Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
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Il contratto 'monofirma' e le Sezioni Unite della Cassazione. Un dialogo a più voci (di Andrea Perrone, Francesco Denozza, Aurelio Mirone, Lara Modica, Roberto Natoli, Danilo Semeghini)


Il presente dibattito prende spunto dalla recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, che si sono pronunciate sulla questione della validità del contratto quadro relativo ai servizi di investimento prodotto in giudizio e recante la sola sottoscrizione del cliente. Il dibattito coinvolge studiosi di diverse discipline.

The So-Called 'Single Signature' Contract and the Joint Divisions of the Supreme Court: A Dialogue of Voices

The present debate takes cue from the recent ruling of the Joint Divisions of the Supreme Court of Cassation, which have addressed the issue of the validity of the investment services framework contract that has been produced in a civil trial and is signed by only one party - namely, by the client. Scholars from different disciplines participate in such debate.

KEYWORDS:  Investment services framework contract  - “Single signature” contract - Invalidity - Form of the contract 

D.: Le decisioni della Corte di Cassazione sulla forma dei contratti per la prestazione dei servizi di investimento[1] e dei servizi bancari[2] affrontano problemi di interpretazione di norme relative a specifici contratti (artt. 23 TUF e 117 TUB). Il che evoca il tema, oggi sempre più rilevante, del rapporto tra parte generale e discipline speciali dei singoli tipi contrattuali. Si potrebbe dire che il precedente orientamento, che richiedeva la sottoscrizione di entrambe le parti - e, nella specie, del rappresentante della banca[3] -, giunge a conclusioni diverse, in quanto dà maggiore rilevanza ai principi di parte generale rispetto alle peculiarità del caso regolato dalla norma specifica? Oppure la concezione del rapporto tra parte generale e norme specifiche è, nella specie, irrilevante? Dal punto di vista di una elaborazione teorica di tale rapporto, la vicenda del "monofirma" consente di trarre qualche rilevante insegnamento?

Mirone- La sentenza delle Sezioni Unite muove dal lodevole intento di esplorare le particolarità del settore finanziario sul piano degli interessi in gioco e delle risposte ordinamentali più congrue a tali assetti. Nonostante il terreno delle "nullità" sia forse uno dei meno adatti per esplorare l'applicazione di canoni elastici come quello della "proporzionalità", sono apprezzabili sia il tentativo della sentenza di evitare schematismi rigidi nell'applicazione delle tradizionali figure codicistiche, sia quello di predisporre degli argini (sia pure forse troppo "a monte") rispetto a talune forme di possibile esercizio "abusivo" dei diritti del cliente, come quello rappresentato dall'impugnazione selettiva delle (sole) operazioni finanziarie  in perdita.

Tuttavia, le argomentazioni utilizzate dalla sentenza per ricostruire una figura di forma scritta radicalmente alternativa rispetto a quella codicistica - nella quale la sottoscrizione dell'intermediario viene surrogata dalla mera predisposizione del modulo contrattuale e quella del cliente riportata ad un mero consenso informato - risultano non del tutto convincenti, non tanto perché il legislatore non possa ricorrere a figure di tal genere (qualificabili come forma-procedimento e non come formaad substantiam), ma perché mancano a mio avviso sia nel TUB che nel TUF riferimenti testuali e storici che avvalorino tale ipotesi sul piano della volontà del legislatore.

La chiave utilizzata dalla sentenza per determinare nella materia un vero solco tra parte generale dei contratti e regole speciali di settore, e cioè la pretesa funzione meramente "informativa" della forma in ambito bancario e finanziario, risulta anch'essa non del tutto convincente. Nella regolazione europea dei contratti bancari e finanziari gli adempimenti informativi sono, infatti, tendenzialmente collocati nella fase precontrattuale e sono autonomamente disciplinati, sicché la scelta - quanto si vuole ostinata e discutibile - del legislatore nazionale, costantemente esercitata in sede di attuazione delle direttive, di rinviare anche in tal caso al modello dell'art. 117 TUB, non sembra presentare altro significato plausibile se non quello di un rinvio ai tradizionali schemi della forma scritta propria della "parte generale". Il sistema conosce del resto svariate ipotesi nelle quali le prescrizioni formali avrebbero, seguendo la logica della sentenza, una funzione eminentemente informativa, e per le quali il legislatore invece ha confermato la necessità della sottoscrizione da parte dell'impresa predisponente (artt. 1888, comma 2, c.c.; 35, comma 1, cod. tur.; 2, l. 192/1998; 1742 c.c).

Il tentativo di delineare nel comparto finanziario una regola antitetica a quella codicistica non sembra, pertanto, pienamente riuscitode jure condito, anche se legislatore e regolatore dovrebbero effettivamente porsi il problema di regolamentare in modo più innovativo i meccanismi di formazione del contratto in ambito finanziario, per adeguarli sia alla rivoluzione tecnologica in corso (che inevitabilmente tende al superamento della sottoscrizione autografa), sia alle esigenze di collocamento e distribuzione al pubblico dei servizi finanziari (o almeno di quelli - non tutti - che presentano un elevato livello di standardizzazione: in particolare, il principale ostacolo alla standardizzazione dei servizi bancari classici è dato dal rilievo sempre maggiore che il sistema normativo attribuisce su vari piani al merito creditizio del singolo cliente).

Più in generale, pur non condividendo nello specifico la soluzione "settoriale" adottata dalle Sezioni Unite, resta impregiudicato ed anzi auspicabile un approccio volto ad indagare sempre istanze, esigenze e caratterizzazioni proprie dei vari ambiti di mercato, che ben possono determinare soluzioni interpretative particolari, soprattutto se convalidate da basi normative che diano un adeguato supporto.

In tal senso sia il diritto finanziario che il diritto dei consumi appaiono sempre più ricchi di norme che offrono risposte innovative rispetto ai tradizionali meccanismi civilistici, e che presentano una forza espansiva ancora poco esplorata: si pensi, solo ad es., all'art. 72, comma 4, cod. cons., che prevede l'integrazione automatica del contratto con le informazioni pre-contrattuali e il divieto di modificare le stesse in sede contrattuale; l'art. 120-undeciesTUB, che preclude la risoluzione del contratto per inadempimento all'intermediario in caso di violazione di doveri di condotta in fase precontrattuale (con riferimento al merito creditizio); l'art. 125-ter, comma 1, TUB, che prevede un differimento potenzialmentesine diedel recesso penitenziale (con esiti concretamente non molto diversi da quelli di una nullità relativa) in caso di mancato adempimento degli obblighi informativi precontrattuali.

Il "dialogo" tra parte generale e parte speciale richiede pertanto un'opera di attenta analisi degli interessi in gioco e delle soluzioni normative, che ben può condurre di volta in volta ad esiti anche molto diversi, dovendosi rifuggire da impostazioni che privileginoa priorila logica dell'armonia generale o quella della frammentazione del sistema. E gli stessi criteri dovrebbero valere nel difficile rapporto che a sua volta si viene a creare all'interno dei comparti speciali tra le norme di carattere più generale (si pensi agli artt. 116 ss. TUB) e norme attenenti a vari sotto-comparti ancor più settoriali (artt. 120-quinquiesss. TUB).

 

Natoli- La c.d. parte generale del contratto - e, più in particolare, la disciplina sulla forma - postula un'economia fondiaria i cui scambi sono preceduti da puntuali trattative tra le parti: le regole del codice civile sembrano pertanto costituire una generalizzazione delle dinamiche e dei principi che governano la compravendita immobiliare. Questa circostanza, a ben vedere, incrinaex sela pretesa "portata generale" delle norme codicistiche, mettendo così in discussione la stessa possibilità di applicare tali regole al diritto "speciale" dei mercati finanziari senza un preventivo controllo di compatibilità.

Ciò premesso, è necessario però constatare che il giurista sembra soffrire di una sorta di "precomprensione civilistica", che lo porta a leggere le norme di diritto speciale con le tradizionali categorie del diritto civile, mettendo invece in secondo piano quegli elementi di novità portati dalle regole che presiedono al funzionamento mercato finanziario. In questa prospettiva, la forma diventa necessariamente un elemento "strutturale" del contratto, finalizzato a dare certezza e immutabilità alla manifestazione di volontà delle parti: nondimeno, la realtà "empirica" induce a dubitare che questa sia la funzione svolta dalla forma nell'ambito del diritto finanziario, suggerendo così soluzioni ermeneutiche differenti. Tale conclusione trova poi ulteriore conforto nel fatto che, all'interno dello stesso codice civile - e non a caso, probabilmente, a disciplina di un'operazione economica come l'assicurazione (ad es. l'art. 1888, comma 2, c.c.) - ci sono regole che senz'altro assegnano alla forma del contratto compiti diversi.

 

Modica- A dispetto del clamore che ha preceduto ed accompagnato l'esito interpretativo fatto proprio dalle Sezioni Unite, la soluzione della validità del contratto "monofirma" è a ben vedere assai meno eccentrica di quanto non appaia d'acchito, non solo ove raffrontata con il fenomeno recente compendiato nell'espressione "neoformalismo negoziale", ma anche al cospetto della disciplina generale delineata dal codice civile.

Già qui, infatti, a profilarsi è un sistema articolato e composito della forma nel quale, accanto al paradigma del formalismoad substantiamtradizionalmente correlato ad una nullità assoluta, totale ed insanabile, trovano spazio modelli alternativi che testimoniano una complessità irriducibile al nudo dualismo validità/prova e talvolta sporgono dalla rigidità dello schema abitualmente tracciato a partire dallo scarno - ed in fondo ambiguo - dettato dell'art. 1325, n. 4, c.c., il quale, elevando la forma a requisito essenziale quando essa (non "è" ma) risultaprescritta sotto pena di nullità, sembra evocare l'individuazione del carattere costitutivo della forma quale risultato di un'operazione interpretativa.

Solo a mo' di esempio, si pensi alla peculiare fisionomia che il precetto di forma assume, anche con riguardo alle conseguenze del suo difetto, nell'atto costitutivo delle società di capitali, o nella convenzione sugli interessi ultralegali o nel patto di assunzione in prova del lavoratore o in tema di accettazione della donazione (art. 782, comma 2); ed, ancora, ai moltiescamotagescui la giurisprudenza, anche di legittimità, ha talvolta fatto ricorso per accordare rilevanza alla esecuzione di una promessa sguarnita dei dovuti requisiti formali, o per riconoscere efficacia al negozio abdicativo (correlato alla circolazione immobiliare) ancorché amorfo.

Per rimanere al tema del contratto "monofirma", ed alla sua solo apparente novità, è sufficiente ricordare poi che già l'ampia casistica in tema di formazione giudiziale del contratto solenne infrange il nesso tra testo scritto e sottoscrizione, seppure limitatamente alla prospettiva dell'ex nunc, al pari di ciò che, in modo ancor più cristallino, accade all'art. 2705 c.c. («il telegramma ha l'efficacia probatoria della scrittura privata se l'originale consegnato all'ufficio di partenza è sottoscritto dal mittente, ovvero se è stato consegnato o fatto consegnare dal mittente medesimo, anche senza sottoscriverlo») ove è posta all'evidenza una piena equiparazione tra sottoscrizione e comportamento del consegnare. Equiparazione, peraltro, non limitata al terreno probatorio, posto che la regola secondo cui un documento è scrittura privata solo se sottoscritto da entrambe le parti non è affatto esplicita, deducendosi piuttosto dall'art. 2702 c.c., a sua volta però dedicato esclusivamente alla efficacia probatoria della scrittura privata, di cui non fornisce alcuna definizione sul piano sostanziale.

Accanto al modello centrale e generale di forma scritta declinata come scrittura privata quale documento corredato di firme autografe la cui mancanza condanna l'atto ad una nullità di struttura inconciliabile con qualsivoglia recupero, il codice, dunque, lascia prefigurare e legittima soluzioni divergenti che, per quanto marginali, aprono ad una possibile diversificazione di soluzioni e rimedi.

Il tratto autenticamente inedito che il neoformalismo negoziale esibisce rispetto ad una realtà già sufficientemente molteplice sta, dunque, non tanto o non solo nella originalità degli schemi proposti, quanto piuttosto nella loro pervasività e diffusione, in coerenza con l'affermarsi delle nuove funzioni che il formalismo (ed anche la sottoscrizione) sono chiamate ad assolvere. In altre parole, mi sembra che il sistema che ha ad oggetto relazioni asimmetriche - al di là di differenze non trascurabili tra le molte specialità - abbia dato vita ad un corpo normativo sufficientemente consolidato in grado di esplicitare regole diverse da quelle desumibili dal codice, ma non necessariamente in rapporto di contrapposizione o negazione. Regole che aspirano anch'esse ad avere portata generale all'interno del sistema di riferimento, con tutto ciò che ne consegue in termini di interpretazione analogica e "circolazione trasversale" dei modelli (significativo, in proposito, l'art. 35, comma 1, codice turismo, nel cui testo il legislatore ha ritenuto necessario precisare che «al turista deve essere rilasciata una copia del contratto stipulato e sottoscritto dall'organizzatore o venditore», così riaffermando,apertis verbis, un principio di "diritto generale dei contratti" la cui applicabilità al caso di specie era, dunque, tutt'altro che scontata).

 

Mirone- L'eterogeneità dei paradigmi e dei modelli normativi rinvenibili nell'ambito della contrattazione diseguale, in ambito finanziario e non, potrebbe costituire un ostacolo alla delineazione di un modello unitario di forma particolarmente depotenziato - come quello immaginato dalle Sezioni Unite - e valido per ambiti così estesi, ed unificati solo dal dato della predisposizione dell'offerta contrattuale da parte dell'impresa, ben potendo sussistere fattispecie (e fra queste, stando al testo dell'art. 58, par. 1, Reg. UE 2017/565, proprio il contratto-quadro per i servizi di investimento) per le quali potrebbe essere giustificato un rafforzamento delle tutele, che giustifichi alla fine l'adozione dei classici paradigmi codicistici (indipendentemente dalle esigenze originarie per le quali questi ultimi sono nati).

È altresì vero che lo strumento della sottoscrizione autografa - ma di entrambe le parti, e non solo del predisponente - non può non considerarsi in via di progressivo superamento: si affermeranno certamente presto altri sistemi per attribuire con adeguata certezza la paternità di un atto, e tali sistemi potrebbero spostare l'attenzione dai requisiti di struttura del contratto alla certificazione delle procedure organizzative ed alla vigilanza sul loro corretto funzionamento (si pensi alla presunzione di veridicità - difficilmente contrastabile dal cliente - che l'ABF riconosce alle risultanze dei sistemi informatici delle banche in ordine alla corretta digitazione di PIN e codici di vario genere nell'utilizzo dei sistemi di pagamento).       

 

Semeghini- La vicenda giurisprudenziale del contratto "monofirma" fa emergere la rilevanza di alcune coordinate fondamentali, che possono fungere da criteri ordinatori per l'interprete nel declinare il rapporto tra la parte generale e i vari settori speciali del sistema.

Innanzitutto, determinanti risultano la finalità concretamente assolta dallaregula iurise la rilevanza che si è disposti ad attribuire a tale elemento (qual è la funzione della regola di forma nel caso in questione e che rapporto ha con la funzione della forma generale?).

Alla luce di questa finalità, assumono rilievo, in secondo luogo, le caratteristiche tipiche della realtà regolata e degli interessi protetti (nel caso di specie, se la finalità della regola di forma è la protezione dell'investitore, la sottoscrizione della banca serve o non serve a tal fine?); in questa prospettiva, con riferimento alla forma contrattuale, possono così venire meglio in luce e essere ricondotte a ragionevolezza anche le differenze che si potrebbero riscontrare - e che dovrebbero pertanto essere evidenziate dalla giurisprudenza - tra i contratti bancari e i contratti per la prestazione dei servizi d'investimento.

In terzo luogo, non si può prescindere dalle categorie fondamentali e ordinanti "di parte generale", che restano un punto di riferimento anche quando l'interprete sia chiamato a muoversi all'interno di un diritto speciale: per esempio, la tradizionale distinzione tra regole di validità e regole di comportamento può essere messa in discussione dalle nullità di protezione, ma rimane comunque necessaria per metterle a fuoco e comprenderne le implicazioni.

Rimanendo ancorati a tali coordinate si possono certamente raggiungere esiti interpretativi diversi, in funzione dei tratti tipici della realtà regolata, ma al contempo si garantisce la coerenza sistematica e si evita una disordinata frammentazione.

 

Denozza- Sulla questione del rapporto tra parte generale e parte speciale, credo che la portata della parte generale vada valutata non solo in rapporto alle singole norme che contiene, ma anche in considerazione dei principi e delle nozioni di cui è portatrice (e che alimentano la "precomprensione civilistica" riprendendo l'evocativa espressione usata prima da Natoli).

Voglio banalmente dire che è il riconoscimento generale della libertà di forma dei contratti che consente di discutere dello specifico problema (in questo caso del "monofirma") in una certa prospettiva. In un ordinamento ispirato da rigido e sistematico formalismo, lo stesso problema si sarebbe trovato ad essere esaminato da punti di vista decisamente diversi.

Venendo alla questione della forma in generale, tradizionalmente (penso ad es., al fondamentale lavoro di Fuller su Consideration and Form)[4] si è soliti assegnare alla forma diverse funzioni, potendo tale requisito alternativamente rappresentare: (1) un fattore di certezza con riferimento alla manifestazione della volontà delle parti; (2) un presidio per garantire un'adeguata ponderazione delle conseguenze scaturenti dalla conclusione di un contratto; (3) uno strumento con cui l'autonomia privata può più facilmente "canalizzare" i propri obiettivi (nelle parole di Fuller la forma «offers channels for the legally effective expression of intention»).

In ogni caso, la forma "si spiega", ed è necessariamente strumentale alla sostanza del rapporto cui inerisce e per la quale essa è prescelta dalle parti o dal legislatore: il tema, dunque, diventa quello del rapporto tra forma e sostanza.

Ciò premesso, occorre osservare che la disciplina generale del contratto quale delineata dal codice civile è senz'altro in crisi a causa dello "scarto" tra le preoccupazioni principali che avevano mosso il legislatore del 1942 e le esigenze di una società che lo sviluppo della divisione sociale del lavoro ha reso sempre più complessa. Riprendo qui il punto già toccato da Natoli e cioè lo stereotipo generale di contratto (che Natoli ritiene costruito soprattutto sul modello del trasferimento della proprietà fondiaria) e di contesto sociale che aveva in mente il legislatore del codice civile. Cerco di rappresentare questo anacronismo del codice in termini giuridici più astratti.

Diciamo allora, pur con ovvie ed enormi semplificazioni, che la disciplina codicistica è per lo più volta a rendere "difficile" il procedimento di conclusione di un contratto (ogni minimo dubbio circa l'effettivo incontro delle volontà può escludere l'esistenza del contratto; tendenza non solo italiana come ovvio: si pensi al famoso caso delle due navi entrambe denominate Peerlessricordato da Gilmore in La morte del contratto[5]. Correlativamente, il legislatore si preoccupa di rendere il più "facile" possibile l'accertamento di tale circostanza (conclusione o non conclusione del contratto) regolando minuziosamente i modi in cui può avvenire l'incontro delle volontà. Ben minore attenzione è dedicata al contenuto dell'accordo, quasi interamente rimesso all'autonomia privata.

La complessità dell'economia e della società contemporanee spinge invece in opposta direzione che è quella di ridurre drasticamente lo spazio concesso alla libera negoziazione delle parti, enfatizzando piuttosto l'esigenza di assicurare la facilità degli scambi e di "massimizzare" la "quantità" di transazioni, il che richiede, tra l'altro, gli elevati livelli di standardizzazione assicurati dai vari divieti di ricorso a clausole abusive e di abuso più in generale, e dai vari obblighi di buona fede, che impediscono occasionali approfittamenti. Da quest'angolo visuale, la disciplina della forma deve allora adattarsi ad assumere come prevalente la funzione che Fuller chiamava di "canalizzazione" delle transazioni, mentre sbiadiscono gli altri compiti poco sopra individuati. Così, ad esempio, la necessaria formalizzazione del contratto quadro nella prestazione dei servizi d'investimento e l'inderogabilità del suo contenuto servono soprattutto a fissare una volta per tutte le "regole del gioco" (così esentando le parti da qualsiasi ulteriore trattativa) e a sottrarre la conclusione dei singoli contratti d'investimento ad ulteriori, potenzialmente disincentivanti, oneri formali.

 

Natoli- Seguendo il filo del ragionamento di Denozza, si potrebbe forse soggiungere che, nell'ambito del diritto finanziario, il requisito formale assolve, anche, allo scopo di rendere al cliente più semplice la possibilità di opporre eccezioni all'intermediario: mettendo il cliente nelle condizioni di "reagire" piuttosto agevolmente qualora l'intermediario si dimostri inadempiente ai propri obblighi, si rende meno costosa (e quindi più facile) la conclusione di nuovi contratti finanziari.

 

D.:A ben vedere, la forma può funzionare come "facilitatore" della posizione contrattuale del cliente solo qualora vi sia associato un regolamento contrattuale effettivamente idoneo a proteggere il cliente nel rapporto con l'intermediario. In questo senso, ben si comprende la ragione per cui il legislatore disciplina dettagliatamente anche (e soprattutto) il contenuto del contratto quadro per la prestazione dei servizi d'investimento. Tale ultima osservazione permette inoltre di collegare il tema della forma e del contenuto regolamentare del contratto con quello dell'enforcement, che - in tali situazioni - sembra infatti spostarsi significativamente verso un controllo pubblico (ex anteo sanzionatorioex post), a discapito del tradizionale rimedio della responsabilità civile.

 

Semeghini- È opportuno osservare, preliminarmente, che il problema del contratto "monofirma" - così come il confinante problema della nullità selettiva - assume importanza in un mondo di "contratti di carta": rappresenta, quindi, un problema del passato, che sopravvive nei tribunali a causa dei tempi differiti delle controversie giudiziarie. La pressoché totale digitalizzazione dei documenti contrattuali dovrebbe infatti escludere in radice l'eventualità della mancanza della sottoscrizione di una delle parti, così come di altre possibili disfunzioni nella formazione e conservazione dei documenti contrattuali.

Tale evoluzione, da un lato, ridimensiona l'importanza dei limiti - e delle relative discussioni circa i possibili correttivi - del rimedio della nullità per carenza di forma. Nel contempo, in un mondo di "contratti digitali", questo rimedio appare ancor meno adeguato ai connotati della realtà regolata e alle specifiche istanze di tutela che in essa si presentano.

Innanzitutto, nella richiamata necessità ermeneutica di individuare la funzione che la forma deve svolgere nell'ambito del diritto del mercato dei capitali, pare ancor meno realistico ricondurre la previsioneexart. 23 TUF alla finalità di informare preventivamente il cliente sulle caratteristiche del proprio rapporto con l'intermediario (= funzione informativa diretta): si discute, infatti, di contratti "fisiologicamente" destinati a non essere letti dal cliente. Piuttosto, la formalizzazione delle regole che governano il rapporto d'investimento sembra essere direttamente funzionale a garantire un adeguatocommitmentdell'intermediario al rispetto di tali regole: in altri termini, la forma scritta ha la funzione di vincolare il comportamento della banca a determinate regole da stabilireex ante, disponibili in ogni momento a tutti i clienti e modificabili solo al ricorrere di precise condizioni.

In questa prospettiva, la forma - collegandosi direttamente al contenuto del rapporto contrattuale tra cliente e intermediario, e alla condotta di quest'ultimo - rappresenta un elemento strettamente intrecciato all'esercizio della stessa attività d'impresa e, più specificamente, all'organizzazione interna dell'intermediario. Nei contratti d'impresa, infatti, il contenuto dell'accordo e le condotte nei confronti del cliente sono necessariamente inserite in un contesto operativo - e perciò da questo condizionate -  impostato più a monte, dalle funzioni organizzative dell'impresa. Nel settore in discorso, questo intreccio emerge in modo trasparente nel Regolamento congiunto Banca d'Italia-Consob sui requisiti organizzativi, in cui tali requisiti rilevano non solo in relazione a un'ordinata gestione interna dell'intermediario, ma anche e soprattutto in relazione alla correttezza e trasparenza dei suoi comportamenti verso la clientela.

Il problema del rispetto dei requisiti formali, dunque, si colloca più propriamente su un piano organizzativo: il problema non è tanto quello dell'esistenza di un contratto sottoscritto, ma, prima ancora, che l'intermediario predisponga misure organizzative e sistemi informatici tali da impedire lo svolgimento di servizi bancari o finanziari senza la preventiva sottoscrizione di un contratto e la consegna di una copia (digitale) al cliente. Di conseguenza, la strategia dienforcementpiù adeguata per presidiare il corretto adempimento di queste misure organizzative è ravvisabile nei controlliex antesvolti dall'Autorità di vigilanza sull'adeguatezza degli assetti organizzativi dell'intermediario (= sulla capacità di questi ultimi di garantire il rispetto sostanziale delle regole che presiedono alla prestazione di servizi offerti). Questo non esclude la concorrente permanenza di unenforcementprivatoex post, tramite i tradizionali rimedi privatistici, i quali però assumono in questa prospettiva un ruolo residuale.

Tale impostazione, non a caso, ricalca esattamente l'assetto dienforcementraggiunto attraverso l'esperienza applicativa della disciplina di adeguatezza nei servizi di investimento (ovverosia il perno dell'evoluzione della tutela degli investitori realizzatasi dapprima in MiFID 1 e ora in MiFID 2): in tale ambito il presidio principale e più incisivo è costituito dai controlli della Consob sui modelli interni predisposti dalle banche per darvi esecuzione, mentre ricopre un ruolo residuale (ma non per questo inutile) la possibilità del cliente di agire in giudizio per ottenere il ristoro dei danni subiti dall'inadempimento dell'intermediario.

 

Modica- Quando si discorre di natura e funzioni del neoformalismo è facile imbattersi in un equivoco di fondo ancorato all'idea ricorrente quanto fuorviante che questo nuovo formalismo manifesti un'indole schiettamente protettivabonne à tout faire, in grado di assicurare comunque tutela al contraente debole, a vantaggio esclusivo del quale il complesso di regole sarebbe pensato.

In molti commenti all'ordinanza di rimessione che ha dato poi luogo alla sentenza 898/2018 torna sovente l'interrogativo in chiave retorica: come si potrebbe mai riconoscere validità al contratto "monofirma" negando tutela al cliente, ci si chiede, se il precetto di forma violato intende garantire propriamente quella tutela?

Ma il paradosso è tale solo alla luce di un malinteso significato del formalismo, alimentato dalla vena un po'snobdella dottrina che specie sulle prime ha preso a contrapporre la pretesa elegante linearità del codice alla banalità del nuovo formalismo, non a caso nominato sbrigativamente "di protezione".

Formalismo che invece ha una qualche sofisticatezza ed anche una sua interna coerenza, che certamente non si riduce ad una mera protezione; i precetti di forma recati dalle discipline speciali solo incidentalmente "proteggono" il contraente debole, rintracciandosi la loro più nitida funzione, specie nelle sembianze del congegno forma-contenuto, nella conformazione del regolamento contrattuale e per questa via delle condotte degli operatori. Quanto alle ricadute pratiche, la fisionomia contemporanea delle regole di forma in concreto semplifica, e non poco, per la banca l'onere di provare l'assolvimento del dovere informativo. Certo, tra le molte vocazioni, c'è anche quella di garantire al cliente/consumatore (non tanto una chimerica preventiva consapevolezza del contenuto dell'accordo, quanto) il possesso durevole di una serie di dati così agevolando il controllo sull'adempimento; ma questo aspetto non è centrale né assorbente, e sgombrare finalmente il tema dalla stanca retorica del contraente debole gioverebbe a restituire al tema i contorni che gli sono propri senza più confinarlo nell'angolo della tutela pur che sia.

Le regole di forma, da elemento di struttura della fattispecie fotografata nel momento del suo perfezionarsi quale vincolo che investe con egual vigore entrambe le dichiarazioni, appaiono ora tramutate in strumento attraverso cui l'ordinamento "controlla" il contenuto o solo la completezza del contratto, nel quadro di un rinnovato rapporto tra formalismo ed autonomia privata.

Riguardata la questione nella prospettiva dell'enforcement, è proprio in coerenza con tale peculiare attitudine conformativa che si assiste, per un verso, sul piano del diritto positivo, ad una trasversale torsione dell'invalidità per vizio di forma in chiave rimediale; e per altro verso prende corpo fra gli interpreti l'idea, a lungo rifiutata, che la risposta sanzionatoria al difetto di forma debba necessariamente calibrarsi sulla funzione che il sistema assegna di volta in volta alvestimentum.

Lo avevano già chiarito le stesse Sezioni Unite ben prima della vicenda del "monofirma" (in una sentenza resa a proposito di locazione abitativa ma con argomentazioni di piglio certamente generale) insistendo sulla «impredicabilità di una automatica applicazione della disciplina della nullità in mancanza della forma prevista dalla legge ad substantiam, essendo piuttosto necessario procedere ad una interpretazione assiologicamente orientata»[6], in grado di plasmare il rimedio in ragione degli interessi presidiati dal vincolo formale.

 

     Natoli- È stata più volte sottolineata la necessità di ricostruire la disciplina sulla forma dei contratti d'investimento in ragione della funzione che, di volta in volta, essa è chiamata a svolgere. In questa prospettiva, sembrerebbe altresì ragionevole estendere tale impostazione alle regole dienforcementcollegate a tale disciplina, nel senso che pure queste ultime devono essere interpretate come strumentali rispetto alla funzione loro assegnata. Ci si accorge allora che il problema della forma non risiede tanto nella disciplina predisposta dal TUF, ma nella sanzione adottata per l'eventuale mancanza del documento scritto: il conseguente utilizzo opportunistico della nullità, volto ad ottenere una protezione "di fatto" contro un investimento sbagliato, suggerisce dunque una sorta di "riduzione teleologica del rimedio", onde ricondurlo a ragionevolezza e coerenza rispetto agli obiettivi prefissati dal legislatore, che non sono certamente quelli di offrire una copertura assicurativa contro l'investimento puramente e semplicemente sbagliato.

 

    Mirone- È indubbio che, quanto meno in materia bancaria, sussiste uno iato enorme tra l'impostazione europea - fortemente incentrata sulla trasparenza pre-contrattuale, coerentemente ad un'impostazione di affidamento ai meccanismi di mercato - e quella adottata su alcuni temi dal legislatore italiano. In materia di forma, la scelta europea di lasciare ampia libertà agli Stati membri può spiegarsi (ufficialmente) con la difficoltà di dettare prescrizioni uniformi su profili per i quali permane una particolare sensibilità nelle culture giuridiche interne, ma conferma per altro verso la "superfluità" dei profili strettamente formali rispetto al raggiungimento di adeguatistandarddi tutela.

Sul piano culturale, va poi rimarcato che la riflessione dottrinale e quella giurisprudenziale sono ancora fortemente divise, in modo talora schizofrenico, tra approcci esasperatamente sanzionatori sul piano civilistico, nell'ambito dei quali le nullità mantengono un ruolo fondamentale (si pensi alla recente pronunzia della Cassazione sulla nullità delle fideiussioni omnibusper violazione della l. 287/90)[7] e le norme di divieto vengono interpretate in modo particolarmente rigido (si pensi agli altrettanto recenti orientamenti del Giudice di legittimità sull'inclusione dei costi assicurativi nei calcoli per il rispetto del tasso soglia)[8], ed approcci - come quello adottato dalle Sezioni Unite per la questione del "monofirma" - orientati ad un particolare equilibrio rispetto alle conseguenze ed all'impatto delle soluzioni nel mercato (paradossalmente, per un caso nel quale la volontà del legislatore nazionale andava forse nella direzione opposta).

 

    D.:Le decisioni sulla validità del contratto "monofirma" giungono a circa dieci anni dalle prime decisioni di merito sul punto e riguardano fattispecie regolate da norme abrogate da disposizioni che, a loro volta, risultano oggi abrogate. In un contesto economico caratterizzato da una significativa esigenza di certezza del diritto, non sarebbe ragionevole ipotizzare forme innovative di soluzione delle più importanti questioni giuridiche (per es.: la possibilità per ABF e ACF di deferire alle Sezioni Unite della Cassazione la decisione sulle questioni di particolare rilevanza)?

 

Mirone- Se, da un lato, può sembrare eccessivo il tempo che occorre normalmente attendere prima che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione abbiano modo di pronunciarsi su un certo tema, al contrario, i Collegi ABF sembrano sottoporre talora troppo rapidamente questioni al Collegio di coordinamento: ciò accade, talora, ancor prima che la discussione su tali temi abbia raggiunto una profondità tale da consentire un adeguato intervento "nomofilattico", e non sono a loro volta rari i casi di decisioni del Coordinamento che destano alla fine perplessità nei Collegi territoriali.

In realtà, affinché le decisioni nomofilattiche possano essere efficacemente e convintamente recepite dalla giurisprudenza di merito, senza essere continuamente rimesse in discussione, è opportuno che le questioni vengano adeguatamente approfondite a seguito di una casistica sufficiente diffusa: è infatti solo a seguito di un simile dibattito, nel quale è possibile "mettere in campo" tutti gli argomenti che militano a favore o contro una determinata tesi, che la decisione può essere serenamente accettata dal "sistema".

È anche vero che il rischio maggiore per l'ABF è proprio quello di interventi della giurisprudenza di legittimità che smentiscano platealmente orientamenti diffusi e consolidati dell'Arbitro, evenienza che potrebbe determinare in futuro delle crisi nel sistema ABF, e che potrebbero essere appunto evitate grazie alla possibilità di ricorrere eccezionalmente ad un meccanismo di rimessione alle Sezioni Unite.

Ben venga, dunque, un meccanismo di remissione diretta alle Sezioni Unite da parte dei Collegi ABF, se accompagnato dalla predisposizione di filtri che consentano di porre rimedio ai rischi cui si è sopra accennato, circoscrivendo in modo particolarmente attento una tale possibilità.

Una volta aperta la strada a meccanismi "esterni" di rimessione, sarebbe tuttavia difficile negare analoga possibilità ad altri soggetti che potrebbero reclamare esigenze analoghe, inclusi i Giudici di merito, sempre in casi particolari (ad es., per i contenziosi "seriali") e con adeguati filtri; ma un tale scenario potrebbe costituire ulteriore ostacolo alla praticabilità del percorso.

 

Natoli- Che la sentenza delle Sezioni Unite sulla validità del contratto "monofirma" sia in grado di porre fine al dibattito sul punto pare difficilmente contestabile. Ciò nonostante, sembra corretto ricondurre tale risultato principalmente alle caratteristiche del quesito di diritto sottoposto all'esame della Suprema Corte, la cui applicazione "al caso concreto", infatti, non comporta alcuna discrezionalità: una volta chiarite le conseguenze da riconnettere all'assenza della sottoscrizione del professionista, non resta altro da fare che accertare se tale firma sia o meno presente. Qualora invece l'applicazione di un certo principio di diritto non sia tale da escludere l'esercizio di una significativa discrezionalità da parte del giudice di merito, oppure un esame particolarmente complesso della situazione fattuale (con il connesso problema della valutazione della sussumibilità della fattispecie all'interno della regola formulata dalla Cassazione), è improbabile che persino una sentenza della Sezioni Unite possa risolvere definitivamente i problemi interpretativi sottoposti alla sua attenzione.

Quanto alla possibilità di mettere in comunicazione gli attuali sistemi diADRprevisti per la materia di cui ci stiamo occupando (ABF e ACF) con la giustizia ordinaria e, addirittura, con il suo più alto consesso, offerto dalle Sezioni Unite della Cassazione, nutro più d'una perplessità.

Ritengo, infatti, che in un sistema ideale la funzione migliore che ABF e ACF (anche in ragione della provenienza per lo più accademica dei suoi componenti) possono svolgere è di offrire modelli di ragionamento ai giudici statali, tentando (in questo caso soprattutto in ragione della specializzazione che connota, per definizione, i due sistemi diADRin discorso) di inoculare anche nel loro discorso argomentativo la necessaria (e sorvegliata) dose di ragionamento economico-finanziario: ragionamento assai spesso carente (per ovvie e intuibili ragioni) nelle decisioni di giudici statali privi, per formazione (basti pensare alle regole che ancor oggi presiedono all'esame per l'accesso alla magistratura ordinaria), di "cultura" economico-finanziaria.

 

Modica- Per quanto suggestiva, l'idea di mettere in comunicazione i sistemiADRcon le Sezioni Unite della Cassazione desta qualche perplessità. L'ABF risolve certo controversie applicando il diritto, ma ilpropriumdella sua attività non è la stretta applicazione del diritto. Prima ancora della funzione istituzionale di strumento di trasparenza che il TUB gli assegna, l'ABF svolge una missione di regolazione del mercato dei contratti bancari, collocandosi al crocevia tra interessi privatistici (la relazione banca-cliente) e interessi pubblicistici (la relazione banca-organi di vigilanza).

Il successo dell'ABF, testimoniato dal grado di effettività delle sue decisioni, si spiega anche e soprattutto alla luce di una sicura irriducibilità alle forme note diiurisdictio, nel segno di una "singolarità" che mal tollererebbe contaminazioni.

 

 

Bibliografia essenziale

 

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A. Dalmartello,La forma dei contratti di investimento nel canone delle Sezioni Unite: oltre il contratto "monofirma", inGiur. it.,2018, 658.

G. D'Amico,La "forma" del contratto-quadro ex art. 23 T.U.F. non è prescrittaad substantiam actus, inContratti, 2018, 138.

A. di Majo,Contratto di investimento mobiliare: il "balletto" delle forme, inGiur. it.,2018, 569.

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C. Scognamiglio,Contratti monofirma nei servizi di investimento e scopo di protezione della forma, inNGCC, 2018, 741.

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* Andrea Perrone - Professore ordinario di Diritto commerciale, Università Cattolica del Sacro Cuore, indirizzo e-mail andrea.perrone@unicatt.it. - F. Denozza, Professore ordinario di Diritto commerciale, Università di Milano (e-mail francesco.denozza@unimi.it); A. Mirone, Professore ordinario di Diritto commerciale, Università di Catania (e-mail aumirone@lex.unict.it); L. Modica, Professore associato di Diritto privato, Università di Palermo (email lara.modica@unipa.it); R. Natoli, Professore ordinario di Diritto dell'economia, Università di Palermo (email roberto.natoli@unipa.it); D. Semeghini, Professore associato di Diritto commerciale, Università di MilanoBicocca (e-mail danilo.semeghini@unimib.it).

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NOTE

  • 1) Cass. S.U., 16 gennaio 2018, n. 898: «il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dall'art. 23 TUF, è rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente la sola sottoscrizione dell'investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell'intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuto».
  • 2) Cass., 4 giugno 2018, n. 14243 (ord.): «in tema di contratti bancari soggetti alla disciplina di cui all'art. 117 TUB, la valida stipula del contratto non esige la sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca, il cui consenso si può desumere alla stregua di atti o comportamenti alla stessa riconducibili, sicché la conclusione del negozio non deve necessariamente farsi risalire al momento in cui la scrittura privata che lo documenta, recante la sottoscrizione del solo cliente, sia prodotta in giudizio da parte della banca stessa».
  • 3) Per esempio, Cass., 24 marzo 2016, n. 5919: «il contratto di intermediazione finanziaria sottoscritto dal solo investitore è nullo per vizio di forma, non valendo a sanarlo né la sua produzione in giudizio ad opera della banca, né la documentazione in forma scritta relativa ai momenti esecutivi dello stesso».
  • 4) L. Fuller, Consideration and Form, 41 Colum. L. Rev. (1941), 799.
  • 5) G. Gilmore, The Death of Contract, Columbus, 1974, 45.
  • 6) Cass. S.U., 17 settembre 2015, n. 18214.
  • 7) Cass., 12 dicembre 2017, n. 29810.
  • 8) Cass., 5 aprile 2017, n. 8806.
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