Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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La SPAC (“Special Purpose Acquisition Company”), un´altra complessa creatura del capitalismo finanziario globale (di Giovanni Romano)


Il lavoro si propone di studiare fenomenologia e rilevanza giuridica della Special Purpose Acquisition Company (“SPAC”). A tal fine, prenderemo a principale riferimento il modello affermatosi sui mercati statunitensi e da qui poi circolato verso le altre piazze borsistiche internazionali, analizzandone la struttura e logica di funzionamento nel segno dello “speciale scopo” che lo contraddistingue: raccogliere capitali in una IPO al fine di acquisire successivamente un’impresa di tipo chiuso da quotare in borsa. Procederemo quindi a dar conto delle reazioni che, alla luce dell’esperienza comparata, la recente diffusione della SPAC ha innescato tanto sul piano della riflessione scientifica, quanto, e a seguire, su quello del policy-making e della regolamentazione, alimentando, principalmente a cagione del suo essere struttura organizzativa endemicamente conflittuale, un dibattito assai vibrante a livello internazionale.

L’obiettivo è duplice. Innanzitutto – e nell’immediato –, informare il lettore attorno a questa ulteriore epifania del mai domo processo creativo tipico del capitalismo finanziario. Secondariamente – e in più lunga prospettiva –, preparare il terreno per un’ulteriore investigazione comparatistica più specificamente calibrata attorno ai conflitti d’interesse e ai doveri fiduciari degli amministratori delle SPAC. A questo scopo, dunque, lo scritto si propone di indagare la complessa logica transazionale alla base del rapporto tra le varie categorie di soggetti partecipanti a questi peculiari veicoli d’investimento alla luce delle concrete dinamiche evolutive propiziate dalle più recenti prassi di mercato.

Parole chiave: Special Purpose Acquisition Company (SPAC); IPO; fusioni e acquisizioni; innovazione finanziaria; conflitti d’interesse e doveri fiduciari; comparazione giuridica.

SPAC (“Special Purpose Acquisition Company”): another complex creature of global financial capitalism

The article is aimed at studying the phenomenology and legal significance of the Special Purpose Acquisition Company (“SPAC”). To this end, we will primarily refer to the model that firstly emerged on the US markets and then circulated to several other international stock exchanges, analysing its structure and operating logic in the light of the “special purpose” that distinguishes it: to raise capital through an IPO and then search for a private business to acquire and bring public within a short time frame. We will then proceed to examine the reactions that, in the light of comparative experience, the recent spread of the SPAC model, precisely because of its endemically conflictual structure, has triggered both in terms of scientific debate, and policymaking and regulatory initiatives at the international level.

The objective is twofold. Firstly – and immediately – to inform the reader about this further epiphany in the creative process of financial capitalism. Secondly – and in a longer perspective – to prepare the ground for a further (and more specifically focused) comparative investigation on conflicts of interest and fiduciary duties of SPAC directors. To this end, the article sets out to investigate the complex transactional logic underlying the relationship between the various groups of participants in these peculiar investment vehicles, considering the evolutionary dynamics fostered by the most recent market practices.

Keywords: Special Purpose Acquisition Company (SPAC); IPO; M&A; financial innovation; conflicts of interest and fiduciary duties; comparative law.

Sommario/Summary:

1. Introduzione. - 2. La SPAC tra mito e realtà. - 2.2. Definizione e funzione economica della SPAC. - 3. La struttura finanziaria del veicolo. - 3.2. I warrant di sottoscrizione azionaria. - 3.3. La clausola di trust/escrow account. - 3.4. SPAC roadshow e investimenti “PIPE”. - 3.5. La remunerazione dei gestori e degli intermediari collocatori. - 4. La SPAC davanti al diritto: notazioni preliminari d’ordine generale. - 5. Il “vero volto” della SPAC nel recente dibattito giuseconomico. - 5.2. Esigenza di una riconsiderazione della funzione socioeconomica della SPAC? - 5.3. Implicazioni d’ordine pubblico economico. - 5.4. Tesi di segno contrario e possibili sviluppi nelle prassi di mercato. - 6. Uno sguardo comparato alle recenti iniziative e proposte di riforma delle SPAC. - 7. Il possibile ruolo del diritto societario e, in particolare, dei doveri fiduciari degli amministratori: cenni e rinvio. - NOTE


1. Introduzione.

Le Special Purpose Acquisition Company (“SPAC”) sono società per azioni prive di pregressa operatività in quanto costituite e successivamente quotate in borsa su iniziativa di un gruppo di promotori all’unico fine di raccogliere tra il pubblico, attraverso apposita IPO, i capitali necessari per addivenire, entro un termine prestabilito (solitamente 18-36 mesi), alla propria integrazione aziendale (c.d. business combination; “operazione rilevante” nella terminologia invalsa da noi) con un’impresa operativa di tipo chiuso, di modo che l’en­tità societaria risultante possa alla fine giungere sul mercato dei capitali, ritrovandosi essa stessa quotata [1]. Nate al principio degli anni ’90 negli Stati Uniti [2], da tempo ormai presenti anche in Europa [3] e approdate in Italia da più di un decennio [4], negli ultimi anni, la diffusione delle SPAC sulle piazze finanziarie internazionali è stata notevole, tanto per rapidità, quanto per volumi di raccolta totalizzati [5]. Si è trattato di una crescita sostenuta, tra le altre cose, da una specifica narrativa promozionale tendente a raffigurare la SPAC alla stregua di un innovativo procedimento d’investimento e quotazione capace d’offrire, ad un tempo, ottime opportunità d’impiego e rimarchevoli protezioni contro il rischio di perdita per gli investitori; un percorso di accesso al mercato di borsa più rapido, sicuro ed economico alle imprese desiderose di finanziare il proprio potenziale di crescita; significative remunerazioni agli sponsor dell’iniziativa per il caso in cui costoro riescano, nel tempo concesso, a svolgere efficientemente la propria funzione lato sensu intermediaria, mettendo a servizio degli investitori e delle imprese target valide capacità di scouting prima e di negoziazione poi [6]. In effetti, uno degli aspetti che maggiormente colpisce il cultore di diritto commerciale italiano alle prese con la SPAC, è proprio la combinazione di elementi rivolti alla protezione del pubblico degli investitori in questa peculiare specie di veicolo d’investimento “one-shot”, come essa, talvolta, suole anche definirsi [7]. In particolare, emerge come l’insieme delle salvaguardie avverso i rischi d’una operazione d’investimento inizialmente del tutto incerta, e soprattutto ignota [8], [...]


2. La SPAC tra mito e realtà.

2.1. La controversa ascesa della SPAC. Probabilmente non si sbaglierebbe di molto affermando che le SPAC abbiano rappresentato il fenomeno finanziario e giuridico più prossimo ad incarnare lo Zeitgeist del mercato dei capitali nell’era del Covid-19 [30]. Negli Stati Uniti d’America, in particolare, il 2020 è stato definito “The Year of the SPAC” [31]. Un anno per l’appunto tristemente piagato dallo scoppio di una crisi sanitaria globale che, proiettando notevoli incertezze sul futuro dell’economia, ha ulteriormente raffreddato il mercato delle IPO “tradizionali” [32], mentre non è riuscita a scalfire quello delle SPAC, il quale, anzi, è letteralmente esploso, facendo registrare, quanto al numero complessivo di nuove quotazioni della specie, un incremento del 320% rispetto all’anno precedente [33], giungendo a rappresentare più del 70% dell’intero mercato [34]. Si è trattato di un’ascesa talmente imponente che, ad un certo punto, si è addirittura detto che vi fossero più americani con azioni di una SPAC in portafoglio di quanti avessero contratto il Covid [35]; e che per cogliere appieno l’euforia sviluppatasi attorno a questo nuovo prodotto d’investimento, occorresse immaginare una sorta d’incontro tra la vicenda del titolo GameStop, che, come noto, ha visto il diretto coinvolgimento dell’agguerrita comunità on-line dei c.d. Redditor, intervenuta per sostenere il corso del titolo contro le scommesse ribassiste degli hedge fund [36], e The Wolf of Wall Street [37], il celebre film di Martin Scorsese narrante l’ascesa e la successiva rovina di Jordan Belfort, spregiudicato broker newyorkese che, sul finire degli anni ’80, costruì la propria enorme, ma precaria, fortuna su di una catena di frodi perpetrate attraverso tecniche di “pump-and-dump” sul mercato delle c.d. penny stock, lo stesso in cui erano attive le progenitrici della contemporanea SPAC, ossia le c.d. “blank check companies” [38]. Quanto all’Europa, ancorché con numeri in assoluto non paragonabili, il trend è risultato comunque simile, tanto che, seppur con un anno di ritardo rispetto all’esperienza d’oltreoceano, anche il Vecchio Continente ha vissuto il proprio “anno della SPAC” [39]. La recente, [...]


2.2. Definizione e funzione economica della SPAC.

Come già sappiamo, la SPAC si presenta alla stregua di una quotata cash-shell company “di scopo” esibente, quale unico rilevante asset iniziale, un business plan finalizzato all’individuazione, entro un termine alquanto ristretto [49], e sotto la guida di un gruppo di sponsor-gestori, di un’impresa di tipo chiuso da acquisire o, più spesso, con cui fondersi [50]. A questo esito, tuttavia, potrà pervenirsi solo a condizione che consti l’ap­provazione da parte dell’assemblea dei soci della SPAC. Medio tempore, in forza d’apposita pattuizione, i danari raccolti in fase di quotazione rimarranno segregati in un conto vincolato (trust/escrow account) e, per conseguenza, risulteranno indisponibili agli sponsor-gestori della stessa società veicolo. Una volta che l’impresa target sia stata individuata, i soci-investitori avranno perciò modo d’esercitare le proprie prerogative di voice e i dissenzienti, laddove minoritari, potranno altresì avvalersi di un parimenti riconosciuto diritto di exit, con garanzia di recupero pressoché integrale di quanto inizialmente conferito e nel frattempo separatamente custodito [51]. I capitali residui, eventualmente integrati aliunde laddove l’entità dei rimborsi lo richieda rispetto al prezzo da pagarsi per la target [52], verranno svincolati ad opera del fiduciario che tiene il conto affinché, a questo punto, i gestori possano per l’appunto procedere al compimento dell’operazione aggregativa gradita agli investitori. Qualora, viceversa, l’operazione rilevante non fosse approvata o comunque perfezionata entro il termine convenuto, la SPAC sarebbe sciolta e posta in liquidazione [53]. Dal punto di vista strutturale, dunque, può subito rilevarsi come, mentre la partecipazione finanziaria alla gestione in monte propria del fondo di private equity pone, tipicamente, l’investitore in posizione passiva rispetto all’auto­noma conduzione della medesima ad opera del gestore professionale [54], al contrario il socio-investitore della SPAC, nel modello transnazionalmente invalso, si vedrà riconosciuto il decisivo potere d’influenzare la scelta a favore o contro la (tendenzialmente) unica operazione rilevante ai cui rischi esporre, eventualmente, i propri capitali, condizionando direttamente, tramite il voto in assemblea, o [...]


3. La struttura finanziaria del veicolo.

3.1. Le azioni ordinarie nel ciclo d’investimento della SPAC. Onde le sia possibile raggiungere lo scopo che si prefigge, la SPAC, come ormai appurato, si struttura quale società azionaria quotata di modo – si dice – da offrire ad un pubblico più vasto opportunità d’investimento che rimarrebbero altrimenti accessibili alle sole categorie di investitori sofisticati normalmente ammessi ad operare nel mercato del private equity [67]. E siccome le azioni di una SPAC sono negoziate su di un mercato regolamentato (o “semiregolamentato” [68], altra rilevante conseguenza è che, diversamente dal capitale impegnato in un fondo di private equity, l’investimento è qui reso, almeno teoricamente, continuativamente liquido [69]. Dopo l’iniziale dotazione di capitale a fini costitutivi ed in vista del sostentamento dei costi dell’IPO e poi della due diligence che dovrà compiersi sul­l’impresa target, esborsi, tutti questi, a carico dell’originario gruppo di soci-promotori [70], la SPAC raccoglie, a mezzo di un’offerta tra il pubblico dei propri titoli, i capitali da destinare, entro lo stretto orizzonte temporale prestabilito e previo consenso degli stessi investitori, all’investimento nella profit-driven firm da ricercare. Dal punto di vista della relativa struttura finanziaria, in effetti, una caratteristica di primaria rilevanza della SPAC è la distinzione che, almeno concettualmente, essa introduce nella funzione rispettivamente assolta dai conferimenti dei soci-promotori e da quelli dei soci-investitori [71]. Infatti, mentre i primi fungeranno, appunto, da c.d. working capital della SPAC [72], i secondi, come più volte parimenti evidenziato, rimarranno di converso indisponibili, non potendo essere impiegati per lo svolgimento di nessuna diversa “attività sociale”, e per vero neppure nel contesto della stessa “gestione ordinaria” del veicolo, sinché l’assemblea non si sarà espressa circa la loro “trasformazione” da segregata cassa di liquidità, medio tempore custodita dal fiduciario che tiene l’apposito trust fund o escrow account, ad effettivo “capitale d’investimento” da impiegarsi per dar finalmente sfogo alla precipua inclinazione teleologica della SPAC [73]. Annunciata l’operazione [...]


3.2. I warrant di sottoscrizione azionaria.

Procedendo oltre, v’è poi da dire che, a tutto questo, la struttura finanziaria social-tipica di una SPAC aggiunge altri elementi di complessità, caratterizzandosi, innanzitutto, per la comune ricorrenza di un ulteriore – e assai significativo – profilo di “opzionalità” che qualifica, per così dire attraversandolo nella sua interezza, il sottostante procedimento d’investimento. In quelle che vengono comunemente denominate “unit”, infatti, insieme ad azioni ordinarie dotate del sostanziale carattere della redimibilità [90], oggetto dell’offerta al pubblico sono anche dei warrant azionari di sottoscrizione, ossia strumenti derivati del tipo opzione (in questo caso) call [91], assegnati gratuitamente ai sottoscrittori delle azioni e conferenti la facoltà di sottoscrivere ulteriori azioni (o frazioni di azioni [92]) ad un prezzo predefinito, o comunque collegato a criteri prestabiliti, condizionatamente al compimento dell’opera­zione rilevante ed entro un certo lasso di tempo [93]. Qualora, viceversa, il termine di durata della SPAC spiri senza che alcuna business combination sia stata realizzata, e si giunga perciò alla liquidazione della società, in quella sede il valore dei warrant si azzera [94]. Per comune regola convenzionale, dopo la IPO della SPAC, i warrant sono “staccabili” dalle azioni ricomprese nelle unit sottoscritte, e dunque suscettibili di autonoma circolazione [95], con la conseguenza, allora, che l’in­vestitore potrà di fatto sdoppiare il proprio “portafoglio SPAC” su due strumenti che hanno qualità e profili di rischio/rendimento differenti [96]. Egli, infatti, ben potrebbe decidere, p. es., di votare contro la proposta acquisizione, così intitolandosi al recesso sulle azioni (oppure cederle sul mercato secondario qualora il relativo prezzo si portasse al di sopra del redemption value), e al contempo tuttavia conservare (o vendere separatamente) i warrant, e per questa via giungere comunque a partecipare, gratuitamente e pro-rata, al­l’eventuale upside dell’a­zione di compendio [97]. Di conseguenza, v’è – o meglio, vi può essere – un successivo decoupling “sostanziale” della volontà negoziale (in ragione dei diversi motivi sottostanti alle scelte) [...]


3.3. La clausola di trust/escrow account.

Come che sia, in ragione di quanto sopra osservato circa il relativo attributo di autonoma negoziabilità, la dottrina giuridica ha constatato come i warrant delle SPAC assolvano, de facto, una funzione ulteriore rispetto a quella loro assegnata nelle società “tradizionali”, consentendo – si noti – una remunerazione, almeno in potenza, anche di chi, non condividendo l’operazione rilevante, receda, e garantendo poi un’appropriazione asimmetrica (più che proporzionale) della ricchezza creata dopo la conclusione dell’operazione rilevante [108]. Nella SPAC, l’elemento della redemption, e cioè il diritto di ottenere il rimborso delle azioni, rappresenta, in effetti, lo strumento principe di tutela degli investitori rispetto all’“assegno in bianco” da essi sottoscritto [109]. Questa caratteristica di agevole redimibilità dell’investimento, che di per sé evidentemente ha – e non potrebbe non avere – delle immediate e profonde implicazioni sulla struttura finanziaria della SPAC, a sua volta introduce due ulteriori elementi molto rilevanti. Il primo è rappresentato dall’intervento, nel procedimento che dà corpo alla programmata connessione tra raccolta del capitale e sua finalistica destinazione al mercato delle acquisizioni societarie, del trust/escrow account in cui i capitali raccolti tra il pubblico saranno custoditi in attesa che l’ope­razione rilevante sia sottoposta all’approvazione dei soci, e che poi appunto avrà anche la funzione di finanziare i rimborsi in favore degli azionisti che, recedendo, decidessero di non rendere definitiva la propria inziale scelta d’investimento [110]. A questo elemento, caratteristico della struttura della SPAC, abbiamo accennato più volte. Ciò che ora occorre aggiungere è che, nella logica di detta struttura, l’interposizione di tale istituto, di derivazione dalla vasta area della “fiducia” [111], rappresenta, in un rapporto appunto di mezzo a fine, il presidio rivolto a conferire tangibile consistenza alla distanza funzionale che corre – e che il modello pretende che corra – tra la “sospesa” dimensione della SPAC e quella, invece “reale e concreta”, dell’impresa, permettendo che i danari conferiti dagli investitori nella IPO non vadano confusi col [...]


3.4. SPAC roadshow e investimenti “PIPE”.

Procedendo oltre, la redimibilità del capitale apportato nella IPO, come più sopra osservato, lascia ancora emergere un’ulteriore, significativa esigenza. Posto che la vocazione teleologica ultima della SPAC è pur sempre quella di “farsi impresa”, combinando la propria cassa di liquidità con l’at­tività economica condotta dalla target, alla stessa società veicolo s’imporrà la ricerca d’ulteriori mezzi di finanziamento che possano eventualmente compensare i deflussi monetari che essa abbia subito in conseguenza dei recessi da parte degli investitori inziali, sì da poter comunque soddisfare le condizioni convenute per la finalizzazione della business combination con la target [119]. Il che può talvolta avvenire con un’ulteriore iniezione di capitale da parte del gruppo dei promotori oppure dei principali azionisti della stessa società bersaglio [120]. Oltre a ciò, la SPAC e il management della target comunemente si adoperano per sponsorizzare attivamente la propria unione in quelli che, con terminologia evidentemente mutuata dalla prassi delle IPO convenzionali, vengono comunemente chiamati “SPAC roadshow” [121]. Il primo obiettivo è quello di consolidare l’interesse da parte del mercato. In effetti, rispetto alle alternative soluzioni di exit (alienazione vs rimborso) offerte agli investitori, i gestori della SPAC troveranno naturalmente preferibile che questi eventualmente cedano le proprie partecipazioni sul mercato, così che le casse del veicolo non vengano oltremisura intaccate. Di conseguenza, gli sponsor-gestori dedicano notevoli sforzi per alimentare l’interesse dei potenziali acquirenti, sì da sviluppare un più attivo mercato secondario delle azioni della SPAC [122]. Il secondo obiettivo del roadshow (o in alcuni casi di un roadshow separato) è quello di attrarre i c.d. investimenti “PIPE” (letteralmente: private investments in public equity), ossia collocamenti riservati di ulteriori quantitativi di azioni della SPAC [123], effettuati per lo più in concomitanza della fusione in favore di investitori istituzionali [124]. Tale ulteriore processo di raccolta di capitali viene peraltro comunemente percepito alla stregua d’una strategia che, segnalando la presenza di un significativo elemento di convalida [...]


3.5. La remunerazione dei gestori e degli intermediari collocatori.

Altra rilevantissima caratteristica della SPAC concerne le peculiari modalità con cui essa remunera il lavoro profuso e le risorse apportate dagli sponsor-gestori. Come si è detto, in fase costitutiva, i promotori conferiscono risorse finanziarie destinate alla formazione del “capitale di funzionamento” del veicolo, esponendosi quindi al rischio di relativa perdita qualora non si giunga al­l’approvazione della business combination [126]. Sollecitando, poi, il pubblico degli investitori ad apportare il “capitale da investimento”, i gestori s’impe­gnano a mettere a servizio di costoro la propria esperienza e capacità professionale nella ricerca di un’impresa operativa nella cui attività mettere definitivamente a frutto i capitali così raccolti. In cambio di tutto ciò, essi ricevono, in un collocamento privato che si svolge prima dell’apertura del capitale della SPAC al pubblico e a condizioni economiche di forte favore, strumenti finanziari rappresentati da azioni di categoria speciale (founder share) le quali, al perfezionarsi – e solo al perfezionarsi – della business combination, si convertiranno in azioni ordinarie. Il modello ricorrente nell’esperienza statunitense prevede che lo sponsor equity corrisponda al 20% del capitale post-IPO della SPAC e che esso venga acquisito per un corrispettivo nominale (solitamente oscillante tra 1,5 e 4,7 centesimi di dollaro per azione), con un notevole sconto, quindi, rispetto ai 10 dollari per unit solitamente corrisposti dai soci-investitori [127]. Viceversa, nel caso in cui, nel periodo di tempo che stringentemente ne limita il mandato, i gestori non riuscissero a trovare un’impresa da acquisire, ovvero non riuscissero a convincere gli investitori circa la bontà dell’affare loro proposto, e la SPAC perciò giungesse a scioglimento, le azioni speciali in loro possesso rimarrebbero escluse da ogni residua pretesa di rimborso [128]. Inoltre, prima dell’ac­quisizione, le azioni degli sponsor sono prive di diritti di voto oppure sono vincolate a votare in accordo con la maggioranza delle azioni dei soci-inve­stitori [129], così da realizzare il principio secondo cui solo gli investitori decidono sull’approvazione dell’operazione rilevante [130]. È questo il c.d. sponsor promote, appunto un compendio di strumenti [...]


4. La SPAC davanti al diritto: notazioni preliminari d’ordine generale.

Per quanto sin qui osservato, non è dubbio, in termini squisitamente obiettivi, che la SPAC alteri – e anzi, per le ragioni parimenti chiarite, propriamente intenda scardinare – l’ordinario funzionamento delle regole in fatto di IPO [143], realizzando quello che a molti interpreti appare, in buona sostanza, un arbitraggio regolamentare che, svuotando la sostanza delle norme di mercato mobiliare appunto concernenti la delicata fase di quotazione iniziale di un’im­presa [144], ad esse mira a sostituire, con non banali conseguenze, la disciplina propria dell’ope­razione straordinaria impiegata per giungere alla perseguita combinazione aziendale [145]. Così che, dando avvio alla fase di “de-SPAC”, sarà proprio tale operazione a costituire, per gli investitori che l’abbiano approvata, l’equivalente funzionale di una IPO dell’impresa target appunto condotta in borsa a mezzo della combinazione con la shell-company precedentemente impiegata per la raccolta della dote finanziaria necessaria per realizzare tale matrimonio [146]. Sicché, nonostante la sua recente ascesa, più che un battesimo, abbia invero rappresentato l’improvvisa resurrezione d’un modello che, noto sin dal principio degli anni ’90, dopo la crisi finanziaria globale del 2008 pareva destinato all’oblio [147], ben si comprende come, di fronte all’enorme rapidità con cui le azioni delle SPAC si sono diffuse tra il pubblico dei risparmiatori, l’attenzione verso il fenomeno si sia accresciuta come mai prima, stimolando un acceso dibattito che, dopo l’interesse degli studiosi, ha richiamato l’attenzione di policy-makers, legislatori e regolatori di mercato [148]. Sino ad ora, infatti, la SPAC è per lo più riuscita a conservare, anche per ciò che concerne il diritto oggettivo che la interessa, la sua natura di fenomeno di origine squisitamente borsistica, ciò nel senso che il processo di standardizzazione internazionale del modello e delle regole che lo riguardano è, per la più decisiva parte, da ascriversi non già all’emanazione di previsioni normative ad hoc, bensì a specifici adattamenti nei requisiti di ammissione a quotazione in corso di tempo adottati dai gestori di mercato onde fosse reso appunto possibile il listing di entità che, di là [...]


5. Il “vero volto” della SPAC nel recente dibattito giuseconomico.

5.1. Una struttura d’investimento intrinsecamente difettosa e troppo (asim­metricamente) costosa. Lasciando per il momento da parte ogni discussione sulle recenti iniziative e proposte di regolamentazione o riforma [168], per le ragioni chiarite sin dal­l’Introduzione, ciò che preme qui piuttosto considerare riguarda, innanzitutto, il vivace dibattito che sulle SPAC si è di recente prodotto in sede scientifica, ove, può subito anticiparsi, si è giunti sino a mettere in dubbio la stessa intrinseca razionalità economico-funzionale (e, a seguire, giuridico-normativa) del processo d’investimento cui tale innovativa struttura intenderebbe dar corpo. In particolare, alcune significative ricerche [169] hanno sostenuto che, a dispetto della sua comune raffigurazione alla stregua di più efficiente ed economica alternativa all’ordinario processo di quotazione, la SPAC: i) riposerebbe su di una struttura transazionale di per sé fonte di costi subdoli, opachi e comunque decisamente più alti di quanto normalmente si ritenga[170]; ii) rappresenterebbe un sentiero a dir poco tortuoso per l’accesso delle imprese al mercato di borsa, di fatto riuscendo ad apportare alla business combination molta meno liquidità netta di quanta il veicolo originariamente ne raccolga al momento della propria quotazione[171]; iii) finirebbe, nel complesso, per far gravare la gran parte dei costi in essa incorporati sugli azionisti, e specificamente sugli investitori retail che, non rendendosi adeguatamente conto delle complesse modalità tramite cui viene compiendosi il procedimento d’investimento cui hanno aderito, al momento dell’operazione acquisitiva non abbiano provveduto a liquidare le proprie partecipazioni [172], diversamente da quanto comunemente fanno – via rimborso o via mercato, a seconda della convenienza – gli investitori istituzionali (in massima parte hedge funds [173]) che dominano la scena nella fase di IPO del veicolo e sino all’operazione di “de-SPAC”, cui, per vero, non hanno per lo più interesse a partecipare [174]. Se questi ultimi riescono a spuntare rendimenti nient’affatto banali a fronte di un investimento che, sdoppiandosi tra un’azione quotata redimibile e l’op­zionalità insita nei contestualmente offerti e separatamente negoziabili warrant di [...]


5.2. Esigenza di una riconsiderazione della funzione socioeconomica della SPAC?

Per le voci più critiche, le evidenze sopra riferite e, quindi, la social-tipica caratterizzazione delle dinamiche concretamente osservabili all’interno del ciclo di vita di una SPAC, pure fonderebbero, quale rilevante conclusione intermedia, la necessità di una riconsiderazione epistemologica, ed in senso decisamente riduzionistico, della stessa caratterizzazione funzionale di queste società, con inevitabili ricadute, in ultima istanza, sulla narrativa che, in modo assai convinto negli ultimi anni, ne ha supportato lo sviluppo sui mercati finanziari. Essendosi infatti constatato come la relativa struttura operi – de facto – a prevalente servizio delle speculazioni di coloro che decidano di disinvestire in un momento compreso tra IPO e business combination, così creando una netta biforcazione tra il destino di chi “esce” e quello di chi “resta”, e dopo essersi parimenti osservato come la stragrande maggioranza degli azionisti che investono nella iniziale fase di quotazione del veicolo (ovvero che acquistano i relativi titoli sul mercato secondario per poi comunque liquidare l’investimento prima della business combination) invero non partecipino in alcun modo della funzione per cui le SPAC sono asseritamente costituite e organizzate (= condurre in borsa un’impresa privata [190]), se ne deduce che, mentre costoro non si raffigurano affatto di prender parte ad un’operazione di private equity alternativamente configurata, da canto loro, gli acquirenti delle azioni che gli stessi investitori pre-merger tipicamente cedono dopo l’annuncio dell’operazione rilevante, starebbero a questo punto sostanzialmente investendo nella società bersaglio, proprio come qualunque investitore potrebbe investire in qualsiasi altra impresa quotata [191]. Dunque, lungo tale «circuitous path to the public markets», l’elemento del private equity tenderebbe fortemente a dissolversi, almeno nella sua asserita connessione col mercato dei capitali [192], posto che la funzione immediatamente evidenziata dalla SPAC qua talis sarebbe piuttosto quella di offrire una ghiotta occasione di profitto per gli investitori che, con prospettiva squisitamente speculativa, decidano – come suol dirsi – “to take the deal”. Donde la caustica conclusione per cui, «notwithstanding the “A” in their name, SPACs do not acquire [...]


5.3. Implicazioni d’ordine pubblico economico.

Nelle ricostruzioni che questa letteratura critica propone, in una conta finale di vincitori e vinti, l’unico soggetto costantemente esposto al rischio di rimanere vittima dei cattivi affari che la SPAC parrebbe incline a propiziare, sarebbe, in effetti, proprio l’investitore retail [197], e, più precisamente ancora, quello che, normalmente escluso dalla possibilità di prender parte alla IPO del veicolo, ne abbia acquistato le (sole) azioni sul mercato secondario (verosimilmente dopo l’annuncio della possibile business combination). Questi, sprovvisto (ancor prima che dei warrant) della sofisticazione necessaria a comprendere (e tanto meno ipoteticamente capace di praticare) i convenienti arbitraggi che la struttura della SPAC offre ai più sofisticati investitori istituzionali con prospettiva a breve termine, nonché i significativi costi che essa mette in conto a chi non receda al momento dell’operazione rilevante, così come pure la notevole pressione che, con l’approssimarsi del termine di scadenza, gli sponsor-gestori soffrono affinché al perfezionamento di tale operazione si addivenga, finirebbe per trovarsi esposto al rischio di pregiudicare il maggior valore che l’esercizio del potere di redemption sarebbe, in molti casi, invece in grado di restituirgli [198]. Naturalmente, tutto quanto sinora riferito non implica che i gestori delle SPAC risulteranno, sempre e comunque, deliberatamente inclini a condurre gli investitori in affari di cattiva qualità. Tuttavia, nella visione degli studiosi più critici, i dati confermerebbero – ex post – che il business model della SPAC supporta pienamente la congettura di una sua insostenibilità di lungo periodo, condizionato come esso è – ex ante – da difetti strutturali capaci di compromettere la funzionalità della sua stessa auto-dichiarata aspirazione teleologica. In particolare, il meccanismo di remunerazione riservato agli sponsor-gestori risulterebbe fonte di due potenti incentivi disfunzionali. Innanzitutto, quello alla stessa creazione del veicolo indipendentemente da realistiche valutazioni circa la prospettiva di poter concludere un affare vincente per gli investitori, atteso che anche fusioni largamente distruttive di valore sarebbero in grado di far conseguire enormi profitti netti ai promotori [199]. In secondo luogo, e proprio in conseguenza di [...]


5.4. Tesi di segno contrario e possibili sviluppi nelle prassi di mercato.

Per completare l’analisi in merito al recente dibattito scientifico sulle SPAC, resta da dire di come gli orientamenti critici sinora considerati non siano invero rimasti del tutto incontrastati, avendo trovato replica in altra parte della letteratura a mezzo, innanzitutto, d’una contro-critica, per così dire, altrettanto “nucleare”. Infatti, alle posizioni che concludono nel senso della patente inefficienza della funzione lato sensu intermediaria che la SPAC pretenderebbe d’assolvere interponendosi in modo alquanto “contorto” tra il mercato dei capitali e quello delle acquisizioni societarie, altri autori, proprio muovendo da una serena presa d’atto della constatata separatezza funzionale tra le due “fasi” (non si tratterebbe, quindi, del frazionamento di un’unitaria operazione economica, ma, propriamente, di due operazioni affatto distinte [224]), rispondono sostenendo che il giudizio sulle SPAC non possa – ed anzi, propriamente, non debba – esser condizionato da uno sguardo proiettato oltre la loro stretta esistenza. Questa, infatti, le qualificherebbe unicamente alla stregua di «cash-shell investment vehicles with no downside risks for initial investors until the moment of the business combination»; momento, quello della business combination, in cui le regole del gioco cambiano radicalmente e gli investitori cessano di detenere un titolo in sostanza equivalente ad un certificato di deposito su di un conto fiduciario protetto e prontamente liquidabile, viceversa esponendo l’apportata ricchezza al rischio imprenditoriale che essi stessi hanno contribuito a selezionare [225]. Insomma, se ben comprendiamo, la SPAC, lungi dall’esibire un qualche difetto intrinseco nella propria struttura o nella sottostante logica transazionale, semplicemente interverrebbe per “distruggere”, quale prodotto di radicale innovazione finanziaria, ogni costosa – e perciò socialmente indesiderabile – funzione intermediatrice [226], aspirando a rappresentare una tecnica per l’imba­stimento di un procedimento negoziale mercé il quale sponsor-gestori, impresa target e investitori, quest’ultimi supportati (grazie alla fungibilità propria dell’azione quotata) dall’intervento del mercato dei capitali, possano, con adeguata flessibilità, ed al netto dell’ineliminabile alea [...]


6. Uno sguardo comparato alle recenti iniziative e proposte di riforma delle SPAC.

Guardando alle recenti soluzioni pubbliche o “semi-pubbliche” messe in campo, rispettivamente, dalle autorità di vigilanza, dai gestori di mercato e, in qualche caso, dai legislatori negli ultimi tempi, ci si avvede subito di come decisamente variegati siano – tanto nei contenuti, quanto nella fonte e, quindi, nella natura “hard” o “soft” delle varie prescrizioni introdotte – gli approcci finalmente adottati. E così, se la recente proposta di regolamento della SEC pare soprattutto rivolta a puntellare l’operatività delle norme di mercato mobiliare e le fattispecie di responsabilità civile da esse sancite, considerando l’intermediario finanziario, già underwriter della IPO della società veicolo, portatore di un forte interesse finanziario con riferimento all’operazione di “de-SPAC”, nonché responsabile di un’attività distributiva tale da giustificare il permanere, anche in questa successiva fase, della suddetta iniziale qualifica formale, con tutto ciò che può conseguirne ai sensi del Securities Act [240]; merita d’altro canto segnalare come la borsa di Singapore, compiendo una scelta in tal senso unica nel panorama comparatistico, sia direttamente intervenuta sulla posizione degli sponsor-gestori, a costoro richiedendo (in aggregato) l’effettuazione di un investimento azionario in proprio a condizioni economiche paritarie con gli investitori della IPO e d’importo variabile in ragione della diversa capitalizzazione di mercato della società [241]. Molto diverso, sotto questo aspetto, l’atteggiamento invece assunto dalla concorrente piazza finanziaria di Hong Kong, la quale sembra aver anch’essa prediletto un approccio di regolazione indiretto e “via gatekeeper”, richiedendo, oltre alla presenza di taluni requisiti di qualificazione degli sponsor-gestori [242], la necessaria raccolta di una certa quantità di investimenti PIPE nel contesto dell’operazione di “de-SPAC” [243]. Ancora diverso l’approccio della Financial Conduct Authority nel Regno Unito, ove, all’evidente intenzione politica di creare un ambiente di mercato nel complesso capace di replicare efficacemente il modello statunitense [244], s’è accompagnato un intervento finalizzato alla mitigazione dei conflitti [...]


7. Il possibile ruolo del diritto societario e, in particolare, dei doveri fiduciari degli amministratori: cenni e rinvio.

Nell’ambito di tutte queste discussioni, separata menzione merita, infine, l’ulteriore e altrettanto recente opinione secondo cui sarà piuttosto il diritto societario generale, alcune delle cui fondamentali norme le SPAC avrebbero sino ad oggi deliberatamente disatteso, a rappresentare la forza realmente in grado di imporre un più effettivo riequilibrio ab intrinseco del modello, come del resto già testimonierebbero i primi scrutini giudiziari condotti attraverso la lente dei doveri fiduciari degli amministratori e, segnatamente, tramite il duty of loyalty. In questa diversa visuale, dunque, viene fondamentalmente suggerito che legislatori e autorità di vigilanza s’astengano dal dettare specifiche regole esterne sulle SPAC prima che la giurisprudenza societaria abbia avuto modo di chiarire l’esatta portata imperativa di quelle interne alla stessa corporate entity, e dunque riferibili al “tipo” di cui il “modello-SPAC” s’avvale [274]. Richiamando quanto già osservato in conclusione del precedente par. 5.4, parrebbe dunque palesarsi l’esistenza d’uno strisciante contrasto in merito a quale debba essere il sistema di principi giuridici chiamato a governare il complesso modo d’essere della SPAC (“contratto” vs “fiducia”). Infatti, ad una concezione secondo cui l’autonomia privata, in quanto ormai ammessa a destrutturare, in virtù dell’abbandono del principio di tipicità del contenuto della partecipazione al capitale di rischio, la conformazione in senso funzionalmente unitario degli interessi riferibili alle diverse – e difatti diversamente inclinate – categorie dei coinvolgibili soci-investitori, dovrebbe parimenti esser liberata dalle costrizioni di un monotòno dovere di lealtà societaria come tale non più in grado d’adattarsi alla complessa realtà delle cose [275]; se ne oppongono altre che, difendendo ad oltranza l’inderogabilità per via negoziale dei principi chiamati a vagliare i comportamenti dei titolari del potere d’im­presa, nei doveri fiduciari continuano invece a scorgere il miglior meccanismo di contenimento delle altrimenti ingovernabili esuberanze proprie dell’attività di private bargaining attorno alla partecipazione al capitale dell’impresa [276]. A questo tema, però, è [...]


NOTE