Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
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Il ruolo del white paper sulle offerte al pubblico di cripto-attività alla luce della proposta MiCA (di Salvatore Casarrubea)


La proposta MiCA, nel regolare il white paper sulle offerte di crypto-assets, sembra tenere in considerazione i benefici e i limiti dei sistemi di voluntary e di mandatory disclosure, non optando integralmente né per il primo, né per il secondo. In quest’ottica, se può condividersi l’approccio regolamentare diretto a graduare, a seconda della tipologia di token offerto, sia il contenuto che l’assoggettamento del documento a mera notifica o ad approvazione ex ante da parte dell’Autorità competente, dubbi sorgono in ordine all’indistinta allocazione dell’onere della prova in capo all’oblato, nei casi di violazione della disciplina del relativo white paper.

Parole chiave: white paper; cripto-attività; initial coin offering; proposta MiCA

The role of the white paper on initial coin offerings in the light of the MiCA proposal

The MiCa proposal, in the regular white paper on crypto-assets offerings, seems to take into account the benefits and limitations of voluntary and mandatory disclosure systems, not opting for either the former or the latter in full. On one hand, one can agree with the regulatory approach aimed at adapting the content of the white paper to the type of token offered and at making the white paper either subject to mere notification or to the approval by the competent Authority depending on the asset offered. On the other hand, doubts arise on the indistinct allocation of the burden of proof to the user, in case of infringement of the relevant white paper framework.

Keywords: composition with creditors; shareholders’ meeting; Italian Bankruptcy Code; EU Directive 2019/1023; neutrality principle

Sommario/Summary:

1. Premessa. - 2. La classificazione e la qualificazione giuridica dei token offerti: fattispecie ancora aperte. - 3. Il primo momento delle ICOs: il white paper. - 4. La tutela rimediale tramite gli obblighi di disclosure secondo la proposta MiCA. - 5. Il white paper: a) sui crypto-assets diversi dai token collegati ad attività e dai token di moneta elettronica. - 6. (segue). b) sui token collegati ad attività. - 7. (segue). c) sui token di moneta elettronica. - 8. Voluntary o mandatory disclosure? - 9. Sul controllo dell’Autorità di vigilanza. - 10. Sull’onere della prova nella responsabilità da white paper: brevi spunti de iure condendo. - 11. Considerazioni conclusive. - NOTE


1. Premessa.

Il fenomeno delle offerte al pubblico di cripto-attività (conosciuto anche come “Initial Coin Offerings”, di seguito più brevemente “ICOs”) si inserisce tra quelli che, all’interno del settore del Fintech, maggiormente pongono ai legislatori e ai regolatori nazionali ed europei l’esigenza di contemperare l’in­teresse delle piccole e medie imprese, che si affacciano ad un mercato nuovo, a non essere eccessivamente onerate da obblighi di trasparenza, con l’ob­biettivo di approntare una tutela effettiva dei consumatori e degli investitori non qualificati [1]. Per far fronte a tale sfida, con la Proposta di Regolamento «on Markets in Crypto-assets» (di seguito anche “MiCA”), pubblicata il 24 settembre 2020, la Commissione Europea ha fatto ricorso alla disclosure regulation, obbligando l’emittente che voglia offrire al pubblico le proprie cripto-attività a redigere e pubblicare un documento preliminare, più comunemente noto come “white paper”, diretto a fornire informazioni alla parte meno avveduta del rapporto o, più in generale, al pubblico. L’iniziativa in esame, ricalcando il trend normativo presente nei settori bancario, finanziario e assicurativo [2], estende le logiche della trasparenza obbligatoria anche al nuovo mercato dei valori digitali. Ciò in conformità ad una tecnica di regolazione, di cui parte della dottrina ha rilevato, stanti gli innumerevoli obblighi informativi [3] imposti dai legislatori o dalle Autorità di regolazione, l’«abuso» [4] e l’«ubiquità» [5], pur senza disconoscere le difficoltà di far fronte al problema delle asimmetrie informative [6] tra l’imprenditore discloser e il consumatore/investitore non qualificato disclosee e a quelli di selezione avversa e di eventuale azzardo morale. In quest’ottica, l’iniziativa regolamentare in parola, nell’introdurre l’obbli­gatorietà del white paper, già del resto socialmente diffuso nelle operazioni di offerte al pubblico di crypto-assets, fornisce spunti per tornare a riflettere sul tema, tradizionalmente esaminato soprattutto a livello internazionale con riguardo ai mercati finanziari, dell’utilità o meno del regime di mandatory disclosure, non dovendosi, però, trascurare le [...]


2. La classificazione e la qualificazione giuridica dei token offerti: fattispecie ancora aperte.

Le offerte al pubblico di cripto-attività [7], com’è ormai noto, sono nuove operazioni di raccolta di capitale, basate sull’impiego della tecnologia block­chain (o, meglio, dei sistemi di Distributed Ledger Technology), per il finanziamento di progetti imprenditoriali, il cui utilizzo è cresciuto esponenzialmente a partire dal 2013 [8]. I dati raccolti dallo studio «Advice to ESMA. Own Initiative Report on Initial Coin Offerings and Crypto-Assets» pubblicato il 19 ottobre 2018, dal Securities and Markets Stakeholder Group (ESMA) danno il senso della dimensione del fenomeno [9]. Senza l’ausilio dei tradizionali intermediari [10], tali operazioni consentono ad imprenditori individuali, società o altri network di sviluppatori [11] di rivolgersi al pubblico, offrendo in vendita i token digitali (ossia, “rappresentazioni” digitali di valore o di diritti) in cambio di moneta avente corso legale o altre cryptocurriencies, al fine di finanziare progetti imprenditoriali di vario tipo [12]. Com’è noto, i token, emessi nel contesto di una ICO, si prestano a «veicolare qualsiasi contenuto» [13], costituendo una forma di documentazione crittografica di qualsiasi asset legato al mondo reale. Ogni emittente è infatti libero di determinare la struttura e la funzione – finanziaria o meno – che in concreto il token offerto può assumere. Tale varietà, in uno con l’assenza di una terminologia comune e di una regolazione armonizzata, ha sollevato non pochi dubbi interpretativi in ordine alla corretta sussunzione di tali fattispecie all’interno delle categorie già note (i beni, il denaro, la moneta elettronica, gli strumenti finanziari, i prodotti finanziari “atipici” ecc.). Nell’ottica di una sistemazione tipologica dei “prodotti” offerti, l’iniziativa regolamentare suindicata, ha adottato una classificazione tripartita, distinguendo tra: crypto-assets collegati ad attività; quelli di moneta elettronica; e quelli diversi dalle prime due categorie (per lo più riconducibili ai token di utilità). Tale tassonomia è parzialmente sovrapponibile – almeno con riguardo a queste due ultime categorie testé menzionate – alla classificazione tradizionale dei crypto-assets, condivisa dalla letteratura internazionale [...]


3. Il primo momento delle ICOs: il white paper.

È frequente che le operazioni di offerta al pubblico di valori digitali (i token, come si diceva) si snodino attraverso quattro diversi momenti, il primo dei quali, che potrebbe essere denominato “informativo”, è corredato da un’attività di marketing condotta attraverso diversi canali (forum, social media, chat private) e dalla pubblicazione sul sito internet dell’emittente di un white paper; dopo questa fase iniziale, si dà luogo in via di prassi alla prevendita dei token offerti (c.d. “pre-ICO”), ossia la vendita di detti strumenti ad un prezzo più vantaggioso riservata a particolari investitori (generalmente, coloro che hanno particolari capacità tecniche o dotazioni patrimoniali), i quali, quindi, potranno rivendere gli asset acquistati lucrandone la differenza di prezzo. La pre-ICO consente all’emittente di far fronte, almeno in parte, ai costi iniziali dell’operazione e di ricevere un primo feedback del mercato in relazione alla stessa. Il terzo momento è quello dell’offerta al pubblico vera e propria, in cui l’emittente rende noto il proprio indirizzo digitale a cui inviare il corrispettivo per l’acquisto del token [21]: se, alla scadenza del termine fissato, la raccolta avrà raggiunto l’ammontare minimo prestabilito (c.d. min cap), l’attivazione dello smart contract [22], operante sulla blockchain e programmato secondo la logica “if-then” [23], consentirà lo scambio automatico tra il token offerto e il corrispettivo richiesto [24]. L’ultima fase, che si pone al di fuori dell’operazione in senso stretto, è quella eventuale del “listing”, in cui il token già venduto riceve una seconda vita con l’ammissione alle piattaforme di negoziazione (i c.d. exchanges), permettendosi in tal modo agli acquirenti di scambiare il prodotto acquistato con valuta avente corso legale o con altre cryptocurriencies: la presenza di un mercato secondario [25], com’è evidente, conferisce liquidità al bene acquistato, ma, in assenza di una regolamentazione normativa, è soggetta alle regole di ammissione, negoziazione e custodia della piattaforma prescelta, la quale assume il ruolo indispensabile di intermediario nell’incontro tra domanda e offerta di cripto-attività [26]. Ritornando al primo momento, oggetto di [...]


4. La tutela rimediale tramite gli obblighi di disclosure secondo la proposta MiCA.

Considerato il quadro descritto, la proposta di regolamento «on Markets in Crypto-assets» [41] mira espressamente a realizzare quattro obbiettivi: 1) la certezza del diritto, affinché le cripto-attività si sviluppino in un sistema giuridico chiaro; 2) il sostegno all’innovazione, per promuoverne lo sviluppo in un mercato lealmente concorrenziale; 3) adeguati livelli di tutela dei consumatori e degli investitori, stanti i numerosi rischi correlati al fenomeno; 4) la stabilità finanziaria, in ragione dell’impatto che le cripto-attività potrebbero avere ove ampiamente diffuse fra il pubblico [42]. Nel tentativo di realizzare tali obbiettivi e, segnatamente, di conseguire un livello adeguato di tutela dei consumatori e degli investitori non qualificati, la Proposta pone a carico dell’emittente l’obbligo di adottare un documento preliminare all’offerta. L’approccio della Proposta, nella regolazione del fenomeno, non pare particolarmente innovativo; innanzitutto, perché, come anticipato, rende obbligatorio uno strumento che spesso accompagna volontariamente, sia pure con forme e contenuti di volta in volta eterogenei, le offerte di taluni assets diffusi fra il pubblico e, in secondo luogo, in quanto alcune Autorità nazionali avevano, sia pure in forma embrionale, già delineato i tratti salienti del white paper. In Italia, l’obbligatorietà del white paper era già stata presa in considerazione nell’iniziativa condotta dalla Consob, con il Documento per la Discussione del 19 marzo 2019 sulle offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività, poi conclusa con il Rapporto finale del 2 gennaio 2020 [43]. Secondo l’Authority italiana «un approccio idoneo a bilanciare l’esigenza di non introdurre eccessivi oneri, ma di avere presidi di tutela degli investitori, sia quello di non prevedere requisiti organizzativi/patrimoniali, concentrando invece l’attenzione sulla trasparenza», dovendosi prevedere la pubblicazione di un white paper contenente delle informazioni minime come «elementi sull’operazione (utilità dei token, impego delle risorse, rendimenti ecc.), sulle cripto-attività (numero, valorizzazione, sistemi di incentivi, negoziabilità ecc.) e sulle piattaforme di exchanges su cui le cripto-attività saranno negoziate». Anche [...]


5. Il white paper: a) sui crypto-assets diversi dai token collegati ad attività e dai token di moneta elettronica.

La Proposta di regolamento, all’art. 4, dopo aver delimitato l’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione, disciplina anzitutto, nell’alveo della tripartizione adottata, una categoria residuale – che per ciò solo meriterebbe forse di essere regolamentata per ultima – ossia le cripto-attività diverse dai token collegati ad attività o dai token di moneta elettronica; quest’ultimi rispettivamente regolati in seguito a partire dagli artt. 15 e 43. Benché abbia una tale marcatura residuale, tale categoria sembra in verità destinata prioritariamente a ricomprendere gli utility token [47], ossia, come visto in precedenza, gli assets che forniscono al possessore l’accesso digitale a un bene o a un servizio dell’emittente. Con riguardo a tale categoria, la Proposta regola dettagliatamente tanto il contenuto, quanto la forma, del relativo white paper. Muovendo dal primo, l’emittente di tale cripto-attività può offrire al pubblico o chiederne l’ammissione alla negoziazione su apposite piattaforme di scambio nell’Unione, purché abbia, tra gli altri requisiti, notificato all’Autorità competente dello Stato membro e pubblicato sul proprio sito web il relativo white paper, con un contenuto predeterminato ai sensi dell’art. 5, par. 1. A tale notifica non fa seguito una approvazione in via preventiva da parte dell’Auto­rità. Oltre a determinare il contenuto del white paper in positivo, l’art. 5 lo delimita anche in negativo, disponendo, al par. 4, che lo stesso non potrà contenere affermazioni in ordine al valore futuro dei crypto-assets offerti, a meno che l’emittente ne garantisca la realizzazione. Ciò a tutela prudenziale di coloro che potrebbero aderire all’offerta sul mero presupposto di un valore inesistente in rerum natura al momento dell’acquisto e che, in seguito, potrebbe non realizzarsi. Quanto, invece, alla forma del documento, oltre a dover essere chiaro e non fuorviante, esso dovrà essere redatto in almeno una delle lingue ufficiali dello Stato membro d’origine o – per non porre ostacoli all’impiego della lingua inglese, comunemente utilizzata per la redazione dei white paper – «in una lingua comunemente utilizzata negli ambiente della finanza internazionale» ex art. 5, par. 9. Quelli sopra descritti non [...]


6. (segue). b) sui token collegati ad attività.

L’art. 3, par. 1, n. 3, chiarisce che il token collegato ad attività (di seguito anche “asset-referenced token” o più brevemente “ART”) è un tipo di crypto-asset «che intende mantenere un valore stabile» collegato a quello di altre monete fiduciarie aventi corso legale, o di una o più merci, o di una o più cripto-attività, oppure di una combinazione fra esse. Si tratta di asset idonei, per la non volatilità del valore da essi mantenuto nel tempo, ad essere impiegati eminentemente come mezzo di pagamento e, quindi, per loro natura, ad essere potenzialmente destinati ad un’ampia diffusione tra il pubblico (per questo, spesso denominati anche come “stablecoin”). Ne deriva che il loro regime normativo sembra mirare non tanto alla tutela dei potenziali aderenti all’offer­ta, ma piuttosto a garantire prioritariamente interessi di più ampia portata generale; non è infatti da escludere che, in futuro, il loro diffuso utilizzo, grazie alle grandi piattaforme del web, possa avere incidenze sulla stabilità finanziaria e sulla politica monetaria dell’Unione. In questa prospettiva, la proposta “MiCA” sembra assoggettare tale categoria di cripto-attività ad un regime giuridico più rigoroso, non solo per la previsione di una procedura autorizzativa – non contemplata, invece, per la prima categoria – ma anche per il contenuto più gravoso del white paper. Muovendo dalla prima, a norma dell’art. 15, par. 1, nessun emittente di tali crypto-assets offre al pubblico o chiede l’ammissione alla negoziazione nelle relative piattaforme di scambio, se non dopo aver ricevuto l’autorizzazione dell’Autorità competente dello Stato membro d’origine. L’operazione, tuttavia, è esente dal controllo autorizzativo, ma non dalla redazione del documento stesso, se rivolta esclusivamente a investitori qualificati e i token possano essere esclusivamente da questi detenuti, ovvero se il loro importo medio in circolazione non supera i cinque milioni di euro (o l’importo equivalente in un’altra valuta) entro i dodici mesi [51]. Quanto al secondo profilo, anche per gli asset-referenced token la proposta “MiCA” detta il contenuto, sì ricalcando la disciplina prevista per la prima categoria, ma, al contempo, prevedendo [...]


7. (segue). c) sui token di moneta elettronica.

L’art. 3, par. 1, n. 4, definisce gli e-money token, come una categoria di cripto-attività «il cui scopo principale è quello di essere utilizzato come mezzo di scambio e che mira a mantenere un valore stabile facendo riferimento al valore di una moneta fiduciaria avente corso legale». Anch’essi, per la loro natura, sono spesso considerati “stablecoin” e se sostenuti da una riserva di attività potrebbero acquisire credibilità come strumento di scambio e riserva di valore [53]. Stante l’evidente affinità, tali token, per espressa previsione di cui all’art. 43, par. 1, lett. c), sono da considerare quale moneta elettronica come definita dall’art. 1, punto 2, della direttiva 2009/110/CE, sebbene ne costituiscano la versione tokenizzata [54]; il che peraltro potrebbe far sorgere il dubbio sulla necessità di introdurre una regolazione ad hoc, sennonché la disciplina sulla moneta elettronica e sui servizi di pagamento potrebbe non lasciare irrisolti i rischi profilati per la stabilità finanziaria, nel caso in cui i consumatori europei ne facessero ampio impiego. Tant’è che, al pari di quanto previsto per la moneta elettronica dall’art. 1, secondo comma, lett. h-ter, t.u.b., modificato dal d.lgs. 16 aprile 2012, n. 45, in attuazione della direttiva 2009/110/CE, i possessori di e-money token vantano un credito, pari al valore monetario memorizzato elettronicamente, nei confronti dell’emittente a norma dell’art. 44, par. 2; la norma aggiunge, nella sua seconda parte, che «è vietato qualsiasi token di moneta elettronica che non offra un credito a tutti i possessori». In questa prospettiva, a norma dell’art. 43, par. 1, la pubblica diffusione di electronic money token può avvenire se l’emittente è autorizzato quale ente creditizio o «istituto di moneta elettronica» ex art. 2, punto 1, della direttiva 2009/110/CE; rispetti i requisiti a quest’ultimi applicabili ai sensi dei titoli II e III della medesima direttiva, salvo espressa deroga prevista dalla proposta “MiCA”; e pubblichi il relativo white paper, regolarmente notificato all’Au­torità di vigilanza. Anche per la tipologia in parola, la proposta “MiCA” dispone regole puntuali di contenuto del documento informativo [55]. Mentre appaiono identici a quelli [...]


8. Voluntary o mandatory disclosure?

Nel prevedere l’obbligatorietà del white paper, l’iniziativa regolamentare non poteva non essere attratta nel tradizionale dibattito, sviluppatosi soprattutto con riguardo ai mercati finanziari, relativo ai benefici ed ai limiti del­l’introduzione di un regime di trasparenza obbligatoria. È da tempo, infatti, che in dottrina si esprimono dubbi sull’effettiva utilità della disclosure regulation [56] e, in particolare del tradizionale prospetto informativo [57], ai fini di tutela dell’investitore al dettaglio [58]. Dopo i primi studi empirici, volti a dimostrare che l’obbligo del prospetto non produce effettivi positivi, né sul piano della raccolta dei capitali, né su quello della redditività degli utenti, non sono mancate tesi favorevoli alla deregulation [59]. Nella prospettiva della voluntary disclosure, è stato evidenziato che la produzione di informazione al pubblico genera dei costi, sia diretti che indiretti [60], al punto da creare delle barriere all’ingresso al mercato per i nuovi emittenti non capaci di poterne sostenere il peso [61] e, in modo particolare, per le piccole e medie imprese. Una parte della dottrina, con riguardo alle informazioni societarie, ha evidenziato come «la produzione di informazioni implica economie di scala che fanno decrescere il costo in proporzione alla crescita delle dimensioni dell’impresa, sicché in genere le imprese maggiori informano meglio, mentre quelle minori possono trovare eccessivi i costi dell’informazione societaria» [62]. Tali costi, dunque, renderebbero più onerosa la raccolta di capitale, con notevoli ricadute sugli investitori che, in ultima analisi, finirebbero per sopportarne il peso. Al contrario, l’assenza della mandatory disclosure consentirebbe piuttosto all’emittente di produrre spontaneamente la quantità di informazioni idonea a segnalare al mercato la qualità dei propri prodotti, senza appesantire il costo della raccolta con informazioni sovrabbondanti e pregiudizievoli per l’utilità individuale degli investitori. Né, peraltro, si sottolinea, è empiricamente dimostrato che, in assenza di un regime di trasparenza obbligatoria, le società diano meno informazioni rispetto a quelle socialmente ottimali, o che i benefici derivanti da tale sistema superino i costi che [...]


9. Sul controllo dell’Autorità di vigilanza.

Ritenuta, per le ragioni anzidette, meritevole di apprezzamento la previsione obbligatoria del white paper, occorre adesso svolgere ulteriori brevi considerazioni sulla diversa questione della mancanza, in seno alla proposta regolamentare, di un regime esteso di controllo ex ante del documento da parte delle Autorità di vigilanza dei Paesi membri. Come anticipato, in virtù dell’approccio proporzionato prescelto dalla stessa Proposta, se, con riguardo ai token diversi (rectius: i token di utilità) sembra operare un regime di operatività più agile, essendo sufficiente, salvo le esenzioni sopra viste, la notifica del documento all’Autorità di vigilanza prima del­l’of­ferta al pubblico, altre considerazioni occorrono con riferimento ai token collegati ad attività e a quelli di moneta elettronica. Per tali categorie, infatti, viene delineato un regime autorizzativo, che per ciascuna di esse, come sopra meglio precisato, pare atteggiarsi diversamente. Nel primo caso – in cui si ravvisa il regime più rigoroso per l’emittente, anche per le potenziali refluenze che la diffusione fra il pubblico di tali assets potrebbe avere sulla stabilità finanziaria dell’Unione – l’offerta e il correlato documento informativo sono condizionate all’ottenimento di un’autorizzazione preventiva da rilasciare a seguito di un controllo eseguito sul terreno della legittimità e non del merito [103]; al pari di quanto ritenuto dalla dottrina prevalente sulla natura del controllo della Consob sul prospetto informativo – sottoposto, com’è noto, al preventivo controllo ex artt. 94-bis t.u.f. e 20, regolamento UE 2017/1129 [104] – anche quello in esame sembra essenzialmente riguardare il profilo della completezza e dell’adegua­tezza delle informazioni fornite al mercato, senza di contro avere ad oggetto il merito dell’operazione o tanto più la sua convenienza economica. Nel secondo, invece, detto procedimento autorizzativo non pare riguardare propriamente l’offerta e il relativo white paper, ma piuttosto l’emittente stesso, il quale, come anticipato, deve essere autorizzato quale ente creditizio o istituto di moneta elettronica ai sensi dell’art. 2, punto 1, della direttiva 2009/110/CE. Sul fronte degli interventi ex post, la proposta “MiCA”, invece, con riferimento [...]


10. Sull’onere della prova nella responsabilità da white paper: brevi spunti de iure condendo.

Nei casi al di fuori dalle esenzioni suindicate, il documento informativo preserva una funzione di rilievo anche successivamente al momento del­l’acquisto degli assets offerti. Nel regolare il regime della responsabilità degli emittenti delle cripto-attività per le informazioni fornite nel white paper, la proposta MiCA prevede che il loro possessore può chiedere all’emittente il risarcimento dei danni arrecati qualora lo stesso o il suo organo amministrativo, in violazione della disciplina loro riservata nell’iniziativa regolamentare, abbia arrecato un danno ingiusto, fornendo in seno al documento, originario o modificato, informazioni incomplete, non corrette o poco chiare [106]. Al riguardo, l’ampia formula impiegata, secondo cui «il possessore delle cripto-attività può chiedere un risarcimento […] per i danni che gli sono stati arrecati a causa di detta violazione» sembra ammettere la reintegrazione del pregiudizio economico, tanto per le perdite subite, quanto per il mancato guadagno, che si sarebbero evitati se vi fosse stata una completa ed esatta informazione. In tali casi, la proposta MiCA alloca in capo all’attore e, dunque, anche in capo al consumatore e al piccolo investitore, l’onere di provare l’avvenuta violazione della disciplina e l’incidenza che detta violazione abbia avuto sulla formazione del consenso al momento dell’acquisto. Ora, se si è trovato condivisibile l’approccio graduato della Proposta regolamentare con riguardo alla disciplina del white paper, non possono invece omettersi riserve sul fronte del private enforcement in caso di responsabilità civili ad esso collegate. Pare anzi che quello in esame sia il punto di frizione su cui possono ravvisarsi maggiori profili di possibile miglioramento della disciplina in itinere, giacché l’alloca­zione di tale peso in capo al consumatore/investitore retail sembra mettere in discussione l’effettività capacità di tutela della parte più debole da parte del sistema normativo proposto [107]. A ben vedere, il profilo dell’onere probatorio sembra presupporre la difficile questione, ancora non oggetto di diffusa esegesi tra gli interpreti – diversamente da quanto, invece, avvenuto in tema prospetto informativo [108] – della natura della responsabilità dell’emittente per false [...]


11. Considerazioni conclusive.

Al termine di questa disamina, non può tacersi come la proposta “MiCA” intenda affidare al white paper, salvi i possibili emendamenti durante l’iter di approvazione, tanto il ruolo di guida del contegno comportamentale dell’ade­rente all’offerta, quanto quello di strumento per il buon funzionamento del mercato dei crypto-asset. Nel tentativo di realizzare tali difficili obbiettivi, si è visto che l’iniziativa regolamentare privilegia l’esigenza di una disciplina obbligatoria della trasparenza, sia pure introducendo, a seconda delle diverse categorie di cripto-at­tività, meccanismi di esenzione dalla redazione del documento preliminare (come per gli utility token) o dal regime di autorizzazione preventiva (come per i token collegati ad attività e per gli e-money token). Il che induce a ritenere che, nell’ottica regolatoria, si tengano in considerazione rispettivamente i benefici e i limiti dei sistemi di trasparenza obbligatoria e volontaria, non optandosi, in definitiva, integralmente né per il primo, né per il secondo. D’altro canto, la previsione di tali obblighi informativi non sembra avvenire sul mero presupposto che l’oblato sia un soggetto razionale capace di rendere ottimale, in presenza delle informazioni necessarie, la propria utilità individuale. Infatti, benché non pare vi siano nei considerando richiami espliciti agli studi di finanza comportamentale, sembra si miri a tutelare i consumatori e gli investitori non qualificati e a far funzionare il mercato anche mediante il ricorso a sistemi di smart disclosure che passano attraverso la nota di sintesi (il c.d. executive summary) e la comunicazione marketing, quali documenti distinti da quello preliminare. Alla luce delle considerazioni fin qui svolte, inoltre, può essere valutato positivamente il tentativo di un approccio graduato, sia con riguardo ai vincoli contenutistici dei white paper, sia quanto al regime alternativo di mera notifica o approvazione ex ante in relazione ai diversi crypto-assets offerto. Tuttavia, sembra risultare ancora carente l’enforcement privato, non solo perché, come visto, la proposta “MiCA” addossa indistintamente in capo al­l’utente finale l’onere probatorio relativo all’inesattezza e non completezza del documento, ma anche tenuto conto che a questo peso vanno sommati i limiti che ciascun [...]


NOTE