Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Crisi e insolvenza delle società a partecipazione pubblica* (di Fabrizio Guerrera**)


L'articolo 14 del T.U. sulle società a partecipazione pubblica (d.lgs. n. 175/2016), emanato in attuazione dell'art. 18, comma 1, lett. a) e b), della legge delega n. 124/2015 sul riordino della Pubblica Amministrazione, assoggetta tali società alle norme sul fallimento, sul concordato preventivo e sull'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d'insolvenza. Il saggio esamina le finalità e il perimetro applicativo della disciplina speciale di "diritto societario della crisi" introdotta dall'art. 14 del TUSP, concentrandosi sulla condotta degli organi sociali nella prevenzione e gestione delle crisi e dell'impresa, nonché sugli interventi di finanziamento, copertura delle perdite e ricapitalizzazione delle società in crisi da parte degli enti pubblici partecipanti. L'analisi pone in luce l'utilità e l'opportunità dell'intervento del legislatore delegato, pur sottolineando alcune criticità interpretative e la necessità di alcuni interventi di raccordo con le disposizioni del Codice civile e della Legge fallimentare.

Crisis and Insolvency of State- and Local Authorities-Owned Corporations

Article 14 of the Italian Comprehensive Law on State and Local Authorities-Owned Corporations (Legislative Decree no. 175/2016)[enacting Article 18, para 1, letters a) and b) of the Act no. 124/2015,issued by the Government under Parliamentary delegation andconcerning the reorganisation of Public Administration]), provides that Bankruptcy Law's rules, including the rules governing Creditors' Agreements and the Extraordinary Administration Procedure of large insolvent Corporations, apply to State and Local Authorities-Owned Corporations.

This study addresses aims and scope of application of the special companies' crisis' regulation introduced by the mentioned Article 14. This study also focuses on the Directors' conduct in preventing and facing the firm's insolvency and the way that the Public shareholders intervene (for example, through loans, capital increases and loss coverage).

Moreover, while pointing out that the legislator's intervention is both useful and appropriate, this article underlines the difficulties in interpreting the provisions drafted in this field, which are not always consistent with the provisions of the Civil Code or Bankruptcy Law.

* Relazione al convegno SISCO di Milano del 19 novembre 2016 su "Il fallimento delle società".

** Professore ordinario, Univeristà di Messina.

Sommario/Summary:

1. Premessa: contenuti e obiettivi della disciplina dell’art. 14 TUSP - 2. I doveri degli amministratori di prevenzione e gestione della crisi - 3. Omissioni degli amministratori e gravi irregolarità ai sensi dell’art. 2409 c.c. - 4. Ristrutturazione, ricapitalizzazione e soluzioni negoziali della crisi - 5. Limiti al risanamento delle società in perdita sistematica - 6. Fallimento e concordato della società a partecipazione pubblica - 7. Fallimento, concordato e circolazione dell’azienda - 8. Il fallimento della società in house - 9. Il fallimento della società mista - 10. La disciplina delle azioni di responsabilità: il caso della società in house - 11. Le azioni di responsabilità in caso di fallimento della società in house - 12. L’azione di responsabilità da eterodirezione abusiva - 13. Gli accantonamenti a coperture delle perdite delle società partecipate - NOTE


1. Premessa: contenuti e obiettivi della disciplina dell’art. 14 TUSP

L'art. 18, comma 1, della legge delega n. 124/2015 sulla riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni[1]enunciava tra i principi e i criteri direttivi cui avrebbe dovuto ispirarsi il riordino della normativa sulle partecipazioni societarie sia la "individuazione della … disciplina, anche in base al principio della proporzionalità delle deroghe alla disciplina privatistica, ivi compresa quella in materia di organizzazione e crisi d'impresa" (lett.a), sia la "precisa definizione delregime delle responsabilità delle amministrazioni partecipanti, nonché dei dipendenti e degli organi di gestione e di controllo delle società partecipate" (lett.c). Il primo obiettivo può dirsi sostanzialmente raggiunto, se pure in modo non del tutto chiaro e lineare; il secondo, invece, sostanzialmente disatteso, almeno per quanto riguarda la controversa figura dell'in house providing. L'art. 14 TUSP mette fine, ormai, ai contrasti giurisprudenziali alimentati anche dal noto arresto di Cass., S.U. n. 26283/2013 in materia di società in house[2], allorché dispone che tutte le società a partecipazione pubblica, senza eccezioni di sorta, sono assoggettate alle norme sul fallimento, il concordato preventivo e l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d'insolvenza. Ciò è coerente al sistema di pubblicità legale, basato sull'iscrizione nel Registro delle imprese, che comporta un legittimo affidamento dei terzi sull'applicabilità alle società iscritte di un regime conforme alla denominazione ivi dichiarata[3]. Non sono menzionati gli accordi di ristrutturazione e la transazione fiscale, ma si tratta di un mero difetto di coordinamento, perché il risanamento e la continuità aziendale sono - come si vedrà - la "cifra" essenziale della nuova disciplina. Si tratta essenzialmente di una disciplina speciale di "diritto societario della crisi", ma le relative disposizioni possono leggersi, almeno per certi aspetti, più che come deroghe al diritto societario comune, come sviluppo e applicazione specifica di regole generali. D'altronde, l'art. 1, comma 3 TUSP dispone che "per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato"[4], ribadendo un principio già espresso in [...]


2. I doveri degli amministratori di prevenzione e gestione della crisi

L'art. 14, comma 2, TUSP enfatizza il dovere degli amministratori - già invero operante alla stregua del diritto comune - di monitorare la situazione finanziaria della società (a prescindere dagli squilibri patrimoniali che possono attivare i meccanismi legali di riduzione obbligatoria del capitale per perdite) e di prevenire e gestire in modo efficace e tempestivo le crisi aziendali (cfr. gli artt. 2381, commi 3 e 5, 2392, 2403, 2423-bis, comma 1, c.c., cui si sono aggiunti la riformulazione del contenuto della "relazione sulla gestione" exart. 2428 c.c., con riguardo alla valutazione e gestione delle varie tipologie di rischi aziendali e, da ultimo, la prescrizione del "rendiconto finanziario" secondo gli artt. 2423, comma 1 e 2425-ter c.c.)[6]. Sebbene, ovviamente, questi doveri amministrativi di "gestione della crisi" si concretino egualmente, anche ove questa emerga a prescindere dalla corretta elaborazione e utilizzazione dei programmi dirisk management e dirisk reporting e dall'impiego dei relativi "indicatori". Da un verso, la disposizione richiama i "programmi di valutazione del rischio" di cui all'art. 6, comma 3 (rectius:2) TUSP, che l'organo amministrativo - al quale incombe per le s.p.a., il dovere di predisporre un assetto organizzativo, amministrativo e contabile "adeguato" alla natura e alle dimensioni dell'impresa, istituendo ove occorra un apposito sistema di "controllo interno" (cfr. art. 2381 c.c.)[7] - è tenuto a elaborare e approvare; nonché a comunicare all'assemblea nel contesto della relazione sulla corporate governance (art. 6, comma 4, TUSP), che consiste in quel "bilancio organizzativo"[8] mutuato dall'art. 123-bis TUF. Dall'altro, la disposizione obbliga gli amministratori ad adottare "senza indugio" i provvedimenti necessari a prevenire l'aggravamento della crisi, a correggerne gli effetti e a eliminarne le cause "attraverso un idoneo piano di risanamento". Questo assumerà verosimilmente la forma di un vero e proprio "piano di risanamento attestato" ex art. 67, comma 3, lett.d), legge fall., mirante al "riequilibrio" sia economico-patrimoniale, sia finanziario della società. In mancanza di esso, infatti, i relativi atti di esecuzione sarebbero esposti al rischio dell'azione revocatoria fallimentare e della responsabilità, anche penale (arg. art. 217-bis legge fall.), dei membri degli organi di amministrazione e controllo della società. Non sono previste, [...]


3. Omissioni degli amministratori e gravi irregolarità ai sensi dell’art. 2409 c.c.

L'omissione degli amministratori nell'attività di prevenzione e gestione della crisi costituisce, ai sensi dell'art. 14, comma 3, TUSP, una "grave irregolarità", suscettibile di essere denunciata ai sensi dell'art. 2409 c.c., nella configurazione ampliata che questo rimedio endosocietario assume secondo il disposto dell'art. 13 TUSP, cioè superando le differenze tipologiche tra s.p.a. e s.r.l. ed eliminando la soglia di partecipazione condizionante la legittimazione a ricorrere, relativamente agli enti pubblici soci. Ma è evidente che l'utilità pratica del rimedio - che potrebbe essere attivato, del resto, anche alla stregua del diritto comune nei confronti degli amministratori che trascurassero il monitoraggio sulla "continuità aziendale" - potrà apprezzarsi solo quando l'emersione della crisi sia precoce e inequivocabile e l'inerzia degli organi sociali altrettanto manifesta. I tempi (non brevi) dell'ispezione e del procedimentoexart. 2409 c.c. e l'intervento sostitutivo di un amministratore giudiziario "esterno", che nulla sa della storia, dei problemi e delle dinamiche aziendali, sembrano, infatti, difficilmente conciliabili con l'esigenza di fronteggiare in maniera efficace e tempestiva la crisi dell'impresa. La norma sembra valere allora - più che altro - come un ulteriore richiamo ai doveri di diligenza del socio pubblico nella cura e nella gestione della partecipazione (art. 9 TUSP) e come un "deterrente", avuto riguardo al rischio di responsabilità erariale in cui possono incorrere gli amministratori degli enti pubblici partecipanti per avere pregiudicato con la loro condotta - trascurando cioè il corretto esercizio dei diritti sociali - il valore della stessa (art. 12, comma 2, TUSP). 


4. Ristrutturazione, ricapitalizzazione e soluzioni negoziali della crisi

La crisi finanziaria della società di capitali a partecipazione pubblica si manifesta, in genere, congiuntamente a uno squilibrio economico-patrimoniale, che esige l'adozione degli "opportuni provvedimenti" ai sensi degli artt. 2446 e 2482-bis c.c. e la copertura delle perdite accumulatesi. L'art. 14, comma 4, TUSP prescrive al riguardo con una formulazione piuttosto involuta (esso recita letteralmente: "non costituisceprovvedimento adeguatoai sensi dei commi 1 e 2 [rectius2 e 3]"), che il ripianamento delle perdite, in qualunque forma attuato, non è consentito se non accompagnato da (o, meglio, previsto e inquadrato in) un "piano di ristrutturazione aziendale" da cui risultino concrete e comprovate prospettive di recupero dell'equilibrio economico delle attività. Ora, senza escludere del tutto la possibilità di un piano economico-finanziario adottato dagli amministratori al di fuori da ogni "ombrello protettivo" legale, il riferimento primario resta indubbiamente quello al "piano di risanamento attestato" ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett.d), che - com'è noto - può ben collegarsi ad accordi stragiudiziali con taluni creditori; oppure al "piano" di cui agli artt. 161 e 182-bis legge fall., predisposto cioè a servizio di un concordato preventivo o di un accordo di ristrutturazione dei debiti "con continuità aziendale". In questi casi, per la verità, l'accesso alla procedura di crisi comporterebbe di per sé la sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione secondo l'art. 182-sexies legge fall.[9], eliminando in radice la necessità di una copertura indifferibile delle perdite, che dovrebbe avvenire altrimenti "al buio" e comportare il pericolo di dissipare risorse pubbliche con interventi a fondo perduto, attuati in assenza di serie prospettive di riequilibrio strutturale. Concordati e accordi di ristrutturazione sono caratterizzati, infatti - almeno di norma - dalla riduzione dei debiti e degli interessi, che producono sopravvenienze attive idonee a neutralizzare (in tutto o in parte) le perdite e a riequilibrare lo stato patrimoniale della società, in esito all'omologazione definitiva e alla regolare esecuzione degli stessi. E allo stesso scopo potrebbero concorrere gli utili prodotti, durante la procedura (cioè sino alla sua formale e definitiva chiusura), dalla gestione dell'impresa in ristrutturazione, che potrà ben essere agevolata dai nuovi [...]


5. Limiti al risanamento delle società in perdita sistematica

Sull'adozione di un "piano di risanamento" delle società pubbliche (in houseo miste) in possesso di convenzioni o di contratti di servizio o di programma, relativi a servizi d'interesse generale o investimenti pubblici (un piano approvato dall'Autorità di regolazione del settore, "ove esistente", e comunicato alla Corte dei Conti nei modi dell'art. 5 TUSP, che contempli il riequilibrio finanziarioentro tre anni) si impernia pure l'eccezione al divieto di cui all'art. 14, comma 5, TUSP. Questa disposizione proibisce alle PP.AA. titolari di partecipazioni in società pubbliche - ma con la significativa esclusione delle società quotate e delle banche -, di effettuare conferimenti, erogare finanziamenti e rilasciare garanzie alle società partecipate che operino strutturalmente in perdita, salvo che la crisi non sia reversibile, ma in tempi abbastanza brevi e certi. Pertanto, "trasferimenti straordinari" per il salvataggio delle società a partecipazione pubblica potranno effettuarsi anche in tali casi (cioè perdite registratesi per tre esercizi consecutivi, anche se ripianate con l'utilizzazione di riserve disponibili), ma sotto l'egida di un piano di risanamento presumibilmente risolutivo. La disposizione proibitiva di cui all'art. 14, comma 5, primo periodo, del TUSP fa salve peraltro - almeno apparentemente - richiamando gli artt. 2447 e 2482-ter c.c., le ipotesi di riduzione obbligatoria per perdite che abbiano eroso il capitale oltre la soglia del minimo legale. Ma una tale eccezione, letteralmente intesa, annullerebbe la portata del divieto proprio nei casi più gravi e purtroppo frequenti di patrimonio netto contabile "negativo"; essa deve essere interpretata, pertanto, nel senso di ricollegare pur sempre la ricapitalizzazione della società a un serio piano di "riequilibrio". Del resto, la normativa da cui quella dettata dal nuovo TUSP deriva era interpretata, appunto, dalla giurisprudenza contabile come imposizione di un "divieto di soccorso finanziario" agli organismi in stato di dissesto e di un freno agli interventi volti a coprirne le perdite strutturali[10], in quanto aventi impatto negativo sui bilanci degli enti pubblici e idonei a comprometterne la sana gestione finanziaria.  Al di fuori di un siffatto piano, sono possibili soltanto degli interventi eccezionali, autorizzati con d.p.c.m. adottato su proposta del MEF "al fine di salvaguardare la continuità nella [...]


6. Fallimento e concordato della società a partecipazione pubblica

Il fallimento di una società "a controllo pubblico titolare di affidamenti diretti" (diversamente dal concordato preventivo o dall'accordo di ristrutturazione dei debiti) è sanzionato - sul piano pubblicistico - col divieto di costituire nuove società e di acquisire o mantenere partecipazioni in società che gestiscano gli stessi servizi (art. 14, comma 6, TUSP).  In altri termini, l'insuccesso della formula organizzativa societaria - "in house" o "a partecipazione mista pubblico-privata" - prescelta per l'organizzazione e la gestione di quelle attività, allorché sfoci in una dichiarazione d'insolvenza, impedisce all'ente o all'amministrazione di riproporsi nella stessa veste di imprenditore pubblico (o di partner pubblico) e lo obbliga a esternalizzare totalmente il servizio affidato, mantenendo un controllo di natura puramentecontrattualesulla sua esecuzione. Il fallimento della società a partecipazione pubblica non comporta però, in tutti i casi, la cessazione dell'attività. Essa potrà continuare in virtù dell'esercizio provvisorio disposto ai sensi dell'art. 104 legge fall.,in totoo limitatamente a singoli rami di essa, allo scopo di salvaguardare l'avviamento aziendale, sempre che non arrechi pregiudizio ai creditori. La prosecuzione dell'impresa con la gestione sostitutiva del curatore fallimentare è agevolata dalla tendenziale continuazione dei contratti pendenti (art. 104, comma 7) e consente, almeno in linea di principio e non diversamente che nell'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in stato d'insolvenza, di continuare a perseguire quelle finalità (i.e., produzione di un servizio d'interesse generale; progettazione e gestione di un'opera pubblica; organizzazione e gestione di un servizio pubblico; produzione di beni e servizi strumentali all'ente partecipante: cfr. art. 4 TUSP) per le quali la società è stata costituita o acquisita ed è partecipata o controllata dall'amministrazione pubblica socia. Da questo punto di vista, la disciplina del fallimento si pone, quindi, su una linea di continuità, e non di frattura, con quella delle soluzioni negoziali (anche preventive) della crisi d'impresa, giacché risulta idonea a tutelare il valore oggettivo dell'attività a prescindere dalle vicende soggettive del suo titolare. L'art. 110, comma 3, Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016) [...]


7. Fallimento, concordato e circolazione dell’azienda

Anche in caso di fallimento, la separazione delle sorti dell'impresa da quelle dell'imprenditore potrà realizzarsi mediante l'affitto prima e poi la cessione o il conferimento in unanewco.dell'azienda (artt. 104-bis e 105 legge fall.) cui l'esercizio provvisorio prelude, in vista di una liquidazione ottimale delle attività. Ovvero in virtù di un concordato fallimentarecon assunzioneoriorganizzativo(accompagnato, cioè, da una operazione di aumento di capitale o di fusione, scissione o scorporo), che preveda il trasferimento o l'assegnazione dell'azienda o del ramo corrispondente al settore d'attività da continuare - con la dotazione della commessa pubblica che ne rappresenta di norma il nucleo più importante - a un'entità nuova e diversa, sul piano soggettivo o dell'assetto proprietario. Tuttavia, queste vicende circolatorie e modificative dell'impresa societaria, regolate dal diritto comune delle procedure concorsuali, devono essere coordinate con la disciplina dei contratti pubblici, giacché, a prescindere dal rilievo dello stato d'insolvenza, esse possono determinare ilmutamento soggettivodel contraente.  Al riguardo, il nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 50/2016) stabilisce agli artt. 106 e 175 che i contratti di appalto e di concessione possono esseremodificati, senza una nuova procedura di affidamento, se all'aggiudicatario o al concessionario iniziale succede "… anche a seguito di ristrutturazioni societarie, comprese rilevazioni (sic!), fusioni, scissioni, acquisizione o insolvenza, un altro operatore economico che soddisfi i criteri di selezione qualitativa stabiliti inizialmente, purché ciò non implichi altre modifiche sostanziali al contratto e non sia finalizzato a eludere l'applicazione del presente Codice". E' fatta salva, tuttavia, per le concessioni, l'eventuale necessaria autorizzazione del concedente da rilasciarsi in base alla regolamentazione di settore. Ciò consente di conciliare le regole pubblicistiche con le discipline del fallimento e del concordato, che sono volte a massimizzare il soddisfacimento dei creditori, proprio nei casi in cui il valore economico della società a partecipazione pubblica dipende dal rapporto contrattuale con la P.A. costituente, partecipante o controllante.


8. Il fallimento della società in house

Se il fallimento colpisce una societàin house, l'esercizio provvisorio potrebbe durare in astratto - e sempre che la prosecuzione dell'impresa non danneggi i creditori e non sia interrotta dagli organi della procedura - fino alla scadenza del contratto pubblico ricevuto in "affidamento diretto", allo scopo di salvaguardare la continuità dell'attività ad essa affidata nell'interesse generale e di evitarne un'interruzione pregiudizievole per la collettività. Nel caso della societàin house, beninteso, potrebbe dubitarsi della compatibilità della "gestione sostitutiva" del curatore con l'esercizio dei poteri di "controllo analogo" dell'ente che hanno giustificato, all'origine, l'affidamento diretto; ma devono essere considerate anche la finalità inderogabile dell'amministrazione fallimentare e la diversa natura della vigilanza degli organi della procedura sull'esercizio provvisorio rispetto al controllo tecnico-economico del committente. Beninteso, l'ente pubblico controllante e affidante potrà sempre, ricorrendone le condizioni, attivare i rimedi negoziali previsti per la risoluzione del contratto di appalto o di concessione, rescindere il rapporto anticipatamente e procedere al riaffidamento sul mercato: scelta che, peraltro, sembrerebbe necessitata in virtù dell'art. 14, comma 6, TUSP. In ogni caso, la titolarità o la gestione del contratto pubblico non potrebbero transitare, in forza di una decisione degli organi del fallimento, a un imprenditore privato selezionato, nel corso e con le regole di esso, comeaffittuariooacquirentedell'azienda oassuntoredel concordato fallimentare onuovo socio di controllodella società fallita (le cui partecipazioni dovrebbero cedersi a seguito del conferimento dell'azienda ai sensi dell'art. 105, comma 8, legge fall.), senza osservare le procedure competitive di evidenza pubblica stabilite dal Codice dei contratti pubblici per l'affidamento del servizio o dell'appalto, se non nei limiti e con gli accorgimenti di cui ai sopra cennati artt. 106 e 175. L'art. 110 del Codice prevede poi - per gli appalti - in caso di risoluzione o di scioglimento del contratto conseguente a fallimento, concordato, liquidazione coatta ecc. l'interpello degli altri partecipanti alla gara finalizzato all'affidamento alle stesse condizioni del completamento dei lavori. Nello stesso senso depone indirettamente anche l'art. 16, comma 5, TUSP, là dove dispone che, [...]


9. Il fallimento della società mista

Se il fallimento colpisce una società a partecipazione mista pubblico-privata ovvero il socio privato, selezionato in considerazione della sua capacità tecnica ed economico-finanziaria (oltre che, ovviamente, dell'offerta economica formulata), la situazione si prospetta in maniera alquanto più articolata. Nel primo caso (insolvenza della società mista), che potrebbe originare facilmente, peraltro, anche dalla crisi finanziaria o dal dissesto dell'ente pubblico socio, la situazione non sembra differire da quella della societàin house(esercizio provvisorio del curatore, ove possibile, ma svolto sempre avvalendosi delle risorse, delle competenze e dell'organizzazione industriale del partner privato; scioglimento automatico o risoluzione in danno del contratto pubblico; riaffidamento esterno dell'appalto o del servizio ecc.). Nel secondo caso (insolvenza del socio privato),  la crisi, se non gestita e risolta con idonee soluzioni concordatarie "in continuità", non potrà che ripercuotersi su quel "partenariato pubblico-privato istituzionale" in cui la stessa società mista consiste; di conseguenza dovranno attivarsi, contemporaneamente e sinergicamente, tutti i rimedi contrattuali, societari e parasociali previsti per la cessazione anticipata della partnership pubblico-privata (da un verso, la risoluzione del contratto d'appalto o di servizio; dall'altro, lo scioglimento della società mista, il riscatto delle azioni o delle quote del socio privato, la cessione a un nuovo partner della partecipazione ecc., disapplicando eventuali clausole limitative della sua circolazione)[11]. L'obiettivo è quello di interrompere la "coabitazione societaria" dell'ente pubblico con l'imprenditore privato, che trae origine dal programma negoziale (in sostanza, una "incorporated joint-venture") mirante a controllare "dall'interno" l'esecuzione della commessa pubblica affidata alla società mista, grazieancheall'impiego dei tipici rimedi endosocietari.


10. La disciplina delle azioni di responsabilità: il caso della società in house

Resta da affrontare il tema delle azioni di responsabilità, che - com'è noto - rappresenta un capitolo importante della disciplina e della prassi delle procedure concorsuali. Su questa materia, l'art. 12 del TUSP, peraltro rubricato in singolare contraddizione con il suo contenuto "Responsabilità degli enti partecipanti [su cui in realtà mancano disposizioni di sorta] e dei componenti degli organi delle società partecipate [sebbene si occupi principalmente degli amministratori e non dica quasi nulla dei sindaci]", non dispone in modo del tutto chiaro e razionale, perché risulta evidentemente da diverse giustapposizioni e manipolazioni del testo originario[12]. Esso solleva, perciò, molteplici dubbi interpretativi, che con elevata probabilità finiranno per acutizzarsi nei casi d'insolvenza della società e di (asserita) responsabilità di amministratori e sindaci per la causazione e l'aggravamento del dissesto della società pubblica. La disposizione in oggetto, da un verso, ribadisce l'applicabilità, in linea di principio, a tutte le società partecipate da enti pubblici del regime ordinario delle azioni civili di responsabilità; dall'altro, istituisce - o meglio riproduce - per le societàin house, in aderenza al controverso indirizzo della Corte di Cassazione, un regime affatto speciale, allorché fa salva la giurisdizione della Corte dei Conti per il danno erariale causato dai loro amministratori e dipendenti (art. 12, comma 1, secondo periodo), che sono considerati alla stregua di "agenti pubblici" legati da un diretto "rapporto di servizio" alla P.A. committente. Orbene, questa scelta normativa - seppure possa ritenersi giustificabile alla luce di un'esperienza passata di lassismo e di diffusa impunità - lascia irrisolti i gravi problemi ermeneutici e applicativi segnalati in dottrina già all'indomani delrevirementdi Cass., S.U., 25 novembre 2013, n. 26283, a causa della mancata previsione di adeguati meccanismi di coordinamento di ordine processuale e sostanziale. Invero, la responsabilità erariale degli amministratori permala gestio, in quanto volta a ristorare il danno subìto dall'ente socio, non potrebbe assorbire, in caso d'incapienza del patrimonio sociale, la responsabilità verso i creditoriexart. 2394 c.c., i cui diritti meritano di certo una tutela non inferiore a quella dell'ente stesso. [...]


11. Le azioni di responsabilità in caso di fallimento della società in house

Da questo punto di vista, la situazione non cambia, ed anzi si complica, nel caso della dichiarazione di fallimento, che assegna all'organo della procedura concorsuale la legittimazione esclusiva a esercitare l'azione di responsabilità "a doppio titolo", per la società  e per i creditori sociali (artt. 2394-bis c.c. e 146 legge fall.). Difatti, la responsabilità contabile degli amministratori (e anche dei sindaci) della società in house- non potendo costoro ragionevolmente rimanere esposti a una duplice pretesa risarcitoria per gli stessi fatti dannosi con l'esercizio contemporaneo delle due azioni dinanzi a due diversi giudici[13] - rischia di essere paralizzante per l'attuazione della tutela dei creditori sociali, con conseguenze inaccettabili dal punto di vista costituzionale. Anche i soci privati minoritari eventualmente presenti nella compagine della società a partecipazione pubblica, oltretutto, hanno ragione di temere la devoluzione della tutela giurisdizionale alla Corte dei Conti in relazione a quegli stessi "danni riflessi" da loro subiti, al pari del socio pubblico. In effetti, soltanto una sentenza di condanna che disponesse in esito a un unico giudizio la reintegrazione del patrimonio sociale - non importa se "separato" o "autonomo" o anche "soggettivizzato" - potrebbe ristorare realmente i plurimi interessi lesi, per lo più indirettamente, dalla condotta antigiuridica degli organi sociali. Fuori da questo modello, i creditori non potrebbero aspirare ad altro che a una tutela individuale di tipo "aquiliano" dei loro diritti soggettivi, magari fondata sull'art. 28 Cost., che prevede la responsabilità dei funzionari pubblici estesa in solido all'ente pubblico nell'ambito della cui organizzazione essi hanno operato per gli atti compiuti dai primi in violazione dei medesimi; ma si tratta, chiaramente, di una visuale regressiva e del tutto insoddisfacente dal punto di vista giuscommercialistico. Il nuovo Codice di giustizia contabile (d.lgs. 26 agosto 2016, n. 174), con una norma che riecheggia l'art. 7, comma 7, del Codice del processo amministrativo, enuncia all'art. 3 il "principio di concentrazione" (per cui "Nell'ambito della giurisdizione contabile, il principio di effettività [di cui all'art. 2] è realizzato attraverso la concentrazione davanti al giudice contabile diogni forma di tutela degli interessi pubblici e dei diritti soggettivi coinvolti, a garanzia della [...]


12. L’azione di responsabilità da eterodirezione abusiva

Resta invece sicuramente ancorata alla giurisdizione ordinaria l'azione individuale o del curatore o del commissarioexart. 2497, comma 4, c.c., volta a far valere la responsabilità (risarcitoria) da scorretta "direzione unitaria" dell'ente pubblico, verso i creditori della controllata insolvente. La subordinazione gerarchica degli amministratori della societàin houseagli organi all'ente pubblico non è, del resto, inconciliabile con l'alterità della società controllata, né postula necessariamente la sua degradazione a mera forma di separazione patrimoniale, ma richiede soltanto una particolaredisciplina organizzativa, su base statutaria, del rapporto di eterodirezione. Tale disciplina dovrà rispondere ai dettami dell'art. 16 del TUSP e alla nuova definizione del "controllo analogo" di cui all'art. 2, comma 1, lett.c) come (semplice) "influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata", in termini quindi perfettamente coerenti al "ruolo" dell'ente capogruppo. D'altronde, l'organizzazione e la gestione in forma societaria di un determinato servizio o ramo di attività da parte dell'ente implica, pur sempre, la possibilità - per la verità non soltanto teorica - di una "disobbedienza" da parte degli amministratori a direttive illegittime o a intrusioni inappropriate degli organi pubblici, mentre esclude al contempo la possibilità di un intervento sostitutivo dell'ente nella gestione aziendale e societaria. Gli amministratori (e il direttore generale) della società conservano, infatti, una pur limitata autonomia "esecutiva", che vale anche come presidio insopprimibile dei loro doveri di protezione verso i creditori sociali e delle loro indeclinabili responsabilità: presidio che la visuale funzionalistica della società in house non potrebbe comunque cancellare.


13. Gli accantonamenti a coperture delle perdite delle società partecipate

Altra e distinta prospettiva di tutela potrebbe essere,de jure condendo, quella della responsabilitàpatrimonialedell'ente controllante pubblico, in quanto tale, fondata oggettivamente sulla sua posizione di dominio societario e commisurata alle perdite da "coprire" per tenere indenni i creditori sociali. Il sistema normativo mostra, in effetti, dei segnali di evoluzione nel senso di una amministrazione più "responsabile" delle società controllate e partecipate, giacché impone, sia pure gradualmente e parzialmente (con speciali regimi agevolati per quelle esercenti servizi pubblici "a rete" a rilevanza economica), accantonamenti in appositi fondi vincolati a copertura delle perdite delle società partecipate (art. 21 TUSP); gli importi accantonati sono resi disponibili in misura proporzionale alla quota di partecipazione nel caso di ripianamento della perdita (ma anche di dismissione o di messa in liquidazione)[16]. Tuttavia, siamo ben lontani da un risultato di protezione soddisfacente per i creditori sociali, considerando che la legge, proprio nei casi più gravi - come si è già visto nel commentare l'art. 14, comma 5, TUSP (supra, § 6) - e nel rispetto dei principi di efficienza e concorrenza nel mercato, vieta alle pubbliche amministrazioni i trasferimenti straordinari finalizzati al mero ripianamento delle perdite, nonché la concessione di finanziamenti e di garanzie a favore delle società partecipate che abbiano registrato risultati negativi per tre esercizi consecutivi. La legge circonda tali interventi, proprio con riguardo al risanamento dell'esposizione debitoria, di particolari cautele e limitazioni, che si riverberano, poi, inevitabilmente in danno dei creditori stessi. Costoro rischiano di risultare infatti - alla resa dei conti - l'anello più debole della catena, ed è questo probabilmente l'aspetto più oscuro e controverso della disciplina del TUSP, su cui, anche per ottemperanza al precetto di chiarezza del regime della responsabilità contenuto nella delega, occorrerebbe un nuovo intervento legislativo.


NOTE