Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
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La nozione di controllo societario nel Codice Antimafia (di Andrea Palazzolo, Professore a contratto di diritto societario dell’Università degli Studi di Roma “LUISS Guido Carli”; e-mail: apalazzolo@luiss.it.)


Il richiamo che l’art. 41 del Codice Antimafia opera alle «maggioranze previste dall’artico­lo 2359 del codice civile», quale presupposto del possibile subentro dell’amministratore giudiziario, di concerto con il tribunale e con il giudice delegato, nella gestione della società attinta dalla misura di sequestro, pone l’esigenza di determinare gli esatti termini del rinvio della normativa speciale alla disciplina civilistica in materia di controllo e di attività di direzione e coordinamento e le sue conseguenze.

Dal confronto sistematico e teleologico delle discipline emerge che il controllo contemplato dal Codice Antimafia è un controllo “da partecipazione”, che in re ipsa (art. 2359, primo comma, n. 1) o corroborato da ulteriori circostanze di fatto o di diritto (art. 2359, primo comma, n. 2), deve consentire al suo titolare il potere di nomina e di revoca dell’organo gestorio, in maniera rispondente alle finalità della misura di prevenzione. Risulta quindi confermata, anche nell’ambito della disciplina speciale del Codice Antimafia, la valenza definitoria della “regola del controllo” di cui all’art. 2359 c.c.: il rinvio dell’art. 41 c.a.m. serve unicamente ad indicare la consistenza che la partecipazione sequestrata deve avere al fine di consentire alla procedura di subentrare nel governo della società, senza che ne derivino ulteriori conseguenze riguardo all’applicazione della disciplina codicistica nei rapporti tra procedura controllante e società controllata.

The notion of corporate control in the Anti-Mafia Code

The reference made by art. 41 of the Anti-mafia Code to the «majorities provided for by Article 2359 of the Civil Code», as a prerequisite for the judicial administrator, along with the Tribunal and the judge for the procedure, to takeover the management of the seized company, poses the need to determine the coordination and the possible overlapping between the special legislation and the civil code rules on controlling interest and on group of companies. The systematic and teleological comparison of the disciplines reveals that the Anti-mafia code provides for a notion of control arising from “controlling stakes” which, de jure or de facto, must allow its holder to appoint and dismiss the management, aiming to realize the purpose of the preventive measure. Therefore, it is confirmed, also in the context of the special discipline of the Anti-mafia Code, the defining value of the “control rule” referred to in art. 2359 of the Italian Civil Code: the reference made by art. 41 of the Anti-mafia Code is only used to identify the size of the seized stake in order to allow the procedure to take over the management of the company, without any further consequences as regards the application of the civil code rules to the relationship between the procedure and the seized, controlled company.

Keywords: corporate control – Anti-Mafia Code – preventive seizure – control instruments – preventive measures

Sommario/Summary:

1. Premessa. - 2. Il sequestro di quote “maggioritario” o “tombale” quale presupposto della nozione di controllo del c.a.m. I limiti oggettivi e soggettivi dell’applicazione della nozione di controllo codicistica. - 3. Il controllo di fatto ex art. 2359 n. 2. Il rilievo della nozione rispetto alla disciplina del Codice Antimafia. Il rilievo sostanziale del concetto di influenza dominante. - 4. Il controllo contrattuale ex art. 2359 n. 3 e le possibili interferenze esterne. - 5. La rilevanza della nozione di collegamento societario: il concetto di influenza notevole e le conseguenze sulla gestione della società. - 6. L’ipotesi di sequestro di partecipazioni di società soggette ad una nozione di controllo derivante dalla legislazione speciale. - 7. L’ampliamento della nozione di controllo: il controllo derivante dalle misure di prevenzione. - 8. Conclusioni. - NOTE


1. Premessa.

La nozione di controllo ha assunto nel tempo un rilievo assai ampio, ben oltre le prescrizioni originariamente contemplate a livello codicistico e relative alla disciplina delle partecipazioni incrociate, ponendosi quale paradigma del­l’esistenza di fenomeni di coordinamento ed eterodirezione [1]. Il rapporto di controllo tra società ne lascia presumere l’esistenza, senza tuttavia risolversi in essa, essendo necessario che le singole società siano gestite in modo coordinato al fine di perseguire un unico disegno imprenditoriale [2]. Al contrario una holding può detenere partecipazioni di controllo per scopi di natura esclusivamente finanziaria, senza ingerirsi nella gestione delle società controllate [3]. La frizione tra la complessità del fenomeno economico e la capacità del diritto di qualificarlo in termini giuridici ha dato luogo ad innumerevoli discipline set­toriali [4], per individuare “il tipo” di controllo considerato di volta in volta rilevante, principalmente mediante rinvio parziale all’art. 2359 c.c., discostandovisi per l’ambito soggettivo di applicazione ovvero aggiungendovi presunzioni di natura casistica.

In quest’ottica, è interessante indagare il fenomeno del controllo e del grup­po nel particolare contesto rappresentato dalle società attinte da misure di prevenzione ai sensi del Codice Antimafia (più avanti anche “c.a.m.”), di cui al d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159. A tal fine è necessario individuare i tratti caratterizzanti della disciplina delle misure di prevenzione e le modalità con cui si attua il “controllo” sulla società da parte di soggetti estranei alla stessa, anche quale possibile presupposto della configurazione di un gruppo societario, nonché in relazione alle specifiche forme di coordinamento previste per la gestione di più imprese soggette a misure di prevenzione.

Svolta questa analisi occorrerà poi comprendere quali conseguenze in termini di disciplina applicabile comporta l’identificazione del fenomeno del con­trollo e del gruppo in un settore che si contraddistingue per la peculiarità di non rappresentare uno specifico ambito dell’economia (es. banca o finanza), po­nendosi piuttosto l’obiettivo di disciplinare l’impresa, già “frutto o reimpiego dei capitali illeciti” ai fini di una sua riconversione all’economia legale. In altri termini il legislatore non assume quale premessa della regolamentazione la specificità del settore, quanto il fatto che l’impresa ha una derivazione illecita e rende quest’ultima oggetto di regolamentazione per precipue finalità di interesse pubblico, consistenti nel suo processo di riconversione all’eco­nomia legale [5].


2. Il sequestro di quote “maggioritario” o “tombale” quale presupposto della nozione di controllo del c.a.m. I limiti oggettivi e soggettivi dell’applicazione della nozione di controllo codicistica.

L’azienda nel suo complesso o le singole partecipazioni sociali – minoritarie, di controllo o totalitarie – possono essere soggette a misure di prevenzione patrimoniale tradizionali quali il sequestro (art. 20), preordinato alla successiva misura della confisca (art. 24) [6] o a quella dell’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche (art. 34). Le finalità sono visibilmente diverse e più ampie rispetto a quelle delle misure di natura strettamente patrimoniale e tendono a rimuovere le condizioni di operatività illecita dell’im­presa, sottraendone la gestione agli amministratori. I poteri dell’amministrato­re giudiziario si distinguono a seconda che la nomina intervenga nell’ambito di un procedimento ex art. 20 o art. 24 del c.a.m., assumendo egli in prima battuta la custodia della partecipazione ed in via mediata la gestione dell’impresa, rispetto all’ipotesi disciplinata dall’art. 34, dove i poteri di gestione vengono esercitati in via diretta. Quando viene disposto il sequestro di partecipazioni sociali totalitarie il Giudice, a mente dell’art. 20 c.a.m., ordina anche quello dei relativi beni costituiti in azienda ai sensi degli artt. 2555 c.c. ss. Il sequestro avente ad oggetto partecipazioni sociali totalitarie, quindi, si estende “di diritto” all’azienda (c.d. sequestro tombale), determinando a scapito degli organi sociali l’automatico spossessamento dell’azienda medesima, alla stregua della dichiarazione di fallimento [7].

Il controllo societario assume rilievo nell’ambito della disciplina del Codice Antimafia ove si verifichino le fattispecie del sequestro di quote “maggioritario” e “tombale”, delineate mediante un rinvio alla disciplina civilistica. L’art. 41 c.a.m. al comma 1-ter prevede che se il sequestro ha ad oggetto «partecipazioni societarie che assicurino le maggioranze previste dall’articolo 2359 del codice civile», il tribunale può disporre la revoca dell’amministratore della società, che può essere nominato nella persona dell’amministratore giudiziario, mentre se l’amministratore giudiziario non assume la qualifica di amministratore della società, il tribunale interviene determinando «le modalità di controllo e di esercizio dei poteri» da parte sua. Al successivo comma 1-septies l’art. 41 stabilisce che, se il sequestro riguarda partecipazioni societarie che non assicurano le maggioranze previste dall’art. 2359 del codice civile, «il tribunale impartisce le opportune direttive all’amministratore giudiziario».

Occorre dunque distinguere tra l’ipotesi del c.d. sequestro di minoranza, dove all’amministratore giudiziario sono rimessi essenzialmente compiti di custodia, rispetto a quello di maggioranza (rectius “di controllo”), nell’ambito di cui ha possibilità di esplicarsi una gestione improntata a finalità istituzionali. La nomina del nuovo organo amministrativo deve avvenire nel rispetto dei meccanismi ordinari; tuttavia la formale adesione alla disciplina comune deter­mina in ogni caso l’attribuzione del potere di conduzione dell’impresa ad un soggetto esterno alla società, che lo esercita di concerto con il tribunale e il giudice delegato in funzione non già unicamente consultiva o di supporto, bensì propriamente amministrativa.

Ciò premesso, il riferimento operato dall’art. 41 c.a.m. all’art. 2359 c.c. pone l’esigenza di determinare gli esatti termini del rinvio e le sue conseguenze.

Anzitutto il riferimento sembra parziale, in quanto letteralmente limitato alle ipotesi di controllo interno da partecipazione, di diritto e di fatto previste dai nn. 1 e 2 dell’art. 2359, primo comma, c.c. [8], mentre sembra escludere quello derivante da vincoli contrattuali di cui al n. 3 dell’art. 2359 c.c., che come noto non implica, ed anzi esclude, un rapporto di partecipazione tra controllante e controllata. Inoltre, il Codice non attribuisce, almeno esplicitamente, rilievo alla nozione di collegamento societario di cui all’art. 2359, terzo comma, c.c., né disciplina i casi in cui il socio prevenuto occupi al momento del sequestro della partecipazione una posizione di controllo in forza dell’applicazione di leggi speciali che frequentemente prevedono ipotesi di controllo ulteriori [9] all’ar­chetipo dell’art. 2359 c.c.

Tali temi verranno sviluppati nel corso dei prossimi paragrafi, con l’obiet­tivo di individuare l’effettivo rapporto tra disciplina comune e speciale in tema di controllo in un’ottica che tenga conto della ratio dei rispettivi impianti nor­mativi e delle mutevoli esigenze applicative che possono verificarsi nella prassi.

A tal fine, occorre ripercorrere in via preliminare i problemi di carattere soggettivo che si riscontrano rispetto all’applicazione dell’art. 2359 c.c. e che si ripercuotono sul rinvio operato a tale disposizione dal Codice Antimafia. In­fatti, il controllo disciplinato dal codice civile è di natura intersocietaria e secondo l’opinione prevalente ante riforma del 2003 il soggetto controllato non poteva essere rappresentato da una società di persone [10], mentre oggi, in forza della previsione di cui all’art. 2361 c.c., si tende ad ammettere il controllo su società di persone, nonostante esso non possa ricollegarsi unicamente al possesso di partecipazioni qualificate, dato che in queste ultime, come nelle s.r.l., i poteri di controllo del socio possono prescindere dall’entità della sua partecipazione [11]. È evidente, quindi, come rispetto alla disciplina comune, il controllo rilevante ai fini dell’art. 41 c.a.m. non abbia natura intersocietaria, in quanto il ruolo di controllante è acquisito dagli organi della procedura, mentre è ben possibile che si esplichi sia nei confronti di aziende facenti capo a società di capitali che a società di persone, in virtù del sequestro delle relative partecipazioni societarie ex art. 41, primo comma, c.a.m. Fermo il fatto che in ipotesi di sequestro di una partecipazione di società di persone o di s.r.l. si dovrà tener conto, caso per caso e ai fini dell’accertamento del rapporto di controllo, dei poteri di ingerenza dei soci nei confronti dell’amministrazione che prescindono dalla partecipazione societaria [12].


3. Il controllo di fatto ex art. 2359 n. 2. Il rilievo della nozione rispetto alla disciplina del Codice Antimafia. Il rilievo sostanziale del concetto di influenza dominante.

Il primo tema che logicamente si pone in merito al rilievo della nozione di controllo nel contesto delle misure di prevenzione previste dal Codice Antimafia attiene all’operatività del controllo di fatto, al fine di stabilire se tale fattispecie possa essere consona alla situazione dell’amministrazione giudiziaria, consentendo una piena sostituzione dell’amministratore nella gestione della società, oppure se la norma del Codice Antimafia ha inteso recepire solo il fenomeno del controllo di diritto, in quanto di più immediata evidenza giuridica.

Occorre muovere dalla lettera dell’art. 2359 c.c. e dai principali problemi interpretativi che ha posto con riferimento alle ipotesi di controllo interno, da valutare nell’ottica del controllo assunto dall’amministratore giudiziario. Ai sensi dell’art. 2359, n. 2, c.c. sono considerate società controllate «le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria» [13], mentre il n. 1 della stessa disposizione prevede che sono società controllate «le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria». Inoltre, al secondo comma la norma prevede che «ai fini dell’applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a società controllate, a società fiduciarie e a persona interposta: non si computano i voti spettanti per conto di terzi».

Come noto, i numeri 1 e 2 dell’art. 2359 c.c. contemplano entrambi ipotesi di controllo “interno”, che si sostanzia nell’esercizio del voto nell’ambito del­l’assemblea ordinaria della società. Tuttavia, mentre il controllo interno di diritto si ravvisa in re ipsa quando il soggetto controllante dispone della maggioranza dei voti assembleari [14] ed è assistito dalla presunzione relativa secondo la quale si considera configurato in presenza di tale presupposto [15], il controllo di fatto è per l’appunto caratterizzato dal ricorrere di circostanze variabili che, da sole o in relazione tra di loro, conferiscono al controllante lo stesso potere – ossia l’influenza dominante sull’assemblea ordinaria [16] – che si riscontra al ricorrere del controllo interno di diritto.

Elementi costitutivi del controllo interno sono: la “disponibilità” dei voti in assemblea ordinaria della società e “l’influenza dominante” su quest’ultima che da tale disponibilità deriva.

Quanto al primo elemento, si rileva come ciò che configura il controllo non è la titolarità della partecipazione sociale, bensì il potere di decidere sull’eser­cizio del voto, purché tale potere non venga esercitato per conto di terzi [17]. Viep­più che, come noto, ai sensi dell’art. 2359, secondo comma, c.c. il controllo si configura anche in capo alla società che lo esercita in via indiretta per il tramite di società controllate, società fiduciarie o persone interposte [18]. Posto che, a mente dell’art. 41, sesto comma, c.a.m., nel caso di sequestro di partecipazioni societarie l’amministratore giudiziario esercita iure proprio e nell’interesse della procedura i poteri che spettano al socio, si può certamente affermare che egli abbia, ai sensi dell’art. 2359 c.c., la disponibilità del diritto di voto inerente alle partecipazioni sequestrate [19]. Anche il dubbio circa il fatto che il rinvio dell’art. 41, comma 1-ter, «alle maggioranze previste dall’art. 2359 c.c.» comprenda anche la variabile del controllo indiretto, va risolto in senso affermativo, sia sulla scorta del dato letterale della norma del Codice Antimafia che opera un rinvio generale all’art. 2359 c.c., sia sulla base del dato sistematico per cui l’amministrazione giudiziaria sarebbe pregiudicata dalla mancata possibilità di acquisire la gestione della società sequestrata ove il sequestro della partecipazione attribuisse alla procedura un controllo solo indiretto della società attinta dalla misura, fermo restando che la sussistenza dei presupposti del controllo indiretto andrà provata in concreto [20].

Venendo ora all’elemento costitutivo dell’influenza dominante, essa costituisce l’essenza di ogni ipotesi di controllo [21] e si sostanzia nel potere di deter­minare con la propria volontà le decisioni della società controllata ed in particolare di nominare e revocare l’organo amministrativo [22]. Infatti, il controllo sulla società deriva dal controllo sull’organo di gestione della stessa – che può essere esercitato unicamente mediante la nomina e la revoca dello stesso – e dall’influenza che da tale nomina de facto discende, posto che l’assemblea non può interferire nell’attività gestoria svolta dagli amministratori [23].

Il controllo interno, ed in particolar modo l’ipotesi del controllo interno di fatto, è una conseguenza della dissociazione tipica del modello societario tra “potere e rischio” o, ugualmente, tra “controllo e proprietà”, dato che il potere viene esercitato unicamente da una maggioranza (anche relativa) che non sempre equivale alla maggioranza del capitale, mentre la proprietà e il rischio che ne deriva è a carico di tutta la compagine sociale [24]. Pertanto, l’in­fluenza dominante diventa “l’unità di misura” del controllo interno (e come si vedrà anche di quello esterno) che non dipende dalla consistenza della partecipazione, ma dal “peso” che il socio è in grado di esercitare in assemblea ordinaria [25].

Occorre pertanto esaminare i caratteri che contraddistinguono l’influenza dominante e individuarne gli indici rivelatori in ipotesi di controllo interno di fatto. Ciò chiarito si potranno elaborare dei criteri che consentano all’ammini­stratore giudiziario di valutarne la sussistenza, in ipotesi di sequestro di una partecipazione di minoranza, muovendo dal presupposto che, come rilevato da attenta dottrina, il controllo interno di diritto e di fatto costituiscono due facce della stessa medaglia [26].

La dottrina è concorde nel ritenere che l’influenza dominante che dà luogo al controllo di fatto debba essere stabile e dunque non occasionale, nonché caratterizzata da continuità temporale [27]: l’influenza non è infatti dominante se si riscontra in relazione a singoli atti e non all’intera attività del soggetto controllato [28] «per un arco di tempo ragionevolmente significativo» [29]. Il controllo è contingente quando dipende da circostanze fortuite, ad esempio dalla mancata partecipazione all’assemblea di azionisti di rilievo; ciò non toglie tuttavia che il controllo interno di fatto sia allo stesso tempo contendibile, e certamente in misura maggiore rispetto al controllo di diritto, posto che i suoi presupposti possono mutare anche repentinamente, pur rimanendo invariata la consistenza della partecipazione [30].

Altra caratteristica del controllo interno di fatto da considerare, su cui tuttavia la dottrina non appare concorde, è la sua potenzialità o, al contrario, la sua effettività. In particolare, secondo la dottrina più recente «il controllo è potere in sé, a prescindere dal suo effettivo esercizio e anche prima che sia stato possibile esercitarlo» [31], costituendo tale caratteristica il tratto distintivo rispetto alla nozione di direzione e coordinamento di cui all’art. 2497 c.c., per cui la sussistenza dello stesso va saggiata in forza di un giudizio prodromico ex ante. A contrario, la dottrina più risalente era dell’avviso che la verifica potesse essere svolta solo a posteriori, valutando il concreto manifestarsi dell’influenza dominante in assemblea [32]. Il contrasto, più apparente che reale, sembra doversi risolvere nel senso che il controllo interno di fatto, per sua natura non può che scaturire da indici effettivi in grado di “integrare” dall’esterno il peso della partecipazione di minoranza, difficilmente valutabili in astratto. Nondimeno il riscontro di tali indici non esclude che il controllo poi non venga in concreto esercitato, ma si blocchi ad uno stadio potenziale. In sintesi: l’accertamento del controllo interno di fatto, anche potenziale, non può che avvenire in concreto tenuto conto della sussistenza degli indici rivelatori; il suddetto accertamento ha valenza prospettica, a condizione che gli indici rimangano invariati [33].

Ci si potrebbe chiedere se, ove fosse appurato che alla partecipazione di minoranza sequestrata corrisponda un controllo di fatto ex art. 2359 n. 2, c.c., sia praticabile il subentro della procedura nella gestione sociale o se, essendo il controllo interno di fatto caratterizzato da un più ampio margine di contendibilità rispetto al controllo di diritto, lo stesso vada escluso dall’ambito di applicazione dell’art. 41, comma 1-ter, c.a.m. In questo senso occorre guardare agli indici che nella prassi vengono utilizzati per individuare il controllo di fatto, valutando come essi possano coniugarsi con il caso che ci occupa.

Le circostanze che la dottrina concorde ha tradizionalmente ricollegato all’esistenza del controllo di fatto sono l’elevato frazionamento del capitale e l’assenteismo degli altri soci, al punto che il socio «in rapporto alla frazione di capitale presente in assemblea si trova di fatto nella posizione di socio di maggioranza» [34]. Tale scenario si realizza di frequente nell’ambito di società per azioni in cui vi è un soggetto che detiene una minoranza qualificata e la restante parte del capitale è talmente polverizzata da non consentire ai soci, perlopiù disinteressati, di scardinare il comando acquisito. Lo scenario può cambiare repentinamente qualora entri nella compagine azionaria un altro soggetto, sempre di minoranza, che tuttavia è in grado di aggregare i consensi e di ribaltare il controllo [35]. Un altro elemento che può incidere sull’acquisizione del controllo di fatto è il ricorso al c.d. voto di lista per la nomina dell’organo am­ministrativo, che tuttavia va valutato con attenzione in quanto potrebbe essere indice rivelatore di una influenza meramente occasionale. In questo senso la stessa Consob chiarisce che per valutare correttamente la stabilità del controllo va considerato l’andamento delle passate assemblee e la percentuale di voti che nel tempo si è dimostrata necessaria per esercitare una influenza dominante, purché la compagine azionaria sia rimasta invariata [36].

Considerati tali indici, nell’ottica di assicurare l’efficacia della misura di prevenzione, non sembra si possa negare qualsivoglia rilevanza alla configurazione del controllo di fatto, che verrebbe fortemente penalizzata in assenza del subentro della procedura nella gestione della società ove il socio prevenuto detenga la posizione di controllante di fatto. Inoltre, considerare il rinvio del Codice come riguardante il solo controllo di diritto contrasterebbe con il dato letterale dell’art. 41, comma 1-ter, che utilizza il plurale nel riferirsi alle «partecipazioni societarie che assicurino le maggioranze di cui all’art. 2359 c.c.». Al contempo, il riscontro degli indici in esame va valutato con particolare rigore, date le conseguenze che ne derivano, tenendo conto in concreto dell’ef­fettiva capacità del socio prevenuto di dirigere la gestione della società al mo­mento dell’intervento della misura. Il subentro della procedura nella gestione della società è infatti giustificato dalla sussistenza del controllo nel momento in cui viene sequestrata la partecipazione: deve in definitiva trattarsi di un controllo tale da consentire la nomina di un nuovo organo amministrativo che sia espressione della procedura ex art. 41, sesto comma, c.a.m.

Va da ultimo considerata l’ipotesi in cui il controllo di fatto si configuri in presenza di un patto parasociale che preveda un sindacato di voto. Sul punto la dottrina è concorde nel ritenere che acquista la qualifica di controllante di fatto il socio che abbia il controllo del sindacato che a sua volta assommi voti corrispondenti all’esercizio di influenza dominante in assemblea, in quanto il controllo va riscontrato in capo ad unico soggetto, escludendosi sia il controllo con­giunto sia il controllo in capo al sindacato nel suo complesso, che non ha la qualifica di soggetto giuridico [37]. Nel caso di società soggette a misure di prevenzione, si ritiene che il patto parasociale sia inefficace nei confronti dell’am­ministrazione giudiziaria, posto che contrasterebbe con la ratio della misura vin­colare l’amministrazione ad accordi afferenti alle relazioni personali del pre­venuto ed estranei all’organizzazione societaria [38]. Tuttavia, tale principio va adattato agli effetti che il patto parasociale produce sull’efficacia della misura. Se al momento del sequestro il socio prevenuto detiene la maggioranza (di fatto) di cui all’art. 2359 n. 2, c.c., mediante il sindacato di voto, è ragionevole ri­tenere che si possa comunque procedere alla revoca dell’amministratore espresso dal socio prevenuto e alla nomina dell’amministratore scelto dalla procedura.

In definitiva, la ratio dell’art. 41, comma 1-ter consente il subentro della procedura nella gestione della società quando al momento dell’intervento della misura l’organo amministrativo è espressione della volontà del socio prevenuto, al fine di rendere efficace il sequestro della relativa partecipazione. In questo senso, la norma non può che riferirsi, oltre che letteralmente anche in senso sistematico, all’ipotesi in cui l’amministrazione sia stata designata dal prevenuto mediante l’esercizio di un controllo di fatto, a condizione che l’acquisi­zione dello stesso da parte della procedura consenta la nomina del nuovo amministratore o della maggioranza dei consiglieri nell’ipotesi di organo collegiale.


4. Il controllo contrattuale ex art. 2359 n. 3 e le possibili interferenze esterne.

Il controllo contrattuale [39] di cui all’art. 2359 n. 3, c.c. non rileva a mente dell’art. 41, comma 1-ter, c.a.m. ai fini dell’acquisizione del controllo da parte della procedura sulla società attinta dalla misura di prevenzione, posto che questo dipende dal sequestro della partecipazione societaria in capo al prevenuto. Tale situazione può tuttavia costituire uno strumento di interferenza con le finalità della procedura di prevenzione. Il tema si pone sia riguardo alla possibile esistenza di vincoli contrattuali esterni in presenza di un sequestro maggioritario, che con riferimento al fatto che attraverso il sequestro si venga ad acquisire il controllo contrattuale di un soggetto apparentemente esterno alla compagine di riferimento del prevenuto.

Il primo scenario è stato identificato dalla dottrina come controllo plurimo disgiunto [40] o eterogeneo [41], ben possibile nella prassi dato che la disponibilità in capo all’amministratore giudiziario della maggioranza (anche relativa) dei voti in assemblea ordinaria può convivere o risultare depotenziata dall’eserci­zio sulla società di una influenza dominante esterna. Nell’ipotesi descritta la società attinta dalla misura di prevenzione si profila quale possibile soggetto passivo del rapporto di controllo; mentre nel secondo scenario la procedura ap­pare quale possibile soggetto attivo di un rapporto di controllo contrattuale con un terzo. Con riferimento all’elemento soggettivo della fattispecie del controllo contrattuale, è preliminare chiarire che, a differenza delle ipotesi esaminate del controllo da partecipazione, in cui rileva ai fini della configurazione del controllo il tipo legale e la struttura dei soggetti coinvolti [42], nel caso di controllo contrattuale il veicolo del controllo, ossia i particolari vincoli contrattuali, rendono irrilevanti le caratteristiche strutturali delle società coinvolte, tanto dal lato ascendente che da quello discendente, e se ne ammette la configurazione fi­nanche riguardo agli imprenditori individuali [43].

Occorre dunque chiedersi se le possibili influenze esterne – anche individuali – esercitate o subite dalla società attinta dalla misura di prevenzione in forza di particolari vincoli contrattuali ex art. 2359 n. 3, c.c. siano compatibili con la disciplina speciale del c.a.m. e con le finalità di bonifica dell’impresa illecita e di reinserimento della stessa nei circuiti dell’economia legale.

Il controllo contrattuale si contraddistingue in quanto i soggetti coinvolti dal rapporto rispondono a centri di interesse autonomi e indipendenti, a differenza di quanto accade in presenza di un controllo interno in cui si realizza sempre una coincidenza parziale o totale dei rispettivi centri d’interesse, in proporzione all’entità della partecipazione [44]. Da tale circostanza derivano evidenti problemi di compatibilità con la disciplina del c.a.m., soprattutto in relazione alla possibilità che un soggetto esterno, il cui rapporto contrattuale con la società attinta dalla misura origina dalla gestione del prevenuto possa orientare stabilmente l’indirizzo gestionale e operativo della società, dopo l’intervento della misura medesima, vanificandone gli intenti.

E infatti, «i particolari vincoli contrattuali», il cui effetto consiste nell’eser­cizio di una influenza dominante, sono i vincoli contenuti in clausole accessorie di contratti stipulati dalla società [45] – generalmente contratti d’impresa tipici – che si pongono come strumentali alla realizzazione dello scopo principale del contratto e la cui legittimità discende dalla causa del contratto medesimo [46].

Si precisa poi che l’influenza dominante necessaria a configurare il controllo contrattuale non deriva dalla mera dipendenza economica del controllato dal controllante, che rappresenta certamente un valido elemento indiziario, ma che non appare sufficiente ad esaurire la fattispecie [47]. È invece necessario che in virtù del vincolo contrattuale il controllante influenzi stabilmente e in via continuativa le scelte di gestione e le strategie del controllato al punto che lo scioglimento del vincolo contrattuale metterebbe a repentaglio la stessa esistenza del soggetto controllato [48].

Pertanto, al momento dell’esecuzione del sequestro di una partecipazione di maggioranza ex art. 41, comma 1-ter, c.a.m. spetterà all’amministratore giu­diziario, sulla base di tali canoni, identificare situazioni di controllo contrattuale effettive [49] o anche solo potenziali [50] in cui è coinvolta la società, sia come soggetto attivo che come soggetto passivo, ai fini dell’applicazione della speciale disciplina in materia di rapporti pendenti prevista dall’art. 56 c.a.m. Tale disposizione prevede che l’esecuzione dei contratti pendenti relativi all’a­zienda sequestrata rimanga sospesa fino a quando l’amministratore giudiziario, previa autorizzazione del giudice delegato, dichiari di subentrare nel contratto in luogo del proposto, assumendo tutti i relativi obblighi, in esercizio di un diritto potestativo ex lege a fronte del quale il terzo contraente si trova in una situazione di mera soggezione [51]. Pertanto, se l’effetto di un contratto precedentemente concluso dal proposto assoggetta la società attinta dalla misura ad influenza dominante altrui, la procedura può legittimamente svincolarsi da tale influenza. Lo stesso può dirsi qualora l’esercizio attivo di influenza dominante sui terzi contrasti con la gestione della società sequestrata, perché ad esempio sussistono elementi tali da far ritenere che anche il terzo operi in con­dizioni di illiceità.

Il rischio che si profila è che a causa della risoluzione dei suddetti contratti, vengano meno le condizioni di esistenza della società o comunque venga a mancare un apporto cruciale all’operatività della stessa. Tuttavia, l’obiettivo della disciplina speciale è proprio quello di eliminare le condizioni di operatività illecita della impresa e a tal fine il Codice Antimafia contempla un complesso di regole e di strumenti eccezionali [52], tra cui le misure di coordinamento e di collaborazione tra imprese soggette a misure di prevenzione [53] che possono dar luogo, come meglio si dirà, ad una particolare forma di controllo con­trattuale conseguenza della misura di sequestro [54].


5. La rilevanza della nozione di collegamento societario: il concetto di influenza notevole e le conseguenze sulla gestione della società.

Il Codice Antimafia non attribuisce rilievo esplicito alla nozione di collega­mento societario di cui all’art. 2359, terzo comma, c.c. [55], attribuendo di conseguenza all’interprete il compito di valutarne la rilevanza nell’ambito della di­sciplina del c.a.m.

Il tema si pone sia nel caso in cui alla partecipazione sequestrata corrisponda una influenza notevole ai sensi dell’art. 2359, primo comma, n. 3, c.c., sia nel caso in cui la società attinta dalla misura di prevenzione, al momento dell’intervento della misura medesima, eserciti o subisca una influenza notevole.

Quanto al primo tema, si rammenti come l’art. 41, comma 1-ter, c.a.m. pre­veda che la revoca dell’amministratore della società e la nomina di un nuovo amministratore che sia espressione della procedura possa aver luogo «qualora il sequestro abbia a oggetto partecipazioni societarie che assicurino le maggioranze previste dall’articolo 2359 del codice civile» e specularmente il comma 1-septies della medesima disposizione stabilisce che «qualora il sequestro abbia ad oggetto partecipazioni societarie che non assicurino le maggioranze previste dall’articolo 2359 del codice civile, il tribunale impartisce le opportune direttive all’amministratore giudiziario». L’art. 2359 c.c. fa esplicitamente riferimento alla «maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria» solo nell’ipotesi di controllo interno di diritto: ci si chiede se l’utilizzo del plurale da parte dell’art. 41 c.a.m. («le maggioranze di cui all’art. 2359 c.c.») sia volto a ricomprendere nella fattispecie solo l’ipotesi della partecipazione attributiva di influenza dominante o anche quella cui corrisponde l’esercizio di influenza notevole.

Quanto al secondo tema, invece, si rileva come la dottrina concorde ritenga la relazione di collegamento societario, a differenza della relazione di controllo, unilaterale [56] o, che è lo stesso, asimmetrica [57]: la rilevanza del collegamento nel codice civile – che attiene essenzialmente alla disciplina del bilancio di esercizio e ai conseguenti oneri dichiarativi posti a carico della società che esercita l’influenza notevole (artt. 2424, 2425, 2426, primo comma, nn. 3 e 4, 2427 nn. 5 e 9, 2427-bis, primo comma, n. 2, 2428, terzo comma, n. 2 e 2429, terzo comma, c.c.) – riguarda solo il soggetto attivo del collegamento, non anche la società collegata [58]. Tuttavia, non può certamente ritenersi irrilevante ai fini della disciplina speciale del Codice Antimafia la circostanza che la società attinta dalla misura sia collegata, e dunque subisca l’influenza notevole di un terzo, il cui interesse potrebbe contrastare con quello della procedura.

I problemi di intersezione tra disciplina comune e disciplina speciale possono essere affrontati solo chiarendo il concetto di influenza notevole, in modo da identificare le conseguenze che la manifestazione di tale influenza provoca nella gestione della società attinta dalla misura. L’influenza notevole consiste in un potere che una società è in grado di esercitare nei confronti di un’al­tra, che rispetto all’influenza dominante si connota per una minore intensità [59]. Proprio a causa della sfuggevolezza del concetto, l’influenza notevole si presume in presenza della disponibilità di un quinto dei voti in assemblea ordinaria ovvero di un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati [60]. Oltre a ritenersi ammissibile la prova contraria [61], principalmente connessa alla circostanza che sulla medesima società presuntivamente collegata un’al­tra società eserciti parallelamente il controllo ai sensi dell’art. 2359, primo comma, c.c., si ritiene che anche una partecipazione sotto soglia possa comun­que attribuire influenza notevole a chi la detiene [62]. Ciò accade quando il potere derivante dalla partecipazione è integrato da circostanze esterne, quali frazionamento del capitale sociale, assenteismo dei soci o patti parasociali che ne potenziano l’influenza, al punto tale che la stessa possa qualificarsi come “notevole”. L’essenza di tale influenza si ravvisa, in sostanza nell’esistenza di una congiunzione di interessi tra le società coinvolte, tale per cui la società collegata tenga conto di tali interessi nella gestione, senza tuttavia che la sua attività sia stabilmente determinata dalla società partecipante [63].

Il collegamento non può quindi manifestarsi con la nomina della maggioranza degli amministratori [64], ma può comportare la nomina di un numero di amministratori inferiore alla metà che determini una comunanza di interessi tra le società. Ne discende che l’influenza notevole costituisce una quaestio facti da accertare caso per caso [65], che può esprimersi anche in maniera episodica e discontinua, purché non del tutto occasionale [66].

Alla luce di quanto detto, appare chiaro che nel caso in cui venga sequestrata una partecipazione cui corrisponde l’esercizio in concreto di una influenza notevole sulla società, l’amministratore giudiziario non potrà subentrare nella gestione della società medesima ai sensi dell’art. 41, comma 1-ter, c.a.m., posto che tale influenza non è sufficiente a determinare la modifica del governo societario, applicandosi quindi la previsione di cui al menzionato art. 41, com­ma 1-septies, c.a.m.

Quanto invece al diverso scenario in cui la società attinta dalla misura erediti una situazione di influenza notevole attiva o passiva da parte della gestione del prevenuto occorre distinguere. Se la società esercita influenza notevole su un’altra società, l’esercizio dovrà essere orientato in funzione degli interessi e delle finalità della procedura. Se invece al momento del sequestro della partecipazione si accerta che la società è soggetta ad influenza notevole da parte di un terzo estraneo, si può ragionevolmente ritenere, al fine di garantire l’effi­cacia della misura, che tale influenza debba cessare con la nomina del nuovo amministratore. Infatti, posto che il collegamento è ordinariamente consentito dall’organo amministrativo della società collegata che accetta la congiunzione di interessi con la società partecipante, la nuova gestione non potrà avallare in­teressi estranei che contrastino con il nuovo interesse pubblico prioritario di bo­nifica dell’impresa illecita.


6. L’ipotesi di sequestro di partecipazioni di società soggette ad una nozione di controllo derivante dalla legislazione speciale.

L’art. 41, comma 1-ter, c.a.m. reca un rinvio alle «maggioranze previste dal­l’art. 2359 del codice civile». Occorre indagare dunque l’ipotesi che ad essere sequestrate siano delle partecipazioni in società soggette ad una disciplina speciale di controllo [67]. Se infatti si riconducesse esclusivamente alla nozione codicistica esplicitamente richiamata l’applicazione delle speciali regole del c.a.m., si rischierebbe di negare rilievo ad ipotesi rilevanti ai fini della qualificazione della fattispecie a livello settoriale.

Così delimitato il campo di indagine occorre altresì considerare come vi sia stata nel tempo una vera e propria «proliferazione delle nozioni di controllo» [68], tanto dal punto vista soggettivo, quanto oggettivo, in ragione dello scopo perseguito [69], tra cui si evidenziano quella del diritto antitrust [70], della disciplina fiscale [71], del diritto bancario [72] e finanziario [73]. Un dato costante di tutte le legislazioni, tuttavia, è il riferimento al paradigma dell’art. 2359 [74].

Senza svolgere un’analisi dettagliata delle singole disposizioni, il riferimento di ciascuna al paradigma codicistico consente senz’altro di ritenere ogni loro ulteriore specificazione per un verso ricompresa entro quest’ultimo e per l’altro utilmente applicabile alla fattispecie di riferimento del c.a.m. In altri termini il rinvio fatto alla disciplina del codice civile, nella duplice accezione del controllo di diritto e di fatto sopra esaminate, deve essere intesa anche quale riferimento alle singole applicazioni che di questa regola vengono fatte in seno alle legislazioni speciali, con il risultato di ritenere ricomprese nella nozione di controllo di fatto anche tutte le ipotesi ivi descritte. Più in generale, il richiamo al codice civile va letto come un ampio riferimento alle diverse discipline settoriali che regolano l’attività di impresa, dovendosi il c.a.m. ritenere norma prevalente anche su queste ultime, applicabili in via residuale [75].


7. L’ampliamento della nozione di controllo: il controllo derivante dalle misure di prevenzione.

Una volta assunto il controllo della società attinta dalla misura, è possibile che le modalità di gestione dell’azienda previste dalla disciplina del Codice Antimafia comportino il verificarsi di ulteriori situazioni di controllo che non sono presupposto, bensì conseguenza, della misura di sequestro.

In particolare, è frequente la prassi di affidare allo stesso amministratore giudiziario più incarichi al fine di massimizzare l’efficienza della gestione e di evitare diseconomie. È ben comprensibile, quindi, come la stessa figura professionale possa trovarsi a gestire un numero consistente di aziende dove l’unità è rappresentata dal procedimento di prevenzione, funzionalmente alla realizzazione dell’obiettivo di cooperazione tra le realtà attinte. In tal senso milita anche la tendenza invalsa nei tribunali di propendere per una lettura estensiva del limite di tre incarichi per ciascun amministratore giudiziario, sicché nel procedimento a carico di un unico soggetto la gestione della pluralità di società a questo riconducibili viene ritenuta equivalente ad un solo incarico, considerando il gruppo un’impresa unitaria. Gli organi della procedura possono infatti optare per una gestione unitaria delle imprese sottoposte a sequestro in modo tale da assicurare l’ottenimento di economie di scala e da trarne la massima utilità in termini di potenziale reimpiego per finalità sociali.

Sul punto, il Codice Antimafia prevede particolari misure di coordinamento e di collaborazione tra imprese soggette a misure di prevenzione [76], che rientrano tra gli “obblighi specifici” dell’amministratore di nomina giudiziaria, al fine di consentire la sopravvivenza di ciascuna impresa ed evitarne l’isolamen­to, come spesso accade nei contesti particolarmente difficili. Infatti, come già evidenziato va considerato che la gestione delle aziende ai sensi del Codice Antimafia non è unicamente ispirata dalla natura cautelare e provvisoria della misura, ma risponde altresì ad un interesse pubblico prioritario, che si identifica tanto nell’intenzione di recidere il legame tra il proposto e la res – evitando che questa possa tornare nelle mani della criminalità organizzata – quanto nella bonifica dell’impresa al fine di reinserirla nel circuito economico legale e nello sforzo di valorizzazione del bene sequestrato, nella prospettiva di una eventuale restituzione del bene alla comunità.

Una prima ipotesi estensiva rispetto alla disciplina codicistica è quella in cui al medesimo amministratore giudiziario siano rimesse più società, non legate tra loro da vincoli di partecipazione, ma soggette ad una unica misura di prevenzione, che diviene elemento di raccordo tra le singole gestioni.

Accanto all’ipotesi di imprese attinte da un’unica misura di prevenzione e per ciò stesso rimesse alla gestione del medesimo amministratore giudiziario, si identifica una fattispecie assolutamente peculiare, legata alla previsione di cui all’art. 41 quater, terzo comma, c.a.m. [77] secondo cui è possibile avvalersi del supporto tecnico delle camere di commercio per favorire il collegamento del­l’azienda sequestrata o confiscata in raggruppamenti e in reti d’impresa. In particolare, il contratto di rete risulta il tipo negoziale d’elezione anche a mente della strategia nazionale per la valorizzazione dei beni confiscati attraverso le politiche di coesione [78]. Quest’ultima, nell’individuare le azioni necessarie a dare attuazione a ciascuno dei tre obiettivi specifici [79] onera il Ministero dello Sviluppo Economico del compito di fornire sostegno alla creazione di contratti di rete (e di filiera, per quanto attiene al settore agroalimentare) [80]. L’adesione al contratto di rete da parte dell’ecosistema delle aziende sequestrate o confiscate consente di creare una massa critica e di raggiungere eventuali requisiti tecnico-economici, permettendo ai soggetti istituzionali che operano nel sistema della prevenzione di soddisfare una molteplicità di obiettivi attraverso lo svolgimento di attività economicamente produttive, vieppiù quando si tratti di opere pubbliche, per salvaguardare la continuità aziendale e i livelli occupazionali [81].

Si configura pertanto anche una seconda ipotesi estensiva della nozione di controllo, per certi aspetti assimilabile a quella, non richiamata, di cui all’art. 2359 n. 3, c.c. [82], non antecedente alla procedura, bensì conseguenza di essa. Il controllo si pone dunque sia quale presupposto che quale possibile conseguenza di una misura di sequestro.


8. Conclusioni.

Essenza del controllo è dunque l’esercizio di una “influenza dominante” da parte della controllante nei confronti della controllata [83]. Tratti caratterizzanti della relazione di controllo societario sono la potenzialità e la stabilità, nel senso di costituire una situazione ricorrente, non legata a mere circostanze episodiche [84]. Il controllo si sostanzia quindi in un fenomeno che potrebbe definirsi “naturalistico” e che è legato alla circostanza che un soggetto sia in grado di esercitare su un altro soggetto un’influenza tale da dirigerne la volontà. L’art. 2359 c.c. ha tuttavia nel tempo acquisito un rilievo ben più ampio di quello attribuitogli dal codice civile quale presupposto dell’applicazione della disciplina in materia di operazioni sul capitale delle società legate dal rapporto di controllo [85], al punto da rappresentare la “regola del controllo”, cui il legislatore opera puntualmente rinvio quando nell’ambito di legislazioni di settore assume rilievo, ai più disparati fini, il rapporto di controllo intercorrente tra due soggetti, non necessariamente societari. In questo senso, come visto anche il Codice Antimafia all’art. 41, comma 1-ter rinvia alle «maggioranze previste dall’articolo 2359 del codice civile», prevedendo, nel caso di sequestro di una partecipazione di controllo, il subentro della procedura nel governo societario e una possibile causa di revoca dell’amministratore della società.

Anche nel contesto del Codice Antimafia si conferma quindi il ruolo sistematico della “regola del controllo” di cui all’art. 2359 c.c., operante, come si è visto, solo con riferimento alle ipotesi di controllo da partecipazione. Il rinvio, in altri termini, ha valenza definitoria, serve cioè ad indicare la consistenza che la partecipazione sequestrata deve avere al fine di consentire alla procedura di subentrare nel governo della società e quindi di acquisire a tutti gli effetti l’am­ministrazione dell’azienda, senza che dal rinvio derivino ulteriori conseguenze diverse rispetto all’applicazione nei rapporti tra procedura controllante e società controllata della disciplina del codice civile o di altre legislazioni speciali.

Il c.a.m. prevede dunque che la particolare disciplina dell’art. 41, comma 1-ter, c.a.m. si applichi sia nelle ipotesi di possesso della maggioranza che in quella di partecipazioni che assicurino comunque un’influenza dominante in as­semblea, anche rispetto alle specifiche applicazioni che nella disciplina settoriale vengono individuate quali espressione di un controllo “di fatto”. Un’in­terpretazione che escludesse la possibilità di determinare le conseguenze di cui all’art. 41 nelle ipotesi in cui, di diritto o di fatto, il possesso delle quote sequestrate lo determinerebbe, non sarebbe d’altra parte in linea con la volontà del c.a.m., che è quella di sostituire il prevenuto, in tutto e per tutto, nei suoi poteri di direzione dell’impresa intesa in senso unitario.

In conclusione, il controllo rilevante nel c.a.m. non può prescindere dalla disponibilità in capo all’amministratore giudiziario della partecipazione societaria sequestrata. Al contempo la fattispecie del controllo, in particolare se si tratta di un controllo di fatto, va coniugata con la peculiare posizione dell’am­ministratore giudiziario che non eredita automaticamente la posizione del socio prevenuto in forza di circostanze ulteriori alla partecipazione, posto che tali circostanze potrebbero venir meno proprio a seguito del suo ingresso nella com­pagine sociale: in altri termini il controllo sussiste solo se, a seguito del sequestro, alla gestione del prevenuto è in grado di sostituirsi quella designata dalla procedura, permanendo il controllo, di diritto o di fatto, sulla società [86].

 


NOTE

[1] Sulla distinta autonomia delle singole imprese del gruppo, in generale, App. Roma, 6 novembre 2008: «In materia societaria, il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo non comporta il venir meno dell’autonomia delle singole società, ciascuna delle quali è dotata di personalità giuridica distinta ed è esclusiva titolare dei rapporti distintamente istaurati. Tale collegamento, pertanto, non è di per sé solo sufficiente a far ritenere esistente un unico centro di imputazione, sì da consentire ai terzi di agire indifferentemente nei confronti di una qualsiasi delle società del gruppo». In materia di diritto del lavoro, Cass. civ., Sez. lav., 9 gennaio 2019, n. 267: «Il collegamento economico-funzionale tra imprese di un medesimo gruppo non comporta il venir meno dell’autonomia delle singole società dotate di personalità giuridica distinta e non determina “ex se” l’estensione degli obblighi inerenti al rapporto di lavoro con una di esse alle altre dello stesso gruppo»; Trib. Genova, 17 febbraio 2009: «Perché due o più società facenti parte di un gruppo o aventi la stessa compagine sociale, pur essendo autonomamente dotate di personalità giuridica distinta, possano invece ritenersi un’unica entità organizzativa e quindi unico centro di imputazione di rapporti giuridici, occorre una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’uni­ca attività fra vari soggetti, da accertarsi attraverso un giudizio di merito, incensurabile in sede di legittimità se sorretto da adeguata motivazione, delle attività delle singole imprese». In materia fallimentare Trib. Roma, 2 gennaio 2015: «In materia societaria, l’esistenza di un gruppo non determina il venir meno dell’autonomia giuridica ed economica delle singole società che lo compongono, per cui è possibile che l’una sia insolvente mentre l’altra prosegue normalmente l’attività sociale», cfr. Trib. Roma, 5 gennaio 2015; Cass. civ., Sez. I, 19 maggio 2011, n. 11059; Cass. civ., Sez. I, 21 aprile 2011, n. 9260.

[2] L’attività di direzione e coordinamento è una situazione di fatto. In tal senso: A. Valzer, Commento all’art. 2497, in Le società per azioni. Codice civile e norme complementari, diretto da P. Abbadessa, G.B. Portale, Milano, Giuffrè, 2016, 3008 ss.; A. Valzer, Il potere di direzione e coordinamento di società tra fatto e contratto, in Il nuovo diritto delle società. Liber Amicorum G.F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa, G. B. Portale, 3, Torino, Utet, 2007, 834; G. Scognamiglio, Commento all’art. 2497, in Commentario del codice civile, Delle società, Del­l’azienda, Della concorrenza, diretto da E. Gabrielli, a cura di D.U. Santosuosso, Torino, Utet, 2015, 1096 ss.; G. Scognamiglio, Motivazioni delle decisioni e governo del gruppo, in Riv. dir. civ., 2009, VI, 757 ss. È ritenuta necessaria una attività sistematica e continua, quindi, non appaiono sufficienti sporadiche direttive: così F. Galgano, G. Sbisà, Direzione e coordinamento di società. Art. 2497-2497 septies in Commentario del Codice Civile e codici collegati Scialoja-Branca-Galgano, a cura di G. De Nova, Bologna, Zanichelli, 2014, 108, ma una costante pluralità di atti di indirizzo che incidono sulla conduzione degli affari sociali, in tal senso P. Montalenti, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in Riv. soc., 2007, I, 317; D. Scarpa, Controllo societario nel fenomeno dei gruppi tra contrattualismo e interesse sociale, in Contr. impr., 2011, 656; U. Tombari, Diritto dei gruppi di imprese, Milano, Giuffrè, 2010, 25.

[3] Tale distinzione risale ai primi studi del fenomeno del gruppo cfr. G. Frè, Società per azioni in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro italiano, 1956.

[4] A titolo esemplificativo e non esaustivo si pensi all’art. 7 della l. n. 287/1990 in materia antitrust; all’art. 93 del T.U.F.; all’art. 23 del T.U.B.; all’art. 2 del T.U.S.P.P.; all’art. 26 del d. lgs. n. 127/1991 in materia di bilancio consolidato.

[5] Sul punto sia consentito il rinvio ad A. Palazzolo, L’impresa in amministrazione giudiziaria tra Stato e mercato, Disciplina settoriale e diritto comune, Torino, Giappichelli, 2020, 1 ss.

[6] Nel sistema delineato dal Codice Antimafia l’amministrazione dei beni colpiti da tali misure può dividersi due fasi. La prima va dal decreto di sequestro fino alla confisca di secondo grado, durante cui l’amministrazione spetta all’autorità giudiziaria, nella figura del Tribunale, del giudice delegato e dell’amministratore giudiziario. La confisca di primo grado, pronunciata all’esito di un contraddittorio assicura al sequestro maggiore stabilità; da quest’ultima alla confisca di secondo grado la gestione è collaudata e maggiori sono le probabilità che il procedimento sfoci in una confisca definitiva, perciò la programmazione circa la destinazione può essere accelerata ed è possibile un affidamento provvisorio sotto l’impulso dell’Agenzia Nazionale dei beni sequestrati e confiscati (ANBSC). A partire dalla confisca di secondo grado avviene il subentro nell’amministrazione da parte dell’ANBSC, che gestisce direttamente i beni in vista di una loro futura destinazione.

[7] Nel vigore della l. 31 maggio 1965, n. 575 non era prevista l’estensione di “diritto” della misura patrimoniale sulle azioni o quote anche al “patrimonio aziendale”. Si tratta di un principio elaborato in giurisprudenza e recepito nel Codice Antimafia. Si veda Cass. pen., sez. V, 8 marzo 2019, n. 32017 «In tema di misure di prevenzione patrimoniali, la confisca disposta ai sensi dell’art. 2-ter l. 31 maggio 1965, n. 575, di una impresa costituita in forma societaria che abbia stabilmente operato avvalendosi della forza di intimidazione di un’associazione mafiosa o, comunque, in cointeressenza con essa, si estende a tutto il patrimonio aziendale e a tutto il capitale sociale (ivi comprese le quote sociali intestate a terzi), nonostante l’origine lecita dei fondi impiegati per la sottoscrizione delle quote, laddove sia accertata la disponibilità sostanziale della impresa da parte del proposto o l’attività economica risulti condotta, sin dall’inizio, con mezzi illeciti». Cfr. Cass. pen., sez. III, 7 novembre 2007, n. 6444; Cass. pen., sez. II, 11 febbraio 2015, n. 9774; Cass. pen., sez. V, 23 gennaio 2014, n. 16311.

[8] Tra i maggiori studi sul tema: B. Visentini, voce Azioni di società, in Enc. dir., IV, Milano, Giuffrè, 1959, 967; M. Lamandini, Il controllo. Nozioni e tipo nella legislazione economica, Milano, Giuffrè, 1995; J. Bertone, M. Notari, Commento all’art. 2359, in Azioni, Commentario alla riforma delle società, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Milano, Egea-Giuffrè, 2008; G. Guizzi, Partecipazioni qualificate e gruppi di società, in Aa. Vv., Diritto delle società di capitali4, Milano, Giuffrè, 2008.

[9] F. Carbonetti, Art. 2359 in Commentario Romano al nuovo diritto delle società, diretto da F. d’Alessandro, II, Padova, Piccin, 2010, 376 «Accanto alla nozione codicistica, numerose leggi speciali configurano proprie nozioni di controllo. Si tratta perlopiù e, a volte, di modeste estensioni della nozione codicistica: si vedano, ad esempio, l’art. 26 del d.lgs. 9 aprile 1991, n. 127 sul bilancio consolidato, l’art. 23 del t.u.b., l’art. 93 del t.u.f., l’art. 6 comma 2 e comma 3 del d. lgs. 17 maggio 1999, n. 153 in tema di fondazioni bancarie. Altre volte la legge speciale diverge in modo più radicale dal codice civile: così l’art. 7 della l. 10 ottobre 1990, n. 287 in tema di concorrenza adotta una nozione di controllo che ricomprende il controllo congiunto, che è invece estraneo, come vedremo, alla nozione codicistica».

[10] A. Pavone La Rosa, Le società controllate, I gruppi, in Trattato Colombo-Portale, II, Torino, Utet, 1991, 589.

[11] A. Maffei Alberti, Art. 2359, in Commentario breve al diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, Milano-Padova, Wolters Kluwer-Cedam, 2017, 495 ed ivi per ulteriori riferimenti.

[12] Problema diverso ma in parte collegato a quello in esame è l’ipotesi che i poteri di controllo siano esercitati nelle s.r.l. in forza di diritti particolari previsti ai sensi dell’art. 2468 c.c. nello statuto a favore di un socio. In tali ipotesi ove questo si identifichi nel socio prevenuto l’am­ministratore giudiziario vi subentrerà, mentre occorre verificare se tale clausola continui ad operare quando sia sequestrata una quota di maggioranza e sia invece rimesso statutariamente ad altro soggetto l’esercizio di poteri amministrativi. Tale situazione potrebbe infatti confliggere con le finalità della misura, sicché si ipotizza una disapplicazione ovvero una estraneità della norma statutaria rispetto al regime di amministrazione giudiziaria. Sul punto più diffusamente sia consentito un rinvio ad A. Palazzolo (nt. 5), 255 ss. Su un tema diverso la Corte di Cassazione ha recentemente ritenuto che la clausola compromissoria statutaria non vincoli lo Stato succeduto nella partecipazione a seguito di confisca, muovendo dalla natura volontaristica della clausola arbitrale e dalla diversa genesi dell’acquisto da parte dello Stato (cfr. Cass. civ., sez. VI, 4 marzo 2021, n. 6068).

[13] La formulazione originaria dell’art. 2359 c.c. non contemplava espressamente l’ipotesi del controllo interno di fatto, che nel vigore del vecchio testo era stato messo in dubbio dalla giurisprudenza (Cass. civ., 9 dicembre 1958, n. 3856, in Foro it., 1958, 1786). L’art. 2359 c.c. è stato poi modificato dalla l. 7 giugno 1974, n. 216 che oltre a distinguere espressamente il controllo interno di fatto e di diritto ha anche introdotto la nozione di collegamento societario; e da ultimo dall’art. 1 del d. lgs. 9 aprile 1991, n. 127 di recepimento delle direttive comunitarie nn. 78/660 e 83/349 in materia di bilanci consolidati.

[14] J. Bertone, M. Notari, (nt. 8), 668.

[15] Secondo l’opinione di alcuni autori il controllo interno di diritto darebbe luogo ad una presunzione assoluta, ammettendosi unicamente la prova dei voti spettanti per conto di terzi (cfr. G. Frè, G. Sbisà, Società per azioni, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro italiano, 1961, 470 ss.; C. Angelici, La partecipazione azionaria nella società per azioni, in Trattato Rescigno, Torino, Utet, 1985, 333 ss.). Tuttavia, secondo le tesi più recenti si tratterebbe di una presunzione di natura relativa posto che può verificarsi il caso in cui sul controllo interno di diritto prevalga un controllo contrattuale esterno oppure che un patto parasociale spieghi sulla partecipazione di maggioranza un effetto depotenziante (cfr. F. Carbonetti (nt. 9), 380; Consob, Comunicazione 13 novembre 2003, n. 3074183).

[16] L’influenza dominante è diffusamente ritenuta “il denominatore comune” di tutte le fattispecie di controllo, vieppiù sussistente in via presuntiva nell’ipotesi del controllo di diritto, anche se non esplicitata dalla norma. Sul punto cfr. A. Pavone La Rosa, (nt. 10), 582 ove ampi riferimenti tra cui: E. Simonetto, Acquisto di azioni proprie o quote di società controllante e loro regime in Giur. comm., 1974, I, 695 ss.; C. Angelici, (nt. 15), 333 e ss.; F. Ferrara jr., F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, Giuffrè, 1987, 680.

[17] Cfr. G. Sbisà, Società per azioni, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro italiano, 1997, 465 ss. il quale osserva che in ipotesi di delega occorrerà verificare se il delegato eserciti il voto comunque nell’interesse del socio o nel proprio interesse; A. Pavone La Rosa, (nt. 10), 585, secondo cui per verificare i presupposti del controllo vanno computati sia i voti relativi ad azioni di proprietà, sia i voti spettanti al medesimo soggetto in forza di pegno o usufrutto anche congiuntamente; J. Bertone, M. Notari, (nt. 8), 669, i quali evidenziano che non vanno computate le azioni di risparmio; G. Frè, G. Sbisà, (nt. 15), 470 ss., secondo cui l’art. 2359 c.c. riferendosi alla maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria prescinde da eventuali quorum statutari diversi; cfr. F. Carbonetti (nt. 9), 377, secondo cui nel computo dei voti attribuenti il controllo vanno inclusi i diritti di nomina di un amministratore attribuiti ai titolari di strumenti finanziari partecipativi ex art. 2351 ult. comma c.c.

[18] Sul controllo indiretto diffusamente F. Galgano, I gruppi di società, in Le società, diretto da F. Galgano, Torino, Utet, 2001, 27 ss.

[19] In generale, sul voto esercitato dal custode in caso di sequestro della partecipazione si registra un contrasto in dottrina tra chi ritiene che il controllo non si configurerebbe in capo al custode in quanto il voto viene esercitato per conto del terzo (M. Notari, La nozione di “controllo” nella disciplina antitrust, Milano, Giuffrè, 1996, 333) e chi è dell’avviso che si possa parlare di disponibilità del voto, nel senso di cui all’art. 2359 c.c., in capo al custode L.A. Bianchi, La nuova definizione di società “controllate” e “collegate”, in La nuova disciplina dei bilanci di società, a cura di M. Bussoletti, Torino, Giappichelli, 1993, 7.

[20] F. Galgano, (nt. 18), 29.

[21] J. Bertone, M. Notari, (nt. 8), 668.

[22] F. Carbonetti, (nt. 9), 378.

[23] C. Pasteris, Il “controllo” nelle società collegate e le partecipazioni reciproche, Milano, Giuffrè, 1957, 74.

[24] C. Pasteris, (nt. 23), 6 ss., secondo il quale da un punto di vista teorico non si verifica alcuna violazione del principio maggioritario posto a fondamento del funzionamento delle società di capitali considerando che a ciascuna azione corrisponde un diritto di voto; tuttavia secondo l’Autore il socio non è spesso posto in condizione di esercitare consapevolmente il proprio diritto, dando luogo al controllo di minoranza.

[25] Contra L. Schiuma, Controllo, governo e partecipazione al capitale, Padova, Cedam, 1997, 38, che sostiene che l’influenza dominante deriva dalla grandezza della partecipazione al capitale o da particolari vincoli contrattuali: tertium non datur.

[26] L. Schiuma, (nt. 25), 105.

[27] G. Frè, G. Sbisà, (nt. 15), 474; C. Pasteris, (nt. 23), 35.

[28] C. Pasteris, (nt. 23), 35.

[29] Cfr. Consob, Comunicazione 13 novembre 2003, n. 3074183; l’arco di tempo ragionevolmente significativo viene individuato in due esercizi da G. Mollo, D. Montesanto, Il controllo societario nel Testo unico della Finanza, Problemi e prospettive di riforma, in Quaderni giuridici Consob, 2015, 45.

[30] Emblematico in tal senso il noto caso Vivendi in cui la SA francese azionista per il 23,94% di Telecom Italia s.p.a. è stata ritenuta dalla Consob, nella comunicazione n. 0106341 del 13 settembre 2017, controllante di fatto di Telecom ai sensi dell’art. 2359, primo comma, n. 2, c.c., dell’art. 93 T.U.F., nonché del Regolamento Consob in materia di operazioni con parti correlate, in quanto con la sua partecipazione aveva nominato i 2/3 dei componenti del nuovo consiglio di amministrazione nel corso dell’assemblea del 4 maggio 2017 ed in quanto aveva altresì svolto altre operazioni rivelatrici del suo potere di direzione e coordinamento nei confronti di Telecom, tra cui tra le più rilevanti militava l’impegno assunto da Vivendi di cedere le azioni detenute da Telecom in Persidera S.p.A. Tuttavia, a stretto giro a seguito della men­zionata comunicazione Consob la struttura della compagine azionaria mutava notevolmente a seguito dell’acquisizione da parte del Fondo statunitense Elliot di una partecipazione pari al 8,85%, in grado con la propria lista di attrarre gli interessi degli investitori istituzionali e dell’azionariato polverizzato, e dell’ac­quisizione di una partecipazione pari al 4,3% da parte di Cassa Depositi e Prestiti, con finalità di tutela degli interessi nazionali. A tal punto che all’assemblea del 4 maggio 2018, il Fondo Elliot ottiene la nomina dei 2/3 del nuovo consiglio di amministrazione. Da notarsi che con una recente pronuncia del 14 dicembre 2020 il Consiglio di Stato ha accolto l’appello proposto da Telecom e Vivendi nei confronti della sentenza del Tar Lazio del 17 aprile 2019, annullando la comunicazione con la quale Consob aveva qualificato in termini di controllo di fatto il rapporto tra Vivendi e Tim, a causa del mancato rispetto del contraddittorio procedimentale da parte della Consob (cfr. Tim: Consiglio di Stato annulla delibera Consob su controllo Vivendi (RCO) https://www.ilsole24ore.com/radiocor/nRC_14.12.2020_13.31_37310373).

[31] La frase è tratta da: J. Bertone, M. Notari, (nt. 8), 701; nello stesso senso P. Montalenti, (nt. 2), 315.

[32] N. Rondinone, I gruppi di imprese tra diritto comune e diritto speciale in Collana della Riv. soc., a cura di A. Mignoli, G. Rossi, Milano, Giuffrè, 1999, 165 ed ivi per ulteriori riferimenti; F. Carbonetti, (nt. 9), 378.

[33] In linea con la ratio degli art. 2359-bis ss. c.c., posto che le conseguenze che il codice civile ricollega alla nozione di controllo assumono carattere “preventivo” dei rischi delle possibili disfunzioni amministrative afferenti al funzionamento degli organi sociali e delle diluizioni di capitale conseguenti agli incroci di partecipazioni A. Pavone La Rosa, (nt. 10), 586.

[34] L’espressione riportata è di F. Galgano, (nt. 18), 26; nello stesso senso A. Pavone La Rosa, (nt. 10), 582; N. Rondinone, (nt. 32), 164.

[35] Come visto ad esempio nel caso Vivendi, supra nt. 28.

[36] Con la Consob, Comunicazione 13 novembre 2003, n. 3074183, resa in occasione del mancato consolidamento integrale del bilancio di Telecom Italia (già Olivetti) nel bilancio con­solidato di Pirelli, la Consob ha enucleato gli indici da valutare ai fini della qualificazione di una partecipazione di minoranza come partecipazione attributiva del controllo di fatto:

– le assemblee da prendere come riferimento sono le assemblee ordinarie di particolare significatività (nomina degli amministratori, approvazione bilancio);

– la quota di partecipazione idonea ad assicurare l’influenza dominante è variabile perché dipende dalla situazione di fatto in cui la società si trova e, in particolare, dal grado di frazionamento della compagine sociale e dal livello di usuale assenteismo dei soci titolari di quote più esigue;

– non si deve trattare di un controllo occasionale, dovuto ad una situazione contingente, ma si deve trattare di una situazione giuridica relativamente stabile;

– tale relativa stabilità dovrà essere accertata necessariamente attraverso un’analisi dell’an­damento delle assemblee della partecipata per un arco di tempo ragionevolmente significativo, che non deve necessariamente essere successivo al momento in cui il presunto controllante abbia acquisito la partecipazione;

– si ritiene, invece, necessario che venga effettuata un’indagine anche sulle passate vicende assembleari, per analizzare la percentuale di voti che è stata mediamente necessaria per raggiungere il quorum deliberativo. Tale analisi sul passato sarà significativa solo nelle ipotesi in cui, oltre all’acquisto della partecipazione rilevante che deve essere valutata ai fini di una sua eventuale qualificazione come partecipazione di controllo, non vi siano stati altri mutamenti sostanziali nell’azionariato;

– con riguardo alle società con azioni quotate, occorrerà infine verificare se siano rimasti sostanzialmente immutati gli azionisti rilevanti con partecipazioni superiori al 2%, se quindi il c.d. flottante sia rimasto sostanzialmente il medesimo.

[37] Così J. Bertone, M. Notari, (nt. 8), 678; F. Carbonetti, (nt. 9), 379 «si pensi ad un patto cui sia stata conferita la maggioranza del capitale, ad esempio dal socio A quanto al 30%, dal socio B quanto al 15% e dal socio C quanto al 10% e le cui regole prevedano che le decisioni sono prese a maggioranza semplice, in questa ipotesi il socio A deve considerarsi controllante (di fatto)»; F. Galgano, (nt. 18), 26.

[38] Sul punto sia consentito il rinvio ad A. Palazzolo, (nt. 5), 227 ss. Se infatti si ritenesse di attribuire rilevanza ad un sindacato di voto l’amministrazione giudiziaria sarebbe in ipotesi costretta a vincolare le proprie determinazioni, soggette al vaglio del giudice delegato, ai voleri di soggetti estranei.

[39] Ai sensi dell’art. 2359, primo comma, n. 3, c.c. sono considerate società controllate «le società che sono sotto influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa».

[40] M. Lamandini, Artt. 2359-2359 quinquies, in Società di capitali, Commentario, a cura di G. Niccolini, A. Stagno D’Alcontres, Napoli, Jovene, 2004, 396, secondo il quale il controllo plurimo disgiunto si configura quando alla detenzione di una partecipazione azionaria di maggioranza, anche relativa, non corrisponde l’esercizio, nemmeno in via potenziale, dell’influenza do­minante a causa della stabile eterodirezione della società da parte di terzi in forza di contratti di dominazione c.d. deboli.

[41] E. Rimini, Il controllo contrattuale, Milano, Giuffrè, 2002, 115 ss.

[42] Si veda supra par. 2.

[43] C. Pasteris, (nt. 23), 43; E. Rimini, (nt. 41), 89 ss.; G. Scognamiglio, Autonomia e co­ordinamento nella disciplina dei gruppi di società, Torino, Giappichelli, 1996. Contra F. Carbonetti, (nt. 9), 377 che si attiene alla formulazione letterale dell’art. 2359 c.c.

[44] La teoria è stata elaborata da C. Pasteris, (nt. 23), 61.

[45] Sono invece esclusi dal novero dei “particolari vincoli contrattuali” i contratti c.d. di dominazione il cui oggetto consiste nell’affidare la direzione della società ad un soggetto esterno. Tali contratti (“Beherrshungsvertrag”) ammessi in Germania dalla legge azionaria, erano considerati incompatibili con il nostro ordinamento prima della novella che ha introdotto il Capo IX in materia di Direzione e coordinamento di società, in base a diverse argomentazioni: assenza di raccordo tra subordinazione e disciplina della responsabilità della società dominante, F. Galgano, (nt. 18), 33 ss.; impossibilità per la società di perseguire un interesse diverso dal proprio, P. Abbadessa, Rapporto di dominio e autonomia private nel diritto societario italiano, in Banca, borsa, tit. cred., 1999, I, 545 ss.; contrasto con il diritto all’informazione del singolo azionista ed il dovere di riservatezza circa le notizie sociali in capo agli amministratori, G. Scognamiglio, Gruppi di imprese e diritto delle società, Roma, 1989, 99 ss. Di contrario avviso, M. Lamandini, (nt. 8), 165 ss., il quale ammetteva i c.d. contratti di dominazione debole, anche prima della novella, in quanto il dominante è tenuto a rispettare i principi di diligenza e corretto perseguimento dell’interesse del dominato, rispondendo, in caso a titolo di violazione, di responsabilità contrattuale o extracontrattuale.

La disposizione dell’art. 2497-septies c.c., che al di fuori delle ipotesi di direzione e coordinamento previste dalla presunzione di cui all’art. 2497-sexies c.c., contempla l’attività di direzione e coordinamento esercitata “sulla base di un contratto” ha portato ad ammettere il contratto di dominazione quantomeno nella forma debole (A. Valzer, Il potere di direzione e coordinamento, (nt. 2), 870 ss.; F. Carbonetti, (nt. 9), 381). Tra questi si annoverano i contratti c.d. di collegamento o di coordinamento gerarchico (cfr. U. Tombari, Autonomia privata e grup­pi di imprese (Contratto di “coordinamento gerarchico”, “contratto di servizio” infragruppo e clausole statutarie come strumenti di disciplina dell’attività di direzione e coordinamento), Studio n. 248/2009, in www.notariato.it). Si segnala infine che un rapporto contrattuale di dominazione tra imprese (escluso dal novero dei “particolari vincoli contrattuali” ex art. 2359, primo comma, n. 3, c.c.) può essere istituito anche per il tramite di contratti tipici quali quelli previsti dall’art. 2545-septies c.c. in materia di gruppo cooperativo paritetico e dall’art. 37 bis del t.u.b. in materia di gruppo bancario cooperativo.

[46] G. Frè, G. Sbisà, (nt. 15), 477; secondo F. Galgano, (nt. 18), 33 le stesse clausole sarebbero nulle se non inserite nel relativo contratto d’impresa in quanto costituirebbero un contratto di dominazione atipico non meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322, secondo comma, c.c.

[47] In passato secondo la dottrina tradizionale la posizione di dipendenza economica di una società nei confronti di un’altra esauriva la fattispecie del controllo contrattuale e si considerava presuntivamente connessa a talune categorie di contratti quali i contratti di agenzia, di fornitura di merci in esclusiva, di franchising, di licenza di brevetto e di know how, di concessione di vendita, di commissione, di licenza di produzione o di commercializzazione A. Pavone La Rosa, (nt. 10), 584; C. Angelici, (nt. 15), 334.

[48] All’orientamento più risalente si contrappone la tesi secondo cui il controllo contrattuale non può ricollegarsi alla tipologia contrattuale, ma dipende dal suo effettivo contenuto e dal potere di ingerenza che in forza del contratto e in concreto viene esercitato (G. Sbisà, Società controllate e società collegate, in Contr. impr., 1997, 342).

In questo senso, Cass. civ., sez. I, 27 settembre 2001, n. 12094, in Società, 2002, 316, secondo la quale, «escluso che nel quadro attuale della normativa di riferimento esista una specifica tipologia di contratti di dominio o di controllo di impresa e dovendosi desumere il carattere “esistenziale” del vincolo non dal tipo di contratto ma dal concreto atteggiarsi del suo contenuto, che lo renda, nel caso singolo, vitale per la controllata, ne consegue che l’accertamento circa l’attitudine o meno di un dato rapporto negoziale a porre una delle parti in quella particolare situazione di predominio caratteristica del controllo esterno, ex art. 2359, n. 3, c.c., si risolve, in definitiva, in una quaestio facti». Analogamente Trib. Palermo, 3 giugno 2010 «la configurabilità del controllo esterno di una società su di un’altra e la conseguente presunzione di direzione e coordinamento esercitata dalla prima nei confronti della seconda, postulano l’esistenza di rapporti contrattuali la cui costituzione ed il cui perdurare rappresentino la condizione di esistenza e di sopravvivenza della capacità di impresa della società controllata (nella specie, il tri­bunale ha escluso che ricorra tale presupposto qualora il contratto di concessione di vendita in­tercorrente tra due società non preveda alcuna esclusiva e lasci al distributore una notevole autonomia quanto alle attività di vendita e di marketing)».

[49] Il dato letterale dell’art. 2359 c.c. anche a confronto con la legislazione speciale (art. 7, l. n. 287/1990 e artt. 26 e 28, del d. lgs. n. 127/1991) è ritenuto determinante dalla dottrina al fine di ritenere necessaria l’effettività del controllo contrattuale M. Lamandini, (nt. 8), 53; E. Rimini, (nt. 41), 19.

[50] In tal senso, P. Jaeger, F. Denozza, Appunti di diritto commerciale, Milano, Giuffrè, 2000, 285, secondo i quali l’influenza dominante sussiste sempre quando esiste il potere, anche se questo non viene di fatto esercitato; M. Notari, (nt. 19), 280.

In via prudenziale, data la funzione della disciplina del c.a.m. è ragionevole ritenere che l’am­ministratore giudiziario debba anche considerare situazioni di controllo contrattuale potenziale nell’ottica di valutare prospetticamente «le concrete possibilità di prosecuzione o di ripresa del­l’attività» ai sensi dell’art. 41, primo comma, c.a.m.

[51] Sul punto sia consentito il rinvio ad A. Palazzolo, (nt. 5), 93 ss.

[52] Tra cui ad esempio gli strumenti finanziari per la gestione e la valorizzazione delle azien­de sequestrate e confiscate ex art. 41-bis c.a.m.

[53] I raggruppamenti e le reti d’impresa tra aziende sequestrate o confiscate favoriti dall’art. 41-quater, terzo comma, con il supporto tecnico delle camere di commercio; ai sensi dell’art. del­l’art. 41, comma 2-ter, c.a.m. l’affitto o comodato «in via prioritaria» a favore di imprenditori attivi nel medesimo settore o settori affini a quelli in cui opera l’azienda sequestrata nonché di enti, associazioni e altri soggetti operanti «per finalità istituzionali o sociali ovvero economiche, con vincolo di reimpiego dei proventi per finalità sociali» e di cooperative di lavoratori di­pendenti dell’impresa; ai sensi dell’art. 41-quater c.a.m., il coinvolgimento nella gestione del­l’azienda di imprenditori attivi nel medesimo o in settori affini.

[54] Si veda infra par. 7.

[55] Art. 2359, terzo comma, c.c. «Sono considerate collegate le società sulle quali un’altra società esercita un’influenza notevole. L’influenza si presume quando nell’assemblea ordinaria può essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la società ha azioni quotate in mercati regolamentati». Da notarsi che l’art. 2359 c.c. nella sua originaria formulazione non contemplava l’istituto del collegamento societario, che è stato introdotto nel testo dell’art. 2359 c.c. con la l. n. 216/1974 «Sono considerate collegate le società nelle quali si partecipa in misura superiore al decimo del loro capitale, ovvero in misura superiore al ventesimo se si tratta di società con azioni quotate in borsa»; la definizione è stata poi nuovamente modificata dall’art. 1 del d. lgs. n. 127/1991 che ha conservato la presunzione già contenuta nel vecchio testo, cambiando tuttavia l’entità della partecipazione che determina l’attivazione della presunzione, e ha introdotto il concetto di influenza notevole. Il testo della norma scaturente dalla riforma del 1991 è quello tutt’ora in vigore, salvo che per la modifica introdotta con il d. lgs. 28 dicembre 2012, n. 310, che ha sostituito il termine “borsa” con l’espressione “mercati regolamentati”.

[56] F. Carbonetti, (nt. 9), 381.

[57] G. Frè, G. Sbisà, (nt. 15), 499.

[58] J. Bertone, M. Notari, (nt. 8), 697, il quale ritiene che il collegamento dà luogo all’ap­plicazione di obblighi molto meno incisivi rispetto al collegamento, a causa della debolezza che connota l’influenza della partecipante nei confronti della partecipata.

[59] Associazione Disiano Preite, Il diritto delle società, Bologna, Il Mulino, 2009, 97 ss.

[60] F. Sudiero, Commento all’art. 2359, in Codice civile, Commentario, diretto da M. Franzoni, R. Rolli, Torino, Giappichelli, 2018, 3305.

[61] F. Carbonetti, (nt. 9), 381.

[62] F. Ferrara jr., F. Corsi, (nt. 16), 776.

[63] A. Maffei Alberti, (nt. 11), 499 ed ivi per ulteriori riferimenti.

[64] In questo caso si rientrerebbe nell’ipotesi del controllo interno di fatto che si può ben configurare, ove ne ricorrano i presupposti, anche in presenza delle percentuali di partecipazione previste per il collegamento societario (A. Pavone La Rosa, (nt. 10), 588; F. Di Sabato, Manuale delle società, Torino, Utet, 1987, 338).

[65] In tal senso assumono particolare rilievo gli orientamenti della giurisprudenza. Tra i più rilevanti si segnalano: Cass. civ., sez. III, 1 aprile 2011, n. 7554, in Giust. civ. Mass., 2011, 4, 528 «A norma dell’art. 2359, comma 3, c.c., si considerano collegate le società sulle quali un’al­tra società esercita un’influenza notevole; tale situazione – che la norma considera presunta ove nell’assemblea ordinaria possa essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo, se si tratta di società quotate in borsa – può sussistere anche in presenza di società a ristretta base azionaria e familiare, in virtù del vincolo di complicità che – secondo l’id quod plerumque accidit – connota i rapporti dei parenti di primo e secondo grado, facendone derivare intese dirette a realizzare finalità comuni. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso tale collegamento in presenza di due società, appartenenti a soggetti legati da vincolo di parentela entro il secondo grado, nelle quali uno stesso componente era titolare di un quinto del capitale di una delle società e, assieme al proprio padre, del 95 % del capitale dell’altra)»; Cass. civ., sez. II, 3 maggio 2017, n. 10726, in www.ilsocietario.it «In tema di obbligo di comunicazione alla Consob di operazioni tra società collegate, ex art. 103, comma 4, TUF, la definizione di collegamento dettata dall’art. 2359, ult. comma, c.c., è piuttosto ampia e si basa sull’unico elemento della notevole influenza di una società sull’altra (nella specie, il giudice di merito ha ritenuto, con accertamento che costituisce quaestio facti, che anche un collegamento effettuato da parte di una società tramite il controllo di diritto di una società a sua volta collegata di diritto ad altra possa dare luogo a fenomeni di influenza notevole tra le società coinvolte)».

[66] J. Bertone, M. Notari, (nt. 8), 697.

[67] Molto si è discusso in merito alla tecnica legislativa da utilizzare per definire la nozione di controllo rilevante rispetto ai singoli ambiti del diritto e alla possibilità di pervenire ad una reductio ad unum. Secondo il metodo “tipologico” elaborato da M. Lamandini, (nt. 8), 54 esiste un unico modello ontologico di controllo delimitato da un lato dall’art. 2359 c.c. e dall’altro dall’art. 7 della l. n. 287/1990, all’interno del quale il legislatore seleziona la fattispecie rilevante per ciascun settore; secondo G. Corapi, In tema di interpretazione delle nozioni di concentrazione e controllo nella legge 10 ottobre 1990, n. 287, in Riv. dir. comm., 1992, 532 la nozione dell’art. 2359 c.c. va valorizzata tenendo conto delle previsioni contenute nelle leggi speciali; secondo lo stesso autore in ibidem vanno privilegiati i “microsistemi” di controllo definiti da ciascuna nozione, in quanto volti alla realizzazione di finalità diverse; tuttavia persino con riferimento al medesimo settore è possibile individuare nozioni distinte (ad esempio in ambito antitrust si distingue la nozione dell’art. 7 della l. n. 287/1990 da quella di cui all’art. 43 del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici) come messo in luce da M.S. Spolidoro, Il concetto di controllo nel codice civile e nella legge antitrust, in Riv. soc., 1995, 460. Infine alle tesi generaliste per cui l’art. 2359 c.c. è norma di riferimento per il controllo (tra tutti P. Marchetti, Note sulla nozione di controllo nella legislazione speciale, in Riv. soc., 1992, 5) si contrappongono quelle che valorizzano la specialità reciproca delle singole nozioni (N. Rondinone, (nt. 32), 118). Per la ricostruzione del dibattito cfr. F. Castelli, Nozione di controllo nel diritto Antitrust, in Diritto privato nella giurisprudenza, Collana a cura di G. Cassano, Torino, Utet, 2005, 349 ss.

[68] N. Rondinone, (nt. 32), 96; F. Castelli (nt. 67), 347.

[69] M. Notari, (nt. 19), 186 parla di “natura relazionale” delle nozioni di controllo, che rende il concetto medesimo insuscettibile di una definizione unitaria.

[70] In generale per quanto concerne gli studi in materia di controllo nel diritto antitrust, oltre quelli già menzionati, si segnalano P. Marchetti, (nt. 67), 5; G. Corapi, (nt. 67), 532; C. Osti, Commento agli artt. 5, 6 e 7 della l. n. 287/1990, in Diritto antitrust italiano, diretto da A. Frignani, R. Pardolesi, G. Patroni Griffi, L.M. Ubertazzi, Bologna, Zanichelli, 1993; M. Notari, Commento all’art. 7, l. 287/90, in Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza4, a cura di P. Marchetti, L.M. Ubertazzi, Milano-Padova, Wolters Kluwer-Cedam, 2016; G. Guizzi, Il mercato concorrenziale: problemi e conflitti, Milano, Giuffrè, 2018.

[71] E. Rimini, Il controllo contrattuale: spunti per una riflessione, in Aa. Vv., I gruppi di società, Atti del Convegno internazionale di studi, organizzati dalla Rivista delle Società, Venezia 16-17-18 novembre 1995, III, Milano, 1996, 1903.

[72] Per l’acquisto e per la variazione avente ad oggetto una partecipazione qualificata in una banca ai sensi dell’art. 19 T.U.B. è richiesta l’autorizzazione preventiva della BCE, su proposta della Banca d’Italia. La norma trae le sue origini dal principio di separatezza tra banca e industria, risalente alla crisi finanziaria del 1929 ed oggi risulta parte integrante del Meccanismo di Vigilanza Unico (MVU), istituito con il Reg. UE n. 1024/2013, che regola la funzione di vigilanza prudenziale esercitata dalla BCE, insieme alle Autorità nazionali, nei confronti degli enti creditizi. In materia si veda R. Costi, F. Vella, Commentario breve al Testo unico bancario, Padova, Cedam, 2019, 100 ed ivi per ulteriori riferimenti. Per la disciplina secondaria si veda Circolare Banca d’Italia n. 285 del 17 dicembre 2013 e s.m.i., parte prima, Titolo I, Sezione I. In particolare, l’art. 19, quinto comma, T.U.B. individua i criteri che vanno adoperati per condurre la valutazione preliminare al rilascio dell’autorizzazione ossia la qualità del potenziale acquirente, e la solidità finanziaria del progetto di acquisizione, valutata a sua volta in base ad ulteriori criteri, tra cui la reputazione e la solidità finanziaria del potenziale acquirente, la capacità della banca di rispettare, a seguito dell’acquisizione, le disposizioni che ne regolano l’atti­vità. Con delibera CICR n. 675/2011, l’influenza notevole è stata definita come «il potere di partecipare alla determinazione delle politiche finanziarie e operative dell’impresa partecipata, senza averne il controllo». Indici di influenza notevole, espressi da Banca d’Italia nella Relazione Illustrativa in commento all’art. 4, Delibera CICR n. 675/2011, sono la possibilità che, a seguito dell’acquisto o variazione della partecipazione, il potenziale acquirente venga rappresentato nell’organo di gestione o di supervisione strategica dell’impresa o disponga di diritti di voto determinanti nell’ambito delle decisioni assembleari di natura strategica. In materia di accertamento dell’influenza notevole si segnala N. Baccetti, L’acquisizione concertata di partecipazioni qualificate in una banca, in Giur. comm., 2019, I, 1148.

[73] Sulla nozione di controllo nel T.U.F.: F.M. Mucciarelli, Art. 93, in La disciplina delle società quotate nel testo unico della finanza d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 a cura di P. Marchetti, L. Bianchi, Milano, Giuffrè, 1999, 33; M. Miola, Sub. art. 93, in Commentario al Testo Unico della Finanza (d. lg. 24 febbraio 1998, n. 58), diretto da G. F. Campobasso, Torino, Utet, 2002, 766; M. Lamandini, Sub art. 93, in Commentario al Testo Unico della Finanza a cura di M. Fratini, G. Gasparri, Torino, Utet, 2012, 1041; G. Mollo, D. Montesanto, (nt. 29).

[74] Tra gli studi sull’analisi comparata delle due definizioni si segnalano: M.S. Spolidoro, (nt. 67), 475 e M. Notari, (nt. 19).

[75] Cfr. A. Palazzolo, (nt. 5), XIII.

[76] Tra cui, il coinvolgimento nella gestione dell’azienda di imprenditori attivi nel medesimo o in settori affini ai sensi dell’art. 41 quater c.a.m. Si noti inoltre come tra le attribuzioni degli organi dell’ANBSC, l’art. 112, quarto comma, lett. a) del codice espressamente prevede che i flussi informativi acquisiti dall’Agenzia vengano destinati a facilitare le collaborazioni tra amministratori giudiziari e tra coadiutori e favorire, su tutto il territorio nazionale in modo particolare per le aziende, l’instaurazione e la prosecuzione di rapporti commerciali tra le imprese sequestrate o confiscate.

[77] L’art. 41-quater, terzo comma, c.a.m. dispone che «nella gestione dell’azienda l’ammini­stratore giudiziario, previa autorizzazione scritta del giudice delegato, e l’Agenzia possono altresì avvalersi del supporto tecnico delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per favorire il collegamento dell’azienda sequestrata o confiscata in raggruppamenti e in reti d’impresa».

[78] La Strategia nazionale per la valorizzazione dei beni confiscati attraverso le politiche di coesione è stata prevista dalla Legge di Bilancio 2017 (art. 1, comma 611), che ne ha affidato la definizione all’ANBSC in collaborazione con il Dipartimento per le politiche di coesione (DPCoe) della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Essa costituisce la risposta all’esigenza di elaborazione di un approccio unitario e coeso nella gestione dei beni sequestrati e confiscati, ma ancora pri­ma nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, interventi di regola caratterizzati da fram­mentarietà e mancanza di regia nel definire le direttrici di fondo dell’azione pubblica.

[79] La strategia è ispirata all’Obiettivo Generale consistente nell’utilizzazione in modo efficace ed efficiente dei beni immobili e aziendali confiscati alla criminalità organizzata, attraverso interventi di valorizzazione sostenuti anche dalle politiche di coesione. Quello Generale si articola poi in tre Obiettivi Specifici, segnatamente: (1) Rafforzamento della capacità e della cooperazione degli attori istituzionali responsabili del processo di sottrazione, valorizzazione e restituzione alla società dei patrimoni illegalmente accumulati; (2) Politiche di valorizzazione dei beni immobili confiscati; (3) Re-immissione nel circuito dell’economia legale delle aziende confiscate alla criminalità organizzata o dei beni ad esse pertinenti. Per ciascun Obiettivo vengono definite le azioni che ne consentono l’attuazione, per ciascuna individuando l’amministra­zione responsabile per l’esecuzione.

[80] L’azione citata è la numero 3.4, afferente all’Obiettivo Specifico 3. La stessa che ha come destinatario il Ministero dello Sviluppo Economico, nello specifico prescrive «di supportare la realizzazione di sinergie tra soggetti che operano nel riuso di beni confiscati, in particolare nella produzione di beni con valore commerciale, facilitando forme di aggregazione di più soggetti sia con il coinvolgimento di aziende che producono prodotti analoghi sia all’interno di una filiera di prodotto, al fine di sostenere con attività di rete iniziative imprenditoriali legate ai beni confiscati caratterizzate da potenziale fragilità. L’azione può prevedere anche il coinvolgimento del sistema imprenditoriale italiano in un progetto di responsabilità sociale per sostenere l’integrazione e l’a­pertura delle aziende confiscate all’interno di sistemi e partnership controllate con altri soggetti imprenditoriali, organizzazioni del terzo settore così come enti di formazione e ricerca».

[81] La modalità di distribuzione del potere decisionale in merito all’esecuzione del program­ma di rete tra le imprese partecipanti varia a seconda del modello di governance prescelto: infatti è facoltativa l’istituzione di un fondo patrimoniale e di un organo comune, così come l’ac­quisto ad opera della rete di una autonoma soggettività giuridica; il programma comune di rete può avere ad oggetto la collaborazione in forme e in ambiti predeterminati attinenti all’eser­cizio delle imprese, lo scambio di informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica o l’esercizio in comune di attività rientranti nell’oggetto sociale delle singole imprese (art. 3, comma 4-ter, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito in l. 9 aprile 2009, n. 33 e s.m.i.). Si veda S.A. Cerrato, Appunti sul contratto di rete: un modello «à la carte» dal contratto all’istituzione … e ritorno, in Riv. dir. impr., 2016, 491. Peraltro la flessibilità del contratto di rete e la predisposizione del legislatore a promuovere tale forma di collaborazione al fine di superare crisi sistemiche è confermata dalla previsione dei commi 4-sexies ss. introdotti nell’art. 3 del d.l. 10 febbraio 2009, n. 5 a causa della crisi da COVID-19 dall’art. 43-bis, primo comma, d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con modificazioni nella l. 17 luglio 2020, n. 77, per cui il contratto di rete può essere stipulato per favorire il mantenimento dei livelli di occupazione delle imprese di filiere colpite da crisi economiche.

[82] Invero alla luce del contenuto del programma di rete e del modello di governance prescelto il contratto di rete può comportare l’attribuzione del controllo sull’impresa ex art. 2359 primo comma, n. 3 ad un soggetto esterno (l’organo comune) al quale vengono attribuiti poteri di gestione e di rappresentanza in linea con le finalità della misura di prevenzione. Tuttavia, il contenuto del programma congiuntamente al modello di governance prescelto potrebbero non attribuire il controllo sull’impresa ad un soggetto esterno, ma nondimeno attuare una forma di di­rezione concertata ed unitaria delle imprese coinvolte tipica del gruppo c.d. paritetico od orizzontale. A tal proposito, F. Galgano, Direzione e coordinamento di società, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro italiano, 2005, 211 sostiene che la direzione unitaria nascente da contratto integra gli estremi del controllo contrattuale di cui all’art. 2359, primo comma, n. 3, quando il contratto ponga un ente sotto la direzione di un altro; al contrario sussiste un gruppo orizzontale quando il contratto dà vita ad una entità, a composizione paritetica, entro la quale elaborare l’attività di direzione e coordinamento del gruppo.

[83] Influenza dominante che si ritiene vieppiù sussistente, e anzi assistista da presunzione, nel­l’ipotesi del controllo di diritto anche se non esplicitata dalla norma. Sul punto, cfr. supra nt. 14.

[84] L. Schiuma, Commento all’art. 2359, in Commentario del codice civile, Delle società, Dell’azienda, Della concorrenza, diretto da E. Gabrielli, a cura di D.U. Santosuosso, Torino, Utet, 2015, 1267; J. Bertone, M. Notari, (nt. 8), 701 che mette in evidenza come riguardo al tema della potenzialità del controllo la questione appare piuttosto pacifica per il controllo c.d. di diritto, mentre è più controversa con riguardo controllo di fatto e al controllo esterno. In dettaglio cfr. par. 3.

[85] P. Marchetti, (nt. 67), 1 ss.

[86] Il presente lavoro è parte di una più ampia ricerca avente ad oggetto le diverse nozioni di controllo nel nostro ordinamento promossa dalla Fondazione Bruno Visentini.