Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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I titoli di credito nella dottrina giuscommercialistica italiana (di Mario Libertini)


L'A. ripercorre la storia della "teoria unitaria dei titoli di credito" nella dottrina giuscommercialistica italiana. Rileva che la stessa si è caratterizzata, per circa un secolo, come tentativo di inquadrare in categorie dogmatiche di stampo civilistico una disciplina cartolare che si dava per acquisita.

Nella seconda metà del XX secolo, in presenza di un codice civile che aveva recepito la "teoria unitaria", la dottrina sui titoli di credito si è incentrata sul tema, proposto da Ascarelli, della determinazione della fattispecie cartolare, atta a costituire da punto di riferimento della disciplina unitaria contenuta nel codice. La relativa discussione ha in vario modo declinato l'idea del collegamento tra la fattispecie cartolare e l'esistenza di un mercato di titoli circolanti. Negli ultimi decenni, tuttavia, i mercati dei titoli cartacei si sono esauriti e la stessa circolazione telematica degli strumenti finanziari garantisce l'investitore mediante la responsabilità professionale dell'intermediario finanziario, piuttosto che con i meccanismi di allocazione decentrata del rischio di circolazione, propri della tradizionale disciplina dei titoli di credito.

La storia di questo istituto giuridico può dirsi, dunque, tendenzialmente esaurita. Lo scritto ripercorre altresì la cospicua produzione scientifica di Antonio Pavone La Rosa in materia di titoli di credito, rilevando, come meriti peculiari di questo autore, oltre alla grande trattazione sistematica sulla cambiale, l'attitudine a semplificare le costruzioni dogmatiche e l'apporto decisivo dato al problema della "fattispecie titolo di credito", mediante il collegamento di quest'ultima alla facoltà di emissione da parte di imprese operanti in mercati regolamentati.

The Negotiable Instruments in the Italian Commercial Law Scholarship

The Author recalls the history of the “unitary theory of the debts instruments” in the Italian scholarship. He points out that for about a century this theory has been characterized as an attempt to place in a dogmatic civil law category a regulation of the paper-based instruments that was taken for granted. In the second half of the twentieth century, in the light of a civil code that had incorporated the “unitary theory”, the Italian scholarship on debt instruments focused on the theme, proposed by Ascarelli, of the determination of a definition of paper-based instruments capable of constituting the reference point of the unitary legislation contained in the code. The related discussion has in various ways declared the idea of the connection between debt instruments and the existence of a market of transferable securities. In recent decades, however, the debt securities markets have been exhausted and the electronic circulation of financial instruments guarantees the investor through the professional responsibility of the financial intermediary, rather than with the mechanisms of decentralized allocation of the circulation risk, typical of the traditional legislation of the debt instruments.

The history of this legal institute can therefore be said to be exhausted.

The article also recalls the conspicuous scientific production of Antonio Pavone La Rosa on the subject of credit, noting, as peculiar merits of this author – in addition to the great systematic treatment of the bill – the aptitude to simplify the dogmatic constructions and the decisive contribution given to the problem of the definition of “debt instrument”, by linking the latter to the right of companies trading in regulated markets to issue negotiable instruments.

KEYWORDS: negotiable instruments - unitary theory - dematerialization 

Sommario/Summary:

1. La teoria unitaria dei titoli di credito come ragione di vanto della dottrina giuscommercialistica italiana. - 2. Le superfetazioni dogmatiche nella dottrina dei titoli di credito. - 3. Il contributo di Antonio Pavone La Rosa per la semplificazione dogmatica del diritto cambiario: la ripresa della “teoria mista” vivantiana. Il contributo critico nei confronti della teoria unitaria. - 4. Gli sviluppi successivi della teoria unitaria. - 5. Il contributo decisivo di Pavone La Rosa sul problema della c.d. libertà di emissione di titoli atipici. - 6. Il trattato sulla cambiale. - 7. Gli sviluppi dottrinali più rilevanti, successivi ai contributi di Pavone La Rosa: il collegamento necessario fra titoli di credito ed esistenza di un mercato di titoli negoziabili. - 8. La rivoluzione digitale e l’esaurimento del fenomeno dei titoli cartacei. - 9. Dematerializzazione e circolazione intermediata nei mercati finanziari. - 10. La fine dei titoli cambiari circolanti. - 11. Riflessioni conclusive. - NOTE


1. La teoria unitaria dei titoli di credito come ragione di vanto della dottrina giuscommercialistica italiana.

Nel tempo in cui la dottrina giuscommercialistica italiana amava manifestare il proprio orgoglio identitario, si era diffuso un luogo comune (lo ritroviamo in Ascarelli, in Asquini e in molti altri autori), che rivendicava a merito precipuo e principale della dottrina stessa quello di avere arricchito la cultura giuridica generale con la teoria dei titoli di credito. In sostanza, l'idea così espressa muoveva dalla constatazione che, in altre importanti esperienze dottrinali (in particolare: Francia e paesi di common law), la trattazione della materia era rimasta divisa in diversi capitoli (effets de commerce, valeurs mobilières, titres représentatifs de marchandises; negotiable instruments, securities, documents of title); nella dottrina germanica era stato sì costruito il concetto unitario di Wertpapier,ma tale costruzione si incentrava su un dato strutturale ed estrinseco (la necessità del documento per l'esercizio del diritto), mentre il concetto unitario di titolo di credito della dottrina italiana intendeva cogliere un fenomeno economico sostanziale, cioè quello della destinazione di certi documenti alla circolazione in mercati loro propri e quindi riusciva a collegare brillantemente costruzione giuridica e funzione economica. Questa orgogliosa convinzione di superiorità "teorica" si tradusse poi, com'è noto, nella introduzione, nel codice civile unificato del 1942, di un titolo apposito del libro IV, dedicato ai titoli di credito in generale. In realtà, il contributo di quella dottrina fu poco significativo per ciò che attiene alla costruzione normativa della disciplina cartolare: i contenuti essenziali della disciplina cambiaria (ed anche di quella dei titoli rappresentativi di merci) si erano formati nella esperienza dei tribunali di commercio già prima delle codificazioni ottocentesche, mentre per i titoli di investimento si era fissata, nel corso del XIX secolo, la disciplina dei titoli al portatore (pubblici e privati), costruita sulla falsariga di quella della circolazione dei beni mobili materiali.   Su questa base, l'impegno maggiore della dottrina in materia di titoli di credito, nei secoli XIX e XX, si presenta come un immane sforzo di legittimazione, sul piano dogmatico, di una serie di regole che si erano stratificate nella giurisprudenza commercialistica dei secoli precedenti, ed erano state poi consolidate nei codici di commercio. Si tratta di [...]


2. Le superfetazioni dogmatiche nella dottrina dei titoli di credito.

Un esempio paradigmatico (fra i tanti) dei risultati di questo lavorio dogmatico può essere ricordato con riguardo alla tendenza a concettualizzare la disciplina cartolare dissezionando la supposta manifestazione di volontà sottostante alla formazione del titolo in una pluralità di negozi giuridici. Nella costruzione più "barocca" si contavano: (i) un contratto che dà vita al rapporto sottostante; (ii) un negozio unilaterale di creazione del titolo; (iii) un negozio bilaterale (chiamato "convenzione esecutiva") avente ad oggetto l'emissione e l'impiego del titolo ai fini dell'esecuzione del rapporto di base; (iv) un negozio unilaterale di emissione del titolo; (v) un negozio bilaterale di trasmissione della proprietà del documento. Accanto a queste architetture dogmatiche, nate sul terreno della riflessione dottrinale sulla disciplina cambiaria, ed oggi sostanzialmente dimenticate, la dottrina tedesca e italiana in materia di titoli di credito si era caratterizzata, nel corso dell'Ottocento, per la creazione di quella che è stata chiamata "teoria unitaria dei titoli di credito", a sua volta declinata, come si è già sopra accennato, in due versioni diverse (con la versione italiana incentrata sull'idea di circolazione giuridica). In ogni caso, la costruzione di una teoria unitaria dei titoli di credito richiedeva uno sforzo dogmatico orientato su direzioni diverse, fra cui due principali: da un lato, l'inquadramento sistematico dell'obbligazione cartolare nel quadro generale delle fonti di obbligazione (negozio, atto illecito, variae causarum figurae); dall'altro, la costruzione dei vari profili della disciplina cartolare come un tutto unitario (così come essi sono presentati negli artt. 1992 e seguenti del c.c. del 1942) o come profili scindibili (ciò che comportava un ovvio indebolimento del valore dogmatico della "teoria unitaria").


3. Il contributo di Antonio Pavone La Rosa per la semplificazione dogmatica del diritto cambiario: la ripresa della “teoria mista” vivantiana. Il contributo critico nei confronti della teoria unitaria.

Di fronte a questa complessa esperienza culturale, il contributo di Antonio Pavone La Rosa è stato profondo e proficuo[1]. E ciò in ambedue le direzioni sopra accennate. Sul piano della costruzione dogmatica generale, P.L.R. segna un passaggio importante, manifestando una chiara tendenza a semplificare la costruzione e, al contempo, a ridurre, per quanto possibile, la distanza del fenomeno studiato dal diritto comune. Così si spiega la ripresa, da parte di P.L.R., di quella che era stata la "teoria mista" di Vivante, secondo cui il titolo, finché rimane nelle mani del primo prenditore, è soltanto un documento ricognitivo del rapporto sottostante, idoneo a realizzare effetti di (rectius: che oggi qualificheremmo come) astrazione processuale; mentre è solo in caso di successiva circolazione che al titolo si applicano le norme legali che si riassumono nelle nozioni di astrattezza e letteralità del titolo stesso, sicché è solo a seguito dell'avvenuta circolazione che si può configurare un rapporto obbligatorio cartolare distinto dal rapporto originario sottostante. L'importanza di questo assunto non sta soltanto nell'effetto di semplificazione concettuale che esso determina, ma anche nel dare fondamento a concrete soluzioni applicative, soprattutto di ordine processuale (per esempio, nel rapporto fra parti immediate, il passaggio dall'azione cambiaria all'azione causale in cui il titolo è usato come documento ricognitivo non è più vista come mutatio libelli: soluzione oggi scontata in giurisprudenza, ma apparsa dogmaticamente inaccettabile a larga parte della dottrina, nel momento storico in cui P.L.R. la formulava). Altre conseguenze applicative, nella stessa direzione (e sempre approvabili sul piano dell'efficienza ed equità della soluzione), furono da me individuate in uno scritto giovanile sull'ipoteca cambiaria[2]. L'altro fondamentale contributo di P.L.R. alla dottrina cartolare sta nella critica da lui rivolta non tanto alla teoria unitaria dei titoli di credito come tale[3], bensì all'idea di necessaria inscindibilità dell'applicazione delle regole dettate dagli artt. 1992/1993/1994 c.c. Per P.L.R. l'unica regola davvero unificante e caratterizzante è quella dell'art. 1994 (acquisto a non domino di buona fede), mentre la regola sulla inopponibilità delle eccezioni (art. 1993 c.c.), storicamente nata come generalizzazione [...]


4. Gli sviluppi successivi della teoria unitaria.

Queste idee di P.L.R. furono presentate, nella discussione dottrinale, alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso. Mi sembra interessante ripercorrere il dibattito dottrinale successivo, soprattutto con riferimento al punto di maggiore rilievo sistematico (cioè la "teoria unitaria"). In questa ricostruzione, scusandomi per l'autocitazione, devo muovere da alcuni miei contributi dei primi anni Settanta, e soprattutto da un mio scritto del 1972, nel quale cercavo di riesaminare i fondamenti della "teoria unitaria dei titoli di credito" mediante un'applicazione coerente - almeno nelle intenzioni - del metodo "giuscommercialistico", che impone di muovere dall'analisi della realtà socioeconomica e degli interessi in gioco, prima di passare all'interpretazione dei testi normativi. Quello scritto è piuttosto denso e di faticosa lettura[4], ma provo a riassumerne, per punti, il contenuto: (i)                 la circolazione dei titoli di credito non è - contrariamente agli assunti generici correnti in dottrina - un fenomeno unitario sul piano tipologico (i.e. socioeconomico); e - soprattutto - è un fenomeno recessivo soprattutto per ciò che riguarda i titoli cambiari (ove anzi diverse esigenze, come soprattutto quelle che, in seguito, sfociarono nell'emanazione di discipline speciali sul credito al consumo, premevano per superare l'antica regola dell'inopponibilità delle eccezioni); (ii)               la disciplina degli artt. 1992, 1993, 1994 non è suscettibile di applicazione omogenea a tutte le categorie di titoli di credito, ma richiede diversi adattamenti; (iii)             ciò potrebbe indurre ad accogliere la posizione c.d. antiunitaria di P.L.R., se non fosse che, nel quadro complessivo della materia, si pone anche il problema di risolvere positivamente il dubbio relativo alla c.d. libertà di emissione; cioè si pone l'esigenza di assecondare lo sviluppo dei mercati finanziari mediante il riconoscimento nel sistema di nuove categorie di titoli atipici; da ciò la necessità di configurare anche una fattispecie generale di titolo di credito, idonea ad introdurre nel sistema giuridico nuove figure, escogitate nelle prassi dei [...]


5. Il contributo decisivo di Pavone La Rosa sul problema della c.d. libertà di emissione di titoli atipici.

Col senno di poi, devo riconoscere che il principale punto debole di questa ricostruzione stava nell'assunto per cui la libertà di emissione richiedesse la ricostruzione di una fattispecie unitaria, mentre era e rimane logicamente possibile anche una disarticolazione della categoria unitaria del titoli di credito in diverse sottocategorie tipologicamente orientate, ed una corrispondente articolazione differenziata di diverse fattispecie di titoli atipici. In sostanza, a distanza di anni mi sembra avvalorata, anziché sminuita, la ricostruzione differenziata sostenuta da P.L.R. Per quanto riguarda poi il problema della "fattispecie titolo di credito", la mia ricerca di allora si arenò di fronte alla difficoltà di applicare il controllo causale, concepito sistematicamente in funzione degli atti individuali di scambio, al titolo di credito atipico emesso da un'impresa, destinato ad operare come figura tipizzata, e come tale riconoscibile, in determinati mercati. Intanto il riferimento agli imprenditori commerciali in genere appariva insoddisfacente, data l'estrema ampiezza della categoria. In secondo luogo appariva intuitivamente squilibrata una soluzione che portava a fare stabilire ex post, mediante un controllo giudiziario diffuso, se fosse meritevole di tutela un certo progetto imprenditoriale di applicazione della disciplina cartolare, cioè di un regime di circolazione dei beni che avrebbe potuto mettere a repentaglio la proprietà di un qualsiasi proprietario intermedio dei beni stessi. Ad anni di distanza mi resi conto che la mia intuizione di fondo non era sbagliata, nel pensare che dovesse consentirsi ai mercati finanziari (o meglio: alle imprese emittenti strumenti finanziari) di creare figure atipiche, ma l'intuizione andava corretta con il riconoscimento che questa particolare manifestazione dell'autonomia d'impresa non poteva fare a meno di una regolazione amministrativa del fenomeno e di un controllo ex ante dell'ammissibilità (anche in via generale, per categorie) di titoli di nuovo tipo. In altri termini: una soluzione fondata esclusivamente sulle regole generali dell'autonomia privata non era sostenibile. La corretta soluzione, che allora (mi riferisco ai primi anni Settanta) non riuscii a formulare, fu sostanzialmente raggiunta, alcuni anni dopo, da P.L.R., in uno scritto del 1982[5]. In quella sede P.L.R. afferma (criticando Ferri e Martorano) che "la creazione di titoli di credito incide [...]


6. Il trattato sulla cambiale.

Dopo questo contributo, che a mio avviso può dirsi conclusivo della riflessione sul problema della fattispecie cartolare, avviato da Ascarelli trent'anni prima, P.L.R. continuò a dedicarsi con fervore allo studio della materia dei titoli di credito, scrivendo, con un immenso lavoro di ricerca esclusivamente personale, l'imponente trattato sulla cambiale, comparso nel 1994 (nel Trattato di diritto civile e commerciale Cicu-Messineo). Di questo lavoro monumentale si dovrebbe dire molto, per la ricchezza dell'analisi e l'acume delle soluzioni interpretative in esso presentate. Il problema "drammatico", che pur P.L.R. avvertiva, era però quello derivante dalla constatazione che l'istituto della cambiale, così come si era formato nella prassi commerciale ed era stato posto a base della disciplina vigente (fra l'altro, sancita in una convenzione internazionale), era un istituto in via di estinzione. Questo imponente lavoro della maturità di P.L.R. costituisce quindi, oltre che una mirabile testimonianza di operosità scientifica, un esempio di scienza "normale" - pur di altissimo livello - in una materia in cui stavano, nel frattempo, maturando decisivi mutamenti di paradigma. Sia chiaro, peraltro, che questo atteggiamento, nei confronti della materia di titoli di credito, non è un limite della produzione scientifica di P.L.R., ma è stato comune a tutta la dottrina italiana, nell'ultimo mezzo secolo. Questa dottrina ha prodotto, nell'ultimo scorcio del secolo XX, pregevoli trattazioni di carattere sistematico dell'intera materia cartolare, sulla linea ormai tradizionale della "teoria unitaria" italiana, pur variamente declinata (Pellizzi, Martorano, Spada, Partesotti) ed anche impegnate monografie (p.e. Chiomenti, su cui torneremo, e Stagno d'Alcontres), ma si può dire che, sui temi generali sopra accennati, non ha segnato progressi decisivi.


7. Gli sviluppi dottrinali più rilevanti, successivi ai contributi di Pavone La Rosa: il collegamento necessario fra titoli di credito ed esistenza di un mercato di titoli negoziabili.

Vorrei dedicare alcune riflessioni ulteriori a questa esperienza dottrinale, anche per meglio collocare storicamente, in via conclusiva, il contributo dato da Antonio Pavone La Rosa. A tale proposito mi sembra emblematico riconsiderare oggi, nella prospettiva dello sviluppo della "teoria unitaria dei titoli di credito", il contributo più ponderoso ed approfondito prodotto sull'intera materia, e cioè il libro di Chiomenti del 1977[6]. Anche in questo caso mi sembra utile riassumere, per punti, il contenuto del volume: (i)                 "la disciplina unitaria del codice.. nasce dalla convinzione dell'esistenza di una funzione economica caratteristica dei titoli di credito"(p. 57); occorre dunque "precisare tecnicamente la nozione di circolazione cartolare piano economico-sociale"(p. 62); in altri termini, occorre individuare "una funzione economica unitaria che, a differenza dalla funzione di circolazione, dalla funzione di incorporazione, dalla funzione di impresa e da altre simili funzioni generiche e quindi non esclusive del documento cartolare, sia tipica del titolo di credito"(p. 81); (ii)               "Il titolo di credito trova luogo dove c'è da rendere commerciabile, scambiabile, una ricchezza economicamente immobilizzata dalle circostanze ancorché la qualificazione giuridica primaria ne faccia un bene mobile (ad es. merci in viaggio) o si tratti di ricchezza immobilizzata da una specifica destinazione ricevuta (produzione industriale) oppure dalla sua qualificazione giuridica primaria (ad es., un diritto di credito)"(p. 95); (iii)             la prospettiva così assunta "implica una impostazione oggettivistica del titolo di credito"(p. 112); (iv)             "il principio della libertà di creazione di titoli di credito preclude, tuttavia, di considerare il titolo di credito una creazione statale, una creazione legale come invece è il denaro"(p. 113); (v)               "è certo altresì che non si è in presenza di un fenomeno di autonomia quando è totalmente irrilevante la presenza o l'assenza di una dichiarazione di [...]


8. La rivoluzione digitale e l’esaurimento del fenomeno dei titoli cartacei.

Dopo la stagione delle riflessioni dottrinali che abbiamo sopra evocato, l'intera materia dei titoli di credito è stata pesantemente investita - com'è noto - dalla rivoluzione digitale, che ha reso desueto quell'impiego della carta che era stato il punto di riferimento centrale dell'elaborazione normativa e dottrinale dei secoli precedenti. Si tratta di un'esperienza che era già annunciata nel tempo in cui quelle riflessioni dottrinali furono prodotte (già allora si preconizzava una futura paperless society), ma che è maturata prepotentemente nei decenni successivi. Nel campo dei mezzi di pagamento le comunicazioni elettroniche sostituiscono rapidamente l'assegno bancario, che è oggi un istituto in via di estinzione (più in generale, è tutta la materia della legittimazione nei pagamenti seriali che vede scomparire la carta, per essere sostituita da bande magnetiche). Nei mercati finanziari si realizza il fenomeno della "dematerializzazione", ferme restando però le esigenze di sicurezza delle negoziazioni: la circolazione dei valori mobiliari è però fortemente regolamentata e riservata all'azione di intermediari autorizzati[7]. Anche nel campo dei titoli rappresentativi di merci si nota il declino della mobilizzazione cartolare delle merci stesse[8]. Il controllo elettronico della circolazione consente anche di prospettare nuove soluzioni, in cui la sicurezza della circolazione, anziché essere affidata a meccanismi decentrati, quali l'inopponibilità delle eccezioni e l'acquisto a non domino, che possono comportare il sacrificio irreversibile dell'interesse di un soggetto incolpevole coinvolto nella singola vicenda circolatoria anomala, possono essere sostituiti da meccanismi di assicurazione collettiva della certezza della circolazione.


9. Dematerializzazione e circolazione intermediata nei mercati finanziari.

Molti, all'apparire del fenomeno della c.d. dematerializzazione, hanno affermato che esso dava luogo ad una continuità, e non ad una interruzione della disciplina cartolare: il titolo cartaceo era sì sostituito dal titolo in formato elettronico, ma la circolazione rimaneva sostanzialmente analoga a quella già conosciuta[9]. Questa idea sembrava confermata nei testi normativi: dall'art. 33 del d.lgs. 213/1998 (oggi abrogato) alle attuali disposizioni degli artt. 83-bis e ss. del TUF, costruite sulla falsariga delle tradizionali regole sull'inopponibilità delle eccezioni e dell'acquisto a non domino. Queste norme hanno dato luogo, peraltro, ad una disciplina innovativa rispetto alla tradizionale cartolare: le eccezioni "reali" della tradizione sono, in realtà, sostituite dalle eccezioni "comuni" a tutti i titolari dei diritti seriali (art. 83-septies TUF), cioè fondate sulle regole generali che stanno a base dell'emissione del titolo, e che sono dettagliatamente dettate dalla regolazione dei mercati finanziari. Anche il problema della libertà di emissione è ormai disciplinato, nel senso che si tratta di una "libertà" riservata ai soggetti legittimati per legge all'emissione di strumenti finanziari negoziabili ed inquadrata nella regolazione amministrativa del fenomeno. Non si è formato un contenzioso significativo nella circolazione dei titoli di credito dematerializzati. Segno che il sistema, con la responsabilizzazione degli intermediari finanziari come titolari esclusivi della funzione di attuare la circolazione degli strumenti finanziari, funziona bene. I conflitti nella circolazione insorgono ancora sporadicamente, ma solo dove è ancora in gioco la carta. Ma qui l'applicazione della disciplina cartolare appare sempre meno giustificata, proprio per l'episodicità dei fenomeni coinvolti e per la mancanza di un mercato in cui i titoli d'investimento cartacei circolino regolarmente e che, come tale, debba essere protetto. Ciò spiega perché, secondo una tesi (ancora) di minoranza, ma dotata di razionalità[10], deve ormai essere negata la qualificazione come titoli di credito ai titoli d'investimento cartacei residui, che non sono normalmente negoziati nei mercati finanziari. Più in generale, è stato sostenuto in modo convincente che la tradizionale disciplina cartolare deve considerarsi completamente superata nella ricostruzione della [...]


10. La fine dei titoli cambiari circolanti.

Queste considerazioni si ripresentano, addirittura con maggior forza, con riguardo ai titoli cambiari, che per secoli erano stati la parte centrale della teoria giuridica dei titoli di credito. In proposito, è stato brillantemente sostenuto[12] che l'intera disciplina cambiaria rimane legata all'antica funzione monetaria dei titoli cambiari, cioè ad un contesto storico in cui i titoli cambiari circolavano effettivamente come strumenti monetari. In quel contesto il titolo cambiario costituiva una grandiosa invenzione del diritto comune europeo, che consentiva di ampliare la base monetaria a disposizione delle attività produttive, mediante un meccanismo di distribuzione decentrata del rischio, che concentrava lo stesso in capo a chi, per sfortuna o per colpa, avesse emesso o negoziato il titolo senza il supporto di una valida operazione commerciale. Si realizzava così, ancor più che nel mercato dei titoli al portatore, una concentrazione del rischio basata sul criterio del "cerino acceso", spesso iniqua ma razionale (i.e. economicamente efficiente) nel periodo storico in cui fu concepita, ma oggi incomprensibile, in un contesto in cui è tecnicamente possibile la tracciabilità di tutte le operazioni di pagamento e i rischi inerenti alle disfunzioni delle singole operazioni economiche possono essere più razionalmente trattati con i normali rimedi contrattuali. La stessa pratica dello sconto di carta commerciale, che ha alimentato l'idea della normalità delle negoziazioni di cambiali anche quando queste avevano perduto la funzione di mezzi di pagamento, è oggi fortemente recessiva e comunque non appare come espressione di un mercato in cui vengono offerte e accettate cambiali, bensì come un momento del rapporto complessivo cliente-banca, all'interno del quale vanno ricercati eventuali rimedi a situazioni disfunzionali. La funzione di garanzia decentrata, fornita per secoli dalle obbligazioni cambiarie di regresso, è oggi sostituita - in modo più razionale quanto all'allocazione dei rischi delle operazioni - dai contratti di garanzia (bancari e non) a prima richiesta. In una parola, può dirsi che i titoli cambiari, al giorno d'oggi, non sono più "destinati alla circolazione", ma, quando ancora usati, esauriscono la loro funzione nell'ambito di operazioni bilaterali cliente-banca. Ciò spiega perché il divieto di negoziazione degli [...]


11. Riflessioni conclusive.

In realtà, il fenomeno che ha investito i mercati dei titoli di credito riflette una più generale trasformazione dei mercati, che connota tutta l'economia contemporanea. I mercati sono sempre meno luoghi in cui avvengono scambi volontari "fra pari", e diventano sempre più luoghi in cui determinate imprese offrono i loro prodotti o servizi, con modalità standardizzate, a potenziali utilizzatori, che esercitano la loro libertà di scelta fra le diverse offerte presenti nel mercato. Ad una situazione in cui la circolazione di titoli negoziabili fra "pari" (cioè fra soggetti privati esercitanti la propria libertà contrattuale) consentiva di realizzare, a livello sistemico, funzioni economiche di investimento, di credito e di pagamento, si è sostituita una situazione in cui diverse imprese specializzate offrono servizi di investimento, di credito o di pagamento, e gli utilizzatori che accedono a tali servizi sono tutelati da rimedi contrattuali specificamente previsti dalla legislazione. La responsabilità contrattuale ed extracontrattuale delle imprese specializzate diviene lo strumento fondamentale su cui si regge il normale funzionamento di questi mercati, mentre la tecnica della circolazione di titoli e dell'allocazione "casuale" dei rischi appare completamente desueta. Il fenomeno del "commiato dai titoli di credito", che la dottrina ha in vario modo celebrato[14], non va inteso soltanto come abbandono dello strumento cartaceo, sulla linea di quella e-substitution che porta ovunque (dalle comunicazioni postali alle ricette mediche, ecc.) al superamento della trasmissione di strumenti cartacei mediante l'impiego di strumenti di comunicazioni elettroniche, pur nella costanza delle strutture contenutistiche fondamentali della comunicazione. Quello che è avvenuto è un fenomeno più radicale, di scomparsa dei mercati in cui circolavano i titoli cartacei negoziabili: le funzioni economiche un tempo svolte da questi mercati sono ormai svolte da imprese specializzate nei diversi servizi e i conflitti d'interessi che nascono nello svolgimento di tali servizi sono affrontati nell'ambito di discipline contrattuali bilaterali. In tale contesto, non scompare solo la carta, per essere sostituita da messaggi telematici, ma scompare il concetto stesso di titolo negoziabile, liberamente circolante di mano in mano al fine di realizzare risultati di creazione di nuova ricchezza; e scompare [...]


NOTE