Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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L´impresa nel prisma del diritto commerciale (di Monica Cossu)


Sommario/Summary:

1. Gli studi di diritto commerciale oggi. - 2. Il diritto commerciale e i suoi confini, nel presente. - 3. Il diritto commerciale e la centralità dell’impresa e dei mercati. - 4. Conclusioni. Il futuro e le sfide del diritto commerciale. - NOTE


1. Gli studi di diritto commerciale oggi.

Non intendo addentrarmi in analisi storico-evolutive della materia commercialistica e del nomen “diritto commerciale”, che i partecipanti a questa Tavola Rotonda hanno già approfondito prima di me, o approfondiranno dopo di me, in entrambi i casi molto meglio di come potrei fare io. Nemmeno mi occuperò (per lo stesso motivo) delle partizioni didattiche del diritto, e del connesso, acceso dibattito sulla riforma delle classi di laurea e dei settori scientifico-disciplinari [1]. Parto dalla constatazione – che non è mia ma che condivido – che gli studiosi del diritto commerciale hanno, nel tempo, sempre più ristretto «i propri interessi, in una spinta verso lo specialismo che comporta un’autoriduzione del campo d’in­teresse» [2]. Questa scelta li ha progressivamente condotti a fermarsi su singoli aspetti della disciplina un tempo unitaria, all’insegna di un processo centrifugo [3], e di un percorso inverso a quello seguito da altri, come ad esempio e in particolare gli studiosi del diritto civile. Così, volendo affrontare il tema dei confini del diritto commerciale «[a]lla luce di un peculiare angolo prospettico ovvero del contrappunto dialettico tra specialità del diritto commerciale e vis espansiva del diritto civile» [4], si potrebbe, ad esempio, osservare come di contro i giuscivilisti, all’insegna di un moto eclettico, abbiano scelto di moltiplicare i propri interessi, impegnandosi anche su temi tradizionalmente di stretta attinenza giuscommercialistica. Il diritto civile, però, non è affatto in crisi di identità, perché se da una parte moltiplica i propri interessi, nel contempo non abdica alla propria identità generalista, laddove il diritto commerciale è sempre più frastagliato in filoni specialistici, certamente favoriti dalla costante alluvione di riforme e nuove norme che rende sempre più difficile dominare l’intera materia [5]. È chiaro come alla base del fenomeno dell’iperspecializzazione da parte degli studiosi del diritto commerciale, al di là degli interessi speculativi e di ricerca vi siano anche interessi legati all’attività di consulenza e assistenza professionale, così come è chiaro l’inverso, e cioè come il crescente interesse verso la materia commercialistica da parte [...]


2. Il diritto commerciale e i suoi confini, nel presente.

Pensando all’oggi e al domani del diritto commerciale mi vengono in mente tre constatazioni estremamente banali, delle quali svilupperò un poco solo la terza. La prima constatazione è che tracciare i confini, e definire i campi d’in­teresse, del diritto commerciale obbliga sia a lavorare entro la cornice del diritto europeo, che anche ad avvalersi della comparazione in senso stretto, e ad adoperare costantemente strumenti di confronto tra gli ordinamenti. La dimensione del diritto europeo, il metodo della comparazione giuridica, il ricorso sistematico al confronto tra ordinamenti appartengono tutti, dunque, anche (e, anzi, spiccatamente) allo strumentario del giuscommercialista. La seconda constatazione è che nel definire il campo del diritto commerciale, come per altri rami del diritto è necessario ridimensionare la contrapposizione tra diritto privato e diritto pubblico [9], e in qualche caso rinunciarvi. Tre crisi economico-finanziarie come quelle che nel 2007-2009, nel 2011-2013 e infine durante la pandemia da Covid 19 si sono abbattute sugli ordinamenti europei ed extraeuropei hanno ampiamente dimostrato quanto il confine tra diritto privato e diritto pubblico sia sempre più relativo, e quanto una crisi economica possa mettere profondamente in discussione questa distinzione, da una parte invocando una regolazione sovranazionale dei mercati coordinata e integrata, dall’altra chiamando, in più occasioni, gli Stati ad assumere il ruolo di garanti, e quindi di prestatori di ultima istanza, di assuntori di garanzia e rischi [10]. In questa prospettiva si possono menzionare, solo a titolo di esempio, la riforma delle banche popolari e delle banche di credito cooperativo; la normativa sul finanziamento del fondo pubblico di garanzia cui accedono PMI e start up innovative; la normativa sulle risoluzioni bancarie e il bail-in (e, nel contempo, la normativa d’urgenza in materia di insolvenze bancarie e corrispondenti interventi di bail-out); la crescente propensione delle regioni e di altri enti pubblici intermedi come le camere di commercio a utilizzare forme di co-finanziamento, in particolare fondi strutturali europei come quelli che finanziano i progetti POR, sia per ottenere maggiore garanzia per le imprese e sia anche per rifinanziare i consorzi fidi. È impensabile che lo studioso del diritto commerciale debba occuparsi soltanto degli aspetti privatistici e tirare [...]


3. Il diritto commerciale e la centralità dell’impresa e dei mercati.

La terza constatazione cui accennavo all’inizio ha a che fare con la necessità di riaffermare l’idea che «la specialità normativa dell’impresa costituisce una struttura portante (e latente) dell’ordinamento» [14], e di rimettere al centro il diritto delle imprese e delle altre iniziative economiche, e dell’impresa quale modello principe per l’esercizio di attività economiche. L’idea della centralità dell’impresa (o delle imprese che dir si voglia), della sua organizzazione e del suo funzionamento nei mercati, del suo finanziamento e della sua struttura finanziaria, del resto, è tutt’altro che nuova, e a partire dalla riforma del diritto societario italiano del 2003 è stata in qualche modo riscoperta, per essere, poi, avvalorata dagli sviluppi della legislazione successiva; e oltretutto è un’idea tutt’altro che isolata: l’impresa (e il suo finanziamento) rappresentano l’asse portante del diritto commerciale europeo [15]. Si può individuare così un filo conduttore che accomuna (cito in ordine sparso, in disordine cronologico, e senza pretese di esaustività) la riforma del diritto societario, il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza; le riforme che hanno interessato le banche mutualistiche, che anche in questo caso hanno avuto di mira, essenzialmente, il modello stesso di impresa bancaria e la sua patrimonializzazione, anche con l’obiettivo di prevenirne le crisi. Si pensi inoltre, tra le regole transnazionali, ai tre accordi di Basilea, intervenuti da una parte sui requisiti di capitale, di patrimonio, di liquidità e sui requisiti prudenziali delle banche e degli intermediari finanziari non bancari, dall’altra sui criteri di determinazione del merito creditizio delle imprese finanziate, e sulla differenziazione dei relativi requisiti a seconda delle dimensioni dell’impresa, con l’obiettivo di implementarne la stabilità finanziaria e la capacità di controllo, valutazione e misurazione del rischio. Si pensi, ancora, a normative più settoriali come quella dedicata ai confidi (dapprima l’art. 13 legge 24 novembre 2003, n. 326, poi la mancata riforma intrapresa con la legge delega 13 luglio 2016, n. 150); quella dedicata al già menzionato fondo di garanzia delle PMI costituito presso il mediocredito centrale [...]


4. Conclusioni. Il futuro e le sfide del diritto commerciale.

È certo che il dilagare della produzione normativa induce a ricercare, e rinverdire, i confini del diritto commerciale, ed è certo che sarebbe probabilmente utile, in questa prospettiva, ritornare a «una dottrina generale delle imprese e dei mercati, capace di indicare princìpi e concetti idonei a dare una cornice coerente alla miriade di regolazioni di settore» [18]. È certo anche che la tradizionale connotazione generalista del diritto commerciale, ora più di prima, è scomoda per lo studioso, costretto a dominare una materia sempre più imponente in termini quantitativi, a confrontarsi con molte materie di frontiera, a interloquire con altri campi del sapere [19]. Ma lo studioso del diritto commerciale non può occuparsi solo di singoli temi anziché del tutto [20], e a questo “tutto” non può rinunciare, perché sia sotto il profilo dei rapporti sociali che sotto il profilo dei rapporti economici è un dato di fatto inconfutabile che il diritto commerciale, al di là di qualunque dibattito sul nomen, identifica il diritto delle imprese e delle altre attività economico-produttive private (in particolare le professioni intellettuali) quand’an­che esse siano controllate, o comunque vigilate, da poteri pubblici nazionali o sovranazionali; identifica gli strumenti di ristrutturazione, risanamento e liquidazione delle imprese; identifica i mercati, tutti i mercati quali luoghi naturali o artificiali ove beni e servizi vengono scambiati, e la disciplina della concorrenza; identifica le società e le altre forme attraverso le quali imprese e attività economiche private esprimono la propria organizzazione. Il diritto commerciale è anche, quindi, «il diritto delle forme del sistema economico non solo nei suoi modelli tradizionali ma anche nelle strutture più avanzate, in continua evoluzione: si pensi alle start up, alle PMI innovative, alla “nuova” società quotata. È, altresì, diritto dei mercati finanziari...E proprio sotto questo aspetto è il diritto più attento alla comparazione giuridica» [21]; identifica infine i contratti, tutti i contratti che gravitano intorno all’impresa e che contribuiscono alla sua organizzazione, al suo funzionamento, al suo finanziamento [22]. È l’intera produzione scientifica [...]


NOTE