Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
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Prime ipotesi per una disciplina italiana delle Initial Token Offerings (ITOs): token crowdfunding e sistemi di scambio di crypto-asset (di Michele De Mari, Professore associato di diritto commerciale, Università di Verona)


La digitalizzazione delle informazioni e la tecnologia blockchain hanno negli ultimi anni permesso l’emissione e la circolazione su basi crittografiche di nuovi asset digitali (cripto-attività e token) rappresentativi di diritti di vario tipo connessi all’impiego di capitali in progetti imprenditoriali. I token esibiscono paradigmi causali riconducibili al pagamento (payment-token), all’investimento-finanziamento (investment-token), alla compravendita (utility-token) o alla combinazione di due o più delle funzioni suddette (hybrid-token). La categoria più delicata e sfuggente è quella degli utility-token di natura non finanziaria, i quali, creati e trasferiti tramite blockchain o altra tecnologia Distributed Ledger, dopo il loro collocamento iniziale al pubblico, sono destinati alla circolazione e talora alla negoziazione su apposite piattaforme di scambio, assumendo così tratti di nuova finanziarietà. Questa innovativa realtà, basata su una componente tecnologica accentuata e costitutiva, è ancora molto mobile, sfocata, problematica, ma già rivendica una sua disciplina giuridica, perché, da un lato, mette comunque in moto iniziative di raccolta di capitali che impongono tutele per gli investitori-consumatori; dall’altro, costituisce per le imprese uno strumento di finanza innovativa ed alternativa che non può essere trascurato e che, anzi, con ogni probabilità, va favorito. Legislatori ed autorità di vigilanza – pur in mancanza di un quadro armonizzato a livello europeo e consapevoli della dimensione cross-border del fenomeno – non sono rimasti inerti e, almeno in parte, sono intervenuti, seppure con un approccio non uniforme quanto a tipologie di token regolati e a discipline adottate, con soluzioni tecnico-giuridiche non innovative che riprendono, per funzioni e struttura, quelle dell’offerta al pubblico di strumenti finanziari (mercato primario) e della negoziazione su sistemi di scambio (mercato secondario). Anche da noi la Consob, dopo aver adottato alcuni provvedimenti inibitori su specifiche fattispecie di token finanziari offerti al pubblico, ha di recente avviato la discussione sull’argomento, definendo la nuova categoria dei crypto-asset e formulando alcune primissime ipotesi di disciplina (tanto sul versante dell’offerta iniziale delle cripto-at­tività, declinata in termini di token-crowdfunding, che su quello della negoziazione successiva su sistemi di scambi ad hoc). Si tratta di soluzioni che tendono, non senza sollevare talune perplessità, a ricondurre nel proprio perimetro di vigilanza la categoria delle cripto-attività (diverse dalle cripto-valute), costruita come categoria mobiliare nuova ed autonoma rispetto agli strumenti finanziari e in parte anche ai prodotti finanziari. L’eventuale, futura adozione di queste misure non sembra priva di ricadute ed effetti giuridici sulle categorie tradizionali di prodotto finanziario, di crowdfunding, di offerta al pubblico e di trading venues e postula in ogni caso un preliminare ed indispensabile intervento del legislatore primario.

In recent years the digitization of information and blockchain technology have made it possible to issue and circulate on a cryptographic basis new digital assets (cryptoactivities and tokens) representing rights of various kinds related to the use of capital in business projects. The tokens exhibit causal paradigms related to payment (payment-token), investment-financing (investment-token), buying and selling (utility-token) or the combination of two or more of the above functions (hybrid-token). The most delicate and elusive category is that of the utility-token of a non-financial nature, which, created and transferred through blockchain or other Distributed Ledger technology, after their initial placement to the public, are intended for circulation and, at times, for negotiation on special exchange platforms, thus taking on new financial traits. This innovative reality, based on an accentuated and constitutive technological component, is still very mobile, blurred, problematic, but already claims its own legal discipline, because, on the one hand, it sets in motion initiatives to raise capital that impose protections for investors-consumers; on the other hand, it constitutes for companies an innovative and alternative financial instrument that cannot be neglected and that, indeed, in all probability, should be favored. Legislators and supervisory authorities – even in the absence of a harmonised framework at European level and aware of the cross-border dimension of the phenomenon – have not remained inactive and, at least in part, have intervened, albeit with a non-uniform approach as regards the types of regulated tokens and the disciplines adopted, with non-innovative technical-legal solutions that take up, in terms of function and structure, those of the offer of financial instruments to the public (primary market) and of trading on exchange systems (secondary market). Also in our country, Consob, after having adopted some inhibitory measures on specific cases of financial tokens offered to the public, has recently started the discussion on the subject, defining the new category of crypto-assets and formulating some very first hypotheses of discipline (both on the side of the initial offer of crypto-activities, declined in terms of token-crowdfunding, and on that of the subsequent negotiation on ad hoc exchange systems). These solutions tend, not without raising some perplexities, to bring the category of crypto-assets (other than crypto-currencies), built as a new and independent category of securities with respect to financial instruments and partly also to financial products, back within the scope of its supervision. The possible future adoption of these measures does not seem to be without repercussions and legal effects on the traditional categories of financial product, crowdfunding, public offering and trading venues, and in any case requires the prior and indispensable intervention of the primary legislator.

Keywords: digitalization – blockchain – crypto-activity – tokens – Initial Token Offerings (ITOs) – exchange systems

Sommario/Summary:

1. Le ITOs nella realtà empirica. - 1.1. La digitalizzazione dei diritti. - 1.2. Il ruolo della blockchain. - 2. La disciplina delle ITOs nei diversi ordinamenti. - 3. Normative domestiche per i token. - 3.1. Segue: funzioni e tipologie di token. - 3.2. Segue: la disciplina applicabile. - 4. Documento per la Discussione Consob del 19 marzo 2019. Nuovo approccio regolatorio: il token-crowdfunding ed i sistemi di scambio di token. - 5. Punti di attenzione sul Documento Consob del 19 marzo 2019. - 5.1. Segue: la qualificazione del token. - 5.2. Segue: l'opt-in. - 5.3. Segue: ITOs disintermediate e offerta intermediata di token. - NOTE


1. Le ITOs nella realtà empirica.

La ricerca di un inquadramento generale di una fattispecie nuova deve confrontarsi con la complessità della sua fenomenologia e ciò è tanto più vero quando il nuovo istituto si caratterizza per la connotazione tecnologica innovativa indipendentemente dalla pretesa neutralità tecnologica della disciplina [1]. In tali casi l’interprete non può smettere di pensare con mente antica ma deve essere aperto alla comprensione dei nuovi fenomeni e ad estendere le proprie categorie concettuali, senza rinunciare alla ricerca di nuove regole sulle fattispecie di finanza innovativa il cui sviluppo è comunque da favorire.

È allora importante capire prima di tutto cosa intendiamo quando nella realtà empirica parliamo di offerte al pubblico di coin o di token, anche dette Initial Coin or Token Offerings” (ICOs o ITOs[2].

Semplificando un po’, possiamo dire che dal 2013 in avanti (il 2013 è la data della prima ICO con il lancio della cripto-valuta “Mastercoin”) le offerte pubbliche iniziali di token digitali (o di cripto-attività) [3] si presentano come operazioni finalizzate alla raccolta di fondi necessari per finanziare un progetto imprenditoriale di un soggetto emittente (persona fisica, persona giuridica, networks di sviluppatori di prodotti), in modo simile alle più note Initial Public Offerings (IPOs). A differenza di queste ultime, le ITOs implicano l’emis­sione e l’offerta di token digitali in luogo degli strumenti finanziari tradizionali, con i quali, come si vedrà, non necessariamente coincidono.

Questi token – in via di primissima approssimazione – sono codici alfanumerici rappresentativi di diritti di vario tipo, creati e trasferiti su basi crittografiche mediante blockchain o Distributed Ledger Technology (DLT[4].

I diritti attribuiti ai titolari non sono esplicitamente indicati nel token ma sono descritti in un documento separato denominato whitepaper, che – alla stregua di un prospetto di offerta molto semplificato e ridotto – illustra l’idea o il progetto imprenditoriale, le caratteristiche dell’offerta pubblica e dei token (in alcuni casi ancora da emettere) e quelle dell’emittente i token.

token vengono offerti agli investitori che li acquistano contro moneta avente corso legale oppure, più frequentemente, contro criptovalute (principalmente bitcoin o ether[5].

La creazione, l’emissione ed il trasferimento dei token avviene per mezzo della tecnologia blockchain già esistente o attraverso una blockchain nativa progettata per la specifica ITOs.

I titolari di token – diversamente dai sottoscrittori di una IPO – non diventano generalmente soci dell’ente emittente ma sono titolari di diritti patrimoniali e/o amministrativi nell’emittente stesso ovvero di diritti di uso o di godimento su software o tecnologie già esistenti al momento dell’emissione ovvero che saranno sviluppate con le risorse finanziarie raccolte. I token talora sono accettati come mezzi di pagamento. A volte la stessa cripto-attività attribuisce al titolare non uno solo dei predetti diritti ma una combinazione degli stessi, dando luogo ad un token ibrido che assolve a più funzioni [6].

La sottoscrizione di token è completamente digitalizzata (ed avviene normalmente attraverso un c.d. digital token agreement); l’offerta è disintermediata ed è condotta con tecniche di comunicazione a distanza sul sito web dall’emittente che si avvale per la campagna di marketing di canali digitali quali Youtube o delle pagine Facebook.

Completata la fase di mercato primario della ITO, con le risorse raccolte i promotori dell’offerta devono realizzare il progetto imprenditoriale dichiarato nel whitepaper.

token emessi vengono talora negoziati sui “mercati secondari”, ossia, più precisamente, su piattaforme Internet di trading dedicate allo scambio di questi beni digitali attraverso la blockchain (cc.dd. exchanges). Queste piattaforme, che operano secondo modelli decentralizzati o centralizzati [7], sono di fatto sistemi di scambio e di negoziazione, ma non sono, ai sensi della disciplina MiFID, trading venues autorizzate, ossia mercati regolamentati (MR), sistemi multilaterali di negoziazione (MTF) o sistemi organizzati di negoziazione (OTF) (art. 63 d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 “TUF”).

Il modello appena rappresentato – al quale può riconoscersi una funzione essenzialmente descrittiva – è utile per comprendere cosa in concreto sono le ITOs, i token e gli exchange dove questi ultimi sono negoziatima non dice ancora nulla sulla possibile qualificazione giuridica del fenomeno e sulla sua regolamentazione [8]. Mette però immediatamente in evidenza un problema di tutela per chi impiega capitali acquistando token, dal momento che l’offerta al pubblico di questi ultimi dà luogo pur sempre ad un fenomeno di raccolta di capitali.

Tornerò tra poco più analiticamente su questi punti decisivi.


1.1. La digitalizzazione dei diritti.

Ci sono, a mio avviso, due elementi precisi che hanno reso possibile lo sviluppo del fenomeno delle ITOs e quindi di una nuova forma di finanza alternativa per le imprese e sono entrambi legati alle potenzialità offerte dalle nuove tecnologie.

Il primo, non certo recente, è quello della c.d. digitalizzazione degli asset.

Pur senza poter entrare nel dettaglio di questo processo tecnico attraverso il quale le informazioni vengono tradotte nel linguaggio dei computer, va ricordato che, con il passaggio dall’analogico al digitale (avvenuto alla fine degli anni ’70 del secolo scorso), si è reso possibile tradurre suoni, colori, immagini, testi, temperature e qualsiasi tipo di informazione in una sequenza di cifre, o meglio di codici alfanumerici.

Si è fatta una cosa del genere perché traducendo un’immagine, un colore, una informazione o altro in un numero, questo poteva essere inserito in un computer e conservato e trasferito con irrisoria facilità, senza errori e ad una velocità vertiginosa e a costi ridicoli. Nel mondo precedente, quello analogico, ciò era inimmaginabile [9].

Oggi siamo arrivati a rappresentare digitalmente (“digitalizzare”) diritti e situazioni giuridiche. I token digitali altro non sono, appunto, che rappresentazioni digitali di diritti, ossia diritti incorporati in codici alfanumerici, il cui contenuto è descritto nel whitepaper; questi – lo si può anticipare subito – sono creati e trasferiti tramite le regole convenzionali di circolazione proprie della tecnologia blockchain; regole che, per il momento, non sono prescritte dal legislatore come tecnica di circolazione dei diritti di fonte legale.


1.2. Il ruolo della blockchain.

Il secondo elemento che ha reso possibile lo sviluppo delle ITOs è costituito appunto dall’avvento della tecnologia blockchain (“catena di blocchi”) attraverso la quale i token sono creati e trasferiti [10].

Si tratta di una struttura dati condivisa ed immutabile; più precisamente, di un registro pubblico digitale aperto e distribuito in grado di memorizzare “transazioni” (record di dati) in modo sicuro e non duplicabile, verificabile e permanente, senza l’utilizzo di un server centrale o di un’autorità.

I partecipanti al sistema vengono definiti “nodi” e sono connessi tra loro in maniera distribuita. Ogni nodo o miner nel sistema decentralizzato ha una copia della blockchain. Non esiste nessuna copia ufficiale centralizzata e nessun utente è più credibile di altri, tutti sono allo stesso livello. I nodi-miner, ovvero gli utenti, validano le nuove transazioni e le aggiungono al blocco che stanno costruendo dopo aver verificato l’intera blockchain. Una volta completato il blocco, lo trasmettono agli altri nodi della rete.

Ciò consente di dire che la blockchain è una sorta di libro mastro (digitalizzato e pubblico) delle transazioni in ordine cronologico ma senza un’autorità centralizzata che effettua il controllo della legittimità di tutte le transazioni poste in essere. Il libro mastro è decentralizzato, cosicché ciascun utente è in possesso di una copia e può chiedere di aggiungere una transazione alla blockchain; richiesta che viene accettata solo se tutti gli utenti concordano in merito alla legittimità di tale richiesta [11]-[12].

Queste blockchain sono definite come “senza autorizzazioni” (permissionless) quando qualunque utente di Internet può prendere parte al processo di validazione e consenso delle transazioni e non esiste un’autorità che possa negare l’autorizzazione a partecipare al controllo e all’aggiunta di transazioni. Si spiega così perché tali blockchain vengono anche descritte come l’incarna­zio­ne di valori sociali e politici tesi a sottrarre alle élite centrali parte del controllo sulle transazioni quotidiane, ridistribuendolo, attraverso la tecnologia, agli utenti [13].

È tuttavia possibile configurare blockchain “con autorizzazioni” (permissioned), in cui per accedere alla rete è necessario registrarsi ed identificarsi e quindi essere autorizzati da un ente centrale o dalla rete stessa: un limitato gruppo di attori mantiene il potere di accesso, controllo e aggiunta di transazioni nel libro mastro [14]. In questo modo, gli attori “tradizionali” come le banche e i governi possono mantenere un controllo sostanziale sulle loro blockchain [15].

È importante evitare di fare confusione tra le tecnologie blockchain e le cripto-attività: queste ultime sono soltanto un tipo di applicazione della block­chain. Poiché le blockchain consentono la creazione di registri pubblici digitalizzati, queste possono ovviamente essere utilizzate anche in ambiti diversi da quelli valutari e finanziari e delle cripto-attività e consentono non solo il trasferimento di diritti, ma un’ampia gamma di applicazioni in tantissimi settori [16].

Ai token sono poi collegati i cc.dd. smart contract, ossia programmi per elaboratori che operano su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente le parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse. Attraverso gli smart contract viene data automatica attuazione alle clausole contrattuali concordate dalle parti senza altri interventi umani [17].

Questi cenni sulla blockchain non possono non ricordare come ormai questa tecnologia e gli smart contract abbiano ricevuto nel nostro ordinamento un riconoscimento giuridico importante almeno sotto taluni profili.

Il c.d. Decreto Semplificazioni ha anzitutto definito le tecnologie basate su registri distribuiti come “le tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili. Lo stesso Decreto ha altresì riconosciuto il valore giuridico delle certificazioni effettuate tramite blockchain e smart contract e quando questi soddisfano i requisiti di forma scritta e di data certa [18].

Allo stato però non esiste, per quanto consta, una norma di legge italiana che stabilisca che i registri distribuiti (i.e.: le regole convenzionali di circolazione dei token digitali proprie dei registri distribuiti) attribuiscono al possessore la legittimazione all’esercizio del diritto incorporato nel token, così come il codice civile stabilisce la legge di circolazione per le varie tipologie di titoli di credito cartolari (art. 1992 ss.) e così come il TUF fissa la legge di circolazione degli strumenti finanziari dematerializzati (art. 83-bis). Né esiste una previsione normativa che equipari la circolazione dei token digitali agli strumenti finanziari dematerializzati (sul punto si tornerà più avanti).

Va in ogni caso segnalato come questi due passaggi epocali (digitalizzazio­ne e blockchain) non hanno tuttavia impedito che numerosissime ITOs non siano andate a buon fine, quando addirittura non abbiano integrato vere e proprie frodi per i sottoscrittori.

In numerosi casi l’idea imprenditoriale che era alla base della raccolta di capitali non ha mai avuto effettiva attuazione e sono state distrutte ingenti risorse economiche di investitori al dettaglio [19].

crypto-assets veicolati tramite ITOs presentano infatti una serie di rischi sostanziali per gli investitori, che derivano dall’acquisto di prodotti inadatti senza avere accesso a informazioni adeguate. Spesso gli annunci pubblicitari lasciano fraintendere la natura di tali attività e sovrastimano i benefici e di rado avvertono gli investitori dei rischi di volatilità, del fatto che possono perdere il loro investimento, dell’assenza di un mercato secondario per molte offerte e della mancanza di regolamentazione.

A ciò si aggiunga che le ITOs sono spesso altamente speculative, in quanto sono generalmente attuate in una fase molto precoce del progetto imprenditoriale, per lo più sperimentale, quando non solo il token ancora non esiste, ma lo stesso modello di business non è ancora testato; senza dire che sovente il token (diversamente dagli strumenti finanziari azionari o obbligazionari) non ha alcun valore originario intrinseco ma deriva il suo valore dalla quotazione che prenderà sul mercato.

E proprio per questo le autorità di vigilanza (tra le prime l’EBA e la SEC) hanno subito messo in guardia i risparmiatori sui rischi che queste iniziative possono comportare nei loro confronti e per l’integrità del mercato e si sono attivate per incoraggiare lo sviluppo responsabile di attività legittime connesse alla DLT e ai crypto-assets [20].


2. La disciplina delle ITOs nei diversi ordinamenti.

Ricostruita così la fattispecie concreta delle offerte di token e descritti i due elementi decisivi legati alla tecnologia che ne hanno permesso lo sviluppo, credo si possa dire senza timore di smentita che ad oggi manchi ancora un quadro regolamentare armonizzato a livello comunitario per le ITOs, essendo, tra l’altro, stata stralciata dalla Proposta di Regolamento Ue in materia di fornitori europei di servizi di crowdfunding dell’8 marzo 2018 l’idea che le ICOs potessero essere incluse nella disciplina del crowdfunding comunitario [21].

I legislatori ed i regolatori nazionali non sono tuttavia rimasti inerti pur consapevoli dei limiti cross-border del fenomeno; hanno cominciato ad inquadrare il fenomeno (assai rilevante in termini economici sebbene in flessione nell’ultimo periodo) [22], con approcci tra loro non convergenti sia per quanto riguarda le diverse tipologie di token prese in considerazione sia in ordine alle caratteristiche della normativa che si è proposto di applicare alle ITOs.

Si tende, prevalentemente (anche se non sempre), a tener fuori dalla disciplina delle ITOs quella delle offerte delle cc.dd. criptovalute che presentano tratti comuni con i mezzi di pagamento (payment-token).

L’approccio è essenzialmente duplice: in alcuni ordinamenti si disegna una disciplina che tende a ricondurre e ad assorbire i token finanziari nell’alveo della tradizionale normativa dei mercati degli strumenti finanziari; in altri ordinamenti, si prefigurano anche discipline ad hoc (spesso ricalcate su quelle dell’offerta al pubblico), applicabili alle cripto-attività a prescindere dalla loro natura di strumenti o prodotti finanziari. Si introducono in sostanza – questo è un punto di sicura rilevanza – discipline che regolano le offerte di cripto-at­tività anche quando queste ultime non presentano natura schiettamente finanziaria.

Alcune legislazioni o autorità di vigilanza propongono un approccio più flessibile, lasciato alla qualificazione giuridica del token “caso per caso”, altre prospettano una impostazione più rigida ovvero prevedono specifiche figure preposte all’assessment preliminare del crypto-asset.

Anche le modalità di regolazione degli exchanges secondari sui quali vengono scambiati i token creati su blockchain non presentano sempre tratti di uniformità.

È interessante rilevare come alcuni Stati fanno registrare una assenza di regolamentazione, mentre altri, come Malta, San Marino e la Francia hanno già adottato delle discipline normative di rango primario.

Malta, per prima nella Unione europea, ha disciplinato le Initial Virtual Financial Asset Offerings con la Legge n. 44 del 4 luglio 2018, cd. “Virtual Financial Asset Act” [23].

Nello specifico viene regolata l’offerta dei virtual financial assets (vfa), ossia delle “attività finanziarie virtuali”, intendendosi con tale espressione “qual­siasi forma di registrazione su supporto digitale che viene utilizzata come mezzo digitale di scambio, unità di conto o negozio di valore e che non è: a) una moneta elettronica; b) uno strumento finanziario; oppure c) un gettone (token) virtuale. Con l’espressione “token virtuale” si intende una forma di registrazione su supporto digitale la cui utilità, valore o applicazione è limitata esclusivamente all’acquisizione di beni o servizi o esclusivamente all’in­terno della piattaforma DLT sulla quale è stato emesso o in relazione alla quale è stato emesso o all’interno di una rete limitata di piattaforme DLT”. Sono quindi oggetto di disciplina le cripto-valute generate dalla tecnologia DLT utilizzate come mezzo di scambio, unità di conto o negozio di valore. I virtual token, le monete elettroniche e gli strumenti finanziari (anche se tokenizzati), come detto, non sono invece soggetti alla predetta normativa.

La qualificazione di un asset come vfa è operata attraverso l’effettuazione di un apposito test rilasciato dall’autorità maltese. L’offerta al pubblico di vfa in cambio di fondi è subordinata alla predisposizione da parte dell’emittente di un whitepaper e alla consegna dello stesso all’autorità competente. L’obbligo di registrazione è previsto per il whitepaper e non per l’emittente.

La disciplina maltese prevede e disciplina inoltre la figura del virtual financial agent, registrato presso l’autorità (ed in possesso dei requisiti richiesti dalla legge), che assiste l’emittente (e funge da collegamento con l’autorità competente) in tutte le attività preordinate alla predisposizione del whitepaper (e a quelle successive alla pubblicazione) nonché a quelle finalizzate all’am­missione alle negoziazioni dei vfa sulle piattaforme di scambio DLT (artt. 7 e 14 Virtual Financial Asset Act). Le persone interessate a svolgere le funzioni di cui agli articoli 7 e 14 della Legge sono tenute a chiedere la registrazione presso l’autorità in qualità di virtual financial agent. È da segnalare che anche i servizi indicati nell’Allegato n. 2 del Virtual Financial Asset Act (i.e.: ricezione e trasmissione ordini; gestione di portafogli; custodia degli asset o di chiavi private, consulenza, collocamento e attività di vfa exchange) sono subordinati ad autorizzazione quando hanno ad oggetto i vfa (art. 13 Virtual Financial Asset Act). È altresì regolata dalla legge maltese anche l’ammissione di vfa su DLT exchange [24].

La Repubblica di San Marino ha adottato il Decreto Delegato 27 febbraio 2019, n. 37 “Norme sulla tecnologia Blockchain per le imprese” ma ha disciplinato categorie di token diverse da quelle prese in considerazione dal legislatore maltese.

Detta normativa si focalizza tanto sui itoken di utilizzo (definiti come voucher per l’acquisto di servizi o di beni offerti dall’ente blockchain che non danno diritto al rimborso del capitale o alla corresponsione di interessi né alla distribuzione di utili e non conferiscono alcun diritto quale azionista, obbligazionista o portatore di altro strumento finanziario; con la particolarità che i beni o i servizi di cui il token garantisce l’utilizzo devono essere disponibili al momento della loro emissione, non possono quindi essere beni o servizi futuri) (art. 8 Decreto 27 febbraio 2019 cit.), quanto sui iitoken di investimento che sono invece asset digitali rappresentativi di diritti propri dell’azionista o del titolare di strumenti finanziari partecipativi o di titoli di debito dell’emittente (art. 9 Decreto 27 febbraio 2019 cit.).

La differenza tra le offerte di token del primo tipo (di utilizzo) e quelle del secondo tipo (di investimento) sta nel diverso livello di tutela. In entrambi i casi deve essere presentata una richiesta di autorizzazione da parte dell’emit­tente previo deposito di un documento tecnico (whitepaper) e di una nota di sintesi del whitepaper. Le informazioni contenute nel whitepaper dei token di investimento presentano però un maggiore grado di dettaglio rispetto al documento informativo dei token di utilizzo e soprattutto i token di investimento sono soggetti alle regole previste per l’emissione dei sottostanti strumenti finanziari in linea con la regolamentazione nazionale e comunitaria applicabile, ivi incluse quelle sul prospetto informativo nel caso in cui ricorrano i presupposti dell’offerta al pubblico (artt. 8-10 Decreto 27 febbraio 2019 cit.).

In Francia la Legge 22 maggio 2019, n. 486 (la “PACTE Act”) (art. 85) ha introdotto, modificando il Code monétaire et financier (CMF), un regime specifico per le offerte pubbliche di gettoni (Offres de jetons). Le Offres de jetons – Initial Coin Offering (“ICO”) – sono per la legge francese operazioni di raccolta fondi effettuate attraverso un dispositivo di registrazione elettronica condivisa (DEEP) che si traduce nell’emissione di gettoni che possono poi essere utilizzati, a seconda dei casi, per ottenere prodotti o servizi. Per gettone si intende qualsiasi bene immateriale che rappresenti, in forma digitale, uno o più diritti che possono essere emessi, registrati, trattenuti o trasferiti per mezzo di un dispositivo elettronico di registrazione condiviso che identifica, direttamente o indirettamente, il proprietario di tale bene (art. L 552-2 CMF). Questo nuovo regime, volto a favorire lo sviluppo di questo fenomeno, non si applica all’emissione di token simili a titoli finanziari (“securities-token”) ma esclusivamente all’emissione dei cosiddetti “utility-token” offerti ad un numero superiore a 150 persone. Gli emittenti token (rientranti nella categoria degli utility-token) hanno il diritto (ma non l’obbligo) (c.d. opt-in) di richiedere all’Auto­rité des marchés financiers (AMF) un visto per fare un’offerta al pubblico di token. Il visto AMF non viene rilasciato all’emittente, ma in relazione all’of­ferta di gettoni, a condizione che: i) l’emittente sia costituito come persona giuridica stabilita o registrata in Francia; ii) una scheda informativa (comunemente nota come “whitepaper”) sia redatta in conformità all’articolo 712-2 del regolamento generale dell’AMF e all’istruzione AMF DOC-2019-06 (il documento informativo deve essere conciso e comprensibile; comprende tutte le informazioni rilevanti per il pubblico sull’offerta e sull’emittente dei gettoni per consentire ai sottoscrittori di prendere le loro decisioni di investimento e di comprendere i rischi associati all’offerta. Le informazioni in esso contenute sono accurate, chiare e non fuorvianti); iii) l’emittente metta in atto un processo di tracciabilità e salvaguardia dei beni raccolti nell’offerta ed abbia istituito un sistema che gli consente di adempiere ai propri obblighi in materia di lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo (art. L 552-5 CMF). L’AMF pubblica sul proprio sito la lista delle ICOs approvate (art. 713-3 del regolamento generale dell’AMF). L’emittente i token è obbligato ad informare i sottoscrittori sul proprio sito web dell’organizzazione di un mercato secondario non appena ne viene a conoscenza.

È anche da segnalare che la prestazione abituale dei servizi indicati nell’art. L 54-10-2 CMF (custodia; acquisto e vendita; gestione di piattaforme; ricezione e trasmissioni ordini; gestione di portafogli; consulenza, ecc.), aventi ad oggetto gli actifs numériques (tra i quali sono ricompresi i token di cui si è detto), è soggetta ad autorizzazione da parte dell’AMF (art. L 54-10-3 ss. CMF).

La Francia, come si dirà più avanti (infra nt. 40), ha anche equiparato l’or­dinario trasferimento dei titoli finanziari non quotati da un conto ad un altro al trasferimento mediante registrazione in un DEEP su blockchain.

Altri Paesi sono invece intervenuti con strumenti di soft regulation, come ad esempio, l’autorità federale svizzera di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) che ha adottato delle Linee Guida [25]. La FINMA ha distinto i token in base alla loro funzione economica (token di pagamento, quelli che sono accettati come mezzo di pagamento per l’acquisto di beni o servizi, tipicamente le criptovalute; token di utilizzo, quelli che permettono di accedere a un servizio digitale su una infrastruttura blockchaintoken di investimento, quelli che rappresentano valori patrimoniali) e si propone ai promotori delle ITOs come autorità che valuta preliminarmente il progetto, la strutturazione dell’emis­sione e la funzione specifica dei token nonché le modalità di trasferimento ed i mercati secondari di negoziazione. Solo le offerte relative ai token d’inve­stimento sono soggette all’obbligo di autorizzazione preventiva.

Taluni Stati extra-UE hanno vietato le ICOs (Cina e Corea del Sud) al fine di evitare la destabilizzazione dei mercati finanziari e perdite ingenti per i piccoli risparmiatori [26].

Altri ancora, Regno Unito [27], Italia [28], Germania [29] hanno proposto in consultazione o anche solo in discussione delle ipotesi di regolamentazione ancora in itinere.

Non sono infine neppure mancate le prime prese di posizione dell’Esma, la quale, in particolare, ha effettuato un’indagine sottoponendo alle autorità nazionali un ampio campione di crypto-assets dotati di diritti diversi.

crypto-assets, secondo l’Esma, possono avere caratteristiche differenti e/o svolgere funzioni diverse. Alle attività denominate investment-type possono essere collegati alcuni diritti di profitto (si tratta, ad esempio, di azioni, strumenti simili ad azioni o strumenti non azionari). Altri, i cosiddetti crypto-assets utility-type, forniscono alcuni diritti di utilità o di consumo, ad esempio, la possibilità di utilizzarli per accedere o acquistare alcuni dei servizi/prodotti che l’ecosistema in cui sono costruiti mira ad offrire. Altri ancora, i payment-type, non hanno alcun valore tangibile, se non per l’aspettativa che possano servire come mezzo di scambio o di pagamento per pagare beni o servizi esterni all’ecosistema in cui sono costruiti. Inoltre, molti token hanno caratteristiche ibride o possono evolvere nel tempo.

L’Esma comunque utilizza il termine crypto-assets per riferirsi sia alle cosiddette valute virtuali che ai gettoni digitali (token) emessi attraverso le ICOs e comunque ad attività che non sono emesse e garantite da una banca centrale.

L’esito dell’indagine condotta dall’Esma ha evidenziato che la maggioranza delle autorità ritiene che alcune di queste attività, ad esempio quelle che attribuiscono al titolare diritti di profitto, possono essere classificate come valori mobiliari o altri tipi di strumenti finanziari, con la conseguente applicazione della relativa disciplina.

L’Esma ha altresì proposto, per i token non qualificabili come strumenti finanziari, due possibili opzioni normative: A) prevedere uno speciale regime che informi i consumatori sui rischi di questa tipologia di crypto-assets senza ricondurli ad una regolamentazione analoga a quella delle cripto-attività che sono strumenti finanziari, oppure B) non fare nulla (“Do Nothing”). Anche se va rammentato come l’Esma ritenga che l’opzione A sia la più appropriata [30].

In concomitanza con queste iniziative non sono mancati, anche per fronteggiare le offerte al pubblico abusive di token che in concreto si sono presentate, gli interventi di vigilanza delle diverse autorità che “caso per caso” hanno applicato analogicamente – previa ri-qualificazione del token come strumento, prodotto finanziario o contratto di investimento – la disciplina delle offerte al pubblico e quella sui servizi di investimento.

In Italia la Consob è intervenuta già in numerose, diverse occasioni, nelle quali ha sospeso in via cautelare ex art. 99, comma primo, lett. b, TUF le relative offerte al pubblico di token. In tali casi l’autorità – dopo aver ricondotto i token nell’ambito della categoria di prodotti finanziari ed aver rilevato che l’offerta era rivolta ad un pubblico residente in Italia (i contenuti delle pagine web erano in italiano) – ha sanzionato gli emittenti i token per non aver osservato le disposizioni relative alla presentazione e alla pubblicazione del prospetto informativo [31]. Si è così privilegiato l’approccio del “caso per caso” e della “prevalenza della sostanza sulla forma”. L’ambito di intervento e di vigilanza dell’autorità italiana – è appena il caso di ricordarlo – si è peraltro di recente esteso anche nei confronti dei fornitori di connettività e dei gestori delle reti telematiche che non sono soggetti vigilati [32].

Anche la SEC è intervenuta numerose volte [33].

Il perimetro del fenomeno non è differente rispetto a quello europeo: una “offerta iniziale di moneta” o “ICO” è, secondo la SEC, una forma, recentemente sviluppata, di raccolta fondi in cui un’entità offre ai partecipanti una moneta o un gettone digitale in cambio di un corrispettivo (più comunemente bitcoinether, o valuta fiat). I gettoni sono emessi e distribuiti su una block­chain o su un registro criptografico. I gettoni sono spesso, subito dopo la loro emissione, quotati e scambiati anche su piattaforme online, tipicamente chiamate scambi di valuta virtuale.

Anche oltreoceano gli emittenti pubblicano un whitepaper che descrive il progetto particolare che cercano di finanziare e i termini dell’operazione. Gli emittenti pagano altri per promuovere l’offerta, anche attraverso canali di social media come bacheche, video online, blog, Twitter e Facebook. Ci sono siti web e social media dedicati alle discussioni sulle ICOs e sull’offerta e vendita ed il commercio di monete e gettoni.

Nei casi passati al vaglio dalla SEC e sopra richiamati, quest’ultima, trascurando la forma per la sostanza e ponendo l’accento sulla realtà economica alla base della transazione, tende a ricondurre i token nell’ambito delle securities e specificatamente tra i contratti d’investimento [34]. I token denominati Mun, ad esempio, non attribuivano nessun dividendo ma assicuravano la creazione di un mercato secondario per il trading dei token, cosicché gli investitori potevano aspettarsi di trarre profitto dall’apprezzamento del valore dei token derivante dagli sforzi imprenditoriali di Munchee Inc.

Come si è illustrato, il panorama generale è molto variegato: non vi è una tipologia univoca di token né le discipline prospettate nei diversi ordinamenti o dalle varie autorità di controllo sono tra loro uniformi. Si tende (in molti ordinamenti) a ricondurre il collocamento dei token finanziari nell’ambito della disciplina loro propria o a prevedere una speciale normativa (quantomeno) di trasparenza informativa per i token di pagamento o di utilizzo e comunque ad attrarli nell’ambito del perimetro di competenza delle autorità di vigilanza di settore. E ciò non solo, come è ovvio, quando il token è riconducibile ad uno strumento finanziario ma anche quando – conviene rimarcarlo – integra la categoria dei cc.dd. utility-token sulla quale si tornerà diffusamente più avanti.

Ci troviamo quindi in una situazione tra il “non è più” e il “non ancora”: non siamo più di fronte ad un fenomeno sconosciuto o poco praticato ma non abbiamo ancora un quadro normativo ben definito e armonizzato né a livello nazionale né a livello transfrontaliero comunitario.


3. Normative domestiche per i token.

Dimentichiamoci per un attimo di quegli ordinamenti che hanno già disciplinato il fenomeno e delle proposte di regolamentazione speciale delle ITOs e rinviamo ai successivi paragrafi per l’analisi del Documento per la Discussione di Consob del 19 marzo 2019. Dimentichiamoci di tutto questo e basiamoci ora solo sui dati ordinamentali nazionali esistenti che – conviene sottolinearlo – non sono stati concepiti tenendo conto di questi nuovi strumenti digitali.

Ebbene io credo che la disciplina oggi applicabile sia una necessaria conseguenza della qualificazione giuridica che si dà al token.

A tal fine – assunto che il token digitale è generato tramite blockchain (dato che, come meglio si vedrà, non è neutro ma ha incidenza sul regime di circolazione dei token) – è indispensabile capire quale sia il rapporto negoziale sottostante che giustifica l’emissione del token (: la causa negoziale), tenendo presente l’ulteriore (ed eventuale) circostanza, per così dire “estrinseca” al token, che questo sia negoziato o destinato alla negoziazione su uno o più sistemi di scambio. Si tratta, nello specifico, di indagare se il token presenti una causa di investimento finanziaria o la sua funzione sia altra.

Pertanto è sul negozio costitutivo del rapporto digitalmente documentato dal token (e dal relativo whitepaper) e sui diritti in esso incorporati che è opportuno soffermarsi per ricostruire la disciplina applicabile alle ITOs.


3.1. Segue: funzioni e tipologie di token.

Effettivamente la tassonomia oggi maggiormente condivisa distingue, seppure con sfumature diverse, i token costruiti con la tecnologia blockchain in funzione della loro causa giuridica-economica [35].

Acquisito il dato generalmente riconosciuto, anche sul piano comparatistico, che un token è un codice alfanumerico digitale rappresentativo di diritti che incorpora e implicitamente documenta informazioni complesse non duplicabili, creato e trasferibile su basi crittografiche attraverso un registro elettronico condiviso e distribuito (blockchain o Distributed Ledger Technology), pur nel polimorfismo e nella sommarietà delle categorie, si possono distinguere:

i)payment-token: ossia cripto-monete, senza diritti incorporati, ossia strumenti affini ai mezzi di pagamento per l’acquisto di beni o servizi, sempre che il venditore del bene o del servizio sia disponibile ad accettarli per l’estinzione dell’obbligazione pecuniaria. Non sono equiparabili né agli strumenti né ai prodotti finanziariex  2, secondo comma, seconda alinea, TUF [36];

ii) investmentosecurity-token: ossia token che attribuiscono al titolare un diritto di partecipazione, patrimoniale o amministrativo nell’emittente i token (sulla falsariga dei nostri strumenti finanziari partecipativi o non partecipativi), ovvero un diritto di credito nei confronti dello stesso emittente. Sono equi­parabili agli strumenti o ai prodotti finanziari se presentano le caratteristiche che connotano le rispettive tipologie [37];

iii) utility-token: ossia token che attribuiscono al titolare il diritto di utilizzare o di godere di un bene o di un servizio (fisico o digitale) presente o futuro e che tipicamente tendono a soddisfare le esigenze di consumo del titolare, senza che l’apporto finanziario sia funzionale alla partecipazione ad una iniziativa imprenditoriale;

iv) hybrid-token: ossiatokenche prevedono la combinazione di due o più delle funzioni suddette (pagamento/investimento/finanziamento/compraven­di­ta). L’equiparabilità agli strumenti o ai prodotti finanziari può verosimilmente essere legata alla prevalenza della causa finanziaria o di componenti finanziarie implicite sulle altre funzioni pure assolte dal token. La categoria degli hybrid-token è di gran lunga quella più diffusa.

Tralasciando i token di pagamento che possono assolvere a finalità solutorie nei casi anzidetti, le altre tipologie sono accomunate dalla circostanza che rappresentano o incorporano diritti alla cui base vi possono essere tra le parti essenzialmente relazioni di investimento, di finanziamento o di compravendita e di consumo.

Questi asset digitali sono inoltre trasferibili secondo le regole proprie della tecnologia DLT utilizzata e sovente sono anche negoziabili su piattaforme di mercato secondario. Sono quindi essenzialmente destinati alla circolazione. In ciò si può scorgere la differenza con i documenti di legittimazione (art. 2002 cod. civ.) che, come si sa, non sono destinati alla circolazione e servono solo ad identificare l’avente diritto alla prestazione (a razionalizzare, come si usa dire, il momento esecutivo di contrattazioni di massa) e non incorporano il diritto alla prestazione in essi indicata che si basa esclusivamente sul contratto di massa concluso “a monte”.

Queste caratteristiche e funzioni li avvicinano ai titoli di credito di massa e agli strumenti finanziari dematerializzati (ove, si intende, presentino gli elementi giuridici costitutivi di queste figure), pur mancando della fisica materialità dei titoli cartolari e della forma scritturale propria degli strumenti finanziari legalmente dematerializzati ex art. 83-bis ss. TUF [38].

Le regole convenzionali di circolazione della blockchain, basate, come si è detto, sulla validazione di un blocco di informazioni in un registro condiviso e distribuito (almeno nella versione non intermediata permissionless) non appaiono tuttavia compatibili con le forme di circolazione prescritte dalla legge proprie dei titoli di credito e degli strumenti finanziari dematerializzati ex art. 83-bis TUF (art. 1992 cod. civ.). Né, quindi, con quelle dei titoli cartolari dettate dal codice civile (diverse, come si sa, per i titoli al portatore, all’ordine o nominativi: artt. 2003, 2008, 2021 cod. civ.) che postulano l’esi­stenza materiale del documento, la sua consegna fisica, né, a maggior ragione, con quelle proprie del regime intermediato di dematerializzazione legale, dal momento che la registrazione su blockchain non può farsi coincidere con le registrazioni scritturali sui conti dei depositari centrali e degli intermediari (art. 83-quater TUF) [39].

Né (sul punto si tornerà più avanti) ad oggi la blockchain o le tecnologie ad essa affini integrano una tecnica legale di circolazione di questi asset digitali, trattandosi per il momento di una regola solo convenzionale. E neppure, ad oggi, sono equiparate (dalla legge) alle forme proprie di circolazione degli strumenti finanziari dematerializzati, così come in passato la circolazione dematerializzata fondata su scritture contabili fu equiparata ex lege alla circolazione documentale dei titoli cartolari (art. 83-quinquies TUF) [40].

Ed è bene anche rammentare che la disciplina di circolazione dei titoli di credito può disapplicarsi solo se derogata da disposizioni codicistiche o di leggi speciali (art. 2001, comma primo, cod. civ.).

È tuttavia ora necessario indugiare sui cc.dd. utility-token puri, atteso che questa è la categoria più problematica ai fini della disciplina applicabile, perché questi non si presentano come strumenti di investimento in senso causale, pur presentando una attitudine allo scambio ed alla negoziazione su piattaforme di mercati secondari.

Volendo fare alcuni esempi, possiamo pensare ai vecchi gettoni telefonici della SIP – Società Italiana per l’esercizio telefonico – (erano di metallo, non digitali e non “giravano” su blockchain); questi, una volta acquistati, davano diritto alla prestazione telefonica corrispondente al valore del gettone ed erano anche utilizzati come mezzo di pagamento, venendo accettati dal creditore in adempimento di piccoli debiti pecuniari [41]. Questi erano token non digitali ante-litteram che oggi diremmo utility-token o anche hybrid-token ove presente anche la funzione di pagamento.

Oppure pensiamo – in chiave decisamente più moderna – alla società Alfa, nota casa automobilistica di lusso, che emette un token che consente al titolare del gettone il diritto di provare un’auto nuova in edizione limitata per un’ora. Il token sarà negoziabile sui mercati secondari dove il prezzo potrà aumentare o diminuire a seconda della domanda dell’auto in versione limitata, ma non conferirà al titolare del gettone diritti aggiuntivi come utili, proprietà o controllo, ecc.

Oppure immaginiamo la società Beta di criptoasset che sta raccogliendo fondi per costruire una rete di dati. L’azienda emette gettoni che danno al titolare del token il diritto ai dati detenuti all’interno della rete, ma i gettoni non conferiscono al titolare del gettone diritti aggiuntivi come il profitto, la proprietà o il controllo. I gettoni non sono, in questo caso, negoziabili sui mercati secondari. Si tratta di un gettone di utilità e non di uno strumento finanziario MiFID [42].

Si pensi ancora, per chiarire ulteriormente il concetto di utility-token, al­l’acquisto di un gettone digitale che dà diritto ad utilizzare un software all’esi­to del processo di sviluppo imprenditoriale (pensiamo all’acquisto di uno spazio icloud decentralizzato) oppure anche ad un video-gioco, come, ad esempio, al CryptoKitties token (una specie di Tamagochi dell’era digitale). Que­st’ultimo è un video-gioco basato su blockchain, di grandissimo successo, che consente ai giocatori, titolari dei corrispondenti token iscritti su blockchain, di interagire con i loro CryptoKitties, acquistando, collezionando, allevando e vendendo dei simpatici gattini virtuali, unici ed irripetibili. Ogni gatto (ossia ogni token su blockchain) ha un aspetto visivo distinto (“fenotipo”) determinato dai suoi geni immutabili (“genotipo”) memorizzati nel contratto intelligente. Acquistando il token si ha diritto ad utilizzare e ad alienare il software/vi­deogioco.

Il profilo al quale prestare attenzione – anche nell’ottica del requisito della finanziarietà dell’utility-token – è che uno di questi gattini digitali (bellissimo, dagli occhi viola) è stato venduto nel dicembre 2017, su una apposita piattaforma blockchain, alla “modestissima” cifra di 111 mila dollari (il prezzo medio all’origine di un gattino è di 25 dollari).

Gli utility-token puri sono quindi asset digitali che danno diritto alla titolarità e all’utilizzo di beni o servizi fisici o digitali e che, nel contempo, consentono all’emittente, con i proventi realizzati dalla vendita dei token, di finanziare il proprio progetto imprenditoriale. Gli utility-token soddisfano così esigenze di consumo del sottoscrittore, senza che l’apporto finanziario sia funzionale alla partecipazione all’iniziativa imprenditoriale dell’emittente o ad operazioni di prestito con obbligo di rimborso a carico dell’emittente-prenditore.

E c’è da chiedersi se restano investimenti di consumo anche quando i token sono negoziati su sistemi di scambio secondari e quando l’operazione è effettuata non solo allo scopo di procurare all’acquirente il godimento del bene ma anche al fine di investire il proprio patrimonio con lo scopo di incrementarne il valore. In tali casi sono investimenti di consumo o diventano investimenti di natura finanziaria?

Il tema, nei suoi caratteri generali, è proprio questo e, come è noto, non è nuovo: in effetti anche i dubbi sottesi alla prospettazione dei token suggerita dalla Consob (sulla quale si tornerà nel successivo § 4) ruotano a mio avviso intorno a questo punto.

D’altronde anche l’Esma mette in evidenza come alcune cripto-attività, pur esulando dal campo di applicazione della regolamentazione finanziaria della Ue, possono comunque essere percepite come investimenti simili ai valori mobiliari da parte degli investitori al dettaglio, in ragione del fatto che possono essere negoziate sui mercati secondari [43].

Per il nostro diritto interno o meglio per la prassi interpretativa sino ad oggi costante della Consob, il mero acquisto di un bene motivato dalla ricerca di un profitto (si pensi all’acquisto di vini d’annata o di opere d’arte anche con finalità speculative) oppure dall’aumento di valore di un bene sul mercato dove viene scambiato non si può qualificare come rendimento di natura finanziaria, ma al più come un risultato economico dipendente dalla rivalutazione del bene in funzione dell’andamento del mercato di settore. Perché si possa parlare di rendimento di natura finanziaria l’atteso incremento di valore del capitale impiegato deve essere elemento intrinseco all’operazione stessa (promessa di rendimento collegata alla res [44]). Pertanto la destinazione alla negoziazione del token al mercato non appare sufficiente per qualificare questo asset come prodotto finanziario; né, come si è già ricordato, l’idoneità del token ad essere negoziato sui mercati dei capitali (art. 1, co. 1-bis, TUF), in mancanza di una relazione d’investimento o di finanziamento tra le parti, è sufficiente per dar vita ad uno strumento finanziario.

Anche per la FCA inglese i gettoni di servizio possono essere scambiati sui mercati secondari ed essere utilizzati a fini di investimento e di trading speculativo. Ciò tuttavia non significa che questi gettoni costituiscono uno specified investment ai sensi del Regulated Activities Order (RAO), né uno strumento finanziario ai sensi della MiFID, restando assimilabili tali operazioni all’ac­quisto di beni, il cui valore è destinato ad aumentare nel tempo (immobili residenziali o commerciali, vini, automobili, opere d’arte, ecc.) [45].

Diversamente invece la SEC appare più propensa a riconoscere il carattere della finanziarietà anche a beni che non sono originariamente finanziari ma che successivamente vengano negoziati su piattaforme di scambio ed acquistati per ragioni speculative [46].


3.2. Segue: la disciplina applicabile.

Bene, tornando alla disciplina italiana, se si condivide la tassonomia ora rammentata, sembra di poter dire che il token in quanto gettone digitale rappresentativo di informazioni complesse è di per sé neutro, ciò che rileva, come detto, è il rapporto negoziale che ne è alla base e ne giustifica l’emissione e costituisce i diritti incorporati nel token e nel whitepaper, nonché la sua eventuale destinazione alle negoziazioni.

In considerazione di ciò, diventa consequenziale osservare che, quando i token rientrano tra gli strumenti finanziari ovvero tra i prodotti finanziari, la disciplina che oggi può essere richiamata come applicabile è quella dell’offer­ta al pubblico di cui agli artt. 93-bis e ss. del TUF, quella della prestazione dei servizi di investimento (e nello specifico quella della promozione e collocamento a distanza ex art. 32 TUF e della consulenza in materia di investimenti), quella della gestione collettiva del risparmio (nel caso di gestione in monte delle risorse raccolte), quella già oggi vigente del crowdfunding ex art. 50-quinquies TUF, nel caso in cui i token rappresentino strumenti finanziari emessi da PMI, circostanza che sembrerebbe ammissibile anche con riguardo ai token rappresentativi di quote di PMI s.r.l. ove queste siano standardizzate [47].

Quanto alle modalità di scambio di mercato secondario su trading venues, va da sé che quando i token integrano strumenti finanziari, questi potranno essere negoziati, successivamente all’emissione, soltanto nelle sedi di negoziazione tipizzate e autorizzate ai sensi di MIFID2 per lo scambio di strumenti finanziari e non su piattaforme prive di tale status [48].

Certo resta aperto – sia ribadito almeno per inciso – il problema alquanto complesso del trasferimento dei token digitali secondo le regole “convenzionali” della blockchain, che, allo stato, non sono equiparabili né sono equiparate dalla legge alle tecniche di circolazione dei titoli di credito cartolari (artt. 1992, 2003, 2008, 2021 cod. civ.) o a quelle scritturali degli strumenti finanziari dematerializzati (art. 83-bis ss. TUF) [49]. Problema del trasferimento dei token che naturalmente si pone anche a prescindere dalla successiva negoziazione di questi sui mercati secondari.

Vi è pertanto già un apparato normativo, alquanto corposo, in grado di tutelare gli investitori e di disciplinare le ITOs aventi ad oggetto token, quando questi integrano prodotti o strumenti finanziari, a ciò non ostando la componente tecnologica del fenomeno, che non mi pare richieda radicali innesti normativi, se non quelli legati alle regole di circolazione su blockchain degli strumenti finanziari tokenizzati. Il confronto comparatistico sopra condotto con gli altri ordinamenti ha messo del resto in evidenza che pressoché tutti i Paesi considerati riconducono l’offerta e la negoziazione dei token “finanziari” nell’alveo della disciplina dei mercati degli strumenti finanziari.

Certo l’applicazione dell’anzidetta normativa postula un esame del “caso per caso”, teso, ogni volta, alla precisa individuazione – da parte degli operatori e delle autorità – delle caratteristiche del token come strumento finanziario o come ogni altra forma di investimento di natura finanziaria anche non tipizzata dal legislatore.

Preme tuttavia ricordare che la necessità di procedere volta per volta ad una qualificazione funzionale del token rappresenta comunque – in un ambiente normativo nel quale l’autonomia privata è libera di creare nuovi titoli di credito (arg. ex art. 2004 cod. civ.) – un modus procedendi al quale siamo abituati, che non deve e non può sorprendere: è quello proprio degli operatori e dell’autorità di vigilanza sin dai tempi della prima normativa sulle sollecitazioni all’investi­mento dei famigerati titoli atipici. Erano gli inizi degli anni ’80 del secolo scorso e fioccavano le operazioni di raccolta di capitali tra il pubblico in forme inedite e con titoli atipici [50]. Ed è superfluo ricordare come l’imposta­zione metodologica che individua la disciplina applicabile in funzione dell’atti­vità svolta e dell’oggetto specifico di questa è pacifica e consolidata.

Non sto sostenendo che la disciplina italiana del TUF oggi vigente “copra” le offerte ed il collocamento di tutte le tipologie di token e che la componente tecnologica del fenomeno sia del tutto neutra. Assolutamente no.

Restano sicuramente fuori dalla vigente disciplina – oltre ai payment-token, che, in quanto mezzi di pagamento, non sono strumenti finanziari (art. 1, co. 2, TUF) – gli utility-token puri ed i token ibridi (con causa finanziaria non prevalente), nonché i token che – pur non rientrando tra gli strumenti ed i prodotti finanziari – incorporano diritti connessi ad asset illiquidi (come beni immobili, opere d’arte, ecc.).

Quanto agli utility-token puri che costituiscono forse la categoria più delicata: da questi è assente la causa finanziaria e non possono, secondo le categorie oggi in uso, essere ricondotti ai prodotti finanziari né tantomeno agli strumenti finanziari, neppure quando il loro acquisto fosse motivato dalla ricerca di un profitto (acquisto di utility token per ragioni speculative) [51].

Ricapitolando, già oggi abbiamo una disciplina nella quale ricondurre le offerte iniziali e gli scambi di token, ancorché sia una normativa che ogni volta presuppone, caso per caso, un’attenta qualificazione del token in termini di causa di investimento finanziariaÈ la strada già battuta nella stagione dei titoli atipici e più di recente intrapresa dalla stessa Consob nei propri menzionati provvedimenti cautelari, dove, quando alcune tipologie di token sono state qualificati come prodotti finanziari, le relative offerte al pubblico sono state inibite. Non vi è dubbio che questa impostazione non contempla i crypto-asset il cui paradigma causale non sia riconducibile a quello degli strumenti o dei prodotti finanziari che pure possono mettere in moto esigenze di tutela dei consumatori-investitori.

Rispetto a questo tracciato l’autorità di vigilanza nazionale dei mercati finanziari sembra ora non tanto discostarsene quanto voler evolvere, sensibile evidentemente alla dimensione ed alla componente tecnologica del fenomeno, alle ragioni di protezione del pubblico risparmio, alla necessità di favorire nuovi strumenti di finanza innovativa per le imprese e, non ultimo, al confronto con le misure normative e di moral suasion già adottate in altri ordinamenti.


4. Documento per la Discussione Consob del 19 marzo 2019. Nuovo approccio regolatorio: il token-crowdfunding ed i sistemi di scambio di token.

In questo contesto la Consob è intervenuta con il Documento per la Discussione del 19 marzo 2019, in cui prospetta una possibile, futura ipotesi regolatoria in ambito nazionale delle “offerte iniziali e degli scambi di cripto-attività”, muovendo da una definizione di token ad hoc diversa da quella di strumento finanziario ed, in parte, anche ulteriore rispetto a quella di prodotto finanziario.

Si tratta di un Documento, in cui non viene proposto un articolato di norme, ma ci si rivolge a tutti gli stakeholders del settore finanziario per ricevere commenti e proposte sul tema. È un Documento di Consultazione aperto ed è appunto finalizzato ad avviare la discussione a livello nazionale sul tema. Una discussione che, se si concretizzerà, non potrà che implicare, prima che delle modifiche di natura regolamentare, delle integrazioni alla normativa primaria che oggi non contempla questo fenomeno né a livello di mercato primario né sul piano del mercato secondario.

Mi limiterò ora brevemente a richiamare i contenuti essenziali di questo Documento rilevanti ai fini del discorso che si sta qui conducendo e concluderò segnalando alcuni punti del Documento della Consob che – a mio sommesso avviso – meritano particolare attenzione.

In primo luogo viene data una nozione di token (anzi, di cripto-attività, dal cui perimetro è esclusa la cripto-valuta) nei termini seguenti: token come valore/asset diverso dagli strumenti finanziari (ma che può presentare elementi del prodotto finanziario), consistente in registrazioni digitali rappresentative di diritti connessi ad investimenti in progetti imprenditoriali, creato e trasferibile su basi crittografiche attraverso un registro elettronico condiviso e distribuito (blockchain o Distributed Ledger Technology), destinato alla negoziazione o negoziato su sistemi di scambi di cripto-attività.

In termini più schematici può dirsi che il crypto-asset preso in considerazione dalla Consob consiste in:

  1. una registrazione digitale rappresentativa di diritti connessi ad investimenti in progetti imprenditoriali, creata e trasferita su basi crittografiche medianteblockchainDLT, idonee a consentire l’identificazione del titolare dei diritti relativi agli investimenti sottostanti e incorporati nella cripto-attività;
  2. non è uno strumento finanziario (art. 1, comma secondo, TUF) o un prodotto di investimento assicurativo o preassemblato (art. 25-terTUF);
  3. può essere un prodotto finanziario (art. 1, comma primo, lett. u, TUF) ma può anche non coincidere con un prodotto finanziario;
  4. è destinato alla negoziazione o è negoziato su sistemi di scambi ditoken.

Il token costituisce quindi una categoria ad hoc, una categoria nuova ed autonoma rispetto agli strumenti finanziari e in parte anche ai prodotti finanziari, che può però coincidere o non coincidere con questi ultimi [52]. Dirò tra pochissimo come questa qualificazione necessiti, a mio sommesso avviso, di una maggiore puntualizzazione sia in termini di definizione sia in termini di raccordo con i principi generali.

Ma andiamo avanti, identificato il token nei termini suddetti, la Consob ipotizza conseguentemente una disciplina nuova per le cripto-attività. Una normativa, tuttavia, essenzialmente mutuata da quella dell’offerta di strumenti finanziari di PMI sui portali di crowdfunding (mercato primario) e da quella della negoziazione di strumenti finanziari sulle trading venues per le operazioni di mercato secondario:

– la Consob prospetta un approccio regolatorio che, su base volontaria (opt-in), prevede l’offerta di token di nuova emissione, senza esenzioni per soglie di valore, attraverso piattaforme on line autorizzate (gestite dagli attuali gestori di portali di crowdfunding o da nuovi gestori di portali on line di cripto-attività dotati di predeterminati requisiti): prospetta quindi una disciplina per le offerte iniziali di token che possiamo chiamare sinteticamente token crowdfunding [53];

– restano legittime le offerte di token fuori dal predetto nuovo quadro regolatorio che tuttavia non saranno assistite dalle tutele che la nuova disciplina del token crowdfunding garantirà (fatte salve le ipotesi in cui il token sia qualificabile come prodotto finanziario, caso in cui si applica la disciplina dell’of­ferta al pubblico);

– si prospettano altresì dei mercati secondari di token (i.e.: sistemi di scambi volti a favorire l’incontro tra domanda ed offerta e nel contempo sistemi di custodia e trasferimento di cripto-attività iscritti in un registro tenuto da Consob), basati su tecnologia blockchain permissioned (che non consente l’acces­so libero anche anonimo), sui quali si possono negoziare i soli token oggetto di offerta sul primario;

– detti sistemi – sempre sulla base dell’opt-in – possono essere gestiti dagli stessi gestori delle piattaforme di mercato primario dei token o da ulteriori soggetti (gestori delle sedi di negoziazione, gestori di portali di crowdfunding, gestori di piattaforme per le offerte di cripto-attività) che rispettano i requisiti soggettivi previsti da Consob; il Documento Consob auspica che tali piattaforme, pur non inquadrabili allo stato nell’impianto disciplinare di MiFIR/MiFID2, siano regolate da una normativa che, ispirandosi a quella disciplina, preveda requisiti minimi di governance ed operatività per le piattaforme in questione;

– l’emissione, l’offerta, la circolazione successiva del token e la sua stessa custodia poggiano necessariamente sulla tecnologia tipo blockchain ovvero sulla sua capacità di registrare e mantenere l’evidenza della titolarità dei diritti connessi ai crypto-asset in circolazione;

– quando invece il token coincide con gli strumenti finanziari e con i prodotti di investimento assicurativi e preassemblati, a questo si applica la disciplina propria di questi strumenti in tema di Prospetto, di MiFID2, di Market Abuse.


5. Punti di attenzione sul Documento Consob del 19 marzo 2019.

La Proposta regolatoria della Consob è certamente apprezzabile anzitutto perché inserisce, prepotentemente, i token e le ITOs tra gli obiettivi di tutela degli investitori retail, immaginando una cornice regolamentare (e, direi, prima ancora “normativa”) entro cui inquadrare la nuova operatività. Una operatività attraverso la quale vengono comunque raccolti capitali presso il pubblico mediante, oltretutto, strumenti (come gli utility-token) ai quali appare estranea la causa finanziaria [54].

Lo fa proponendo una soluzione che ha il pregio di ricondurre le cripto-attività, basate su una accentuata componente tecnologica, in uno schema di disciplina sperimentato e assistito da specifiche tutele modellato sull’equity-crowdfunding; modello, quello italiano di crowdfunding, che – oltre ad essere stato il primo del genere in Europa sin dal 2013 – si è dimostrato efficiente per gli strumenti finanziari emessi dalle PMI e si è di recente arricchito anche della possibilità di offrire sulle stesse piattaforme non più solo equity ma anche titoli di debito delle PMI [55].

Appare quindi appropriato, sotto questo specifico angolo visuale, l’accosta­mento delle ITOs al crowdfunding, non solo perché sono entrambe forme di finanza alternativa per le start up e per le PMI, ma anche perché ad una categoria mobiliare e digitale nuova qual è il token si collega una disciplina nuova ed autonoma qual è quella che si è denominata token-crowdfunding. Certo non mancano, come si dirà tra breve, profili di contraddizione, nell’intermediare un fenomeno come quello delle ITOs che, per definizione, nasce come non intermediato.

La Proposta dell’autorità si segnala anche perché riesce a tenere bene unita la vicenda del mercato primario con quella, più problematica, del mercato secondario dei token, ipotizzando che questi ultimi (in quanto, evidentemente, diversi dagli strumenti finanziari) possano essere negoziati, dopo la loro emissione, anche sulle medesime piattaforme dove vengono inizialmente offerti [56]-[57].

Non vi è del resto bisogno di sottolineare anche il meritevole sforzo di proporre una disciplina finalizzata a contrastare le offerte al pubblico abusive.

Tuttavia, a mio sommesso avviso, non è tanto la disciplina proposta a sollevare dubbi (pur inducendo alcune perplessità), quanto, come subito dirò, la previsione di una regolamentazione e di una vigilanza su categorie di token che, almeno in parte, ad oggi sembrano esulare dal perimetro di competenza delineato nel TUF, la cui qualificazione, così come proposta dalla autorità, non appare del tutto perspicua. Sebbene si colga l’implicito intento – vale la pena di sottolinearlo – di andare oltre la nozione di prodotto finanziario come oggi la conosciamo e di attrarre, nel nuovo alveo delle cripto-attività, gli utility-token dotati di elementi di nuova finanziarietà. Operazione interpretativa, prima ancora che di vigilanza, che, credo, non potrà non avere, se dovesse andare in porto, una ricaduta sulla stessa nozione di prodotto finanziario sin qui fornita dall’autorità di controllo (in particolare, per quanto già detto, sull’ele­mento dell’aspettativa di rendimento di natura finanziaria).

Nella consapevolezza che si tratta di un ambito regolamentare sperimentale e ancora aperto a modifiche, dove la comprensione della tecnologia block­chain è decisiva, oserei dire che i profili della Proposta che richiedono una più meditata attenzione sono, a mio avviso, i seguenti che elenco in modo schematico [58].


5.1. Segue: la qualificazione del token.

Sebbene sia chiara l’impostazione di fondo che individua nelle cripto-atti­vità una categoria mobiliare nuova che vuole essere unificante (ancorché le categorie di token siano eterogenee) e suscettibile di autonoma disciplina, l’im­pressione, tuttavia, è che la nozione vada precisata meglio: non è detto chiaramente, al di là della componente tecnologica caratterizzante la figura, quali siano i token diversi dai prodotti finanziari compresi nella definizione di cui al Documento.

Andrebbe quindi esplicitato il rapporto negoziale alla base dell’emissione di questi token. Andrebbe altresì evidenziata la necessaria standardizzazione e serialità che questi asset dovrebbero presentare, atteso che sono comunque riconducibili ad unità digitali di operazioni (potenzialmente) di massa e che gli stessi sono negoziati o destinati alla negoziazione su mercati secondari.

Nel Documento dell’autorità ci si riferisce infatti ai token che rappresentano i “diritti connessi ad investimenti in progetti imprenditoriali”: ossia, come precisato nello stesso Documento, ai “diritti dei soggetti che hanno investito con l’obiettivo del finanziamento del progetto imprenditoriale sottostante”.

Non è chiaro però il significato che si dà qui al termine investimenti, che sembra invero usato in modo atecnico ora nel senso generico di impiego di capitali ora nel senso non tecnico-giuridico di finanziamento, e quindi come pagamento per l’acquisto di beni e di servizi con l’obiettivo di “finanziare” (nel senso generico del termine) il progetto imprenditoriale dell’emittente i token e non di prestito con obbligo di rimborso e remunerazione del capitale per il prenditore [59]; il che (nel caso di prestito) ricondurrebbe la fattispecie tra gli strumenti finanziari obbligazionari o, al più, tra i prodotti finanziari, là dove fosse prospettata, all’instaurarsi del rapporto contrattuale costitutivo del prodotto, una qualche forma di remunerazione del capitale (rendimento di natura finanziaria) collegata alla res.

La sensazione pertanto è che nella nozione di crypto-asset proposta da Consob siano da ricomprendersi anche gli utility-token puri [60], il che sembra peraltro confermato dal fatto che, secondo l’autorità, “possono esservi token diversi dagli strumenti finanziari e dai prodotti finanziari”.

Ma in tal caso va ribadito che il token rappresentativo di un diritto all’uti­lizzo o al godimento di un bene o di un servizio integra allo stato una causa non finanziaria e pertanto l’attrazione nella disciplina di vigilanza risulta allo stato dubbia e alquanto forzata, almeno sulla base della normativa esistente. A meno che non si dica – con interpretazione estensiva gravida di riflessi di ritorno anche sulla nozione attuale di prodotto finanziario – che l’attrazione degli utility-token puri nel perimetro di vigilanza derivi dall’apprezzamento o dal deprezzamento del loro valore nel tempo e/o soprattutto dalla loro destinazione alla negoziazione su piattaforme di scambio secondarie, che, nella ricostruzione della Consob, sembra essere elemento caratterizzante della nuova categoria del crypto-asset.

Ma, pur essendo il tema spinoso e meritevole di ulteriore approfondimento, non credo che – in mancanza di una previsione normativa in tal senso (o quantomeno di una presa di posizione definitiva da parte dell’autorità di controllo) – si possa sostenere ciò, dal momento che:

1. l’apprezzamento del valore di un bene nel tempo non integra, almeno per il momento, come si è detto, ad avviso della stessa Consob e di altre autorità di vigilanza (ma non ad avviso dellaSEC), l’elemento delrendimento finanziario costitutivo della nozione di prodotto finanziario (Comunicazioni Consob n. 12079227 del 4 ottobre 2012, n. 13038246 del 6 maggio 2013 cit.) [61];

2. né l’idoneità allo scambio di unutility-tokennon finanziario su una piattaforma di scambio blockchain appare oggi sufficiente ad attribuire al token elementi di finanziarietà o a rendere quel token uno strumento finanziario derivato [62]-[63].

A me sembra di poter dire che, per gli utility-token puri, oggi (sulla base della normativa vigente) tenda a prevalere la tutela consumeristica espressamente prevista dal Codice di Consumo non quella stabilita dal TUF e in ogni caso l’attrazione sotto la vigilanza e la regolazione della Consob – seppure temperata attraverso il meccanismo facoltativo dell’opt-in – non potrà ovviamente che essere prevista da una norma primaria del TUF di non facile conciliazione con la normativa sui consumatori.

Mi spiego meglio: non sto dicendo che ciò non sia possibile de iure condendo, ma che anzitutto è indispensabile una norma di rango primario che pre­veda questa ipotesi e poi – se questa impostazione dovesse diventare definitiva – che ciò costituirebbe una significativa e problematica estensione del perimetro di regolazione e di vigilanza dell’autorità su assets digitali nuovi che oggi sembrano rientrare nel perimetro di tutela dettato dal Codice del Con­sumo con regole di protezione in materia di informazioni precontrattuali e di recesso [64].

Su questo punto vale ancora osservare che:

i) nella categoriaad hocdi crypto-asset prefigurata dalla Consob sembrano farsi rientrare anche i cc.dd. token ibridi, i quali, nel contempo, possono assolvere a funzioni finanziarie, di pagamento e/o di utility. Qui sarebbe auspicabile che l’autorità fornisse qualche criterio in più, almeno di massima, funzionale a far capire quali token ibridi possono essere oggetto del token-crowd­funding. Un possibile criterio, come si sa, per quanto generico e di non agevole applicabilità, potrebbe essere quello della causa esclusiva o prevalente. Se prevale la funzione di pagamento, dovremmo essere fuori dall’ambito di applicazione della nuova disciplina prospettata. Se invece prevale la causa “utility” o quella propria dei “prodotti finanziari” dovrebbe ricadersi nell’ambito del token-crowdfunding. La difficoltà in questi casi sta, come si sa, nel predeterminare gli indici rivelatori della c.d. prevalenza [65];

ii) restano fuori dall’ambito di applicazione della proposta Consob gliutility-tokenpuri non negoziati o destinati alla negoziazione su sistemi di scambi di token;

iii) restano fuori dalla categoria di token sia quelli che non sono connessi a progetti imprenditoriali, sia quelli meramente speculativi.


5.2. Segue: l'opt-in.

Il meccanismo del c.d. opt-in, ossia di lasciare all’emittente/offerente della ITOs la scelta se promuovere l’offerta tramite piattaforme di crypto-asset ovvero al di fuori di tali piattaforme, per quanto presente anche, come si è anticipato, in alcuni ordinamenti stranieri, non convince del tutto – neppure come meccanismo temporaneo da applicare solo in una prima fase – perché genera una disciplina derogabile che mal si accorda con la tutela dell’investitore e che può disorientare e risultare frammentata. Può disorientare tanto gli investitori nella percezione del­l’effettiva disciplina applicabile quanto gli stessi enti emittenti i token.

Infatti l’offerta di gettoni digitali – seguendo la tecnica dell’opt-in – può concretarsi nell’applicazione di diverse discipline a seconda delle scelte fatte dall’emittente:

a. se itokensono strumenti finanziari o prodotti di investimento assicurativi e preassemblati, nulla questio, si applica la disciplina inderogabile propria di questi (offerta al pubblico, servizi di investimento, trading venues, ecc.);

b. se itoken non sono strumenti finanziari o prodotti di investimento assicurativi o preassemblati, si può applicare su base volontaria (opt-in) la disciplina del token-crowdfunding oppure nessuna disciplina finanziaria di tutela (opt-out), rischiando però che il token venga qualificato come prodotto finanziario, così rientrando, se ne ricorrono le condizioni, nella disciplina dell’offerta al pubblico ex art. 93-bis ss. TUF e/o della promozione e del collocamento a distanza.

È chiaro l’intento dell’autorità di non ingessare lo sviluppo di questo nuovo mercato con una disciplina rigida ed inderogabile e altresì evidente l’incentivo reputazionale e di affidabilità che si vorrebbe riconoscere a chi si avvale del regime opzionale del token-crowdfunding gestito da “soggetti e piattaforme vigilate”; ma non si può neppure trascurare la circostanza che, per converso, l’alternativa dell’assenza di regolamentazione (opt-out) rende i costi di realizzazione delle ITOs e di informativa finanziaria particolarmente bassi e perciò appetibili da parte degli offerenti che perciò potrebbero assumere comportamenti “al ribasso” ed opportunistici, anziché virtuosi.

L’impressione è allora che, più che all’opt-in/opt-out (che presenta queste controindicazioni), si potrebbe pensare ad un vero e proprio sandbox, ossia ad uno spazio dove gli emittenti token possano sperimentare in sicurezza i loro prodotti innovativi per un periodo di tempo limitato e con un numero limitato di clienti, senza dover sottostare a regole troppo stringenti e soprattutto non univoche [66].


5.3. Segue: ITOs disintermediate e offerta intermediata di token.

L’approccio regolatorio della Consob che introduce il modello del token-crowdfunding intermediarizzato dai gestori dei portali on line sembra in qualche modo tradire, almeno apparentemente, la filosofia di fondo di Internet e della stessa blockchain.

Tipicamente le ITOs (lo abbiamo visto in apertura) sono un modello di raccolta di capitali non intermediato e senza commissioni [67]. Anzi sono nate nel­l’economia digitale per ridurre, se non per eliminare, l’intermediazione di ban­che e di altri operatori nel finanziamento delle imprese.

Sono una forma di crowdfunding disintermediarizzato: una raccolta diretta di capitali tra emittente e destinatario dell’offerta [68]. Del resto lo stesso collegamento tra token e smart contract, attraverso il quale si dà automatica attuazione ai termini ed alle clausole contrattuali, sembra provare che è estranea alla logica originaria delle ITOs la presenza di un intermediario.

Né è da condividersi l’idea, invero naif, che nel crowdfunding non vi sarebbe attività di intermediazione o quantomeno un ruolo attivo dell’interme­diario, fungendo il portale on line solo da vetrina elettronica per l’offerta di strumenti finanziari di PMI.

La normativa domestica – pur costruita come deroga facoltativa al regime della riserva sui servizi di investimento ex art. 3 della Direttiva n. 2014/65/UE MiFID2 – richiede al gestore del portale un ruolo tutt’altro che passivo nella facilitazione della conclusione dei contratti con gli investitori, imponendogli obblighi informativi in relazione alle singole offerte, nonché l’adempimento di numerosi doveri di condotta, tra i quali il controllo di appropriatezza dell’inve­stimento nella raccolta e trasmissione degli ordini ricevuti dal cliente.

L’obiezione generale che si può porre è allora proprio questa: se alla base di Internet – in una visione, se vogliamo, anche un po’ ideologizzata del feno­meno – ci sono idee come il cc.dd. “tramonto delle mediazioni”, la restituzione a ciascuno del “potere personale” e, parimenti, alla base della tecnologia ti­po blockchain c’è la disintermediazione delle infrastrutture tipiche dei mercati dei capitali (l’eliminazione del c.d. middleman), ossia un sistema di transazioni elettroniche condivise tra gli utenti e decentralizzate tipo peer-to-peer, memorizzate in registri distribuiti senza la necessità di ricorrere ad enti o ad autorità centrali che intermediano le transazioni [69]; allora ci si potrebbe attendere che l’offerta al pubblico iniziale di token registrati e trasferiti tramite blockchain sia diretta e disintermediata.

Nessuna mediazione! Nessun bisogno che l’offerta venga veicolata tramite portali on line i cui gestori si presentano come intermediari nella promozione e nell’offerta di token e nella raccolta degli ordini di acquisto, dovendo, tra l’al­tro, applicare, come detto, anche talune regole di condotta proprie del rapporto con gli investitori. Sulla base della conoscenza attuale del fenomeno risulta che appena l’emittente riceve l’ordine di acquisto del token invia alla blockchain l’istruzione di trasferire l’intestazione del token all’acquirente iden­tificato anch’esso su blockchain. In questa dinamica l’attività di raccolta degli ordini effettuata dal gestore del portale rischierebbe di diventare un appesantimento inutile.

Anche se va ricordato, come illustrato in precedenza, che alcuni ordinamenti affiancano ad un modello di offerta iniziale di token non intermediata (neppure in forma leggera come nel caso del crowdfunding) ma basata sul rilascio di una specifica autorizzazione all’Ente emittente i token che può effettuare l’offerta direttamente agli oblati, una serie di attività (analoghe ai servizi di investimento) aventi ad oggetto token non finanziari, il cui svolgimento è subordinato al rilascio di una apposita licenza da parte delle autorità di vigilanza.

A questa obiezione sulla mancata disintermediazione delle ITOs che presenta una sua consistenza, si possono forse opporre almeno due contro-osservazioni.

Le sintetizzo nel modo più breve possibile.

In primo luogo credo che su questa storia della disintermediazione della blockchain (che sarebbe naturale conseguenza della decentralizzazione) sia ancora necessario svolgere degli approfondimenti più di quanto non si sia già fatto, dovendo intendersi meglio sul significato del termine decentralizzazione. Basti qui però osservare che in proposito esistono già delle opinioni critiche nella letteratura giuridica, in particolare in quella inglese, che tendono a sfatare questo mito della reale ed effettiva decentralizzazione nella blockchain [70].

Il termine decentralizzazione è usato in effetti in ambito blockchain per suggerire che i sistemi sono resilienti e mancano di centri di potere concentrati. Vi sono tuttavia già esempi di comportamenti da parte di sviluppatori di base o di miners all’interno di sistemi di crittografia che sono suscettibili di mettere in discussione l’effettiva decentralizzazione di questi sistemi [71].

C’è quindi probabilmente un problema di controllo dei “nodi” della rete non puramente “orizzontale” e di validazione delle transazioni; più in generale, si pone un tema di governance della blockchain. Le piattaforme blockchain di tipo permissioned, già sopra menzionate, consentono del resto di limitare l’accesso ai potenziali utenti chiedendone l’identificazione ma soprattutto pre-selezionano i nodi che autorizzano le operazioni, assicurando così la presenza visibile di un gestore della rete [72].

Bisogna quindi intendersi sul significato del termine decentralizzazione e sul fatto che, evidentemente, decentralizzazione non vuol dire sempre e necessaria­mente gestione delle transazioni in forma completamente disintermediata.

La seconda contro-obiezione sull’offerta di token intermediata è la seguente.

Nel nostro ordinamento – lo abbiamo visto prima – l’offerta di token di natura finanziaria via Internet può configurarsi, per le tecniche di contatto utilizzate con la clientela, come offerta a distanza ex art. 32 TUF; questa tipologia di offerta, quando svolta nei confronti dei clienti al dettaglio (e quando ha ad oggetto servizi di investimento e prodotti finanziari), presuppone sempre (anche prescindendo dal fatto che costituisca o meno una species del genere offerta fuori sede ai sensi dell’art. 30 TUF) la presenza di un intermediario autorizzato (art. 125 Regolamento Consob in materia di intermediari) [73].

Quindi, se si condivide questo assunto, non è poi così inappropriato pensare all’offerta a distanza di token come ad un’offerta intermediata [74].

Da questo punto di vista, l’impostazione della Consob – che prospetta l’in­terme­diazione dell’offerta di token attraverso gestori di portali di crowdfunding – non appare eterodossa con la logica normativa che sembra non ammettere offerte a distanza disintermediate.


NOTE

[1] La neutralità tecnologica è uno dei principi guida delle politiche della Commissione Europea. L’idea dominante nel contesto europeo è che le modalità tecnologiche di svolgimento di un’attività non incidano sul regime di autorizzazione delle imprese di investimento e sulla disciplina alle stesse applicabile pur con i temperamenti del principio di proporzionalità. Tuttavia la stessa Commissione sente l’esigenza di chiarire di voler procedere ad “un’analisi più approfondita del quadro giuridico per i servizi finanziari al fine di valutare in quale misura esso sia neutrale dal punto di vista tecnologico e in grado di accogliere le innovazioni nel campo delle tecnologie finanziarie o se deve essere adattato a tal fine” (Comunicazione Commissione Europea dell’8 marzo 2018, Piano di azione per le tecnologie finanziarie: per un settore finanziario europeo più competitivo ed innovativo, p. 11 s., reperibile in Internet al seguente indirizzo: https://eur-lex.europa.eu).

[2] Originariamente l’espressione Initial Coin Offerings (ICOs) era riferita alle emissioni di cripto-valute (come i bitcoin); oramai il termine è utilizzato per indicare qualsiasi offerta di token, per le quali appare più corretto parlare di Initial Token Offerings (ITOs).

[3] Il termine token o gettone (sul quale si tornerà più avanti) viene qui utilizzato anche come sinonimo di cripto-attività. Quest’ultima parola è composta di due termini: cripto e attività. Si tratta di un’attività nascosta, ossia comprensibile o intellegibile solo da persone autorizzate a conoscerla attraverso un codice digitale alfanumerico (con chiavi pubbliche e private). È diffuso presso le autorità di vigilanza dei mercati finanziari l’uso del termine crypto-assets per riferirsi alle “valute virtuali” (crypto-currencies) e ai “gettoni digitali” (token). Le cripto-attività non esistono in forma fisica ma appunto solo digitale ed essendo assets digitali si possono creare e scambiare solo in via telematica. La “valuta virtuale” (che esula dal presente studio) è “una rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”. La definizione di “valuta virtuale” è stata recepita nell’ordinamento italiano con il d.lgs. 25 maggio 2017, n. 90 (art. 1, secondo comma, lett. qq).

[4] In via di iniziale avvicinamento al tema si può anticipare che la blockchain (i.e.: “una forma di libro mastro distribuito in cui i dettagli delle operazioni sono tenuti sotto forma di blocchi di informazioni e dove ciascun blocco di nuove informazioni è collegato alla catena di blocchi preesistenti attraverso un processo informatizzato che consente di convalidare le transazioni”) appartiene alla categoria delle Distributed Ledger Technology o DLT che sono un insieme di sistemi caratterizzati dal fatto di fare riferimento a un registro distribuito, governato in modo da consentire l’accesso e la possibilità di effettuare modifiche da parte di più nodi di una rete. Le varie tipologie di DLT si distinguono primariamente per le modalità con cui si “governa” il controllo e la verifica delle azioni di scrittura sul registro e il raggiungimento del consen­so necessario per validare le azioni e la struttura del registro distribuito (così M. BELLINI, Che cosa sono e come funzionano le Blockchain Distributed Ledgers Technology – DLT, reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.blockchain4innovation.it, dicembre 2018). Le soluzioni blockchain sono quelle in cui il registro è strutturato come una catena di blocchi contenenti più transazioni e i blocchi sono tra loro concatenati tramite crittografia. I sistemi blockchain consentono in genere di effettuare trasferimenti (G. VELLA, Distributed Ledger Technology: definizione e caratteristiche, reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.blog.
osservatori.net, gennaio 2019) (v. infra § 1.2.). La pubblicistica in materia mette anche in evidenza che le criptovalute sono componenti native di una blockchain. I token (diversi dalle criptovalute) sono costruiti al di sopra di una blockchain sfruttandone l’infrastruttura tecnologica e sono l’esito di un’operazione realizzata da un emittente, cfr. F. BO, La classificazione dei token (gennaio 2019), reperibile in Internet al seguente indirizzo: https://medium.com/fragile-digitale. I token non hanno normalmente un registro distribuito proprio ma utilizzano quelli propri delle cripto-valute.

[5] Ad avviso di A. CAPONERA, C. GOLA, Aspetti economici e regolamentari delle “crypto-attività”, in Banca d’Italia Questioni di economia e finanza (Occasional Paper), Roma, 2019, 9-10, 12 e 37, nt. 111, le ICOs (come qualsiasi forma di conferimento di capitale) non dovrebbero però essere finanziate con “valute virtuali” per ragioni attinenti alla natura economica e giuridica di questi gettoni digitali, ossia perché questi né sono una passività di una Istituzione (a fronte dell’emissione di passività infatti le Istituzioni detengono attivi), né hanno un loro valore intrinseco, come l’oro o l’argento, e perché, in definitiva, la dinamica del prezzo rifletterebbe unicamente le aspettative di mercato, con un valore di equilibrio che sarebbe o indeterminato o pari a zero. È appena il caso di segnalare che per ovviare all’estrema volatilità delle valute virtuali si sta sviluppando lo strumento del c.d. stablecoin. Si tratta di assets digitali il cui prezzo viene stabilizzato rispetto ad un bene di riferimento che può essere una moneta fiat, un bene come l’oro o un indice da intendersi come media di più prezzi.

[6] In termini descrittivi può dirsi che “un token su blockchain consiste in un’informazione digitale, registrata su un registro distribuito, univocamente associata a uno e un solo specifico utente del sistema e rappresentativa di un qualche diritto: la proprietà di un asset, l’accesso ad un servizio, la ricezione di un pagamento e così via” (così Guida sulla Blockchain (Definizioni, funzionamento, applicazioni e potenzialità) dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger del Politecnico di Milano, giugno 2019, reperibile in Internet al seguente indirizzo www.osservatori.net).

[7] La differenza tra i due tipi di piattaforme sta in ciò, che in quella centralizzata il gestore della piattaforma è anche il fornitore del servizio di wallet, ossia il depositario dei token per conto dei clienti ed il regolamento delle negoziazioni avviene solitamente nei libri contabili delle piattaforme, cioè fuori dalla blockchain. L’aggiornamento sulla blockchain della titolarità in capo all’acquirente, che risulta intestatario sul registro interno della piattaforma, avviene solo su richiesta del medesimo acquirente quando lo stesso decide di uscire dal mercato. Nelle piattaforme decentrate il gestore invece non detiene crypto-assets per conto dei propri clienti, ma fornisce solo l’infrastruttura che li collega. Il regolamento delle negoziazioni avviene solitamente sulla rispettiva rete DLT, cioè on chain. V. la Guida sulla Blockchain (Definizioni, funzionamento, applicazioni e potenzialità), (nt. 6).

[8] Per una illustrazione empirica del fenomeno attenta anche al rilievo economico delle ICOs, cfr. P.P. PIRANI, Gli strumenti della finanza disintermediata: Initial Coin Offering e blockchain, 2019, 1 ss., intervento presentato al X Convegno di “Orizzonti del Diritto Commerciale” su “L’evoluzione tecnologica e il diritto commerciale”, Roma 22-23 febbraio 2019; M. NICOTRA, Il regime giuridico delle ICOs. Analisi comparata e prospettive regolatorie italiane, reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.diritto bancario.it, aprile 2019, 1 ss.; F. MURINO, Il conferimento di token e di criptovalute nelle S.r.l., in Società, 2019, 32 ss.

[9] Descrive con giusta enfasi questo passaggio epocale A. BARICCO, The Game, Torino, Einaudi, 2018, 23 ss., che fa notare che così “si è ridotto allo stato liquido il tessuto del mondo” e come da quel momento “il rapporto con la realtà non è stato più lo stesso”. Sul fenomeno generale della trasformazione della nostra società in una società digitale, v., in una prospettiva filosofica, L. FLORIDI, La quarta rivoluzione (come l’infosfera sta trasformando il mondo), Milano, Cortina Raffaello, 2017, passim, dove si delinea una sofisticata ontologia del presente.

[10] La prima blockchain decentralizzata fu concettualizzata nel 2008 da Satoshi Nakamoto (Bitcoin: A Peer-to-Peer Eletronics Cash System, reperibile in originale al seguente indirizzo elettronico: www.bitcoin.org, dove viene presentato il progetto Bitcoin, un sistema di pagamento distribuito tra i nodi di una rete peer-to-peer che offre una garanzia di spendita unitaria indipendente dall’intervento di un garante esterno, inserendo i dati di ogni transazione in un registro pubblico e distribuito).

[11] La natura distribuita e il modello cooperativo rendono particolarmente sicuro e stabile il processo di validazione, pur dovendo ricorrere a tempi e costi non trascurabili, in gran parte riferibili al prezzo dell’energia elettrica necessaria per effettuare la validazione dei blocchi (questo nel caso della blockchain del bitcoin o di altre criptovalute) e alla capacità computazionale necessaria per risolvere complessi calcoli algoritmici (attività che viene comunemente definita come mining). Ogni nuovo blocco deve essere infatti validato attraverso un meccanismo di consenso che richiede che alcuni miners all’interno della rete risolvano un complesso quesito matematico che richiede un enorme lavoro computazionale. Come già osservato, la blockchain è un insieme di blocchi fra loro concatenati: ogni blocco è identificato da un codice, contiene le informazioni di una serie di transazioni e contiene il codice del blocco precedente, così che sia possibile ripercorrere la catena all’indietro, fino al blocco originale (una sorta di Dna delle transazioni). Tutti i nodi della rete memorizzano tutti i blocchi e quindi tutta la blockchain. In argomento cfr. M. IANSITI, K.L. LAKHANI, The truth about blockchain, in Harvard Business Review, 2017, 1 ss.; M. BELLEZZA, Blockchain, in Fintech a cura di M.T. Paracampo, Torino, Giappichelli, 2018, 217 ss.

[12] La blockchain e le tecnologie di registro distribuito (distributed ledger technologies) rappresentano uno dei punti di forza del Piano d’azione per le tecnologie finanziarie Fintech della Commissione Europea (Comunicazione Europea 8 marzo 2018). La blockchain è inclusa, come già anticipato, nella più ampia famiglia delle tecnologie distributed ledger, ossia dei sistemi che si basano su un registro distribuito.

[13] In effetti la blockchain tende a “ridurre i costi di intermediazione in un ambiente di fiducia tra le parti di una transazione e consente scambi di valore tra pari suscettibili di rafforzare l’autonomia dei cittadini, destruttura i modelli tradizionali, migliora i servizi e riduce i costi lungo le catene del valore in un’ampia gamma di settori chiave” (così Risoluzione del Parlamento Europeo del 3 ottobre 2018 sulle “Tecnologie di registro distribuito e blockchain: creare fiducia attraverso la disintermediazione”, 3, reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.europarl.europa.eu, ottobre 2018).

[14] Cfr. P. BOUCHER (Servizio Ricerca del Parlamento europeo), Come la tecnologia blockchain può cambiarci la vita, Bruxelles, 2017, 5 ss., reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.europarl.europa.eu, aprile 2017. Sulla distinzione tra reti permissioned (le più note sono Corda e Hyperledger) e permissionless (tra i più conosciuti Bitcoin ed Ethereum) è bene precisare che nei sistemi permissioned il meccanismo di consenso è più semplice, perché quando un nodo propone l’aggiunta di una transazione, ne viene verificata la validità e si vota a maggioranza sull’opportunità di aggiungerla al registro; mentre invece nei sistemi permissionless i consensi sono più complessi (e sono basati ad esempio su algoritmi di conferma delle transazioni come il proof-of-work o il proof-of-stake) per evitare che soggetti malintenzionati possano creare identità fittizie o influenzare il processo di modifica del registro. In questa tassonomia (permissioned vs. permissionless) si inseriscono alcune classificazioni ibride (come ad esempio il sistema Ripple) che permettono a chiunque di partecipare alla rete, ma solo ad alcuni di occuparsi della validazione delle transazioni, cfr. Guida sulla Blockchain (Definizioni, funzionamento, applicazioni e potenzialità), (nt. 6) e F. SARZANA DI S. IPPOLITO, M. NICOTRA, Diritto della blockchain, intelligenza artificiale e Iot, Milano, Wolters Kluwer, 2018, 21 ss.

[15] In questo dibattito si è anche inserito (con riguardo al più noto dei possibili ambiti della tecnologia blockchain, quello delle criptovalute) il Presidente della Consob, auspicando il “monopolio pubblico” delle criptovalute come già accaduto per la moneta di base (Discorso del Presidente della Consob all’Incontro con il mercato finanziario, Milano 14 giugno 2019, 14, reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.consob.it), dove si rimarca che “se così non accadesse il sistema monetario attuale verrebbe sconvolto e il sistema finanziario coinvolto; diverrebbe problematico il controllo della quantità di moneta e, ancor di più, la sua riconduzione nell’alveo pubblico”). È noto da tempo il profondo impatto che la blockchain può avere sulla struttura della governance pubblica e sul ruolo delle istituzioni. Sui rischi che una DLT nella forma “pubblica” (permissionless), specie se associata all’uso di exchanges decentrati, potrebbe favorire in ordine alla creazione di un sistema monetario e finanziario difficilmente controllabile, parallelo a quello tradizionale, cfr. altresì A. CAPONERA, C. GOLA, Aspetti economici e regolamentari delle “crypto-attività” (nt. 5), 6 s., 9.

[16] Per un elenco di tali applicazioni e dei relativi settori cfr. Risoluzione del Parlamento Europeo del 3 ottobre 2018 (nt. 13), 3 ss.

[17] Il termine smart contract è stato utilizzato per la prima volta nel 1994 da Nick Szabo in due articoli (Formalizing and Securing Relationships on Public Networks, reperibili in Internet ai seguenti indirizzi: http://firstmonday.org/ojs/index.php/fm/article/view/548/469, e The Idea of Smart Contracts, in http://szabo.best.vwh.net/idea.html), in cui l’autore prendeva spunto dal sistema di vendita dei distributori automatici per teorizzare il trasferimento di alcuni diritti in esecuzione di un algoritmo e quindi identificava nel c.d. smart contract un protocollo di transazione computerizzato che esegue autonomamente i termini di un contratto secondo lo schema causale if-then (al verificarsi di una determinata condizione si produce l’effetto programmato). Sugli smart contract cfr. M. MANENTE, Blockchain: la pretesa di sostituire il notaio, in Notariato, 2016, 217 s.; P. CUCCURU, Blockchain ed automazione contrattuale. Riflessioni sugli smart contract, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2017, II, 110 ss.; L. PAROLA, P. MERATI, G. GAVOTTI, Blockchain e smart contract: questione giuridiche aperte, in Contratti, 2018, 681 ss.; G. CASTELLANI, Smart contract e profili di diritto civile, 2019, reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.comparazione­dirittocivile.it/prova/files/castellanismart.pdf (aprile 2019).

[18] Il riferimento è all’art. 8-ter del Decreto Semplificazioni (d.l. 14 dicembre 2018, n. 135, convertito nella L. 11 febbraio 2019, n. 12). Per quanto concerne gli effetti giuridici, la norma prevede che “la memorizzazione di un documento informatico attraverso l’utilizzo di tecnologie basate su registri distribuiti produce gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica di cui all’articolo 41 del Regolamento eIDAS”, lasciando all’AgID l’incarico di individuare “entro novanta giorni dalla data in vigore della legge di conversione” del Decreto Semplificazioni “gli standard tecnici che le tecnologie basate su registri distribuiti debbono possedere al fine della produzione di tali effetti”. La blockchain sarà quindi legalmente idonea a “collegare i dati in forma elettronica a una particolare data e ora, così da provare che questi ultimi esistevano in quel momento”, come da definizione di validazione temporale elettronica di cui all’art. 3, n. 33 del Regolamento eIDAS. Mentre si definisce “smart contract”, come già anticipato, un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse, alludendosi così più che ad accordi veri e propri a strumenti per la conclusione e l’auto­matica attuazione di contratti (per l’inquadramento civilistico della figura v. la dottrina citata nella nota precedente). Gli smart contract soddisfano il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’AgID con linee guida da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (art. 8-ter, terzo comma, cit.).

[19] Per un elenco delle ICOs fallite cfr. il seguente sito Internet: https://deadscoins.com.

[20] La stessa Commissione Europea non ha mancato di sottolineare subito i rischi di tale attività: “sebbene rappresenti per le imprese un modo nuovo e innovativo per raccogliere capitali, la vendita di token può comportare anche evidenti rischi per gli investitori. Gli investimenti speculativi in criptoattività e token delle ICO espongono gli investitori a un significativo rischio di mercato, a frodi e a rischi connessi alla cybersicurezza derivanti dagli scambi e dai fornitori di servizi che consentono agli investitori di acquistare, detenere o scambiare attività e token” (Comunicazione Commissione Europea dell’8 marzo 2018, Piano di azione per le tecnologie finanziarie: per un settore finanziario europeo più competitivo ed innovativo, 6, reperibile in Internet al seguente indirizzo: https://eur-lex.europa.eu, marzo 2018). Sottolinea bene come non sia facile trovare il giusto equilibrio tra un più facile accesso al mercato per i nuovi operatori, da un lato, e la protezione degli investitori e la stabilità finanziaria, dall’altro, D. BUSCH, The future of the Capital Markets Union after Brexit, in Rivista ODC, 2/2018, 37 ss. e 54, reperibile al seguente indirizzo Internet: rivistaodc.eu.

[21] Cfr. la Proposta di Regolamento Ue sui “Fornitori europei di servizi di crowdfunding per le imprese” nella versione modificata del 9 novembre 2018 dove dice che (…) i fornitori di servizi di crowdfunding che utilizzano le ICO sulla loro piattaforma dovrebbero essere esclusi dal presente regolamento. Per giungere a una regolamentazione efficiente sulla tecnologia emergente delle ICO, la Commissione potrebbe proporre, in futuro, un quadro legislativo completo a livello di Unione, basato su un’approfondita valutazione d’impatto. Gli strumenti di investimento alternativi, come le ICO, hanno un potenziale nel finanziamento delle PMI, delle start-up innovative e delle imprese in fase di espansione (scale-up), possono accelerare il trasferimento di tecnologia e possono costituire un elemento essenziale dell’Unione dei mercati dei capitali. La Commissione dovrebbe valutare la necessità di proporre un quadro legislativo distinto dell’Unione per le ICO. Una maggiore certezza giuridica di tutto il quadro normativo potrebbe essere funzionale nell’aumentare la protezione degli investitori e dei consumatori e nel ridurre i rischi derivanti da un’informazione asimmetrica, da comportamenti fraudolenti e da attività illecite. L’inclusione delle ICO nel presente regolamento non consentirebbe di affrontare i problemi associati alle ICO in modo globale” (Cons. nn. 15-bis, 15-ter e 11-bis).

[22] Le ICOs, dopo essere state il principale fenomeno mediatico e finanziario dell’ecosiste­ma blockchain nel 2017, hanno visto, nel corso del 2018, un rapido declino dovuto alla diffusione di vere e proprio truffe ai danni dei partecipanti che ne hanno profondamente minato la credibilità e al conseguente intervento dei regolatori con l’obiettivo di introdurre le dovute garanzie per gli investitori (il dato è evidenziato da V. PORTALE, Token, Blockchain e ICO: cosa sono e come utilizzarli, reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.blog.osservatori.net, 2019). Per l’Italia il Politecnico di Milano – che considera le ICOs a pieno titolo come uno strumento di finanziamento delle PMI alternativo ai mini-bonds, al venture capital, al crowdfunding, all’invoice trading, al direct lending – ha individuato, nel 2017 e sino al giugno 2018, 16 ICOs per una raccolta pari a circa 150 milioni di dollari (comparabili all’intera dimensione del mercato del venture capital nazionale) (POLITECNICO DI MILANO, La Finanza alternativa per le PMI in Italia, reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.osservatorio
crowdinvesting.it/­portal/mini-bond/documenti
, 2018).

[23] Cfr. per alcuni chiarimenti sulla disciplina il Malta Financial Services AuthorityVirtual Financial Assets Framework Frequently Asked Questions, ottobre 2018. Malta in realtà si è dotata di un complesso armamentario normativo prevedendo l’istituzione di una apposita autorità (Malta Digital Innovation Authority) con competenze specifiche sui prodotti digitali (v. Innovation Technology Arrangement and Services Act e il Malta Innovation Authority Act del 20 luglio 2018, reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.justiceservices.gov.mt.).

[24] In argomento v. anche C.P. BUTTIGIEG, C. EFTHYMIOPOULOS, The regulation of crypto assets in Malta: The Virtual Financial Assets Act and beyond, in Law and Financial Markets Review, 2019, 13:1, 30-40.

[25] Linee Guida FINMA del 16 febbraio 2018 sul “Trattamento delle richieste inerenti all’assoggettamento in riferimento alle Initial coin offering (ICO)” e già la precedente Comunicazione FINMA sulla vigilanza 04/2017 del 29 settembre 2017, reperibili in Internet al seguente indirizzo: https://www.finma.ch.

[26] Cfr. Comunicazione Commissione UE dell’8 marzo 2018 su “Piano d’azione per le tecnologie finanziarie: per un settore finanziario europeo più competitivo e innovativo”, (nt. 20), 7.

[27] Cfr. Financial Conduct Authority (FCA), Guidance on CryptoassetsConsultation Paper 19/3, gennaio 2019, reperibile in Internet al seguente indirizzo: https://www.fca.org.uk. Anche l’autorità inglese distingue le diverse categorie di crypto-assets (token) in base alla loro funzione: a) exchange tokentoken non emessi o sostenuti da alcuna autorità centrale e progettati per essere utilizzati come mezzo di scambio. Si tratta, di solito, di strumenti decentrati per l’acquisto e la vendita di beni e servizi senza intermediari tradizionali. Questi assets sono al di fuori del perimetro di competenza della FCA; b) security tokentoken con caratteristiche specifiche che corrispondono alla definizione di specified investment (Regulated Activities Order “RAO”, Part III) come un’azione o uno strumento di debito; c) utility tokentoken che consentono ai detentori di accedere ad un prodotto o ad servizio attuale o futuro, ma non concedono ai detentori diritti uguali a quelli concessi dagli specified investment. Sebbene gli utility token non siano investimenti specifici, essi possono soddisfare la definizione di moneta elettronica in determinate circostanze (come altri token), nel qual caso le attività relative ad essi possono rientrare nel perimetro di pertinenza (Guidance, 7-8). La Guidance chiarisce che, per attenuare i rischi per gli investitori, le imprese che svolgono attività di crypto-assets devono ottenere l’opportuna autorizzazione dalla FCA (Guidance, cit., 14). La valutazione circa la riconducibilità di un token all’interno del perimetro di competenza della FCA può essere effettuata solo caso per caso, con riferimento ad una serie di fattori diversi. Sebbene uno o più di questi fattori possano indicare che il crypto-asset in questione è, o non è, all’interno del perimetro di competenza, essi non sono sempre determinanti. In definitiva, è responsabilità dell’emittente assicurarsi di avere le giuste autorizzazioni per le attività che intende intraprendere e la FCA incoraggia gli operatori del mercato ad ottenere una consulenza indipendente se ritengono che la posizione non sia chiara (Guidance, cit., 19). Indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, se si svolgono attività aventi ad oggetto crypto-assets riconducibili alla nozione di specified investment, è necessario essere regolarmente autorizzati, trattandosi di attività comunque riservate.

[28] Per quanto riguarda le ipotesi di regolamentazione dell’autorità italiana si rinvia al Documento per la discussione adottato da Consob il 19 marzo 2019 (“Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività”), sul quale si tornerà diffusamente più avanti.

[29] Anche l’autorità dei mercati finanziari tedesca (BaFin) è intervenuta sul tema delle ICOs e dei token. Dapprima, nel novembre 2017, ha lanciato un avvertimento in merito a tutta una serie di rischi associati alle offerte iniziali di monete (ICOs), considerate una forma altamente speculativa di finanziamento aziendale e di progetto. L’autorità – sebbene abbia ritenuto che le nuove fonti di finanziamento, come le ICOs, debbano essere accolte con favore, soprattutto per le imprese innovative – ha precisato che occorre evitare una situazione in cui la normativa esistente, che è in vigore per affrontare i rischi nell’interesse della protezione dei consumatori e dell’integrità del mercato finanziario, sia aggirata o frustrata. Successivamente, nel febbraio 2018, la BaFin ha pubblicato un altro documento informativo (Advisory letter, Ref. N. WA 11-QB 4100-2017/0010), in cui compara la classificazione dei token con la tassonomia delle securities tedesche, reputando applicabile la disciplina sulle securities a tutti i partecipanti al mercato che forniscono servizi relativi ai token, che li scambiano o li offrono al pubblico. Al fine di soddisfare pienamente i requisiti di legge, questi operatori di mercato sono tenuti a esaminare attentamente se trattano con uno strumento regolamentato, come uno strumento finanziario ai sensi della legge bancaria tedesca. In caso di dubbio, devono rimettersi al controllo della BaFin (nello specifico, la nuova Divisione dell’autorità dedicata alle innovazioni tecnologiche finanziarie) che determina “caso per caso” se un token costituisce uno strumento finanziario.

[30] Esma, Advice del 9 gennaio 2019, Initial Coin Offerings and Crypto-Assets, 40, reperibile in Internet al seguente indirizzo: https://www.esma.europa.it.

[31] Delibere Consob n. 20660 del 31 ottobre 2018 [Togatoken], nn. 20740 e 20741 del 12 dicembre 2018 [Green Earth e Bitsurgetoken]; cfr. anche Delibere Consob nn. 20814 e 20815 del 14 gennaio 2019, n. 20786 del 22 gennaio 2019, nn. 20843, 20844 e 20845 del 13 marzo 2019, tutte reperibili all’indirizzo elettronico dell’autorità: www.consob.it.

[32] Giova segnalare che sono stati di recente accresciuti i poteri di intervento della Consob in questo specifico ambito. Quest’ultima può ordinare ai fornitori di connettività alla rete Internet (ovvero ai gestori di altre reti telematiche o di telecomunicazione, o agli operatori che in relazione ad esse forniscono servizi telematici o di telecomunicazione) la rimozione delle iniziative di chiunque nel territorio della Repubblica, attraverso le reti telematiche o di telecomunicazione, offra o svolga servizi o attività di investimento senza esservi abilitato. I destinatari di tali ordini hanno l’obbligo di inibire l’utilizzazione delle reti delle quali sono gestori o in relazione alle quali forniscono servizi. La Consob stabilisce con regolamento le modalità e i termini degli adempimenti previsti da tale previsione (art. 36, comma 2-terdecies, L. 28 giugno 2019, n. 58).

[33] Cfr. Munchee Inc. (Administrative Proceeding n. 3-18304/2017); Gladius Network LLC; Paragon Coin Inc. e CarrierEQ Inc. d/b/a Airfox, tutti reperibili nel sito Internet della SEC: https://www.sec.gov.

[34] Ai sensi dell’art. 2, lett. a), paragrafo 1 del Securities Act, un titolo include un contratto di investimento (cfr. 15 U.S.C. § 77b). Un contratto d’investimento è i) un investimento di denaro in un’impresa comune con ii) una ragionevole aspettativa di profitti che iii) derivano dagli sforzi imprenditoriali o manageriali di altri (c.d. Howey Test) (vedi SEC v. Edwards, 540 U.S. 389, 393 (2004); SEC v. W.J. Howey Co., 328 U.S. 293, 301 (1946); vedi anche United Housing Found.Inc. v. Forman, 421 U.S. 837, 852-53 (1975)), tutti reperibili nel sito Internet della SEC: https://www.sec.gov. Per una panoramica sugli orientamenti della SEC vedi P. GIUDICI, ICO e diritto dei mercati finanziari: la prima sentenza americana, in Società, 2019, 55 ss.

[35] Più o meno esplicitamente questa è, come si è visto, la posizione assunta dalle varie autorità di vigilanza e, segnatamente, cfr.: FINMA, Linee-Guida 16 febbraio 2018 cit.; FCA, Guidance on cyptoassetConsultation Paper, CP 19/3 January 2019, cit.; ESMA, Advice 9 gennaio 2019 su ICOs e Crypto-Assets cit. V. supra § 2 per gli altri riferimenti nei diversi ordinamenti.

[36] Questa tipologia di token costituisce l’oggetto del lavoro di A. CAPONERA, C. GOLA, Aspetti economici e regolamentari delle “crypto-attività”, (nt. 5), 11 ss. Per la definizione di moneta virtuale come rappresentazione digitale del valore che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non è necessariamente collegata a una moneta legalmente stabilita e non possiede uno status giuridico di moneta o denaro, ma è accettata da persone fisiche o giuridiche come mezzo di scambio e che può essere trasferita, memorizzata e negoziata elettronicamente, v. supra nt. 3.

[37] Assumendo per note le tradizionali caratteristiche degli strumenti e dei prodotti finanziari, può dirsi che: A) l’equiparabilità tra il security-token e gli strumenti finanziari (non derivati) è legata: i) alla relazione di investimento o di finanziamento tra le parti (tipicamente seriale) sottostante all’emissione del tokenii) all’idoneità del token ad essere “negoziato sui mercati dei capitali” (art. 1, comma 1-bis, TUF) (la letteratura sulla nozione di strumento finanziario è, come si sa, copiosa, cfr. per tutti M. CIAN, Strumenti finanziari, in Diritto on line Treccani, 2015); B) l’equiparabilità tra il security-token ed i prodotti finanziari è legata: i) all’idoneità del token ad essere una “forma di investimento di natura finanziaria” ai sensi dell’art. 1, primo comma, lett. u, TUF. Quest’ultima situazione si verifica, secondo la consolidata prassi della Consob (condivisa dalla pressoché unanime dottrina), quando ricorrono i seguenti elementi: i) impiego di capitali; ii) assunzione di un rischio connesso all’impiego di capitali; iii) aspettativa di rendimento di natura finanziaria (effettiva e predeterminata promessa, all’atto dell’insta­urazione del rapporto contrattuale, di un rendimento collegato alla res; obblighi di riacquisto ovvero vincoli al godimento del bene). Va tuttavia precisato sin d’ora che l’aumento o la diminuzione di valore del bene (nel nostro caso del token) sul mercato di settore nel quale viene scambiato non si può allo stato qualificare come rendimento di natura finanziaria (Comunicazione Consob n. 12079227 del 4 ottobre 2012, reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.consob.it; diversamente la SEC, provvedimenti dell’11 dicembre 2017 Munchee Inc. (Administrative Proceeding n. 3-18304/2017) e del 16 novembre 2018 Carriereq INC (Administrative Proceeding n. 3-18898) e Paragon Coin (Administrative Proceeding n. 3-18897), tutti reperibili nel sito Internet della SEC: https://www.sec.gov.). Non necessariamente – conviene sottolinearlo ai fini del discorso che si sta conducendo – i prodotti finanziari sono incorporati in titoli destinati alla circolazione, sul punto sia consentito rinviare a M. DE MARI, Diritto delle imprese e dei servizi di investimento, Milano, Wolters Kluwer, 2018, 140 s.; P. SFAMENI-A. GIANNELLI, Diritto degli intermediari e dei mercati finanziari, Milano, Egea, 2018, 287.

[38] Per il parallelo token-titoli di credito e token-strumenti finanziari v. E. RULLI, Incorporazione senza res e dematerializzazione senza accentratore: appunti sui token, 2019, 2 ss., 26 s., intervento presentato al X Convegno di “Orizzonti del Diritto Commerciale” su “L’evolu­zione tecnologica e il diritto commerciale”, Roma 22-23 febbraio 2019 (ora in Rivista ODC, 1/2019, reperibile in Intenet al seguente indirizzo: www.rivistaodc.eu). A ben riflettere, si ripropone qui – conviene almeno accennarlo – con specifico riferimento all’applicazione del regime cartolare al token digitale, l’interrogativo già formulato da P. SPADA (Introduzione al diritto dei titoli di credito. Documenti circolanti, circolazione intermediata e password, Torino, Giappichelli, 2012, 3a ediz., 140) con riguardo all’applicazione di tale regime al documento informatico. Con la particolarità che la blockchain sembra poter attribuire al documento digitale il carattere della unicità (proprio del documento cartaceo) e quindi l’effettivo spossessamento in capo al tradens ed il relativo impossessamento dell’accipiens (per la non duplicabilità dell’in­formazione contenuta nel token, cfr. F. SARZANA, M. NICOTRA, Diritto della blockchain, (nt. 14), 19, nt. 12). 

[39] In questo senso v. anche E. LA SALA, L’applicazione della Distributed Ledger Technology all’e­missione di strumenti finanziari di debito, in Società, 2019, 720 ss.

[40] Una prima tendenza in questa direzione si può senz’altro osservare nell’ordinamento francese (v. Ordinanza n. 2017-1674 dell’8 dicembre 2017) che ha equiparato il comune trasferimento dei titoli finanziari non quotati da un conto ad un altro al trasferimento mediante registrazione in un dispositivo elettronico di registrazione condiviso (DEEP) su blockchain (“Les titres financiers qui ne sont pas admis aux opérations d’un dépositaire central doivent être inscrits, au nom du propriétaire des titres, dans un compte-titres tenu par l’émetteur ou, sur décision de l’émetteur, dans un dispositif d’enregistrement électronique partagé mentionné [DEEP] à l’article L. 211-3 Code Monétaire et Financier”). Il menzionato art. L 211-3 (secondo comma) espressamente dice che “la registrazione in un dispositivo di registrazione elettronico condiviso tiene luogo della registrazione in un conto. Per un primo commento all’Or­dinanza n. 2017-1674 cit., cfr. P. PERNEY, Q. PICHON, Une introduction de la Blockchain en droit francaise: enjeux et limites, in Revue des Juristes de Sciences Po (novembre 2018), reperibile in Internet al seguente indirizzo: https://revuedesjuristesdesciencespo.com/?p=669 (v. infra nt. 49).

[41] Sulla funzione solutoria del gettone telefonico come mezzo sostitutivo della moneta v. già G. NICCOLINI, Gettoni e buoni d’acquisto: ancora una generazione di mezzi di pagamento, in Riv. dir. civ., 1978, II, 95.

[42] In questo senso v. gli esempi di utility-token contenuti nella Guidance cit. della FCA, 46. Ma si veda anche l’ICO lanciata nel marzo 2018 da Friendz, nella quale il token rilasciato su blockchain (Friendz token) era spendibile dal possessore presso negozi online e marketplace o utilizzabile per acquistare servizi digitali che in futuro sarebbero stati disponibili sulla blockchain di Friendz. Il token era liberamente negoziabile sugli exchange che avessero deciso di quotarlo (il primo a farlo fu The Rock Trading). Vale anche la pena di osservare che nell’ambito della categoria degli utility-token troviamo nella prassi una serie di varianti che vanno, per limitarsi solo a qualche esempio, dall’access-token, la cui funzione è quella di permettere l’accesso ad una applicazione, anche quale prepagamento della stessa, al discount-token, che permette di ac­cedere a beni o servizi con uno sconto in percentuale ovvero in una determinata e prefissata quantità, ai voucher-token, vale a dire token la cui funzione è similare a quella di un buono che può essere riscattato su una o più piattaforme. Al di là delle denominazioni e delle combinazioni di diritti attribuiti all’acquirente da queste sotto-tipologie, non pare che queste si discostino dalla funzione propria degli utility-token sopra segnalata.

[43] Esma, Advice Initial Coin Offerings, (nt. 30), 13, punto 44.

[44] Comunicazione Consob n. 13038246 del 6 maggio 2013; Comunicazione Consob n. 12079227 del 4 ottobre 2012; v. anche Comunicazione Consob n. 99006197 del 28 gennaio 1999, dove il profilo finanziario è inteso come idoneità a remunerare l’investitore con una redditività finanziaria, tutte reperibili in Internet al seguente indirizzo: https://www.consob.it.

[45] FCA, Guidance on Cryproassets, (nt. 27), 16, 22, 28 (punti 3.51 e 3.52.).

[46] Cfr. i Provvedimenti SEC citati alla nt. 33.

[47] Giova infatti ricordare che la PMI costituita in forma di s.r.l., in deroga alle disposizioni di cui agli artt. 2463 e ss. cod. civ., può oggi creare differenti categorie di quote dotate di particolari attribuzioni (quote che non attribuiscono diritti di voto o che attribuiscono diritti di voto in misura non proporzionale alla partecipazione detenuta o diritti di voto limitati a determinati argomenti o subordinati al verificarsi di condizioni non meramente potestative). Tralasciando, per ragioni di sintesi, qualsiasi discussione in ordine alla dibattuta dicotomia tra categorie di quote e attribuzione di diritti particolari ex art. 2468 cod. civ., è evidente l’analogia con la disciplina della società per azioni che, all’art. 2348, secondo comma, cod. civ., si riferisce appunto alla possibilità di creare categorie di azioni fornite di diritti diversi. In argomento, per tutti, v. O. CAGNASSO, Profili organizzativi e disciplina applicabile alle S.r.l. PMI, in Atti del Convegno di Courmayeur del 14-15 settembre 2018 su “S.r.l. piccola e media impresa, mercati finanziari: un mondo nuovo”, 2018, 5 ss., reperibile in Intenet al seguente indirizzo: https://ww.cndps.it.

Per l’applicazione della disciplina sui servizi di investimento e sull’offerta al pubblico nel caso in cui la cripto-attività sia riconducibile agli strumenti o ai prodotti finanziari, conf. P. CARRIERE, Le “criptovalute” sotto la luce delle nostrane categorie giuridiche di “strumenti finanziari”, “valori mobiliari” e “prodotti finanziari” tra tradizione e innovazione, in Riv. dir. banc., 2019, 22 s., reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.dirittobancario.it. In realtà, più che sulla disciplina applicabile, ci si può interrogare, semmai, se alla specialità dello strumento finanziario tokenizzato non debbano corrispondere presidi informativi ed organizzativi specifici e rafforzati in capo all’intermediario, tali da connotare l’intero processo d’investi­men­to, che diano evidenza e, appunto, presidino la componente tecnologica e algoritmica dell’asset digitale e tutti i rischi associati. Un ragionamento senza dubbio da non trascurare, anzi da approfondire, e in definitiva non tanto diverso da quello suggerito dalla dottrina che ha cominciato ad occuparsi della specialità della consulenza automatizzata (robo advice) (in argomento cfr. GRUPPO DI LAVORO CONSOB-UNIVERSITÀ, La digitalizzazione della consulenza in materia di investimenti, Quaderni Fintech Consob, Roma, gennaio 2019, 67 ss., reperibile in Internet, al seguente indirizzo: www.consob.it) e da quello svolto in passato dalla Consob con riguardo al c.d. trading on line (Comunicazione Consob n. 30396 del 21 aprile 2000, in www.consob.it).

[48] È appena il caso di rammentare che con la MiFID2 l’idea di sedi di negoziazione di stru­menti finanziari atipiche o occasionali batte in netta ritirata e si profila chiarissimo il dato ordinamentale teso a garantire che la negoziazione di strumenti finanziari avvenga in sedi organizzate e che tutte queste sedi siano regolamentate in modo adeguato (v. Cons. nn. 6-8 Regolamento Ue n. 600/2014 del 15 maggio 2014 “MiFIR”). Certo c’è da chiedersi se, con il dirompente ingresso delle nuove tecnologie e la costituzione delle tante piattaforme di scambio di token (che non integrano necessariamente strumenti finanziari ma che possono presentare elementi di finanziarietà proprio perché negoziabili su sistemi di scambio), la rigida impostazione di MiFID2 sulle trading venues (la cui ideazione è peraltro risalente ad un tempo in cui la blockchain muoveva solo i suoi primi passi) non sia da rivedere in senso estensivo (v. infra nt. 62).

[49] Nel richiamare quanto sopra anticipato ai §§ 1.2. e 3.1., si può qui rimarcare che oggi la legge non dice (o non dice ancora) che la blockchain è una tecnica legale che legittima il possessore del token all’esercizio del diritto incorporato nello stesso. Né equipara la circolazione attraverso le tecnologie blockchain alla circolazione dematerializzata degli strumenti finanziari. E quindi si ripropone, in modo attualizzato, il tradizionale interrogativo di diritto cartolare (già postosi in particolare con riguardo alle tecniche di circolazione delle azioni, sul quale la dottrina offre riscontri non unanimi: per una sintesi delle diverse posizioni cfr. AA.VV., Diritto commerciale, III Diritto delle società a cura di M. Cian, Torino, Giappichelli, 2017, 337), se per introdurre nuove tecniche di circolazione e di legittimazione dei token digitali tramite blockchain sia sufficiente il solo consenso delle parti oppure, come appare più corretto per le ragioni sopra evidenziate, sia necessario che la legge prescriva ciò espressamente. Sembra invece ammettere come valida la circolazione dei token secondo regole non legali ma convenzionali E. RULLI, Incorporazione senza res e dematerializzazione senza accentratore: appunti sui token, (nt. 38), 2, ss., 26 s., ad avviso del quale i token “circolano come se fossero dei titoli atipici ex art. 2004 c.c., ripercorrendo uno schema che consiste in una serie continua di girate validate da un sistema crittografico e registrate sulla catena a blocchi composta dai partecipanti al sistema”. Si interroga sulla possibilità di introdurre anche nel nostro ordinamento una disciplina specifica (in particolare) per gli strumenti finanziari di debito emessi in DLT anche E. LA SALA, L’applicazione della Distributed Ledger Technology all’emissione di strumenti finanziari di debito, (nt. 39), 715 ss., il quale invece non ritiene compatibile con la DLT la vigente normativa dettata dal codice civile per gli strumenti finanziari cartolari e dal TUF per quelli dematerializzati. In questo senso l’Autore richiama gli ordinamenti francese (supra nt. 40) e lussemburghese che hanno di recente equiparato, con specifici interventi di legge, la registrazione degli strumenti emessi e circolanti su una DLT alla registrazione dematerializzata in conti titoli dell’emittente e dell’intermediario (723-725).

[50] La letteratura sul punto è ampia: fra i molti, cfr. la precognitrice analisi di P. SPADA, Dai titoli atipici alle operazioni atipiche di raccolta del risparmio, in Banca, borsa, tit. cred., 1986, I, 13 ss.; G. FERRARINI, Sollecitazione del risparmio e quotazione in borsa, nel Trattato Colombo-Portale, Torino, Utet, 10 **, 1993, 12 ss.

[51] Qui sembra – conviene rimarcarlo – che l’acquisto del bene o del servizio, rappresentato dal token digitale, si atteggi a prestazione per l’acquisto o il godimento di un bene di consumo e non si configuri l’elemento del “rendimento di natura finanziaria”, neppure quando il token è destinato ad essere negoziato su un sistema di scambi. In tal caso, semmai, quando il token è negoziato su una piattaforma ed il suo valore aumenta o diminuisce in funzione degli scambi, vi è, come già accennato, un “risultato economico” derivante da una rivalutazione del bene in relazione all’andamento del mercato di settore, ma non – almeno secondo quello che è stato sinora il costante orientamento della Consob – un “rendimento di natura finanziaria” costitutivo del prodotto finanziario (che, come si sa, è, oltretutto, elemento intrinseco dell’operazione stessa) (v. ancora la Comunicazione Consob n. 13038246 del 6 maggio 2013 cit.).

[52] Ribadisce questo punto A. GENOVESE, Innovazione tecnologica e trasformazione del settore finanziario tra Initial Coin Offerings (ICOs) e investment crowdfunding: quali sfide per l’Autorità di controllo, 2019, 6, Relazione presentata al Convegno di Studi “Nuove tecnologie e nuove forme di finanziamento alle imprese: Initial Coin Offerings (ICOs) e Crypto-Assets, Crowdfunding (caratteristiche, rischi e opportunità)”, organizzato dal Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Verona e dalla Consob e svoltosi a Verona il 30 maggio 2019, che ho potuto leggere nella versione definitiva grazie alla cortesia dell’Autrice.

[53] Come anticipato, l’autorità non offre in consultazione un articolato. Non c’è tuttavia motivo per non aspettarsi che verrà formulata, coerentemente, una normativa analoga a quella vigente del crowdfunding ex art. 50-quinquies TUF. Non solo sotto il profilo dei requisiti dei gestori di piattaforme per le offerte di cripto-attività e dei sistemi di scambi di tali asset, ma anche per quanto attiene al set informativo che l’offerta di token veicolata tramite il portale dovrà presentare e agli obblighi di comportamento ai quali i gestori dovranno attenersi nei confronti degli investitori, nonché sotto il profilo della competenza Consob a vigilare su questo nuovo settore.

[54] Tale attività non integra la “raccolta del risparmio” in senso tecnico, salvo nel caso in cui, attraverso l’emissione/vendita di token, vengano acquisiti fondi con obbligo di rimborso. È appena il caso di ricordare che, ai sensi dell’art. 11, primo comma, TUB, “è raccolta del risparmio l’acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, sia sotto forma di depositi sia sotto altra forma” e a mente dell’art. 11, quarto comma, lett. c), TUB: “Il divieto di raccolta del risparmio tra il pubblico non si applica alle società per la raccolta effettuata ai sensi del codice civile mediante obbligazioni, titoli di debito od altri strumenti finanziari”.

[55] La legge di bilancio 2019 (Legge 30 dicembre 2018 n. 145) ha introdotto modifiche al TUF, al fine di estendere l’ambito di applicazione della normativa italiana in tema di portali per la raccolta di capitali on-line anche alle obbligazioni e ai titoli di debito emessi dalle piccole e medie imprese. L’art. 1, comma 236, ha esteso la definizione di “portale per la raccolta di capitali per le piccole e medie imprese e per le imprese sociali” contenuta nell’articolo 1, comma 5-novies, TUF, al fine di ricomprendere tra le attività esercitabili attraverso tali portali anche quella della “raccolta di finanziamenti tramite obbligazioni o strumenti finanziari di debito da parte delle piccole e medie imprese”. Il successivo comma 238, invece, ha integrato all’art. 100-ter del TUF con il nuovo comma 1-ter, che disciplina le offerte al pubblico condotte attraverso uno o più portali per la raccolta di capitali, disponendo che “la sottoscrizione di obbligazioni o di titoli di debito è riservata, nei limiti stabiliti dal codice civile, agli investitori professionali e a particolari categorie di investitori eventualmente individuate dalla Consob ed è effettuata in una sezione del portale diversa da quella in cui si svolge la raccolta del capitale di rischio”. Pertanto, con i sopra descritti interventi legislativi l’attività dei gestori di portali per la raccolta di capitali on-line è stata ampliata ricomprendendovi anche la promozione di offerte aventi ad oggetto titoli di debito delle piccole e medie imprese. La Consob ha esercitato la delega ad essa attribuita e ha inserito le relative modifiche nel proprio Regolamento in materia di crowdfunding.

[56] Non può sfuggire come qui l’autorità si dimostri sensibile a quella che è invece una criticità del modello crowdfunding, dove manca per le PMI non quotate un mercato secondario di disinvestimento delle partecipazioni, in argomento sia consentito il rinvio a M. DE MARI, Equity crowdfunding, PMI non quotate e mercati secondari: una lacuna da colmare, reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.dirittobancario.it, 2019, 1 ss.

[57] Ancorché secondo l’Esma solo tra un quarto ed un terzo delle cripto-attività emesse tramite ICOs sono poi negoziate su mercati secondari, cfr. Esma, Advice del 9 gennaio 2019 cit., 11, punto 35.

[58] Tralascio qui, per ovvie ragioni di brevità, gli aspetti attinenti ai sistemi di scambio secondari di token, dove riecheggia, non solo a livello terminologico, la disciplina MiFID/
MiFIR. A tale proposito mi limito soltanto a segnalare i seguenti profili: 1) nel Documento non si distingue tra piattaforme “centralizzate” e “decentralizzate” (si fa riferimento solo alle prime); 2) si ritengono utilizzabili i soli sistemi di scambio “permissioned” (ossia quelli che rendono identificabili i partecipanti), senza considerare anche le “blockchain permissionless” che rappresentano la quasi totalità del mercato dei crypto-asset e che comunque già oggi consentono l’identificazione degli utenti; 3) possono essere ammessi agli scambi sui mercati secondari solo i token oggetto di offerta iniziale (v. anche L. SCHLICHTING, Consob sulle attività ICO: un buon inizio, ma un disastroso finale, in The Cryptonomist, reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.cryptonomist.ch.).

[59] La somministrazione di risorse destinate ad una iniziativa produttiva quando genera l’in­debitamento della persona o dell’ente che l’iniziativa adotta può dirsi credito finanziario (o, in una parola sola, finanziamento)”, così. P. SPADA, Diritto CommercialeIIElementi, Padova, 2009, 98. Se l’impiego di risorse è finalizzato all’acquisto di beni o di servizi alienati dal­l’emittente il token, si dovrebbe essere fuori dallo schema causale del finanziamento.

[60] Conforme anche M. NICOTRA, Il regime giuridico delle ICOs. Analisi comparata e prospettive regolatorie italiane (nt. 8), 20 ss.

[61] Non è sufficiente l’apprezzamento o il deprezzamento del valore del bene (per effetto della negoziazione del token su una piattaforma) ma è necessario che l’atteso incremento del valore impiegato (ed il rischio ad esso correlato) sia elemento intrinseco all’operazione stessa.

[62] Non sembra neppure che (allo stato della normativa vigente) si possa sostenere che i token soggetti a negoziazione sui sistemi di scambio di crypto-asset integrino “derivati finanziari su merci”, dal momento che l’inclusione in questa categoria richiede che le merci alle quali il derivato è connesso possano essere regolate con consegna fisica e siano negoziati in Mercati regolamentati (MR), MTF o OTF ai sensi dell’Allegato 1, Sezione C, n. 6, TUF. Nessuna delle due circostanze ricorre con riferimento ai token in discussione che vengono scambiati su sistemi decentralizzati non equiparabili, ad oggi, a MR, MTF e OTF che sono invece trading venues in senso tecnico ex MiFID. Per un approccio di questo tipo (i.e.token come strumento derivato su merci) che muove – anziché dalla tassonomia dei token – da quella delle trading venues – cfr. ANNUNZIATA, La disciplina delle trading venues nell’era delle rivoluzioni tecnologiche: dalle criptovalute alla distributed ledger tecnology, 9 ss., intervento presentato al X Convegno di “Orizzonti del Diritto Commerciale” su “L’evoluzione tecnologica e il diritto commerciale”, Roma 22-23 febbraio 2019 (ora in Rivista ODC, 3/2018, 48 ss., reperibile in Intenet al seguente indirizzo: www.rivistaodc.eu). Certo si potrebbe anche osservare, non senza ragione, che l’assetto MiFID-MiFIR delle sedi di negoziazione è ormai un po’ datato e richiederebbe una qualche revisione ed aggiornamento, atteso che le piattaforme di scambio dei token neppure esistevano quando le varie Direttive MiFID sono state adottate (v. supra nt. 48). Una revisione che però non potrebbe, oltretutto, non tener conto che, nelle tecniche di scambio dei token puramente “orizzontali” (modello puro di decentralised exchange), non è individuabile un soggetto che svolge all’interno della blockchain le funzioni di matching tra ordini svolte dai gestori di sistemi multilaterali di negoziazione (sul punto v. ancora F. ANNUNZIATA, cit., 53).

[63] Secondo A. CAPONERA, C. GOLA, Aspetti economici e regolamentari delle “crypto-atti­vità” (nt. 5), 11 ss. “se gli utility-token nel corso della loro vita diventassero non solo portatori di un diritto, ma anche pienamente trasferibili e negoziabili su un mercato organizzato, dovreb­bero perdere la caratteristica di utility token e diventare security token”. La FCA (Guidance, cit., 29) considera, al contrario, “un token nella categoria utility token anche se è negoziabile su un mercato secondario (purché sia privo di diritti finanziari o rewards)”.

[64] Si noti che in prospettiva saranno recepite nel nostro ordinamento (entro il 1° luglio 2021) anche le Direttive Ue n. 2019/770 e n. 2019/771, entrambe del 20 maggio 2019 sui contratti tra imprese e consumatori di fornitura di contenuti e di servizi digitali.

[65] È qui ultroneo indugiare anche solo brevemente sulla risalente problematica civilistica dei contratti a causa mista e sulle teorie dell’assorbimento o della combinazione quanto alla disciplina loro applicabile (v., per tutti, la sintesi di F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, Napoli, Esi, 2001, 799 ss.); né si può in questa sede richiamare l’annoso dibattito che ha coinvolto la dottrina e la giurisprudenza sulla prevalenza della natura finanziaria, assicurativa o previdenziale di alcuni prodotti (su cui v. R. LENER, Il prodotto “assicurativo” fra prodotto “finanziario” e prodotto “previdenziale, in Dir. economia assicur., 2005, I, 1233; P.E. CORRIAS, Sulla natura assicurativa oppure finanziaria delle polizze linked: la riproposizione di un tema, in Banca, borsa, tit. cred., 2015, II, 457; Cass. (ord.), sez. III, 30 aprile 2018, n. 10333, in Giur. it., 2018, 12, 2687). Basti però ricordare come il criterio della finalità esclusiva o preponderante di investimento sia alla base dell’applicazione delle disposizioni del TUF in caso di prodotti composti, ibridi o complessi (v. Provvedimento della Banca d’Italia del 29 luglio 2009 e successive modificazioni recante “Disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari – Correttezza delle relazioni tra intermediari e cliente – Sezione I 1.1.”): l’assunto della funzione di investimento prevalente è anche implicito nella qualificazione che la Consob dà dei prodotti illiquidi (Comunicazione n. 9019104 del 2 marzo 2009, reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.consob.it) e dei prodotti complessi (Comunicazione n. 0097996 del 22 dicembre 2014, reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.
consob.it).

[66] L’approccio regolatorio della Consob si basa sull’opt-in non sulla sandbox. La sandbox è letteralmente “il recinto della sabbia” dei parchi-giochi dei bambini e la locuzione è entrata nel gergo Fintech per indicare un ambiente di prova, dove le start up possono sperimentare in sicurezza i loro prodotti innovativi per un periodo di tempo limitato e con un numero limitato di clienti, senza dover sottostare a regole troppo rigide a cui sono sottoposte. Di recente anche il legislatore italiano, sulla scia di alcune esperienze straniere, ha abbracciato l’idea di promuovere la diffusione delle nuove tecnologie in un “ambiente controllato”, caratterizzato da requisiti normativi meno rigorosi. Infatti, al fine di promuovere e sostenere l’imprenditoria, di stimolare la competizione nel mercato e di assicurare la protezione adeguata dei consumatori, degli investitori e del mercato dei capitali, nonché di favorire il raccordo tra le istituzioni, le autorità e gli operatori del settore, ha previsto l’adozione di misure volte a definire le condizioni e le modalità di svolgimento di una sperimentazione relativa alle attività di tecno-finanza (Fin.Tech) per il perseguimento, mediante nuove tecnologie, quali l’intelligenza artificiale e i registri distribuiti, dell’innovazione di servizi e di prodotti nei settori finanziario, creditizio, assicurativo e dei mercati regolamentati (art. 36 del Decreto Legge c.d. Crescita n. 34 del 30 aprile 2019, convertito nella L. 28 giugno 2019 n. 58). Sul fenomeno delle sandboxes v. N. LINCIANO, P. SOCCORSO, FinTech e RegTech: approcci di regolamentazione e di supervisione, in FinTech a cura di M. T. Paracampo, Torino, 2017, 41 s.; in tema RegTech v. F. PANISI, A. PERRONE, System so perfect that no one will need to be good ? Regtech and the uman factor, in Rivista ODC, 2/2018, 1 ss., reperibile al seguente indirizzo Internet: rivistaodc.eu.; di grande interesse, sempre in ambito RegTech, è il primo esperimento pilota condotto dalla FCA, dalla Bank of England e da altre sei istituzioni finanziarie sul “Digital Regulatory Reporting”, finalizzato a verificare come la tecnologia potrebbe rendere il processo di compliance regolamentare tra soggetti vigilati ed autorità più accurato ed efficiente, cfr. Digital Regulatory Reporting (Pilot Phase 1 Report), marzo 2019, reperibile in Internet al seguente indirizzo: https://fca.org.uk.

Esprime perplessità sul regime dell’opt-in anche A. SCIARRONE ALIBRANDI, Offerte iniziali e scambi di cripto-attività: il nuovo approccio regolatorio della Consob, reperibile in Internet al seguente indirizzo: www.dirittobancario.it, 2019, 1 s.

[67] L’intermediazione dei gestori dei portali ha invece un costo: l’attività di offerta veicolata attraverso il portale on line è remunerata. Si tratta di un corrispettivo pagato dall’emittente al gestore del portale normalmente in percentuale sul capitale effettivamente raccolto e variabile a seconda dell’offerta. Di solito sono anche previsti dei costi a carico degli investitori per la trasmissione degli ordini a banche o alle imprese di investimento.

[68] Chiarissima in questo senso la cit. Proposta di Regolamento Ue sui “Fornitori europei di servizi di crowdfunding per le imprese” nella versione modificata del 9 novembre 2018 dove dice che: “Le caratteristiche delle offerte iniziali di moneta (ICO) differiscono notevolmente dal crowdfunding disciplinato dal presente regolamento. Tra le altre differenze, le ICO di solito non si avvalgono di intermediari, come fanno le piattaforme di crowdfunding, e spesso raccolgono fondi per un importo superiore a 1 000 000 EUR” (Cons. n. 11-bis).

[69] Ciò, oltre a quanto già sopra ricordato, trova conferma anche nella Risoluzione del Parlamento Europeo del 3 ottobre 2018 cit., dove, senza mezzi termini, si afferma che “la DLT è una tecnologia a scopo generico in grado di migliorare l’efficienza dei costi delle transazioni eliminando intermediari e costi di intermediazione, e di aumentare la trasparenza delle transazioni, ridisegnando anche le catene del valore e migliorando l’efficienza organizzativa attraverso un decentramento affidabile”.

[70] Cfr. A. WALCH, Deconstructing Decentralization: Exploring the Core Claim of Crypto Systems, in papers.ssrn.com, gennaio 2019, reperibile in Internet al seguente indirizzo: file:///Users/imac/Desktop/ICOS/WALCH.webarchive; il contributo principale di questo scritto è quello di esaminare le conseguenze dell’applicazione acritica del termine decentralizzazione per formulare giudizi legali basati su di esso. L’Autrice, dubitando del fatto che i sistemi blockchain manchino di potere centralizzato, sostiene che il termine decentralizzato invece funziona come uno scudo di responsabilità per coloro che gestiscono effettivamente i sistemi (sviluppatori e minatori), creando un veil of decentralization e dando così un beneficio fondamentale ai partecipanti a questi sistemi senza i corrispondenti obblighi e responsabilità.

[71] La stessa Esma afferma che “i sei più grandi miners controllano il 75% del Bitcoin rate e il più grande miner ha il 16 % del market share” cfr. Advice dell’Esma 9 gennaio 2019 cit., 10.

[72] P. CUCCURU, Blockchain ed automazione contrattuale. Riflessioni sugli smart contract, (nt. 17), 116 ss.

[73] Tendevano già in passato ad escludere offerte a distanza non intermediate: E. PAGNONI, Sub art. 30, nel Commentario al TUF Alpa-Capriglione, Padova, 1998, I, 325; A. GENTILI, Sub art. 32, nel Commentario al TUF Alpa-Capriglione, 1998, I, 347; C. MOSCA, Collocamento e offerta al pubblico. Riflessioni su una relazione non strettamente necessaria, in Riv. soc., 2016, I, 670, secondo cui “a cura esclusiva dell’emittente può essere effettuata unicamente l’offerta in sede”.

[74] La disapplicazione della disciplina in materia di offerta a distanza di cui all’art. 32 TUF ai gestori di portali di crowdfunding iscritti nell’apposito registro (art. 50-quinquies, secondo comma, ult. alinea, TUF) si può allora spiegare più nella logica della deroga dell’attività di gestione di portali di crowdfunding al regime della riserva dei servizi di investimento che in quella della insussistenza fattuale di un’offerta intermediata nell’offerta tramite portali on line.