Mi sono proposto di prendere in considerazione i “manuali” di diritto commerciale perché ritengo siano specchio abbastanza fedele del sapere giuridico che noi trasmettiamo alle nuove generazioni di giuristi; allo stesso tempo, i manuali rappresentano la sintesi della dottrina e della giurisprudenza di riferimento. Infatti, proprio la necessità di descrivere sinteticamente tutto il sapere inerente alla materia, costringe gli autori a un lavoro sistematico, tanto più importante quanto più ampia è la materia da tenere insieme. Le premesse sistematiche sono talvolta palesate dagli stessi autori, talaltra, si ricavano dallo schema espositivo e/o dall’esame di alcuni snodi fondamentali.
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Tuttavia, mi corre l’obbligo di avvertire che non ho svolto uno studio accurato della manualistica, intento che sarebbe stato ambizioso e spropositato rispetto ai dodici minuti che sono concessi al mio intervento; mi sono prefisso, invece, di svolgere alcune schematiche considerazioni relative, per giunta, a un arco di tempo limitato che va dal corso di diritto commerciale di Paolo Greco per l’a.a. 1941-1942 alle Lezioni di Ascarelli del 1954. In mezzo vi è una notevole mole di volumi, variamente denominati [1]. Non vorrei sbagliarmi, ma credo che, in un così relativamente breve arco temporale, una produzione così copiosa non si è più ripetuta nella storia della nostra manualistica.
Questo periodo mi è sembrato particolarmente interessante perché si pone a ridosso della promulgazione del codice civile (tuttora fonte principale della nostra materia) e, dunque, della scelta di unificare diritto civile e commerciale, ma è anche temporalmente a cavallo dell’abbandono della prospettiva corporativa, operata infatti già nel 1944, che ha ridisegnato la demarcazione tra diritto commerciale e diritto dell’economia.
Il diritto dell’economia altro non è, secondo Mossa nell’edizione del 1943 del suo Trattato, che il diritto corporativo, tanto che il primo insegnamento di diritto dell’economia fu istituito nel 1929 nella Scuola di studi corporativi di Pisa. I principi corporativi, quali calati nel nuovo codice civile, sono variamente declinati dalla dottrina: nella manualistica, si va dalla mera adesione entusiasticamente ideologica di Soprano (Il libro del Lavoro, 1941), che sintetizza la nuova prospettiva dell’impresa quale «non più abbandonata a se stessa» ma affidata alle cure dello «Stato che sorregge e comanda», alla posizione adesiva ma critica e intelligente di Mossa che condensa in tre aggettivi i caratteri del nuovo diritto: «rivoluzionario, libero e giusto», ove il primo termine era un omaggio al clima del tempo, gli altri due riassumevano una visione sistematica attenta al sociale con accenti [2] che, letti con la lente dell’oggi, sembrano prefigurare la corporate social responsibility, ove tuttavia la mediazione degli interessi non è affidata alle organizzazioni sociali intermedie ma direttamente allo Stato, e che Stato! quello totalitario.
Affermava ancora Mossa: «Il diritto dell’economia è totalitario e non può rinunziare a regolare in uno stesso blocco i contratti e le imprese della organizzazione economica», poco oltre aggiunge «il diritto dell’economia è un divenire del diritto commerciale, che, essendo principalmente diritto dell’economia, entra [continua..]