, possono essere proposti da qualunque controinteressato, inteso quale creditore che, in qualche modo, sarebbe potenzialmente pregiudicato dalla diversa ripartizione auspicata dal reclamante, ed in entrambe le impugnazioni il ricorso va notificato a tutti i restanti creditori ammessi al riparto anche parziale».

Con la conseguenza che hanno, in applicazione della seconda regula iuris, cassato il provvedimento impugnato e rinviato la causa innanzi al giudice delegato, per nuovo esame.

2. – La vicenda concreta. Nella vicenda concreta, il commissario straordinario della Snia s.p.a. in amministrazione straordinaria aveva depositato un piano di riparto parziale tra i creditori già ammessi al concorso.

La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare ed il Ministero dell’economia e delle finanze proposero reclamo, accolto dal giudice delegato, che ordinò l’accantonamento di tutte le somme appostate nel piano di riparto. Gli enti reclamanti contestavano la possibilità di procedere al riparto, sussistendo un loro credito di natura prededucibile – conseguente a danni da disastro ambientale cagionato dall’at­tività industriale svolta dalla società debitrice – pari a circa 3,439 miliardi di euro, destinato ad essere pagato in via preferenziale; ritenne il giudice delegato, allora, che fosse necessario un accantonamento integrale dell’attivo liquidato, in vista del relativo accertamento dei crediti all’esito del giudizio di opposizione pendente.

Un creditore concorrente, tuttavia, propose reclamo avverso il decreto del giudice delegato, che venne accolto dal tribunale, il quale dichiarò l’ese­cutività del progetto di ripartizione depositato dal commissario. Onde gli enti proposero ricorso per cassazione, con conseguente assegnazione della questione alle sezioni unite, previa ordinanza interlocutoria Cass. 13 aprile 2018, n. 9250.

A tale ordinanza, seguì una seconda ordinanza interlocutoria, delle stesse Sezioni unite, in data 4 dicembre 2018, n. 31266, con cui esse hanno richiesto all’Ufficio del Massimario, una «relazione di approfondimento» su due specifiche questioni, in essa illustrate.

3. – La tesi precedente. In precedenza, si era negata la ricorribilità per cassazione del decreto con cui il tribunale decide sul reclamo proposto avverso il decreto del giudice delegato che dichiara esecutivo il piano di riparto parziale, nella parte in cui disponga accantonamenti di somme ai sensi dell’art. 113 l. fall., trattandosi di provvedimento privo, in tale parte, dei caratteri della decisorietà e definitività; mentre il ricorso straordinario per cassazione è, invece, ammissibile avverso il medesimo decreto nella parte in cui riconosca l’esi­stenza di spese in prededuzione a norma dell’art. 111, primo comma, n. 1, l. fall., disponendone altresì il pagamento pur in presenza di contestazioni, atteso che, per tale profilo, il provvedimento ha carattere decisorio, riducendo l’en­tità delle somme attribuibili ai creditori ammessi e così incidendo sulle loro pretese (Cass., sez. I, 2 ottobre 2015, n. 19715).

La tesi, come ricordano le S.U., si imperniava sulla considerazione, secondo cui le somme sottratte alla ripartizione non vengono definitivamente negate al creditore reclamante (ancorché garantito da ipoteca) o attribuite ad altri, ma ne è solo rinviata la distribuzione sulla base del piano di riparto finale, sicché la relativa statuizione avrebbe carattere meramente ordinatorio.


6. La rappresentanza processuale di Agenzia delle Entrate Riscossione.
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Cass., sez. un., 19.11.2019, n. 30008 (pres. Tirelli, est. De Stefano)

Cass., sez. III, ord. interl. 9.7.2019, n. 18350 (pres. Vivaldi, est. Rossetti)

1. – La questione. L’art. 1 d.l. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con modificazioni dalla l. 1° dicembre 2016, n. 225, ha disposto l’estinzione ope legis delle società del gruppo Equitalia, cancellate d’ufficio dal registro delle imprese, con effetto dal 10 luglio 2017, al contempo prevedendo l’istituzione di un ente pubblico economico, denominato «Agenzia delle entrate-Riscos­sio­ne», ente strumentale della stessa Agenzia delle entrate, subentrato nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, delle estinte società del gruppo Equitalia, assumendo la qualifica di agente della riscossione.

Sono sorti, anzitutto, dubbi se sia da ritenere applicabile l’art. 110 c.p.c. quale ipotesi di successione a titolo universale, o invece l’art. 111 c.p.c., quale successione a titolo particolare nel diritto controverso.

La prima posizione è condivisa da chi rileva come, al fine di garantire la continuità e la funzionalità delle attività di riscossione, è dirimente il terzo comma dell’art. 1 d.l. citato, secondo cui «l’ente subentra, a titolo universale, nei rapporti giuridici attivi e passivi, anche processuali, delle società del Gruppo Equitalia di cui al comma 1» (così Cass., sez. VI-5, ord. 19 settembre 2019, n. 23441), senza interruzione dei giudizi pendenti che, al contrario, proseguono senza soluzione di continuità nei confronti dell’ente successore (Cass., ord. n. 15869/2018), onde poi l’affermata continuità del rapporto processuale esplica effetto anche in ordine al mandato difensivo, dunque senza necessità di costituzione del nuovo ente (Cass., n. 1992/2019).

Il dubbio interpretativo specifico riguarda la disposizione, in quanto avrebbe ad oggetto – accanto alla dichiarata facoltà di avvalersi dell’avvocatura erariale, in forza di apposita convenzione (con l’esclusione dei soli casi di conflitto) – la facoltà di avvalersi di avvocati del libero foro, in questo caso in base a criteri specifici definiti negli atti di carattere generale di cui al comma 5 dello stesso articolo 1 e nel rispetto di quanto stabilito dal codice dei contratti pubblici.

In particolare, si chiede se, nelle fattispecie di diretta instaurazione del giudizio o, comunque, di un grado di esso, da o nei confronti del nuovo ente, nonché di nuova costituzione di quest’ultimo in giudizio già pendente al momento della soppressione di Equitalia, Agenzia delle entrate riscossione può avvalersi dell’assistenza dell’avvocatura dello Stato e soltanto in presenza di determinate condizioni, di “avvocati del libero foro”.

In ossequio al principio sotteso all’art. 374 c.p.c. e alla stessa funzione di soluzioni omogenee di casi analoghi, affidato alla Corte di cassazione, all’evi­dente scopo di evitare un contrasto tra le sezioni semplici, l’ordinanza interlocutoria ha rimesso al P.P., per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la seguente questione: se per la rappresentanza in giudizio della neoistituita Agenzia delle Entrate-Riscossione sia obbligatorio il patrocinio autorizzato da parte dell’Avvocatura dello Stato o sussista per essa la facoltà alternativa di avvalersi di avvocati del libero foro.

La rimessione alle Sezioni Unite è stata preferita dalla sezione semplice, in quanto questione di massima di particolare importanza «relativa ad un settore ad elevatissima criticità anche a causa della diffusione capillare del contenzioso fiscale e delle dimensioni del medesimo perfino dinanzi a questa Corte suprema, implicante ricadute pratiche ed organizzative di singolare momento sulla funzionalità della difesa effettiva di tutte le parti coinvolte».

2. – I precedenti contrari. Sul punto esistono precedenti in senso contrario a detta facoltà.

In particolare, numerose pronunce della Sezione tributaria hanno ritenuto che, alla luce della nuova normativa, debba reputarsi l’eccezionalità del ricorso agli avvocati del libero foro da parte del nuovo ente, giacché la “regola” sarebbe quella del patrocinio necessario dell’Avvocatura dello Stato; pertanto, l’agenzia delle entrate riscossione deve avvalersi del patrocinio dell’avvoca­tura dello Stato, a pena di nullità del mandato difensivo, salvo che alleghi le fonti del potere di rappresentanza ed assistenza dell’avvocato del libero foro prescelto, fonti che devono essere congiuntamente individuate sia in un atto organizzativo generale contenente gli specifici criteri legittimanti il ricorso ad avvocati del libero foro, sia in un’apposita delibera, da sottoporre agli organi di vigilanza, la quale indichi le ragioni che, nel caso concreto, giustificano tale ricorso alternativo ai sensi dell’art. 43 r.d. n. 1611 del 1933 (fra le altre: Cass., 24 gennaio 2019, n. 1992; Cass., ord., sez. trib., 28 dicembre 2018, n. 33639; Cass., ord., sez. trib., 9 novembre 2018, n. 28741; Cass. n. 28684/2018; Cass., ord., sez. trib., 15 giugno 2018, n. 15869).

Dal suo canto, la Sezione VI-lavoro (Cass., ord. interl. n. 20813 ss. del 1° agosto 2019) ha rilevato l’assenza di precedenti della sezione sulla questione pregiudiziale della possibilità e dei modi di costituzione di Agenzia delle Entrate Riscossione attraverso avvocati del libero foro, in relazione ai giudizi di natura previdenziale.

3. – La recente norma di interpretazione autentica. Infine, si ricorda che la legge 28 giugno 2019, n. 58, conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 30 aprile 2019, n. 34, che ha introdotto nel corpo del decreto legge l’art. 4-novies, epigrafato «Norma di interpretazione autentica in materia di difesa in giudizio dell’Agenzia delle entrate-Riscossione», relativo alla interpretazione del comma 8 dell’articolo 1 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, secondo il quale: «Il comma 8 dell’articolo 1 del decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2016, n. 225, si interpreta nel senso che la disposizione dell’articolo 43, quarto comma, del testo unico di cui al regio decreto 30 ottobre 1933, n.1611, si applica esclusivamente nei casi in cui l’Agenzia delle entrate-Riscossione, per la propria rappresentanza e difesa in giudizio, intende non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato nei giudizi a quest’ultima riservati su base convenzionale; la medesima disposizione non si applica nei casi di indisponibilità della stessa Avvocatura dello Stato ad assumere il patrocinio».

4. – La soluzione delle S.U. I principî, enunciati ai sensi dell’art. 363 c.p.c., affermano che: a) l’Agenzia ha facoltà di avvalersi dei propri dipendenti delegati; b) si avvale dell’Avvocatura dello Stato, nei casi ad essa riservati dalla convenzione (salve le ipotesi di conflitto e motivata delibera) oppure vengano in rilievo questioni di massima o aventi notevoli riflessi economici; c) in alternativa, senza bisogno di formalità o della apposita delibera, si avvale di avvocati del libero foro ‒ nel rispetto degli art.. 4 e 17 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 e dei criteri di cui agli atti di carattere generale adottati ai sensi del comma 5 del medesimo art. 1 del d.l. n. 193 del 2016 ‒ se non è disponibile ad assumere il patrocinio; d) la costituzione dell’Agenzia a mezzo dell’una o del­l’altro postula la sussistenza del relativo presupposto di legge, senza bisogno di allegazione e di prova al riguardo.

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