L’inquadramento giuridico delle condotte imprenditoriali nei mercati dell’economia digitale solleva non poche questioni sul rapporto tra la libertà di impresa, le emergenti tendenze applicative del diritto della concorrenza e le nuove regole in via di costruzione nel panorama euro-unitario e nazionale.
In tale delicato equilibrio sono discusse le recenti tendenze e le nuove proposte normative in materia di abuso di dipendenza economica (a.d.e.) all’interno dell’ordinamento italiano.
Lo strumento, infatti, sta suscitando sempre maggiore attenzione – anche nel panorama comparatistico – nelle relazioni tra imprese, tra loro in rapporti asimmetrici, al fine di risolvere alcuni conflitti relativi al diniego di condivisione di insiemi di dati o all’imposizione di condizioni inique e gravose per la fruizione dei servizi di intermediazione online, tanto da spingere l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato a proporre una modifica normativa per adeguare lo strumento (tra gli altri) «alle sfide dell’economia digitale», recentemente recepita nel Disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021.
Dopo un tentativo di lettura sistematica di tali evoluzioni a livello nazionale ed europeo, l’articolo offre alcune soluzioni interpretative per l’applicazione dell’a.d.e. a contesti nuovi, anche alla luce delle interpretazioni e applicazioni da parte della giurisprudenza e della dottrina nazionali, e ragiona sull’eventuale opportunità (e sui contenuti) di un intervento de iure condendo per affinare i contorni dello strumento.
L’articolo si conclude, infine, con una riflessione più generale sulla libertà di impresa nei mercati dell’economia digitale e sul suo inquadramento nell’«economia sociale di mercato fortemente competitiva» (art. 3 T.U.E.), considerando la funzione dell’a.d.e. come meccanismo che pone un limite alla libertà dell’impresa forte (e, tuttavia, non necessariamente dominante) nella misura in cui essa pregiudichi l’autonomia decisionale e l’attitudine alla crescita dell’impresa più debole.
Parole chiave: Abuso di dipendenza economica, concorrenza, mercati digitali, libertà di impresa
The businesses’ conducts in digital markets raise many questions about the relationship among the freedom to conduct a business, the emerging trends in the application of competition law and the new rules under construction in the EU and national panorama.
Within this delicate balance, recent trends and new regulatory proposals on the abuse of economic dependence (a.e.d.) in the Italian legal system are discussed.
In fact the tool is attracting more and more attention in order to solve conflicts relating to the refusal to share datasets or the imposition of unfair terms for the use of online intermediation services, and the Italian Competition Authority has proposed a regulatory amendment to adapt the a.e.d. (among others) «to the challenges of the digital economy», which was recently transposed in the Annual Bill for the Market and Competition 2021.
After an attempt of a systematic reading of these developments at national and European level, the paper offers some interpretative solutions for the application of the a.e.d. in such new contexts, also in the light of the interpretations and applications by the national case-law and scholarship, and discusses the possible advisability (and the content) of a de iure condendo intervention to fine tune the doctrine.
Keywords: Abuse of Economic Dependence; Competition Law; Digital Markets; Freedom to Conduct a Business
Finally, the conclusion offers a general glimpse over the freedom to conduct a business in the digital economy and discusses its framing in the «highly competitive social market economy» (Art. 3 T.E.U.), by considering the function of the a.e.d. as a mechanism that places a limitation on the freedom of the strongest (but not necessarily dominant) business to the extent that it undermines the decision-making autonomy and the attitude of the weaker business to grow in the digital markets.
1. Introduzione. - 2. Abuso di dipendenza economica come strumento flessibile per sanzionare condotte abusive nei mercati digitali? Uno sguardo comparatistico. - 2.1. Alcune recenti applicazioni. - 2.2. Ipotesi dottrinali di applicazione della fattispecie di a.d.e. - 2.3. La novella legislativa belga sull’abuso di dipendenza economica e la riforma tedesca del diritto della concorrenza nel settore digitale. - 3. Il contesto europeo: il catalogo emergente di strumenti e rimedi per le condotte abusive nei mercati digitali. - 3.1. Il regolamento (UE) 2019/1150 che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online. - 3.2. La proposta di regolamento UE sui mercati digitali. - 4. Evoluzioni applicative dell’abuso di dipendenza economica nell’ordinamento italiano. - 4.1. (segue). L’applicazione dell’abuso di dipendenza economica da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. - 5. Necessità di modifica de iure condendo dell’art. 9 della l. n. 192/1998? - 6. Una riflessione conclusiva: la libertà d’impresa nei mercati digitali e la funzione dell’abuso di dipendenza economica. - NOTE
L’inquadramento giuridico delle condotte imprenditoriali nei mercati dell’economia digitale solleva non poche questioni sul rapporto tra la libertà di impresa, le emergenti tendenze applicative del diritto della concorrenza ed i nuovi complessi legislativi in via di costruzione nel panorama euro-unitario e nazionale.
Le questioni interpretative sorte dalla digitalizzazione di beni e servizi e dal ricorso sempre più pervasivo alle nuove tecnologie della comunicazione e dell’informazione nell’attività di impresa sembrano richiedere, da un lato, l’evoluzione degli strumenti giuridici per contrastare nuove forme di abuso di potere economico privato mentre, dall’altro, la garanzia di certezza giuridica e margini di libertà di azione ed organizzativa per imprese potenzialmente latrici di innovazioni dirompenti e rapidissime o, in generale, di effetti positivi sul benessere dei consumatori e sulla concorrenza [1].
Ed è proprio in tale delicato equilibrio che devono essere discusse le recenti tendenze e le nuove proposte normative in materia di abuso di dipendenza economica (di seguito, a.d.e.) all’interno del nostro ordinamento. Lo strumento, infatti, sta suscitando sempre maggiore attenzione – anche nel panorama comparatistico – nelle relazioni tra imprese, tra loro in rapporti asimmetrici, al fine di risolvere alcuni conflitti relativi al diniego di condivisione di insiemi di dati o all’imposizione di condizioni inique e gravose per la fruizione dei servizi di intermediazione online, tanto da spingere l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (di seguito, A.G.C.M.) a proporre una modifica normativa per adeguare lo strumento (tra gli altri) «alle sfide dell’economia digitale» [2], recentemente recepita dal Governo nel disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 [3] (di seguito, d.d.l. Concorrenza 2021).
A livello europeo, inoltre, si stanno sviluppando nuove regole che sembrano trovare tra le proprie giustificazioni la soluzione di problemi di dipendenza economica su larga scala [4], considerata quasi come caratteristica «strutturale» di alcune forme organizzative dei rapporti imprenditoriali che ruotano attorno al modello delle piattaforme digitali [5].
Se le difficoltà riscontrate nell’applicazione del diritto della concorrenza – e in particolare dell’abuso di posizione dominante – nei mercati dell’economia digitale hanno destato tale rinnovato interesse per le fattispecie nazionali di a.d.e. [6], sorge la necessità di leggere e mettere a sistema queste evoluzioni a livello nazionale ed europeo, per riflettere su alcune soluzioni interpretative dell’a.d.e all’interno dell’ordinamento italiano e sull’eventuale opportunità di un intervento de iure condendo per affinare eventualmente i contorni dello strumento.
La tesi che si cercherà di sostenere è, infatti, che ogni eventuale intervento normativo riformatore in materia di a.d.e. nei mercati digitali (i) si debba collocare in un rapporto di continuità e coerenza sistematica con altri strumenti esistenti ed emergenti a livello euro-unitario di contrasto agli abusi di potere di mercato, anche per non complicare gli oneri di compliance normativa delle imprese; (ii) sia giustificato da elementi obiettivi che si riflettano nella scelta definitoria e nella tipizzazione delle condotte abusive; (iii) si attenga a criteri applicativi che consentano in concreto un adeguato bilanciamento di interessi, ovvero di limitare la libertà di azione delle imprese forti al fine di tutelare il pieno esercizio della libertà e, soprattutto, dell’autonomia imprenditoriale delle imprese dipendenti e, di riflesso, l’efficienza dinamica dei mercati.
Una volta identificate le questioni e le domande di ricerca, il presente lavoro muove da una sintetica indagine comparatistica funzionale all’illustrazione di recenti applicazioni della fattispecie in altri ordinamenti per sanzionare condotte abusive nei mercati digitali (2), soffermandosi sia su alcuni casi giurisprudenziali esemplari e su alcune proposte interpretative dottrinali (2.1), sia su novelle legislative volte ad adattare lo strumento al nuovo contesto tecnico (2.2), come nel caso della riforma tedesca GWB-Digitalisierungsgesetz. Il terzo paragrafo analizza, invece, alcune evoluzioni normative euro-unitarie volte ad introdurre norme che incidono (tra le altre cose) su problemi di dipendenza considerata strutturale, e dunque quasi presunta, nei rapporti tra imprese che gestiscono servizi di intermediazione online (piattaforme) e relativi utenti commerciali. Una volta compiuta tale analisi, i paragrafi 4 e 5 si soffermano sulla tipicità e sulle evoluzioni applicative dell’a.d.e. nell’ordinamento italiano e sulle ragioni di opportunità (o di inopportunità) di una modifica legislativa, commentando la recente proposta contenuta nel d.d.l. Concorrenza 2021, adottata a seguito della segnalazione dell’A.G.C.M. [7].
L’articolo si conclude, oltre che con la proposta di alcune soluzioni interpretative in previsione di un più incisivo utilizzo dell’a.d.e., con una riflessione più generale sulla libertà di impresa nei mercati dell’economia digitale e sul suo inquadramento nell’«economia sociale di mercato fortemente competitiva» (art. 3 T.U.E.), considerando la funzione dell’a.d.e. come meccanismo che pone un limite alla libertà di azione dell’impresa forte (e, tuttavia, non necessariamente dominante) nella misura in cui – in ragione dell’asimmetria di potere negoziale o tecnologico e del relativo abuso – essa comprima l’autonomia decisionale e l’attitudine alla crescita dell’impresa più debole. L’articolo sottolinea, infatti, come anche con riferimento alle condotte nei mercati dell’economia digitale debba essere mantenuta una linea interpretativa che qualifichi l’abuso di dipendenza economica (e di conseguenza limiti la libertà d’impresa dell’impresa forte) ogni volta che si configuri in concreto nei rapporti commerciali tra imprese un pregiudizio all’autonomia dell’impresa debole, i.e. una compressione della libertà di adottare sul mercato decisioni imprenditoriali a fronte di un rischio economico non condiviso con l’impresa forte [8], snaturando uno dei momenti necessari e tipici dell’attività economica svolta in forma di impresa, con alterazione del gioco della concorrenza sul mercato.
L’a.d.e. non è una fattispecie armonizzata a livello europeo. Il regolamento (CE) n. 1/2003 [9] lascia, infatti, impregiudicata la possibilità per gli Stati Membri dell’U.E. di adottare e applicare nel proprio territorio norme nazionali sulla concorrenza «più rigorose che vietino o sanzionino le condotte unilaterali delle imprese» [10], incluse «le disposizioni che vietano o sanzionano un comportamento illecito nei confronti di imprese economicamente dipendenti» [11], senza, tuttavia, dettare una disciplina uniforme.
Residua, dunque, un margine di autonomia per gli Stati al fine di attribuire rilevanza alla disparità di potere economico e contrattuale nei rapporti tra imprese e conformare, così, l’autonomia privata delle imprese forti a scopi di ordine pubblico economico che siffatte discipline fondamentalmente condividono con il diritto della concorrenza, ovvero «l’efficienza e la congruità dello scambio e la lotta agli abusi del potere economico» [12].
In Europa, vari Stati [13] prevedono un divieto di a.d.e., sebbene con differenti strutture [14]. Nonostante le divergenze delle versioni nazionali del divieto, generalmente per l’accertamento dell’a.d.e. sono richieste due principali condizioni: uno stato di d.e. da parte di una impresa “dipendente” e l’abuso della stessa da parte dell’impresa “forte”. Inoltre, alcuni ordinamenti [15], che inquadrano tale abuso nell’ambito del diritto della concorrenza, richiedono altresì l’impatto della condotta (concreto o potenziale) sul funzionamento o sulla struttura del mercato al fine di innescarne l’applicazione.
I presupposti applicativi dell’a.d.e., che non contemplano necessariamente la sussistenza di una posizione dominante sul mercato, ma richiedono una situazione di “forza” che si manifesta nell’esercizio di un potere relativo o “relazionale”, potrebbero consentire alla fattispecie di essere uno strumento flessibile per sanzionare condotte abusive nei mercati digitali, dove può talvolta risultare arduo accertare la posizione dominante delle imprese e dove, invece, potrebbe più facilmente emergere un rapporto asimmetrico tra imprese integrante un eccessivo squilibrio di diritti ed obblighi, in mancanza di ragionevoli alternative sul mercato.
Le caratteristiche dei mercati dell’economia digitale e la loro ancora limitata regolazione [16] hanno favorito, infatti, situazioni di asimmetria di potere contrattuale e tecnologico tra imprese, specialmente nell’ambito dei rapporti commerciali con le piattaforme digitali, sebbene sia necessario considerare l’eterogeneità dei modelli di business convolti. I dati sul fatturato raccolti a livello europeo in relazione alle proposte normative della Commissione mostrano un crescente ricorso ad alcuni intermediari per raggiungere i consumatori e per commercializzare beni e servizi da parte delle imprese [17]. Il flusso di dati (personali e non personali) che gravita attorno al funzionamento delle piattaforme digitali, la relativa importanza per le dinamiche concorrenziali, e gli effetti di rete che scaturiscono dall’utilizzo di alcune piattaforme da parte degli utenti [18], possono esacerbare tale asimmetria, specialmente per quanto riguarda le imprese di dimensioni maggiori [19]. Sebbene tali soggetti consentano un più agevole accesso al mercato per gli utenti professionali, una maggiore possibilità di scelta per i consumatori, e, in generale, un alto tasso di innovazioni sul mercato [20], lo sfruttamento opportunistico di un eventuale stato di d.e. – da accertarsi in concreto – potrebbe condurre a pratiche inique o abusive. Se, al momento, l’esempio delle piattaforme digitali appare ricevere maggior attenzione, l’applicazione potrebbe nondimeno rilevare anche in altri contesti, come ad esempio quello dell’Internet delle cose [21], accomunati da possibili squilibri di potere negoziale e tecnologico nei rapporti tra imprese e da dinamiche commerciali di produzione e distribuzione basate su rapporti tra imprese tra loro indipendenti, ma tuttavia soggette a ricevere un impatto esterno sulla propria attività imprenditoriale. Non sorprende, dunque, come lo strumento stia attraendo sempre maggiore attenzione – in modo complementare rispetto all’abuso di posizione dominante – nelle relazioni tra imprese in ambiente digitale.
Sebbene l’interpretazione dell’art. L. 420-2, secondo paragrafo del Codice del commercio francese renda le maglie dell’applicazione dell’a.d.e particolarmente strette, l’Autorité de la Concurrence (A.C.) francese, nel Report Etude concurrence et commerce en ligne [22], ha valorizzato il ruolo dello strumento (tra gli altri [23]) al fine di risolvere alcuni problemi legati alla d.e. delle imprese dipendenti negli online marketplaces, data la difficoltà per le stesse a trovare ragionevoli alternative.
La versione francese dell’a.d.e. [24], prevista nella stessa norma dell’abuso di posizione dominante, si connota per un’interpretazione particolarmente restrittiva dell’esistenza di uno stato di d.e., richiedendo il soddisfacimento di quattro condizioni cumulative, e per richiedere un impatto reale o potenziale della condotta sul funzionamento o sulla struttura della concorrenza nel mercato. Le condizioni elaborate dalla giurisprudenza [25] per l’accertamento dello stato di d.e. sono (1) la notorietà del partner commerciale o del prodotto; (2) l’importanza della sua quota di mercato; (3) l’importanza della parte del fatturato realizzato con questo partner commerciale rispetto al fatturato totale dell’attività interessata; e (4) la difficoltà per l’impresa interessata di trovare partner commerciali alternativi che offrano soluzioni commerciali simili.
Alcune recenti applicazioni dell’a.d.e. da parte dell’A.C. dimostrano come essa possa rappresentare uno strumento utile ad inquadrare alcune condotte abusive dell’economia digitale, nonostante l’interpretazione particolarmente rigida sinora ricevuta [26].
Nel marzo 2020 la A. C. ha condannato Apple (inter alia) per pratiche abusive consistenti nell’imposizione di condizioni inique e sfavorevoli perpetrate ai danni di alcuni distributori non verticalmente integrati nell’ambito della distribuzione di alcuni servizi digitali in Francia [27]. Benché l’appello sia ancora pendente, è utile esaminare le valutazioni di tale decisione, in quanto riguarda un’impresa “forte” che opera sia come fornitore che come concorrente delle imprese ritenute «dipendenti», essendo altresì integrata verticalmente con i propri distributori, una situazione frequente nei mercati dell’economia digitale (sebbene nella diversità dei diversi modelli di business utilizzati, richiedendo comunque una valutazione in concreto della sussistenza dell’a.d.e.).
L’Autorità francese ha affermato lo stato di d.e., basandosi in particolare sull’accertamento delle clausole contrattuali e delle condizioni imposte da Apple, tra cui stringenti clausole di esclusiva, sugli investimenti irrecuperabili nel breve periodo dai distributori specialmente in ragione della fidelizzazione della clientela al marchio. L’A.C. ha poi accertato l’abusività delle condotte in quanto limitative della «libertà commerciale» delle imprese dipendenti in modo «anormale ed eccessivo» [28]. Secondo l’Autorità, infatti, tali condotte hanno avuto un impatto sull’attività imprenditoriale delle imprese dipendenti oltre ciò che un operatore economico «potrebbe ragionevolmente attendersi da un partner commerciale» [29], avendo un impatto sul funzionamento e sulla struttura del mercato «intra-brand» (tra distributori dello stesso marchio), con possibili distorsioni nella concorrenza «inter-brand» con produttori concorrenti dato il vantaggio concorrenziale risultante – secondo l’Autorità francese – da una tale organizzazione della distribuzione.
Nello stesso anno l’Autorità ha aperto un’istruttoria sulle condotte del motore di ricerca Google nei confronti degli editori e delle agenzie di stampa a seguito del recepimento nazionale del nuovo diritto connesso per gli editori di stampa introdotto dalla direttiva 2019/790 [30]. Gli editori hanno, infatti, lamentato sia un abuso di posizione dominante che un a.d.e. in relazione al rifiuto da parte di Google, ritenuto dagli editori un partner commerciale inevitabile, di indicizzare contenuti estratti dalle testate di stampa online a meno di ricevere una autorizzazione all’uso gratuito degli stessi. L’Autorità, tuttavia, in questo caso si è concentrata sull’abuso di posizione dominante [31].
Oltre agli squilibri che possono verificarsi in relazione all’imposizione di condizioni inique o svantaggiose, l’interesse per le prospettive applicative dell’a.d.e. è stato rivitalizzato anche in relazione a casi di rifiuto di condivisione di dati digitali da parte di imprese non dominanti, a seguito di due casi “gemelli” (PeopleBrowsr v. Twitter [32] and hiQ v. LinkedIn [33]) all’attenzione di due corti californiane, nei quali la dottrina europea ha ravvisato un’ipotesi di abuso di d.e. [34].
Entrambi i giudizi hanno visto contrapposte, da un lato, società operanti nel settore della big data analysis che per anni hanno costruito il proprio modello di business grazie alla capacità di accedere ai dati di noti social network e, dall’altro, le società gestrici dei social network che da un certo momento in poi hanno opposto a tali società un diniego all’accesso ai dati per motivi legati, rispettivamente, alla volontà di regolarizzare e capitalizzare l’accesso ai dati o alla volontà di competere con una di tali società nel mercato a valle di prodotti e servizi sviluppati sulla base di tali dati.
Sebbene i due casi non siano arrivati a decisione, essi evidenziano una situazione frequente nella prassi: la mancanza di ragionevoli alternative per accedere ai dati fondamentali per l’attività di impresa potrebbe essere considerata sotto la lente dell’a.d.e., date anche le difficoltà applicative dell’abuso di posizione dominante in siffatte ipotesi.
Vi sono, infatti, molte società (in particolare di piccole e medie dimensioni) che offrono prodotti e servizi innovativi, le quali hanno sviluppato la propria attività di impresa facendo affidamento sull’accesso ai bacini di dati raccolti dalle grandi piattaforme online. Nel contesto di tecnologie come intelligenza artificiale e Internet delle cose inoltre, l’accesso ai dati generati automaticamente può divenire necessario «per la creazione di valore in tali settori» [35] e per lo sviluppo di algoritmi sempre più raffinati di analisi di tali dati. In caso di diniego all’accesso, o di applicazione di condizioni contrattuali inique e discriminatorie per l’accesso, si pone la questione dell’applicabilità dell’a.d.e. per consentire la condivisione di tali dati o per riequilibrare il rapporto tra le parti. Tale ipotesi solleva questioni interpretative peculiari per l’applicazione dell’a.d.e., di cui si darà conto brevemente di seguito in termini generali.
Si pone primariamente la questione della sussistenza, oggettiva, di alternative sul mercato per l’impresa dipendente, che richiede di esaminare se tale impresa sia in grado di raccogliere quel bacino di dati autonomamente, o tramite altre imprese e se tale accesso sia necessario per la propria attività di impresa. Alcuni Autori suggeriscono di applicare in tali casi il test di indispensabilità dell’accesso usato per accertare se sussistano «infrastrutture essenziali» nei casi di rifiuto a contrarre [36]. Sebbene tale test possa essere un’utile base di partenza per discernere la sussistenza di alternative sul mercato, nel caso di accesso ai dati, tuttavia, è necessario tenere in considerazione la natura dei dati, l’allocazione iniziale dei diritti su tali dati, l’applicazione dei regimi di circolazione conseguenti, e le finalità dell’utilizzo. Le ipotesi in cui si possa riscontrare l’irreplicabilità tout court dei dati sono, dunque, limitate, a meno che l’impresa forte non detenga l’unica fonte di produzione di dati altrimenti irreperibili [37].
Nel caso in cui possano astrattamente configurarsi alternative sul mercato, la seconda fase del test è volta ad accertare se tali alternative siano ragionevoli per l’impresa dipendente. Potrebbe, infatti, accadere che «l’insostituibilità dell’impresa non sia assoluta ma che le forniture dell’impresa dominante siano economicamente necessarie per consentire all’impresa dipendente di mantenere una certa posizione competitiva nel mercato» [38], oppure che la riconversione produttiva non sia sostenibile da parte dell’impresa dipendente. Potrebbe, al converso, anche accadere che i dati posseduti dall’impresa forte siano veramente indispensabili, ma che «l’effetto condizionante incida in maniera non sostanziale sull’attività complessiva dell’impresa condizionata» [39]. Nei casi statunitensi esaminati, ad esempio, le imprese hanno affermato di essere dipendenti in funzione dei servizi offerti dall’accesso ai dati dei social network. Le due imprese, infatti, avevano orientato la propria attività di impresa nell’offerta di servizi a valore aggiunto nei mercati a valle dei famosi social network. Diversa considerazione per l’accertamento dello stato di dipendenza economica meriterebbe, invece, il caso in cui tali imprese non avessero avuto pregressi rapporti commerciali con le suddette piattaforme e chiedessero accesso ai dati per offrire i propri servizi in mercati collegati [40].
Una volta accertata la d.e., occorre accertare l’eventuale abuso da parte dell’impresa forte ai danni dell’impresa dipendente, in quanto il rifiuto di condividere i dati con altra impresa è, in condizioni normali ed in assenza di apposito obbligo, una condotta pienamente lecita. Sorge a tal proposito la questione di quali siano i criteri per determinare l’abuso e se possa eventualmente venire in soccorso la dimostrazione delle «circostanze eccezionali» elaborate dalla giurisprudenza «tradizionale del rifiuto a contrarre» da parte dell’impresa dominante, con particolare riferimento alla soppressione dell’innovazione derivata (prodotto nuovo/sviluppo tecnico [41]).
Da ultimo, occorre valutare il piano dei rimedi, in quanto un eventuale obbligo di condivisione dei dati dovrà opportunamente contemperare gli interessi delle parti al fine di non frustrare – attraverso un accesso indiscriminato –, da un lato, gli interessi imprenditoriali dell’impresa forte e, dall’altro, eventuali diritti ed interessi di terzi, come nel caso della condivisione dei dati personali.
A tal fine, alcuni autori [42] suggeriscono l’eventuale imposizione di un obbligo procedurale di negoziazione a condizioni eque, ragionevoli e non discriminatorie (FRAND), sulla falsariga della giurisprudenza relativa alla negoziazione di licenze FRAND nel caso degli standard essential patents [43]. In tal caso, infatti, le parti potrebbero autonomamente accordarsi sulla controprestazione e sulle condizioni dell’accesso ai dati, sebbene in una cornice etero-imposta.
La possibile utilità dello strumento per far fronte ad alcuni nuovi conflitti è stata enfatizzata anche da alcuni legislatori nazionali.
Il legislatore belga nel 2019 [44] ha introdotto per la prima volta una norma sul divieto di a.d.e., al fine di colmare un percepito vuoto di tutela nell’ambito delle norme nazionali ed euro-unitarie in materia di concorrenza e pratiche commerciali abusive, specialmente nei mercati digitali [45]. Nonostante lo scopo dell’introduzione del nuovo art. 2.1 nel libro IV del code de droit économique (dedicato alle norme sulla concorrenza), la nuova norma non apporta regole specifiche relative alle condotte nei mercati digitali e richiede, al pari della fattispecie francese, un impatto sulla concorrenza nel mercato belga o in una parte sostanziale dello stesso. Lo stato di d.e. è definito [46] come assenza di alternative «ragionevolmente equivalenti» e disponibili in un lasso di tempo ragionevole ed a condizioni e costi ragionevoli, che permette ad altra impresa di imporre prestazioni e condizioni che non potrebbero essere ottenute in circostanze di mercato normali. L’accertamento dell’abuso richiama le condizioni l’abuso di posizione dominante e la nuova norma fornisce cinque esempi paradigmatici ispirati alla fattispecie tedesca.
In Germania, invece, dove l’a.d.e. è fattispecie ben nota, il legislatore ha modificato la norma con lo sguardo indirizzato ai mercati digitali nell’ambito di un più ampio progetto di riforma del diritto della concorrenza, [47] volto a consentire un maggior controllo dell’insorgenza del potere di mercato nei mercati dell’economia digitale attraverso la revisione del catalogo degli strumenti repressivi dei possibili abusi (i.e. l’abuso di posizione dominante e l’abuso di d.e. – rectius divieto di condotte abusive di imprese con potere di mercato relativo o superiore –) e l’introduzione di una ulteriore categoria di potere di mercato (Abusive Conduct of Undertakings of Paramount Significance for Competition across Markets, § 19a). Nello specifico, il divieto di a.d.e. è stato esteso ad alcune situazioni rilevanti per i mercati digitali. Evidentemente secondo il legislatore tedesco la conoscenza dei mercati digitali e delle relative «linee evolutive» è sufficientemente avanzata «da consentire interventi di tipo più prettamente regolatorio» [48], attraverso una tipizzazione (costantemente aggiornata) di alcune fattispecie tra loro in continuità.
Nell’ambito della riforma, in particolare, sono da segnalare le modifiche all’art. 20(1) che prevede espressamente che il divieto di abuso di potere di mercato possa estendersi ad imprese che operano come intermediari in mercati multi-versante (i.e., le piattaforme) in relazione alle imprese che siano dipendenti dai relativi sevizi in circostanze in cui non esistano sufficienti e ragionevoli alternative. Inoltre, la sezione 20(1a) [49] prevede una autonoma fattispecie tipica di a.d.e. nel caso di rifiuto alla condivisione dei dati nel caso di (i) “controllo” dell’accesso ai dati da parte di un’impresa; (ii) stato di dipendenza di altra impresa all’accesso ai dati per le proprie attività; (iii) rifiuto di condivisione dei dati in cambio di un «adeguato compenso», che possa costituire un «ostacolo abusivo» alla impresa dipendente. La fattispecie si applica anche qualora non vi sia ancora stata commercializzazione di tali dati. La modifica contempla, dunque, sia il caso in cui vi sia una pregressa relazione economica tra le imprese per evitare che l’impresa più forte rifiuti di condividere i dati con la controparte, sia il caso in cui l’abuso possa configurarsi «fuori dal contratto», ovvero quando un’impresa abbia necessità di utilizzare un dataset la cui unica fonte sia l’impresa con potere di mercato al fine di competere in mercati a valle o collegati [50]. La fattispecie, dunque, agevola l’interprete nella risoluzione di alcune delle questioni discusse sub par. 2.1.
Secondo alcuni Autori [51] un esempio applicativo della norma potrebbe consistere nel rifiuto di concedere accesso ai dati osservati o generati automaticamente nei contesti IoT, il cui accesso è di fatto controllato dai produttori di automobili, a fornitori indipendenti di servizi a valore aggiunto per gli utenti finali, mentre lo stesso accesso sarebbe invece consentito a soggetti facenti parte della catena «autorizzata» dai produttori. Le imprese automobilistiche, infatti, costituirebbero l’unico punto di accesso a tali dati ed il rifiuto all’accesso integrerebbe un impedimento all’autonomo sviluppo dell’offerta di servizi innovativi sul mercato.
Le citate vicende nazionali ed il rinnovato interesse per lo strumento si collocano in un contesto in cui anche le fonti euro-unitarie sono in evoluzione al fine di introdurre un catalogo di rimedi efficaci per contrastare gli abusi di potere di mercato nei mercati digitali e per completare le norme sulla concorrenza, anche in relazione alla lamentata crescente «dipendenza» delle imprese dai fornitori di servizi di intermediazione digitali.
Le soluzioni europee si inquadrano, in particolare, nello sforzo di regolazione uniforme ex ante delle condotte delle piattaforme digitali. Sembra, infatti, emergere in Europa (ma recentemente anche oltreoceano) una tendenza ad un intervento eteronomo più marcato nei mercati digitali, che – sulla scorta dell’esperienza maturata in particolare dagli interventi antitrust ex post – è volta a introdurre misure che assicurino «equità» e «contendibilità» dei mercati, sebbene nel rispetto dell’art. 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (e dunque ricercando «un giusto equilibrio fra le rispettive libertà d’impresa dei fornitori di servizi di piattaforma» e «dei loro utenti commerciali» [52]). L’itinerario normativo europeo si articola su più livelli e si basa su una strategia di regolazione asimmetrica, che considera dimensione e ruolo delle imprese regolate e mira nel complesso a limitare il consolidamento di poteri privati eccessivi capaci di snaturare (tra le altre cose) i rapporti commerciali ed il libero gioco della concorrenza. L’intento dichiarato [53] delle istituzioni europee è il rafforzamento della libertà delle piccole e medie imprese europee, attraverso la correzione di quelle perversioni che rendono i mercati digitali meno «equi» e «contendibili». Nell’ottica delle istituzioni europee appare necessario governare la libertà di azione di quelle imprese che non solo fungono da intermediari tra imprese e consumatori ma che hanno altresì di fatto acquisito la capacità di controllare l’evoluzione dei mercati e le condotte dei relativi operatori, potendo di fatto incidere su ingresso, uscita, flusso di dati, qualità dei contenuti e sicurezza.
Senza che sia possibile in questa sede analizzare ogni tassello del mosaico legislativo europeo, è tuttavia necessario analizzare le fonti volte a regolare ex ante i problemi strutturali di «dipendenza» delle imprese e fornire una lettura sistematica dei relativi rapporti ed interferenze con l’a.d.e.
Il regolamento (UE) 2019/1150 (Platform2Business [54]), anzitutto, affronta (tra gli altri) il problema della crescente «dipendenza» degli utenti commerciali dalle piattaforme con cui instaurano rapporti commerciali, attraverso regole di condotta e obblighi di trasparenza. Il considerando n. 2 del regolamento, infatti, segnala che «l’incremento delle intermediazioni delle transazioni attraverso i servizi di intermediazione online, alimentati da forti effetti indiretti di rete basati su dati, conduce a un aumento della dipendenza da tali servizi degli utenti commerciali, in particolare le microimprese, piccole e medie imprese (PMI), per raggiungere i consumatori» [55]. In conseguenza di tale dipendenza e del superiore potere di mercato degli intermediari questi ultimi sono posti nella condizione «di agire di fatto unilateralmente» [56] in modo iniquo, ad esempio tramite prassi «che deviano considerevolmente da un comportamento commerciale corretto o contravvengono ai principi della buona fede e della correttezza» [57]. Presumendo una tale “dipendenza” [58] – che si sovrappone, ma non coincide con la “dipendenza economica” il cui abuso è sanzionato dalle norme nazionali –, il regolamento mira a prevenire alcune specifiche condotte che potrebbero determinare un eccessivo squilibrio tra piattaforme digitali ed imprese capace di sfociare in potenziali abusi [59].
Sebbene a livello sistematico e teleologico si possa ravvisare un parallelismo tra le finalità perseguite dal regolamento Platform2Business e la fattispecie di a.d.e., il primo mira a regolare ex ante alcune disfunzioni derivanti dall’assetto di mercato mentre la seconda sanziona le condotte abusive a seguito di accertamento in concreto dei presupposti della disciplina. Il primo potrebbe in astratto prevenire in nuce le circostanze che preludono al potenziale stato di dipendenza economica ed al relativo abuso, la cui fattispecie residua come strumento ex post «per gli aspetti non coperti», come chiarisce l’art. 3 del regolamento Platform2Business.
Volendo riflettere su esempi concreti di interferenza, ciò potrebbe avvenire nel caso di rifiuto di accesso ai dati in condizioni di d.e. o nel caso di sospensione o blocco dell’account di un utente commerciale da parte della piattaforma digitale, dal momento che il regolamento Platform2Business richiede solo obblighi di trasparenza sulle condizioni di accesso ai dati o sulle motivazioni che giustificano la sospensione o il blocco degli accounts [60]. Più controversa è, invece, la questione se una violazione del regolamento Platform2Business [61] possa rilevare anche come a.d.e., ove ne sussistano i presupposti, ed attivare i differenti rimedi previsti per l’impresa dipendente, in modo cumulativo.
Nonostante tale interferenza, è necessario sottolineare come i presupposti dell’a.d.e. debbano essere accertati in concreto, in quanto – nonostante le premesse del regolamento Platform2Business – lo sfruttamento di dipendenza economica, inteso come compressione dell’autonomia imprenditoriale dell’impresa dipendente, potrebbe in concreto non sussistere nonostante le condotte precedentemente menzionate [62].
Volendo spingersi oltre nella disciplina delle condotte imprenditoriali nei mercati dell’economia digitale, la Commissione europea ha proposto un nuovo regolamento denominato legge sui mercati digitali (nella più nota versione inglese Digital Markets Act, DMA), che al momento sta terminando il proprio iter nell’ambito del procedimento legislativo ordinario. Lo strumento è volto ad introdurre misure per assicurare «mercati equi e contendibili nel settore digitale» [63], dati i rischi sistemici derivanti dall’elevato potere di mercato di alcuni grandi piattaforme e dal possibile sfruttamento abusivo da parte di tali piattaforme della «forte dipendenza» [64] dei propri utenti commerciali che si servono di tali servizi come «punto di accesso» «per raggiungere i clienti e interagire con loro» [65]. La proposta non ha, tuttavia, il solo scopo di risolvere il problema della dipendenza delle imprese dalle piattaforme con tale potere di mercato, ma vuole evitare altresì l’estensione di tale potere nel mercato dei servizi di piattaforma (di base) e nei mercati collegati, assicurandone la contendibilità.
Essa introduce una disciplina ex ante nella forma di regolamento – e dunque uniforme in tutto il territorio euro-unitario per evitare la frammentazione delle risposte nazionali –, prevedendo misure per prevenire, monitorare e reprimere alcune condotte di imprese definite come gatekeepers tra utenti commerciali e utenti finali, le cui caratteristiche rispondono a soglie oggettive di fatturato o di capitalizzazione di mercato, numero di utenti ed assetto del mercato [66]. La proposta è strutturata secondo una geometria variabile di obblighi e divieti imposti a tali soggetti al fine di prevenire pratiche «sleali o che limitano la contendibilità» [67], che possono anche essere ricalibrate dalla Commissione europea in presenza di specifiche circostanze [68]. La proposta di DMA attribuisce, inoltre, alla Commissione il potere di aggiornare tramite atti delegati la lista degli obblighi imposti ai gatekeepers [69] se, sulla base di una indagine di mercato, individui la necessità di prevenire pratiche «sleali o che limitano la contendibilità dei servizi di piattaforma di base» [70]. È interessante notare come tali pratiche siano poi definite dall’art. 10 della proposta come capaci di «creare uno squilibrio in termini di diritti e obblighi per gli utenti commerciali» [71], da cui il gatekeeper ottenga un vantaggio «non proporzionato al servizio fornito» o, alternativamente, capaci di impedire l’innovazione e limitare la scelta di imprese e consumatori [72].
Tali caratteristiche richiamano, invero, almeno prima facie, i presupposti della fattispecie di abuso di dipendenza economica, conferendo – in questo caso – alla Commissione poteri regolatori ex ante rispetto alle condotte di soggetti identificati come gatekeepers. A differenza dell’accertamento dell’a.d.e., tuttavia, la proposta mira ad una regolazione asimmetrica ad hoc basata sulle caratteristiche dell’impresa forte in relazione all’assetto del mercato, senza analizzare in concreto lo stato di dipendenza economica dell’impresa debole – e, dunque, l’assenza di alternative ragionevolmente equivalenti, capace di minarne l’autonomia imprenditoriale –.
La proposta, infine, conferisce maggiori poteri di indagine, esecuzione e monitoraggio alla Commissione europea (e in modo più limitato alle Autorità nazionali), in modo da consentire un enforcement maggiormente dinamico [73].
Attraverso tali misure la Commissione asserisce nella relazione di accompagnamento al DMA che il «contesto giuridico equo e sicuro» [74] contribuirà al giusto equilibrio fra le rispettive libertà d’impresa dei soggetti coinvolti. Nell’ottica delle istituzioni euro-unitarie, infatti, la limitazione della libertà di impresa dei gatekeepers attraverso l’intreccio di obblighi e divieti plasmato dalla Commissione dovrebbe contribuire ad arginarne l’espansione del potere di mercato e stimolare la crescita e la libertà di azione delle imprese che operano nei mercati digitali servendosi di tali servizi.
Una volta adottato il regolamento, inoltre, sarà necessario verificare il margine residuale di applicabilità di strumenti ex post quali l’a.d.e., dal momento che – allo stato – la proposta lascia impregiudicata l’applicazione delle norme europee e nazionali in materia di concorrenza e delle «altre norme nazionali in materia di concorrenza che vietano altre forme di comportamento unilaterale nella misura in cui sono applicate a imprese diverse dai gatekeeper o equivalgono a imporre obblighi aggiuntivi ai gatekeeper» [75]. La formulazione della norma lascia aperte alcune questioni interpretative sugli spazi di applicabilità delle disposizioni nazionali in materia di a.d.e., non chiarite neanche dal testo dei considerando. Il cons. n. 9, infatti, specifica che le norme nazionali che vietano comportamenti unilaterali basate su «una valutazione caso per caso delle posizioni e dei comportamenti di mercato, compresi i relativi effetti probabili e l’ambito di applicazione preciso del comportamento vietato» [76], e che potrebbero offrire alle imprese la possibilità di giustificare in maniera oggettiva il comportamento, non dovrebbero interferire con il regolamento, sempre che non pregiudichino gli obblighi imposti ai gatekeepers e la relativa «applicazione uniforme ed effettiva» [77] nel mercato interno.
Secondo la lettera dell’attuale versione della proposta di regolamento, dunque, sarebbe fatta salva l’applicazione delle fattispecie nazionali di a.d.e. ove non dirette a colpire imprese qualificate come gatekeeper (dunque imprese che non raggiungono le soglie prestabilite), per cui la Commissione dovrebbe avocare a sé le competenze in materia di enforcement, o ove volte ad introdurre obblighi aggiuntivi. Se è pacifico che le norme nazionali possano colpire comportamenti non considerati dal regolamento, potrebbe – tuttavia – sorgere il dubbio se sia ammissibile un concorso di norme, in quanto i rimedi e le sanzioni previsti per l’a.d.e. potrebbero non essere coincidenti con quelli previsti dal regolamento DMA [78].
Sebbene i menzionati atti normativi siano volti a prevenire condotte abusive nei mercati digitali tramite una regolazione asimmetrica ex ante, appare comunque imprescindibile che le evoluzioni legislative ed interpretative nazionali in materia di a.d.e. si armonizzino coerentemente in tale spettro di strumenti, anche al fine di garantire certezza giuridica per le imprese che vi operano [79].
In Italia, come noto, il divieto di a.d.e., pur avendo portata generale [80], è disciplinato dall’art. 9, l. n. 192/1998 in materia di subfornitura. Lo «stato di d.e.» è definito da due criteri: la possibilità, per l’impresa forte, di determinare nei rapporti commerciali con la controparte (cliente o fornitrice) un «eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi» [81] e la reale possibilità, per l’impresa dipendente, «di reperire sul mercato alternative soddisfacenti» [82]. Se il primo criterio, possa considerarsi essenzialmente descrittivo della posizione di forza di un’impresa su un’altra, in relazione ad una situazione in cui la prima possa imporsi sulle determinazioni della seconda e comprimerne la relativa autonomia imprenditoriale [83], sul secondo criterio si concentrano invece i principali sforzi interpretativi implicando un test oggettivo (presenza di alternative sul mercato) e allo stesso tempo soggettivo (ragionevolezza delle alternative per l’impresa) basato su indici sviluppati dalla giurisprudenza che lasciano un certo margine di flessibilità [84]. Una volta accertato lo stato di d.e., l’abuso può consistere in varie condotte, alcune delle quali tipizzate dal legislatore [85] («rifiuto di vendere o di comprare», «imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie» e «interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto») e si manifesta in comportamenti irragionevoli ed arbitrari, dunque eccessivi rispetto ad un ragionevole esercizio della libertà economica da parte dell’impresa forte (e contrari ai canoni generali di correttezza e buona fede). La Corte di Cassazione [86] ha recentemente inquadrato il divieto nel limite alla libertà dell’impresa forte – anch’essa tutelata nel sistema di economia di mercato – ove questa si spinga fino ad usurpare «il legittimo margine di profitto altrui» [87] tramite un comportamento «privo di un senso oggettivo» [88] e non giustificabile da necessità economiche, tecniche o industriali.
I rimedi disponibili si collocano su un doppio binario di tutela, di tipo civilistico (nullità del patto attraverso cui si realizza l’abuso, inibitorie e risarcimento dei danni), da un lato, e amministrativo, dall’altro [89]. A seguito dell’introduzione del comma 3-bis nel 2001, infatti, l’A.G.C.M. può disporre dei relativi poteri di indagine e istruttori, e comminare le sanzioni di cui all’art. 15, l. n. 287/1990, anche su segnalazione di terzi, qualora ravvisi che l’a.d.e. possa avere «rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato», ferma restando l’eventuale applicazione dell’abuso di posizione dominante. Tale competenza, inoltre, si estende in caso di violazione diffusa e sistematica della normativa sui ritardi di pagamento, per cui non occorre procedere all’accertamento della d.e. Nell’ordinamento sono, inoltre, presenti ipotesi settoriali di divieto di a.d.e. per garantire effettività di tutela in alcuni settori [90].
Sebbene la ricostruzione della natura della norma abbia sollevato (e sollevi) contrasti in dottrina, si ritiene che una lettura «filo-concorrenziale» della stessa [91] possa forse consentire un miglior inquadramento degli interessi pubblici e privati tutelati e, in ultima analisi, un migliore bilanciamento di interessi tra la libertà organizzativa e di azione dell’impresa forte e l’autonomia dell’impresa debole di svilupparsi sul mercato e rimanervi competitiva, senza che le proprie scelte siano necessariamente eterodirette o compresse da condotte arbitrarie del partner commerciale più forte.
La struttura del divieto di a.d.e. nell’ordinamento italiano consente, infatti, di avere una pluralità di fattispecie tra loro in continuità e di rimedi per accertare e sanzionare le condotte abusive dell’impresa.
La continuità e l’interferenza principale è quella con l’abuso di posizione dominante, in relazione al grado di potere, da un lato, e di soggezione dell’altra impresa dall’altro [92]. Come è stato osservato in dottrina [93], sebbene l’abuso di posizione dominante faccia riferimento ad una situazione di dominanza assoluta sul mercato, sanzionando direttamente l’abuso del potere di mercato da parte dell’impresa forte, mentre l’a.d.e. accerta l’abuso dell’«altrui» stato di dipendenza economica attraverso una verifica «relazionale» dello stato di dipendenza, della mancanza di alternative e del relativo abuso, non si può fare a meno di notare come le due figure possano in realtà spesso coincidere o essere comunque poste in uno spettro di diversa intensità in relazione ai rapporti di potere e di soggezione delle imprese, i quali possono costituire altresì il riflesso di un particolare assetto di mercato [94].
Se è anche vero che l’accertamento dell’abuso di posizione dominante presuppone una verifica del mercato rilevante e della relativa posizione dominante che differisce dall’accertamento dello stato di dipendenza economica dell’impresa debole nella diversa fattispecie di a.d.e., si deve dare atto che l’a.d.e. possa in certi casi consentire di cogliere eventuali abusi di potere di mercato che si manifestano in termini relazionali, eventualmente anche ad uno stadio precedente rispetto all’acquisizione di una posizione dominante o in situazioni di confine con la posizione dominante. Tale aspetto è in particolare enfatizzato dalle fattispecie che abbiano «rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato» e che conseguentemente innescano la competenza di A.G.C.M. per la tutela di interessi (anche) pubblicistici in virtù dell’impatto della condotta sul benessere generale.
Tali caratteristiche hanno consentito un impiego crescente dell’a.d.e. rispettivamente da parte della giurisprudenza civile e da parte dell’A.G.C.M. ed hanno sollevato una riflessione sull’utilità della fattispecie nei mercati digitali, dove è avvertita la necessità di inquadrare meglio gli strumenti per il controllo del potere di mercato.
Sul primo versante, il divieto è stato attuato anche per reprimere condotte nei mercati dell’economia digitale. Nel 2016, ad esempio, il Tribunale di Milano [95] ha condannato Google per a.d.e. nei confronti di una piccola società di sviluppo e gestione di siti web, che si trovava – secondo la corte di prima istanza – in una situazione di «completa posizione di d.e.» [96]. In tal caso, ad avviso del giudice, l’a.d.e. si era manifestato attraverso l’imposizione di condizioni gravose, l’interruzione arbitraria delle relazioni contrattuali in corso (in relazione al servizio di pubblicità online Adsense) e la mancata corresponsione di corrispettivi dovuti, necessari alla società dipendente per la prosecuzione tout court dell’attività. Il modo ed i tempi in cui tali condotte erano state poste in essere, ad avviso del Tribunale, hanno impedito alla controparte di «reperire sul mercato in tempi utili delle alternative soddisfacenti» [97].
Le applicazioni da parte di A.G.C.M. sono più rare, anche in ragione dell’iniziale resistenza dell’Autorità verso tale competenza [98], sebbene si registri una tendenza crescente nel ricorso allo strumento e, corrispondentemente, sorgano alcune prime interpretazioni ed applicazioni dei presupposti di intervento di A.G.C.M., che è utile esaminare per riflettere sull’eventuale necessità di ripensare la fattispecie ed adattarla al nuovo scenario tecnologico.
La prima applicazione, risalente al 2016, verteva su un caso di sistematica imposizione di termini di pagamento superiori a quelli legali, riducendo così la liquidità dei fornitori e di conseguenza la capacità competitiva (caso Hera [99]). Più recentemente, nel 2019, l’Autorità ha sanzionato un distributore nazionale in esclusiva di un assortimento di quotidiani e periodici e la sua controllata per aver arbitrariamente interrotto un rapporto di fornitura con un distributore locale (caso M-Dis – To-Dis) [100], minandone la sostenibilità economica – finanche ad escluderlo dal mercato –, ed evitando altresì l’ingresso di operatori concorrenti (acquirenti dell’impresa debole e forieri di soluzioni innovative) così favorendo la propria distribuzione interna [101]. Una tale condotta ha avuto secondo l’Autorità conseguenze negative sulle dinamiche concorrenziali del mercato di riferimento e in generale sulla efficienza della gestione della distribuzione dei quotidiani, oltrepassando così «l’ambito dello specifico rapporto tra soggetti interessati» [102] per rivestire carattere pubblicistico e giustificare «la rilevanza concorrenziale» che innesca la competenza di A.G.C.M.
L’anno successivo l’Autorità ha sanzionato Poste Italiane s.p.a. (caso Poste [103]) per aver imposto condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose e capaci di impedire al proprio distributore per i servizi a recapito di «emanciparsi dalla condizione di mono-committenza» e di operare in concorrenza, «a detrimento del gioco concorrenziale del mercato». In particolare, per l’accertamento dello stato di dipendenza economica l’Autorità ha verificato, nel caso concreto, come «la difficoltà a reperire una domanda alternativa, la stretta integrazione del compendio aziendale dell’impresa debole con quello dell’impresa forte» hanno nei fatti «ostacolato significativi ampliamenti del portafoglio clienti e non hanno reso possibile, di fatto, il ricorso a un’alternativa soddisfacente, né durante il periodo della relazione negoziale né, a fortiori, dopo l’interruzione dei rapporti contrattuali» [104]. Tali elementi hanno consentito di «imbrigliare» l’impresa più debole nel rapporto negoziale, esponendola «al rischio di comportamenti opportunistici da parte dell’impresa forte» [105], consistenti, in particolare, nell’imposizione di condizioni contrattuali gravose «preordinate al conseguimento di finalità differenti e ulteriori rispetto a quanto consentito dalla sola iniziativa imprenditoriale e prive di razionalità economica» [106].
La rilevanza pubblicistica dell’a.d.e. è stata riscontrata in quanto la condotta – a avviso di A.G.C.M. – ha avuto l’effetto, nel mercato di riferimento, di ostacolare un fornitore e potenziale concorrente dell’impresa forte «nell’intento di sviluppare le proprie potenzialità e i propri affari libera dai condizionamenti» dell’impresa forte, «finendo per deprivare il compendio aziendale di Soluzioni delle capacità sufficienti a restare profittevolmente sul mercato» [107]. L’a.d.e., dunque, secondo l’Autorità ha avuto effetti escludenti non solo diretti nei confronti di un operatore che avrebbe potuto espandere la propria attività, ponendosi in concorrenza con l’impresa forte e potendo eventualmente rifornire servizi postali alternativi, ma anche indiretti nei confronti di tali ultimi soggetti, così consentendo a Poste di «accrescere il proprio potere di mercato» [108].
Da ultimo, sono state avviate alcune ulteriori istruttorie nell’ambito di rapporti di affiliazione commerciale, dove i fattori segnalati da A.G.C.M. nei provvedimenti di avvio sembrano complessivamente indicare situazioni di d.e., sfruttate opportunisticamente dagli affilianti.
Nel primo caso (Benetton [109]), le clausole contratto di franchising sarebbero idonee a condizionare l’autonomia imprenditoriale dell’affiliato, vincolandone le scelte strategiche di gestione dei punti vendita, con potenziale «impatto significativo su tutti gli imprenditori» che costituiscono la [estesa] rete commerciale dell’affiliante, «a detrimento del gioco concorrenziale nel relativo mercato».
In un altro caso (Mac Donald [110]), in modo simile, le complessive circostanze menzionate nel provvedimento di avvio dell’istruttoria sembrano segnalare un a.d.e. consistente nell’imposizione di condizioni eccessivamente gravose e non indispensabili ai fini del rapporto di franchising (o della tutela dei beni aziendali dell’affiliante). Tali condizioni sarebbero idonee ad erodere l’autonomia imprenditoriale degli affiliati, compromettendone i «margini di profittabilità» [111] ed impedendo loro di «passare ad altri network di ristorazione o altra attività maggiormente redditizia» [112], in ragione dell’irrigidimento della struttura aziendale modellata sulle esigenze dell’affiliante e dei costi irrecuperabili investiti a vantaggio del concedente. Il provvedimento di avvio mette in particolare in luce come le condizioni economiche imposte dal concedente sembrerebbero imporre agli affiliati investimenti del capitale di rischio nello specifico sistema del concedente, divenendo per le affiliate costi di fatto irrecuperabili e permettendo, invece, all’affiliante di finanziare la propria attività «sfruttando le risorse finanziarie dei franchisee» [113].
In tale provvedimento, la rilevanza per la tutela della concorrenza sembra maggiormente argomentata rispetto al caso Benetton – sebbene si tratti di provvedimenti di avvio –, in ragione sia della quota di mercato rilevante dell’affiliante, sia del fatto che l’uniformità delle politiche commerciali sul territorio nazionale potrebbe essere idonea a condizionare la concorrenza intrabrand tra i ristoranti, che il fatto che il vantaggio concorrenziale ottenuto attraverso il trasferimento «al concedente dei ritorni degli investimenti effettuati dai licenziatari» [114] sarebbe in grado di incidere sulla concorrenza interbrand.
Analizzando le valutazioni operate da A.G.C.M. nei provvedimenti menzionati, è evidente la copiosità dei dati a disposizione per determinare la sussistenza dell’a.d.e., grazie anche agli incisivi poteri istruttori dell’Autorità. Emerge un’attenzione particolare rispetto all’accertamento in concreto, da un lato, dello stato di d.e., sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, e, dall’altro lato, delle eventuali giustificazioni delle condotte dell’impresa forte rispetto alla propria condotta imprenditoriale, a conferma della centralità di tale momento valutativo per apprezzare i presupposti di applicabilità dello strumento.
Meno estesa risulta talvolta la motivazione dei presupposti dell’intervento amministrativo, ovvero «la rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato» della condotta abusiva, rendendo sfuggenti i criteri che innescano la competenza di A.G.C.M. qualora l’impatto della condotta oltrepassi il singolo rapporto privatistico per rivestire rilevanza pubblicistica per la tutela della concorrenza e del mercato [115]. La comprensione dei confini di applicazione di tale ipotesi di d.e. rileva, infatti, per alcuni profili interpretativi, applicativi e procedurali da non sottovalutare. La segnalazione di a.d.e. può, infatti, essere presentata anche da terzi (e non solo da parte dell’impresa dipendente), o il procedimento iniziato anche d’ufficio, ed i poteri istruttori, così come le sanzioni di natura amministrativa applicabili, sono particolarmente incisivi [116].
A fronte di tale scenario, occorre domandarsi se de iure condendo sia necessario un eventuale raffinamento della previsione normativa di divieto di a.d.e., prendendo spunto dalla modifica della disciplina tedesca da cui quella italiana trae ispirazione.
L’occasione di riflessione è fornita dalla recente disposizione introdotta nel disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 [117], il cui art. 29 propone una modifica dell’art. 9 della l. 18 giugno 1998, n. 192, volta al «Rafforzamento del contrasto all’abuso di dipendenza economica». La norma ricalca in parte la proposta contenuta nella segnalazione di A.G.C.M. sulle «proposte di riforma concorrenziale ai fini della Legge Annuale per il mercato e la Concorrenza», allo scopo di adeguare lo strumento (tra gli altri) «alle sfide dell’economia digitale» ed attribuire all’A.G.C.M. poteri più incisivi derivanti da una più puntuale tipizzazione ed un alleggerimento motivazionale.
La proposta di modifica si rivolge esclusivamente alle condotte di «piattaforme digitali» [118] aventi «un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità di dati» [119]. Nel caso in cui un’impresa utilizzi i servizi di intermediazione forniti da tale piattaforma, la norma prevede una presunzione semplice dello stato di d.e. attribuendo, dunque, alla «piattaforma» l’onere di dimostrare che tale dipendenza non sussiste.
Ancora, la proposta di modifica aggiunge la tipizzazione di alcune pratiche considerate abusive, ampliando il catalogo di cui al secondo comma dell’Art. dell’art. 9 della l. n. 192/1998, consistenti «nell’applicazione di condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, nel fornire informazioni o dati insufficienti in merito all’ambito o alla qualità del servizio fornito, nella richiesta di indebite prestazioni unilaterali, non giustificate dalla natura o dal contenuto dell’attività svolta» [120].
Sul punto, il d.d.l. Concorrenza differisce dalla proposta di A.G.C.M., la quale mirava a tipizzare condotte realizzate specificamente «dall’intermediario nei confronti dell’impresa» [121] dipendente, volte ad identificare in maniera più puntuale i comportamenti vietati [122]. Tali condotte, infatti, richiamavano gli interventi dell’A.G.C.M. (e di altre autorità antitrust) in materia di abuso di posizione dominante nei mercati digitali [123], al fine di meglio chiarire i confini di liceità delle condotte dei grandi operatori digitali, anche in assenza di posizione dominante, ed estendere di conseguenza i poteri di intervento dell’Autorità.
Il disegno di legge governativo, invece, privilegia una maggior astrazione delle possibili condotte abusive entro cui inquadrare i comportamenti delle piattaforme digitali (o di altri operatori), mantenendo soltanto la presunzione semplice di dipendenza economica per i rapporti tra intermediari online e imprese utenti di tali servizi.
Sebbene una tale tipizzazione possa garantire maggior effettività di tutela, maggior certezza giuridica per gli operatori del settore digitale e possa facilitare l’onere probatorio dell’impresa debole davanti al giudice ordinario e le istruttorie di A.G.C.M., la presunzione dello stato di d.e. e l’ampia nozione di «piattaforma digitale» sollevano, tuttavia, alcune perplessità.
Da un primo punto di vista, potrebbe essere messa in dubbio l’opportunità stessa di una simile presunzione. L’illustrazione dell’evoluzione interpretativa ed applicativa della fattispecie compiuta nel paragrafo precedente [124] mostra, infatti, come il punto nevralgico dell’istituto di a.d.e. sia proprio la verifica dello stato di dipendenza economica, risultante da un accertamento puntuale e globale delle circostanze del caso concreto sulla base di alcuni indici sintomatici elaborati dalla giurisprudenza. L’eliminazione di tale momento valutativo rischia di far perdere di vista la funzione dell’istituto a discapito della libertà dell’impresa sanzionata – e di riflesso, potenzialmente, dell’interesse a mantenere una concorrenza dinamica basata sull’innovazione –. Il “fallimento di mercato” alla base di tale norma sembra richiamare i presupposti giustificativi dei nuovi regolamenti emanati dalle istituzioni euro-unitarie. Se è vero che le fonti europee richiamate nei paragrafi precedenti giustificano la rete di divieti ed obblighi interpolata nel nuovo sistema di regolazione asimmetrica delle piattaforme sulla base di una ipotizzata «dipendenza strutturale» degli utenti commerciali (piccole e medie imprese europee) da alcuni grandi operatori intermediari per raggiungere e svilupparsi sui mercati digitali, tuttavia, la traslazione tout court di tale assunto per la creazione di una nuova fattispecie di a.d.e. «asimmetrica» presenta il rischio di un’applicazione quasi automatica e di deviazione dalla tipica funzione dell’istituto.
È utile rammentare, infatti, che affinché vi sia a.d.e., è necessaria una intrusione opportunistica dell’impresa forte nelle scelte di autonomia dell’impresa debole, erodendone uno dei momenti fondamentali e tipici dell’attività di impresa. E tale condizione non può che essere accertata sulla base di un accertamento (oggettivo e soggettivo) di tutte le circostanze rilevanti del caso concreto. Se è verosimile che una tale condizione possa verificarsi nei rapporti tra piattaforme ed utenti commerciali, in ragione di caratteristiche degli operatori ed assetto complessivo del mercato, e possa altresì rilevare per la tutela della concorrenza e del mercato, occorre tuttavia evitare automatismi capaci di introdurre disfunzioni nel sistema dei rimedi ai comportamenti abusivi.
Inoltre, per come è costruito l’accertamento dell’a.d.e. nel nostro ordinamento, l’impresa forte potrebbe non essere nella condizione di provare l’assenza dello stato di d.e. dell’impresa debole, specialmente per quanto riguarda il test soggettivo della ragionevolezza delle alternative possibili, in quanto basato su informazioni relative all’impresa debole che potrebbero anche rivelarsi commercialmente sensibili e dunque non disponibili per l’impresa forte. Più coerente sarebbe stata, forse, la presunzione di alcuni indici sintomatici «oggettivi» della d.e., come – ad esempio – la posizione di mercato delle parti e l’asimmetria negoziale, utili ad avvantaggiare la parte debole (o l’A.G.C.M.) nell’attività probatoria.
Da altro punto di vista, la definizione di «piattaforma digitale» come soggetto che «presta servizi di intermediazione» e «ha un ruolo determinante per raggiungere utenti finali o fornitori, anche in termini di effetti di rete o di disponibilità dei dati», non legandosi a parametri di tipo oggettivo (come, ad esempio, nel D.M.A. [125]) lascia eccessivo margine interpretativo. Tale formulazione della norma, peraltro, potrebbe avere l’effetto di spostare l’onere probatorio dallo stato di d.e. alla dimostrazione delle caratteristiche della «piattaforma». In altri termini, la presunzione potrebbe scattare ove fosse dimostrato il «ruolo determinante» della piattaforma, la cui definizione si sovrappone, ma non coincide con la definizione di gatekeeper della proposta di DMA [126] riproponendo altresì la questione interpretativa sul concorso di norme [127].
In sostanza, in assenza dei meccanismi valutativi che normalmente garantiscono il bilanciamento tra la libertà di impresa dell’impresa forte e la libertà di impresa dell’impresa debole vi è il rischio di finire per introdurre una sorta di regolazione ex ante delle responsabilità di alcuni soggetti (identificabili discrezionalmente), superabile solo con una prova che potrebbe rivelarsi molto difficoltosa.
In definitiva un eventuale intervento normativo sul divieto di a.d.e. (specialmente per quanto riguarda la tutela amministrativa) necessita di essere impernato sull’obiettivo di evitare che l’impresa forte soffochi ingiustificatamente l’impresa più debole, tutelando di riflesso la concorrenza dinamica nei mercati, senza tuttavia rischiare di finire per dare protezione ai singoli concorrenti [128].
Non è da dimenticare, inoltre, come ogni intervento normativo debba trovare una collocazione coerente nel catalogo degli strumenti ex ante ed ex post disponibili a livello nazionale ed euro-unitario per prevenire e contrastare le condotte abusive o sleali nel mercato unico digitale, anche al fine di non esacerbare la frammentazione giuridica tra Stati e di evitare una compliance eccessivamente onerosa per gli operatori economici. Da questo punto di vista, se una siffatta normativa possa evidentemente essere utile a riservare ad A.G.C.M. un margine di competenza ad intervenire sulle eventuali condotte abusive delle piattaforme rispetto alla competenza esclusiva della Commissione sui gatekeepers ipotizzata dalla proposta di D.M.A., occorre in ogni caso verificare che la misura nazionale si armonizzi con gli altri strumenti di regolazione delle piattaforme nel rispetto della libertà di impresa nei mercati dell’economia digitale. Inoltre, a maggior ragione, occorrerà verificare la rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato attraverso indici che dimostrino un pericolo per la tutela del benessere collettivo.
Da ultimo si rileva come, contrariamente alla novella tedesca, non si riscontra una fattispecie apposita sull’a.d.e. derivante dal rifiuto di condividere i dati da parte dell’impresa forte nei confronti dell’impresa debole. Invero, l’applicazione dell’a.d.e. a tale ipotesi non necessita di un intervento de iure condendo, essendo sufficiente l’interpretazione e l’applicazione del divieto nella versione vigente. Una eventuale tipizzazione ad hoc, sebbene utile per agevolare la dimostrazione di un eventuale a.d.e., al momento potrebbe forse essere prematura. E, d’altro canto, non sarebbe lungimirante limitarne l’applicazione solo nell’ambito delle condotte dei servizi di intermediazione online dal momento che l’evoluzione di alcuni mercati (come quello dell’Internet of Things) potrebbe condurre a conflitti anche tra imprenditori che svolgono attività diverse.
A fronte di tale scenario, occorre domandarsi se de iure condendo sia necessari
L’analisi sui profili evolutivi dell’a.d.e. stimola una riflessione più generale sulla libertà d’impresa nei mercati digitali, e sul suo inquadramento nell’«economia sociale di mercato fortemente competitiva» [129] alla luce dei recenti interventi normativi e giurisprudenziali nazionali ed euro-unitari. La prospettiva della libertà d’impresa nei mercati digitali, inoltre, può essere utile a delineare meglio la funzione dello strumento (che trova applicazione in contesti nuovi) e ad orientarne i profili interpretativi ed applicativi.
Sebbene la ricerca di una sintesi tra valori e dell’interferenza tra diritto e mercato sia ben nota e da tempo approfondita da opinioni autorevoli [130], la necessità di linee guida per attuare un opportuno bilanciamento si rende urgente nei mercati digitali le cui linee evolutive mostrano una incessante innovazione e una progressiva concentrazione di potere economico privato. Sembra emergere quasi una consapevolezza da parte del legislatore che l’assetto di mercato sia tale da non consentire alle piccole e medie imprese o – in generale – ai concorrenti nuovi entranti di replicare i livelli di efficienza dei grandi operatori dell’economia digitale e che vi sia la necessità di un intervento statale (o sovranazionale) che aggiorni le norme che regolano i comportamenti delle imprese ed i rimedi ex post per tutelare il pluralismo economico nei mercati digitali.
Per orientare l’attività di legislatori ed interpreti nel forgiare ed interpretare le regole per contrastare abusi di potere economico privato, sorge allora la necessità di riempire di significato la formula dell’art 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che, nel limitarsi a riconoscere la libertà d’impresa, non sembra riferirsi a «limiti interni», incontrando, «semplicemente, criteri di “conformità” al diritto comunitario nonché alle leggi e alle prassi nazionali» [131], ed essendo solo completata dall’art. 52(1) della stessa Carta che richiama il principio di legalità ed il principio di proporzionalità nell’apposizione di eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà della Carta. Non si rinvengono nella Carta i limiti che condizionano l’iniziativa economica privata nella Costituzione italiana (art. 41 Cost.) o in quella tedesca, benché la stessa Corte di Giustizia, abbia avuto modo di precisare come la libertà di impresa non costituisca «una prerogativa assoluta», ma debba «essere presa in considerazione rispetto alla sua funzione nella società» [132] e possa dunque essere soggetta «ad un ampio ventaglio di interventi dei poteri pubblici suscettibili di stabilire, nell’interesse generale, limiti all’esercizio dell’attività economica» [133], seppur nel rispetto del principio di proporzionalità.
L’interpretazione della libertà di impresa, allora, può apprezzarsi sotto un duplice profilo. Anzitutto, sotto una lente analitica, è necessario sottolineare che l’essenza della libertà d’impresa consiste in una «autonomia funzionale […] vincolata al perseguimento del successo sul mercato» [134] (è l’autonomia di scelta dei mezzi preordinati ad un fine specifico), che si esercita mediante processi decisionali a cui partecipa una pluralità di soggetti, e la cui estensione ha effetti di possibile «soggezione di interessi terzi (dipendenti, concorrenti, consumatori ecc.)» [135].
Da qui, sotto il secondo profilo, la centralità della relativa tutela nell’«economia sociale di mercato fortemente competitiva», la cui ispirazione ordoliberale [136] richiama l’attenzione sulla necessità di garanzia di un «sistema che assicuri il rispetto delle regole del gioco cosicché il risultato del processo economico provenga dal coordinamento delle preferenze individuali sul mercato libero» [137]. Allora, è evidente il ruolo primario attribuito al diritto della concorrenza ed alla necessità della partecipazione dell’impresa, come attività economica organizzata e vocata al conseguimento dell’oggetto sociale, alla efficienza dinamica dei mercati. La necessità di garantire l’autonomia dell’impresa così intesa, dunque, ai sensi dell’art. 3 T.U.E. e dell’art. 41 Cost. rappresenta la condizione «sine qua non» della concorrenza sul mercato e tale garanzia deve essere assicurata tramite il contenimento degli abusi del potere privato che si spingano sino a soffocare le scelte di gestione imprenditoriale dei concorrenti, tramite scelte di imposizione dei limiti alla libertà delle imprese «proporzionati» e che non soffochino – a loro volta – l’efficienza produttiva ed innovativa delle imprese “forti”, e, infine, attraverso la necessità di indipendenza tra potere pubblico ed interessi privati di sorta [138].
E tale lettura deve condurre anche le prospettive applicative dell’abuso di d.e., che dovrà trovare la propria collocazione sistematica in continuità con altre fattispecie di confine, ed i cui presupposti devono essere tali da consentire allo strumento (applicato in ambito amministrativo o privatistico) di limitare la libertà organizzativa e di azione delle impresa più forte nella misura in cui essa si spinga ingiustificatamente ed in modo “eccessivo” fino quasi a soffocare l’autonomia dell’impresa dipendente a compiere le proprie scelte organizzative interne e comportamentali nel perseguimento del proprio successo sul mercato, in quanto tale autonomia è, in ultima analisi, garanzia stessa dell’efficienza dinamica dei mercati.
Detto in altre parole, la concorrenza «non sia difesa contro la creatività dell’imprenditore, essa stessa di utilità sociale, e dunque contro il suo successo sul mercato; e sia invece difesa contro comportamenti diversi che tolgono spazio alla creatività altrui» [139].
Le proposte normative di modifica della fattispecie nazionale di a.d.e., per facilitarne l’applicazione a contesti nuovi, e le relative future interpretazioni, pertanto, non dovrebbero elidere attraverso automatismi un tale momento valutativo nevralgico a carico del giudice o dell’A.G.C.M. (nell’ambito delle rispettive competenze), al fine di non sviare la funzione dell’istituto e la sua concreta utilità [140].
[1] Per alcuni recenti discussioni nazionali in tema cfr. il fascicolo speciale 2021 di questa Rivista, a cura di E Arezzo; V. Falce (a cura di), Competition law enforcement in digital markets, Torino, Giappichelli, 2021. Per una testimonianza delle trasformazioni del diritto delle imprese davanti alle nuove evoluzioni tecnologiche cfr. N. Abriani, G. Schneider, Diritto delle imprese e intelligenza artificiale, Dalla Fintech alla Corptech, Bologna, Il Mulino, 2021.
[2] Segnalazione dell’A.G.C.M. al Presidente del Consiglio dei Ministri in merito a proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza, anno 2021, segnalazione n. AS1730 del 19 marzo 2021, in Boll., n. 13/2021, infra.
[3] Il disegno di legge è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 novembre 2021 https:
//www.governo.it/it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-45/18476; cfr. anche Atto Senato S.2469.
[4] Cfr. infra, par. 3.
[5] Per una sintesi delle caratteristiche di tali rapporti cfr., ex multis, OECD, An Introduction to online Platforms and Their Role in the Digital Transformation, Parigi, OECD Publishing, 2019. Nella dottrina nazionale cfr., in particolare, A. Quarta, E Smorto, Diritto privato dei mercati digitali, Firenze, Mondadori, 2020.
[6] Segnalano tali difficoltà alcuni documenti istituzionali elaborati a livello nazionale ed internazionale. Cfr., ex multis, J. Crémer, Y.-A. de Montjoye, H. Schweitzer, Competition policy for the digital era – final report, Lussemburgo, Publications Office of the European Union, 2019; A.G.C.M., A.G.C.O.M., Garante per la Protezione dei dati personali, Indagine Conoscitiva Congiunta sui Big Data, 2019; M. Schallbruch, H. Schweitzer, A. Wambach, A new competition framework for the digital economy: Report by the Commission «Competition law 4.0», 2019; F. Scott Morton et al., Report of the Committee for the study of digital platforms, Stigler Center for the Study of the Economy and the State, 2019; J. Furman, D. Coyle, A. Fletcher, D. McAuley, P. Marsden, Unlocking digital competition, 2019; ACCC, Digital platforms enquiry: Final report, 2019; Investigation of Competition in Digital Markets (Majority Staff Report and Recommendations), of the U.S. Congress Subcommittee on Antitrust, Commercial and Administrative Law of the Committee on the Judiciary, Report on the Digital Economy, edited by the Global Antitrust Institute of the George Mason University.
La principale difficoltà risiede nella difficile definizione dei mercati dell’economia digitale e nel conseguente complesso accertamento della posizione dominante, o più in generale del potere di mercato. Nel dibattito nazionale, ex multis, C. Osti, Market Power and Market Definition in the Digital Economy, in V. Falce, (nt. 1), 33 ss.
Altri Autori segnalano, altresì, la difficoltà di applicare i tradizionali strumenti di efficienza statica e allocativa alle nuove condotte dell’economia digitale. Nel dibattito internazionale, cfr. L. Khan, Amazon’s Antirust Paradox, in Yale Law Journal, 2017, 710 ss.
Le principali caratteristiche dei mercati digitali ed il dibattito europeo e statunitense sulle connesse difficoltà interpretative del diritto antitrust sono sintetizzati da M. Libertini, Digital markets and competition policy. Some remarks on the suitability of the antitrust toolkit. Mercati digitali e politica della concorrenza. Alcune riflessioni sull’efficacia dei tradizionali strumenti antitrust nel contesto digitale, in questa Rivista, (nt. 1), 337 ss. L’A. invero propone una interpretazione evolutiva degli strumenti del diritto antitrust.
Cfr., altresì, G. Colangelo, Big data, piattaforme digitali e antitrust, in Merc. conc. reg., 2016, 425 ss.; G. Muscolo, Big data e concorrenza. Quale rapporto?, in Informazione e Big Data tra innovazione e concorrenza, a cura di V. Falce, G. Olivieri, G. Ghidini, Milano, Giuffrè, 2018, 173 ss.
[7] Cfr. d.d.l. Concorrenza, (nt. 3).
[8] Tale linea interpretativa è utile anche a differenziare l’a.d.e. dalle figure che ad esso possono apparire contigue nei rapporti tra imprese, come il controllo societario ex art. 2359 c.c. e l’attività di direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c. s.s. Sul tema si sono soffermate le riflessioni di Ph. Fabbio, L’abuso di dipendenza economica, Milano, Giuffrè, 2006, 521 ss.; A. Musso, La subfornitura, Bologna, Zanichelli, 2003, 544 ss.; P. Iamiceli, Le reti di imprese e i contratti di rete, Torino, Giappichelli, 2009. Si veda, altresì, G. Scognamiglio Autonomia e coordinamento nella disciplina dei gruppi di società, Torino, Giappichelli, 1996.
[9] Reg. (CE) n. 1/2003 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, concernente l’applicazione delle regole di concorrenza di cui agli artt. 81 e 82 del Trattato.
[10] Art. 3, par. 2, reg. n. 1/2003.
[11] Cons. n. 8, reg. n. 1/2003.
[12] Cfr. G. Colangelo, L’ abuso di dipendenza economica tra disciplina della concorrenza e diritto dei contratti. Un’analisi economica e comparata, Torino, Giappichelli, 2004; M. Bakhoum, Abuse without dominance in competition law: Abuse of economic dependence and its interface with abuse of dominance, in Abusive Practices in Competition Law, a cura di F. di Porto, R. Podszun, Cheltenham, Edward Elgar, 2018, 157 ss. Tale interpretazione è avallata dalla Corte di Cassazione che ha affermato come la fattispecie attenga «all’ordine pubblico del mercato». Cfr., in particolare, Cass. civ., sez. I, 21 gennaio 2020, n. 1184.
Sul fondamento filo-concorrenziale del divieto – che assurge a clausola generale dei rapporti di mercato tra imprese – si vedano, in particolare, Ph. Fabbio, (nt. 8); M.R. Maugeri, Abuso di dipendenza economica e autonomia privata, Milano, Giuffrè, 2003; M. Libertini, La responsabilità per abuso di dipendenza economica: la fattispecie, in Contr. impr., 2013, 14; A. Zoppini, Il contratto asimmetrico tra parte generale, contratti di impresa e disciplina della concorrenza, in Riv. dir. civ., 2008, 5, 515 ss.
La natura del divieto è tuttavia discussa in ordinamenti, come quello italiano, che prevedono che l’abuso di d.e. possa anche prescindere dalla incidenza dei rapporti sui meccanismi concorrenziali data la doppia tutela civilistica ed amministrativistica. Cfr. altresì R. Natoli, L’abuso di dipendenza economica, in Trattato dei contratti, a cura di V. Roppo, A.M. Benedetti, Milano, Giuffrè, 2014; F. Macario, L’autorità garante della concorrenza e del mercato e l’abuso di dipendenza economica, in 20 anni di antitrust: l’evoluzione dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, a cura di C. Rabitti Bedogni, P. Barucci, Torino, Giappichelli, 2010, 859 ss.
[13] Inclusi, ad esempio, Germania, Francia, Italia, Spagna, Portogallo.
[14] Cfr. A. Renda et al., Study on the impact of national rules on unilateral conduct that diverge from Article 102 of the Treaty on the Functioning of the European Union, 2012, reperibile in internet al seguente indirizzo: http://ec.europa.eu/competition/calls/tenders_closed
.html. Cfr. anche Commissione europea, Commission Staff Working Document Impact Assessment Report Accompanying the Document Proposal for a Regulation of the European Parliament and of the Council on contestable and fair markets in the digital sector (Digital Markets Act), Brussels, 15.12.2020 SWD(2020) 363 final, Section 2, che elenca la frammentazione giuridica risultante dalle divergenti legislazioni degli Stati membri. Per un’analisi comparatistica al fine di sollevare la questione di una possibile armonizzazione europea dello strumento sia consentito rinviare a S. Scalzini, Economic Dependence in Digital Markets: EU Remedies and Tools, in Market Competition Law Review, 2021, 5(1), 81 ss.
[15] Cfr. ad esempio la Francia, il Belgio, il Portogallo e anche l’Italia (infra).
[16] Cfr. A. Fletcher, Market investigations for digital platforms: Panacea or complement?, in J. of European Competition Law & Practice, 2021, 12, 44 ss., https://doi.org/10.1093/jeclap/lpaa
078; I. Graef, Differentiated treatment in platform-to-business relations: EU competition law and economic dependence, in Yearbook of European Law, 2019, 38, 448; F. Marty, Plateformes de commerce en ligne et abus de position dominante: réflexions sur les possibilités d’abus d’exploitation et de dépendance économique, in Revue juridique Thémis, 2019, 73 ss.
[17] Cfr. Commissione europea, (nt. 14), par. 58 «according to the Observatory’s estimates, around half of enterprises derived more than 25% of their revenues from online platforms. For almost 10% of companies, online platform sales exceed 75% of all revenues; while according to Statista estimates, in 2017, 18% of company revenues across the EU-28 came from e-commerce, the highest proportion being 33%». Cfr. anche Commission Staff Working Document, SWD(2016) 312 final, Preliminary Report on the E-commerce Sector Inquiry, https://
ec.europa.eu/competition/antitrust/sector_inquiry_preliminary_report_en.pdf; Commissione europea, Business-to-Business relations in the online platform environment, Final Report, 22 maggio 2017, https://publications.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/04c75b09-4b2b
-11e7-aea8-01aa75ed71a1>.
[18] Per una sintetica descrizione delle caratteristiche delle c.d. “piattaforme digitali”, cfr. J. Crémer, Y.-A. de Montjoye, H. Schweitzer, (nt. 6), 54 ss.
[19] Per una descrizione delle dinamiche tra piattaforme ed utenti commerciali cfr. Commissione europea, Commission Staff Working Document, Online Platforms Accompanying the document Communication on Online Platforms and the Digital Single Market SWD(2016) 172 final.
[20] Il modello economico delle piattaforme consente, infatti, la produzione di «valore digitale», che scaturisce non solo dalle interazioni tra utenti della piattaforma, ma anche dall’analisi dei dati registrati dalla piattaforma su tali interazioni. Cfr. Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, Le piattaforme online e il mercato unico digitale. Opportunità e sfide per l’Europa, 1, secondo cui «le piattaforme svolgono un ruolo chiave nella creazione di valore digitale, intercettando tale valore in modo rilevante (anche attraverso l’accumulo di dati), agevolando nuove iniziative imprenditoriali e creando nuove dipendenze strategiche».
[21] Cfr. Commissione europea, Commission Staff Working Document SWD(2021) 144 final, Brussels, 9.6.2021, Preliminary Report – Sector inquiry into Consumer Internet of Things.
[22]Autorité de la Concurrence, Concurrence et commerce en ligne, étude, 2020, par. 150.
[23] Cfr. Tribunale Commerciale di Parigi, 2 settembre 2019, Amazon, décision no. 2017050625.
[24] È necessario precisare come il nuovo art. 1143 del code civile preveda altresì una espressa fattispecie di «abus de dépendance», inquadrandola tra i vizi del consenso nel caso in cui il comportamento abusivo abbia prodotto per la parte debole l’accettazione di un contratto fortemente squilibrato e per la parte forte un vantaggio manifestamente eccessivo. Lo stato di dipendenza in tale fattispecie non si limita alla dipendenza economica, è applicabile anche a soggetti che non siano imprese e fa scattare l’applicazione di rimedi civilistici, quali, in particolare, la nullità del contratto. Per un commento alla novella legislativa francese cfr. F. Rende, Abus de dépendance e controllo del regolamento contrattuale, in Pers. merc., 2021, 526 ss. Cfr. nella dottrina francese, in particolare, F. Chénedé, L’équilibre contractuel dans le projet de réforme, in RDC, 2015, 655 ss.
[25] Cfr. A. Renda et al., (nt. 14); F. Marty, P. Reis, Abus de dépendance économique, Dictionnaire de droit de la concurrence, Concurrences. In giurisprudenza cfr. Cass. com 6 février 2007, SARL Les Oliviers (arrêt n° 179 F-D); Com. 3 mars 2004, n° 02-14.529.
[26] Secondo alcuni Autori tale interpretazione restringerebbe eccessivamente l’ambito di applicazione della fattispecie. Cfr. A.-S. Choné-Grimaldi, Les géants du numérique face à l’interdiction des abus de dépendance économique: Les Français contre-attaquent, in Concurrences, 2020, 4, 84.
[27] Cfr. Autorité de la Concurrence, décision 20-D-04 del 16 marzo 2020, https://www.
autoritedelaconcurrence.fr/en/decision/decision-20-d-04-16-march-2020-regarding-practices-imp
lemented-apple-products-distribution. L. Van Acker, The French Apple products distribution decision: Breathing life into vertical restraints enforcement?, in ECLR, 2021, 42, 3 ss.
[28] Autorité de la Concurrence, décision 20-D-04, (nt. 27), §1043.
[29] Cfr. Autorité de la Concurrence, décision 20-D-04, (nt. 27), §1044. Traduzione a cura dell’Autrice.
[30] Cfr. l. n. 2019-775 del 24 luglio 2019, tendant à créer un droit voisin au profit des agences de presse et des éditeurs de presse.
[31] L’A.C. ha altresì emesso un provvedimento di misure cautelari per obbligare Google a negoziare in buona fede con gli editori, sebbene l’applicazione della fattispecie a tale situazione continui ad essere discussa in dottrina e nelle sedi istituzionali. Cfr. Autorité de la concurrence, 9 aprile 2020, n. 20-MC-01 e décision n° 21-D-17 del 12 luglio 2021. Cfr. in tema S. Scalzini, The new related right for press publishers: what way forward? in The Routledge Handbook of EU Copyright Law, a cura di E. Rosati, Londra-New York, Routledge, 2021, 101. G. Colangelo, Enforcing Copyright Through Antitrust? The strange case of news publishers against digital platforms, in Journal of Antitrust Enforcement, 2022, 1, 133 ss. Per l’ipotesi dell’applicazione della fattispecie nell’ordinamento italiano cfr. d.lgs. 8 novembre 2021, n. 177, Attuazione della direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE, e art. 43-bis, undicesimo comma, l. n. 633/1941.
[32] Superior Court of the State of California, PeopleBrowsr, Inc. et al. v. Twitter, Inc., No. C-12-6120 EMC, 2013 WL 843032, N. D. Cal., 6 marzo 2013.
[33] United States District Court, Northern District of California, hiQ Labs, Inc. v. LinkedIn Corporation, No. 17-cv-03301-EMC, 14 agosto 2017, https://epic.org/amicus/cfaa/linkedin/
2017-08-15-PI-Order.pdf.
[34] Th. Tombal, Economic dependence and data access, in International Review of Intellectual Property and Competition Law, 2020, 51, 70 ss.
[35] Cfr. H. Schweitzer et al., Modernising the law on abuse of market power, Report for the Federal Ministry for Economic Affairs and Energy, 2018, 2, https://www.bmwi.de/Reda
ktion/DE/Downloads/Studien/modernisierung-der-missbrauchsaufsicht-fuer-marktmaechtige-un
ternehmen-zusammenfassung-englisch.pdf?__blob=publicationFile&v=3.
[36] Th. Tombal, (nt. 34). In senso critico G. Colangelo, M. Maggiolino, Big data as misleading facilities, in Eur Competition J, 2017, 13(2-3), 249 ss.
[37] Cfr. in particolare W. Kerber, Data governance in connected cars: the problem of access to in-vehicle data, in JIPITEC, 2018, 9, 310 ss.
[38] M. Libertini, (nt. 12), par. 14.
[39] Ibidem che cita Trib. Roma, 31 marzo 2011, Teatro dell’Opera di Roma c. SIAE.
[40] La configurabilità dell’applicazione dell’a.d.e. nel caso di un newcomer risulta dalla lettera della norma e rileva –a parere di chi scrive– ai fini dell’accertamento dello stato di dipendenza economica. Nell’ordinamento italiano, la dottrina maggioritaria sembra ammettere pacificamente l’applicabilità dell’a.d.e. al newcomer. Cfr. in particolare Ph. Fabbio, (nt. 8), che analizza il problema con riferimento alla cd «dipendenza da assortimento», esaminata nella giurisprudenza tedesca in particolare a seguito del caso Rossignol (BGH, 20 novembre 1975). Vi si oppongono le opinioni degli Autori che ritengono che la libertà dell’impresa forte possa trovare una limitazione solo nella tutela del legittimo affidamento della controparte e che il cd newcomer che si assume il rischio di entrata nel mercato non potrebbe – di converso – avere alcuna legittima pretesa nei confronti di altre imprese che già operano sul mercato. Cfr. G. Agrifoglio, Abuso di dipendenza economica e l’asimmetria nei contratti d’impresa (B 2 b), in Contr. impr. Eu., 2008, 1333. V. Pinto, L’abuso di d.e. “fuori dal contratto” tra diritto civile e diritto antitrust, in Riv. dir. civ., 2000, I, 395.
[41] Cfr. CGUE, 5 ottobre 1988, causa C-238/87, AB Volvo v. Erik Veng; 6 aprile 1995, cause riunite C-241/91 P e C-242/91 P Radio Telefis Eireann e Independent Television Publications Ltd v. Commissione (caso Magill); 12 giugno 1997, causa T-504/93 Tiercé Ladbroke/Commissione; 29 aprile 2004, IMS Health GmbH & Co. OHG contro NDC Health GmbH; Commissione europea, 21 aprile 2004, caso COMP/C-3/37.792, Microsoft; Tribunale di primo grado (grande sezione), 17 settembre 2007, causa T-201/04, Microsoft Corp. contro Commissione delle Comunità europee; da ultimo cfr. anche CGUE, causa C-170/13 Huawei Technologies Co. Ltd / ZTE Corp., ZTE Deutschland Gmb. Nella giurisprudenza nazionale cfr. anche A.G.C.M., 15 giugno 2005, A364 – Merck-Principi attivi, provv. n. 14388.
[42] Th. Tombal, (nt. 34).
[43] Cfr. nella giurisprudenza Commissione europea, 29 aprile 2014, Motorola – Enforcement of GPRS standard essential patents, causa AT.39.985; Commissione europea, 29 aprile 2014, causa AT.39.939, Samsung – Enforcement of UMTS standard essentialpatents; CGUE, 16 luglio 2015, causa C-170/13, Huawei Technologies Co. Ltd. v. ZTE Deutschland GmbH. In dottrina cfr., ex multis, E. Arezzo, The «Non-discrimination» portion of the FRAND obligation: an EU perspective, in questa Rivista, fasc. straordinario, 2021, 517 ss.; M. Libertini, Brevi riflessioni sulla sentenza Huawei: verso una regolazione delle licenze FRAND di ‘Standard Essential Patents’, in questa Rivista, 1/2017, 1 ss.; V. Meli, Standard Essential Patents e licenze a condizioni FRAND nel diritto della UE: equità e ragionevolezza tra antitrust e regolazione, ivi, 489 ss.; G. Ghidini, Alcuni recenti orientamenti interpretativi in tema di «intersection» fra PI e Antitrust, in Riv. it. antitrust, 2015, 2, 29 ss.; G. Ghidini, G. Trabucco, Il calcolo dei diritti di licenza in regime frand: tre criteri proconcorrenziali di ragionevolezza, in questa Rivista, 1/2017, 3; M.S. Spolidoro, Introduzione allo studio delle licenze a condizioni frand alla luce della dottrina del giusto prezzo, in Jus, 2018, 3 ss.; G. Muscolo, The Huawei Case. Patents and Competition reconciled?, in questa Rivista, 1/2017, 1 ss.
[44] Cfr. l. 2019-04-04/53, art. 4, 080 che ha introdotto il nuovo articolo, entrato in vigore dal 1 giugno 2020. La citata legge ha altresì introdotto altre norme relative alla correttezza nei contratti tra imprese.
[45] Cfr. J. Blockx, Belgian prohibition of abuse of economic dependence enters into force, J of European Competition L & Practice, 2021, https://doi.org/10.1093/jeclap/lpaa102.
[46] Cfr. anche art. I.6, 12bis code de droit économique.
[47] Cfr. Traduzione della legge fornita dal servizio linguistico del Bundeskartellamt in collaborazione con Renate Tietjen, https://www.gesetze-im-internet.de/englisch_gwb/englisch_gwb.
html.
Cfr. Federal Ministry of Economic Affairs and Energy, Summary of the Draft Proposal for the 10th Amendment to the German Competition Act, 1, https://www.bmwi.de/Redaktion/DE/
Downloads/Gesetz/gwbdigitalisierungsgesetzzusammenfassung.pdf?__blob=publicationFile&v=4; Bundeskartellamt, press release of 25 February 2020 with regard to the Bundeskartellamt’s comment on the draft of the Federal Ministry for Economic Affairs and Energy of the 10th Amendment to the German Competition Act of24 January 2019; https://www.bundeskartellamt
.de/SharedDocs/Meldung/EN/Pressemitteilungen/2020/25_0_2020_Stellungnahme_10_GWB_Novelle.html?nn=3591286.
[48] Per alcune riflessioni sull’ordinamento tedesco cfr. Ph. Fabbio, Il diritto della concorrenza in Germania: osservazioni e valutazioni in prospettiva europea, in questa Rivista, 2019, 549 ss.
[49] La norma prevede: «Dependence within the meaning of subsection (1) may also arise from the fact that an undertaking is dependent on accessing data controlled by another undertaking in order to carry out its own activities. Refusing to grant access to such data in return for adequate compensation may constitute an unfair impediment pursuant to subsection (1) in conjunction with Section 19(1), Section 19(2) no 1. This shall also apply even if such data have not yet been commercially traded». Cfr. traduzione della legge fornita dal servizio linguistico del Bundeskartellamt in collaborazione con Renate Tietjen, (nt. 47).
[50] Cfr. Th. Höppner, Digital Upgrade of German Antitrust Law – Blueprint for Regulating Systemic Platforms in Europe and Beyond?, Hausfeld Bulletin 1-2020, reperibile in internet al seguente indirizzo: https://ssrn.com/abstract=3575629 e Reasoning of the Draft Bill, 80.
[51] W. Kerber, (nt. 37).
[52] Così recita la valutazione d’impatto sui diritti fondamentali della Relazione al DMA, di cui infra.
[53] Tale intento è criticato dalle voci che ritengono la strategia europea di stampo marcatamente protezionistico. Cfr. M. Broadbent, The Digital Services Act, the Digital Markets Act and the New Competition Tool. European Initiatives to Hobble U.S. tech Companies, center for Strategic and International Studies, 2020, https://www.csis.org/analysis/digital-services-act-digital-markets-act-and-new-competition-tool.
[54] Reg. (UE) 2019/1150 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 che promuove equità e trasparenza per gli utenti commerciali dei servizi di intermediazione online.
[55] Reg. 2019/1150, (nt. 54), cons. n. 2.
[56] Ibidem.
[57] Ibidem.
[58] Il regolamento sottolinea che «tali frizioni nell’economia delle piattaforme online» siano infatti solo potenziali.
[59] Cfr. in particolare art. 3 sul contenuto delle condizioni contrattuali e gli obblighi di trasparenza di cui agli artt. 4, 5 e 11.
[60] Reg. (UE) 2019/1150, (nt. 54).
[61] La l. n. 178/2020 ha attribuito all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (A.G.C.O.M.) il ruolo di garantire l’adeguata ed efficace applicazione del regolamento, in particolare attraverso l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie e attraverso poteri di sospensione temporanea dell’attività, nei casi di reiterate violazioni del regolamento o nei casi più gravi.
[62] Sul punto si tornerà infra, par. 5 nel commentare la proposta legislativa sull’abuso di dipendenza economica.
[63] Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo a mercati equi e contendibili nel settore digitale (legge sui mercati digitali, nell’acronimo inglese DMA), Bruxelles, 15 dicembre 2020, COM(2020) 842 final, 2020/0374 (COD). Si vedano anche gli emendamenti proposti dal Parlamento europeo P9_TA(2021)0499. Il Parlamento ed il Consiglio hanno aggiunto un accordo sul testo in data 24 marzo 2022. cfr. lo stato di avanzamento della proposta, https://www.europarl.europa.eu/legislative-train/theme-a-europe-fit-for-the-digital-age/file-digital-markets-act.
[64] Cfr. Relazione al DMA, par. 1. Cfr. anche cons. n. 2, n. 38 e n. 64 della proposta di DMA, (nt. 63).
[65] Cfr. Relazione al DMA, (nt. 64), par. 1.
[66] Un gatekeeper è, infatti, definito dagli artt. 2 e 3 della proposta, (nt. 63), come emendata dal PE, come un fornitore di servizi di piattaforma di base (e.g. servizi di intermediazione online, motori di ricerca online, servizi di social network online, servizi di cloud computing), il quale i) «ha un impatto significativo sul mercato interno» (determinato da soglie di fatturato e dal numero di Stati destinatari dei servizi); ii) «gestisce un servizio di piattaforma di base che costituisce un punto di accesso (gateway) importante affinché gli utenti commerciali raggiungano gli utenti finali» (requisito misurato sulla base del numero di utenti); iii) «detiene una posizione consolidata e duratura nell’ambito delle proprie attività o è prevedibile che acquisisca siffatta posizione nel prossimo futuro». Tali soglie sono state, tuttavia, oggetto di discussione istituzionale nell’ambito dell’iter di approvazione del regolamento.
[67] Cfr. proposta DMA, (nt. 63). Tra gli obblighi previsti dagli artt. 5 e 6 figura ad esempio «l’obbligo di consentire agli utenti commerciali di offrire gli stessi prodotti o servizi agli utenti finali attraverso servizi di intermediazione online di terzi a prezzi o condizioni diverse da quelle offerte attraverso i servizi di intermediazione online del gatekeeper» (art. 5, primo comma, lett. b). Ancora, l’art. 6, primo comma, lett. I, obbliga il gatekeeper a fornire «a titolo gratuito agli utenti commerciali, o a terzi autorizzati da un utente commerciale, un accesso efficace, di elevata qualità, continuo e in tempo reale a dati aggregati e non aggregati, e garantisce alle stesse condizioni l’uso di tali dati aggregati e non aggregati che sono forniti o generati nel contesto dell’uso dei pertinenti servizi di piattaforma di base da parte di tali utenti commerciali e degli utenti finali che si avvalgono di prodotti o servizi forniti da tali utenti commerciali».
[68] Ai sensi degli artt. 6, 7, 8 e 9 della proposta di regolamento, (nt. 63), la Commissione potrebbe specificare meglio alcuni obblighi per assicurarne una compliance efficace, sospenderne l’efficacia in via eccezionale e finanche esentare alcuni gatekeeper da un obbligo specifico per motivi imperativi di interesse pubblico.
[69] Cfr. art. 10 proposta DMA, (nt. 63).
[70] Cfr. ibidem.
[71] Cfr. ibidem.
[72] Cfr. ibidem.
[73] Cfr. capo IV e V, (nt. 63).
[74] Cfr. Relazione al DMA, par. 3, 12.
[75] Cfr. art. 1(6) DMA, (nt. 63).
[76] Cfr. considerando n. 9 e art. 1(6) DMA, (nt. 63).
[77] Cfr. considerando n. 9, (nt. 63).
[78] Si pensi ai rimedi risarcitori.
[79] Uno sforzo di coordinamento tra competenze e strumenti nazionali ed europee emerge dal paper congiunto delle autorità della concorrenza nazionali European Competition Network, Joint paper of the heads of the national competition authorities of the European Union, How national competition agencies can strengthen the DMA, 21 giugno 2021.
[80] Cass., sez. un., 25 novembre 2011, n. 24906; Cass., sez. I, 12 ottobre 2018, n. 25606.
[81] Art. 9, l. n. 192/1998.
[82] Ibidem.
[83] Cfr. M.S. Spolidoro, Riflessioni critiche sul rapporto tra abuso di posizione dominante e abuso dell’altrui dipendenza economica, in Riv. dir. ind., 1999, 202. La dottrina sottolinea, inoltre, come tale criterio debba necessariamente essere accertato tenendo in considerazione anche le altre circostanze del caso concreto, al fine di non ridurre la dipendenza economica entro i confini di un mero squilibrio contrattuale, Ph. Fabbio, Abuso di dipendenza economica, in A. Catricalà, E. Gabrielli, I contratti nella concorrenza, Torino, Utet, 2011, 271 ss., 284-285.
[84] Cfr. per la descrizione puntuale di tali criteri Ph. Fabbio, L’abuso di dipendenza economica, (nt. 8); Ph. Fabbio, Abuso di dipendenza economica, (nt. 83), 271 ss., a cui si rinvia per un maggior approfondimento, il quale richiama altresì gli schemi tipici di a.d.e. elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza: la dipendenza da assortimento e la dipendenza da rapporti commerciali.
Gli indici oggettivi e soggettivi normalmente identificati dalla giurisprudenza come sintomatici di una situazione di dipendenza sono riassunti nella indagine conoscitiva dell’A.G.C.M. n. IC43 – Settore della grande distribuzione organizzata, provv. 24465 del 24 luglio 2013, in Boll. n. 31/2013 e possono consistere nei seguenti fattori: «a) la convertibilità e l’ammontare degli investimenti compiuti in funzione dei rapporti commerciali che si intrattengono con l’impresa dominante; b) la durata di questi rapporti; c) il grado di identificazione dell’impresa dipendente con l’immagine commerciale del fornitore; d) l’affidamento provocato dall’impresa dominante nella prosecuzione delle relazioni in corso; e) l’importanza del fatturato realizzato con il partner dominante; f) l’impossibilità di ricorrere ad altri metodi di fabbricazione; g) l’irragionevolezza dell’offerta di altre imprese; h) specifici vincoli contrattuali. Altri elementi rivelatori di dipendenza possono ancora essere: i) la cifra d’affari realizzata con l’impresa “relativamente dominante”; l) la titolarità o meno, da parte di quest’ultima, di un marchio affermato sul mercato nonché la quota detenuta sul mercato; m) le caratteristiche della relazione commerciale alla luce della specificità dell’attività in questione (se essa sia tale da giustificare investimenti significativi o da richiedere una unga durata dei rapporti commerciali, oppure se l’investimento sul singolo rapporto sia stato il risultato di una scelta strategica dell’impresa, non altrimenti necessaria); n) la presenza di canali alternativi di approvvigionamento o di vendita, esistenti sul mercato, e la loro sostituibilità rispetto all’impresa dominante, alla luce dei costi legati al cambiamento». In giurisprudenza cfr. Trib. Catania, ord. 5 gennaio 2004 e Trib. Bari, ord. 6 maggio 2002, in Foro it., 2002, I, 2178; Trib. Ancona, 10 luglio 2017, n. 1179.
Il panorama dottrinale in tema è molto vasto, oltre ai riferimenti già menzionati nel testo (in particolare, nt. 8, nt. 12 nt. 91), si vedano altresì A. Frignani, La subfornitura internazionale. Profili di diritto della concorrenza, in Dir. comm. int., 2000, 683 ss.; F. Macario Genesi, evoluzione e consolidamento di una nuova clausola generale: il divieto di abuso di dipendenza economica, in Giust. civ., 2016, 509; C. Medici, Abuso di dipendenza economica: la prima volta dell’autorità, in Merc. conc. reg., 2016, 549 ss., U. Ruffolo, Il contratto di subfornitura nelle attività produttive. Le nuove regole della legge 18 giugno 1998, n. 192: «correzione» della autonomia contrattuale a tutela del subfornitore come professionista debole, in Responsabilità, comunicazione, impresa, 1998, 406; S. Pagliantini, L’abuso di dipendenza economica tra legge speciale e disciplina generale del contratto, in Squilibrio e usura nei contratti, a cura di G. Vettori, Padova, Cedam, 2002, 455 ss.; V. Bachelet, Abuso di dipendenza economica e squilibrio nei contratti tra imprese. Norma, sistema, tutele, prospettive, Milano, Giuffrè, 2020.
[85] Art. 9, l. n. 192/1998.
[86] Cfr. Cass. civ., 21 gennaio 2020, n. 1184, (nt. 12).
[87] Cfr. Cass. civ., 21 gennaio 2020, n. 1184, (nt. 12), par. 3.4.
[88] Cfr. Cass. civ., 21 gennaio 2020, n. 1184, (nt. 12), par. 3.4.
[89] Peraltro ai sensi della recente giurisprudenza dell’A.G.C.M. «I due rimedi, quello di “private enforcement” assicurato dal Giudice Ordinario e quello di “public enforcement” assicurato dall’Autorità, possono essere esperiti entrambi, cumulativamente e contemporaneamente». Secondo la c.d. teoria del doppio binario, infatti, «l’intervento dell’Autorità è diretto all’accertamento e alla repressione di condotte illecite a protezione di un pubblico interesse: la tutela della concorrenza e del mercato; quello dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria è diretto a tutelare: i) in via diretta, le posizioni soggettive di coloro che si assumono lesi nei propri diritti e libertà da un comportamento anticoncorrenziale altrui e ii) in via indiretta, il funzionamento del mercato». Cfr. provvedimento n. 29782 del 20 luglio 2021, chiusura dell’istruttoria, caso A-539 Poste Italiane/Contratti Fornitura Servizio Recapiti, in Boll., n. 32/2021, par. 229 e par. 230, infra.
[90] Cfr. art. 17, terzo comma, d.l. n. 1/2012, conv. l. n. 27/2012 nell’ipotesi di a.d.e. nei rapporti tra gestori e titolari di impianti di distribuzione di carburante e art. 62, d.l. n. 24/2012, conv. l. n. 27/2012 nell’ipotesi di a.d.e. nel settore agroalimentare. Da ultimo, si segnala come l’a.d.e. sia richiamato dal recente d.lgs. n. 177/2021 di attuazione della direttiva europea 2019/790 e dall’art. 43-bis, undicesimo comma, l. n. 633/1941, (nt. 31), sebbene non si tratti di una nuova ipotesi tipica di a.d.e.
[91] Cfr. in particolare Ph. Fabbio, L’abuso di dipendenza economica, (nt 8), il quale affronta i vari stadi valutativi alla luce di tale ratio, e letteratura ivi citata; riflessione argomentata anche in Ph. Fabbio, Disparità di forza contrattuale e abuso di dipendenza economica, in Contratto e Concorrenza, a cura di G. Olivieri, A. Zoppini, Bari, Laterza, 2008, 153 ss. Cfr. anche, in particolare, G. Colangelo, L’abuso di dipendenza economica, (nt. 12); M.R. Maugeri, (nt. 12); R. Caso, R. Pardolesi, La nuova disciplina del contratto di subfornitura (industriale): scampolo di fine millennio o prodromo di tempi migliori?, in Riv. dir. priv., 1998, 712 ss.; D. Maffeis, Abuso di dipendenza economica e grave iniquità dell’accordo sui termini di pagamento, in Contr., 2003, 623 ss.
[92] M. Libertini, (nt. 12), §9 distingue le seguenti ipotesi: «(a) quella in cui vi sia interferenza fra posizione dominante (art. 3, l. n. 287) e d.e.; (b) quella di d.e. che, pur non avendo i requisiti della fattispecie di cui all’art. 3, l. n. 287, “abbia rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato”; (c) quella di d.e. semplice, priva di rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato (s’intende: “priva di rilevanza” ai fini della competenza amministrativa dell’A.G.C.M., ma pur sempre potenzialmente lesiva del buon funzionamento del mercato, se pure a livello dimensionale ristretto)». Per una classificazione operativa dei rapporti di potere e soggezione configurabili in concreto cfr. Ph. Fabbio, (nt. 83), 315 ss., M. Libertini, L’abuso di posizione dominante, in Manuale di diritto privato europeo, a cura di C. Castronovo, S. Mazzamuto, Milano, Giuffrè, 2007, 271 ss.
[93] Cfr. M.S. Spolidoro, (nt. 83), 199 ss., l’Autore riprende altresì le riflessioni di A. Barba, L’abuso di dipendenza economica: profili generali, in Aa.Vv., La subfornitura nelle attività produttive, Napoli, Jovene, 1998, 732.
[94] L’abuso dello squilibrio di diritti ed obblighi potrebbe derivare dall’«impossibilità per il mercato di mettere a disposizione alternative che consentono all’impresa debole di sottrarsi alla prevaricazione di controparte». Cfr. R. Caso, R. Pardolesi, (nt. 91), 733. Cfr. ancora Ph. Fabbio, (nt. 8), 461 ss.
[95] Trib. Milano, 17 giugno 2016, n. 7638.
[96] Cfr. Trib. Milano, 17 giugno 2016, n. 7638, (nt. 95), § 8. Il giudice ha considerato come indici della d.e. lo squilibrio di diritti ed obblighi, risultante sia dal contenuto delle clausole contrattuali che dalla corrispondenza, e dal carattere di esclusività del rapporto delle società, dalla composizione del fatturato e dei ricavi derivanti esclusivamente da tale rapporto.
[97] Cfr. Trib. Milano, 17 giugno 2016, n. 7638, (nt. 95).
[98] Per una sintetica ricostruzione dell’origine della fattispecie nell’ordinamento italiano e delle iniziali posizioni dell’A.G.C.M. cfr. E. Spagnolello, L’abuso di dipendenza economica e la sua rilevanza per la tutela della concorrenza e del mercato, in A. Catricalà, C.E. Cazzato, F. Fimmanò, Diritto Antitrust, Milano, Giuffrè, 2021, 528-559, 529 ss.
[99] Cfr. provvedimento A.G.C.M. n. 26251, del 23 novembre 2016, caso RP1 – Hera-Affidamenti Gruppi Misura Gas, in Boll., n. 44/2016. Trattandosi di violazione reiterata e diffusa della disciplina sui ritardi di pagamento l’Autorità non ha dovuto dimostrare l’esistenza di una d.e. Per quanto concerne la valutazione circa la rilevanza della condotta per la tutela della concorrenza, l’Autorità ha considerato rilevante la rinuncia di molti fornitori a partecipare alle gare di appalto indette da Hera come «difesa» rispetto alle condizioni applicate dalla stessa, con conseguente impatto sulla pressione competitiva nell’ambito di ciascuna procedura. L’A.G.C.M. ha verificato la posizione di mercato di Hera l’indebito vantaggio competitivo ottenuto dai ritardi di pagamento, potendo godere di una maggior liquidità.
[100] Cfr. provvedimento A.G.C.M. n. 28043, del 20 dicembre 2019, caso A525 – Mercato della distribuzione quotidiani e periodici nell’area di Genova e Tigullio, in Boll., n. 3/2020.
[101] Le imprese sanzionate avevano avuto la possibilità tramite la suddetta condotta di minare l’autonomia (e la sopravvivenza) sul mercato dell’impresa dipendente che non sarebbe riuscita a reperire alcuna alternativa per l’approvvigionamento di circa il 60% dei prodotti editoriali distribuiti dalle imprese forti. Per usare le parole del provvedimento le due imprese potevano «unilateralmente disporre delle sorti del complesso aziendale». A.G.C.M., (nt. 100), par. 116.
[102] A.G.C.M., (nt. 100), §190.
[103] Cfr. provvedimento n. 29782 del 20 luglio 2021, chiusura dell’istruttoria, caso A-539 Poste Italiane/Contratti Fornitura Servizio Recapiti, in Boll., n. 32/2021.
[104] A.G.C.M., (nt. 103), § 289. L’A.G.C.M. ha considerato, inoltre, la «elevata ed insolita» durata della relazione contrattuale (§348), l’asimmetria negoziale tra le parti, l’integrazione del complesso aziendale «quasi agendo a guisa di “unità operativa” del committente senza alcuna autonomia sostanziale nella gestione dei processi produttivi e dei costi di produzione» (§258), la «percentuale quasi totalitaria di introiti» realizzata nel corso degli anni in virtù del rapporto contrattuale con tale committente, gli investimenti specifici necessari per la fornitura, l’identificazione con l’immagine commerciale.
[105] A.G.C.M., (nt. 103), par. 292.
[106] Ivi, par. 293.
[107] Ivi, par. 351.
[108] Ivi, par. 345.
[109] Cfr. A.G.C.M., provvedimento n. 28447, del 17 novembre 2020, avvio dell’istruttoria A543 – Rapporti contrattuali tra Benetton e i suoi rivenditori, in Boll., n. 47/2020.
[110] Cfr. A.G.C.M. provvedimento n. 29793 del 27 luglio 2021, avvio dell’istruttoria A546 –Franchising Di Mcdonald’s, in Boll., n. 33/2021. Cfr. altresì gli impegni pubblicati con provvedimento n. 30059 del 15 marzo 2022, in Boll., n. 10/2022.
[111] A.G.C.M., (nt. 110), par. 31. Cfr. anche A.G.C.M., provvedimento n. 29874 del 4 novembre 2021, avvio dell’istruttoria A547 - Condotte di Wind Tre a danno dei rivenditori, in Boll., n. 46/2021
[112] A.G.C.M., (nt. 110), par. 31.
[113] Ivi, par. 33.
[114] Ivi, par. 35.
[115] Per un tentativo di classificazione delle soluzioni che giustificano l’intervento di A.G.C.M. nell’ambito della riflessione sui rapporti tra abuso di posizione dominante e abuso di dipendenza economica cfr. Ph. Fabbio, (nt. 83), 316 ss.
[116] L’Autorità amministrativa, inoltre, potrebbe altresì archiviare il procedimento ove non lo ritenesse rilevante per l’interesse pubblicistico di tutela della concorrenza e del mercato, o non centrale rispetto alle relative priorità di enforcement.
[117] D.d.l. concorrenza 2021, (nt. 3).
[118] Cfr. art. 29 d.d.l. Concorrenza 2021, (nt. 3).
[119] Cfr. ibidem.
[120] Cfr. ibidem.
[121] Cfr. ibidem.
[122] Tra le condotte ipotizzate da A.G.C.M. rientrava l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose, il rifiuto «dell’interoperabilità di prodotti o servizi o la portabilità dei dati, limitando la concorrenza», o la richiesta del trasferimento di dati in misura non necessaria o proporzionata come condizione della qualità del servizio offerto.
[123] Cfr., ad esempio, i casi della Commissione europea, 27 giugno 2017, causa AT.39740 Google Search (Shopping), e 18 luglio 2018, causa AT.40099, Google Android; e i procedimenti nazionali, come A.G.C.M., provvedimento n. 29925, A528, FBA AMAZON.
[124] Cfr. supra, par. 4.
[125] Cfr. supra, par. 3.2. e nt. 67 sulla definizione di gatekeeper nella proposta di DMA.
[126] Si segnala, inoltre, come la definizione dei soggetti identificati come «piattaforma» dalla norma potrebbe interferire anche con altre definizioni.
[127] Si veda supra, par. 3.2.
[128] Cfr. per opinioni differenti sui margini per il diritto della concorrenza di sanzionare abusi non derivanti dallo sfruttamento di posizioni dominanti cfr. P. Bougette, O. Budzinski, F. Marty, Exploitative abuse and abuse of economic dependence: What can we learn from an industrial organization approach?, Revue d’Économie Politique, 2019, 261 ss., 265.; Th. K. Cheng, M. Gal, Superior bargaining power: Dealing with aggregate concentration concerns, in F. Di Porto, R. Podszun, (nt. 12).
[129] Art. 3, par. 3, T.U.E.
[130] Cfr., ex multis, N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, Roma-Bari, Laterza, 1998; F. Denozza, Spettri del mitico «ordo»: diritto e mercato nel neoliberalismo, in Moneta e Credito, 2019, 72 (288), 327-348. R. Sacchi, A. Toffoletto (a cura di), Esiste uno «stile giuridico» neoliberale?, Atti dei Seminari per Francesco Denozza, Milano, Giuffrè, 2019; V. Di Cataldo, Esiste uno stile giuridico neo-liberale? Uno studio per Francesco Denozza, in questa Rivista, 2020, 9. Per una riflessione riferita alle nuove proposte normative europee cfr. G. Alpa, La legge sui servizi digitali e la legge sui mercati digitali, in Contr. impr., 2022, 1 ss.
[131] F.D. Busnelli, Carta dei diritti fondamentali. Autonomia Privata, Contratto e Costituzione in Europa. Convegno di studio in onore del Prof. Giuseppe Benedetti, a cura di G. Vettori, Padova, Cedam, 2005.
[132] Si veda in particolare CGUE, causa C-283/11, Sky Österreich v Österreichischer Rundfunk, § 42-43. Si vedano anche, in tal senso, sentenze del 9 settembre 2004, Spagna e Finlandia/Parlamento e Consiglio, C-184/02 e C-223/02, § 51 e 52, nonché del 6 settembre 2012, C-544/10 Deutsches Weintor, § 54 e giurisprudenza ivi citata.
[133] Cfr. CGUE, causa C-283/11, (nt. 132), par. 46.
[134] M. Libertini, Sulla nozione di libertà economica, in Moneta e Credito, 2019, 72 (288), 301-325, 312.
[135] M. Libertini, (nt. 135), 312.
[136] Alcuni Autori mettono in evidenza come l’ordoliberalismo non offre prospettive sostanzialmente diverse da quelle neoliberali che sono state sinora dominanti. Cfr. F. Denozza, (nt. 130), 341.
[137] J. Drexl, La Constitution Économique Européenne – L’actualité Du Modèle Ordolibéral., in Revue internationale de droit économique, 2011/4, t. XXV, 419 ss., 434.
[138] Questo ultimo aspetto è sostenuto con forza da M. Libertini, (nt. 134), 323. L’A. sostiene che tale sia un fattore fondamentale per difendere il pluralismo economico, prevenire gli abusi del potere privato e non «intorbidare la funzione delle politiche della concorrenza».
[139] G. Oppo, Principi, nel Trattato di diritto commerciale, diretto da V. Buonocore, sez. I, t. 1, Torino, Giappichelli, 2001, 42, 85 ss.; Id., Diritto dell’impresa e morale sociale, in Scritti Giuridici, vol. VI, 279, 284 ss., il cui pensiero è citato e commentato da G. Olivieri, Iniziativa Economica e Mercato nel Pensiero di Giorgio Oppo, in Riv. dir. civ., 2012, 509 ss.
[140] La stessa Corte di Cassazione a tal proposito ha ribadito come «proprio in quanto si supera il principio della c.d. autoresponsabilità imprenditoriale, mettendo fuori gioco l’autonomia contrattuale ed il vincolo negoziale raggiunto dalle parti […] la valutazione delle condotte deve essere svolta secondo criteri approfonditi, completi e coerenti […] Atteso il principio costituzionale della libertà d’iniziativa economica, e date la liceità e la normalità, di per sé, di una diversa forza negoziale delle parti, si richiede, da parte del giudicante, una adeguata ponderazione di tutti gli elementi di fatto e di diritto». Cfr., in particolare, Cass. civ., sez. I, 21 gennaio 2020, n. 1184, (nt. 12).