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Identità e priorità del diritto commerciale

Roberto Sacchi

Un discorso sul ruolo del diritto commerciale e sui suoi rapporti con le altre aree del sapere giuridico impone di compiere una netta distinzione di piani. Sul piano culturale è appena il caso di rilevare che è fondamentale il dialogo fra gli studiosi delle varie materie. Uno studioso, se è veramente tale, prima di essere un commercialista, un civilista, un processualista ecc. è – e deve essere – un giurista. In particolare, per chi studia il diritto commerciale la conoscenza del diritto civile e il confronto con i suoi cultori sono imprescindibili. Riprendendo la distinzione fra discorsi su affreschi e discorsi su cortili e cantine – compiuta da Piergaetano Marchetti nel suo intervento a questa tavola rotonda – la considerazione ora accennata attiene agli affreschi.

segue

Qui tuttavia – così come nel seminario organizzato il 15 maggio 2021 da Giurisprudenza commerciale sostanzialmente sullo stesso tema (per tale motivo i due interventi si sovrappongono) – intendo scendere su un piano molto meno nobile e dedicare il mio intervento a cantine e cortili (senza i quali gli affreschi difficilmente risultano fruibili), occupandomi del tema – ben diverso e molto meno stimolante di quello sopra menzionato – dello spazio lasciato all’insegnamento del diritto commerciale nell’attuale Università italiana. A questo proposito non si può evitare di osservare che ci troviamo in presenza di una serie di eventi, i cui effetti oggettivi convergono nel senso di una tendenza a ridimensionare il diritto commerciale. Non mi riferisco solo al progetto del nuovo corso di laurea e al regolamento sugli avvocati specialisti – nel quale al diritto commerciale è negata la dignità di settore di specializzazione, riconosciuta invece, ad esempio, al diritto dello sport – ma anche all’esperienza che molti di noi vivono: in numerose Università (anche nella mia) è frequente che vi siano insegnamenti di materie gius-commercialistiche a pieno titolo (sotto il profilo dell’oggetto) impartiti da Colleghe e Colleghi che appartengano a settori scientifico – disciplinari diversi dal nostro.

Se posso azzardare un’ipotesi, non escluderei che alla base del fenomeno in discorso vi sia la consapevolezza della centralità acquisita dall’impresa e, conseguentemente, della centralità del ruolo nel mondo accademico di chi del­l’impresa e dei mercati su cui essa opera si occupa.

Al riguardo si potrebbe rilevare che è lecito il dubbio (che, a mio parere, alcuni fra i migliori di noi nutrono, pur non formulandolo espressamente) che la riduzione dello spazio riservato al nostro settore non sia un fatto grave e che non valga la pena impegnarsi in una battaglia finalizzata a salvaguardare il ruolo del settore stesso. In fondo, si potrebbe dire, IUS 04 è solo uno strumento organizzativo adottato nell’attuale sistema universitario e una sua difesa non giustifica l’impegno che meglio potrebbe essere utilizzato per altri obiettivi, più stimolanti intellettualmente.

A chi, consapevolmente o non, fosse attratto da considerazioni di questo genere è però facile rispondere che l’osservazione di quanto accade nel nostro settore (pur con tutti i nostri difetti) e in quelli a esso contigui impone di rispondere in modo fermo che la tutela di IUS 04 è doverosa, se vogliamo salvaguardare l’identità della nostra materia.

Se questo è l’obiettivo, si tratta di stabilire quali sono le linee di condotta da seguire per raggiungerlo. In questa tavola rotonda – e nel già menzionato seminario di Giurisprudenza Commerciale – ho sentito varie proposte, che in larga misura condivido, come, ad esempio, quella di adottare un’impostazione generalista – e non incentrata sul diritto societario – nell’insegnamento (anche manualistico) del corso fondamentale (in genere collocato al secondo anno) della nostra materia, riservando a corsi da tenere negli anni successivi gli approfondimenti nel diritto societario e negli altri segmenti in cui il diritto commerciale si articola.

Sono invece preoccupato dall’eventuale adozione della proposta di cambiare il nome “diritto commerciale”. So che chi ha formulato questa ipotesi (si tratta di Colleghe e Colleghi di elevata autorità scientifica e di forte impegno, alle quali e ai quali l’Università deve molto) ha inteso reagire all’affermazione che il nostro settore sarebbe connotato da tradizionalismo, il che costituisce uno dei modi per delegittimarlo. Nonostante la carica innovatrice dei Maestri della nostra materia, questa preoccupazione è in concreto senz’altro giustificata, dato l’attuale clima culturale, caratterizzato da una significativa inconsapevolezza del passato e delle tradizioni universitarie. Sotto questo profilo è molto importante, se vogliamo evitare l’accusa (strumentale, ma che rischia di trovare ascolto) di essere tradizionalisti, che noi ci adattiamo alle esigenze poste dalla nuova realtà universitaria. Questo è fondamentale per difendere il nucleo essenziale delle tradizioni dell’Università italiana (e quindi europea, sul piano storico). Fra le innovazioni da introdurre, tuttavia, non rientra, secondo me, il cambiamento del nome della materia. Questo non per motivi affettivi (che pure esistono e, per me, contano molto): il diritto commerciale vive una fase delicatissima e, se l’adozione di una nuova denominazione aiutasse a difenderne meglio la sopravvivenza e l’identità, non avrei dubbi sull’opportunità di adottarla. La realtà, però, è che, nell’attuale situazione (e con gli attuali rapporti di forza), se si mette in discussione il nome della materia esiste il rischio non trascurabile che il nostro settore venga ridenominato “diritto societario”. È significativo che nel regolamento sugli avvocati specialisti il diritto commerciale, degradato a mero indirizzo del settore di specializzazione in diritto civile, sia chiamato appunto “diritto commerciale e societario”.

A parte le modifiche nell’ordinamento universitario da attuare per meglio tutelare la nostra materia, credo che, prima di interrogarci su quali esse debbano essere, dobbiamo chiederci anzitutto che cosa ciascuno di noi può fare, individualmente, per il diritto commerciale e per mantenerne l’attrattività nei confronti dei giovani, senza i quali la materia non ha futuro.

A questo proposito, non c’è bisogno di dire che, data la difficile situazione in cui le Università italiane attualmente si trovano – anzitutto, ma non solo, sotto il profilo finanziario (dubito che la improvvisa abbondanza di risorse cambierà le cose nel medio-lungo termine) – il futuro per un giovane che intende intraprendere il percorso accademico appare contraddistinto da un grado di incertezza molto superiore a quello che esisteva ai tempi della mia generazione (e anche di quelle successive, fino a un decennio fa), per cui la decisione di dedicarsi allo studio teorico richiede oggi una motivazione molto più forte di quella necessaria ai giovani di quelle generazioni.

A questa ragione di difficoltà nel motivare i giovani a compiere la scelta accademica (che vale anche per gli altri settori e per le aree diverse dall’area degli studi giuridici), se ne aggiunge un’altra, specifica di IUS 04. L’arido linguaggio delle percentuali rende chiaro che (mutuando la terminologia utilizzata dalla normativa sulla crisi d’impresa) vi è (almeno) un’alternativa concretamente praticabile che si presta, ben più del nostro settore, al miglior soddisfacimento delle aspirazioni di crescita accademica dei giovani.

Questo non è certo un motivo per mettere in atto una concorrenza al ribasso nei confronti dell’alternativa concretamente praticabile (se lo facessimo, saremmo noi i primi a tradire i valori che i nostri Maestri ci hanno consegnato). È però un motivo per compiere ogni sforzo per aumentare la nostra credibilità. A questo riguardo (senza pretese di completezza) vedo, come minimo, l’esi­genza di (i) incrementare il nostro impegno e (ii) ridefinire la gerarchia delle nostre priorità.

Sotto il primo profilo i migliori di noi si impegnano nella ricerca e nella didattica, scrivendo lavori originali, argomentati in modo coerente e rigoroso, stimolando e accompagnando la crescita scientifica dei giovani studiosi che li hanno scelti come punto di riferimento, formando con serietà e impegno gli studenti. Questo però non basta, o almeno non basta più nella attuale realtà universitaria.

Non mi sto riferendo solo alla necessità che oggi un professore sia anche capace di attrarre fondi e di dialogare con la società civile (la c.d. “terza missione”) e sia disponibile per i mille, sgradevoli adempimenti burocratici che ci assillano ogni giorno. Mi sto riferendo anche alla necessità che noi ci rendiamo (soprattutto, i migliori di noi si rendano) disponibili in gran numero a fare parte della lista dei sorteggiabili per la ASN e di quella per la VQR (fondamentale, anche perché un malfunzionamento della VQR nei settori non bibliometrici potrebbe essere strumentalizzato per estendere pure a questi i parametri applicati ai settori bibliometrici).

Mi rendo conto che si tratta di attività di fortissimo impegno, di scarsa gratificazione e tale da causare un non indifferente fastidio intellettuale (tra l’al­tro, per entrare nelle liste per l’ASN e per la VQR occorre fare domanda, fatto questo inusuale nell’Università in cui sono cresciuto). È però fondamentale che noi ci facciamo carico di questo impegno. In caso contrario non vedo come possiamo chiedere ai giovani di studiare con noi e di presentarsi all’ASN nel nostro settore.

Venendo al secondo profilo (la ridefinizione della gerarchia delle nostre priorità), è necessario che diveniamo consapevoli di quali sono le urgenze che l’attuale situazione ci impone. A questo proposito è molto significativo il confronto fra quanto accaduto nell’assemblea del 26 luglio 2021 e in quella del 3 novembre 2021 della nostra Associazione, entrambe convocate con all’o.d.g. la proposta di modifiche statutarie.

Nella prima occasione si è svolta un’articolata e ampia discussione, che – oltre a toccare temi forse non meritevoli, come quello attinente alla denominazione da riservare all’ufficio con funzioni di segretariato (Segretario o Segretario Generale?) – ha avuto come oggetto profili di grande spessore. In questo modo, però, con il prolungarsi della discussione è venuto meno il numero legale e non si è potuto deliberare nemmeno sulla modifica (non più importante, ma) più urgente, cioè quella riguardante l’elettorato passivo per il Direttivo. Anche se coloro che non sono ancora professori (e quindi non sono soci) non hanno partecipato all’assemblea, la notizia sull’esito della stessa è circolata ed è facile capire che effetto possa avere avuto, in questo momento storico, sui giovani (e non solo su di loro).

Per merito della Presidente e del Direttivo, nella successiva assemblea del 3 novembre 2021 le proposte sono state approvate, dando così un segnale che le Colleghe e i Colleghi della nostra Associazione sono consapevoli che il diritto commerciale è sotto attacco adesso e va difeso adesso. Occorre però dare continuità a questo comportamento, in modo che non resti un episodio isolato.