Lo scritto esamina taluni profili giuridici concernenti il servizio di proxy advisory in favore degli investitori istituzionali. La figura dei proxy advisors ("PA") è espressamente presa in considerazione dalla Proposta della Commissione Europea di modifica della direttiva sui diritti degli azionisti (nel testo che tiene conto sia degli emendamenti proposti dal Consiglio Europeo, sia della posizione espressa dal Parlamento Europeo nel luglio 2015). Tale Proposta muove dall'assunto che la consulenza nel voto sia istituto appartenente all'area tematica del diritto societario e che la sua funzione consista nel ridurre i costi di agenzia indotti dal disallineamento tra interesse dei soci e interesse degli amministratori.
Nel sottoporre a revisione critica questo approccio, e in particolare i tentativi di ravvisare nell'attività dei PA un fenomeno di separazione tra interesse e voto (c.d. "empty voting") o di influenza sugli esiti assembleari potenzialmente fonte di una responsabilità "deliberativa" verso l'emittente, ilpaperavanza la tesi che l'interesse da proteggere sia piuttosto quello dei clienti finali dell'investitore istituzionale che ricorre ai servizi dei PA e propone, in questa prospettiva, di applicare al rapporto tra PA e investitore istituzionale il diritto della gestione collettiva del risparmio e, segnatamente, le norme in materia di esternalizzazione di funzioni aziendali essenziali o importanti.
The paper analyses the legal aspects of the proxy advisory service for institutional investors. The figure of proxy advisors ("PA") is expressly considered by the European Commission's proposal to amend the Shareholder Rights Directive (the "Draft Directive", in the version including both the amendments proposed by the European Council and the position of the European Parliament as of July 2015). The Draft Directive assumes that the advice on the vote is an institution belonging to the thematic area of corporate law, aiming at lowering agency costs caused by the misalignment between the shareholders' and the directors' interests.
The paper disputes the approach of the Draft Directive, and particularly the attempt to view the PA's activity as either a case of separation between economic interest and voting right (so-called "empty voting") or a case of influence on the shareholders' meetings outcomes which could cause a PA "deliberative" responsibility toward the issuer. It is argued that the interest to be protected would instead be that of the final clients of the institutional investor being advised by the PA. On this basis the paper suggests that the relationship between the PA and the institutional investor should be governed by European and domestic laws and regulations on collective asset management and, especially, by the provisions relating to the outsourcing of essential or important business operations, services or activities.
KEYWORDS: asset management company – proxy advisors – exercise of voting rights – fiduciary duties of asset managers
CONTENUTI CORRELATI: SGR - consulenti di voto - esercizio del diritto di voto - doveri fiduciari del gestore
1. Il problema. - 2. I proxy advisors come tecnica di riduzione dei costi transattivi del gestore. - 3. Proxy advisors e diritto societario. - 4. Proxy advisors e diritto del mercato finanziario: l’azione di concerto. - 5. (Segue): il parallelismo con le agenzie di rating. - 6. Proxy advisors e diritto della gestione collettiva del risparmio: il voto come dovere «organizzativo» della Sgr. - 7. (Segue): una proposta di disciplina. - NOTE
Il fenomeno della partecipazione della Sgr alle assemblee delle società emittenti i titoli nei quali è investito il patrimonio del fondo esibisce una precisa tensione sistematica: quella originata dalla circostanza secondo cui un atto fondamentalmente libero (nell'an) e discrezionale (nel quomodo) come l'esercizio del diritto di voto [1] diviene il contenuto di un obbligo di comportamento tipicamente rivolto al perseguimento di un interesse altrui [2]. Una consimile tensione pare rintracciabile anche nell'impostazione della recente Proposta di modifica della direttiva sui diritti degli azionisti la quale, muovendosi nel solco del Piano di azione sul diritto europeo delle società del 2012 [3], si prefigge l'obiettivo di «aumentare il livello e la qualità dell'impegno dei proprietari e dei gestori degli attivi nei confronti delle società partecipate», nel presupposto che un siffatto impegno costituisca «un elemento rilevante del modello di governo delle società quotate, basato su un sistema di pesi e contrappesi tra i diversi organi e i diversi portatori di interesse» [4].
Alla figura tecnica dell'obbligo di voto del gestore [5] viene assegnata, così, una duplice funzione: da un lato, quella di contribuire al monitoraggio sull'andamento della società emittente e di minimizzare i costi di agenzia nascenti dal rischio di un disallineamento tra interessi degli amministratori e interessi dei soci; dall'altro, quella di contribuire ad orientare la strategia di investimento del gestore alle aspettative di rendimento dei partecipanti ai fondi e di minimizzare i costi di agenzia nascenti dal rischio che la Sgr si serva delle prerogative di azionista per perseguire interessi propri o di società del gruppo di appartenenza [6], ad es. ove si tratti di consolidare eventuali relazioni d'affari con la società emittente.
Altrettanto note sono, però, le difficoltà alle quali si espone il tentativo di dare concretezza operativa ad un siffatto obbligo.
Tali difficoltà risiedono, in primo luogo, negli elevati oneri economici connessi alla acquisizione ed alla elaborazione delle informazioni necessarie ad un consapevole esercizio dei diritti amministrativi inerenti alle azioni detenute, con i conseguenti problemi di azione collettiva e di free riding che insorgono ogni qualvolta i benefici derivanti dalla fruizione di una risorsa non sono ripartiti in modo proporzionale ai costi sostenuti per la sua produzione [7]: problemi, in vero, tanto più acuti nel caso di gestori di portafogli marcatamente diversificati per i quali, in ragione della ridotta entità media delle partecipazioni detenute, si dimostra del tutto razionale adempiere quell'obbligo di voto mediante una pedissequa adesione alle proposte deliberative sottoposte dagli amministratori ai soci riuniti in sede assembleare [8].
Vi è inoltre da considerare come la statuizione di un rigoroso obbligo di voto in capo al gestore non coglierebbe il senso stesso della relazione intercorrente tra lo strumento della «voice» e quello dell'«exit» in sede di reazione a disfunzioni dell'organizzazione idonee a comportare una lesione del valore dell'investimento. Una relazione che sembra da intendersi non in termini di alternatività, bensì di complementarietà: sia perché, in un sistema normativo ispirato all'obiettivo di realizzare condizioni di efficiente determinazione del valore dei titoli quotati [9], le iniziative volte a migliorare la qualità del governo dei singoli emittenti possono tradursi in un incremento del prezzo delle azioni e quindi in condizioni più favorevoli per la successiva uscita [10]; sia in quanto la stessa scelta di disinvestimento, ove praticata da fondi titolari di pacchetti rilevanti di azioni (c.d. "blockholders") i cui gestori abbiano inutilmente tentato di confrontarsi con il management sulla direzione data alle politiche d'impresa, finisce con lo sviluppare una precisa incidenza segnaletica nei confronti degli altri investitori sul futuro andamento del prezzo di quelle azioni: con il tradursi cioè, in una parola, in uno strumento di voice sul governo societario dell'emittente [11].
Ma le denunciate difficoltà non restano confinate al piano di una distorsione degli incentivi del gestore, estendendosi anche al versante dell'inquadramento concettuale del fenomeno. Se, infatti, si considera la duplicità di ruolo della Sgr quale parte sia del rapporto "esterno" con l'emittente sia del rapporto "interno" con i possessori di quote del fondo, e ci si interroga sugli eventuali riflessi che il dovere di voto inerente a quest'ultimo rapporto è idoneo a sviluppare sul primo, emergeranno chiaramente tutte le aporie ricostruttive cui dà luogo quel cumulo di posizioni (azionista e mandatario). In vero, non solo risulta delicato costruire un interesse "comune" ai diversi fondi gestiti dalla stessa Sgr e quindi assommare il potere di voto immanente alle azioni presenti in quei fondi, stante l'indipendenza che contraddistingue le rispettive strategie di investimento pur con riguardo al medesimo emittente [12], ma, ed è quel che più conta in questa sede, neppure vi è alcuna garanzia che l'interesse dei partecipanti al singolo fondo collimi con quello dei soci della società emittente, atteso che, indipendentemente dalla tesi prediletta in ordine alla interpretazione di quest'ultimo concetto, e quindi anche ove se ne respinga una lettura in termini oggettivi o una focalizzazione sulle sole aspettative di medio e lungo termine dei soci [13], resterebbe comunque fermo che l'interesse "del" fondo si orienta non al valore e alla redditività della singola partecipazione, bensì a quella dell'intero patrimonio, e quindi all'insieme dei titoli che lo costituiscono [14], con conseguente spazio per "arbitraggi" della Sgr nelle scelte di voto da adottare nelle assemblee delle singole società partecipate.
E' nel contesto appena evidenziato che si inserisce l'emersione dei c.d. "consulenti in materia di voto" (proxy advisors, di seguito anche "PA"), i quali possono intendersi come una delle istituzioni elaborate spontaneamente dal mercato per risolvere i problemi di azione collettiva e di asimmetria informativa che strutturalmente gravano sulle scelte degli investitori [15]. E in vero tali consulenti, fornendo un servizio professionale consistente nell'esaminare le proposte di voto indicate all'ordine del giorno delle assemblee di società aventi sede nei più diversi ordinamenti e nel valutarne la rispondenza alle migliori pratiche di governo societario, consentono agli investitori istituzionali che si avvalgano di quel servizio di risparmiare in misura significativa sui costi, altrimenti proibitivi, di raccolta e analisi delle informazioni necessarie ad un consapevole esercizio del voto e di creare, anzi, la possibilità di un efficace coordinamento assembleare con altri investitori, ove si tratti di osteggiare l'assunzione di deliberazioni potenzialmente pregiudizievoli per il valore della partecipazione: un vantaggio, quello offerto dai PA, tanto più prezioso se si pone mente al fatto che il deciso incremento delle masse gestite può rendere assai impervia alla singola Sgr sia la strada della sistematica partecipazione a quelle assemblee (spesso concentrate in un solo periodo dell'anno, specialmente quando si tratti di rinnovo dell'organo amministrativo), sia la strada del disinvestimento, se non a prezzi e termini penalizzanti per il fondo [16].
Vi è anzi da considerare come il ruolo dei PA quali intermediari dell'informazione societaria sia, in realtà, duplice. Essi, infatti, non solo permettono, come si è appena visto, di risparmiare sui costi transattivi indotti dalla esigenza di valutare qualità e contenuti delle proposte deliberative formulate dagli amministratori, così canalizzando un flusso informativo verso gli investitori istituzionali, ma fungono nel contempo da meccanismo di aggregazione delle preferenze di questi ultimi in ordine ai temi del governo societario e delle politiche di remunerazione, così canalizzando un flusso informativo verso gli emittentie orientandone le determinazioni finali su quei temi [17].
A questa funzione di contenimento dei costi transattivi corrisponde, tuttavia, anche l'eventualità che i proxy advisors rendano più acuti i costi di agenzia immanenti sia al rapporto sociale [18], in ragione della separazione tra potere di gestione (spettante agli amministratori) e rischio di perdita dell'investimento (gravante sui soci), sia al rapporto di partecipazione al fondo, in ragione, ancora una volta, della separazione tra potere di gestione (spettante alla Sgr) e rischio di perdita dell'investimento (gravante sui partecipanti al fondo). Da un lato, infatti, è stata da tempo registrata la tendenza degli investitori istituzionali ad adempiere i propri doveri fiduciari in materia di voto mediante una recezione acritica delle raccomandazioni formulate dai PA [19]; dall'altro, si è sottolineato come tali raccomandazioni siano suscettibili di essere viziate da situazioni di conflitto di interessi ogni qualvolta il PA che le ha rilasciate abbia attribuito, dietro compenso, un rating al modello di governo societario dell'emittente cui quelle raccomandazioni di voto si riferiscono o presti addirittura in suo favore servizi di assistenza nella definizione di quel modello [20].
Ne consegue, stando a queste impostazioni, uno scenario nel quale i PA finiscono con l'esercitare indirettamente una influenza significativa sugli esiti stessi del procedimento assembleare, con il rischio che ciò avvenga ora in senso pregiudizialmente favorevole alle proposte articolate dall'organo amministrativo della società emittente, ove questa si avvalga delle prestazioni offerte dai PA, ora in senso pregiudizialmente contrario, in assenza di ogni relazione commerciale con questi ultimi. Si comprende, pertanto, alla luce delle superiori considerazioni la tendenza di taluni Autori ad allocare il nucleo logico dei problemi sollevati dall'utilizzo dei proxy advisorsnel campo del diritto societario e ad evocare ora un fenomeno di scissione tra voto e interesse analogo a quello che si suole comunemente definire di "empty voting" [21], ora a porsi l'interrogativo se sia configurabile una forma di responsabilità "deliberativa" del proxy advisor che abbia emanato raccomandazioni di voto inesatte in quanto prive di uno specifico riscontro nelle caratteristiche operative dell'emittente o nel contesto giuridico di riferimento [22].
In realtà, il fenomeno di dissociazione tra interesse e potere cui darebbe luogo la sistematica adesione dei fondi alle raccomandazioni provenienti dai PA non sembra manifestare autonomia concettuale rispetto ad altre situazioni nelle quali la direzione del voto è tracciata da un soggetto diverso dal titolare della sfera giuridica nella quale sono destinati a prodursi gli esiti dell'investimento: come è a dirsi, in particolar modo, per la rappresentanza assembleare [23] e come accade oggi con la regola della record date, la quale non a caso può essere (ed è stata) avvicinata alla materia delle deleghe di voto e che, in ogni caso, attesta come l'ordinamento societario tolleri ipotesi in cui il voto è esercitato da chi non abbia alcuna esposizione al rischio economico della partecipazione [24]. Vi è anzi da sottolineare come quel fenomeno di dissociazione, al pari della consulenza professionale prestata dai proxy advisors, possa servire a ridurre il problema dell'apatia razionale degli investitori nella misura in cui, ponendo le basi per la instaurazione di un mercato dei voti societari, concorre a convogliare tali diritti in capo a quegli azionisti che sono disposti a sostenere i costi per la ricerca e la elaborazione delle informazioni necessarie a un loro consapevole esercizio [25].
A non minori perplessità si espone, d'altro canto, il tentativo di fondare una responsabilità dei PA nei confronti dell'emittente per "illecita" influenza sul procedimento assembleare, ove la raccomandazione di voto (e la conseguente convergenza dei voti dei fondi nel senso indicato da tale raccomandazione) si sia tradotta nel rigetto di una deliberazione potenzialmente vantaggiosa per il patrimonio sociale. Se si considera, infatti, che il proxy advisor è parte di un rapporto giuridico con l'investitore istituzionale ed esclusivamente a quest'ultimo si volgono le sue prestazioni, l'unica fattispecie di responsabilità delineabile appare quella del contratto con effetti di protezione verso il terzo: ma di tale fattispecie mancano gli elementi costitutivi e, in particolar modo, sia il profilo della Leistungsnähe, sia quello della Gläubigernähein capo all'emittente [26]. La evocazione in capo al proxy advisor di una simile figura di responsabilità avrebbe, invece, maggior pregio se si identificasse il beneficiario di quegli effetti protettivi non nella società partecipata bensì nell'insieme dei partecipanti al fondo: se cioè, come si osserverà oltre (v. spec. paragrafi 6 e 7), si ponesse al centro della ricostruzione il rapporto tra Sgr e consulente e si riconducesse quindi l'esigenza di disciplina sollecitata dall'attività dei PA non all'area tematica del diritto societario bensì a quella della gestione collettiva del risparmio.
Volendo spostare il discorso sul terreno della potenziale rilevanza dell'attività dei PA per il diritto del mercato finanziario, ci si potrebbe interrogare sulla eventualità che l'adesione degli investitori istituzionali alle raccomandazioni espresse dallo stesso proxy advisor realizzi gli estremi di una «azione di concerto» ai sensi della disciplina europea e domestica delle offerte pubbliche di acquisto. Come noto, tale eventualità costituisce uno dei principali ostacoli alla instaurazione di forme di coordinamento tra gli azionisti di minoranza titolari di partecipazioni significative [27]: non è un caso, del resto, che negli ordinamenti in cui la nozione normativa di concerto appare affievolita e comunque meno stringenti risultano essere gli obblighi giuridici conseguenti al suo accertamento l'evidenza empirica attesti un dinamismo assai più accentuato dei fondi speculativi attivisti [28].
Qualunque sia la effettiva portata pratica del problema appena menzionato, deve escludersi, per gli scopi di queste brevi riflessioni, che il rapporto di consulenza intercorrente tra il PA e la Sgr sia idoneo a integrare la fattispecie dell'«accordo» prevista dall'art. 101 bis-comma 4, TUF. Gli è infatti che: (i)da un lato, le raccomandazioni di voto rivenienti dall'advisorrimangono confinate al rango di una mera proposta la quale, lasciando del tutto libero il destinatario di aderirvi, impone di escludere la sussistenza dell'elemento costitutivo del concerto, vale a dire l'impegno delle parti a dare attuazione a un programma preventivamente concordato [29], mentre (ii) dall'altro, l'"intesa" tra PA e investitore istituzionale alla base del rapporto di consulenza si presenta tipicamente rivolta all'abbattimento delle asimmetrie informative immanenti all'esercizio dei diritti di voto attribuiti dalle partecipazioni gestite dall'investitore istituzionale per conto altrui: una funzione, dunque, ben lontana da quella finalità di acquisizione, rafforzamento o conservazione del controllo che è alla base della figura di accordo rilevante per la disciplina sulle offerte pubbliche di acquisto e scambio obbligatorie [30].
Sotto altro profilo, vengono spesso sottolineate le similitudini esistenti tra i servizi di proxy advisory e quelli forniti dalle agenzie di rating, non solo sul piano funzionale, trattandosi in entrambi i casi di intermediari dell'informazione, ma anche sul piano strutturale, attesa la natura sostanzialmente oligopolistica dei due mercati [31] e il pericolo che la concentrazione di potere negoziale che ne consegue induca sia una eccessiva standardizzazione delle valutazioni espresse ("one-size-fits-all"), sia una mancanza di trasparenza delle metodologie impiegate per la formulazione di quelle valutazioni. Non sorprende, pertanto, che per il servizio di consulenza nel voto si ipotizzino schemi disciplinari in larga misura modellati sul calco delle proposte di volta in volta delineate per regolamentare l'attività delle agenzie di rating: dalla costituzione di un organo pubblico deputato a fornire ai privati il medesimo servizio di advisory offerto da ISS e Glass Lewis, al fine di incrementare il tasso di concorrenza nel mercato, alla istituzione di una vera e propria Autorità di Vigilanza sull'attività dei PA; dalla adozione di codici di comportamento recanti l'individuazione delle best practices condivise dagli operatori del settore [32], alla imposizione di obblighi di trasparenza sulle procedure e i metodi applicati nella elaborazione delle raccomandazioni di voto e sulle principali fonti informative utilizzate [33], sino ad arrivare alla configurazione di principî di separazione "soggettiva" della divisione preposta alla prestazione dei servizi di consulenza in materia di voto in favore dei clienti istituzionali dalla divisione preposta alla prestazione di servizi di assistenza agli emittenti in materia di valutazione della qualità del sistema di governo societario adottato [34].
E tuttavia neppure l'equivalenza funzionale istituita con le agenzie di rating appare sino in fondo convincente. Non solo, infatti, è diverso l'oggetto della valutazione, trattandosi, in un caso (quello del rating), di valutare il grado di solvibilità futura dell'emittente e quindi la qualità del suo capitale "di debito", nell'altro (quello dei PA) il contenuto di una deliberazione assembleare e quindi la qualità (del governo) del suo capitale "di rischio". Radicalmente diverso è anche il modocon il quale agenzie di ratinge PA intervengono a colmare le asimmetrie informative presenti sul mercato: in vero, mentre le prime operano per conto dell'emittente e svolgono dunque il ruolo di «segnalarne» all'esterno il merito di credito (c.d. "signaling"), i PA operano tipicamente per conto della parte meno informata, ossia l'investitore istituzionale che sia azionista di quell'emittente, e assolvono allora il compito di «controllare» l'affidabilità della proposta deliberativa sottoposta ai fondi dall'organo amministrativo della società partecipata (c.d. "screening") [35]. Il che induce a nutrire dubbi sulla efficienza di soluzioni che intendano far transitare nel campo dei PA modelli disciplinari elaborati per le agenzie di rating, se non altro in quanto tali modelli potrebbero generare indebite aspettative sulla loro idoneità a contenere i costi di agenzia sollecitati dall'impiego dei servizi di consulenza nel voto da parte degli investitori istituzionali con il conseguente rischio, puntualmente osservato, di una sostanziale immunizzazione di questi ultimi dal rischio di incorrere in responsabilità per inesatta esecuzione della prestazione di voto dovuta nei confronti dei partecipanti al fondo [36].
Proprio quest'ultimo rilievo induce a spostare il centro logico della analisi sul significato di quel dovere di voto e a porre, quindi, in relazione con le modalità del suo adempimento il conferimento da parte della Sgr di un incarico di consulenza al proxy advisor. In questa prospettiva, dovrebbe risultare evidente come l'interesse meritevole di essere protetto da una (qualsiasi) disciplina dei PA non possa intestarsi né all'emittente, né all'investitore istituzionale [37], bensì solo ed esclusivamente in capo ai clienti finali di quest'ultimo: ciò che induce a sottolineare come la dimensione operativa del problema sollevato dall'impiego dei PA non sia quella del diritto societario (e neppure quella, generica, del mercato finanziario) bensì quella della disciplina della gestione collettiva del risparmio.
Per rendersi conto di tale affermazione pare opportuno prendere le mosse dalla peculiare tecnica di cui si avvale l'ordinamento per conformare l'obbligo di voto del gestore nelle assemblee delle società partecipate dal fondo. A differenza di quanto è a dirsi per altri vincoli di comportamento della Sgr - e, segnatamente, per i limiti alla concentrazione funzionali ad assicurare la diversificazione del rischio - i quali si traducono in precetti caratterizzati da una specifica individuazione della fattispecie (rule), il dovere di voto della Sgr viene delineato dalla legge mediante ricorso a una clausola generale (standard) e allora in termini di inevitabile elasticità della fattispecie [38].
Ma quel che più interessa rilevare è che, in piena coerenza con una simile conformazione tecnica della fattispecie, l'ordinamento delinea l'esercizio del voto da parte della Sgr nelle assemblee delle società partecipate dal fondo alla stregua di un dovere di tipo organizzativo: se si vuole, come una obbligazione di mezzi e non di risultato.
Si consideri, in primo luogo, il dato ricavabile dall'art. 35-decies, comma 1, lett. e), TUF a mente del quale le Sgr, le Sicav e le Sicaf che gestiscono i propri patrimoni «provvedono, nell'interesse dei partecipanti, all'esercizio dei diritti di voto inerenti agli strumenti finanziari di pertinenza degli Oicr gestiti, salvo diversa disposizione di legge» (enfasi aggiunta) [39].
Si consideri, soprattutto, l'indicazione ricavabile dal Regolamento delegato UE n. 231 del 19 dicembre 2012, recante integrazioni alla direttiva 2011/61/UE in materia di gestori di fondi di investimento alternativi [40], il cui art. 37 - al quale rinvia l'art. 34 del Regolamento Congiunto Consob-Banca d'Italia del 29 ottobre 2007 (come aggiornato con atto del 19 gennaio 2015) in materia di organizzazione e procedure degli intermediari che prestano servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio - prescrive al gestore sia l'obbligo di elaborare «strategie adeguate ed efficaci per determinare quando e come vadano esercitati i diritti di voto detenuti nel portafoglio del FIA gestito, a esclusivo beneficio del FIA e dei suoi investitori», sia l'obbligo di mettere a disposizione degli investitori, su loro richiesta, «una sintesi delle strategie e i dettagli delle misure adottate sulla base di dette strategie» [41].
Ebbene, tale prescrizione, la quale ricalca in larghissima misura [42] quella già contenuta nell'art. 21 della direttiva 2010/43/UE del 1° luglio 2010 (recante modalità di esecuzione della direttiva 2009/65/CE), pone l'accento sulla elaborazione di una strategia, ossia di una procedura idonea a disciplinare le ipotesi ("quando") e le modalità ("come") di partecipazione alle assemblee delle società i cui titoli figurano nel fondo, nonché a prevenire o gestire i conflitti di interessi potenzialmente sollecitati dalle scelte di voto [43]. Una prospettiva, questa, nella quale tali scelte costituiscono, a ben vedere, attuazione dei criteri secondo cui la Sgr intende organizzare la prestazione del servizio di gestione collettiva [44] e che impone di contestare non solo la legittimità di una condotta meramente passiva, che si traduca cioè nel "disinteresse" sistematico per l'esercizio del voto [45] o, il che è lo stesso, in una sistematica ed acritica adesione alle proposte dell'organo amministrativo, ma anche il fondamento di una soluzione che metta capo all'obbligo della Sgr di esercitare sempre e comunque il voto inerente alle azioni e agli strumenti finanziari in portafoglio. Una prospettiva che apre spazio, allora, a una considerazione differenziata della misura di diligenza professionale richiesta nell'adempimento della prestazione di voto [46] e, in particolar modo, alla possibilità di tener conto non solo della entità della partecipazione detenuta e della natura dell'emittente, ma anche e soprattutto della strategia di investimento perseguita dal gestore [47], nonché della rilevanza della materia posta all'ordine del giorno ai fini della attuazione di quella strategia [48].
Da quanto osservato discende altresì che, se all'esercizio del voto da parte della Sgr si vuole conservare il significato tecnico di una regola di comportamento(e v., appunto, la rubrica dell'art. 35-deciesTUF), il referente di tale obbligo non può essere rinvenuto nell'interesse della società partecipata a un efficiente monitoraggio dell'azione dei suoi amministratori, indipendentemente da ogni valutazione sul fenomeno dell'"attivismo" [49], bensì solo nell'interesse dei partecipanti al fondo a una efficiente gestione del loro investimento [50].
Si tratta, insomma, ancora una volta di tenere nettamente separato il piano del rapporto sociale da quello del rapporto di gestione e di collocare la specificità giuridica del voto della Sgr sul secondo versante, traendone anche le conseguenti implicazioni operative, come è a dirsi, ad es., per l'irrilevanza, ai fini della validità della deliberazione assembleare, sia di un esercizio del voto lesivo dell'interesse dei partecipanti al fondo [51] sia, specularmente, dell'ipotesi in cui il perseguimento di tale interesse possa collidere con quello della società i cui titoli figurano nel fondo: l'applicazione dell'art. 2373 c.c. dovendo restare, piuttosto, circoscritta al caso in cui l'interesse extrasociale abbia natura diversa dall'interesse dei partecipanti al fondo [52] in quanto intestabile alla stessa Sgr ("per conto proprio") o ad altra entità del gruppo di appartenenza ("per conto di terzi") [53].
Se si condivide quanto precede, e cioè che l'interesse alla cui tutela dovrebbe volgersi una qualsiasi disciplina dell'attività dei PA è in realtà quello dei clienti finali dei gestori che si avvalgono dei loro servizi, possono forse immaginarsi modelli di regolamentazione alternativi rispetto a quelli sinora avanzati e consistenti preminentemente, come si è visto, nell'impiego di regole autodisciplinari o nella imposizione di obblighi di trasparenza [54].
Una prima possibilità consiste nel riportare la prestazione di raccomandazioni in materia di voto entro l'alveo della disciplina europea dei servizi di investimento e, più in particolare, nell'assoggettarla alle regole di comportamento previste dalla direttiva MiFID e dalle misure di secondo livello in ordine alla «consulenza in materia di investimenti» [55]. Come noto, la nozione europea di consulenza ruota intorno al concetto di «raccomandazione» e ne presuppone la rilevanza ai fini della disciplina MiFID quando, per un verso, essa presenti natura "personalizzata", tenga cioè conto delle «caratteristiche del cliente» e, per altro verso, abbia a oggetto «una o più operazioni relative ad un determinato strumento finanziario» [56].
Una tale qualificazione richiede, peraltro, un espresso intervento del legislatore, poiché, allo stato attuale, non sembra possibile far ricadere la raccomandazione di voto del proxy advisor entro i confini del servizio di consulenza. Da un lato, infatti, la raccomandazione di voto si presta ad esser considerata "personalizzata" solo in quanto tenga conto delle caratteristiche del singolo emittente cui si riferisce, e non invece di quelle del cliente che l'ha sollecitata (secondo quanto previsto, invece, dalla disciplina in materia di consulenza agli investimenti); dall'altro, essa si incentra sugli esiti di una deliberazione assembleare, cioè su di un valore giuridico, non invece sugli esiti di una operazione di investimento, cioè su un valore economico [57].
Il trattamento giuridico del servizio di proxy advisory in chiave di «servizio di investimento» consentirebbe, comunque, di porre le premesse per imporre al proxy advisor il rispetto di quei requisiti di indipendenzae di adeguatezza nonché di registrazione presso la Consob che gravano oggi su chiunque presti il servizio di consulenza in materia di investimenti, indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto abilitato. E consentirebbe, altresì, di offrire risposta ai problemi centrali che, si è visto, solleva l'attività dei proxy advisors, ossia la mancanza di trasparenza nel processo di elaborazione delle raccomandazioni di voto e il pericolo di conflitti di interessi, ove l'advisor presti consulenza all'emittente in ordine alla qualità del suo assetto di governo societario. L'applicazione della disciplina sulla consulenza in materia di investimenti comporterebbe, infatti: (i)in ordine al primo versante, la soggezione dell'adviso rai doveri di informativa preventiva e periodica previsti dagli artt. 27 ss. del Regolamento Consob n. 16190/2007 e (ii) in ordine al secondo profilo, l'obbligo del proxy advisor di dotarsi di procedure idonee alla gestione del conflitto (ad es., mediante una separazione organizzativa della struttura deputata alla ricerca, analisi e elaborazione delle raccomandazioni di voto, rispetto alla struttura deputata al rilascio di ratingsul governo societario degli emittenti), al fine di soddisfare al meglio gli interessi del cliente [58].
In assenza di norme di diritto positivo che regolino il rapporto esistente tra il gestore e il proxy advisor ci si potrebbe chiedere, d'altro canto, se sia al riguardo invocabile la disciplina dettata in materia di esternalizzazione di funzioni aziendali essenziali o importanti dagli artt. 19 ss. del Regolamento Congiunto [59].
In senso contrario sembrerebbe deporre l'art. 20, comma 2, del predetto Regolamento il quale sottrae al novero delle funzioni aziendali considerate "essenziali" o "importanti" sia la prestazione all'intermediario «di servizi di consulenzae di altri servizi che non rientrino nell'ambito delle attività di investimento» (lett. a), sia «l'acquisto di servizi standardizzati, compresi quelli relativi alla fornitura di informazioni di mercatoe di informazioni sui prezzi» (lett. b); e non vi è dubbio che le raccomandazioni di voto dei proxy advisors si prestino, in principio, ad esser considerate alla stregua di una consulenza offerta elaborando, il più delle volte, proprio informazioni in veste standardizzata[60].
Anche in tal caso, dunque, pare necessario un esplicito intervento del legislatore volto ad estendere al rapporto tra Sgr e proxy advisor la disciplina in materia di outsourcing. Una simile scelta normativa avrebbe il pregio di imporre al PA l'obbligo di ordinare le raccomandazioni di voto sulla base delle specifiche esigenze del gestore e delle caratteristiche del suo processo di investimento: in definitiva, dunque, di tener conto in via esclusiva dell'interesse dei partecipanti ai fondi amministrati dalla Sgr. Tale opzione legislativa consentirebbe, inoltre, di rafforzare l'obbligo del gestore di esercitare un controllo sull'operato del service provider, non solo riaffermandoil divieto di una acritica adesione alle proposte di voto ricevute come pure di una delega spoliativa delle valutazioni relative all'esercizio dei diritti corporativi inerenti alle partecipazioni gestite, ma anche quello di verificare nel tempo che il PA di cui ci si avvale abbia adottato e mantenga adeguate misure per la identificazione e il trattamento di eventuali situazioni di conflitto di interessi [61]. E si tratterebbe, infine, dell'unico approccio normativo davvero coerente con il significato che in queste pagine si è inteso ascrivere al rapporto di proxy advisory: quello, cioè, di rappresentare un modo attraverso il quale la Sgr è abilitata a organizzare le proprie strategie di investimento e quindi, in definitiva, la prestazione del servizio di gestione nei confronti del pubblico.
Cfr. par. 1 della Relazione alla Proposta COM (2014), 2013 final del 9 aprile 2014 e il considerando n. 8, nel testo che tiene conto sia degli emendamenti proposti dal Consiglio Europeo (c.d. "Coreper" del 25 marzo 2015), sia della posizione espressa dal Parlamento Europeo alla data dell'8 luglio 2015: cfr. il documento del Consiglio Europeo del 28 luglio 2015 (reperibile all'indirizzo http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-11243-2015-INIT/en/pdf e al quale si farà riferimento nel seguito come alla "Proposta"). Per una analisi dell'approccio europeo v. G.Balp,Regulating proxy advisors through transparency: pros and cons of the EU approach, p. 8 ss. delpaper presentato al VII Convegnoannuale dell'Associazione Italiana dei Professori Universitari di Diritto commerciale "Orizzonti del Diritto Commerciale", Roma, 26-27 febbraio 2016; A.Morini, Proxy advisors: attività e prospettive regolatorie, inBanca, borsa, tit. cred., 2015, I, 759 ss., spec. 774 ss.; nonché l'editoriale di F.Denozza,Quale quadro per lo sviluppo dellaCorporate Governance?, in questaRivista, n. 1/2015, 9 ss.; ampia documentazione sull'iter legislativo in corso si rinviene nel medesimo numero dellaRivista, nella sezione "Materiali".
Cfr. J.A.McCahery-Z.Sautner-L.T.Starks, Behind the Scenes: The Coprorate Governance Preferences of Institutional Investors, in Journal of Finance, June 2015, p. 12 ss. del paper disponibile all'indirizzo http://ssrn.com/abstract=1571046. E v. anche il Principio n. 3 delloStewardship Code di Assogestioni, ove si contempla espressamente l'eventualità che il disinvestimento costituisca «una misura adeguata per tutelare gli interessi degli investitori».
Cfr. D.F.Larcker, A.L.McCall, G.Ormazabal, Outsourcing Shareholder Voting to Proxy Advisory Firms, in 58 J. L. & Econ.(2015), 173 ss.; e v., nel senso di caratterizzare i proxy advisorscome «specialized informational intermediary», già B.Black, Shareholder Activism and Corporate Governance in the United States, 1997, p. 7 del paperdisponibile all'indirizzo http://ssrn.com/abstract=45100. Nella nostra dottrina si v. P.Montalenti,Mercati finanziari, investitori istituzionali e società quotate: analisi e proposte, inRiv. soc., 2015, 957 s.; A.Morini, Proxy advisors, cit., 764 ss.; G.Balp,Regulating proxy advisors through transparency, cit.; N.Ciocca,I consulenti di voto negli Stati Uniti (Possibili indicazioni per il legislatore europeo), in corso di pubblicazione in questaRivista. Nella versione iniziale della Commissione, il "consulente in materia di voti" viene definito come «una persona giuridica che fornisce, a titolo professionale, raccomandazioni agli azionisti riguardanti l'esercizio dei loro diritti di voto» (art. 2, lett.i). Più articolata la posizione del Consiglio, secondo cui «'proxy advisor' means a legal person that provides analyses, on a professional and commercialbasis, the corporate disclosures of listed companies with a view to informing investors' voting decisions by providing research, advice or votingrecommendations to shareholders on that relate specifically tothe exercise of their voting rights».
Cfr. D.F.Larcker, A.L.McCall, G.Ormazabal,Outsourcing Shareholder Voting to Proxy Advisors, cit., 173 ss. anche per la definizione dei consulenti in materia di voto come «informative conduit between institutional investors and firms». Si v. anche S.J.Choi, J.E.Fisch, M.Kahan,The Power of Proxy Advisors: Myth or Reality?, in 59Emory L. J.(2009-2010), 884 e 906, sottolineando come la natura di ISS quale "information agent" derivi dalla sua capacità di basare le proprie raccomandazioni di voto su criteri considerati importati dai clienti istituzionali e di identificare decisioni di voto coerenti con le preferenze di questi ultimi.
Cfr. S.J.Choi, J.E.Fisch, M.Kahan,Voting Through Agents, cit., p. 18 ss.
Si tratta di osservazione diffusa: v., per tutti, H.Fleischer,Zukunftsfragen der Corporate Governance in Deutschland und Europa: Aufsichträte, institutionelle Investoren,Proxy AdvisorsundWhistleblowers, inZGR, 2011, 155 ss., spec. 170 ss.
E v., infatti, respingendo sia la possibilità di ricorrere alla figura del "Vertrag mit Schutzwirkung für Dritte", sia la possibilità di immaginare l'esistenza di un affidamento dell'emittente legalmente protetto ("gesetzliches Vertrauensverhältnis"), K.Langenbucher,Stimmrechtsberater, inFestschrift für M.Hoffmann-Becking, München, 2013, 735 ss.
Se si vuole, dunque, una funzione dicoordinamentoche non attinge alla soglia concettuale delconcerto: sulla centralità della distinzione tra questi due aspetti dell'interlocuzione extrassembleare dei soci v. G.Guizzi,Gli investitori istituzionali, cit., 111; nonché, per la constatazione secondo cui «il concerto ha quale requisito indefettibile la presenza di un accordo» e sulla rilevanza dell'«elemento teleologico», M.Gargantini,op. cit., 2137 e 2142.
Su origine, rilievo pratico e politiche di voto dei due principali operatori statunitensi, vale a dire Institutional Shareholder Service ("ISS") e Glass Lewis, v., in luogo di molti, T.C.Belinfanti, The Proxy Advisory and Corporate Governance Industry, cit., 390 ss.; e, prestando peculiare attenzione alle raccomandazioni di voto elaborate con riferimento alle politiche di remunerazione degli emittenti, v. Y.Ertimur, F.Ferri, D.Oesch, Shareholder Votes and Proxy Advisors: Evidence from Say On Pay, 2013, p. 7 ss. del paperdisponibile all'indirizzo http://ssrn.com/abstract=2019239.
E' la soluzione fatta propria dalla Proposta: cfr. l'art. 3decies. V. ampiamente G.Balp,Regulating proxy advisors through transparency, cit., p. 8 ss. delpaper.
Analoga osservazione si legge, per il diritto statunitense, in A.Palmiter,Mutual Fund Voting of Portfolio Shares: Why not Disclose?, in 23Cardozo L. Rev.1419 (2001-2002), 1445 («heavy-handed regulation» sui limiti alla concentrazione, a fronte di «vague, virtually unenforced rules» in materia di esercizio del voto).
Cfr., nuovamente, l'art. 21, par. 2, lett.c). Si tratta della soluzione predicata anche negli Stati Uniti dalla SEC: v.Disclosure of Proxy Voting Policies and Proxy Voting Records By Registered Management Investment Companies, Investment Company Act Release No. 25922, 17 C.F.R. 239, 249, 270, 274 (Jan. 31, 2003).
E v., infatti, segnalando la tendenza dei gestori a considerare l'esercizio del diritto di voto come un problema dicompliance, più che come un segmento del processo di investimento idoneo a incrementare il valore del patrimonio del fondo, M.Belcredi, S.Bozzi, A.Ciavarella, V.Novembre,Proxy advisors and shareholder engagement, cit., 7. Nello stesso solco concettuale si muove anche la Proposta: cfr. i considerando nn. 11 e 12 e l'art. 3-septies.
E v. R.Lener,La SGR come socio, cit., 283 s.; G.Leggieri,op. cit., 626; A.Zizzi, nelCommentario al TUF, a cura di C.Rabitti, Milano, 1998,subart. 40, 316. Si noti che, nell'odierno assetto normativo, non è stata riprodotta l'originaria formulazione dell'art. 32, comma 1, del Regolamento Congiunto la quale faceva precedere il riferimento alla elaborazione di una strategia di voto dall'inciso «ove richiesto dalle caratteristiche del servizio di gestione prestato»: il che induceva parte della dottrina a qualificare comeeventualel'esercizio del diritto di intervento e di voto da parte della Sgr (così M.Stella Richter jr,Intervento e voto, cit., 445).
E v. S.J.Choi, J.E.Fisch, M.Kahan,Voting Through Agents, cit., 8 i quali sottolineano come, ad es., la materia della elezione delle cariche sociali sia «much more information intensive».
E v. infatti P.O.Mülbert, Aktiengesellschaft, Unternehmensgruppe und Kapitalmarkt2, München, 1996, 138 (ove il rilievo secondo cui, nella prospettiva dell'investitore istituzionale, «i diritti amministrativi assolvono una funzione strumentale, essi servono all'amministrazione dell'investimento nel suo interesse») e 143 (ove l'osservazione secondo cui «i diritti amministrativi, in un diritto organizzativo orientato all'investitore, servono a una amministrazione dell'investimento che ne massimizzi l'utilità»); cfr. anche F.Bordiga,Partecipazione degli investitori istituzionali alla s.p.a. e doveri fiduciari, cit., 210 e 221 ss. (il quale peraltro riconosce in capo all'investitore istituzionale un dovere di correttezza nei confronti della società partecipata e dei relativi soci). La attinenza dell'esercizio del voto attribuito dalle azioni inserite nel fondo al momento esecutivo del rapporto digestione con gli investitori emergeva, del resto, con sufficiente chiarezza nella precedente formulazione dell'art. 40, comma 3, TUF il quale, per l'ipotesi di dissociazione soggettiva tra Sgr promotrice del fondo e gestore, attribuiva a quest'ultimo, in mancanza di patto contrario, il potere-dovere di curare quell'esercizio (v. infatti V.Troiano,op. cit., 421, sottolineando la «coerenza tra i compiti di gestione e l'esercizio dei diritti di voto relativi agli strumenti finanziari ricompresi nel fondo»). Essa emerge con altrettanta chiarezza, nel sistema riformato della gestione collettiva del risparmio, nel precetto che funzionalizza il voto all'«interesse esclusivo» degli investitori finali: cfr. il considerando n. 16 («interesse esclusivo degli OICVM») e l'art. 21, par. 1, («esclusivo beneficio dell'OICVM») della direttiva 2010/43/UE, nonché l'art. 37, par. 1, del Regolamento n. 231/2013 («esclusivo beneficio del FIA e dei suoi investitori») e il già menzionato art. 35-decies, comma 1, lett.e), TUF («interesse dei partecipanti»). E in una prospettiva simile si muovono anche i Principi diStewardship di Assogestioni, i quali hanno lo "scopo", tra l'altro, di «garantire un solido legame fragovernance e processo d'investimento».
Il voto espresso in modo pregiudizievole per le ragioni dei quotisti integrerà invece una violazione degli obblighi di diligenza e correttezza gravanti sulla Sgr e legittimerà una azione individuale risarcitoria dei partecipanti: cfr. V.Troiano,op. cit., 421. Più in generale, sul problema della responsabilità (sia patrimoniale, sia risarcitoria) della Sgr nella prestazione del servizio di gestione collettiva del risparmio v. G.Ferri jr,L'incapienza dei fondi comuni di investimento tra responsabilità patrimoniale e responsabilità per danni, in corso di pubblicazione in "Profili evolutivi della disciplina della gestione collettiva del risparmio" a cura di R.D'Apice, Bologna, Il Mulino; P.Spolaore,Gestione collettiva del risparmio e responsabilità, inRiv. soc., 2015, 1138 ss.
Cfr. la definizione offerta dall'art. 1, comma 5-septies, TUF e le considerazioni di F.Parrella,Consulenza in materia di investimenti, inL'attuazione della MiFID in Italiaa cura di R.D'Apice, Bologna, 2010, 183 ss.
In ciò risolvendosi, come già osservato, una delle più ricorrenti critiche all'operato dei PA, il fatto cioè di elaborare e divulgare informazioni eccessivamente standardizzate, le quali non tengono conto delle peculiarità del contesto normativo ed economico nel quale operano gli emittenti alle cui assemblee si riferiscono le raccomandazioni di voto.