Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Ius in fieri in Cassazione (di Loredana Nazzicone)


Premessa.

Dopo avere scelto, negli scorsi numeri, di segnalare questioni del tutto in fieri, in quanto su di esse la S.C. era alla ricerca di una soluzione, qui si torna – salvo nell’ultimo paragrafo, in cui si segnalano recenti rimessioni – alla tradizionale individuazione dei principî di diritto già pronunciati: parimenti sottoposti, peraltro, alle valutazioni ed all’arricchimento del contributo degli studiosi.

Lo “stile” resta, però, lo stesso; non note di commento, ma puri spunti, ed al più appunti, su questioni discusse e discutibili. Con l’avvertenza che è stata, naturalmente, necessaria una selezione dei temi.

Parole chiave: Corte di Cassazione; diritto vivente.

Sommario/Summary:

1. Diritti camerali e direttive europee. - 2. Abuso della personalità giuridica ed elusione dei diritti del creditore del socio. - 3. Il recesso. - 4. Limiti alla delega a terzi di funzioni gestorie nella s.p.a. - 5. Confisca antimafia di partecipazioni sociali e governo societario. - 6. Licenziamento del direttore generale e diritto di critica. - 7. Start-up innovativa e fallimento. - 8. Società cooperativa e devoluzione del patrimonio a fondi mutualistici. - 9. Società cooperativa e dati personali. - 10. Società cooperativa edilizia e natura dell’autorizzazione dell’or­gano gestorio al recesso socio. - 11. Eccedenze di gestione nei consorzi e divieto di distribuzione degli utili. - 12. Società fiduciaria in l.c.a., omessa vigilanza pubblica, solidarietà nel debito e prescrizione. - 13. Giurisdizione in tema di società partecipate pubbliche. - 14. Ordinanze di rimessione in tema di conferimento d’azienda delle banche di credito cooperativo e in tema di autorità portuali.


1. Diritti camerali e direttive europee.

Cass. civ., sez. V, ord. 20 luglio 2022, n. 22801 (Pres. Chindemi, rel. Stalla) L’art. 18 della l. 29 dicembre 1993, n. 580 ha previsto che al finanziamento delle camere di commercio si provveda anche mediante il «diritto annuale» d’iscrizione negli albi o registri. Secondo la commissione tributaria regionale, l’imposizione del pagamento di tali diritti ad una s.a.s. contrasta con gli artt. 10 e 12 dir. 69/335/CEE del Consiglio del 17 luglio 1969, perché si tratta di «una vera e propria imposta indiretta sulla raccolta di capitali», vietata dalla disciplina comunitaria, con il conseguente obbligo per il giudice nazionale di disapplicare le norme interne in contrasto con l’ordinamento UE. Il motivo per cassazione, formulato dalla camera di commercio, richiamava l’esigenza, tuttavia, di tenere conto anche delle decisioni della Corte di giustizia, laddove ha escluso il contrasto con la direttiva con riguardo ai diritti camerali. La Cassazione ha accolto la tesi, affermando la piena compatibilità del diritto camerale nazionale con l’ordinamento UE, sulla base delle decisioni della Corte di giustizia sull’art. 10 dir. 69/335/CEE e art. 5, par. 1, lett. c), dir. 2008/7/CE (CGUE 11 giugno 1996, C-2/94, Denkavit International BV; 19 aprile 2012, C-443/09, Fall. Grillo Star s.r.l.; 20.6.2013, C-468/12, Camera comm. Cosenza c. Fall. soc. Ciesse s.r.l.). La ratio decidendi, espressa dalla massima ufficiale, consiste nella circostanza che «il fatto generatore di tale tributo non consiste nella registrazione della società o della persona giuridica, titolare di un’impresa, bensì nella registrazione dell’impresa stessa», che era, tuttavia, quanto affermato dalla Corte di giustizia, non dalla sentenza della Cassazione. La quale, invece, di suo rileva come il diritto in esame vada riferito allo svolgimento, in quanto tale, dell’attività di impresa soggetta ad iscrizione, e non all’adozione di una determinata veste tipologica o strutturale, non inducendo a diversa conclusione il fatto che, agli esclusivi fini della quantificazione economica della prestazione, si prevedano criteri diversi a seconda che si tratti di imprese individuali sottoposte a quota annuale forfettaria, ovvero di società sottoposte ad aliquota su scaglioni del fatturato dell’annualità precedente. La mancata enunciazione espressa del principio [...]


2. Abuso della personalità giuridica ed elusione dei diritti del creditore del socio.

Cass. civ., sez. I, ord. 22 giugno 2022, n. 20181 (Pres. De Chiara, rel. Scotti) L’abuso della personalità giuridica delle società di capitali ha perso il ruolo di protagonista delle scene del dibattito giuridico. La vicenda di cui alla ordinanza in epigrafe, peraltro, non attiene alle situazioni classiche del c.d. squarcio del velo della personalità giuridica, con la responsabilità patrimoniale diretta del socio per i debiti della società: invece, il creditore del socio mirava a rivalersi sul patrimonio della società partecipata dal suo debitore, con effetti di “nullità civilistica” del contratto di società ed imputazione al socio di tutti i rapporti giuridici. La Cassazione afferma il principio di diritto, per il quale l’abuso dello schermo dell’autonomia giuridica della società di capitali, sorto per estendere la responsabilità illimitata del “socio tiranno” a favore dei creditori della società-schermo, non può essere fatto valere a favore dei creditori personali del socio, i quali intendano far accertare giudizialmente la mera interposizione della società e soddisfarsi sul patrimonio di questa (cfr. Trib. Milano, ord. 9 giugno 2020, in Foro it., 2020, I, 2879, il quale ha escluso, in sede di procedimento di sequestro conservativo, che l’azione revocatoria possa avere ad oggetto gli atti riferibili al patrimonio di una società partecipata dal debitore). Qui il caso – che sempre illumina il principio di diritto – riguarda una società, che il creditore particolare del socio assumeva essere meramente fittizia in quanto inattiva, senza dipendenti e titolare soltanto della nuda proprietà di un fondo di pregio: dunque in thesi costituita al solo scopo di frapporre fra il socio ed i suoi creditori lo schermo societario, al fine di beneficiare abusivamente della separazione patrimoniale ed eludere l’art. 2740 c.c. Il ricorrente denunciava la violazione degli artt. 1175, 1375, 2082 e 2247 c.c., non avendo la corte d’appello (a differenza del giudice di primo grado) applicato l’istituto dell’abuso del diritto, sub specie dell’abuso di personalità giuridica. La Corte esclude che questo possa servire a superare la separazione patrimoniale, permettendo l’aggressione del patrimonio sociale da parte del creditore personale del socio; a tal fine, si fa [...]


3. Il recesso.

Cass. civ., sez. I, ord. 5 settembre 2022, n. 26060 (Pres. Scaldaferri, rel. Catallozzi) Cass civ., sez. I, sent. 27 giugno 2022, n. 20546 (Pres. De Chiara, est. Fidanzia, P.G. Passafiume diff.) Una generale interpretazione restrittiva delle disposizioni disciplinanti il diritto di recesso del socio esprime il più recente orientamento della Cassazione, giunto alla compiuta esposizione delle sue ragioni. Quanto alla prima decisione – pur nel vigore della disciplina positiva, secondo cui il recesso ad nutum dalla società è previsto per le società a tempo indeterminato, qualunque sia il tipo prescelto (art. 2285, primo comma, c.c.; 2437, terzo comma, c.c., se non quotata; art. 2473, secondo comma, c.c.), e solo nelle società personali se la durata sia «per tutta la vita di uno dei soci» – continua a porsi la questione se, anche nelle società di capitali, la previsione di un termine di durata particolarmente lungo, largamente superiore alle aspettative di vita di uno dei soci, debba comportare lo stesso regime della società contratta a tempo indeterminato, con conseguente diritto di recesso. Al riguardo, si fronteggiano più interessi: quello del socio a dismettere il suo investimento, una volta che ritenga non più confacente mantenerlo, e l’interesse della società, come degli altri soci, a poter continuare a contare su quel rapporto sociale per proseguire il progetto imprenditoriale, interesse quest’ultimo cui, poi, s’aggrega quello dei creditori della società, dal momento che, in esito al recesso, in taluni casi il patrimonio sociale potrebbe risultare diminuito. La Cassazione fonda l’interpretazione restrittiva – secondo cui non è dato il recesso ad nutum al socio di una società di capitali contratta a tempo determinato, sebbene questo sia di durata superiore alla vita umana o proiettato in un orizzonte temporale molto lontano – sulla tassatività dei casi di recesso ex artt. 2437 e 2473 c.c., sulla differente disciplina con le società personali, sul fine primario di tutela dei creditori e l’esigenza di certezza del diritto che è compromessa da criteri di incerta applicazione, come la durata della vita umana o di un dato progetto imprenditoriale (a seconda «se soci della società siano persone fisiche o persone giuridiche; se le società socie abbiano [...]


4. Limiti alla delega a terzi di funzioni gestorie nella s.p.a.

Cass. civ., sez. II, sent. 3 agosto 2022, n. 24060 (Pres. Manna, est. Grasso) Dimessosi l’amministratore esecutivo in adempimento alle c.d. quote rosa, al predetto erano stati attribuiti nel contempo amplissimi poteri, volti a concludere per conto della società contratti di appalto e di vendita per impianti fotovoltaici (fino a un importo massimo di euro 12.000.000,00 per singola operazione), costituire società all’estero ed acquistare quote di società all’estero, ed altro. La Corte reputa illegittimo tale conferimento, perché l’amministratore non può spogliarsi dei suoi poteri, ai quali corrispondono i doveri derivanti dal ruolo, delegando a terzi d’amministrare la società, così aggirando le norme e rendendo più difficili verifiche, controlli e direttive. La conclusione è che si tratti di “procura abdicativa”, attraverso la quale viene aggirato anche il dovere d’astensione in presenza di conflitto d’inte­resse.


5. Confisca antimafia di partecipazioni sociali e governo societario.

Cass. civ., sez. III, sent. 23 maggio 2022, n. 16607 (Pres. Frasca, est. Guizzi, P.G. Nardecchia conf.) Cass. civ., sez. I, sent. 5 gennaio 2022, n. 191 (Pres. Genovese, est. Nazzicone, P.G. De Renzis parz. diff.) Cass. civ., sez. VI-1, ord. 4 marzo 2021, n. 6068 (Pres. Scotti, rel. Nazzicone) Una completa sistemazione teorica attende tuttora la situazione in cui tutto, o parte, del capitale sociale di una società sia oggetto di sequestro penale, e, poi, di confisca, pervenendo in capo allo Stato. Il d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, prevede, all’art. 20 d.lgs. n. 159/2011, il sequestro dei beni, ivi comprese le partecipazioni societarie, nonché, all’art. 24, la successiva confisca quando il titolare non possa giustificarne la legittima provenienza. L’art. 416-bis, settimo comma, c.p. stabilisce che, nei confronti del condannato, sia sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego. Le pronunce in epigrafe si occupano della questione, da vari punti di vista: in sede di regolamento di competenza, affermandosi che la clausola compromissoria statutaria non è opponibile allo Stato, divenuto socio a seguito della confisca de qua, che abbia esercitato l’azione di responsabilità ex artt. 2476 e 2407, cui rinvia l’art. 2477, quarto comma, c.c. (Cass. n. 6068/2021); nell’a­zione sociale di responsabilità proposta dallo Stato contro gli ex amministratori e sindaci, è affermata ex art. 363 c.p.c. la difesa erariale anche in ipotesi di domanda riconvenzionale da parte dei convenuti (Cass. n. 191/2022); e la perdurante legittimazione attiva della società “confiscata” a proseguire i giudizi precedentemente instaurati a tutela dei propri crediti (Cass. n. 16607/2022). Circa le posizioni del Procuratore generale, nel primo provvedimento esse mancano, trattandosi di ordinanza della Sezione sesta; nel secondo, sono indicate come “parzialmente difformi”, soltanto perché tecnicamente la S.C. ha dichiarato una inammissibilità, con pronuncia del principio di diritto nell’in­teresse della legge, che era, peraltro, proprio quello che il P.G. aveva chiesto di affermare (si noti, per incidens, che la massima dimentica di indicare la [...]


6. Licenziamento del direttore generale e diritto di critica.

Cass. civ., sez. lav., sent. 31 maggio 2022, n. 17689 (Pres. Tria, est. Ponterio, P.M. Mucci conf.) La figura del direttore generale è intermedia tra quella di amministratore e dipendente, con riflessi anche quanto al giudice che tratta la materia. Mentre le azioni di responsabilità vengono correttamente intraprese innanzi al tribunale delle imprese, le cause contro il licenziamento vengono invece introdotte innanzi al giudice del lavoro. Nella vicenda in esame, la S.C., sezione lavoro, opinando diversamente dai giudici di primo e di secondo grado, ha escluso la giustificatezza (nozione distinta da quelle di giusta causa e di giustificato motivo ex art. 1 l. n. 604/1966) del licenziamento di un dirigente che, nel corso di una riunione del c.d.a., aveva mosso critiche al bilancio sociale, prospettando anche le fattispecie di reato (falso in bilancio, false comunicazioni sociali) potenzialmente configurabili. La sentenza contiene alcune considerazioni sul “diritto di critica” del direttore generale: menzionando sia l’art. 21 Cost., sia l’art. 1 dello Statuto dei lavoratori, ma, soprattutto, richiamando la regola giurisprudenziale circa l’esi­genza del rispetto dei «limiti di continenza formale e sostanziale» del legittimo esercizio del diritto di critica, legati rispettivamente alla rilevanza costituzionale dei beni che si intende tutelare attraverso la critica e alla veridicità dei fatti e alla correttezza del linguaggio adoperato. Ma le medesime considerazioni sono suscettibili di essere apprezzate, oltre che ai fini dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., più ampiamente con riguardo al dovere generale di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., cioè inquadrando la figura nella materia specializzata societaria. Dove, accanto alle osservazioni svolte in sentenza circa la denuncia ex art. 333 c.p.p. di fatti illeciti da parte del lavoratore, rileva anzi, ancor prima, lo specifico dovere del direttore generale di adempiere in modo professionale al suo incarico: tanto che è, piuttosto, la collusione con la redazione del bilancio senza il rispetto dei criteri legali a comportarne il coinvolgimento, posto che il direttore generale deve attivarsi per impedire l’illecito. Non si tratta, quindi, di un semplice lavoratore, che sia venuto a conoscenza di fatti aziendali illeciti – la cui facoltà di [...]


7. Start-up innovativa e fallimento.

Cass. civ., sez. I, ord. 4 luglio 2022, n. 21152 (Pres. Cristiano, rel. Vella, P.G. De Matteis) Cass. civ., sez. I, ord. 2 agosto 2022, n. 23980 (Pres. Cristiano, rel. Vella, P.G. De Matteis) La questione affrontata dalle ordinanze in epigrafe attiene alla natura del possesso dei requisiti di legge per l’attribuzione della qualifica di start-up innovativa: possesso che, da un lato, è presupposto necessario per escluderne l’assoggettabilità a fallimento, ai sensi dell’art. 31, primo comma, d.l. n. 179/2012, convertito dalla l. n. 122/2012, e, dall’altro lato, permette la decorrenza del termine quinquennale di esenzione da procedure concorsuali sin dalla costituzione della società e non dalla data di deposito della domanda con l’autocertificazione per l’iscrizione nella sezione speciale. Nel contempo, si delinea la natura dell’iscrizione della start-up innovativa nella sezione speciale del registro delle imprese, di cui all’art. 2188 c.c., evidentemente non costitutiva della qualità, dal momento che, appunto, né esclude la verifica giudiziale dei requisiti della stessa, né integra il dies a quo del periodo di esenzione. L’ordinanza n. 21151/2022 accoglie la tesi secondo cui l’iscrizione della start-up innovativa nell’apposita sezione speciale del registro delle imprese non è preclusiva del controllo giudiziale in sede prefallimentare. La tesi è argomentata con il fine normativo di agevolare solo le start-up che siano effettivamente – e non solo formalmente o statutariamente – munite di una reale capacità innovativa correlata alla propria concreta attività, nonché sulle critiche agli argomenti avversi, che farebbero leva sulla “presunzione di veridicità” dell’autocertifica­zione del legale rappresentante (che, però, non costituisce ex se prova in sede giudiziale) e sulla natura del controllo dell’Ufficio del registro (ma la cancellazione della iscrizione ex art. 2191 c.c. non è rimedio esclusivo). Interessanti anche le osservazioni sulla natura controllo in capo al­l’Ufficio del registro delle imprese per l’iscrizione nella sezione speciale della start-up. La tesi era seguita da vari giudici di merito (es. Trib. Udine 18 gennaio 2018, in Foro it., 2018, I, 1037 e in Dir. fall., 2019, 491, con nota di A. Picchione), oltre ai precedenti [...]


8. Società cooperativa e devoluzione del patrimonio a fondi mutualistici.

Cass. civ., sez. I, ord. 28 luglio 2022, n. 23602 (Pres. De Chiara, rel. Marulli) Ben tre decisioni su questioni nuove si rinvengono in tema di società cooperative, a conferma della persistente vitalità del tipo. A seguito della soppressione delle clausole mutualistiche, figuranti nello statuto di una società cooperativa a mutualità prevalente, non sorge l’obbligo della società di devolvere il patrimonio sociale in favore dei fondi mutualistici. Questo il principio di diritto affermato dall’ordinanza in epigrafe, che disattende la tesi del fondo impugnante, secondo cui tale soppressione determinerebbe invece l’obbligo di devolvere il patrimonio effettivo, al netto del capitale e dei dividendi eventualmente maturati, in favore del fondo mutualistico. La conclusione è fondata dalla S.C. sull’art. 2545-undecies c.c., che prevede l’obbligo di devolvere il patrimonio sociale effettivo solo nell’ipotesi di trasformazione, e sull’art. 2545-octies c.c., secondo cui la perdita dei requisiti richiede unicamente che gli amministratori predispongano il bilancio straordinario, al fine di stabilire la misura delle riserve indisponibili; nonché sulla ritenuta implicita abrogazione dell’art. 17 l. n. 388/2000, sulla necessaria devoluzione ai fondi mutualistici del patrimonio effettivo alla data di soppressione delle clausole, la cui pretesa ultrattività non può derivare dall’art. 111-decies disp. att. c.c.: «giacché esso, coerentemente con la propria natura di norma transitoria, è diretto unicamente ad agevolare l’adeguamento delle clausole antilucrative già presenti nello statuto delle società cooperative a mutualità prevalente al regime normativo attuato dalla riforma».


9. Società cooperativa e dati personali.

Cass. civ., sez. I, sent. 1° giugno 2022, n. 17911 (Pres. Genovese, est. Terrusi) La vicenda interessa qualsiasi consesso collettivo, ove rilevi la deliberazione assembleare in relazione al trattamento dei dati personali ex d.lgs. n. 196/2003. Una società cooperativa aveva pubblicato in una bacheca, accessibile a soci e non soci, le valutazioni espresse settimanalmente sui soci lavoratori, identificati con nome, cognome e fotografia, cui accedeva una immagine grafica – la c.d. “faccina” – e le specifiche motivazioni del giudizio espresso («assenteismo», «simulazione malattia», oppure valutazioni positive). Sia il tribunale, sia la S.C. (cui la causa perviene con ricorso ex art. 111 Cost. e 152 d.lgs. cit.) hanno ritenuto illecito il trattamento dei dati, così realizzato. La S.C. osserva che il trattamento non viene giustificato né dal consenso espresso allo stesso rapporto associativo, né dalla deliberazione assembleare, occorrendo invece «un consenso specifico, libero e informato espresso da ciascun interessato», «in riferimento a un trattamento chiaramente individuato» e «non delegabile alla formulazione maggioritaria adottata in un deliberato assembleare». Ed ecco il principio di diritto affermato ai sensi dell’art. 384, primo comma, c.p.c. (migliore della massima ufficiale): «in tema di dati personali, la legittimità del trattamento presuppone un consenso validamente prestato in modo espresso, libero e specifico, in riferimento a un trattamento chiaramente individuato; tale principio, di portata generale, rileva e prevale in ogni rapporto, e osta a ritenere che un trattamento possa considerarsi giustificato da un consenso funzionalmente diverso come quello espresso nel contesto di maggioranze necessarie ad approvare deliberati assembleari, ed in ispecie il deliberato assembleare di una società cooperativa, della quale il soggetto, del cui dato personale si tratti, sia socio lavoratore».


10. Società cooperativa edilizia e natura dell’autorizzazione dell’or­gano gestorio al recesso socio.

Cass. civ., sez. I, ord. 31 maggio 2022, n. 17667 (Pres. De Chiara, rel. Campese) Secondo l’art. 2532 c.c., il socio cooperatore può recedere dalla società «nei casi previsti dalla legge e dall’atto costitutivo», da comunicarsi alla società con lettera raccomandata, da esaminarsi entro sessanta giorni dalla ricezione ad opera degli amministratori, che vaglieranno la sussistenza dei «presupposti del recesso». Prevede il terzo comma che il recesso «ha effetto per quanto riguarda il rapporto sociale dalla comunicazione del provvedimento di accoglimento della domanda», e ne regola gli effetti dalla chiusura dell’esercizio in corso, se comunicato tre mesi prima, o, in caso contrario, con la chiusura dell’esercizio successivo. Sovente gli statuti delle società cooperative prevedono, pertanto, che il recesso debba essere “autorizzato” dal consiglio di amministrazione, o simili espressioni. La questione attiene alla valenza di tale clausola, ai fini del perfezionamento del recesso. L’ordinanza in epigrafe – riformando la sentenza della corte d’appello, la quale aveva ritenuto viceversa non spettante il diritto di recesso al socio solo per aver conseguito l’alloggio, in quanto «è contrario ai principi mutualistici, che governano tale forma societaria, che un socio possa liberarsi da ogni impegno, anche di natura economica, una volta conseguite le proprie personali finalità» ed «abbisognando di un provvedimento esplicito di accoglimento», in mancanza di fattispecie statutaria di «silenzio-assenso» – qualifica l’autoriz­zazione del c.d.a. come condizione di efficacia del recesso. Ricorda la S.C. che in generale il recesso, legale o convenzionale, resta un atto unilaterale recettizio, essendo «rimasto isolato, infatti, il tentativo (cfr. Cass. n. 812/1992) di qualificarlo come patto di opzione relativo ad un accordo di mutuo dissenso, essendosi osservato che esso, sostanzialmente affermando la primazia dello schema contrattuale, confliggeva con il rilievo attribuito agli atti unilaterali, ai sensi degli artt. 1173 e 1224 cod. civ., anche ai fini di incidere su situazione giuridiche preesistenti». Il recesso è, quindi, un atto unilaterale e non un accordo, e l’autoriz­zazione del c.d.a. o dell’assemblea è non un’accettazione ma [...]


11. Eccedenze di gestione nei consorzi e divieto di distribuzione degli utili.

Cass. civ., sez. I, ord. 31 maggio 2022, n. 17666 (Pres. De Chiara, rel. Campese) Un consorzio con attività esterna – volta alla stipula di contratti quadro con l’industria per l’acquisto di prodotti in favore delle consorziate – aveva prima distribuito e, poi, chiesto in restituzione all’impresa socia le c.d. eccedenze premi sede, esistendo la clausola statutaria, che escludeva ogni distribuzione degli utili ai soci. Si trattava di qualificare ed individuare la natura giuridica di tali eccedenze, le quali, in punto di fatto, costituivano attribuzioni patrimoniali direttamente riconosciute dai fornitori (grande industria) al consorzio. La tesi del consorzio era che le eccedenze di gestione, derivanti dall’attività di intermediazione svolta, fossero tecnicamente utili, la cui distribuzione era espressamente esclusa dallo statuto consortile. La S.C. affronta, dunque, la questione definitoria delle due nozioni e dei ristorni. Essa afferma che se, nell’accezione economico-finanziaria, l’utile è il risultato economico dell’attività aziendale pari alla differenza positiva tra ricavi e costi, quanto alla fase genetica non si differenza dalla eccedenza di gestione, che del pari costituisce la differenza positiva tra entrate e uscite di un certo esercizio. È la natura dell’ente, invece, a fare la differenza: se lucrativo, si tratta del­l’utile, quale «misura dell’utilità (per i soci) creata da quell’esercizio»; se non lucrativo (come associazioni, enti pubblici, consorzi, società consortili), è un avanzo di gestione, perché «misura ciò che “è avanzato”, che tuttavia non costituisce una ricchezza per i soci». Ma, aggiunge la Corte, è ben possibile che i consorzi, pure a prevalente carattere mutualistico, realizzino utili derivanti dai rapporti con il mercato esterno, tutte le volte che le entrate – contributi e corrispettivi – superino le uscite. Mentre reputa “assolutamente inconferente” il richiamo, al fine di una sua applicazione in via estensiva o analogica, alla disciplina dei «ristorni» propria delle società cooperative: atteso che la pratica del ristorno, così come prevista dall’art. 2545-sexies c.c., «attiene al vantaggio cooperativistico realizzato versando ai soci, a scadenze periodiche e [...]


12. Società fiduciaria in l.c.a., omessa vigilanza pubblica, solidarietà nel debito e prescrizione.

Cass. civ., sez. un., sent. 27 aprile 2022, n. 13143 (Pres. D’Ascola, est. Terrusi) La questione da risolvere atteneva all’applicabilità dell’art. 1310 c.c. ai fini dell’estensione all’organo pubblico, deputato alla vigilanza, dell’effetto interruttivo della prescrizione, in caso di insinuazione da parte dei fiducianti al passivo di società fiduciaria in l.c.a., per importi coincidenti con le perdite del capitale da essi subìte. Le Sezioni unite reputano l’estensione dell’effetto interruttivo, conclusione cui pervengono attraverso i seguenti passaggi logici: la qualificazione della domanda di insinuazione come volta al risarcimento del danno contrattuale verso la società fiduciaria per la cattiva esecuzione del mandato senza rappresentanza ad amministrare; la individuazione dell’azione di risarcimento del danno aquiliano da omesso controllo del Ministero; la sussistenza del nesso di solidarietà tra le obbligazioni, ai sensi dell’art. 2055 c.c., il quale pone l’ac­cento sulla sfera del danneggiato da più azioni od omissioni causalmente efficienti; la conseguente piena applicabilità dell’art. 1310 c.c. Ciò ha portato a disattendere la tesi (del Ministero), secondo cui si potrebbe parlare di solidarietà ex art. 2055 c.c. solo allorché sussista «identità del titolo, dell’oggetto e dell’interesse»; nonché la tesi accolta da Cass. n. 4683/2020, che reputa non configurabile la solidarietà tra l’insinuazione al passivo per i capitali fiduciariamente affidati e andati perduti, che sarebbe domanda di restituzione, e la domanda di risarcimento del danno contro l’autorità di vigilanza. La Corte ricostruisce, altresì, il procedimento di l.c.a., a norma degli artt. 201, 207, 208 e 209 l. fall., affermando che – ai fini della prescrizione del loro credito, che resta sospesa in modo permanente per tutta la durata della procedura concorsuale – vanno equiparate la situazione dei creditori opponenti (i quali, certamente, propongono con l’opposizione una «domanda giudiziale» ex art. 208 l. fall.), quella dei creditori ammessi d’ufficio, la cui partecipazione al concorso segua cioè, in via immediata, alla comunicazione del commissario liquidatore ex art. 207 l. fall., e quella dei creditori pretermessi che abbiano [...]


13. Giurisdizione in tema di società partecipate pubbliche.

Cass. civ., sez. un., ord. 17 maggio 2022, n. 15893 (Pres. Spirito, rel. Giusti, P.G. Mucci conf.) Cass. civ., sez. un., sent. 18 maggio 2022, n. 15979 (Pres. Spirito, est. Ferro, P.G. De Renzis diff.) Cass. civ., sez. un., sent. 28 giugno 2022, n. 20632 (Pres. Spirito, est. Graziosi, P.G. Finocchi Gherzi conf.) Cass. civ., sez. un., ord. 30 giugno 2022, n. 20902 (Pres. Amendola, rel. Scoditti) La Cassazione ha, negli ultimi anni, esteso l’àmbito della giurisdizione contabile, in relazione agli sprechi di denaro pubblico, e la sistemazione della materia si va avviando a maggior compimento. La Corte dei conti ha giurisdizione sulla responsabilità amministrativa per danno all’erario (artt. 103 Cost., 13 r.d. n. 1214/1934, 1 d.lgs. n. 174/2016). Numerose i caratteri peculiari di questo tipo di responsabilità: quali il rilievo unicamente dell’elemento soggettivo del dolo e della colpa grave, la non trasmissibilità agli eredi, la natura parziaria, la possibilità per il giudice contabile di limitare il risarcimento a una parte del danno, il rilievo dei vantaggi ricevuti dall’amministrazione, la impossibilità di rinuncia o transazione, la perdurante legittimazione attiva del p.g. in caso di procedura concorsuale. La principale questione posta dalle società a partecipazione pubblica è in realtà il coinvolgimento in tale tipo di responsabilità degli esponenti aziendali della società, per il resto retta dal diritto privato. L’art. 12, secondo comma, d.lgs. n. 175/2016 – dopo avere richiamato al primo comma, in coerenza con la disposizione di chiusura dell’art. 1, terzo comma, le azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali verso i componenti degli organi di amministrazione e controllo, nonché la giurisdizione della Corte dei conti per le società in house, quale portato della giurisprudenza del giudice della giurisdizione – contempla il danno «subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque dei titolari del potere di decidere per essi, che, nell’esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione». Le quattro decisioni in epigrafe affrontano l’interpretazione di tali regole, con [...]


14. Ordinanze di rimessione in tema di conferimento d’azienda delle banche di credito cooperativo e in tema di autorità portuali.