Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Crisi e rinegoziazione dei contratti tra diritto emergenziale e codice della crisi. Prime riflessioni (di Massimo Bianca)


Dopo una ricognizione del concetto di crisi, lo scritto analizza i due diversi regimi di rinegoziazione dei contratti previsti nell’ambito della composizione negoziata della crisi. La prima parte propone un attento esame dei considerando e delle disposizioni che si occupano della rinegoziazione dei contratti nella direttiva (UE) 2019/1023. La seconda parte analizza le caratteristiche dello speciale regime di rinegoziazione per SARS-CoV-2 ancora previsto dal­l’art. 10 del d.l. n. 118/2021 e quelle della nuova rinegoziazione strutturale introdotta nell’art. 17 del d.lgs. n. 14/2019. La terza parte si trattiene sulla nozione di modifica del contratto, mettendo poi in evidenza le molte differenze insistenti tra le due fattispecie di rinegoziazione regolate dal Codice della crisi e la tradizionale risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. La quarta parte si occupa delle diversità correnti tra i due regimi di rinegoziazione. Il saggio si conclude con alcune considerazioni in merito ai confini di operatività della rinegoziazione.

Parole chiave: rinegoziazione; composizione negoziata; Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza; Direttiva (UE) 2019/1023; Covid.

Starting from the concept of Crisis, the paper explores the two different contract renegotiation regimes provided by the new negotiated settlement of the crisis. The first part proposes a careful examination of the Whereas and the provisions that deal with the renegotiation in the Directive (EU) 2019/1023. The second part analyses the characteristics of the special renegotiation regime for SARS-CoV-2 still provided by art. 10 of Italian Decree Law n° 118/2021 and those of the new structural renegotiation introduced in art. 17 of the Italian Legislative Decree n° 14/2019. The third part analyses what contract’s amendment means and then highlights the persistent differences between the two cases of renegotiation ruled by the new Insolvency Code and the resolution due to excessive burdens of the contract performance. The fourth part deals with the current differences between the two renegotiation regimes. The essay concludes with same reflections on the boundaries of this renegotiation.

Keywords: renegotiation; negotiated settlement of the crisis; Insolvency Code; Directive (EU) 2019/1023; crisis, Covid.

Sommario/Summary:

1. Introduzione: la nuova nozione di crisi tra unitarietà e frammentazione. - 2. Il trasferimento della composizione negoziata nel Codice: un’ulte­riore nozione di crisi? - 3. Crisi e rinegoziazione dei contratti nella composizione negoziata della crisi: un regime duale destinato ad esaurirsi? - 4. Cenni alla disciplina dei contratti nella direttiva (UE) 2019/1023: la rinegoziazione. - 5. (segue). Lo scioglimento del contratto da parte del contraente in bonis. - 6. (segue). La sospensione della prestazione da parte del contraente in bonis. - 7. Ambito di applicazione della rinegoziazione: irrilevanza dell’assorbi­mento nella normale alea contrattuale? - 8. (segue). I contratti aleatori per natura o volontà dei contraenti. - 9. Indisponibilità del dovere di rinegoziazione. - 10. Differenze tra i due regimi di rinegoziazione. - 11. Considerazioni conclusive. - NOTE


1. Introduzione: la nuova nozione di crisi tra unitarietà e frammentazione.

Il sofferto percorso del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (c.c.i.i.), dovrebbe aver trovato compimento con le novità introdotte dal d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83 [1]. Per quanto non possano escludersi ulteriori interventi, imposti o, quantomeno, giustificati dall’incombere di altri drammatici eventi, capaci di indurre a nuovi ripensamenti, è ragionevole pensare che il provvedimento abbia così raggiunto un definitivo assestamento. Diversamente, ci si sarebbe dovuti rassegnare a prendere davvero in considerazione la possibilità che la precorritrice riforma immaginata dal legislatore nel gennaio del 2019 dovesse restare in larga parte in soffitta [2]. Ed è forse proprio per l’intento di segnare un punto fermo nella disciplina che, rivedendo alcune delle scelte iniziali e quelle sopravvenute a causa della pandemia, il testo cesellato dalla Commissione Pagni e varato dal governo in esecuzione della legge di delegazione europea n. 53/2021 [3], va ben al di là dell’unico intento, annunciato nel preambolo [4], di attuare la direttiva (UE) 2019/1023 [5]. Un primo eloquente esempio di tale incedere è fornito dalle modifiche apportate dall’art. 1, primo comma, lett. a), del d.lgs. n. 83/2022 all’art. 2, primo comma, lett. a), del d.lgs. n. 14/2019 [6]. Per quanto la direttiva (UE) 2019/1023 [7] non ne richiedesse la rimodulazione, l’anzidetta disposizione offre, infatti, un’ennesima diversa nozione di “crisi” [8]. La norma, che, giova sottolinearlo, viene espressamente richiamata dalla lett. c) del medesimo art. 2 per definire il “sovraindebitamento”, non fa più riferimento allo “squilibrio economico-finanziario” già in precedenza evocato; tale squilibrio non è più contemplato dalla lettera c), che eleva a presupposto generale, e quindi non più circoscritto soltanto agli imprenditori, la inadeguatezza, e solo l’inadeguatezza, dei flussi di cassa prospettici. È un cambio di passo, che mira a fare della crisi un fenomeno sostanzialmente unitario [9], il cui presupposto oggettivo è circostanziato con modalità indipendenti dalla natura e dall’attività del debitore che ne sia afflitto. Quindi, senza più apparentemente distinguere tra consumatori, professionisti ed imprenditori. Le differenze tra questi soggetti, che pur [...]


2. Il trasferimento della composizione negoziata nel Codice: un’ulte­riore nozione di crisi?

Ma la metamorfosi della nozione di crisi continua con un’altra importante novità, che trova occasione nel salutare traghettamento della disciplina della composizione negoziata della crisi, introdotta dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118 – convertito con modificazioni dalla l. 21 ottobre 2021, n. 147 – all’interno del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Il trasferimento, sancito dal­l’art. 6 del d.lgs. n. 83/2022, avviene inserendo nella Parte Prima del c.c.i.i. un nuovo Titolo Secondo, rubricato, per appunto, “Composizione negoziata della crisi, piattaforma unica nazionale, concordato semplificato e segnalazioni per la anticipata emersione della crisi”. Il novello Titolo Secondo è aperto dall’art. 12 c.c.i.i. Questo stabilisce che l’imprenditore commerciale e agricolo possa accedere alla composizione negoziata quando si trovi «in condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che ne rendono probabile la crisi o l’insolvenza e risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa» [13]. Com’è facile notare, il presupposto oggettivo è rimasto quello già previsto dall’art. 2 del d.l. 24 agosto 2021, n. 118. Tuttavia, è altrettanto evidente che, proprio per questo, la norma ingenera il dubbio che, a dispetto della scelta definitoria operata con il nuovo art. 2, lett. a), c.c.i.i., la nozione di crisi possa essere non più unitaria, ma in parte diversa. Infatti, non è chiaro come l’imminenza della crisi, cui fa riferimento l’art. 12 del c.c.i.i., debba essere apprezzata [14]. Sulla sola base dell’evocato squilibrio patrimoniale o economico finanziario o, come stabilisce l’appena ricordato art. 2, lett. a), c.c.i.i., che, a ben vedere, detta una definizione di “crisi” destinata a valere non ai soli fini del sovraindebitamento, ma per l’intero c.c.i.i.? In altre parole, è da chiedersi se “la probabile crisi”, che è presupposto oggettivo della composizione negoziata, debba essere percepita prendendo in considerazione solo lo squilibrio patrimoniale o – si noti la congiunzione avversativa – economico-finanziario, ovvero, come dice il nuovo art. 2, lett. a), c.c.i.i., tenendo anche conto della insufficienza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi [...]


3. Crisi e rinegoziazione dei contratti nella composizione negoziata della crisi: un regime duale destinato ad esaurirsi?

Qualunque sia la nozione di crisi, questa contribuisce in maniera determinante alla individuazione dell’area di operatività della nuova disciplina della composizione negoziata della crisi e, a caduta, della eccezionale rinegoziazione dei contratti lì prevista. Quest’ultima continua, peraltro, ad essere figlia del suo tempo: il persistere delle eccezionali circostanze alla base della decretazione d’urgenza del 2021 – che il legislatore considera evidentemente non del tutto concluse [15] – ha suggerito il ricorso ad un duplice regime, uno di applicazione generale, l’altro, per appunto, eccezionale. Infatti, l’art. 46 del d.lgs. 17 giugno 2022 n. 83, pur abrogando gran parte del d.l. 24 agosto 2021 n. 118, ne lascia in vigore l’art. 10, secondo comma, che continuerà quindi eccezionalmente ad applicarsi nel ricorrere della specifica circostanza lì stabilita, ovvero «se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2» [16]. In questi casi, prevede ancora l’art. 10, secondo comma, del d.l. 24 agosto 2021 n. 118, «L’esperto [...] può invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2. In mancanza di accordo, su domanda dell’imprenditore, il tribunale, acquisito il parere dell’esperto e tenuto conto delle ragioni dell’altro contraente, può rideterminare equamente le condizioni del contratto, per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale. Se accoglie la domanda il tribunale assicura l’equilibrio tra le prestazioni anche stabilendo la corresponsione di un indennizzo» [17]. È, invece, di applicazione generale l’art. 17, quinto comma, c.c.i.i., che, nel testo novellato dall’art. 6 del d.lgs. n. 83/2022, prevede che «Nel corso delle trattative l’esperto può invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica ovvero ad esecuzione differita se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa o se è alterato l’equilibrio del rapporto in ragione di circostanze sopravvenute. [...]


4. Cenni alla disciplina dei contratti nella direttiva (UE) 2019/1023: la rinegoziazione.

Dato che, dopo le iniziali considerazioni sul presupposto oggettivo della composizione negoziata della crisi, questo saggio intende occuparsi della rinegoziazione che trovi causa in essa, è bene ricordare che la legislazione europea non contempla affatto l’introduzione di una sua specifica disciplina destinata ad operare nel contesto dei quadri di ristrutturazione. Anzi, l’approccio della direttiva (UE) 2019/1023 è di tutt’altro segno [21], dato che questa afferma a chiare lettere di non voler promuovere e di voler persino disincentivare l’im­piego di soluzioni diverse da quelle ordinariamente previste dal diritto dei contratti. Ne offrono testimonianza i considerando, che, come sempre più spesso accade, non solo giovano a spiegare le scelte di fondo, ma contribuiscono a determinare il contenuto delle disposizioni direttamente precettive o, come nel caso di specie, a spiegare proprio la ragione dell’eloquente assenza di una disciplina positiva della rinegoziazione. Il tema è illustrato già nel secondo considerando. Questo, dopo aver enunciato che «la ristrutturazione dovrebbe consentire ai debitori in difficoltà finanziarie di continuare a operare, in tutto o in parte, modificando la composizione, le condizioni o la struttura delle loro attività e delle loro passività», precisa che, tuttavia, «salvo specifica disposizione contraria del diritto nazionale, i cambiamenti operativi, come la risoluzione o la modifica dei contratti o la vendita o altro atto dispositivo delle attività, dovrebbero rispettare i requisiti generali previsti dal diritto nazionale per tali misure, in particolare il diritto civile e il diritto del lavoro». Quindi, per il legislatore europeo l’avvio della ristrutturazione non potrebbe di per sé giustificare la “modifica dei contratti”, che, anzi, dovrebbe preferibilmente continuare a seguire le regole di diritto comune [22] che già la disciplinano [23]. Ma cosa si intende nella direttiva per “modifica” dei contratti? La locuzione, espressa nelle varie lingue in termini comunque genericamente evocanti una qualsiasi variazione del rapporto [24], è destinata ad adattarsi ai diversi contesti, sì da assumere il significato proprio dei fenomeni e dei negozi, tipici ed eventualmente atipici, che in ciascun ordinamento sono atti a produrre un [...]


5. (segue). Lo scioglimento del contratto da parte del contraente in bonis.

Ferma restando l’assenza di una disciplina precettiva della rinegoziazione, per il legislatore europeo è comunque ben chiaro lo stretto legame corrente tra la ristrutturazione ed i contratti; quindi, la direttiva si preoccupa di assicurare che il successo delle procedure non venga compromesso dal ricorso ad altri istituti rimediali tipici del diritto dei contratti. Il tema è per molti versi contiguo, dato che, in una sorta di entropia, l’assenza di una disciplina della rinegoziazione trova un parziale contrappeso nella limitazione delle tutele, negoziali e legali, usualmente spettanti all’altro contraente in bonis. La prima preoccupazione è che l’accesso ai quadri di ristrutturazione possa essere pattiziamente previsto quale fatto di per sé solo legittimante l’altro contraente allo scioglimento del rapporto o alla sospensione della prestazione [30]. Il tema è ben illustrato dal quarto considerando, dedicato alle così dette clausole ipso facto, ossia delle pattuizioni «che autorizzano (i creditori) a risolvere il contratto di fornitura per il solo motivo dell’insolvenza, anche se il debitore ha debitamente rispettato i propri obblighi». Il legislatore europeo chiarisce che mentre simili clausole potrebbero essere legittimamente invocate «quando il debitore chiede misure di ristrutturazione preventiva», altrettanto non dovrebbe accadere «quando il debitore sta semplicemente negoziando un piano di ristrutturazione o chiedendo la sospensione delle azioni esecutive individuali, o in collegamento con qualsiasi circostanza connessa alla sospensione». La ragione del divieto, sancito dalle successive disposizioni precettive, va colta nel fatto che «la risoluzione anticipata può avere un impatto negativo sull’impresa del debitore e sul suo efficace salvataggio». La tutela ed il perseguimento di siffatti obiettivi prevalgono sull’autonomia privata e la scelta del legislatore europeo è netta: in tali casi «è necessario stabilire che i creditori non possano invocare le clausole ipso facto che fanno riferimento alle trattative sul piano di ristrutturazione, alla sospensione o a qualsiasi analoga circostanza connessa alla sospensione». In definitiva, il considerando postulerebbe la non operatività di una clausola risolutiva espressa collegata all’avvio della negoziazione o, forse, [...]


6. (segue). La sospensione della prestazione da parte del contraente in bonis.

Ma al tema del rapporto con l’autonomia privata, riguardante le c.d. clausole ipso facto se ne aggiunge un altro, intuibilmente ancora più delicato. Stavolta, è quello riguardante il rapporto con gli ordinari rimedi previsti dagli ordinamenti nazionali a tutela dell’esatto adempimento delle obbligazioni. Si pensi, per tutte, all’eccezione di inadempimento disciplinata dall’art. 1460 c.c. [33]. Fino a che punto è possibile sospenderne l’impiego a vantaggio della ristrutturazione? La questione sembrerebbe interessare solo i così detti contratti essenziali, ossia quelli relativi alle utenze, ai servizi informatici ed ai pagamenti elettronici, dei quali si deve assicurare il mantenimento e l’esecuzione nel corso delle trattative del piano ristrutturazione, anche quando a siffatte trattative si coniughi il divieto di azioni esecutive individuali che impedisca all’altro contraente di esigere le precedenti prestazioni inadempiute. Di tali contratti si occupa espressamente il quarantunesimo considerando. Sul presupposto che «la risoluzione anticipata può compromette la capacità di un’impresa di continuare a operare durante le trattative di ristrutturazione, in particolare per quanto riguarda i contratti di fornitura di beni o servizi essenziali quali gas, energia elettrica, acqua, telecomunicazioni e servizi di pagamento tramite carta», gli Stati membri sono invitati a prevedere che durante il periodo di sospensione a siffatti creditori «non sia consentito di rifiutare l’adempimento dei contratti pendenti essenziali né di risolverli, di anticiparne la scadenza o modificarli in altro modo, purché il debitore adempia gli obblighi che gli incombono a norma di tali contratti in scadenza durante la sospensione». Quindi, secondo un meccanismo noto alle procedure di crisi, il fatto che il creditore non possa agire per l’escussione dei corrispettivi pro preterito dovutigli non potrebbe legittimare la sospensione delle ulteriori prestazioni né, tanto meno, la risoluzione del contratto, sempre che, si intende, questi ottenga il pagamento delle prestazioni in corso. Non è chiaro, però, a quali contratti si riferisca il considerando. Il dubbio nasce dal fatto che, dopo l’anzidetto riferimento ai “contratti essenziali”, l’ultima frase richiama, invece, la ben più ampia categoria [...]


7. Ambito di applicazione della rinegoziazione: irrilevanza dell’assorbi­mento nella normale alea contrattuale?

Ripercorsa la disciplina europea, è ora di tornare ad occuparsi più direttamente di quella interna. I due regimi di rinegoziazione descritti nel terzo paragrafo rispondono a presupposti e logiche in parte comuni, in parte diversi. I profili di comunanza sono molteplici. Spicca anzitutto il fatto che in entrambi i casi la disciplina trova applicazione in relazione ai soli «contratti ad esecuzione continuata o periodica, ovvero ad esecuzione differita». Quindi, stante l’identica locuzione letterale, alle medesime categorie di contratti passibili di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell’art. 1467 c.c. [35]. L’impiego della stessa locuzione utilizzata dal codice civile [36] non deve però indurre a pensare che vi sia una necessaria coincidenza e che la rinegoziazione dei contratti nel contesto della crisi, dipenda questa o meno dalla pandemia, riguardi gli stessi contratti passibili di risoluzione per il sopravvenire di un’eccessiva onerosità [37]. È plausibile che non sia così, perché un vasto ordine di ragioni induce a pensare che l’ambito di operatività della rinegoziazione legata alla crisi sia più ampio di quella della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta. La prima di siffatte ragioni discende dal fatto che, a differenza di quanto prevede l’art. 1467, secondo comma, c.c., che non consente il ricorso al rimedio allorché l’eccessiva onerosità rientri nella normale alea di qualsiasi rapporto sinallagmatico [38], l’art. 10 del d.l. n. 118/2021 e l’art. 17 del d.lgs. n. 83/2022 non vi fanno, invece, riferimento. Quindi, mentre le oscillazioni di valore delle prestazioni [39] che siano conseguenza delle normali dinamiche di mercato [40] rientrerebbero in quell’alea che non consente di fare ricorso alla risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta prevista dall’art. 1467 c.c. [41], le medesime variazioni potrebbero, invece, legittimare la richiesta di rinegoziazione delle condizioni contrattuali da parte del debitore in crisi. La conclusione, imposta dal diverso tenore delle due norme, non sembra contestabile, a meno di ritenere che la tolleranza della normale alea contrattuale rappresenti un principio generale applicabile non solo all’eccessiva onerosità sopravvenuta disciplinata dall’art. [...]


8. (segue). I contratti aleatori per natura o volontà dei contraenti.

In secondo luogo, merita ricordare che, a prescindere dalla dimensione del­l’alterazione del rapporto e, quindi, anche ove questa eccedesse la normale alea contrattuale, l’art. 1469 c.c. non consente il ricorso al rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità nel caso dei contratti aleatori; senza che ciò comporti differenza, tanto quelli che lo siano per la loro natura, quanto quelli che lo divengano per volontà delle parti. I primi, i contratti naturalmente aleatori, altrimenti detti contratti aleatori tipici [45], sono quelli che per loro struttura pongono a carico di una o, più spesso, di entrambe le parti il rischio della sproporzione delle prestazioni in conseguenza di un fattore casuale [46]. I rischi inclusi sono peraltro normalmente circoscritti entro le aree tipicamente individuate dal contratto. I secondi, i contratti volutamente aleatori, sono quelli che per loro natura non presenterebbero profili di aleatorietà, che vi vengono però introdotti dalle parti [47]. Come si è detto, tanto l’art. 10, secondo comma, del d.l. 24 agosto 2021, n. 118, quanto il novellato art. 17, quinto comma, c.c.i.i., non fanno però alcun riferimento all’alea; ancora una volta è quindi necessario chiedersi se l’alea­torietà del contratto possa comunque assumere qualche rilievo, impedendo o, almeno, limitando l’accesso alle due fattispecie di rinegoziazione [48]. Il tema, certamente complesso [49], meriterebbe un vasto studio sistematico, che eccede la prima sommaria analisi qui condotta. Comunque sia, in linea di massima sembrerebbe da escludere la rinegoziabilità dei contratti naturalmente aleatori, la cui struttura – si pensi ad esempio all’attualizzazione del rischio ed alla determinazione del premio nel settore assicurativo – male si presta alla rideterminazione della misura di una soltanto delle due prestazioni. Si potrebbe forse fare salva, dove consentita dalla struttura del contratto tipicamente aleatorio, l’eventualità di una contestuale adeguamento di entrambe le prestazioni; tuttavia, è chiaro che in questo modo il rapporto manterrebbe il suo equilibrio originario, mutando solo la dimensione, ma non la proporzione, delle sue prestazioni. La conclusione potrebbe invece essere diversa per i contratti volutamente aleatori, che potrebbero essere strutturalmente capaci di [...]


9. Indisponibilità del dovere di rinegoziazione.

Le riflessioni appena condotte in merito ai contratti volutamente aleatori aprono un ulteriore scenario ed inducono a chiedersi se la rinegoziazione prevista dal diritto della crisi possa essere aprioristicamente esclusa tramite un’apposita convenzione contrattuale. Prima di addentrarsi maggiormente nel tema, che anche stavolta può essere solo accennato, è bene ricordare che, come si è detto, la questione non è direttamente affrontata dalla direttiva (UE) 2019/1023, che si occupa solo delle clausole ipso facto, ovverosia di quelle, evidentemente diverse, che prevedono lo scioglimento del contratto. Tuttavia, la questione qui posta non lascia del tutto indifferente il legislatore europeo, ben consapevole del fatto che il successo della ristrutturazione potrebbe spesso dipendere da una modifica dei contratti in corso atta a consentirne la prosecuzione. Questo premesso, la dottrina già occupatasi del tema in occasione del d.l. 2 marzo 2020, n. 9 [51] ritiene che, stante l’eccezionalità della disposizione legata alla pandemia, una simile pattuizione non potrebbe efficacemente escludere la rinegoziazione. La soluzione va condivisa, ma, per una più specifica ragione, che potrebbe in fondo applicarsi non solo alla rinegoziazione eccezionalmente regolata dal­l’art. 10, secondo comma, del d.l. n. 118/2021, ma anche alla rinegoziazione strutturale prevista dall’art. 17, quinto comma, c.c.i.i. Entrambe le disposizioni, prevedendo un obbligo di negoziazione secondo buona fede volto a supportare il primario obiettivo della composizione negoziata della crisi, tutelano un interesse di ordine pubblico economico, di cui le parti non potrebbero preventivamente disporre tramite una pattuizione che escludesse comunque la stessa negoziazione. La conclusione è supportata anche dal fatto in entrambi i casi la promozione della rinegoziazione non è rimessa all’iniziativa delle parti, ma a quella dell’esperto, che non potrebbe essere preventivamente privato di un potere di impulso di cui è l’uni­co a poter disporre e che questi sarebbe anzi tenuto ad esercitare ogni qual volta ne ravvisasse, sulla base della propria discrezionalità tecnica, l’oppor­tunità [52].


10. Differenze tra i due regimi di rinegoziazione.

Tra le due fattispecie di negoziazione corrono peraltro anche delle significative differenze. Anzitutto, per l’evidente ragione che l’art. 10 del d.l. n. 118/2021 è destinato ad operare solo se il sopravvenire dell’eccessiva onerosità della prestazione sia imputabile alla pandemia da SARS-CoV-2. Quindi, a conferma dell’ecce­zionalità, la norma potrà applicarsi ai soli contratti stipulati prima della pandemia [53] e la cui prestazione, divenuta eccessiva, non fosse stata ancora eseguita al suo sopravvenire o, per i contratti ad esecuzione periodica o continuata, se siano divenute eccessive le prestazioni periodicamente dovute. Va peraltro aggiunto che nella recente esperienza dei contratti di locazione ad uso commerciale l’eccessiva onerosità non è direttamente dipesa dal diffondersi del virus, ma dalle misure restrittive adottate per il suo contenimento. La circostanza merita di essere sottolineata, perché la scelta di elevare a presupposto la pandemia impone di chiedersi quali conseguenze potrebbero derivare dal fatto che la World Health Organization ne dichiari la cessazione o dal fatto che al suo persistere non si accompagnino più misure restrittive. Interrogativo affatto banale, ove si consideri che non è chiaro se la sola indicazione del­l’esperto, cui l’art. 10, secondo comma, d.l. n. 118/2021 assegna il compito di individuare i contratti e le prestazioni contrattuali resi eccessivamente onerosi dalla pandemia, basti a giustificare il dovere di rinegoziarli o, come sembra preferibile, permetta ancora al contraente in bonis di allegare e dimostrare che l’eccessiva onerosità, anche ove sussistente, non sarebbe direttamente collegabile alla pandemia. In secondo luogo, perché, mentre l’art. 10 del d.l. n. 118/2021 prende in considerazione la sola eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, l’art. 17, quinto comma, c.c.i.i. può operare in presenza di una circostanza ulteriore, ossia allorché sia «alterato l’equilibrio del rapporto» [54]. È chiaro che quest’ultima locuzione copre una più vasta area di ipotesi, comprendente non solo quelle in cui lo squilibrio dipende dall’eccessiva onerosità sopravvenuta di una prestazione, ma, certamente, anche quelle in cui l’al­terazione del rapporto discende dallo [...]


11. Considerazioni conclusive.

Questa carrellata non potrebbe concludersi senza indicare alcune altre questioni che potranno presentarsi all’orizzonte. Ovviamente, dato che l’intento è anche quello di promuovere un confronto, si devono traguardare i confini più estremi dei contratti di impresa, della rinegoziazione e della crisi. Così, è ad esempio da chiedersi se entrambe le discipline, evidentemente concepite avendo quale riferimento i contratti di scambio, possano applicarsi anche ai contratti associativi ed a quelli che, tra questi, avessero comunione di scopo. Si pensi, per rimanere tra i più comuni in uso tra gli imprenditori, al consorzio o, persino, al contratto di società. Sarebbe possibile rinegoziare l’a­dempimento delle obbligazioni gravanti sul consorziato o sul socio? Di primo acchito, verrebbe da dire che la rinegoziazione non potrebbe riguardare la misura della prestazione – ossia del contributo o del conferimento dovuto – che in entrambi i casi, ma specie nel secondo, mal si adatterebbe alla funzione stessa di siffatte prestazioni. Tuttavia, si potrebbe essere più possibilisti in merito ad un differimento dell’adempimento di quella stessa obbligazione, magari per quel tempo compensato, de iure condendo, dall’applicazione di alcune sanzioni tipiche, qual è, nel contratto di società, la sospensione del diritto di voto [58]. Ma anche a restare nel più consono ambito dei contratti commutativi vi sarebbe molto da dire. Ad esempio, come opererebbe la rinegoziazione in caso di contratti plurilaterali o in quelli che vedono più parti condividere la medesima posizione contrattuale, con o senza vincolo di solidarietà? Ed ancora, la rinegoziazione della prestazione garantita da fideiussione, produrrebbe effetto nei confronti del fideiussore? La risposta potrebbe essere positiva, stante il dettato dell’art. 1941 c.c., ma è chiaro che a ragionare in questi termini si rischia di sminuire il senso stesso della garanzia, la cui funzione tipica è, specie se concessa a prima richiesta, per appunto quella di sollevare il creditore dal rischio di qualsiasi inesatto inadempimento del debitore principale [59]. E ancora. come opererebbe l’art. 1957 c.c. nel caso in cui il creditore rinegoziasse un nuovo termine per l’adempimento? Insomma, i contratti di impresa costituiscono un fenomeno eterogeneo, che potrebbe [...]


NOTE