1. Il tema, sul quale l’ordine alfabetico mi impone di intervenire per primo, è tale evidentemente da richiedere ben più dei dieci minuti nei quali devono svolgersi i nostri interventi. Debbo perciò limitarmi a poche affermazioni assiomatiche su alcuni dei suoi tanti risvolti.
E in questo senso credo utile svolgere il mio intervento sulle due linee che ci ha tracciato Giuliana Scognamiglio.
Le chiamerei, in termini evidentemente del tutto approssimativi e che presuppongono un condiviso codice semantico, il problema culturale dei confini, ma prima ancora della stessa riconoscibilità, del diritto commerciale e il problema burocratico del suo ruolo e collocazione nel sistema universitario. Due problemi evidentemente connessi, se non altro in quanto il porsi del secondo è almeno influenzato dal primo e dal modo in cui lo si imposta; mentre i termini in cui si risolve il secondo necessariamente si riflettono, e non possono non riflettersi, sul primo.
Il primo, quello “culturale” cioè, è senza dubbio il più intrigante e complesso, tale in effetti da non consentire in questa sede altro che pochi rilievi assiomatici.
Mi limito perciò in proposito a ripetere, in forma sintetica, quanto mi è già capitato di dire in altra sede: la mia convinzione, cioè, che di “diritto commerciale” ha un senso parlare in termini culturali se e in quanto vi siano gruppi di studiosi che acquisiscono coscienza della peculiarità (di una qualche peculiarità che li distingue dal più ampio genere dei giuristi) del proprio lavoro di ricerca e didattica; e che in questo senso esso, il “diritto commerciale”, è il risultato di una vicenda storica la quale si impernia su un processo di identificazione e di auto-identificazione (mi verrebbe da dire: “autoriconoscimento”) degli studiosi che così lo creano e si creano.
Intendo in tal modo dire che certamente in ogni epoca storica è possibile rinvenire discipline intese a regolare fatti economici, ma che di un “diritto commerciale” in senso proprio è possibile discorrere solo in virtù di un riferimento anche culturale al sistema capitalistico. Come mi pare vistosamente confermato, in termini negativi, dalla circostanza che non di “diritto commerciale”, ma di commerce, si parlava dopo le ordinanze di Colbert; e, in termini positivi, dalla constatazione che il “diritto commerciale” è successivamente emerso con parole d’ordine come quelle del cosmopolitismo, del Rechstverkehrsschutz e dell’attività di massa (si pensi, per l’ultimo profilo, alle fondamentali [continua..]