Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Prime riflessioni sul rapporto tra NFT e proprietà intellettuale (di Nicolò Muciaccia, Susanna Lopopolo)


Il contributo sviluppa alcune riflessioni iniziali sulle problematiche poste dagli NFT nella prospettiva del diritto d’autore.

In una prima parte vengono individuate e descritte le fattispecie di NFT attualmente esistenti distinte in ragione dei diversi usi a cui sono destinate. Gli autori indagano i modi in cui queste nuove tecnologie sviluppate su blockchain possano impattare sui meccanismi di gestione del diritto d’autore, tenendo conto tanto degli aspetti di Law and Economics quanto del diritto positivo. Proseguono sviluppando l’idea che gli NFT non dovrebbero essere trattati in modo unitario, poiché a diverse modalità di utilizzo corrispondono diverse fattispecie giuridiche e, quindi, diverse discipline.

Nell’ultima parte vengono affrontate le questioni inerenti al rapporto tra NFT e opere dell’ingegno ad esemplare unico, all’applicabilità del diritto di seguito e quella del principio dell’esaurimento «digitale».

Parole chiave: diritto d’autore.

A first glance at the relationship between NFTs and intellectual property

The paper contains some initial reflections on the issues posed by the emerging technology of NFTs and their relationship with Copyright.

In the first part, existing and currently widespread cases in reality are identified and described because of the different uses that can be made of NFTs. The authors investigate the changes that the diffusion of these new technologies developed on blockchain may bring in the mechanisms of copyright management, having regard as much to Law and Economics aspects as to positive law. They go on to develop the basic idea that these new cases should be legally treated in a non-unitary way, since different ways of use correspond to different conformations and, therefore, different rules of discipline.

Thus, in the last part they deal with the relationship between NFTs and one-off intellectual works, the resale right and the principle of «digital» exhaustion.

Keywords: Non-Fungible Token; blockchain; IP Law.

Sommario/Summary:

1. Introduzione: le nuove fattispecie della realtà tecnologica. - 2. Blockchain, Non-Fungible Token (NFT) e smart contract: i caratteri della fattispecie. - 2.1. Tassonomia e qualificazione giuridica degli NFT in ragione dei loro utilizzi. - 3. Disruptive technologies e liberalizzazione nella gestione dei diritti IP. - 4. Blockchain e regole di allocazione dei diritti patrimoniali d’autore. - 5. NFT e opere ad esemplare unico. - 6. NFT e diritto di seguito. - 7. NFT tra distribuzione e principio dell’esaurimento (digitale). - 8. Conclusioni. - NOTE


1. Introduzione: le nuove fattispecie della realtà tecnologica.

Nell’era della «quarta rivoluzione industriale» [1] e sulla scia degli effetti provocati dalla pandemia [2], la WIPO ha ben evidenziato come la nascita della blockchain [3] si fondi su, e contribuisca al contempo ad alimentare, un nuovo sistema che consente a soggetti che non si fidano l’uno dell’altro [4] di mantenere un consenso sull’esistenza, lo stato, i tempi e l’evoluzione di una serie di eventi condivisi [5]. Le applicazioni blockchain possono creare un record immutabile di transazioni, connesso ai partecipanti, che non dà luogo a opportunità di frode, date le caratteristiche della tecnologia su cui si basa il record. La possibile sfiducia tra i partecipanti viene risolta attraverso l’esistenza di una rete globale di computer, caratterizzata da nodi che validano consensualmente tutte le transazioni che avvengono su questa rete e quindi gestiscono il database distribuito – in tal senso si parla di «decentralizzazione».

La principale differenza rispetto agli strumenti attualmente diffusi sta nel fatto che questi comportano solitamente un costo operativo più elevato a causa dei sistemi di sicurezza che utilizzano e non è garantito che vengano eseguiti in modo altrettanto efficiente su sistemi remoti, creando rischi di conflitto o contenzioso. Di contro, la blockchain fornisce un sistema sicuro e resiliente, relativamente economico e flessibile, che consente di costruire applicazioni collegate in tempo reale e maggiormente dinamiche.

I database blockchain sono, peraltro, inalterabili a causa della loro natura crittografica e decentralizzata: per un verso, le informazioni in essi archiviate sono distribuite in più nodi che ne contengono una copia aggiornata; per altro, sono protette da sistemi crittografici. Strutturalmente, un database blockchain è organizzato in blocchi di transazioni matematicamente correlati tra loro in modo concatenato, sì che la modifica di un blocco sarebbe impossibile, generando una discrepanza nel sistema rispetto al resto dei blocchi tale da invalidare la transazione. I partecipanti a una blockchain non si autenticano tramite una sessione utente (cioè effettuando il login con username e password, come nei sistemi tradizionali), ma utilizzano coppie di chiavi private di firma (an­ch’esse correlate crittograficamente), generate automaticamente. Queste chiavi forniscono l’accesso per modificare gli asset «di proprietà del firmatario» nel database del libro mastro, consentendo ad uno smart contract e al «consenso di rete» di verificare la validità di una transazione effettuata all’interno della rete stessa [6].

In ultima analisi, la blockchain consente agli utenti di mantenere e controllare l’uso dei propri dati – come dati personali, contenuti e transazioni –, assicurando che queste informazioni non possano essere alterate, copiate o altrimenti manipolate durante la trasmissione. Inoltre, tramite gli smart contract gli utenti possono ricevere token (cioè «gettoni»), che rappresentano un certo valore o il diritto di utilizzare un servizio/asset come concordato nel contratto.

E dunque, facendo un passo indietro, ci si può qui limitare a constatare come i token in essa incastonati possano rappresentare non solo monete virtuali (e quindi «strumenti di pagamento» non aventi, come noto e se non altro al momento, corso legale nel nostro ordinamento [7]), ma anche «titoli» che abilitano a ricevere una prestazione (patrimoniale [8], di facere, materiale o immateriale), un servizio o altra utilità, o anche all’attribuzione di diritti amministrativi (ad esempio il diritto di voto). Oltre, dunque – e per quanto d’interesse – a poter «incorporare» la posizione di un soggetto, il loro titolare, nei confronti di un altro soggetto a fronte di un’operazione di investimento, i token potrebbero rappresentare lo strumento attraverso cui introdurre nei sistemi di DLT, e perciò nel mondo digitale, il concetto di scarsità: si parlerà, allora, di Non-Fungible Token o NFT.

Sebbene cominci da più parti a destarsi un certo interesse per gli NFT [9], anche e soprattutto in ragione della recente detonante diffusione che hanno avuto nel campo dell’arte e della loro capacità di mobilitare ingenti flussi finanziari [10], il dibattito è ancora acerbo e restano appannate questioni fondamentali che vanno dalla determinazione della loro natura giuridica, ai potenziali utilizzi e alla disciplina applicabile.

Per esemplificare alcune fattispecie di NFT attualmente in uso – e rinviando ai paragrafi seguenti per una più dettagliata descrizione delle diverse fattispecie –, vi sono quelli atti a sostituire i certificati di autenticità [11] che accompagnano dipinti o sculture, ma anche quelli che incorporano digitalmente diritti su opere d’arte, che siano create su supporto materiale [12] o «native digitali» [13]. Ciò implica che una creazione intellettuale, sia essa un dipinto, una canzone o un’opera audiovisiva, potrà (ma in verità già può) essere direttamente incorporata in un token, e così, in altre parole, utilizzare il token come supporto natio [14].

Sulla scorta delle cennate premesse, la presente ricerca si pone l’obiettivo di fornire un contributo allo studio degli NFT nella prospettiva della proprietà intellettuale [15], sì da verificare la tenuta delle categorie giuridiche note e, al vertice, gli adattamenti richiesti al sistema per la tutela e il bilanciamento degli interessi portati da nuove tipologie della realtà tecnologica.


2. Blockchain, Non-Fungible Token (NFT) e smart contract: i caratteri della fattispecie.

Passando ad una descrizione dei caratteri fondamentali dei sistemi di blockchain, degli NFT e degli smart contract, si cominci col dire che con il recente art. 8-ter della l. n. 12/2019 di conversione del d.l. n. 135/2018 (c.d. decreto Semplificazioni) recante «disposizioni urgenti in materia di sostegno e semplificazione per le imprese e per la pubblica amministrazione» [16], il legislatore ha offerto una prima, sebbene parziale e opinabile [17], definizione di «tecnologie basate su registri distribuiti» quali «le tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche» che consentono «la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archi­via­zione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili».

Si tratta, in generale, di tecnologie decentralizzate, caratterizzate dall’as­senza di un’entità centrale che media le transazioni tra gli attori ai quali è affidata, in modo paritetico, la gestione del registro contabile o database di contabilità.

Nell’ambito di tali piattaforme si collocano le reti blockchain che, da un punto di vista strutturale, secondo la WIPO, possono definirsi «a network of identical ledgers shared and synchronized across multiple sites, bodies or geographies, which can record the transactions performed in multiple places at the same time» [18].

Le unità fondamentali di questa rete sono i cc.dd. blocchi o nodi, collegati tra loro in maniera concatenata mediante algoritmi e tecniche crittografiche che, tramite hash, mettono in relazione ogni blocco con il precedente e così via, fino a raggiungere il blocco di genesi (c.d. origine della catena). La funzione principale di ciascun nodo della rete è validare le transazioni che avvengono al suo interno e archiviare le informazioni del sistema, rendendo il database inalterabile: una volta che le informazioni e gli scambi sono stati registrati nella rete, infatti, non possono più essere modificati autonomamente da nessun componente e sono irrevocabili. È questa una caratteristica essenziale dei sistemi blockchain, di tipo «congiunturale» [19], ossia legata a variabili come il numero elevatissimo di nodi, che rende di fatto impossibile una modifica simultanea di un blocco inserito nella catena da parte di tutti i nodi, e la capacità computazionale dei computer rientranti nella rete.

Peraltro, la circostanza che la validazione di ciascuna transazione dipenda da uno specifico meccanismo di consenso concordato tra tutti i blocchi della rete (c.d. consensus mechanism[20] non dà luogo a opportunità di frode. Chiunque volesse attuare una transazione fraudolenta o alterare la catena di blocchi dovrebbe fare ricorso ad una tale quantità di energia [21] e potenza di calcolo da rendere il tentativo del tutto antieconomico [22].

La registrazione dei dati presso i nodi di un sistema blockchain consente, altresì, attraverso una marcatura temporale (c.d. timestamp), di tracciare le operazioni svolte cosicché ciascun nodo della rete può risalire con esattezza alla serie di scambi effettuati in relazione ad un determinato «bene» [23], senza però accedere all’identità dei partecipanti cui è garantito l’anonimato [24]. È questa una caratteristica delle reti blockchain tra le più dirompenti nell’alveo della tutela autorale e della gestione dei diritti d’autore che da sempre soffre difficoltà pratiche nella ricostruzione delle vicende circolatorie delle opere e nel controllo analitico delle singole utilizzazioni, con significative ricadute sui modelli di contrattazione [25] e di remunerazione degli autori nonché sui costi di transazione ed enforcement [26]: la possibilità di tracciare le singole operazioni effettuate sulla blockchain, infatti, permetterebbe all’autore o all’impresa di gestione dei diritti di conoscere il numero esatto di utilizzazioni di ciascuna opera e, dunque, il valore prodotto dalla stessa, aprendo alla effettiva possibilità di svolgere contrattazioni individuali e remunerare l’autore, direttamente e senza alcuna intermediazione, in proporzione al numero delle singole utilizzazioni dell’opera [27].

Numerose sono le funzionalità di questo tipo di piattaforme, potendosi distinguere, per quanto riguarda l’accesso e l’operatività dei singoli partecipanti, tra sistemi public/permissionless [28], nei quali ogni utente può accedervi e operare in maniera incondizionata contribuendo all’aggiunta e all’aggiornamento dei blocchi, e sistemi private/permissioned [29], in cui soltanto un numero limitato di nodi, detti trusted, può svolgere operazioni di aggiunta o aggiornamento dei blocchi, in forza di una specifica autorizzazione.

Per superare la dicotomia pubblic/private, nel tentativo di sfruttare le potenzialità di entrambi i modelli sono stati sviluppati sistemi ibridi, noti come hybrid o consortium blockchains, che «although they are private in nature, in the sense that they are promoted by a private entity or a consortium, they are open to those members who have specific permissions or have a license to operate on the network, factually operating under a centralized governance model» [30]: si tratta di modelli parzialmente decentralizzati caratterizzati da una forma di coordinamento tra i partecipanti alla rete di computer tutti preventivamente identificati [31].

Tra i sistemi permissionless più noti e utilizzati vi sono Hyperledger [32], Ethereum (MainnET) [33] e Bitcoin [34] che hanno costituito il primo nucleo di emersione dei cc.dd. token digitali che, in assenza di una definizione univoca – cercando di semplificare al massimo – possono essere considerati come beni di secondo grado (come i derivati) che rimandano a (o sono rappresentativi di) prestazioni o beni ulteriori non incorporati in una res (appunto digitali) permettendone la circolazione e conservazione in modalità crittografica [35].

Secondo una prima classificazione accolta a livello internazionale [36] ed europeo [37], sul piano delle funzioni è possibile distinguere tra token di pagamento (o crypto-currency), token di accesso (o utility tokens) e token di investimento (o security token). I primi sono emessi per essere utilizzati come monete virtuali (si pensi, ad esempio, Bitcoin, Monero e Litcoin), ossia strumento di pagamento all’interno della rete (non avendo, al momento, corso legale nel­l’ordinamento interno) [38], mentre i secondi sono «titoli» destinati a fornire l’accesso (digitale) ad un bene o ad un servizio disponibile mediante DLT o che abilitano a ricevere una prestazione di facere. Qualora la prestazione incorporata abbia carattere patrimoniale, si parlerà di security token, equiparabili a veri e propri strumenti finanziari o di investimento [39].

Gli NFT [40] si collocano nell’ambito degli utility token (o token infungibili) e sono un tipo particolare di token crittografico che «allow[s] their owner to possess the (digital/virtual) representation of a unique object unequivocally associated to their wallet or user in the virtual space» [41].

Diversamente dalle categorie supra richiamate, che presentano il carattere della fungibilità, un token infungibile rappresenta un asset unico, non replicabile né reciprocamente intercambiabile con un altro token, in quanto dotato di caratteristiche e funzionalità peculiari che lo rendono unico [42]. Un NFT, potrebbe sostituire un certificato di identità, ovvero incorporare diritti su beni fisici o, con riferimento al mondo dell’arte, opere native digitali (in tal caso di parlerà di native token), oppure create su supporto materiale (come ad esempio un quadro, un video, una canzone) e successivamente rese digitali (ossia tramutati in un file) attraverso un processo di c.d. tokenizzazione [43] (e in tal caso si parlerà di non-native token).

Gli NFT si caratterizzano per essere non soltanto unici, ma anche indivisibili e rari (ovvero scarsi). Il carattere della rarità può assumere molte forme e dipende da vari fattori, consentendo di distinguersi tra rarità artificiale, numerica e storica.

La rarità artificiale «refers to the uniqueness of the NFT as determined by its code, or the specifics of its issuance» [44] e ad essa è strettamente legata quella numerica che, invero, appare relativamente più intuitiva da comprendere. Si pensi, per semplicità, al caso di un artista popolare che pubblica cento copie digitali del suo ultimo album musicale come NFT: quelle cento copie che vengono fornite con la «firma digitale» dell’artista e possono essere possedute in modo verificabile tramite blockchain saranno più «scarse», e quindi più rare, del semplice streaming dell’album distribuito effettuato su una qualunque altra piattaforma di distribuzione, come Spotify [45]. La rarità storica, invece, discende da elementi come il momento di emissione dei token [46] o il rilievo dei beni incorporati [47].

Sotto un profilo prettamente tecnico, l’emissione e la circolazione di non-fungible tokens in una rete blockchain presuppongono l’intervento di uno smart contract [48], qualificabile come uno «strumento informatico – e più precisamente un protocollo informatico – di esercizio dell’attività negoziale» [49]: un vero e proprio software contenente le istruzioni per l’esecu­zione del rapporto negoziale che, una volta redatto, viene importato all’interno della block­chain affinché possa essere firmato dalle parti (attraverso, ad esempio, un sistema di crittografia a chiave doppia asimmetrica). Successivamente alla sottoscrizione, lo smart contract viene inserito in un blocco della rete (tramite hashing) che, dopo essere stato validato dagli altri nodi, è aggiunto permanentemente alla rete con l’assegnazione di una timestamp che identifica in modo univoco la data e l’ora dell’operazione [50].

Si tratta, dunque, di uno strumento centrale nel processo di digitalizzazione delle risorse e tokenizzazione degli asset poiché capace di garantire, attraverso la tecnologia blockchain, l’immodificabilità delle pattuizioni, l’esecuzione automatica delle prestazioni e la predeterminazione degli effetti: tutti caratteri evidentemente funzionali a ridurre (o addirittura annullare) i margini di incertezza nell’interpretazione del contratto e i rischi connessi alla sua esecuzione differita.

Il protocollo più diffuso per la realizzazione di smart contract dedicati al­l’emissione e allo scambio di token non fungibili sulla blockchain Ethereum è lo standard ERC-721 che attribuisce a ciascun token un identificativo univoco quale risultato del combinato disposto della chiave crittografica dello smart contract e dell’ID del token: all’acquirente di un NFT viene attribuito un certificato digitale contenente l’identificativo del token che gli consente di connettersi in modo esclusivo allo smart contract attraverso il suo hash e accedere al file digitale il cui uso «is restricted to the terms stipulated in the smart contract connected to the data token» [51].


2.1. Tassonomia e qualificazione giuridica degli NFT in ragione dei loro utilizzi.

Aver messo a fuoco i principali caratteri della blockchain e le possibili declinazioni degli NFT consente ora di tentare una qualificazione giuridica degli stessi in ragione dei loro utilizzi già ad oggi più diffusi o di prevedibile futura diffusione. Ad animare il presente lavoro è difatti la convinzione che gli NFT non siano tutti uguali tra loro, nel senso che diverse tipologie di token assolvono a funzioni diverse e presentano caratteri eterogenei, tali da determinare l’applicazione di regole volta a volta più congrue al caso concreto.

Provando a raggruppare NFT con caratteri tra loro omogenei, il quadro che ne risulta potrebbe essere il seguente: a) NFT che incorporino opere native digitali o soltanto «copie digitali» di un’opera nata su supporto materiale [52]; b) quando le opere siano native digitali, NFT contenenti esemplari unici (o a tiratura limitata) o sue copie; c) NFT che contengano prodotti audio o audiovisivi, software, etc.; d) NFT rappresentativi di una posizione o status giuridici, ovvero di un certificato di autenticità et similia.

È bene subito precisare che dei casi sub d) non saranno qui trattati quelli riconducibili alla disciplina dei mercati finanziari, ma soltanto gli altri utilizzabili nell’allocazione dei diritti IP, per i quali si rinvia alle pagine che seguono. Nei casi sub a) e b) – all’evidenza strettamente connessi –, se gli NFT vengono utilizzati come supporto per opere dell’ingegno native digitali, saranno coperti dalla tutela autorale; se invece incorporano copie di un’opera nata su supporto materiale, rappresenteranno una forma di sfruttamento economico della creazione qualificabile come riproduzione o adattamento digitale ovvero elaborazione creativa.

L’argomento verrà meglio sviluppato in seguito [53], dovendosi qui solo accennare alla circostanza che se un NFT incorpora un’opera già esistente aumentano le possibilità di conflitto con i diritti di proprietà intellettuale del­l’autore o di eventuali terzi. Si pensi all’ipotesi in cui un token abbia ad oggetto highlight [54], ossia immagini o brevi video dei momenti salienti di una o più partite o gare sportive: la creazione di un token con queste caratteristiche potrebbe contrastare con il diritto connesso degli organizzatori dell’evento sportivo ai sensi del d.lgs. 9 gennaio 2008, n. 9 [55] e dell’art. 78-quarer della l. 22 aprile 1941, n. 633 (d’ora in poi l. aut.), in particolare con il c.d. diritto di archivio, oltreché con il diritto di immagine dei giocatori quando esso abbia ad oggetto gesti sportivi di specifici calciatori e non performance complessive della squadra [56]. Allo stesso modo, gli NFT potrebbero entrare in conflitto con le regole del diritto d’autore che limitano la tutela delle opere dell’ingegno nel­l’arco temporale di settanta anni dalla morte dell’autore, giacché il token, allo scopo di monetizzare il valore delle opere già cadute in pubblico dominio, amplierebbe tale finestra temporale «rigenerando» i diritti di sfruttamento economico sul corpus mysticum.

Un ulteriore problema potrebbe porsi nei casi sub a) e b) quando, come già verificatosi [57], un’opera venga creata in originale, nell’intenzione dell’artista, tanto su supporto materiale che su supporto crittografico, e l’autore rimetta agli acquirenti la facoltà di decidere quale delle due conservare e quale invece necessariamente distruggere.

Si potrebbe ipotizzare in questi casi o i) il configurarsi di un’obbligazione alternativa (art. 1285 ss. c.c.) [58]; ovvero ii) l’individuazione dell’oggetto del contratto a seguito della scelta da parte degli acquirenti per l’uno o l’altro supporto, l’unico originale rimanente, e ciò secondo lo schema della fattispecie a formazione progressiva: il consenso delle parti manifestato all’atto della compravendita produce il trasferimento dei diritti patrimoniali d’autore (se non altro, ex art. 19 l. aut., di quelli espressamente indicati nel contratto di compravendita), ma è per sé insufficiente a realizzare tutti gli effetti che la vicenda traslativa è idonea a produrre. Pare questa una specificazione e un adattamento del generale meccanismo di individuazione dell’oggetto del contratto ex art. 1346 c.c. al diritto industriale, seguendo alla scelta dell’acquirente l’«unicità sopravvenuta» dell’opera, dal momento che sul piano economico – prima che giuridico – l’opera superstite verrà trattata come esemplare unico, ciò che d’al­tronde corrisponde esattamente non solo all’intenzione originaria dell’autore, ma all’interesse del mercato e della collettività all’affermarsi di nuove forme artistiche [59].

Quanto ai casi sub c), questi non sono altro che declinazioni delle più generali ipotesi sub a) e b), ai quali dovranno applicarsi discipline diverse a seconda delle diverse fattispecie rappresentate; valgano per tutti i seguenti esempi: i) una canzone che venga incorporata in un NFT sarà assoggettata alla disciplina del diritto d’autore che il sistema normalmente riserva a tali opere, potendosi per di più e probabilmente qualificare l’incorporazione nel token come diritto patrimoniale di riproduzione che, a maggior ragione se per ipotesi trasferito ad un’impresa culturale (ricorrendo, dunque, l’eadem ratio della tutela degli investimenti a cui la disciplina dei diritti connessi è oggi sempre più marcatamente ispirata [60]), può dar vita ad un diritto connesso per la protezione dei fonogrammi [61]. Alternativamente – ma anche per quanto si dirà in seguito [62] tale tesi non merita di essere accolta –, si potrebbe ipotizzare che la tokenizzazione rappresenti una nuova modalità di sfruttamento dell’opera, in quanto tale non riducibile a diritti connessi noti e, per la natura di numerus clausus unanimemente riconosciuta a tale sistema, perciò insuscettibile di ricevere tutela se non prima di un intervento da parte del legislatore; ii) altro caso emblematico potrebbe essere quello dei videogiochi ai quali, anche se distribuiti tramite blockchain in forma di NFT, non potrà non applicarsi la disciplina tradizionale dei software (art. 64-bis ss. l. aut.).

Tirando le fila del discorso, il primo provvisorio approdo della ricerca potrebbe essere così sintetizzato: le tipologie della realtà cui gli NFT corrispondono sono molteplici e tra loro eterogenee, sicché, se per un verso questi rappresentano un nuovo supporto che la tecnologia mette a disposizione degli autori e delle imprese culturali, per altro verso, in quanto supporto, diverse fattispecie di NFT portano con loro l’applicazione della disciplina (positiva) volta a volta più congrua rispetto alla qualificazione giuridica operata dall’inter­prete, ma sempre tale da essere ricondotta nell’alveo di (fattispecie e) regole già esistenti.


3. Disruptive technologies e liberalizzazione nella gestione dei diritti IP.

Prima di passare ad una più puntuale ricostruzione di alcuni problemi posti dagli NFT, occorre però vagliare criticamente le ragioni a base dello scetticismo che li ha accolti. Passaggio tanto più reso obbligato dalla circostanza che, se gli NFT non fossero effettivamente forieri di vantaggi per gli operatori economici, cadrebbe nel medio e lungo termine ogni interesse scientifico ad un loro studio.

Nella prassi, la diffusione degli NFT è per lo più legata alla creazione e alla circolazione di opere dell’ingegno nel campo dell’arte, della musica, dello sport e degli audiovisivi, cioè nei settori in cui tradizionalmente operano le collecting societies. Un primo dubbio attiene dunque all’idoneità degli NFT di consentire il superamento dei problemi legati alla posizione di monopolio o quasi-monopolio delle collecting e, ancor prima, all’opportunità economica di superare tali forme di monopolio e prediligere modelli di licenza individuali rispetto a modelli di licenza collettivi, realizzando una «disintermediazione» nella gestione dei diritti.

Secondo un’opinione da condividere, il monopolio delle collecting, anche se non imposto per legge [63], sarebbe comunque il frutto di spinte naturali del mercato verso una contrattazione collettiva dei diritti d’autore e connessi, e ciò, in estrema sintesi, per le seguenti ragioni fondate su argomenti di analisi economica del diritto: i) a causa delle molteplici possibili utilizzazioni e del loro carattere transnazionale, oltre che del numero di titolari dei diversi diritti patrimoniali, intavolare trattative individuali sarebbe antieconomico, tanto per gli artisti quanto per gli utilizzatori; ii) e così l’intermediazione delle collecting, consentendo negoziazioni collettive, che tengano conto delle, e ricomprendano anche, creazioni future, permetterebbe di abbattere i costi di transazione [64]; iii) in tal modo, gli utilizzatori sarebbero naturalmente portati a sfruttare un ampio «repertorio» di opere, fra cui scegliere in relazione ad esigenze di programmazione necessariamente mutevoli e imprevedibili ex ante (una discoteca, una radio e una piattaforma on line non sanno quali opere utilizzeranno nel corso della stagione, né con quale intensità) [65].

Sempre secondo lo stesso Autore, a determinare in concreto l’idoneità delle contrattazioni collettive all’abbattimento dei costi di transazione è soprattutto la tecnica delle cc.dd. licenze generali di utilizzazione, o blanket licenses [66], mediante le quali, da un lato, un unico contraente (il gestore collettivo) si sostituisce ai singoli titolari dei diritti gestiti; dall’altro, vengono ricomprese nell’oggetto di un contratto unitario tutte le opere (anche future) dei titolari aderenti al sistema, a fronte del pagamento di una royalty (o fee) parimenti unitaria [67]. Ma ancor più, la vera ragione a base dell’opzione per la gestione collettiva dovrebbe esser ravvisata nell’interesse a riequilibrare il potere capitalistico di selezione delle opere da commercializzare, sicché si potrà assistere al suo abbandono soltanto a fronte di eventi che determinino una ridefinizione degli equilibri di potere fra i diversi investitori nella selezione dell’accesso delle opere al mercato [68].

Mettendo per un istante da parte i pur inappuntabili argomenti di Law & Economics a sostegno delle tesi sin qui esposte a favore delle contrattazioni collettive [69] e, quindi, del necessario (perché più efficiente) monopolio naturale o oligopolio delle collecting societies [70], vi sono ragioni di carattere sistematico che spingono in direzione inversa se a venire in rilievo sono i nuovi fenomeni della realtà tecnologica.

Un primo argomento è di carattere storico e fa perno sull’art. 180 l. aut., il quale, già prima della modifica intervenuta con d.lgs. 15 marzo 2017, n. 35, che ha abrogato il monopolio SIAE [71] nell’attività di intermediazione nella gestione dei diritti d’autore, prevedeva, al quarto comma, che l’esclusività dei poteri riconosciuti alla SIAE «non pregiudica la facoltà spettante all’autore, ai suoi successori o agli aventi causa, di esercitare direttamente i diritti loro riconosciuti da questa legge». Ciò si collega al fondamento volontaristico della nascita delle collecting e spiega perché negli Stati Uniti – dove, pur non esistendo un monopolio legale nella gestione dei diritti di copyright, si è comunque creato un duopolio di fatto [72] – si sia parlato di tali società come di «something of a necessary evil» [73]. A ben vedere, l’aggregazione di tutti i titolari originari e derivativi dei diritti d’autore in un unico sistema di gestione (ad esempio la SIAE) perseguiva l’obiettivo (politico) di realizzare una funzione redistributiva delle disparità di potere e ricchezza tra gli autori, attraverso la comunione di interessi fra gli stessi e gli editori, sì da evitare un sacrificio dei soggetti più deboli (tipicamente gli autori) a vantaggio dei più forti (gli editori) [74]; obiettivo che il percorso evolutivo dell’«ecosistema tecnologico» sta ormai sempre più portando a stemperare.

Inoltre, sul piano assiologico, è centrale anche in questo campo il principio generale sancito dall’art. 41 Cost. di autonomia contrattuale, che dovrebbe lasciare effettivamente (e non solo sulla carta) liberi gli autori che ne abbiano la possibilità di scegliere i propri contraenti, di cedere i propri diritti patrimoniali disponibili e riscuotere i compensi loro spettanti; anche se di fatto, il monopolio, per quanto necessario, si atteggia ad eccezione rispetto alla regola della concorrenza [75], e come tale deve trovare una giustificazione (forte) per continuare ad esistere [76]. La gestione dei diritti dovrebbe, pertanto, essere ispirata al principio dell’autonomia negoziale e non imbrigliata dall’esclusiva, ponendosi questa altrimenti astrattamente in contrasto anche con l’art. 42, terzo comma, Cost., potendo essere equiparata ad una forma di esproprio – peraltro privo della garanzia dell’equo indennizzo – per i titolari dei diritti del potere di esercitare le proprie privative intellettuali.

Da ultimo, sia la direttiva 2014/26/UE del 26 febbraio 2014 [77], che la direttiva 2019/790/UE del 17 aprile 2019 «sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale», continuano l’opera di armonizzazione europea dei diritti d’autore e connessi iniziata nel 1991 con la direttiva software 91/250/CEE (poi codificata dalla direttiva 2009/24/CE) e nel corso del tempo proseguita passando per la direttiva 2001/29/CE sul diritto d’autore nella società dell’informazione (c.d. direttiva InfoSoc). Considerando l’obiettivo principale di quest’ultima – specificato dai considerando 9 e 10 – di introdurre un elevato livello di protezione a favore degli autori, consentendo loro di ottenere un adeguato compenso per l’utilizzo delle opere, pare evidente come l’ordi­namento unionale miri a tutelare la libertà dell’artista di determinare i modi che reputa più convenienti per trarre un profitto dalla propria creazione [78].

E un analogo convincimento lo si trae dalla direttiva (UE) 2019/790 [79], la quale conferma che a guidare il cammino del legislatore europeo e, perciò e indirettamente – mediante i noti meccanismi di armonizzazione ormai da anni adottati in materia di proprietà intellettuale –, quello dei singoli Stati membri, sia l’obiettivo di liberalizzazione nella gestione dei diritti IP [80].

Elemento determinante, in tal senso, è proprio la pervasiva diffusione degli strumenti tecnologici [81], fenomeno che è probabilmente idoneo, se non a comportare una rottura degli schemi noti [82], a condurre ad un ripensamento delle dinamiche e degli equilibri di mercato in chiave pro-competitiva, sì che, de iure condendo, il legislatore dovrebbe addirittura incentivare il ricorso alle disruptive technologies quali strumenti per il perseguimento di politiche tese ad una concorrenza effettiva [83].

Potrebbe dirsi difatti avverata una perspicace previsione formulata in dottrina ormai più di un decennio fa [84], per cui, sulla scorta della rivoluzione tecnica che ha visto l’introduzione della tecnologia digitale e della telematica, si sarebbe assistito ad una dematerializzazione progressiva dei prodotti culturali destinati a circolare sulle sole «autostrade informatiche», senza più bisogno della consegna dei supporti materiali per mezzo dei quali sono stati fino a quel momento normalmente veicolati presso il pubblico. L’incrocio tra la telematica e la creazione o trasformazione delle opere in formato digitale ha portato all’abbattimento dei costi di riproduzione e trasmissione a distanza delle opere protette, che per mezzo di un personal computer possono essere ormai digitalizzate senza difficoltà anche dall’utente finale, e tramite internet possono essere messe in circolazione da questo stesso utente permettendone l’accesso ad un numero indefinito di destinatari.

Un simile discorso è ancor più vero oggi ponendo mente ai sistemi di DLT utilizzati per la gestione di diritti di proprietà intellettuale, i quali con tutta probabilità comprometteranno stabilmente l’effettività del diritto d’autore quale tecnica «reale» di appropriazione dei risultati della creatività intellettuale a causa dell’eliminazione del supporto materiale dell’opera. In tal modo, difatti, viene meno il «corpus mechanicum» come «res» e, di conseguenza, il mezzo in passato reputato indispensabile sul quale esercitare le tecniche di appropriazione generalmente note come «diritti di proprietà intellettuale» [85].


4. Blockchain e regole di allocazione dei diritti patrimoniali d’autore.

Se alle radici della liberalizzazione dei diritti vi è lo sviluppo tecnologico, è ben possibile che i sistemi di DLT, e la blockchain nello specifico, consentano di superare anche alcuni dei problemi legati all’urgenza di porre un limite al c.d. value gap e di assicurare una più equa ed effettiva distribuzione dei proventi lungo tutta la filiera dell’industria creativa (revenue sharing[86]. In questo senso, si può dire che lo sviluppo di nuovi modelli di business basati sulla valorizzazione del dato (data-driven) ha contribuito a spostare l’attenzione dalla protezione alla tariffazione.

Un sistema che sfrutti a pieno il potenziale della blockchain potrebbe far sì che, ogni qual volta un utente intenda fruire di un contenuto protetto su una data piattaforma, questa invii una query allo smart contract [87] il quale, verificate le condizioni di accesso, registri il dato sulla blockchain e sblocchi di pari passo il contenuto richiesto, mentre trasferisce sul conto degli autori il compenso convenuto. La corresponsione delle royalties, rispetto alla quale oggi gli autori faticano ad esercitare un controllo efficace, potrebbe divenire semplice e automatica, quindi istantanea e certa. Inoltre, grazie alla disintermediazione degli scambi che abbatte i costi di transazione, tutti potrebbero partecipare al sistema di revenue-sharing, anche gli autori indipendenti e, in generale, i beneficiari di micropayment [88].

Sul versante del finanziamento dei progetti artistici, i sistemi di blockchain consentirebbero agli artisti – che la legge stessa abilita a disporre dei propri diritti su opere future (ex art. 120 l. aut., a patto che le creazioni siano determinate o determinabili) – di ricorrere allo schema dell’Initial Coin Offering (ICO) per emettere «copyright token», i quali rappresenterebbero una quota del diritto d’autore di regola proporzionale all’investimento effettuato [89]. Si verrebbe in astratto a costituire tra i token holder una comunione sul diritto autorale, con i medesimi problemi in punto di gestione che potrebbero invero crearsi anche nei casi in cui la comunione non sorga in ragione dell’ICO.

Per una corretta impostazione dell’itinerario argomentativo, occorre però anzitutto guardare alla situazione attuale, ove anche la gestione collettiva dei diritti d’autore in comunione è incisa dalla moltiplicazione delle società di gestione collettiva, sì che si possa addirittura immaginare una paralisi dell’a­zione di riscossione determinata dalla frammentazione dei soggetti con cui un utilizzatore debba confrontarsi per determinare e negoziare i compensi [90].

Quest’ultima questione può così essere sintetizzata: i) l’art. 22, terzo comma, del d.lgs. n. 35/17 stabilisce che «la concessione delle licenze avviene a condizioni commerciali eque e non discriminatorie e sulla base di criteri semplici, chiari, oggettivi e ragionevoli», aggiungendo poi al comma successivo che «le tariffe relative a diritti esclusivi e a diritti al compenso devono garantire ai titolari dei diritti una adeguata remunerazione ed essere ragionevoli e proporzionate in rapporto, tra l’altro, al valore economico dell’utilizzo dei diritti negoziati, tenendo conto della natura e della portata dell’uso delle opere e di altri materiali protetti, nonché del valore economico del servizio fornito dal­l’organismo di gestione collettiva»; ii) non può allora ritenersi «equa» e «ragionevole» una blanket license che pretenda di estendersi ad opere o diritti non rientranti nel repertorio amministrato dalla società di gestione collettiva, e dei quali questa non sarebbe legittimata a disporre; né tanto meno una simile ipotetica licenza potrebbe ritenersi proporzionata al «servizio fornito» dall’or­ganismo di gestione collettiva [91].

Il discorso prosegue [92] con iii) una riflessione sull’effettiva «rappresentatività» delle collecting, non essendo sempre semplice verificare quale società di gestione possa dirsi mandataria per la gestione dei diritti di uno o più autori; ciò non tanto quando un autore revochi il mandato ad una collecting per passare ad un’altra [93], quanto soprattutto quando vi siano una pluralità di mandati che abbiano ad oggetto opere in contitolarità. E infatti, qualora i contitolari siano rappresentati da più di una collecting, sarà necessario non solo stabilire l’allocazione della legittimazione a rappresentare i diritti relativi all’opera, ma anche se siano legittimate tutte le società insieme o soltanto una o alcune, e i modi di esercizio della propria «rappresentatività» [94].

A ben vedere – e qui l’intreccio con la questione dei diritti d’autore in comunione su blockchain – le problematiche esposte troverebbero più semplice soluzione proprio se si facesse ricorso, nella gestione dei diritti IP, a sistemi blockchain sin dalla creazione dell’opera.

Il problema in sé della compatibilità delle norme in materia di comunione per le opere soggettivamente complesse [95] potrebbe difatti risolversi mediante una determinazione contrattuale delle modalità di allocazione dei diritti: l’uti­lizzo di una blockchain – l’accesso alla quale è consentito solo tramite smart contract [96] – impone una contrattazione; uno smart contract potrebbe in effetti esser visto come il trait d’union tra le condizioni per l’accesso alla blockchain (e quindi il contratto a monte in cui tali condizioni siano stabilite) e la block­chain stessa. Se così è, occorrerà semplicemente inserire tra le clausole del contratto – per quanto visto comunque necessario – l’indicazione del soggetto a cui spetta il diritto di decidere le forme di sfruttamento dei diritti [97], decisone che verrà poi eseguita ad opera dello smart contract. Agli investitori (per esempio nel caso di una ICO) o agli altri artisti comunisti (che avranno ceduto i propri diritti patrimoniali relativi allo sfruttamento dell’opera) dovrà essere destinata una quota non già del diritto d’autore, ma dei ricavi provenienti dal suo sfruttamento. In questo modo gli artisti avrebbero la possibilità di raccogliere finanziamenti dal pubblico, senza però che si vengano a determinare interferenze nella gestione dei diritti d’autore (soprattutto dei rapporti di licenza).

Quanto alle creazioni intellettuali per le quali il regime di circolazione non sia stato legato sin dall’origine ad una blockchain, con specifico riguardo alle opere frutto di collaborazione creativa di cui si diceva poc’anzi, il ricorso a tali sistemi sposterebbe la scelta dalla collecting a cui rivolgersi alla gestione dei diritti in sé, secondo la disciplina prevista per i diversi tipi di opere collettive e, in via residuale, in regime di comunione. Ciò con il vantaggio che ogni condizione sarebbe stabilita negli smart contract che, a loro volta, avrebbero automatica esecuzione al ricorrere dei requisiti in essi fissati.

In altre parole, non si tratterebbe più di metter d’accordo i titolari sulla collecting che debba gestire i loro diritti, o di disciplinare gli esiti dell’opzione per più soggetti che debbano gestire pro quota i diritti di diversi autori su una stessa opera, quanto, in un primo momento – quello della scelta di utilizzare la blockchain – di comporre gli interessi degli autori mediante tecniche negoziali, applicando in un secondo momento e più agilmente la disciplina prevista dalla legge.

Il ricorso alla blockchain consentirebbe poi di colmare la lacuna che l’or­dinamento destina a coloro che non abbiano scelto (e magari non intendano scegliere) una collecting per la gestione dei propri diritti (cc.dd. «apolidi»). Si è ricordato in precedenza come l’art. 180, quarto comma, l. aut. prevedesse, già prima della liberalizzazione nel mercato dell’intermediazione dei diritti IP, la possibilità per i titolari di tali diritti di una loro gestione diretta, senza conferire mandato alle società di gestione. La soluzione, pur da taluno propugnata [98], che rimette alle collecting il potere di riscuotere anche i compensi degli apolidi non può non lasciare perplessi [99], soprattutto perché, così opinando, ci si scontrerebbe frontalmente dapprima con la lettera e lo spirito dell’art. 180, quarto comma, l. aut., di poi con il modificato assetto sistematico, la cui certa direzione di marcia è oramai nel senso della liberalizzazione.

E in effetti, con tutta probabilità, a gestire i compensi degli autori apolidi finirebbero con l’essere le società di gestione collettiva con maggiori opere nei propri repertori, cioè le collecting più solide, così determinando un effetto escludente o di barriera all’ingresso del mercato per le nuove collecting; ciò che, per l’appunto, determinerebbe un effetto contrario tanto alla ratio della nuova normativa che disciplina la materia, quanto alla libertà riconosciuta a ciascun artista di scegliere da quale intermediario farsi rappresentare e, al vertice, se farsi rappresentare da un intermediario o meno. La blockchain contribuirebbe, in questo senso, a dare effettività a tale libertà.

Un ulteriore beneficio derivante dal ricorso alle DLT potrebbe da ultimo consistere, per i titolari dei diritti d’autore, nell’abbattimento dei costi legati alle misure tecnologiche di protezione del copyright dalla pirateria (Digital Rights Management o DRM [100]) – e con essi quelli per il contrasto agli attacchi informatici –, e per gli utenti in procedure di fruizione meno farraginose dei contenuti acquistati. Una distribuzione del contenuto regolata attraverso uno smart contract darebbe accesso, di contro, ad una protezione che è già insita nell’architettura di rete e garantita dalla rete stessa, senza alcun bisogno di ricorrere a complessi meccanismi aggiuntivi e, considerata «l’immu­tabilità» dei blocchi, senza neanche il rischio che qualcuno li possa manomettere. In qualche modo sarebbe un sistema simile a quello di Spotify per la gestione e riscossione diretta dei diritti d’autore da parte di una comunità di autori musicali.

La tokenizzazione di un bene attualizzerebbe, per tutto quanto sin qui detto, la possibilità di controllare ogni singolo accesso al bene digitale, subordinando il rilascio (e la registrazione) della chiave alla verifica della legittimazione del richiedente all’interno della blockchain, oltre a rafforzare la tutela autorale e migliorare l’efficienza del mercato del copyright, sì da recuperare anche quella pienezza proprietaria messa in crisi dal sistema digitale [101]. E l’impatto della blockchain sulla dimensione della distribuzione delle opere sortisce per certo, come si vedrà infra, i propri effetti anche sul principio di esaurimento.


5. NFT e opere ad esemplare unico.

Passando agli specifici profili dell’utilizzo di NFT in campo artistico, è cruciale intendere (e perciò ribadire) che l’opera non è sovrapponibile al­l’NFT; ma il file contenente la creazione è normalmente incorporato nell’NFT, che a sua volta incorpora un URL che indirizza al file originario.

Può invero capitare che in alcuni casi sulla blockchain venga memorizzato il file vero e proprio, anziché i metadati che ad esso si riferiscono; ma – allo stato dell’arte – ciò accade raramente perché la memorizzazione di informazioni sulla blockchain ha un elevato costo di progettazione, ed è quindi più conveniente ricorrere a un collegamento esterno che conduce al file.

Sul piano giuridico, il token può non essere perciò di per sé un’opera creativa che veicola la forma espressiva originale dell’autore (ma un insieme di metadati), esulando quindi dall’ambito di applicazione del diritto d’autore; e però le fonti del diritto e le norme sul diritto d’autore restano sempre le uniche applicabili (e doverosamente) anche al mondo delle disruptive technologies. Tuttavia, la maggior parte dei token fa riferimento e conduce a un file digitale, tramite un collegamento ipertestuale, e tale file potrebbe essere protetto da copyright.

L’NFT può essere allora talvolta qualificato come una ricevuta di autenticità firmata crittograficamente di una copia unica di un’opera, che apre la strada a una rivendicazione di proprietà sulla copia stessa. I principi base in tema di proprietà faticano a trovare adattamento nel mondo digitale a causa dell’infra­struttura tecnologica (internet), un ambiente in cui produrre copie è un’attività pressoché a costo zero che può essere fatta senza mai perdere le qualità del documento originale e senza mai privarne il precedente «proprietario» (il che si traduce nella circostanza che un numero illimitato di soggetti possa godere in contemporanea di un dato bene).

A questo proposito, come già si osservava, la promessa degli NFT è di introdurre nel mondo digitale il concetto di scarsità e di riprodurre le dinamiche della proprietà su beni rivali, dove è il diritto di proprietà a garantire che il suo titolare sia in grado di escludere altri dal beneficio o dallo sfruttamento del proprio bene.

Focalizzando l’attenzione sul problema dell’opera ad esemplare unico, va tuttavia posto l’accento tonico su un aspetto fondamentale: a differenza della proprietà tradizionalmente intesa, che si traduce in una limitazione all’accesso e alla circolazione di un bene (ciò che di fatto gli attribuisce un valore economico), con gli NFT il file originale rimane disponibile, ed è sempre possibile avere accesso alle copie e farne di nuove. Tuttavia, gli NFT hanno un valore di mercato, e sono scambiati da persone attratte dalla loro unicità, sebbene sia sempre garantito il pieno accesso al file «incorporato» (file che, molto probabilmente, verrà anche copiato); ciò equivale a dire che gli NFT creano un mercato per un nuovo artefatto digitale (metadati). Incarnano un concetto di «meta-proprietà» che consente l’esercizio di alcuni diritti tradizionalmente riservati ai titolari, lasciando al contempo inalterato l’accesso a un’opera e offrendo un nuovo modello di remunerazione per i creatori.

Per tale ragione, e nel caso – come si diceva – in cui l’opera sia ad esemplare unico, gli NFT potrebbero essere qualificati come «supporto» della stessa, corpus mechanicum che dà espressione e incorpora un corpus mysticum esteriorizzato e fissato anche su altro supporto, materiale o informatico, o nato ed esistente solo in formato digitale. Ciascuna delle due ipotesi pone problemi giuridici nuovi e rilevanti, che sembrano tuttavia trovare soluzioni convergenti.

Si consideri dapprima il caso dell’opera nativa digitale, con riferimento alla quale occorre comprendere in apice se il ricorso all’NFT (e perciò anche alla blockchain) come «supporto» che le attribuisce alcuni caratteri specifici, primi tra tutti la scarsità nella dimensione digitale (e talvolta anche reale) e il «pubblico» cui è destinata [102], possa dirsi una scelta creativa dell’artista e possa quindi impattare sull’originalità della stessa opera; se la Crypto Art [103] (probabilmente da ricondurre nell’alveo della Digital Art, già in voga dagli anni ’70 [104]) costituisca, in altri termini, una nuova forma d’arte, al pari della Street Art, Landscape Art e Tatoo Art [105].

È evidente che la definizione di cosa sia o non sia da considerare una nuova forma o corrente artistica non è operazione che possa utilmente esser lasciata alle competenze di un giurista, il quale è però chiamato a stabilire i confini della «creatività» richiesta dal legislatore per l’accesso alla tutela autorale. Se si ammette dunque che la circostanza della creazione in «ambiente crittografico» possa rappresentare il principale requisito di una nuova forma d’arte, si dovrà verificare come gli specifici caratteri di questa si riverberino nella dimensione giuridica.

Nel prevedere che «[s]ono protette ai sensi della legge le opere dell’inge­gno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione», l’art. 1 l. aut., fissando la regola dell’indif­ferenza della forma di espressione ai fini dell’accesso dell’opera alla tutela autorale, non esclude la necessità dell’espressione di una forma (regola di esigenza della forma di espressione) [106]. Come nel caso della crypto-arte, il supporto può talvolta essere frutto di una scelta specifica dell’autore – giustificata dalle caratteristiche del supporto stesso –, in quanto forma di espressione delle proprie idee, che incide sul carattere creativo dell’opera. L’interrogativo può pertanto esser riguardato da un angolo visuale più di vertice, sino a coinvolgere il requisito dell’originalità, necessario per l’accesso alla protezione autorale [107]: poiché tale requisito, che ha ad oggetto la «forma» (esterna e interna) dell’opera e non le idee in essa contenute (eccetto che per le opere cc.dd. utili), riflette la personalità dell’artista [108], ne va stabilito il grado di intensità [109].

E mi pare che, almeno in thesi, non vi siano per le opere della crypto-arte motivi di ostacolo per l’accesso alla tutela autorale, posto che, nei casi in cui il supporto costituisca non solo il substrato necessario alla creazione dell’opera, ma una vera e propria scelta dell’autore che incide sulla estensione della fruizione della stessa da parte di terzi, l’uso di uno specifico supporto per un’o­pera ad esemplare unico possa in ultima istanza tradursi in una decisione sulle modalità del suo sfruttamento economico. Per una dimostrazione, si pensi alla Street Art: la scelta del supporto (una parete) collocato in un contesto urbano concretizza la volontà dell’autore di estendere nella misura più ampia possibile la fruizione dell’opera ad un pubblico [110].

Il principale precipitato in punto di disciplina delle conclusioni raggiunte sui caratteri della fattispecie sarebbe che una modifica, un cambiamento o, in sintesi, ogni tipo di intervento materiale sul supporto, determinerebbe una nuova forma di sfruttamento economico dell’opera, che l’art. 12 l. aut. riconosce in esclusiva all’autore [111], o in alternativa una forma di riproduzione (o «adattamento» [112]) o elaborazione creativa dell’opera. E così, come per le opere «materiali», se si reputa – come pare corretto – che la tokenizzazione sia un diritto di sfruttamento economico nuovo e atipico, esso spetterà all’autore, anche se abbia ceduto a terzi i diritti di riproduzione ed elaborazione creativa dell’opera; ciò in applicazione del principio di indipendenza dei (fasci di) diritti patrimoniali ricavabile dall’art. 19 l. aut. Altrimenti, il diritto di incorporazione in un token e i relativi proventi, derivanti dalla sua successiva circolazione, spetteranno al titolare del diritto di riproduzione o elaborazione creativa (e, evidentemente, di distribuzione), salvo a stabilire se, essendo un’opera ad esemplare unico, all’autore non spetti anche in questo caso il diritto di seguito.


6. NFT e diritto di seguito.

Le conclusioni raggiunte nel paragrafo precedente inducono a riflettere sul possibile riconoscimento all’autore dell’opera ad esemplare unico incorporata in un NFT del diritto di seguito o droit de suite [113], un particolare diritto di natura patrimoniale [114] che riconosce agli autori di opere dell’arte figurativa e di manoscritti, il diritto di ottenere un compenso su ogni vendita successiva alla prima cessione delle opere stesse da parte dell’autore, così limitando gli effetti economici del principio dell’esaurimento [115].

Alle radici di tale previsione risiedono le particolarità del mercato delle opere d’arte [116] che, diversamente dagli altri tipi di opere, acquistano valore con il passare del tempo o comunque laddove cresca la notorietà del loro autore. Con il c.d. droit de suite, pertanto, si è inteso «ristabilire l’equilibrio tra la situazione economica degli autori d’opere d’arte figurative e quella degli altri creatori che traggono profitto dalle successive utilizzazioni delle loro opere» [117], assicurando ai primi una partecipazione economica adeguata all’au­mento del valore dell’opera attraverso il riconoscimento di una percentuale sul maggior valore commerciale conseguito nelle successive vendite, ragguagliata alla differenza tra i prezzi dell’ultima vendita e di quella immediatamente precedente [118].

L’art. 144 l. aut., introdotto a seguito del recepimento della direttiva 2001/
84/CE [119], pone limiti ben precisi all’operatività del diritto di seguito. Esso, infatti, riguarda le sole «opere delle arti figurative» – con ciò intendendosi, ai sensi dell’art. 145 l. aut., i quadri, i collages, i dipinti, i disegni, le incisioni, le stampe, le litografie, le sculture, gli arazzi, le ceramiche, le opere in vetro e le fotografie, nonché gli originali dei manoscritti [120] – purché «originali» [121], ossia eseguite dall’autore stesso, ovvero, quando si tratti di opere in tiratura limitata, sono tali purché numerate, firmate o altrimenti debitamente autorizzate dall’autore.

A questo proposito, si è già rilevato come il ricorso agli NFT quale supporto dell’opera consenta di riprodurre nel mondo digitale i caratteri della unicità e/o scarsità propri delle opere d’arte «materiali» ad esemplare unico o a tiratura limitata [122]. Se si considera poi quanto già osservato in ordine alla qualificazione di un NFT come corpus mechanicum di un’opera nativa digitale cui attribuisce caratteri specifici ed un livello di creatività «qualificato» [123], non potrà certamente dubitarsi dell’applicabilità dell’art. 144 l. aut. a tale ipotesi.

Pare, invece, che ad una soluzione di segno negativo debba giungersi nei casi sub a) e c) di cui al par. 2.1, ossia di NFT che incorporano opere esistenti, fissate su un supporto materiale o informatico, per le quali la tokenizzazione costituisce solo una forma di sfruttamento economico dell’opera nella forma della riproduzione (o adattamento) digitale o elaborazione creativa.

Anche con riferimento al requisito della «originalità» che, ai sensi del­l’art. 145 l. aut., impone di verificare l’autenticità [124] e la provenienza del­l’ope­ra, non mi sembra che sussistano particolari ostacoli perché gli autori del­l’opera incorporata in un NFT accedano alla tutela rappresentata dal diritto di seguito [125].

L’ambito di applicazione del diritto di seguito è poi circoscritto dagli artt. 144, secondo comma e 150, primo comma, l. aut. alle sole «vendite professionali» o commerciali, ossia quelle vendite «comunque effettuate» che comportano «l’intervento, in qualità di venditori, acquirenti o intermediari, di soggetti che operano professionalmente nel mercato dell’arte, come le case d’asta, le gallerie d’arte e, in generale, qualsiasi commerciante di opere d’arte» – escludendo così le vendite tra privati – di valore superiore a tremila euro [126].

Ci si potrebbe domandare allora, se il ricorso a sistemi blockchain possa sostituire completamente l’intermediazione professionale nelle vendite di cui all’art. 144 l. aut., lasciando che la transazione avvenga direttamente su piattaforma tra proprietario ed acquirente. Non si tratta, invero, di una considerazione del tutto peregrina, laddove si consideri che il carattere di necessaria commercialità delle vendite successive alla prima è stato oggetto di un aspro conflitto [127] tra Commissione e Parlamento europeo in sede di approvazione della direttiva 2001/84/CE, risolto dal Consiglio nel senso di circoscrivere l’ambito di applicazione del diritto di seguito alle sole vendite pubbliche, in esercizio commerciale o con l’intervento di un commerciante o agente, sul presupposto che non fosse altrimenti possibile «verificare le vendite successive tra un venditore e un acquirente che agiscano ambedue a titolo privato senza l’intervento di un professionista» [128].

Tale preoccupazione viene meno in relazione alle vendite effettuate su piattaforma: come più volte rilevato, infatti, la registrazione del token infungibile nella blockchain consente di tracciare tutti i successivi passaggi di proprietà, rendendo gli atti traslativi del diritto d’autore immediatamente consultabili da chiunque faccia accesso alla piattaforma, indipendentemente dal fatto che si tratti di vendite professionali o effettuate direttamente tra persone che agiscono a titolo privato. Il meccanismo si presenterebbe simile ad un registro immobiliare o alle registrazioni dell’UIBM per i trasferimenti di marchi e brevetti, con la differenza che si tratta di registri privati, senza alcuna funzione pubblica di garanzia. In questo modo, non soltanto si ridurrebbe il gap informativo degli utenti e dell’artista, che può seguire l’andamento dei prezzi delle opere d’arte sul mercato, ma si eviterebbero fenomeni come quello degli acquisti a non domino, garantendo il rispetto di vincoli negoziali che altrimenti potrebbero essere elusi con facilità [129].

A ciò si aggiunga che attraverso l’inserimento di un’apposita clausola al­l’interno dello smart contract con il quale il token è stato emesso, è altresì possibile automatizzare le operazioni di prelievo e trasferimento del compenso per indirizzarle direttamente in favore degli aventi diritto ad ogni vendita successiva alla prima cessione [130], nel rispetto dell’art. 152, secondo comma, l. aut. che pone in capo agli intermediari professionali intervenuti nella vendita di farsi carico del prelievo e del versamento del compenso che venditore o acquirente [131] sono chiamati a corrispondere all’artista.


7. NFT tra distribuzione e principio dell’esaurimento (digitale).

Un ultimo profilo di disciplina che merita di essere indagato [132] è quello dell’applicabilità del principio di esaurimento [133] a questi nuovi artefatti digitali e, dunque, su quale sia il perimetro dello ius arcendi del titolare dell’opera in essi incorporata o dei suoi aventi causa.

A tal fine, non sarà inutile rammentare sin d’ora che tale principio, ampiamente trasversale alla disciplina del diritto della proprietà intellettuale e industriale [134], si pone quale limite all’esercizio del diritto esclusivo dell’autore o dei suoi aventi causa, codificato agli artt. 17, primo comma, l. aut. e 4 della direttiva 2001/29/CE, di destinare al mercato l’originale dell’opera [135] o gli esemplari [136] di essa «con qualsiasi mezzo ed a qualsiasi titolo» ovvero, in altri termini, il diritto di determinare la quantità di prodotti disponibili sul mercato e di percepire «il profitto di tipo monopolistico derivante tra l’altro dall’eser­cizio di un potere di controllo sulla diffusione dell’opera o della tecnologia protetta» [137].

Se da un lato, infatti, il diritto di distribuzione, quale naturale completamento del diritto di riproduzione, mira a garantire all’autore la possibilità di percepire un compenso adeguato dallo sfruttamento economico dell’opera (intesa quale bene immateriale o corpus mysticum), dall’altro, il principio dell’esaurimento consente di soddisfare l’interesse dell’acquirente della copia (ossia del bene materiale in cui essa è incorporata o corpus mechanicum) di goderne e disporne in modo «pieno ed esclusivo», ivi compresa la possibilità di trasferirne liberamente la proprietà a terzi, così favorendo la creazione di mercati secondari delle opere (i cc.dd. mercati dell’usato), fondamentali sul piano socio-economico e culturale [138].

L’operatività di tale principio, tuttavia, non ha carattere omogeneo nel diritto d’autore, ma si presenta «a geometria variabile in funzione del tipo di opera» [139], a seconda che si tratti, ad esempio, di un software (per il quale anche la sola messa a disposizione dell’opera su reti immateriali può essere costitutiva dell’esaurimento) oppure di altre opere dell’ingegno [140], ripercuotendosi inevitabilmente sulla disciplina applicabile alle diverse fattispecie di NFT oggetto dell’indagine.

In tale prospettiva, si consideri dapprima il caso sub b) di cui al par. 2.1 del presente lavoro, ossia di NFT utilizzati come supporto per opere native digitali ad esemplare unico (o a tiratura limitata) o copie di esse, e pertanto coperti dalla tutela autorale: le peculiarità tecniche delle piattaforme blockchain, quali trasparenza e tracciabilità dei dati, unitamente alle modalità di emissione degli NFT tramite smart contract, che consentono di riprodurre nel mondo digitale le «condizioni di scarsità economica» proprie delle opere ad esemplare unico o a tiratura limitata “materiali”, offrono la possibilità di creare «copie digitali uniche di un determinato asset digitale» [141] e di rimuovere ogni preoccupazione legata ad una circolazione incontrollabile delle opere in ambiente digitale. Tali caratteristiche, escludendo uno sfruttamento economico dell’opera mediante la produzione in serie, affievoliscono l’operatività del principio di esaurimento in tali ipotesi, sì che l’autore o gli aventi causa della stessa non vedranno esaurito del tutto il loro diritto patrimoniale su tali beni, potendo vietarne la distribuzione ed esigere un adeguato compenso per lo sfruttamento commerciale (temporalmente indefinito, vista la durevolezza dei beni digitali) delle loro opere anche dopo la prima messa in circolazione ovvero una remunerazione aggiuntiva per ogni successiva cessione [142].

Ad una soluzione solo parzialmente difforme si giunge, invece, nell’ipotesi sub c) di cui al par. 2.1, qualora però l’NFT abbia ad oggetto un software o, volendo fare riferimento ad una delle applicazioni più diffuse in campo blockchain, un videogioco, naturalmente assoggettabile alla disciplina tradizionale dei software: si pensi a CryptoKitties [143], il primo videogioco su blockchain in assoluto creato da Drapper Labs, che consente agli utenti di “allevare” gatti digitali e “produrne” di nuovi più o meno rari, oppure a The Sandbox [144], un videogioco basato sul modello di business play-to-earn, caratterizzato da un ecosistema di gioco community-driven nel quale i creator o i giocatori possano realizzare e monetizzare oggetti e giochi, usando la block­chain (c.d. Crypto Gaming).

L’art. 64-bis l. aut., che traspone in modo fedele l’art. 4 della direttiva 2009/24/CE, nel disciplinare i programmi per elaboratori, introduce una nozione di distribuzione più ampia rispetto a quella delineata dai già citati artt. 17 l. aut. e 4 direttiva InfoSoc che include «qualsiasi forma di distribuzione al pubblico, compresa la locazione, del programma per elaboratore originale o di copie dello stesso», senza peraltro prevedere un autonomo diritto di comunicazione e di messa a disposizione del pubblico del software – per definizione esclusi dall’alveo di applicazione del principio di esaurimento [145] –, con la conseguenza che il diritto esclusivo di distribuzione su un software si considera esaurito anche a seguito di atti di distribuzione elettronica, ossia aventi ad oggetto copie digitali dello stesso. Orbene, non potendosi certamente dubitare che NFT incorporanti un videogioco o, più in generale, un software, costituiscano copie digitali di tali opere, ben può ritenersi che il diritto esclusivo di distribuzione su di essi si esaurisca con la prima messa in circolazione su blockchain.

Più complesso appare, per certi versi, il caso sub a) – connesso a quello sub c) – limitatamente alle ipotesi in cui gli NFT incorporino soltanto «copie digitali» di un’opera nata su supporto materiale o digitale, diversa dal software, di cui essi rappresentano “semplicemente” una forma di sfruttamento economico qualificabile come riproduzione o adattamento digitale ovvero elaborazione creativa [146]: si pensi ad un NFT avente ad oggetto un’opera letteraria – e dunque assimilabile ad un e-book – ovvero una immagine o un’opera musicale o audiovisiva.

Tale ipotesi sembra collocarsi a pieno titolo nell’alveo del più ampio dibattito [147] attorno al c.d. esaurimento digitale, sviluppatosi a partire dall’assenza di una disciplina che consentisse di ritenere in maniera univoca applicabile il principio dell’esaurimento alle copie non incorporate su supporti tangibili di opere diverse dai programmi per elaboratori.

Un primo orientamento, argomentando a partire: a) dall’art. 6 Wipo Copyright Treaty (WCT) (riprodotto dall’art. 4, secondo comma, direttiva 2001/
29/CE), che specifica come la messa a disposizione del pubblico degli originali o delle copie dell’opera nell’alveo della distribuzione avvenga «through sale or other transfer of ownership» [148]; b) dagli articoli 6 e 7 dell’Agreed Statements WCT, relativi rispettivamente ai diritti di distribuzione e di noleggio, che chiariscono come i termini «originale» e «copia» ivi utilizzati debbano intendersi riferiti solamente a «fixed copies that can be put into circulation as tangible objects», ha escluso che gli atti di disposizione di opere digitali possano essere qualificati come atti di distribuzione idonei ad esaurire il relativo diritto autorale.

Nella medesima prospettiva, facendo leva sugli artt. 3, terzo comma, della direttiva InfoSoc e 16, secondo comma, l. aut. che prevedono, in generale, che i diritti di comunicazione e di messa a disposizione del pubblico non si esauriscono con la diffusione al pubblico (nemmeno interattiva) dell’opera, nonché sul considerando 29 [149] della medesima direttiva, ove si precisa che «la questione dell’esaurimento del diritto non si pone nel caso di servizi, soprattutto di servizi “on-line”», è stato sostenuto che le opere digitali non possono essere giuridicamente «distribuite», ma soltanto «comunicate» o «messe a disposizione», con la conseguenza che alla vendita online non può trovare applicazione il principio di esaurimento [150] e che l’Autore potrà sempre decidere quale forma consentire online di messa a disposizione al pubblico dell’opera e quali restrizioni online adottare senza perdere questa prerogativa con la prima immissione in commercio.

A ciò si aggiunga che una parte degli Autori favorevoli al confinamento del principio dell’esaurimento all’ambito dei soli supporti tangibili ha espresso preoccupazioni pratiche connesse, da un lato, all’«impossibilità di verificare che chi trasferisce a terzi un’opera in formato digitale ne perda effettivamente il possesso» [151] e quindi non si limiti solo a riprodurla per trasferirla, dall’altro, alle maggiori potenzialità di sfruttamento dell’opera digitale rispetto a quella materiale, che potrebbe essere oggetto di una riproduzione esponenziale ed abusiva con conseguente moltiplicazione del numero di fruitori a fronte del­l’acquisto di una sola copia [152].

Nel senso di una estensione del principio dell’esaurimento anche ai mercati digitali, altra parte della dottrina [153] ha sostenuto come la vendita online di una copia digitale di un libro, ad esempio, sia perfettamente riconducibile al diritto di distribuzione, non già a quello di comunicazione al pubblico che non richiede il trasferimento di proprietà della copia digitale, ma solo un’auto­rizzazione all’uso della stessa (ossia una licenza), con la conseguenza che qualora attraverso un atto di disposizione online vi sia trasferimento di proprietà dovrà necessariamente ritenersi che la copia, anche se non incorporata su un supporto materiale, è stata «distribuita» – non semplicemente «comunicata» o «messa a disposizione del pubblico» – e che il relativo diritto d’autore sia esaurito.

Ed invero, il succitato considerando 29 della direttiva InfoSoc, nel prevedere che «la questione dell’esaurimento del diritto non si pone nel caso di […] copia tangibile di un’opera o di altri materiali protetti realizzata da un utente», non esclude l’applicabilità dell’esaurimento anche alla vendita online, limitandosi semplicemente a chiarire come l’utente che abbia scaricato un’opera sul proprio computer non può poi farne comunicazione al pubblico [154].

Un’apertura in tal senso era giunta dalla Corte di Giustizia con la nota pronuncia UsedSoft [155] nella quale i giudici europei, attraverso una lettura teleologica del principio dell’esaurimento e della sua funzione sistematica [156], avevano offerto una definizione funzionale di «vendita» [157] nella quale rientrava lo schema di licenze software Oracle alla luce delle sue caratteristiche principali (trasferimento permanente e corrispettivo equivalente al valore economico della copia), sostenendo che il formato ed il mezzo attraverso cui la copia del software viene trasmessa non modifica la sostanza giuridica ed economica dell’operazione [158]. Sicché, facendo leva sulla più ampia definizione di distribuzione prevista dall’art. 4 della direttiva Software rispetto a quella offerta dalla direttiva InfoSoc, la Corte aveva ritenuto applicabile l’esaurimento anche alla distribuzione delle copie in formato intangibile.

Tale ricostruzione, sebbene confermata in alcune pronunce successive [159], è stata poi ribaltata nel caso Tom Kabinet [160] ove la Corte, preferendo una lettura tradizionale delle fonti vigenti (in particolare della direttiva InfoSoc) ed un approccio settoriale della disciplina europea del diritto d’autore [161], ha escluso l’applicabilità del principio dell’esaurimento alle copie digitali di opere letterarie (cc.dd. e-book), sul presupposto che la disciplina prevista per i programmi per elaboratore, che prevede l’applicazione dell’esaurimento anche alle copie digitali di software, ha natura di lex specialis e per questo non suscettibile di estensione a fattispecie diverse.

Si tratta di una scelta interpretativa che, se già alcuni anni fa sembrava difficilmente conciliabile con il processo di dematerializzazione delle opere del­l’ingegno proprio del «modello mercantile online» [162], ad oggi, con l’av­vento delle tecnologie blockchain e gli NFT, sembra apparire inadeguata al nuovo contesto digitale e ai futuri scenari di mercato.

Sebbene gli argomenti testuali tratti dalla direttiva InfoSoc e dagli Agreed statements del WCT siano molti e orientino l’interprete in direzione contraria rispetto all’applicazione generalizzata del principio dell’esaurimento alle opere digitali, non può non considerarsi che le disposizioni normative che disciplinano tale principio sono state emanate alla fine degli anni Novanta, ben prima dei più recenti sviluppi tecnologici, quando cioè la digitalizzazione delle opere letterarie (con la creazione degli e-book), dell’arte figurativa (con la diffusione della c.d. Crypto-Arte) e della musica non era assolutamente immaginabile ed ancor meno lo era l’idea della loro incorporazione in strumenti digitali distribuiti attraverso un sistema di registrazione decentralizzato.

D’altronde, anche sul piano più strettamente oggettivo e funzionale alla preservazione e diffusione della cultura, non sembra che la copia materiale e la copia digitale presentino differenze sostanziali per l’utente [163], così come le due forme di distribuzione – “fisica” e “virtuale” – sembrano sottintendere un identico assetto di interessi, presupponendo entrambe la conclusione di un contratto di vendita idoneo a giustificare l’attribuzione di un diritto esclusivo di distribuzione in capo all’autore e la previsione del suo esaurimento in conseguenza della prima messa in commercio dell’opera o di suoi esemplari, tangibili e dematerializzati.

Da un punto di vista sistematico, invero, il rischio che si corre nel muoversi lungo una impostazione tradizionale, basata esclusivamente su di una interpretazione letterale delle norme, che non tiene conto del dato storico e degli interessi sottesi ai nuovi mercati delle opere digitalizzate, è quello non soltanto di vedere affievolita la funzione di strumento di politica economica e della concorrenza volto ad evitare la frammentazione del mercato comunitario e favorire la libera circolazione delle merci al suo interno [164], ma anche di circoscrivere l’operatività del principio dell’esaurimento alla sola disciplina del diritto industriale, condannandolo ad una «rapida obsolescenza» [165], atteso che, anche quei settori in cui, fino a qualche anno fa, i supporti tangibili rivestivano una qualche centralità (si pensi al mercato delle opere dell’arte figurativa), sono destinati, molto probabilmente, a vedere ribaltato il rapporto tra mercato materiale e mercato digitale [166].

Per quanto riguarda il timore di una violazione del diritto di riproduzione mediante salvataggio del file sul dispositivo e/o nella memoria volatile [167], per le quali rimarrebbe ferma l’applicabilità del compenso per copia privata [168], è stato osservato in dottrina che, in realtà, «trasferimento digitale e successiva riproduzione costituiscono fasi di un unico procedimento telematico necessarie perché l’utente finale fruisca dell’opera conformemente allo scopo del contratto» [169] (vendita o licenza che sia); procedimento di cui il titolare dei diritti è del resto ben consapevole, potendo perciò stabilire a monte un prezzo che incorpori il valore complessivo di queste utilizzazioni, quand’anche esse avvengano attraverso atti di riproduzione, ovvero fare ricorso a tecnologie di forward-and-delete che consentono l’eliminazione automatica del file dall’appa­recchio dell’alienante dopo la trasmissione [170].

In tale prospettiva, potranno allora meglio apprezzarsi le peculiarità tecniche dei sistemi blockchain e degli smart contract, quali strumenti di esecuzione automatica dell’accordo tra le parti che, attraverso apposite clausole contrattuali – o per meglio dire istruzioni – consentono, da un lato, la cancellazione automatica del file dal wallet digitale dell’alienante in cui l’NFT è conservato, dall’altro, impediscono che l’opera incorporata venga riprodotta in maniera incontrollata per essere poi venduta: si tratterebbe peraltro di un’o­perazione abusiva che, seppur si riuscisse a compiere, sarebbe pienamente tracciabile su blockchain. Ed invero, l’acquisto su blockchain di un NFT emesso tramite smart contract conferisce generalmente all’acquirente un perimetro di diritti di utilizzazione economica ben definiti, come il diritto di vendere, scambiare ed utilizzare l’asset digitale per scopi personali – si pensi all’esempio del videogioco The Sandbox in cui l’utente può utilizzare i token detenuti nel proprio wallet per implementare l’esperienza di gioco o guadagnare ulteriori valori digitali – senza che questo possa essere fatto oggetto di uso commerciale, duplicato, utilizzato per realizzare token simili o incorporato in altri prodotti digitali né può essere reso accessibile a terzi [171], salvo non vi sia una specifica previsione contrattuale con la quale il titolare dei diritti d’autore sull’opera incorporata concede all’acquirente una o più di tali facoltà dietro compenso.

Tali considerazioni, tuttavia, sembrano affievolirsi laddove si consideri il rapporto tra mercato (principale) dell’opera materiale e mercato digitale: la vendita di una qualunque altra opera in formato cartaceo o materiale non è funzionalmente equivalente all’alienazione di una versione digitale, dal momento che i file non sono soggetti a deterioramento per uso e lo scambio degli stessi online non comporta sforzi o costi aggiuntivi. In tal senso, non può certamente negarsi che la circolazione di copie digitali influenzi il mercato principale dell’opera incorporata, potendo incidere sulla capacità dei titolari dei diritti di ricavare una remunerazione adeguata dalla loro commercializzazione: sicché, un’apertura verso l’esaurimento digitale potrebbe impedire la realizzazione della funzione essenziale del diritto d’autore così come concettualizzata dalle sue prime pronunce in materia, sostanziantesi nella garanzia per i titolari dei diritti di ottenere un appropriato profitto dallo sfruttamento delle proprie opere [172].

A conti fatti, dunque, fermo restando il dato testuale e l’orientamento assunto dalla Corte di Giustizia, non sembra che ci si trovi dinanzi ad una fattispecie che, de iure condito, comporti una rottura degli schemi noti e che, pertanto, almeno con riferimento agli NFT che incorporano una copia digitale di un’opera già esistente su supporto materiale o digitale, resti ferma la non applicabilità del principio di esaurimento. Ciò sebbene, in una prospettiva de iure condendo, proprio tale tecnologia, per le sue peculiarità tecniche, potrebbe costituire l’elemento idoneo a condurre sul piano giuridico ad esiti diversi.


8. Conclusioni.

L’obiettivo del presente lavoro è di poter contribuire con delle prime e (necessariamente) provvisorie riflessioni alla ricerca giuridica sul tema delle tecnologie blockchain e, nello specifico, degli NFT nel prisma del diritto della proprietà intellettuale. Provvisorie perché il quadro della realtà considerato è in continuo mutamento e, ciò nonostante, ci è sembrato di poter fissare alcuni punti fermi. Uno di questi è l’emersione di una cornice normativa di matrice europea che, alle pur solide ragioni di economia del diritto propugnate da una parte della dottrina, sembra oramai preferire quelle della più ampia liberalizzazione nel campo dell’intermediazione dei diritti d’autore (v. par. 3).

La blockchain e gli NFT, per le peculiarità tecniche che li caratterizzano (v. par. 2), si inseriscono nel sentiero tracciato dall’evoluzione tecnologica come strumenti per una migliore e più efficiente gestione dei diritti IP, ma, come ogni nuova tipologia della realtà, portano con sé nuovi problemi, al vertice di qualificazione giuridica e a valle di individuazione della disciplina. Sul primo versante si è potuto osservare che, date le loro molteplici funzioni, gli NFT non rappresentano una fattispecie unitaria, ma, in quanto supporto di qualcosa in essi «incorporato», sono suscettibili di sussunzione in diverse fattispecie e conseguentemente di ricevere discipline diverse già destinate a regolare fenomeni noti (proprio in ragione di quel contenuto in essi incastonato; v. par. 2.1.).

Le implicazioni normative che ne discendono sono molteplici e saranno senz’altro oggetto di futuri e più strutturati studi; non si è tuttavia persa l’occasione, nella seconda parte dello scritto (v. parr. 5, 6 e 7), di mostrare alcuni di quei precipitati pratici. In disparte i vantaggi realizzabili nella gestione collettiva dei diritti d’autore (v. par. 4), è proprio l’«eterogenesi dei fini» cui gli NFT sono ispirati il motivo che ha portato a concentrare l’attenzione, paradigmaticamente, sull’esemplare unico che utilizza i token non fungibili come supporto, sul diritto di seguito e, di conseguenza, sul principio di esaurimento, specie in campo tecnologico, giungendo a conclusioni diversificate a seconda della fattispecie concreta volta a volta esaminata.


NOTE

[1] A sostenere che l’affermarsi delle disruptive technologies abbia portato alla «quarta rivoluzione industriale» è, tra gli altri, la WIPO nel recente whithe paper su Blockchain technologies and IP ecosystems, 2022, reperibile al seguente indirizzo: https://www.wipo.int/export/
sites/www/cws/en/pdf/blockchain-for-ip-ecosystem-whitepaper.pdf.

[2] La crisi innescata dal Covid-19 ha costretto imprese e organizzazioni, piccole e grandi, ad accelerare la propria trasformazione digitale, consentendo la prosecuzione delle proprie attività in una situazione eccezionale che ha cambiato le abitudini del pubblico in generale, e dei consumatori in particolare. Il mondo è diventato rapidamente digitale e le imprese devono adattarsi a questo nuovo scenario in cui i canali di comunicazione sono ora diversi da quelli utilizzati dall’industria e dai cittadini all’inizio del 2020. Le disruptive technologies della «quarta rivoluzione industriale» stanno svolgendo un ruolo chiave nel supportare la risposta al Covid-19 e gli sforzi di ripresa nei mercati emergenti, aprendo nuove opportunità per un’adozione accelerata delle tecnologie blockchain.

[3] Se non permangono dubbi sulla capacità della blockchain e, più in generale dei sistemi di DLT (distributed ledger technologies), di impattare radicalmente sul mondo della finanza (e si parla di FinTech), della regolamentazione (RegTech) e dei servizi assicurativi (InsureTech), nonché del diritto societario (CorpTech) e ambientale (ClimateTech), si appuntano non poche perplessità sugli effetti del loro utilizzo nel campo del diritto industriale. La letteratura in materia è oramai sterminata; si vedano per tutti, nel panorama nazionale, la prima e la seconda edizione dei volumi curati da M.-T. Paracampo, FinTech. Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, Torino, Giappichelli, rispettivamente del 2017 (volume unico), del 2019 (vol. II) e del 2021 (vol. I); FinTech: diritto, tecnologia e finanza, a cura di R. Lener, Roma, I Quaderni di Minerva Bancaria, 2018; FinTech, a cura di F. Fimmanò, G. Falcone, Napoli, ESI, 2019; N. Abriani, G. Schneider, Il diritto societario incontra il diritto dell’informazione. IT, Corporate governance e Corporate Social Responsibility, in Riv. soc., 2020, 1326 ss., e in particolar modo Iid., Diritto delle imprese e intelligenza artificiale. Dalla Fintech alla Corptech, Bologna, Il Mulino, 2021; Diritto del FinTech, a cura di M. Cian, C. Sandei Milano, Cedam, 2020; Banche, intermediari e FinTech, a cura di G. Cassano, F. Di Ciommo, M. Rubino De Ritis, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2021; FinTech, Smart Technologies e governance dei mercati. L’impatto del digitale sul settore bancario, finanziario e sulla regolazione pubblica, a cura di A. Nuzzo, Roma, Luiss University Press, 2022; ex plurimis, sul fronte straniero, D.W. Arner, J. Barberis, R.P. Buckley, FinTech, RegTech, and the Reconceptualization of Financial Regulation, in Northwestern J. Int. L. & B., 2017, 371 ss.; D. Ansari, F. Holz, H.B. Tosun, Global Future of Energy, Climate, and Policy: Qualitative and Quantitative Foresight Towards 2055, in DIW Berlin Discussion Paper No. 1782, 2019, 1 ss.; L. Enriques, D.A. Zetzsche, Corporate Technologies and the Tech Nirvana Fallacy, Law ECGI Working Paper N° 457/2019, 2020, 1 ss.; K.T. Liaw (ed.), The Routledge Handbook of FinTech, Oxon-New York, 2021. Si comincia altresì a parlare di DeFi (Decentralized Finance); cfr. L. Anker, Sørensen, D.A. Zetzsche, From Centralized to Decentralized Finance – The Issue of “Fake-DeFi”, 2021, 1 ss., reperibile al seguente indirizzo: https://
papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3978815.

[4] K. Werbach, Trust, But Verify: Why the Blockchain Needs Law, in Berkeley Technology Law Journal, 2018, reperibile al seguente indirizzo: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?
abstract_id=2844409, parla di «trustless trust».

[5] WIPO, (nt. 1), 14.

[6] WIPO, (nt. 1), 14 ss.

[7] Altresì noti come payment token o crypto-currency (si pensi a Bitcoin, Litcoin, Ether e a ciò che sono stati Libra e Diem); sono funzionalmente paragonabili alla moneta, nel senso che sono caratterizzati dalla medesima attitudine solutoria. Nota E. Rulli, Incorporazione senza res e dematerializzazione senza accentratore: appunti sui token, in questa Rivista, 2019, 121 ss., spec. 131 ss. come un’altra loro caratteristica ricorrente sia quella di non conferire al proprio detentore alcun diritto nei confronti dell’emittente. «L’emittente, nel caso delle cripto-monete, può anche sfumare sino a scomparire (ma meglio sembra ritenere che esista in una forma diffusa o decentrata, sconosciuta all’ordinamento, salva la riconduzione alla categoria della società di fatto)».

[8] E si parlerà allora di token di investimento, asset token o security token. Cfr. ancora E. Rulli, (nt. 7), 131 ss.; L. Ferrais, Le Initial Coin Offerings: fattispecie in cerca d’autore, in Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, (nt. 3), II, 269 ss., spec. 274 ss. F. Annunziata, A. Conso, NFT – L’arte e il suo doppio. Non fungible token: l’importanza delle regole, oltre i confini dell’arte, Milano, Montabone Editore, 2021, 19 ss.; C. Sandei, L’offerta iniziale di cripto-attività, Torino, Giappichelli, 2022, 5 ss.

[9] Gli stati membri della WIPO hanno istituito la Blockchain Task Force nell’ambito del Committee on WIPO Standards (CWS) nella sua sesta sessione, tenutasi nel 2018, con il seguente mandato: i) esplorare la possibilità di utilizzare le tecnologie blockchain nelle procedure per il riconoscimento della protezione dei diritti IP, oltre che per raccogliere e studiare informazioni sulle creazioni oggetto di IP e sui loro utilizzi; ii) raccogliere informazioni sugli sviluppi dell’IP Office (IPO) in merito all’uso e all’esperienza con la blockchain, e valutare gli attuali standard di settore sulla blockchain considerandone meriti potenziale applicabilità agli IP Office; iii) sviluppare modelli di riferimento per l’uso delle tecnologie blockchain nel campo della proprietà industriale, inclusi principi guida, pratiche comuni e uso della terminologia come struttura a sostegno della collaborazione, progetti congiunti e proof of concept; e iv) preparare una proposta per un nuovo standard dell’OMPI a sostegno della potenziale applicazione delle tecnologie blockchain all’interno degli ecosistemi IP.

[10] È oramai notissimo che l’11 marzo 2021 la casa d’aste Christie’s ha battuto a 69.346.250 di dollari l’opera, completamente digitale, «Everydays: The First 5000 Days» dell’artista Beeple. Più di recente, l’NFT CryptoPunk #5822 è stato venduto a 8.000 Ethereum (ETH), l’equivalente di 23,3 milioni di dollari a Deepak Thapliyal, CEO di Chain. Per questi e altri esempi cfr. da ultimi B. Bodó-A. Giannopoulou-P. Mezei-J.P. Quintais, The Rise of NFTs: These Aren’t the Droids You’re Looking For, in Europ. I.P. L. Rev., 2022, reperibile al seguente indirizzo: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=4000423.

[11] Ex art. 64 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 («Codice dei beni culturali e del paesaggio»), rubricato «Attestati di autenticità e di provenienza», il quale dispone che: «Chiunque esercita l’attività di vendita al pubblico, di esposizione a fini di commercio o di intermediazione finalizzata alla vendita di opere di pittura, di scultura, di grafica ovvero di oggetti d’antichità o di interesse storico od archeologico, o comunque abitualmente vende le opere o gli oggetti medesimi, ha l’obbligo di consegnare all’acquirente la documentazione che ne attesti l’au­tenticità o almeno la probabile attribuzione e la provenienza delle opere medesime; ovvero, in mancanza, di rilasciare, con le modalità previste dalle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, una dichiarazione recante tutte le informazioni disponibili sull’autenticità o la probabile attribuzione e la provenienza. Tale dichiarazione, ove possibile in relazione alla natura dell’opera o dell’oggetto, è apposta su copia fotografica degli stessi».

[12] Tra gli ormai molti, merita di essere citato il caso del «Tondo Doni», sul quale cfr. https://www.ilsole24ore.com/art/gli-uffizi-sdoganano-tondo-doni-versione-nft-AEuiMFK.

[13] Si rinvia alle opere citate supra, nt. 10.

[14] Sul punto ci si soffermerà in seguito, infra par. 5, ma in tema di «supporto» dell’opera si possono già richiamare F. Benatti, Il supporto dell’opera tra fissazione e creazione, in AIDA, 2019, 398 ss.; Ead., Diritto d’autore e supporto dell’opera, Torino, Giappichelli, 2020; nonché P. Spada, La proprietà intellettuale nelle reti telematiche, in Riv. dir. civ., 1998, 635 ss.; R. Romano, L’opera e l’esemplare nel diritto della proprietà intellettuale, Padova, Cedam, 2001; P. Galli, sub art. 1 l.a., in Commentario breve alle leggi sulla proprietà intellettuale e concorrenza7, diretto da L.C. Ubertazzi, Milano, Cedam, 2019, 1636 ss., spec. 1641.

[15] L’argomento è ormai all’attenzione delle istituzioni comunitarie e internazionali, come dimostra il recentissimo e già citato Blockchain White Paper for IP ecosystem della WIPO, 2022. In dottrina cfr. T.W. Bell, Copyrights, Privacy, and the Blockchain, in Ohio Northern University L. Rev., 2016, 439 ss.; J. Pons, Blockchains and smart contracts in the culture and entertainment business, in Annales des Mines-Réalités Industrielles, 2017, 1 ss.; C. Waignier, Blockchains et smart contracts: premiers retours d’expérience dans l’industrie musicale, in Annales des Mines-Réalités Industrielles, 2017, 46 ss.; B. Bodó, D. Gervais, J.P. Quintais, Blockchain and smart contracts: the missing link in copyright licensing?, in Int. J. Law & Inf. Techn., 2018, 311 ss.; A. Tresise, J. Goldenfein, D. Hunter, What Blockchain Can and Can’t Do for Copyright, in AIPJ, 2018, 144 ss.; A. Savelyev, Copyright in the Blockchain Era: Promises and Challenges, in Comput. Law Secur. Rev., 2018, 557 ss.; M. Finck, V. Moscon, Copyright Law on Blockchains: Between New Forms of Rights Administration and Digital Rights Management 2.0., in Int. Rev. Intell. Prop. & Comp. L., 2018, 77 ss.; M. Kiemle, Blockchain and Copyright Issues, in 4iP Council, 2019; T.N.L. Tam, Music Copyright Management on Blockchain: Advantages and Challenges, in Alb. L.J. Sci. & Tech., 2019, 202 ss.; K. Yeung, Regulation by Blockchain: The Emerging Battle for Supremacy between the Code of Law and Code as Law, in The Modern Law Review, 2019, 207 ss., disponibile su SSRN; G. Frezza, Blockchain, autenticazioni e arte contemporanea, in Dir. Fam. Pers., 2020, 489 ss.; V. Moscon, Tecnologie blockchain e gestione digitale del diritto d’autore e connessi, in Dir. Ind., 2020, 137 ss.; G. Noto La Diega, J. Stacey, Can Permissionless Blockchains be Regulated and Resolve some of the Problems of Copyright Law?, in Blockchain and Web 3.0: Social, Economic, and Technological Challenges, diretto da M. Ragnedda, G. Destefanis, Londra, Routledge, 2020, 30 ss.; C. Sandei, Blockchain e sistema autorale: analisi di una relazione complessa per una proposta metodologica, in Nuove leggi civ. Comm., 2021, 194 ss.

[16] L. 11 febbraio 2019, n. 12, conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 14 dicembre 2018, n. 135 (in G.U. Serie generale, n. 36 del 12 febbraio 2019).

[17] La definizione offerta dall’art. 8-ter, primo comma, della l. n. 12/2019 ha suscitato, da più parti e non immotivatamente, alcune perplessità. La norma, infatti, è stata criticata per l’infelice scelta (terminologica) del legislatore statale di disciplinare la categoria generale delle tecnologie a base distribuita riferendosi (erroneamente) a caratteristiche che, invece, sono proprie della specifica tecnologia blockchain. Così facendo, non soltanto sovrappone due distinte figure (che stanno invece in rapporto di genere a specie tra loro) ma, di fatto, introduce una definizione «statica» di un fenomeno mobile e dinamico, ora per imprecisioni o carenze nella sua formulazione. Sul punto si veda F. Benatti, Un nuevo paradigma contractual: el caso de los smart contracts, in Derecho y nuevas tecnologías. El impacto de una nueva era, a cura di J. Chipana Catalán, Lima, Themis, 2019, 274 ss.; G. Rinaldi, Smart contracts: meccanizzazione del contratto nel paradigma della blockchain, in Diritto e Intelligenza artificiale, a cura di G. Alpa, Pisa, Pacini giuridica, 2020, 365 ss.

[18] White Paper, (nt. 1), 15.

[19] S.A. Cerrato, Appunti su smart contract e diritto dei contratti, in Banca borsa tit. cred., 2020, I, 370 ss.

[20] Si tratta di un meccanismo che definisce la sicurezza e la coerenza della rete, consentendo di raggiungere un alto livello di fiducia tra i diversi nodi che garantisce l’affidabilità dell’intera rete. Il consenso può essere raggiunto attraverso vari modelli, il più noto dei quali è il Proof of Work (PoW), utilizzato per l’emissione e la circolazione di Bitcoin, che richiede a determinati computer (cc.dd. miners) di risolvere complessi quesiti matematici, mentre altri nodi verificano che la soluzione offerta non corrisponda ad una precedente transazione all’interno della catena di blocchi. Se accettata, un nuovo blocco viene aggiunto alla rete, senza passare per il controllo di un soggetto esterno o di un’autorità centrale (come una banca, una Autorità pubblica o un fornitore tecnologico). Accanto alla proof of work, la comunità di sviluppatori, al fine di ottimizzare l’energia necessaria per aggiungere altri blocchi alla catena e aumentare la sicurezza delle transazioni, ha elaborato sistemi di consenso alternativi come la: a) Proof of stake (PoS), che presuppone un coinvolgimento economico dell’utente poiché richiede di dimostrare il possesso di un determinato ammontare di criptovaluta al fine di disincentivare comportamenti fraudolenti degli utenti; b) Proof by authority (PbA), che richiede ai nodi della rete di rendere «visibile» al proprietario o gestore della catena la propria identità per poterla verificare al di fuori della rete e considerarla attendibile; c) Round Robin che opera su reti permissionless nell’ambito delle quali l’identità dei nodi è conosciuta e verificata off-chain. Per un approfondimento sui meccanismi di consenso alternativi alla PoW si veda WIPO, (nt. 1), 16-17.

[21] Quello del consumo di energia rappresenta, invero, il profilo tecnico più critico ed appare, attualmente, il principale limite tecnologico della blockchain. Sul punto v. K.J. O’Dwyer, D. Malone, Bitcoin Mining and its Energy Footprint, 2014, reperibile al seguente indirizzo: https://www.researchgate.net/publication/271467748_Bitcoin_Mining_and_its_Energy_Footprint; E. Budish, The Economic Limits of Bitcoin and Blockchain, Chicago, 2018, reperibile al seguente indirizzo: https://faculty.chicagobooth.edu/eric.budish/research/Economic-Limits-Bit
coin-Blockchain.pdf.

[22] Quanto alla possibilità che il sistema blockchain possa comunque subire alterazioni, si ritiene che esse derivino principalmente da fattori esterni al funzionamento del sistema come, ad esempio, nell’ipotesi di attacchi informatici. Per una completa analisi dei risvolti in termini di cybersicurezza si veda il report realizzato dall’Agenzia europea per la sicurezza delle reti e delle informazioni (ENISA) «Distributed Ledger Technology & Cybersecurity – Improving information security in the financial sector», 2017, accessibile al seguente indirizzo https://
www.enisa.europa.eu/publications/blockchain-security; A. Walch, The Path of The Block­chain Lexicon (And The Law), in Review of Banking and Financial Law, 2017, 738-739.

[23] Ogni nodo possiede infatti un indirizzo alfanumerico unico che lo identifica e a ciascuna transazione viene attribuito un «timestamp», ossia una certificazione temporale che permette di verificare il momento esatto in cui la transazione è avvenuta, e la validazione della transazione stessa, che avviene ad opera di un c.d. miner, attraverso una specifica operazione matematica. È per questo motivo che la tecnologia blockchain viene anche definita append-only ledger, giacché tramite i blocchi essa consente unicamente l’aggiunta di nuovi dati, non anche la loro cancellazione. Per una disamina prettamente tecnico-informatico relativa al funzionamento della tecnologia blockchain, si veda M. Pilkington, Blockchain technology: Principles and Applications, in Research Handbook on Digital Transformations, a cura di F. X. Olleros, M. Zhegu, 2016, reperibile al seguente indirizzo: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract
_id=2662660; Z. Zheng, S. Xie, H. Dai-X. Chen, H. Wang, An Overview of Blockchain Technology: Architecture, Consensus, and Future Trends, in Proceedings of the 2017 IEEE 6th International Congress on Big Data, Honolulu, 2017.

[24] Circa l’impatto che i sistemi blockchain possono avere in termini di riservatezza si vedano il report Blockchain and GDPR, realizzato dall’European Blockchain Observatory and Forum, disponibile al seguente indirizzo https://www.eublockchainforum.eu/reports, nonché lo studio commissionato dal Parlamento europeo, Blockchain and the General Data Protection Regulation. Can distributed ledgers be squared with European data protection law?, reperibile al seguente indirizzo: https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/STUD/2019/634445
/EPRS_STU(2019)634445_EN.pdf.

[25] Sul punto cfr. D. Sarti, Collecting societies e potere monopolistico nell’analisi economica del diritto statunitense, in Giur. comm., 2020, I, 23 ss. Per una panoramica sui contratti di diritto d’autore si veda il volume a cura di P. Spada, Gestione collettiva dell’offerta e della domanda di prodotti culturali, Milano, Giuffrè, 2006; A. Cogo, I contratti di diritto d’autore nell’era digitale, Torino, Giappichelli, 2010.

[26] M. Ricolfi, Il diritto d’autore, in Trattato di diritto commerciale, diretto da G. Cottino, II, Padova, Cedam, 2001, 341 ss.

[27] In Italia, un primo progetto in tal senso è stato avviato nel marzo del 2021 dalla Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE) in collaborazione con la società Algorand, attraverso la creazione di una rete blockchain su cui sono stati registrati più di 4.000.000 di NFT che rappresenteranno digitalmente i diritti degli oltre 95.000 autori associati a SIAE, in un’ottica di decentralizzazione che consenta di «trasferire la gestione direttamente agli aventi diritto, che potranno quindi avere il governo dei metadati relativi ai loro diritti» (https://www.siae.it/it/
iniziative-e-news/siae-rappresenta-i-diritti-degli-autori-con-asset-digitali-creati-più-di-4000000).

[28] Cfr. WIPO, (nt. 1), 17: «A public/permissionless blockchain is one whose access and participation are open to any user, without the need for them to have any specific type of permission. Any user can also be the owner of a network node and help maintain it, provided they have computing power at their disposal. Anyone with internet access can both observe, download, validate and send transactions on a public blockchain. In this type of network, all participants are equal and therefore have the same rights within the network. The maintenance of the network is ensured thanks to economic incentives that are granted to the owners of an active node, which confirms and validates transactions, also known as miners. Furthermore, the solution operates in a fully decentralized governance model using the notion of consensus to write records to the blockchain».

[29] Cfr. WIPO, (nt. 1), 17, ove si legge «A private/permissioned blockchain is one created by an entity for internal or restricted use. Access to users outside the process is totally restricted, and it is not possible to have read or written permissions. Each node of the network is controlled by the same entity, which is in charge of its management and maintenance. Essentially, it is operating under a centralized governance model. The characteristics of these types of blockchains make them very valuable tools for a company, since they can make applications based on blockchain for their processes in a completely opaque manner, taking advantage of its attributes, for instance, security and immutability of data, without the risk of exposing any type of information. Although the infrastructure can be based on an open-source solution, the applications that run on a private blockchain are usually proprietary, being developed specifically for the needs of the specific company, institution or community. Another important feature is the absence of compensations via tokens. Since the process of appending blocks is carried out privately by the infrastructure owner, there is no need to reward the nodes that maintain the network, thus more efficient consensus algorithms can be used that prioritize performance and scalability, over the total decentralization that characterizes public blockchains».

[30] WIPO, (nt. 1), 17.

[31] A livello europeo, l’esempio più noto è rappresentato dalla rete Alastria, costruita utilizzando protocolli di crittografia e stabilendo una struttura gerarchica di permessi, per consentire l’isolamento e l’indipendenza delle operazioni compiute dai vari membri e fornire un’identità univoca a tutti i partecipanti sulla piattaforma. Il consorzio, creato in Spagna con l’intento di promuovere la creazione di un nuovo ecosistema digitale nel Paese, conta già più di 250 membri, tra grandi aziende, PMI e start-up.

[32] Hyperledger è una tecnologia blockchain a sua volta formata da una serie di piattaforme (alcune delle quali ancora in fase di incubazione) che offrono attività e servizi di supporto alle imprese, come Hyperledger FABRIC che si occupa di sviluppare nuove soluzioni basate su DLT, e Hyperledger QUILT focalizzata, invece, sull’emissione e scambio di token. Si veda, in proposito, https://www.hyperledger.org.

[33] Per una descrizione del progetto Ethereum e dei relativi standard v. G. Fenu, L. Marchesi, M. Marchesi, R. Tonelli, The ICO Phenomenon and Its Relationships with Ethereum Smart Contracts Environment, in 2018 International Workshop on Blockchain Oriented Software Engineering (IWBOSE), 2018; R. Battaglini, L. Cantisani, Standard tecnici Ethereum e standardizzazione degli smart legal contract, in Rivista di diritto dei media, 2021, 53-68.

[34] Si tratta della prima cripto-valuta o valuta virtuale, ideata da Satoshi Nakamoto per effettuare pagamenti on-line direttamente da un soggetto ad un altro senza passare attraverso istituti finanziari, considerati fonte di sprechi, costi, lentezza dei processi, gravosi per gli scambi nel commercio on-line: la blockchain su cui si basa Bitcoin, per le sue caratteristiche, aggira il problema del c.d. double spending money, ossia la doppia spendita dello stesso importo di denaro, senza bisogno di ulteriori garanzie di terzi (cfr. S. Nakamoto, Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System, in Bitcoin.org, 2009). La prima transazione in Bitcoin venne effettuata il 12 gennaio 2009 ed il suo sviluppo è stato esponenziale. Oltre al Bitcoin, ad oggi si contano oltre 1600 cripto-monete, o Alt-Coins (che sta per «Alternative Coins», o «Monete Alternative»). Sulle problematiche giuridiche sollevate con riferimento alle criptovalute, dal loro inquadramento giuridico, ai profili processuali più critici, ai loro potenziali utilizzi anche a fini speculativi, fino alla necessità di individuazione di opportune forme di regolamentazione, si vedano ex multis R. Bocchini, Lo sviluppo della moneta virtuale: primi tentativi di inquadramento e disciplina tra prospettive economiche e giuridiche, in Dir. inform., 2017, 27 ss; M. Rubino De Ritis, Obbligazioni pecuniarie in criptomoneta, in Giustiziacivile.com, 11 luglio 2018; G.L. Greco, Nozione e profili di regolazione di criptovalute e monete complementari, in Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, (nt. 3), v. II, 239 ss.; G. Rinaldi, Approcci normativi e qualificazione giuridica delle criptomonete, in Contr. impr., 2019, 257 ss.; A. Dickinson, Cryptocurrencies and Conflict of Laws, in Private and Public Law Implications of Cryptocurrencies, a cura di D. Fox, S. Green, Oxford, Oxford University Press, 2019; M. Lehmann, Who Owns Bitcoin? Private Law Facing the Blockhain, in Minnesota Journal of Law, Science, and Technology, 2019, 93 ss.; G. Sandrelli, Il contenzioso su criptovalute e initial coin offerings al vaglio della giurisprudenza inglese, in Riv. soc., 2021, 1446 ss.

[35] E. Rulli, (nt. 7), 121 ss.

[36] OECD (2021), Regulatory Approaches to the Tokenisation of Assets, OECD Blockchain Policy Series, reperibile al seguente indirizzo: https://www.oecd.org/finance/regulatory-approaches-to-the-tokenisation-of-assets.htm.

[37] Tale tripartizione è stata sostanzialmente accolta dall’Autorità Bancaria Europea (EBA) con il Rapporto con consigli per la Commissione europea sui cripto-asset del 9 gennaio 2019, dalla Autorità Europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) con il suo Advice: Initial Coin Offering and Crypto-Assets del 9 gennaio 2019 e dalla Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) con le Linee guida per le ICO del 16 febbraio 2018. Cfr. altresì la Proposta di Regolamento sui mercati delle cripto-attività (c.d. Regolamento MiCA) pubblicata dalla Commissione Europea il 24 settembre 2020.

[38] Per un’analisi circa le possibili qualificazioni giuridiche di payment token o crypto-currency si veda E. Rulli, (nt. 7).

[39] Cfr. ancora E. Rulli, (nt. 7); L. Ferrais, (nt. 8), 269 ss.

[40] Per una ricostruzione storica della fattispecie si veda il report Demystifying Non– Fungible Tokens (NFTs) realizzato dall’European Blockchain Observatory and Forum, disponibile al seguente indirizzo https://www.eublockchainforum.eu/sites/default/files/reports/Demystify
ingNFTs_November%202021_2.pdf.

[41] WIPO (2022), Blockchain technologies and IP ecosystems: A WIPO white paper, 23, disponibile al seguente indirizzo https://www.wipo.int/cws/en/blockchain-and-ip.html. Similmente, il report Demystifying Non-Fungible Tokens (NFTs) realizzato dall’European Blockchain Observatory and Forum, 4, definisce un NFT come «a special type of digital asset or token that can be proved to be unique and not interchangeable with another digital asset token (i.e. fungible)».

[42] Per semplificare, si pensi, da un lato, ad una cryptovaluta (come un bitcoin) e, dall’altro, ad un NFT che rappresenta, ad esempio, un’opera d’arte: mentre nel primo caso ci si trova dinanzi ad un bene del tutto replicabile e sostituibile con un altro dello stesso genere e nella stessa quantità (altri bitcoin), nel secondo caso, invece, non vi è alcuna possibilità di sostituzione poiché il bene è unico e, appunto, infungibile.

[43] Si tratta di una compressione algoritmica (hashing) con cui viene realizzata una sequenza (hash) memorizzata in modo sostanzialmente inalterabile nei blocchi di una piattaforma blockchain ed accompagnata da una marcatura temporale.

[44] Demystifying Non-Fungible Tokens, (nt. 41), 5.

[45] Lo stesso rapporto in termini di scarsità o rarità intercorre tra un album fisico che è firmato dagli artisti e uno che non lo è.

[46] Si pensi ai primi token non fungibili messi in circolazione, i cc.dd. Cryptopunks, che evidentemente presentano un valore diverso dagli attuali per la loro qualità di essere stati il primo esempio di NFT.

[47] Si pensi a fotografie o selfie unici di personaggi famosi, realizzate appositamente in forma digitale.

[48] Il termine, antecedente all’ideazione della blockchain, è stato coniato da Nick Szabo che in uno scritto del 1996 definisce uno smart contract come «a set of promises, specified in digital form, including protocols within which the parties perform on these premises», così teorizzando la possibilità di costruire contratti giuridicamente vincolanti rappresentati da programmi per elaboratori che eseguono istruzioni impartite dai redattori al ricorrere di condizioni predeterminate e intellegibili secondo il principio causale dell’«if and then» (N. Szabo, Smart Contracts: Building Blocks for Digital Markets, 1996, reperibile al seguente indirizzo: https://
www.fon.hum.uva.nl/rob/Courses/InformationInSpeech/CDROM/Literature/LOTwinterschool2006/szabo.best.vwh.net/smart_contracts_2.html). In generale, sugli smart contract si vedano E. Mik, Smart Contracts: Terminology, Technical Limitations and Real World Complexity, in Law, Innovation and Technology, 2017, 277 ss., reperibile al seguente indirizzo: https://
papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3038406; M. Raskin, The Law and Legality of Smart Contracts, in Georgetown Law Technology Review, 2017, 309, reperibile al seguente indirizzo: https://georgetownlawtechreview.org/wp-content/uploads/2017/05/Raskin-1-GEO.-L.-TECH.-REV.-305-.pdf; P. Cuccuru, Blockchain ed automazione contrattuale. Riflessioni sugli smart contract, in Nuova giur. civ. comm., 2017, 107 ss.; D. Di Sabato, Gli smart contracts: robot che gestiscono il rischio contrattuale, in Contr. impr., 2017, 378 ss.; A. Karamanlioğlu, Concept of Smart Contracts. A Legal Perspective, in Kocaeli Üniversitesi Sosyal Bilimler Dergisi, 2018, 33 ss.; R. Pardolesi, A. Davola, Smart contract: lusinghe ed equivoci dell’innovazione purchessia, in Liber amicorum Guido Alpa, a cura di F. Capriglione, Milano, Cedam, 2019, 297 ss.; F. Benatti, (nt. 17), 274 ss; S.A. Cerrato, (nt. 19), 370 ss. A livello normativo si registrano alcuni tentativi di chiarire ciò che si intenda per smart contract, tra cui quello del legislatore italiano che, con il già citato art. 8-ter, secondo comma, della l. 12/2019, ha precisato «si definisce smart contract un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse», prevedendo altresì che «gli smart contract soddisfano il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’Agenzia per l’Italia digitale con linee guida da adottare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».

[49] S.A. Cerrato, (nt. 19), 370 ss. L’Autore, nel tentativo di inquadrare da un punto di vista giuridico la figura dello smart contract, sostiene che «lo smart contract (inteso come fattispecie astratta) non è un contratto (cioè un accordo con il quale le parti regolano un rapporto giuridico patrimoniale) e in particolare non è un contratto atipico nei termini fissati dall’art. 1322 c.c., poiché non ha un contenuto precettivo fissato ex ante o comunque ricorrente per prassi commerciale a cui le parti si affidano per soddisfare una specifica esigenza, come invece accade per esempio con un contratto di franchising o di leasing»; al contrario si tratta di «uno strumento di esercizio dell’attività negoziale, che le parti possono utilizzare in via esclusiva o unitamente alle altre note modalità di negoziazione (di persona o a distanza, anche eventualmente usando mezzi telematici), conclusione (con scambio contestuale o differito di proposta o accettazione, mediante firma in presenza o trasmessa) o esecuzione (diretta o tramite intermediari) di un contratto». Sulla qualificazione giuridica dello smart contract si veda altresì S. Capaccioli, Smart contracts: traiettoria di un’utopia divenuta attuabile, in Ciberspazio e diritto, 2016, 25 ss., che esclude in radice la possibilità di equiparare uno smart contract ad un contratto, anche sulla scorta della definizione offertane dal suo ideatore; P. Cuccuru, (nt. 48), 110 ss.; L. Parola, P. Merati, G. Gavotti, Blockchain e smart contract: questioni giuridiche aperte, in Contr., 2018, 681 ss., spec. 685, secondo cui «lo smart contract afferisce non alla fase di formazione del contratto, che è e resta costituita dall’accordo fra le parti, ma a quella dell’adempimento, con la conseguenza che non integrerebbe neppure una fattispecie di contratto atipico ai sensi dell’art. 1322 c.c.»; S.A. Cerrato, Contratti tradizionali, diritto dei contratti e smart contract, in Blockchain e smart contract. Funzionamento, profili giuridici e internazionali, applicazioni pratiche, a cura di R. Battaglini, M. Giordano, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2019, 273 ss.; D. Fauceglia, Il problema dell’integrazione dello smart contract, in Contr., 2020, 591 ss.

[50] Giova ricordare che nell’alveo della macrocategoria degli smart contract è possibile distinguere tra: a) smart contract cc.dd. puri, nei quali l’unica manifestazione della volontà delle parti è rappresentata dal codice software che costituisce lo smart contract; b) smart contract cc.dd. ibridi o ancillari, nei quali forme contrattuali più «tradizionali» si affiancano allo smart contract chiamato a sovrintendere a specifiche fasi esecutive del rapporto negoziale. Per una ricostruzione in senso giuridico delle diverse fasi di creazione di uno smart contract si veda S.A. Cerrato, (nt. 19).

[51] WIPO, (nt. 1), 43.

[52] Cfr. supra par. 1, nt. 10 e testo corrispondente.

[53] Cfr. infra par. 5.

[54] È un fenomeno in crescente ascesa nel mondo sportivo. Negli Stati Uniti sia la National Basketball Association (NBA) sia la Major League Basketball (MLB) hanno realizzato piattaforme blockchain, rispettivamente denominate NBA Top Shot e MLB Champions, sulle quali è possibile acquistare NFT aventi ad oggetto contenuti sportivi: in particolare, l’NBA consente di acquistare Moments, NFT costituiti da highlight di partite giocate da squadre dell’NBA, mentre la MLB ha introdotto una collezione di figurine virtuali dei giocatori più famosi. In Europa, il fenomeno riguarda alcune associazioni nazionali di calcio, come la Real Federación Española de Fútbol e la Lega Nazionale di calcio di Serie A che in occasione della Coppa Italia 2021 ha offerto alcune serie limitate di NFT. Cfr. G. Nava, I non-fungible-token, in Il diritto nell’era digitale. Persona, Mercato, Amministrazione, Giustizia, a cura di R. Giordano, A. Panzarola, A. Police, S. Preziosi, M. Proto, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2022, 237 ss., spec. 260.

[55] D.lgs. 9 gennaio 2008, n. 9 recante la disciplina della titolarità e della commercializzazione dei diritti audiovisivi sportivi e relativa ripartizione delle risorse (c.d. decreto Gentiloni/Melandri/Lotti). In materia di diritti sportivi cfr., tra i molti, A. Musso, Titolarità e trasferimento dei diritti radiotelevisivi sulle manifestazioni sportive, in AIDA, 2000, 472 ss.; Id, I diritti sportivi audiovisivi come diritti connessi al diritto d’autore, in Rass. dir. econ. dello sport, 2009, 96 ss.; P. Auteri, Diritti esclusivi sulle manifestazioni sportive e libertà di informazione, in AIDA, 2003, 183 ss.

[56] Si pensi allo storico goal del 22 giugno 1986 che valse a Maradona il soprannome «la Mano de Dios».

[57] Il riferimento è a «The currency» di Damien Hirst, il quale ha messo in vendita 10.000 opere simili, lasciando scegliere (entro il 27 luglio 2022) a ciascun acquirente se conservare l’opera su supporto materiale o digitale, e distruggendo l’altro; v. https://www.ilpost.it/2021
/07/21/the-currency-nft-damien-hirst/.

[58] E non, a ben vedere, facoltativa, dato che la scelta per l’uno o l’altro supporto dà vita a concentrazione (art. 1286 c.c.) e, perciò, è solo da quel momento che l’obbligazione diviene semplice (a differenza che nelle obbligazioni facoltative, ove – come noto – l’obbligazione è una ed è semplice, ma ci si può liberare eseguendone un’altra individuata in precedenza con il creditore); ciò che comporta conseguenze nei casi di impossibilità sopravvenuta delle prestazioni. Cfr. per tutti C.M. Bianca, Diritto civile. 4-L’obbligazione, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2019, 123 ss. e 139-140.

[59] Diverso il caso dell’«iconoclastia» di alcune opere di Banksy (https://artslife.com/2021
/03/08/burnt-banksy/), ove la distruzione dell’unico originale creato su supporto materiale ha costituito oggetto di una performance artistica e, perciò, di una nuova e autonoma opera d’arte, ed essendo per l’appunto l’originale non più esistente, a differenza che nell’ipotesi analizzata in precedenza nel testo e citata alla nt. 57. Si potrebbe al limite riflettere sulla qualificazione della fattispecie in termini di elaborazione creativa dell’originale, ma la circostanza che la Performance Art sia un genere ben distinto e con caratteri del tutto differenti rispetto alla pittura o alla scultura porterebbe a concludere che la distruzione dell’opera (performance) sia, come detto, opera nuova di per sé e non elaborazione creativa dell’opera distrutta.

[60] È sufficiente rinviare a R. Romano, P. Spada, Parte generale, in Aa.Vv., Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza6, Torino, Giappichelli, 2020, 32 ss. e, se consentito, per ulteriori riferimenti normativi e bibliografici a N. Muciaccia, Diritti connessi e tutela delle opere dell’intelligenza artificiale, in Giur. comm., 2021, I, 761 ss., ma spec. 780 ss. e 783 ss.

[61] Gli artt. Da 72 a 78 l. aut., difatti, attribuiscono un diritto connesso sul fonogramma non solo al produttore del disco fonografico, ma anche al produttore «di altro apparecchio analogo riproduttore di suono o voci».

[62] V. infra par. 5.

[63] Per un’indagine anche comparata sui diversi sistemi di gestione dei diritti, muovendo da quelli degli artisti per il tramite del nuovo IMAIE, cfr. L.C. Ubertazzi, Le collecting degli artisti, in AIDA, 2012, 394 ss.

[64] In Italia cfr. ad esempio A. Mirone, Libertà di associazione e gestione collettiva dei diritti di proprietà intellettuale, in AIDA, 2005, 133 ss.; G.M. Riccio, Copyright collecting societies e regole di concorrenza. Un’indagine comparatistica, Torino, Giappichelli, 2012, 65 ss.; E. Arezzo, Società di gestione collettiva dei diritti fra tutela della proprietà intellettuale e diritto della concorrenza: brevi note a margine della pronuncia “International confederation of societies of authors and composers” (Cisac) c. Commissione europea, in Conc. merc., 2014, 673 ss.; P. Auteri, Il contenuto del diritto d’autore, in Aa.Vv., Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza6, (nt. 60), 715 ss.; D. Sarti, (nt. 25), 23 ss., spec. 24 ss.

[65] Così D. Sarti, (nt. 25), 23 ss.

[66] D. Sarti, (nt. 25), 25-26, il quale ulteriormente puntualizza come caratteristica delle blanket licenses sarebbe quella di consentire al licenziatario di utilizzare tutte le opere su cui gli aderenti al sistema di gestione collettiva vantino diritti d’autore o connessi (e, cioè, il «repertorio» della collecting). Il repertorio diviene perciò oggetto di un’unica licenza che tipicamente ricomprende non solo le creazioni esistenti al momento del contratto concluso con l’utilizzatore, ma anche le opere create successivamente e «conferite» alla gestione accentrata nel periodo di durata della blanket license.

In una diversa ma contigua prospettiva, in assenza di un modello definito o anche solo definibile di costo di produzione, l’offerta più efficiente sarebbe quella che massimizza il numero delle utilizzazioni, e cioè il valore prodotto. Sotto questo profilo, il modello ottimale è quello delle blanket licenses, in quanto non prezza né la singola opera, né la singola utilizzazione, ed incentiva così l’uso più ampio possibile del repertorio. «In un sistema del genere il problema concorrenziale si riduce a quello di prezzare l’intero repertorio determinando royalties che non riducano il numero dei licenziatari desiderabile (salvo poi interrogarsi sui criteri di determinazione di questo numero). In sintesi: il modello tendente a privilegiare la concorrenza sul mercato delle offerte per use non si presta a valutazioni efficientiste diverse rispetto a quelle del modello di offerta dell’intero repertorio» (D. Sarti, (nt. 25), 41-42).

[67] Tuttavia, l’accentramento delle negoziazioni non implica necessariamente la concessione di blanket licenses, essendo ad esempio immaginabile che un unico gestore operi come mandatario, agente o rappresentante dei titolari dei diritti, concedendo «pacchetti» di licenze singolarmente riferite a ciascuna opera intermediata. In un sistema del genere dunque ciascuna opera o utilizzazione verrebbe singolarmente «prezzata». Ancora secondo D. Sarti, (nt. 25), 26, «[u]n sistema così strutturato certamente potrebbe in certa misura ridurre i costi di transazione, se non altro perché i licenziatari avrebbero a disposizione uno “sportello unico” di offerta. Ad un tempo questo sistema non potrebbe abbattere ulteriori costi di transazione eliminati invece dalla blanket license: ad esempio (e tipicamente) perché la licenza non potrebbe estendersi ad opere future; ed inoltre perché la concessione di licenze “prezzate” individualmente presuppone un controllo analitico ed a sua volta individuale delle singole utilizzazioni». Ammesso che la collecting non ripartisca i compensi proporzionalmente alle utilizzazioni delle singole opere – e in questo caso all’utilizzo delle blanket license potrebbe accompagnarsi un controllo analitico –, soltanto una siffatta forma di controllo consentirebbe di verificare se il licenziatario rispetti i limiti del «pacchetto di diritti» acquistato; e così pure consentirebbe di quantificare le somme dovute in proporzione agli usi licenziati di ciascuna opera del «pacchetto».

[68] Cfr. D. Sarti, (nt. 25), 44 ss. Invita a non confondere le prospettive di sopravvivenza del modello della gestione collettiva con quelle del superamento del modello di gestione su base territoriale E. Arezzo, (nt. 64), 680 ss. Sebbene ciò sia in effetti assai probabile quanto meno nel settore delle licenze per utilizzazioni on line, non necessariamente si determinerebbe in tal modo l’abbandono del modello «collecting»: è difatti perfettamente concepibile che in un contesto di licenze transnazionali le collecting mantengano il loro ruolo, sia pur eventualmente concentrandosi in pochi grandi operatori integrati su scala mondiale.

[69] Il tema è molto delicato, ma, oltre ad una parte della dottrina (M.A. Einhorn, Market Imperfection and Failed Governance: The Case of Music Performing Rights, in Col. J. For L.&A., 2002, 1 ss.) che ha con nettezza preso posizione nel senso della necessaria evoluzione del sistema verso un regime di remunerazione analitica a discapito del sistema di remunerazione forfetaria, anche la Corte di Giustizia (11 dicembre 2008) si è espressa in tale direzione nella causa C-52/07, Kanal 5 Ltd, TV 4 AB c. STIM, 2008, par. 40, reperibile al seguente indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX%3A62007CJ0052.

[70] La tendenza del mercato della gestione collettiva ad evolversi verso monopoli naturali è generalmente considerata fisiologica ed accettata anche nei paesi in cui non esistono monopoli legali dell’attività di intermediazione; così J. Drexl, S. Nérisson, F. Trumpke, R.M. Hilty, Comments of the Max Planck Institute for intellectual property and competition law on the proposal for a directive of the European parliament and of the Council on collective management of copyright and related rights and multi-territorial licensing of rights in musical works for online uses in the internal market com (2012)372, in Max Planck Institute for Intellectual Property and Competition Law Research Paper No. 13-04, reperibile al seguente indirizzo: https://pure.mpg.de/rest/items/item_1720095_13/component/file_1786488/content); F. Rossi Dal Pozzo, J. Alberti, Legittimità «comunitaria» e costituzionale del nuovo IMAIE: può sussistere un «interesse pubblico» a tutela del monopolio?, in AIDA, 2011, 405 ss.; G. Olivieri, Sullo statuto concorrenziale delle collecting societies, in Impresa e mercato. Studi dedicati a Mario Libertini, a cura di V. Di Cataldo, V. Meli, R. Pennisi, II, Milano, Giuffré, 2015, 1135 ss.; D. Sarti, Concorrenza e level playing field europeo nella gestione collettiva dei diritti d’autore e connessi, in Nuove leggi civ. comm., 2016, 841 ss. Per R.A. Palenfo, J. Vincent, Droits d’auteur et droits voisins: guide pratique, version mise à jour, AIF, ADAMI, SABAM, 2004, le prime società di gestione collettiva sono nate, con carattere di associazioni professionali (per primo il «Bureau des auteurs» del 1777, poi divenuto la Società degli autori e compositori drammatici, SACD), dall’intento di stimolare la creatività individuale e facilitare la circolazione dei beni culturali. Cfr. inoltre A. Musso, Diritto d’autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna, Zanichelli, 2008, 402 ss.

[71] Per un approfondimento sull’istituto cfr. M. Fabiani, voce SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori), in Dig. IV, disc. priv., sez. comm., XIII, Torino, Utet Giuridica, 1996, 388 ss.; E. Santoro, Società Italiana di Autori ed Editori, in Enc. giur., XXIX, Roma, Treccani, 1993, 3 ss.

[72] Cfr. J. Cirace, CBS v. ASCAP: An Economic Analysis of a Political Problem, in Fordham L. Rev., 1978, 277 ss. Per le vicende relative all’ordinamento tedesco, cfr. D. Sarti, La categoria delle collecting societies soggette alla direttiva, in AIDA, 2013, 7 ss.

[73] G.S. Lunney jr, Copyright Collectives and Collecting Societies: The United States Experiences, in Collective management of copyright and related rights, a cura di D.J. Gervais, Alphen aan den Rijn, the Netherlands, Kluwer Law International, 2016, 319 ss., spec. 320. Ma già prima cfr. V. Falce, Gestione dei diritti, disintermediazione e Collecting Societies. La modernizzazione del diritto d’autore, in AIDA, 2012, 97 ss., spec. 101, nt. 19.

[74] Così D. Sarti, Gestione collettiva e modelli associativi, in Gestione collettiva del­l’offerta e della domanda di prodotti culturali, a cura di P. Spada, Milano, Giuffrè, 2006, 30 ss.; poi anche in Id., (nt. 72), 6.

[75] Secondo G. Scaccia, Il bilanciamento degli interessi in materia di proprietà intellettuale, in AIDA, 2005, 207 ss. «il valore della concorrenza […] è assurto ormai a dignità costituzionale» anche grazie al processo di integrazione comunitaria che ha determinato una modifica tacita del sistema costituzionale delle libertà economiche: attesa infatti, anche dal punto di vista storico, il passaggio da un’iniziale irrilevanza della concorrenza nel testo originario della Costituzione, ad una rilevanza interpretata in senso antimercantile per poi estendersi ad una interpretazione orientata al mercato (concorrenza come modello economico di mercato), fino addirittura ad ampliare la sua rilevanza al di fuori del mercato come principio di struttura del nostro ordinamento; ritiene quindi che il valore della concorrenza debba determinare «una rilettura dei limiti generali della proprietà intellettuale» che tenga conto di essa. D. Sarti, Antitrust e diritto d’autore, in AIDA, 1995, 105 ss.; Id., Proprietà intellettuale, interessi protetti e diritto antitrust, in Riv. dir. ind., 2002, 543 ss. e M. Bertani, Proprietà intellettuale, antitrust e rifiuto di licenze, Milano, Giuffrè, 2004, passim, propongono una ricostruzione del sistema dei diritti IP coerente con i principi di concorrenzialità, rinvenendo nelle posizioni monopolistiche un sacrificio che il legislatore stesso pone alla concorrenza in cambio del vantaggio di cui la collettività può godere, ritenuto a priori socialmente utile. Il monopolio ha pertanto ragion d’essere se non vi siano, o non vi possano concretamente essere anche se il legislatore ne creasse i presupposti, alternative ispirate al principio di concorrenzialità. Ciò in perfetta simmetria con il rapporto tra primo e secondo comma dell’art. 41 Cost., ove il monopolio può giustificarsi quale eccezione alla concorrenza se ispirato a ragioni di «utilità sociale»; cfr. G. Oppo, L’iniziativa economica, in Riv. dir. civ., 1988, 332, che ricava il contenuto della clausola generale di utilità sociale rispetto al rapporto tra iniziativa economica privata e concorrenza dal bilanciamento di interessi fatto nel Trattato di Roma, mediante una serie di regole ed eccezioni che intanto possono imporsi in quanto siano idonee a compensare eventuali limitazioni della concorrenza.

[76] È a tal proposito sin d’ora utile precisare che le tecnologie DLT sono persino idonee a scardinare la funzione di servizio pubblico veramente centrale per le collecting: la tenuta dei registri, la ricezione dei depositi e l’apposizione del contrassegno.

[77] C.d. direttiva Barnier, attuata con d.lgs. 15 marzo 2017, n. 35, e con d.l. 16 ottobre 2017, n. 148, conv. Con l. 4 dicembre 2017, n. 172, «sulla gestione collettiva dei diritti d’autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali per l’uso online nel mercato interno». Cfr. D. Sarti, (nt. 72), 3 ss.; Id., (nt. 70), 841 ss.; Id., Campi di gioco e vasi di Pandora: la gestione collettiva dei diritti d’autore nel confronto UE-USA, in AIDA, 2016, 535 ss.; Id., L’abrogazione del monopolio SIAE (art. 180 l.a.) nel contesto del­l’attuazione della direttiva collecting, in NLCC, 2018, 1057 ss.; Id., (nt. 25), 23 ss.; P. Cuomo, Liberalizzazione del mercato dell’intermediazione dei diritti d’autore e “rappresentatività” degli organismi di gestione collettiva, in Nuove leggi civ. comm., 2019, 641 ss.

[78] D’altronde, l’interpretazione che potrebbe in alternativa trarsi dai considerando 9 e 10 sarebbe nel senso di imputare al legislatore comunitario l’intento di tutelare l’interesse dell’arti­sta ad un’adeguata remunerazione in senso oggettivo, e non invece, soggettivo – come proposto nel testo –, della sua libertà di (auto)determinazione degli strumenti, anche contrattuali, con cui perseguire tale risultato; interpretazione dai colori paternalistici che si porrebbe in contrasto con lo spirito stesso del sistema del diritto d’autore per come disegnato nell’Unione europea e in ogni singolo stato membro. Per essere ancora più chiari: il legislatore non mira (e non deve/può mirare) ad eterodeterminare gli strumenti cui l’artista possa far ricorso per spuntare un maggiore compenso nella cessione dei propri diritti su un’opera creativa; sicché la contrattazione collettiva non può esser preferita e imposta per legge rispetto a quella individuale se quest’ultima possa risultare più conveniente per l’artista. E ciò, come si è detto poco supra nel testo, in questo paragrafo, non solo in una dimensione statica, ma anche dinamica nella creazione di un ecosistema che possa accogliere le negoziazioni per use se queste, grazie alle disruptive technologies, possano anche solo astrattamente risultare più convenienti per gli autori.

[79] Si pensi alle nuove eccezioni ivi contemplate, oltre che agli artt. 15 e 17, rispettivamente in tema di pubblicazioni di carattere giornalistico (cfr. M. Ricolfi, La tutela delle pubblicazioni giornalistiche in caso di uso online, in AIDA, 2019, 33 ss.) e utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi di condivisione di contenuti online (cfr. A. Cogo, Online content-sharing platforms as users of copyrighted contents, in AIDA, 2019, 68 ss.).

[80] Liberalizzazione sospinta in gran parte ricorrendo a strumenti di «armonizzazione» piuttosto che di «unificazione», nei termini chiariti da E. Loffredo, Unificazione, armonizzazione e sussidiarietà nel diritto d’autore europeo, in AIDA, 2016, 193 ss.; D. Sarti, (nt. 72), 9-10 ritiene che la liberalizzazione potrebbe condurre alla eliminazione di situazioni di monopolio (anche solo di fatto).

[81] Anche sul piano economico, i costi di transazione potrebbero essere destinati a diminuire nell’ambiente telematico, che consente un controllo a distanza delle utilizzazioni, e potrebbe perciò aprire la strada ad un digital rights management (DRM) di contrattazione individuale; per alcuni spunti cfr. P. Goldstein, Commentary on “An economic Analysis of copyright collectives”, in Virg. L. R., 1992, 413 ss., spec. 415, ove si legge che «a more ideal solution – for which the technology already exists – would be a computer-based licensing system […] an interesting question […] concerns the extent to which entrenched institutions, such as collecting societies, will slow the development of more efficient technologies»; G. Hansen, A. Smith, Bischoffshausen, Economic Functions of Collecting Societies – Collective Rights Management in the Light of Transaction Cost – and Information Economics, 2007, 4 ss., spec. 11 ss., reperibile in bozza al link https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=998328; C. Handke, R. Towse, Economics of Copyright Collecting Societies, in Int. R. IP and Competition Law, 2007, 937 ss. Rileva una tendenza verso il modello della contrattazione individuale dei diritti connessi anche G. Mazziotti, New Licensing Models for Online Music Services in the European Union: From Collective to Customized Management, Col. Public L. R. Paper No. 11-269, 2011, 1 ss. reperibile al seguente indirizzo: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.
cfm?abstract_id=1814264.

[82] T. Ascarelli, Corso di diritto commerciale. Introduzione e teoria dell’impresa, Milano, Giuffrè, 1962, 137 affermava che il livello di elaborazione tecnica del codice civile del 1942 non trovasse spesso riscontro, nella materia dell’impresa, in un pari livello di adeguatezza alla realtà economica, sì che si rendeva necessario «elaborare le categorie giuridiche in relazione a fenomeni reali e tenendo perciò conto della portata e del rilievo di questi […] nel rispetto della legge positiva che vincola l’interprete». Da qui la celebre affermazione che a «tipologie della realtà» debbano corrispondere «regulae iuris» congrue e il riconoscimento che le categorie giuridiche del passato mal si adattassero ai nuovi fenomeni sociali, primo tra tutti la «produzione industriale di massa» (Id., Teoria della concorrenza e dei beni immateriali. Istituzioni di diritto industriale, Milano, Giuffrè, 1960, 5). Come si cercherà di dimostrare in seguito, non appare un fuor d’opera proporre un parallelo tra ciò che è stata la produzione industriale di massa per Ascarelli e ciò che è invece, per noi, la diffusione delle disruptive technologies.

[83] Cfr. La nota dissenting opinion del giudice Stevens in BMI v. CBS, 441 US 1 (S. Ct., Apr. 17, 1979), 32, secondo cui in un sistema di blanket licenses «the user has no incentive to economize by, for example, substituting what would otherwise be less expensive songs for established favorites or by reducing the quantity of music used on a program». Certamente un sistema di licenze per use potrebbe incentivare un uso più intensivo di «less expensive songs». Il minor livello della royalty per use rifletterebbe peraltro la minore notorietà delle musiche e la loro inferiore appetibilità presso il pubblico. Si comprende così il tentativo dell’analisi economica del diritto di concentrarsi su un modello di offerta di licenze per piece che consente di imputare alla creazione dell’opera «prezzata» un costo di produzione superiore a zero, considerato che, come sostenuto da S.M. Besen, S.N. Kirby, S.C. Salop, An economic analysis of copyright collectives, in Virg. L. Rev., 1992, 383 ss., spec. 408, «the true marginal cost of each additional use of a song is zero»; e «thus, competitive licensing does not sacrifice this efficiency benefit of the blanket license». Di contro e in un’ottica efficientista, constata correttamente D. Sarti, (nt. 25), 42, nt. 44, che la produzione di un’unità aggiuntiva di uso di musiche meno famose ha un costo marginale pari a zero, dal momento che la musica già prodotta non aumenta il proprio costo di produzione in funzione del numero delle relative utilizzazioni; e ad un tempo ha un’utilità marginale inferiore a quella delle composizioni più famose, poiché «la disponibilità del pubblico a pagare per un uso aggiuntivo un prezzo più o meno elevato riflette la più o meno elevata utilità sociale dell’uso medesimo». «Non vedo perciò alcuna ragione di incentivare usi di “less expensive songs” che hanno utilità marginale inferiore (e costi marginali corrispondenti) a quello delle composizioni più costose. Anche sotto questo profilo la blanket license si rivela la soluzione più efficiente: perché non prezza autonomamente l’uso delle musiche più famose, e con ciò incentiva gli usi delle composizioni più apprezzate dal pubblico». Pensiero che tuttavia, e con tutta probabilità, non poteva tener conto dei dirompenti effetti di tecnologie appena affacciatesi sul mercato, o comunque il cui uso nel campo dei diritti d’autore è recentissimo e ancora in gran parte inesplorato.

[84] Da M. Bertani, Diritto d’autore europeo, Torino, Giappichelli, 2011, 196 ss.

[85] Ormai abbandonate le impostazioni che rintracciano alla base della materia industrialistica la nozione di azienda, l’assetto sistematico delle privative industriali (a ben vedere il concetto stesso di «privativa»), e del diritto d’autore in particolare, viene legato alla categoria dei «beni immateriali» o, preferibilmente, alla concorrenza e alla libertà d’impresa. Per la prima tesi, cfr. F. Ferrara jr., La teoria giuridica dell’azienda, Firenze, 1945, secondo il quale l’azienda sarebbe il bene immateriale protetto dalle discipline dei segni distintivi e della concorrenza sleale; M. Rotondi, Diritto industriale, Padova, Cedam, 1965, che intravede nell’a­zienda la categoria ordinante del diritto industriale, con esclusione però del diritto d’autore. Chi invece pone al centro del sistema i beni immateriali reputa che le privative siano strumenti di appropriazione di cose non corporali, e risolve il diritto d’autore in un diritto esclusivo di natura reale sull’opera dell’ingegno intesa come bene in senso tecnico-giuridico. Cfr., con ricorso a ricostruzioni diverse, P. Greco, I diritti sui beni immateriali, Torino, Giappichelli, 1948; Id., Saggio sulle concezioni del diritto d’autore, in Riv. dir. civ., 1964, I, 539 ss., spec. 547 ss.; F. Voltaggio Lucchesi, I beni immateriali, Milano, Giuffrè, 1962, 67 ss. In chiave critica rispetto ai beni immateriali come categoria dogmatica pragmaticamente utile cfr. M. Casanova, Beni immateriali e teoria dell’azienda, in Riv. dir. comm., 1945, I, 78 ss., che qualifica l’opera dell’ingegno come un’attività ed il diritto d’autore come una riserva su di essa, strutturalmente analoga ai diritti di monopolio; similmente, per l’inquadramento delle privative industriali nella categoria dei «diritti soggettivi di monopolio», R. Franceschelli, Trattato di diritto industriale, Milano, Giuffrè, 1960, II, 575 ss. Per la centralità della categoria della «concorrenza» cfr. T. Ascarelli, Teoria della concorrenza (nt. 82), 48 ss., spec. 50, che riconosce nelle privative industrialistiche dei diritti assoluti posti a tutela della «probabilità di guadagno» conseguibile attraverso l’uso della risorsa protetta nei confronti dei terzi, sì che la disciplina di queste svolge una funzione di «ripartizione di possibili clientele» tra i concorrenti; R. Franceschelli, op. cit., 526 ss., il quale riconosce ai diritti di privativa industriale la funzione di stimolo dell’innovazione concorrente. Opinione ancora diversa, da ultimo, è quella di M. Libertini, Tutela e promozione delle creazioni intellettuali e limiti funzionali della proprietà intellettuale, in AIDA, 2014, 299 ss., spec. 335-336 il quale, ponendosi il dubbio se la proprietà intellettuale e, con essa, i diritti di esclusiva, abbiano ancora una ragion d’essere sistematicamente fondata, anzitutto considera pienamente superate la prospettiva individualistica della teoria ottocentesca dei beni immateriali, e l’idea della centralità dello schema concettuale della «proprietà» nella disciplina delle creazioni intellettuali. Ciò che lo porta a considerare necessario il guardare alla proprietà intellettuale (intesa alla stregua di un diritto esclusivo dominicale) come ad uno dei possibili strumenti di politica economica, utilizzabili al fine di sostenere la creatività intellettuale e l’innovazione. Secondo l’A. la proprietà intellettuale avrebbe perciò come ancoraggi apicali la libertà d’impresa e la tutela della concorrenza, sì che debba essere mantenuta e difesa (solo) nella misura in cui contribuisca effettivamente ad incrementare l’efficienza dinamica dei mercati e il benessere economico collettivo.

[86] Sulla difficoltà di garantire questo flusso di risorse, si vedano le riflessioni di A. Bertoni, M.L. Montagnani, La modernizzazione del diritto d’autore e il ruolo degli intermediari Internet quali propulsori delle attività creative in rete, in Dir. inform., 2015, 111 ss., spec. 128. Sul value gap cfr. A. Bridy, The Price of Closing the “Value Gap”: How the Music Industry Hacked EU Copyright Reform, in Vand. J. Ent. & Tech. L., 2020, 323 ss.

[87] Cfr. supra par. 2, nt. 48, 49 e 50.

[88] Così C. Sandei, (nt. 15), 208 ss., secondo la quale, «[o]vviamente per abbattere del tutto le barriere all’ingresso e realizzare un modello di creatività diffusa (tanto sul lato della produzione, che della fruizione) bisognerebbe intervenire anche su altri aspetti, a cominciare dal problema della scelta dei criteri di riparto dei proventi fra gli autori (pay per-stream vs. pay per-subscriber), per poi passare a quello delle c.d. filter bubbles e dell’impatto anticoncorrenziale che determinate strutture, per la loro dimensione, attività, operatività, possono esercitare sul mercato».

[89] Cfr. C. Sandei, Initial coin offering e appello al pubblico risparmio, in Diritto del FinTech, (nt. 3), 285 ss.; Ead., (nt. 15), 213 ss.; Ead., (nt. 8). Nel secondo dei due lavori citati, l’A. avverte che, come per tutte le altre ICO, anche l’offerta dei copyright tokens porta con sé il rischio che il sottoscrittore non consegua quanto promesso, «vuoi perché l’autore non sa come condurre a termine il progetto, vuoi perché i fondi destinati allo scopo potrebbero essere distratti o sottratti, vuoi infine anche perché ci potrebbero essere dei fork associati all’emis­sione di nuovi token che potrebbero ridurre il valore di quelli già in circolazione».

[90] Cfr. V. Falce, Gestione dei diritti, disintermediazione e Collecting Societies. La modernizzazione del diritto d’autore, in AIDA, 2012, 105 ss.; P. Cuomo, (nt. 77), 641 ss.

[91] Aggiunge P. Cuomo, (nt. 77), 647 e 651-652 che su tali basi, è indubbio che l’organismo di gestione collettiva debba commisurare i compensi richiesti agli utilizzatori alla effettiva consistenza e al valore delle opere e dei diritti amministrati. Da tanto potrebbe inoltre desumersi che l’organismo di gestione collettiva, nella determinazione dei compensi richiesti, debba tenere conto anche dell’importanza del proprio repertorio rispetto a quello amministrato dagli altri organismi di gestione collettiva operanti nel medesimo settore. «Da un lato, gli utilizzatori si aspettano un adeguamento (e in concreto una riduzione) dei compensi da pagare all’ex monopolista a fronte del fatto che una parte più o meno ampia delle opere e/o dei diritti da essi utilizzati e in precedenza amministrati da SIAE sono passati sotto l’egida di altri organismi di gestione collettiva. Dall’altro, SIAE resiste a simili richieste in base all’argomento che i compensi da essa richiesti si giustificano a fronte del fatto che la licenza da essa concessa copre l’intero repertorio amministrato, e che tale repertorio sarebbe rimasto invariato o addirittura avrebbe visto incrementata la propria consistenza, grazie all’entrata di nuove opere o diritti capaci di compensare l’uscita di quelli passati in gestione ad altre collecting». Le conseguenze restrittive di tale opzione, invero priva di alternative, si riverberano: a) sugli utilizzatori, nella misura in cui potrebbe determinare l’imposizione di tariffe eccessive, in quanto incorporanti anche il valore di prestazioni non richieste; b) sugli stessi titolari dei diritti, potendo indurre gli utilizzatori a ridurre gli investimenti nello sfruttamento di opere protette (ad es. rinunciando a una parte delle blanket licenses utilizzate); c) per eventuali collecting interessate ad operare nel mercato italiano, potendo creare delle barriere all’entrata in quanto gli utilizzatori, non potendo ridurre l’importo dei compensi pagati agli incumbent, non avrebbero sufficienti incentivi a stipulare licenze con eventuali nuovi entranti.

[92] P. Cuomo, (nt. 77), 653-654.

[93] In tal caso, per stabilire a partire da quale momento decorrano gli effetti della revoca del mandato conferito alla prima e, correlativamente, comincino quelli dell’incarico conferito alla nuova collecting, basterà interpretare il disposto normativo dell’art. 4, sesto comma, del d.lgs. n. 35/2017; per una convincente soluzione si rinvia a P. Cuomo, (nt. 77), 654.

[94] Per quanto dimostrato da P. Cuomo, (nt. 77), 655 ss., al fine di bilanciare la tutela della libertà di scelta dei singoli autori (o terzi titolari dei diritti, come ad esempio gli eredi dell’autore) con una corretta ed agile gestione dei diritti, non sarà possibile fare ricorso alla piana applicazione della disciplina sulla nomina dell’amministratore di un bene in comunione ex artt. 1106, secondo comma e 1105 c.c., così come il ricorso agli artt. 10, 33 ss. e 106-107 l. aut. porterebbe a ritenere; né tantomeno potrà ritenersi applicabile la disciplina della circolazione delle quote di comunione (art. 1103 c.c.).

[95] Semplici e in collaborazione, collettive; sulle quali cfr. M. Bertani, (nt. 84), 76 ss.; P. Auteri, L’oggetto, in Aa.Vv., Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza6, (nt. 60), 655 ss. Per l’astratta prevalenza della regola dell’unanimità su quella della maggioranza nella gestione in comunione dei diritti d’autore, al fine di preservare la funzione e la struttura del diritto patrimoniale d’autore come diritto d’esclusiva, cfr. P. Cuomo, (nt. 77), 660 ss.

[96] Del tema non è possibile occuparsi in questa sede, ma un profilo di criticità che quasi sicuramente si porrà, in futuro, con maggior consapevolezza in relazione all’utilizzo dei sistemi di DLT atterrà alla formulazione degli smart contract ed al «profilo causale» dei contratti cui sono legati. Una convincente qualificazione degli smart contract è quella fornita da S.A. Cerrato, (nt. 25), 370 ss. in termini di «strumento di esercizio di attività contrattuale» sicché, nel caso che ci interessa, è possibile pensare ai contratti di edizione, a seconda che debbano disciplinare diritti derivanti da opere a stampa, musicali o audiovisive, ed al collegamento con gli smart contract destinati a dar loro esecuzione sulla blockchain.

[97] Cfr. A. Cogo, (nt. 25), 16-17, secondo il quale, ragionando sul caso in cui cessionaria dei diritti sia un’impresa culturale, sebbene possa accadere che il contratto riguardi opere o prestazioni cui i rispettivi autori non attribuiscano un valore artistico, per le quali sono dunque disposti ad abdicare al potere di controllo e talora anche al riconoscimento della paternità in cambio di una remunerazione immediata e più consistente, spesso sarebbe vero esattamente il contrario. Tali accordi sarebbero il frutto, nella maggior parte delle volte, dell’elevato valore riconosciuto da autori e artisti al proprio lavoro, sì che intendono comunicarne i frutti al pubblico con l’ausilio di imprese culturali dotate di mezzi e capacità rassicuranti.

[98] Ci si riferisce in particolare alle pronunce secondo le quali la SIAE sarebbe mandataria ex lege di tutti i titolari di diritti d’autore: cfr. Trib. Grosseto 30 aprile 1991, in IDA, 1996, 245; Trib. Catania 26 luglio 1993, ivi, 329; Trib. Treviso 8 marzo 1997, in AIDA, 1998, 523; Trib. Milano 29 luglio 2010, in AIDA, 2011, 1435.

[99] Si concorda in ciò con P. Cuomo, (nt. 77), 678 ss.

[100] Così anche A. Musso nel suo intervento nell’ambito della Videoconferenza per la Giornata Mondiale del Diritto d’Autore 2022, Copyright, Blockchain e utilizzo fisico. Il futuro descritto da AIDA, disponibile al link https://www.associazioneaida.org/futuro_copyright/, ritenendo che gli NFT possano essere considerati come informazioni sulla gestione dei diritti (DRM) che già il Trattato WIPO del 1996 (WCT) consentiva di inserire sui supporti (art. 12, par. 2, ove si prevede che per «informazioni sulla gestione dei diritti» si intenda qualunque informazione che identifichi l’opera, l’autore, il titolare di qualsiasi diritto sull’opera, ovvero qualunque informazione circa le condizioni di utilizzazione dell’opera o qualunque numero o codice che racchiuda tali informazioni, qualora anche uno solo di questi elementi di informazione figuri su una copia dell’opera o compaia in una qualche comunicazione al pubblico ad essa relativa).

[101] C. Sandei, (nt. 15), 210 ss.

[102] Anche se in relazione al diritto patrimoniale di comunicazione al pubblico mediante mezzi di diffusione a distanza (art. 16 l. aut.), per la nozione di «pubblico» come un numero considerevole di persone, indeterminato ex ante, cui la comunicazione è anche solo potenzialmente rivolta, cfr. L.C. Ubertazzi, Spunti sulla comunicazione al pubblico dei fonogrammi, in AIDA, 2005, 292 ss. e la nota sentenza della CGUE, causa C-351/12, caso OSA, in AIDA, 2014, 574.

[103] Cfr. l’archivio contenuto in https://cryptoart.io, nonché l’informato (anche se scettico) articolo di M. Franceschet, Crypto art: nascita e caduta di un movimento artistico, in lavoce.info, 24 agosto 2021, reperibile al seguente indirizzo: https://www.lavoce.info/archives/
89134/crypto-art-nascita-e-caduta-di-un-movimento-artistico/.

[104] Cfr. H. Higgins, D. Kahn (eds.), Mainframe Experimentalism. Early Computing and the Foundation of the Digital Arts, Orlando, University of California Press, 2012.

[105] Sulle quali cfr. la recente monografia di F. Benatti, Diritto d’autore, (nt. 14), passim, ma spec. 11 ss. e 67 ss., ove anche riferimenti di diritto comparato al requisito della «fixation», non previsto dalla legge italiana sul diritto d’autore ma in alcuni ordinamenti di common law; e già prima Ead., Il supporto dell’opera, (nt. 14), 398 ss.

[106] Per le ragioni, anche di carattere comparatistico, che fondano tale principio cfr. O. Pignatari, Le support en droit d’auteur, Bruxelles, Larcier, 2013, 89; F. Benatti, Il supporto dell’opera, (nt. 14), 398 ss. Nel suo già citato (v. nt. 100 supra) intervento nell’ambito della Videoconferenza per la Giornata Mondiale del Diritto d’Autore 2022, Copyright, Blockchain e utilizzo fisico. Il futuro descritto da AIDA, A. Musso (ma cfr. già prima Id., Diritto d’autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, cit., 13 ss., 47 ss., 115 ss. e spec.128 ss.) sottolinea come uno dei problemi centrali del sistema autorale «bernese» sia rappresentato, oggi più che in passato, dal divieto dettato dalla Convenzione di Berna di imporre formalità costitutive per l’acquisto del diritto d’autore; ciò genera incertezza per chiunque produca creazioni intellettuali, potendosi in qualsiasi momento veder chiamato in giudizio per plagio, e sarà un problema ancor più diffuso con l’avvento degli NFT.

[107] Non si incontra nell’ordinamento unionale, né tanto meno in quelli interno e internazionale, una nozione generale di «originalità»; alcune fonti dell’Unione europea ne forniscono, però, una definizione limitatamente a tipologie specifiche di opere dell’ingegno (v. ad esempio l’art. 1 della direttiva 91/250/CEE relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratori che; l’art. 3, n. 1), della direttiva 96/9/CE relativa alla tutela giuridica delle banche di dati; l’art. 6 della direttiva 2006/116/CE concernente la durata di protezione del diritto d’autore e di alcuni diritti connessi).

Sul requisito dell’originalità alla luce del rinnovato ambiente anche digitale in cui si trovi a dover essere definito, cfr. da ultimi e per tutti A. Musso, L’impatto dell’ambiente digitale su modelli e categorie dei diritti d’autore o connessi, in Riv. trim. dir. proc. Civ., 2018, 471 ss., spec. 503 ss.; S. Guizzardi, Il requisito della originalità delle opere dell’ingegno come armonizzato dalla Corte di Giustizia, in AIDA, 2020, 3 ss.

[108] È solo il caso di ricordare come nel nostro ordinamento la creatività rappresenti il criterio per identificare le opere che accedono alla tutela autorale tra quelle che appartengono alle categorie di cui l’art. 2 l. aut. fornisce un’elencazione meramente esemplificativa. E che le opere per le quali l’artista gode della protezione autorale siano solo quelle in cui sia percepibile un certo gradiente di espressione della sua personalità è confermato dal fondamento teorico stesso del diritto d’autore, soprattutto se letto in combinato con il dato costituzionale. Cfr. G. Oppo, Creazione ed esclusiva nel diritto industriale, in Riv. dir. comm., 1964, 187 ss.; Id., Conversazione sul diritto industriale, in AIDA, 2002, 337 ss., che fornisce una chiave di lettura delle privative industriali come forme di tutela del lavoro intellettuale creativo (fondate sull’art. 35 Cost.); L.C. Ubertazzi, Diritto d’autore, in Dig. Disc. Priv., sez. comm., IV, 1989, 364 ss., che distingue tra diritti morali e diritti patrimoniali d’autore, i primi fondati sugli artt. 2, 4, 9 e 33 Cost., i secondi sugli artt. 35 e 42 Cost.; P. Spada, «Creazione ed esclusiva», trent’anni dopo, in Riv. dir. civ., 1997, 215 ss.; R. Romano, P. Spada, (nt. 60), 3 ss., per l’interpretazione del diritto d’autore come tutela dell’investimento economico degli intermediari che permettono la creazione di nuove opere, costituzionalmente fondata sull’art. 41 Cost. che garantisce la libertà di iniziativa economica privata; da ultimo, M. Libertini, (nt. 85), 335-336: «la proprietà intellettuale ha come ancoraggi apicali, al giorno d’oggi, la libertà d’impresa e la tutela della concorrenza, e dev’essere mantenuta e difesa (solo) nella misura in cui contribuisca effettivamente ad incrementare l’efficienza dinamica dei mercati e il benessere economico collettivo».

[109] Se per accedere alla tutela autorale sia cioè sufficiente una creatività «semplice», o se sia necessario un grado più intenso, «qualificato»; sul punto è sufficiente rinviare a M. Bertani, (nt. 84), 122 ss.; P. Fabbio, Opere protette e requisiti di tutela nel diritto d’autore UE, in AIDA, 2016, 281 ss.; G. Spedicato, Principi di diritto d’autore, Bologna, Il Mulino, 2020, 48 ss.; S. Guizzardi, (nt. 107), 3 ss.

[110] Così F. Benatti, Diritto d’autore, (nt. 14), 95 ss. e Ead., Il supporto dell’opera, (nt. 14), 408 ss., ove l’osservazione che la rilevanza giuridica del supporto è tale da identificare una forma d’arte specifica: nella Street Art, la strada è il punto di riferimento peculiare di questa forma d’arte; il supporto e il suo contesto sono quindi elementi imprescindibili e insostituibili dell’opera d’arte. L’importanza del supporto si riflette sulle caratteristiche ontologiche del­l’opera come site-specific, ephemeral, e liberamente fruibile. Le stesse caratteristiche le si trovano in altre tipologie di arte come la Tatoo Art, che sceglie il corpo umano come supporto delle opere; oppure la Land Art, che utilizza a tal fine i monumenti pubblici o elementi della natura, etc. In queste forme d’arte, se cambia il supporto cambia il tipo di arte di riferimento e le conseguenze in termini di diritto d’autore.

[111] È noto come l’art. 12 l. aut. preveda che spetti all’autore «il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo, originale o derivato», ed è tale norma che porta D. Sarti, Diritti esclusivi e circolazione dei beni, Milano, Giuffrè, 1996, 131 ss.; Id., Proprietà intellettuale, interessi protetti e diritto antitrust, in Riv. dir. ind., 2002, 547 ad individuare il fondamento comune delle esclusive nel potere del titolare di decidere le dimensioni di disponibilità dei beni protetti. Sulla nozione di «utilizzazione economica» cfr. R. Romano, (nt. 14), 127.

[112] Se vi sia una differenza tra il diritto di adattamento, consistente nella variazione del supporto originale di un’opera, e di riproduzione è discusso. Per i termini della questione cfr. M. Bertani, (nt. 84), 166, per il quale «si potrebbe obiettare che il legislatore europeo non assegna espressamente al titolare della privativa patrimoniale una riserva generale di elaborazione dell’opera (prevista invece dall’art. 18 l. aut.), ma si limita piuttosto a farlo soltanto nel caso dei programmi per elaboratore (art. 4.b dir. 24/2009) e delle banche dati (art. 5.b dir. 9/1996). Tuttavia, nel disegno del diritto d’autore comunitario l’elaborazione è ragionevolmente ricompresa all’interno del contenuto della privativa anche quando riguardi opere diverse da software e database. […] Qualsiasi genere di modificazione dell’opera interferisce con interessi del titolare proteggibili dall’ordinamento soltanto qualora essa riprenda (almeno in parte) la forma espressiva della creazione originaria. Per conseguenza, ogni elaborazione comporta necessariamente (anche) la riproduzione parziale (della forma) dell’opera. E dunque è riservata al titolare della privativa dalle medesime regole che gli assegnano un’esclusiva sull’utilizzazione ora ricordata»; F. Benatti, Diritto d’autore, (nt. 14), 105 ss., anche per ulteriori riferimenti dottrinali e giurisprudenziali (v. ad es. caso Painer).

[113] Il diritto di seguito è stato introdotto, per la prima volta, in Francia nel 1920 ed incluso nella Convenzione di Berna del 1948, benché con carattere facoltativo. L’istituto è noto anche in ordinamenti extraeuropei, tra cui gli Stati Uniti, a seguito dell’adesione alla Convenzione di Berna, dove viene chiamato «resale profit-sharing right». Per una ricostruzione dell’istituto americano v. C. Wu, Art Resale Rights and the Art Resale Market: a Follow-up Study, in J. Copyright Soc’y U.S.A, 1998-1999, 531. In Italia v. S. Stabile, Il diritto di seguito nel mercato dell’arte contemporanea, in Dir. ind., 2003, 387 ss.; A. Musso, (nt. 70), 257 ss.; S. Stabile, E. Del Sasso, Il “diritto di seguito” nel mercato primario dell’arte contemporanea, in Dir. ind., 2012, 507 ss.; M. Lupoi, Recensione a «Le droit de suite et sa reconnaissance selon la Convention de La Haye sur les trusts. Tracing en droit civil suisse», in Trusts e attività fiduciarie, 2012, 460 ss.

[114] Si tratta di un diritto patrimoniale in qualche modo atipico giacché, pur avendo la stessa durata dei diritti di utilizzazione economica (ex art. 148 l. aut.), «non può formare oggetto di alienazione o di rinuncia, nemmeno preventivamente» ai sensi dell’art. 147 l. aut.

[115] In tal senso G. Spedicato, (nt. 109), 121, che interpreta il diritto di seguito come «una limitata eccezione al dispiegarsi del principio di esaurimento del diritto di distribuzione», precisando che «se per un verso, infatti, quest’ultimo preclude all’autore la possibilità giuridica di controllare in modo esclusivo l’ulteriore circolazione degli originali e delle copie dell’opera allorché essi siano stati messi sul mercato, il diritto di seguito affievolisce le conseguenze economiche di tale perdita di controllo riconoscendo all’autore una percentuale sul prezzo di vendita degli originali o delle copie prodotte in numero limitato dall’autore o sotto la sua autorità».

[116] Ove le opere sono spesso realizzate in esemplare unico (o in tiratura limitata) e la remunerazione dell’artista dipende normalmente solo dalla vendita di tale esemplare che, soprattutto se si tratta di artisti esordienti, può avvenire ad un prezzo assai basso: il rischio per l’autore è quello di non beneficiare di tale maggior valore se, fermo il principio dell’esaurimento, egli non avesse un qualche tipo di vantaggio successivamente alla prima cessione. Sul punto v. A. Musso, (nt. 70), 257-258.

[117] Considerando 3 della direttiva 2001/84/CE.

[118] Si tratta di un meccanismo di adeguamento contrattuale che si affianca all’esclusiva – ritenuta insufficiente ad eliminare le potenziali distorsioni derivanti dalla inevitabile discrepanza di valore tra le prime vendite e le successive – ed opera come una forma di remunerazione compensativa e successiva alla prima vendita che riconosce all’artista un vero e proprio diritto di credito, garantendo un elevato livello di protezione ai titolari dei diritti. 

[119] Direttiva 2001/84/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2001, relativa al diritto dell’autore di un’opera d’arte sulle successive vendite dell’originale, recepita in Italia con il d.lgs. 13 febbraio 2006 n. 118.

[120] In senso critico circa l’inclusione dei manoscritti tra le opere che danno diritto ad un compenso sul prezzo di ogni vendita successiva alla prima cessione ai sensi dell’art. 144, primo comma, l. aut., R. Romano, (nt. 14), 84 ss.

[121] Ossia, come ricorda A. Musso, (nt. 70), 257, nt. 2, «le opere che la dottrina estetica qualifica tipicamente come autografiche».

[122] V. supra par. 2.

[123] V. supra par. 5.

[124] In dottrina e in giurisprudenza vi sono opinioni contrapposte su chi sia il titolare del diritto di autentica e su chi possa, di conseguenza, agire in giudizio per ottenere l’accertamento dell’autenticità di un’opera. Per una ricostruzione di tale dibattito v. E. Damiani, Questioni in tema di diritto della circolazione di opere d’arte: i casi de Chirico, in Rivista di diritto delle arti e dello spettacolo, 2020, 93 ss.

[125] La prassi ha dimostrato come le piattaforme blockchain, grazie alle caratteristiche tecniche che garantiscono la sicurezza e la trasparenza delle informazioni ivi registrate, vengano sempre più spesso utilizzate come un registro nel quale iscrivere i diritti d’autore su un’opera d’arte anche con funzione di certificazione dell’autenticità dell’opera ex art. 64 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (c.d. Codice dei beni culturali e del paesaggio). A ciò si aggiunga che le funzionalità della blockchain, utilizzate congiuntamente a sistemi di Self Sovereign Identity, che fanno ricorso a chiavi di crittografia asimmetrica, permettono di creare identità decentralizzate, certificate e sicure che possono essere controllate in modo unitario dal legittimo titolare rispetto alle diverse piattaforme e alle differenti richieste di informazioni personali, così da collegare in modo indissolubile l’identità del soggetto che afferma di essere il creatore dell’opera d’arte al token.

[126] Si tratta di una previsione che non sembra porre particolari problemi, come risulta da alcune recenti vendite pubbliche di NFT. Si è già accennato al caso del «Tondo Doni» di Michelangelo che, grazie ad un brevetto esclusivo, il Digital Art Work (o DAW®), è stato il primo dipinto al mondo reso unico grazie a un sistema crittografato che impedisce la manomissione e la copia e tramite NFT ne certifica la proprietà: l’opera digitalizzata è stata venduta dagli Uffizi per centoquarantamila euro. Ma si pensi alla recente asta realizzata a Parigi da Aguttes, la prima casa d’aste indipendente in Francia, attiva nel mercato internazionale dell’arte e del lusso, tramite la quale Vodafone ha venduto per cento settemila euro la replica esatta e unica del protocollo di comunicazione originale che ha trasmesso il primo SMS mai inviato (https://www.
corriere.it/tecnologia/21_dicembre_22/venduto-asta-primo-sms-storia-come-nft-107mila-euro-ricavato-andra-beneficienza-30eab8e0-6304-11ec-aca7-2b79d521d390.shtml) o al caso Picasso (https://www.radiozeta.it/notizie/articoli/picasso-nft-asta-crypto-art/) che vede gli eredi dell’ar­tista mettere all’asta, tramite la Sotheby’s, mille pezzi digitali di un’opera inedita dell’artista, mai esposta in pubblico, risalente al 1958.

[127] Se, da un lato, la Commissione proponeva l’applicazione del diritto di seguito a tutte le vendite successive, tranne quella in cui il venditore figurasse come un privato, dall’altro, il Parlamento era favorevole ad una applicazione circoscritta alle sole vendite pubbliche, in esercizio commerciale o con l’intervento di un commerciante o agente.

[128] Comunicazione del Consiglio del 19 giugno 2020, C-300/01, in vista dell’adozione della direttiva 2001/84/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa al diritto di seguito a favore dell’autore di un’opera d’arte originale.

[129] I vantaggi che la blockchain apporta al mercato dell’arte sono stati evidenziati anche dal legislatore europeo che, nella Risoluzione del Parlamento del 3 ottobre 2018 sulle Tecnologie di registro distribuito e blockchain: creare fiducia attraverso la disintermediazione, precisa come la Distribued Ledger Technology possa facilitare la protezione dei diritti d’autore e dei brevetti di «contenuti creativi digitalizzati», collegando i creatori alle loro opere, «migliorando così la sicurezza e la funzionalità nel contesto di un ecosistema di innovazione collaborativa e aperta».

[130] Sul punto occorre precisare che l’attuale standard ECR-721 della piattaforma Ethereum non consente l’interoperabilità di tale funzione tra diverse piattaforme e perciò il pagamento del prezzo può avvenire soltanto se l’opera digitale viene venduta sulla medesima blockchain.

[131] Sebbene l’art. 152, primo comma, l. aut. individui nel venditore il soggetto obbligato al pagamento del diritto di seguito, anche l’acquirente può essere chiamato a tale prestazione. A stabilirlo è stata la sentenza della CGUE, 26 febbraio 2015, causa C-41/14, Christie’s France SNC v. Syndicat national des antiquaires, reperibile al seguente indirizzo: https://eur-lex.
europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A62014CA0041&qid=1668164575251, secondo la quale la somma dovuta all’autore per ogni vendita dell’opera successiva alla prima può essere corrisposta, in via definitiva, dall’acquirente o dal venditore. Tale pronuncia è stata emessa nell’ambito di una controversia tra Christie’s France e il Syndicat national des antiquaires per le vendite realizzate dalla casa d’aste nel periodo 2008-2009. Nelle condizioni di vendita era previsto che Christie’s, in nome e per conto del venditore, avrebbe percepito da parte dell’acquirente una somma corrispondente al diritto di seguito, per ogni lotto indicato nel catalogo con un determinato simbolo; una volta ricevuto tale importo, la casa d’aste lo avrebbe versato al soggetto incaricato della riscossione per conto dell’artista. La validità di tale clausola, che poneva il pagamento del diritto di seguito a carico dell’acquirente e non del venditore, era dubbia in quanto la direttiva 2001/84/CE pone a carico del venditore il pagamento del diritto sulle successive vendite. La Corte di Cassazione francese ha pertanto rinviato alla Corte di Giustizia la questione se fosse possibile derogare convenzionalmente alla direttiva 2001/84 circa l’individuazione dei soggetti obbligati al pagamento. Con la sentenza in questione, la Corte di Giustizia ha affermato che gli Stati membri hanno la facoltà di prevedere deroghe al principio secondo cui il debitore è il venditore, pur essendo limitati nella scelta del diverso soggetto che, in via esclusiva o solidale con il venditore, è obbligato al pagamento dei compensi. Il debitore, quindi, può essere un soggetto diverso dal venditore, purché sia scelto tra i professionisti che intervengono in qualità di venditori, acquirenti o intermediari negli atti di rivendita rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva.

[132] Senza pretesa di esaustività e riservandosi di approfondirne le implicazioni in altra sede.

[133] A livello internazionale, il primo riferimento al principio dell’esaurimento risale ai due Trattati WIPO del 1996 (art. 6, secondo comma, WCT e art. 8, secondo comma, WPPT) – rispettivamente sulla tutela del diritto d’autore (WCT), nonché sui diritti connessi d’interpreti, esecutori e produttori fonografici (WPPT)  –, che affermano la libertà degli Stati contraenti di determinare le condizioni al verificarsi delle quali l’esaurimento del diritto di distribuzione debba verificarsi in seguito alla prima vendita o altro trasferimento della proprietà dell’ori­ginale o della copia dell’opera dietro autorizzazione dell’autore, mentre nulla si rinviene al­l’interno della Convenzione di Berna e dell’Accordo TRIPs (per l’attuazione del WPPT in Italia v. A. Musso, Il trattato internazionale OMPI sulle interpretazioni o esecuzioni e sui fonogrammi (WPPT), in TV, Internet e new trends di diritti d’autore e connessi, a cura di L.C. Ubertazzi, Milano, Giuffrè, 2003, 27 ss.). A livello europeo, il principio dell’esaurimento è stato oggetto di una lunga elaborazione giurisprudenziale da parte della Corte di Giustizia a partire dalla fine degli anni Settanta (casi C-62/79 SA Compagnie générale pour la diffusion de la télévision, Coditel, and others v Ciné Vog Films and others, c.d. Coditel I; C-262/81 Coditel v CinéVog Films II, c.d. Coditel II, entrambe reperibili al seguente indirizzo: https://eur-lex.europa.eu; cfr. C. Giannone Codiglione, Corte di giustizia e diritto d’autore, in Tutela del copyright e della privacy sul web:quid iuris?, a cura di A.M. Mazzaro, O. Pollicino, Roma, Aracne, 2012, 193 ss.; S. Ghosh, I. Calboli, Exhausting intellectual property rights: a comparative law and policy analysis, Cambridge, Cambridge University Press, 2018, 119-122) per essere codificato nell’ambito della disciplina autoriale, per la prima volta, con la direttiva 91/250/CEE del Consiglio, del 14 maggio 1991, relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore (c.d. direttiva Software I) e la direttiva 92/100/CEE del Consiglio, del 19 novembre 1992, concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito e taluni diritti connessi al diritto di autore in materia di proprietà intellettuale (c.d. direttiva noleggio I), poi modificata dalla direttiva 2006/115/CE del 12 dicembre 2006. Da ultimo, sono intervenute la direttiva 2001/29/CE del Parlamento e del Consiglio, del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di alcuni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione (c.d. direttiva InfoSoc), che rappresenta il recepimento nella normativa europea del WCT del 1996, e la direttiva 2009/24/CE del 23 aprile 2009 relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore. In Italia, tale principio è espressamente sancito in materia di diritto d’autore dagli artt. 17, 18-bis, 64-bis e 64-quinqiues l. aut. Sulla genesi di tale principio si vedano ex multis B. Castell, L’«épuisement» du droit intellectuel en droits allemand, français et communautaire, Parigi, PUF, 1989; D. Sarti, (nt. 111), 62 ss.

[134] Sulla trasversalità del principio d’esaurimento si veda D. Sarti, (nt. 111).

[135] Qualora si tratti di opere ad esemplare unico, come spesso avviene per le opere dell’arte figurativa.

[136] Qualora si tratti di opere naturalmente suscettibili di essere sfruttate economicamente mediante la produzione in serie.

[137] D. Sarti, (nt. 111), 20.

[138] Tali mercati, infatti, consentono la fruizione dell’opera da parte di soggetti che, pur essendo interessati, non possono o non vogliono pagare il prezzo monopolistico imposto dal titolare dei diritti esclusivi per l’acquisto di una copia, ottenendola ad un prezzo decisamente inferiore.

[139] G. Spedicato, L’esaurimento UE dei diritti, in AIDA, 2016, 443 ss., spec. 470.

[140] Si veda sul punto D. Sarti, (nt. 111), 55 ss.

[141] M. Galli, E. Bardelli, Il mercato secondario degli ebook tra distribuzione, comunicazione al pubblico e principio dell’esaurimento, in Media Laws, 2020, 1, 267-268.

[142] V. supra par. 6.

[143] La piattaforma di gioco è disponibile al seguente link https://www.cryptokitties.co.

[144] L’intero gioco si basa sull’acquisto di land, ossia appezzamenti di terreno che formano la mappa di The Sandbox rappresentati da NFT ERC-721 emessi in numero limitato (ve ne sono esattamente 166.464): il 74% è disponibile per gli utenti, il 10% è rimasto di proprietà dell’azienda creatrice e il 16% costituisce una riserva che viene distribuita come ricompensa a partner e creator. Esistono due tipologie di land, semplici o premium, ossia corredati da elementi aggiuntivi come edifici, abiti o oggetti di varia natura: l’acquisto di un land autorizza il giocatore a far pagare chi lo visita o prende parte alle esperienze progettate su di esso, affittarlo ad un “creatore di giochi” o venderlo. I land possono essere acquistati usando il marketplace interno o anche sui mercati secondari, come OpenSea, ed il prezzo varia in base alla dimensione, all’ubicazione, oltre che al rapporto tra domanda ed offerta: i primi lotti sono stati venduti in cinque fasi di prevendita, dal 2019 al 2020, ad un prezzo pubblico di 48 dollari e con uno sconto decrescente in modo da privilegiare i primi acquirenti; attualmente, il prezzo di partenza è di 30.000 dollari. Le transazioni di terreni, oggetti e giochi sono basate sulla crypto moneta nativa $SAND, un token ERC-20 emesso in 3 miliardi di unità per cui il suo valore fluttua in base alla domanda e all’offerta (quindi anche in base alle attività che ruotano attorno al gioco). I token $SAND si possono acquistare usando la valuta corrente sulle piattaforme di exchange come Binance, Simplex, Crypto, ma si possono anche ottenere partecipando alle attività che l’azienda propone nel gioco (contest, programma referral ecc.) e sui suoi account social. La piattaforma di gioco è disponibile al seguente link https://www.sandbox.game/en/.

[145] L’art. 16 l. aut., replicando il modello costituito dall’art. 8 WCT e, successivamente, dal­l’art. 3 della direttiva InfoSoc, stabilisce che il diritto di comunicazione, che «comprende, altresì, la messa a disposizione del pubblico dell’opera in maniera che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente […], non si esaurisce con alcun atto di comunicazione al pubblico, ivi compresi gli atti di messa a disposizione del pubblico». A sua volta l’art. 17, terzo comma, l. aut., prevede espressamente che «quanto disposto dal secondo comma non si applica alla messa a disposizione del pubblico di opere del pubblico di opere in modo che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente, anche nel caso in cui sia consentita la realizzazione di copie dell’opera».

[146] V. supra par. 5.

[147] Per una sintesi di questo dibattito, si vedano R. Rivaro, L’applicazione del principio di esaurimento alla distribuzione digitale di contenuti protetti, in Giur. comm., 2014, I, 1149 ss.; V.P. Mezei, Digital First Sale Doctrine Ante Portas – Exhaustion in the Online Environment, in JIPITEC, 2015, 55-56; Id., Copyright Exhaustion. Law and Policy in the United States and the European Union, Cambridge, 2018, 139-148; G. Spedicato, Online Exhaustion and the Boundaries of Interpretation, in Balancing Copyright Law in the Digital Age. Comparative Perspectives, a cura di R. Caso, F. Giovanella, Berlino-Heidelberg, Springer, 2015, 27 ss., spec. 43-45; F. La Rocca, L’esaurimento del diritto di distribuzione delle opere digitali, in Riv. dir. ind., 2015, 210 ss.; V. L. Benabou, Digital Exhaustion of Copyright in the EU or Shall We Cease Being so Schizophrenic?, in New Developments in EU and International Copyright Law, a cura di I.A. Stamatoudi, L’Aja, Walters Kluwer, 2016, 351-378; G. Spedicato, (nt. 139), 443 ss.; C.E. Mayr, I diritti di riproduzione e distribuzione, in AIDA, 2017, 234 ss.; A. Musso, (nt. 107), 471 ss. Per una trattazione in chiave economica v. A. Perzanowski, J. Schultz, Digital Exhaustion, in UCLA Law Review, 2011, 889 ss.

[148] Secondo un consolidato orientamento della Corte di Giustizia che risale alla pronuncia Peek e Cloppenburg, ai sensi dell’art. 4, primo comma, direttiva 2001/29/CE, rientrano nel novero degli atti produttivi dell’esaurimento comunitario soltanto le forme di messa a disposizione che implicano l’acquisto della proprietà (Corte di Giustizia, 17 aprile 2008, C-456/06, in AIDA, 2009, 354 ss. con nota di M. Bertani; commentata altresì da V. Bellani, La libera circolazione degli esemplari delle opere dell’ingegno tra distribuzione ed esaurimento, in Dir. aut., 2009, 206 ss.) nonché gli atti preparatori all’immissione in commercio di un’opera, quali ad esempio la sua offerta, esposizione in vendita o la sua pubblicità anche quando «non fosse dimostrato che detta pubblicità abbia dato luogo all’acquisto dell’oggetto protetto da parte di un acquirente dell’Unione, sempre che la pubblicità in parola solleciti i consumatori dello stato membro in cui l’opera stessa è protetta dal diritto d’autore ad effettuarne l’acquisto» (CGUE, 13 maggio 2015, causa C-516/13, Dimensione Direct Sales srl, Michele Labianca v. Knoll International Spa, reperibile al seguente indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/
TXT/?uri=CELEX%3A62013CA0516&qid=1668165121127). In dottrina, si sono espressi in tal senso D. Sarti, (nt. 111), 379; in senso contrario, M. Bertani, Diritti d’autore e connessi, in La proprietà intellettuale, nel Trattato di diritto privato dell’Unione Europea, diretto da G. Ajani, G. Benacchio, XII, Torino, Giappichelli, 2011, 349 ss. Cfr. anche A. Musso, (nt. 70), 237 ss., spec. nt. 9, ove una ricostruzione di tutte le ipotesi di esclusione dell’esaurimento.

[149] Il considerando 29 direttiva 2001/29/CE, analogamente al considerando 33 della direttiva 96/9/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 1996, relativa alla tutela giuridica delle banche di dati precisa che «La questione dell’esaurimento del diritto non si pone nel caso di servizi, soprattutto di servizi “on-line”. Ciò vale anche per una copia tangibile di un’opera o di altri materiali protetti realizzata da un utente di tale servizio con il consenso del titolare del diritto. Perciò lo stesso vale per il noleggio e il prestito dell’originale e delle copie di opere o altri materiali protetti che sono prestazioni in natura. Diversamente dal caso dei CD-ROM o dei CD-I, nel quale la proprietà intellettuale è incorporata in un supporto materiale, cioè in un bene, ogni servizio “on-line” è di fatto un atto che dovrà essere sottoposto ad autorizzazione se il diritto d’autore o i diritti connessi lo prevedono».

[150] Cfr. R. Romano, (nt. 14), 131; Id, Il diritto di riproduzione nel contesto della convergenza dei media, in AIDA, 2010, 166 ss., secondo cui la realizzazione di una copia permanente, seppure digitale, è assimilabile, quanto all’intensità e possibilità di fruizione, alla disponibilità di una copia ottenuta attraverso la fissazione su supporto materiale; G. Guglielmetti, Il diritto di comunicazione e messa a disposizione del pubblico, in AIDA, 2010, 148 ss.; U. Patroni Griffi, Il diritto di distribuzione, in AIDA, 2010, 197 ss.; M. Bertani, (nt. 84), 240.

[151] U. Patroni Griffi, (nt. 150), 197.

[152] Cfr. G. Spedicato, (nt. 139), 477 e C.E. Mayr, (nt. 147), 251; A. Musso, (nt. 107), 475-476 che, con riferimento al rapporto e agli effetti di internet sui modelli giuridici del diritto di autore, ricorda come «alla fine del millennio scorso, infatti, la ricaduta nell’estremismo del paradigma escludente poteva ancora considerarsi quale eccesso di reazione – da parte dei titolari dei diritti – al vero e proprio timore, espresso a propria volta con toni da crociata, che internet fosse uno strumento assai pericoloso, dove bastasse “cliccare” un tasto per disseminare liberamente (e senza pagare...) milioni di opere o altri contenuti protetti», laddove, invece, è «la medesima tecnologia di internet – secondo la nota massima per cui, se il problema è la macchina, sarà la macchina stessa a fornire la soluzione  – [che] consent[e] efficaci misure d’identificazione dei contenuti protetti (« tatuaggi elettronici », watermarking, ecc.) o anticopia  già previsti anch’essi espressamente dalla menzionata disciplina convenzionale ed europea, con rigorosissime sanzioni penali a presidio di ogni tentativo di rimuovere o soltanto di eludere tali sistemi tecnici d’identificazione o protezione».

[153] D. Sarti, (nt. 111), 379, nt 38; A.M. Gambino, Le trasmissioni telematiche del bene immateriale, in AIDA, 1997, 507.

[154] S. Von Lewinski, Database Directive, in European Copyright Law, a cura di M. Walter, S. Von Lewinski, 2010, 988; G. Spedicato, (nt. 139), 473.

[155] CGUE, 3 luglio 2012, causa C-128/11, in AIDA, 2012, 538 ss., in Italia commentata da più autori, tra cui P. Sammarco, Software e esaurimento del diritto, in Dir. inform., 2012, 1033 ss; F. Melis, Diritto d’autore in internet: vera rivoluzione o partita ancora aperta?, in Giorn. dir. amm., 2013, 607 ss.; E. Rosati, Software usato ed esaurimento un approccio poco “soft” in UsedSoft, in Dir. aut., 2013, 1 ss.; F. Marella, Libera circolazione del software nel mercato interno e qualificazione contrattuale europea: alcune riflessioni sul caso Oracle, in Contr. impr. Europa, 2015, 105 ss.; C.E. Mayr, (nt. 147), 234 ss.; M. Bosshard, I limiti dell’oracolo: l’esaurimento del diritto d’autore sul software non destinato al largo consumo, in Aa.Vv., Studi per Luigi Carlo Ubertazzi. Proprietà intellettuale e concorrenza, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2019, 121 ss.

[156] Per una ricostruzione della ratio giustificativa del principio di esaurimento si veda G. Spedicato, (nt. 139), 442 ss., spec. 445-453.

[157] Che la Corte di Giustizia definisce «an agreement by which a person, in return for payment, transfers to another person his right of ownership in an item of tangible or intangible property belonging to him», che si verifica quando «(a) the rightholder receives a payment in compensation for the granting of an unlimited usage right; and (b) a transfer of ownership takes place».

[158] CGUE, 3 luglio 2012, causa C-128/11, (nt. 155), parr. 44-47: «the downloading of a copy of a computer program and the conclusion of a user license agreement for that copy form an indivisible whole [...] makes it no difference whether the copy of the computer program was made available to the customer by the rightholder concerned by means of a download from the rightholder’s website or by means of a material medium such as a CD-ROM or DVD. [...] Since an acquirer who downloads a copy of the program concerned by means of a material medium such as a CD-ROM or DVD and concludes a license agreement for that copy receives the right to use the copy for an unlimited period in return for payment of a fee, it must be considered that those two operations likewise involve, in the case of the making available of a copy of the computer program concerned by means of a material medium such as a CD-ROM or DVD, the transfer of the right of ownership of that copy».

[159] Il riferimento è a CGUE, 12 ottobre 2016, causa C-166/15, Aleksandrs Ranks and Jurijs Vasiļevičs v. Finanšu un ekonomisko noziegumu izmeklēšanas prokoratūra and Microsoft Corp., reperibile al seguente indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri
=CELEX%3A62015CJ0166, ove è stato ribadito che il termine vendita di cui alla direttiva Software deve essere inteso nel senso di ricomprendere tutte le forme di commercializzazione della copia (tangibile e non) di un programma per elaboratore (salvo quella di backup) caratterizzate dalla cessione di un diritto di usare tale copia in modo permanente; CGUE, 10 novembre 2016, causa C-174/15, Vereniging Openbare Bibliotheken v. Stichting Leenrecht, reperibile al seguente indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/GA/ALL/?uri=CELEX:62015C
J0174; in cui la Corte, nel porre l’accento sulla distinzione tra noleggio e prestito, svolge alcune considerazioni di carattere storico a favore di una interpretazione teleologica delle relative discipline che la conducono ad equiparare il prestito di un volume cartaceo a quello di un e-book. Per un commento su entrambe le pronunce v. C.E. Mayr, (nt. 147), 245-248; cfr. A. Musso, Prove di resistenza del diritto d’autore: “e-books” e prestito bibliotecario alla luce della giurisprudenza evolutiva della Corte di Giustizia, in Dir. inform., 2017, 631 ss.; e più ampiamente Id, (nt. 107), 471 ss.

[160] CGUE, 19 novembre 2019, causa C-263/18, Nederlands Uitgeversverbond and Groep Algemene Uitgevers v. Tom Kabinet Internet BV et al., in AIDA, 2020, 464 ss., con nota di G. Trabucco, La sentenza Tom Kabinet e l’esaurimento digitale nell’UE; ed anche in Dir. inform., 2020, 614 ss., con nota di C. Sganga, Di aporie sistematiche e corto-circuiti teleologici: il no della Corte di Giustizia all’esaurimento digitale nel diritto d’autore europeo, che sottolinea come la Corte, nell’affermare l’inapplicabilità del principio dell’esaurimento alle copie digitali, da un lato, si limitava a rilevare il carattere di lex specialis della direttiva 2009/24/CE, ritenendola, applicabile esclusivamente ai software, dall’altro «riduceva la distinzione tra distribuzione e comunicazione ad una mera vicenda di separazione tra forme materiali e digitali di sfruttamento dell’opera, senza considerare né valorizzare il significato del collegamento che la direttiva InfoSoc traccia tra distribuzione, vendita, beni e comunicazione al pubblico, licenza, servizi dall’altro»; cfr. Id, Il principio dell’esaurimento nel diritto d’autore digitale: un pericolo o una necessità?, in Dir. inform., 2019, 21 ss. Giova sottolineare che tale pronuncia era stata annunciata dalla precedente CGUE, 22 gennaio 2015, causa C-419/13 Art & Allposters International BV v Stichting Pictoright, reperibile al seguente indirizzo: https://eur-lex.europa
.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3°62013CJ0419&qid=1668164192290, definita da alcuni Autori come primo chiaro diniego all’estensione del principio alle copie intangibili (così E. Rosati, Online copyright exhaustion in a post-Allposters world, in JIPLP, 10, 2015, 680-681; M. Galič (Savič), The CJEU Allposters Case: Beginning of the End of Digital Exhaustion, in EIPR, 2015, 390-391.

[161] In tal senso, appaiono ampiamente condivisibili le parole di autorevole dottrina che descrive l’approccio della Corte di giustizia in materia di esaurimento digitale come «totalmente svincolato dall’armamentario delle interpretazioni teleologiche od evolutive a disposizione dei giuristi, abborracciato su singoli casi di specie con asimmetrie evidenti, difficoltà di adattamento e, soprattutto, con imposizione della categoria dominicale ed escludente (ripetuta come un mantra in ciascuna decisione) circa la prevalenza di diritti d’autore “forti” su ogni altra considerazione ermeneutica meno formalistica e più funzionale o tendente ad un equo bilanciamento degli interessi in gioco» (A. Musso, (nt. 107), 494).

[162] L’espressione è di A. Musso, (nt. 107), 473.

[163] Sul punto vedi diffusamente A. Musso, (nt. 107), 471 ss.

[164] Per una identificazione della ratio giustificativa del principio dell’esaurimento v. G. Spedicato, (nt. 139), 446 ss.

[165] G. Spedicato, (nt. 139), 476.

[166] In proposito, come già puntualmente rilevato dall’Avvocato generale nel caso C-174/15, Vereniging Openbare Bibliotheken v. Stichting Leenrecht, la comparsa dei libri digitali ha ampiamente modificato sia il settore dell’editoria che le abitudini dei lettori, e questo non è che l’inizio del processo. Infatti, sebbene il libro digitale non sia inteso a sostituire il libro cartaceo, ciò non toglie che, per alcune categorie di libri e su taluni mercati, il volume di vendite di libri digitali sia pari, o perfino superiore, a quello dei libri cartacei, e che alcuni libri siano pubblicati solo in formato digitale. Inoltre, alcuni lettori, e sono sempre più numerosi, tendono ad abbandonare la lettura su carta per il lettore di libri digitali, o addirittura, nel caso dei più giovani, [essi] non hanno mai acquisito l’abitudine del libro cartaceo. È pertanto indispensabile che il «modello» del diritto d’autore si adegui all’evoluzione giuridica, economica e tecnologica, nel suo complesso inscindibile, al fine di tutelare sia gli autori sia lo sviluppo della cultura. Si pensi d’altronde che nel 2026 aprirà a Milano, nell’ex Albergo Diurno Venezia, progettato da Piero Portaluppi, il Museo dell’Arte Digitale (MAD) nel quale verranno esposte collezioni di NFT https://www.ilbollettino.eu/2022/03/01/apre-a-milano-il-museo-dell-arte-digitale-6-mln-dal-pnrr/.

[167] Sollevato da alcuni Autori, tra cui M.S. Spolidoro, Il contenuto del diritto connesso, in AIDA, 1997, 59; M. Ricolfi, Comunicazione al pubblico e distribuzione, in AIDA, 2002, 48 ss.; G. Guglielmetti, (nt. 150), 148 ss.

[168] Atteso che la direttiva InfoSoc non prevede un’eccezione analoga a quella di cui all’art. 5, secondo comma, della direttiva Software che consente tutti gli atti di riproduzione «necessari per un uso del programma per elaboratore conforme alla sua destinazione».

[169] D. Sarti, Copia privata e apprendisti stregoni, AIDA, 2014, 410 ss.

[170] Per approfondire le soluzioni tecniche che consentono la cancellazione dei file dopo la trasmissione v. R. Tremolada, Esaurimento digitale. Il mercato secondario dei contenuti musicali protetti, in Dir. ind., 2019, 264; V.P. Mezei, Digital First Sale Doctrine, (nt. 147), 43-46.

[171] Cfr. G. Nava, (nt. 54), 269. Nel senso di una riforma della exhaustion doctrine «to counter such technology blocking» v. S. Ghosh, I. Calboli, (nt. 133), 169.

[172] Cfr. CGUE, 19 novembre 2019, causa C-263/18, (nt. 160), parr. 57-58.