Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
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Incorporazione senza res e dematerializzazione senza accentratore: appunti sui token (di Edoardo Rulli, Dottore di ricerca, Università di Roma “Tor Vergata)


Tra la categoria dei titoli di credito e quella dei token vi sono sorprendenti somiglianze in punto di genesi, di funzione e di sviluppo di nuovi canali di circolazione della ricchezza. I token, come i titoli di credito, incorporano diritti, possono rappresentare un investimento, hanno attitudine alla circolazione. Come i titoli di credito, i token non nascono come categoria omogenea, definita a priori dalla legge, ma da applicazioni concrete e sono accomunati dal fatto di presentarsicome strumenti rappresentativi di una prestazione che è, o può essere, altrove nello spazio o nel tempo. I token non sono incorporati in una res, ma hanno pur sempre bisogno di una res per essere conosciuti e utilizzati dall’intelletto umano. Se non c’è incorporazione in senso fisico, può riconoscersene una in senso digitale. L’even­tuale assimilazione dei token alla categoria degli strumenti finanziari potrebbe inoltre avere conseguenze di rilievo, anche pratico, sotto il profilo innanzitutto regolamentare visto che gli emittenti, le offerte pubbliche e, comunque, lo scambio di token andrebberoassoggettati alla disciplina di settore. L’obiettivo del lavoro è esaminare alcuni recenti approcci regolamentari e giurisprudenziali in materia e tentare un possibile inquadramento della fattispecie.

Reification without res and dematerialisation without centraliser: notes on tokens

Papers (titoli di credito) and tokens show a surprising number of common features. These common features refer to their origins and functions, as both tokens and papers are vehicles enabling the transfer of assets. Similarly to papers, tokens incorporate rights, can be construed as an investment, and are transferable. Like papers, tokens have not first appeared as a homogeneous category. Rather, they emerged from diverse concrete business applications having a common pattern: all these digital assets represent a certain value that is, or can be, elsewhere in space or in time. Tokens are not embedded in a res, but still they need a res to be known and used by the people. If there is no incorporation, tokens are digital reproductions carrying certain rights and obligations. The potential assimilation of tokens to financial instruments makes the analysis even more complex. If tokens are securities, this would have legal and practical consequences: tokens’ issuances, offerings and trade would fall under the scope of application of securities regulations. This paper aims to examine the most recent regulatory and case-law approaches to tokens. In addition, it aims to outline preliminary criteria for the classification of tokens.

KEYWORDS: token – paper – security – financial instrument – financial product

Sommario/Summary:

1. Una suggestione: i token sono una complessa fattispecie unitaria come quella dei titoli di credito. - 2. Dalla quasi-moneta al quasi-investimento. Evoluzione di una fattispecie intrinsecamente ibrida. Le possibili discipline di rilievo. - 3. Token e token virtuali. - 4. I token come genere ampio che contiene i crypto-asset (che a loro volta contengono le cripto-valute, come Bitcoin ed Ether). Una definizione di lavoro per chiarire il campo di indagine. - 5. Token. Le tassonomie sin qui elaborate con una precisazione (oltre ogni suggestione): categorie nuove richiedono nuovi sforzi interpretativi. - 6. Primi tentativi di inquadrare leInitial Coin Offering (ICO) e i crypto-asset nella disciplina europea dei mercati finanziari. - 7. L'approccio tedesco. I token possono essere strumenti finanziari. Necessità di una valutazione caso per caso. - 8. Il dibattito in Francia. I token non sono strumenti finanziari(con l'eccezione di alcuni derivati), ma potranno esserlo con la nuova disciplina paneuropea sul prospetto. - 9. Stati Uniti. I token sono security se il test di Howey è superato. Lo strano caso dei token che mutano natura nel corso dell'esistenza: strumenti finanziari al momento dell’emissione, meri utility token a impresa decentrata "compiuta" e senza amministratori (Ether). - 10. Primi orientamenti italiani: i token di investimento come «prodotti finanziari». - 11. Conclusioni. I token di investimento possono essere prodotti finanziari. Necessità del ricorso alla fattispecie dei titoli di credito per comprendere e descrivere i token. I token come valori mobiliari? - NOTE


1. Una suggestione: i token sono una complessa fattispecie unitaria come quella dei titoli di credito.

Tra la fattispecie dei titoli di credito e quella dei token vi sono sorprendenti somiglianze in punto di genesi, di funzione e di sviluppo di nuovi canali di circolazione della ricchezza. I token, come i titoli di credito, rappresentano qualcosa, “incorporano” diritti, hanno attitudine alla circolazione. Così come i titoli di credito, i token non nascono qualecategoria omogenea, non sono definiti a priori dalla legge, ma emergono da applicazioni concrete [1]. Similmente ai titoli di credito, i token sono strumenti rappresentativi di una prestazione che è, o può essere, altrove nello spazio o nel tempo. A differenza dei titoli di credito, i token non sono incorporati in una res, ma hanno pur sempre bisogno di una res per essere conosciuti e utilizzati dall’intelletto umano: un telefono, un computer, un qualsiasi strumento tecnologico che ne agevoli l’umana percezione. Se non c’è incorporazione in senso fisico, può riconoscersene una in senso digitale.

Non c’è, non può esservi, possesso del token, che circola quindi secondo regoleche non sono cartolari [2]. Qui sta anche un punto di rottura con le regole della circolazione mobiliare. Non si tratta certo del primo, visto che da molto tempo si è assistito all’introduzione di regimi di circolazione dematerializzata intermediata [3]. Tuttavia, la dematerializzazione imposta ex lege non ha nulla a che vedere con le nuove regoleconvenzionaliche ulteriormente riducono il raggio d’azione del «congegno dell’acquisto della proprietà in virtù del possesso titolato di buona fede» [4]. Il trasferimento di un token, con i diritti che incorpora, o con i diritti che sono in esso iscritti, richiede un’azione umana, l’energia necessaria e uno strumento di calcolo e registrazione. A sostituire il momento della scritturazione intermediata può intervenire una banale password o un sistema basato sulla crittografia. La novità concettuale che si aggiunge alla “vecchia” dematerializzazione è che il trasferimento dei token avviene su mercati virtuali idealmente formati da una rete che si compone di “blocchi”, generati e mantenuti in esistenza dalla potenza di calcolo dei computer dei partecipanti: una rete-mercato che può sostituirsi tanto all’emittente che all’intermediario. Su questi mercati lo strumento finanziario, che fu titolo di credito [5], può essere scambiato purchési faccia token, il che ovviamente non implica che il token sia rappresentato cartolarmene e nemmeno che sia allestito da un intermediario [6].

Come i titoli di credito (vuoi la litera cambi di origine continentale, vuoi le note inglesi [7]), sotto il profilo dell’emersione della categoria, i primi token sono comparsi nella foggia di simboli rappresentativi di unità di valore concettualmente assimilabili al denaro [8]. Le cripto-valute digitali, di cui i Bitcoin sono il più noto esempio, costituiscono infatti il primo nucleo di emersione dei token digitali. Eppure, le prime valute digitali rappresentate da token non sono moneta, comunque non moneta emessa da una banca centrale [9], ma valori attribuiti dall’ideatore di una tecnologia a coloro che le offrono supporto di calcolo, i miner, termine che ha autorizzato qualcuno a paragonare le prime valute virtuali all’oro. Un accostamentoche non è del tutto inappropriato visto che anche il minatore digitale ottiene valore in cambio di energia, solo che non si tratta di energia fisica ma di quella che serve per generare capacità di calcolo [10].


2. Dalla quasi-moneta al quasi-investimento. Evoluzione di una fattispecie intrinsecamente ibrida. Le possibili discipline di rilievo.

Se i primi token, come i primi titoli di credito, rappresentavano una somma di quasi-moneta, altri incorporano il diritto a ricevere una prestazione non im­mediatamente convertibile in un valore monetario, oppure diritti che possono definirsi di partecipazione a un investimento o di credito. Qui l’analisi del fenomeno si complica in vista della sua eventuale assimilabilità a un’altra evoluzione della fattispecie titoli di credito: gli strumenti finanziari. È quindi della massima importanza stabilire se, e in che misura, i token siano strumenti finanziari. Le conseguenze di un’attrazione della categoria dei token, in tutto o in parte, in quella degli strumenti finanziari sarebbero di grande rilievo pratico. In particolare perchétroverebbero applicazione, anche nel campo dei token, le regole poste a protezione degli investitori e dell’integrità del mercato, come la disciplina del sistema MiFID [11] e quella sul prospetto informativo [12].

Un altro profilo riguarda l’applicabilità o meno, a tutti o ad alcuni soltanto tra i token, della disciplina sui servizi di pagamento (PSD) e, in minor misura, stante la differenza concettuale tra elettronico e virtuale, quella in materia di moneta elettronica [13]. Sebbene la disciplina PSD non sembri venire in rilievo per i token che conferiscono utilità (e.g. acquistare beni in anticipo rispetto all’effettiva commercializzazione, ottenere spazio di memoria su dischi diffusi), né per i token che si presentino come strumenti di partecipazione a un’im­presa comune, essa potrebbe tuttavia trovare applicazione con riguardo proprio a quei token che rappresentino valute virtuali, vale a dire token che siano esclusivamente utilizzabili per effettuare pagamenti.

Infine, i tokensono sicuramente soggetti alla disciplina antiriciclaggio. Il problema è in parte affrontato dal quinto aggiornamento della direttiva europea in materia, pubblicata e da trasporre nell’ordimento italiano entro il2020. Essa introduce una definizione di «valuta virtuale» [14] che risponde esclusivamente alle necessità della disciplina di contrasto al riciclaggio e, così, non colma le lacune presenti in altri settori dell’ordinamento (MiFID, prospetto e PSD).


3. Token e token virtuali.

Con il termine token generalmente si identifica qualcosa che ha la funzione di rappresentare qualcos’altro, come un valore o un’informazione. Se la locuzione può apparire aliena, il concetto non è nuovo. I gettoni telefonici, oggi estinti, sono stati token rappresentativi di un valore monetario variabile nel tempo, corrispondente a uno scatto telefonico, cioè al diritto di parlare al telefono per un tempo determinato e in funzione della localizzazione del ricevente (chi non ricorda che le interurbane si facevano la sera tardi?).

Oltre a rappresentare qualcosa, consentendone o facilitandone la trasferibilità, i token possono oggi incorporare informazioni complesse. La diffusione dell’internet banking haimposto l’utilizzazione di token che generano chiavi personalizzate di accesso alle aree riservate dei sitidelle banche. Ciò ha consentito a tutti di servirsi della sicurezza offerta dalla crittografia per compiere semplici operazioni dal proprio computer, senza recarsi presso una filiale.Anche al di fuori anche del caso appena richiamato, la legge italiana riconosce il valore dell’identificazione informatica tramite token crittografico. Basti qui ri­cordare che, nell’ambito del processo telematico,l’avvocato da tempo può, e anzi deve, certificare la provenienza di atti e documenti tramite «smart card, chiavetta USB o altro dispositivo sicuro» [15].

Le funzioni ricordate, rappresentare e contenere informazioni, sono alla base anche dei token virtuali. Pur se hanno perduto ogni immediata materialità, i token virtuali rappresentano qualcosa. Si mostrano in forme digitali accattivanti, che consentono a chiunque abbia un telefono o un computer di essere visualizzate, trasferite, utilizzate per accedere ad aree riservate, compiere operazioni o esigerela prestazione di servizi.

In ragione di questa evoluzione tecnologica che tende alla dematerializzazione dei beni, e alla digitalizzazione delle possibili rappresentazioni di questi, il termine token è oggi associato al concetto di bene digitale (digital asset). Ove questo asset sia percepibile, rappresentabile e trasferibile attraverso chiavi crittografiche su di un registro o una rete decentrata, come la prima Block­chain per i Bitcoin, il bene digitale è descritto con il vocabolo crypto-asset. Nonostante l’inquietudine che il termine incute, un crypto-asset è essenzialmente un codice, meglio, la rappresentazione di un codice-sequenza che contiene informazioni. Questo può avere un valore intrinseco o incorporare il potenziale di produrre valore dall’impiego dell’informazione rappresentata dal token. In termini grafici, un crypto-assetpuò essere raffigurato come una sequenza di caratteri alfanumerici. La mera rappresentazione grafica che permette una visualizzazione del codice su carta, o su computer, ha però poco senso. Essa non rappresenta il bene digitale nel suo possibile sviluppo, esattamente come la rappresentazione cartolare della sequenza del genoma umano non rap­presenta un essere vivente. Il paragone è ardito, ma la distanza tra rappresentazione semplificata e potenzialità di utilizzazione è enorme.


4. I token come genere ampio che contiene i crypto-asset (che a loro volta contengono le cripto-valute, come Bitcoin ed Ether). Una definizione di lavoro per chiarire il campo di indagine.

Si è detto che i crypto-asset, di cui le cripto-valute sono il più noto esempio, possono essere definiti come rappresentazioni digitali crittografate di un valore o del diritto a ricevere una prestazione contrattualmente stabilita. Tra le caratteristiche attribuibili a tutti i crypto-asset sono spesso indicate la trasferibilità, la possibilità di essere conservati dall’utente in un portafoglio (e-wallet) e la negoziabilità sul mercato digitale. Per rendere efficaci e, al contempo, pubblicamente disponibili queste operazioni [16] si utilizza una qualche forma di registrazione digitale diffusa, i.e. Distributed Ledger Technology, in acronimo DLT (per rimanere sull’esempio del Bitcoin, la citata Blockchain) [17].Il termine cryptorichiama la tecnica della crittografia utilizzata per inviare e registrare, in modo sicuro [18], l’informazione rilevante, quale ad esempio l’intervenuto trasferimento di un’unità di valore da un soggetto a un altro. In ragione di ciò, è lecito definire i crypto-asset come beni digitali, registrati in modo diffuso, attraverso meccanismi che impiegano la crittografia [19]. E, tuttavia, se è vero che tutte le transazioni in crypto-asset insistono in qualche modo su registri diffusi, non è vero anche il contrario. Le tecniche DLT possono essere utilizzate per registrare operazioni diverse da quelle involgenti crypto-asset [20]. Ad esempio, la tecnica DLT potrebbe essere utilizzata per registrare trasferimenti immobiliari, sempre che la legge del paese dove si trova l’immobile lo consenta [21].

Così come non esiste una definizione condivisa di crypto-asset, non ne esiste una di token. I due termininon sono sovrapponibili, se non altro perché il campo semantico che il vocabolo token occupa è più ampio. Un token può rappresentare qualcosa anche al di fuori del digitale e può assumere materialità (il gettone), mentre i crypto-asset sono sempre virtuali. Peraltro, mentre un crypto-asset può sempre essere rappresentato da un token, non è detto che ogni crypto-asset debba essere rappresentato da un token. Per semplificare, si immagini una serie di cerchi concentrici. Procedendo dall’esterno, per primo si incontrerebbe l’insieme del genere deitoken. Questo a sua volta conterrebbe tanto l’insieme dei token materiali (quello del citato gettone), quanto quellodei token dematerializzati, consistenti nella rappresentazione digitale di un valore, di un’informazione o del diritto a riceverla. Nel sottoinsieme dei token dematerializzati, poi, sarebbero ricompresi sia l’insieme dei token che per essere trasferiti non hanno bisogno di sistemi crittografici (ad esempio, una carta di imbarco digitale), sia l’insieme dei token che, per essere trasferiti, utilizzano sistemi di chiavi crittografiche, i.e.crypto-asset. Il nucleo di quest’ultimo insieme avrebbe al centro le cripto-monete. Gli esempi più noti, già richiamati, sono Bitcoin o Ether, che per primisi sono imposti grazie ad alcune caratteristiche (anonimato, tracciabilità) che si sono fatte standard di mercato.

Lasciando da parte i token dotati di materialità, in questo scritto il terminetoken è utilizzato come lemma generico comprendente tutti i crypto-asset [22].Alcune indicazioni definitorie a supporto di questa impostazione, pur con qualche divergenza lessicale, sono state proposte dal Securities and Markets Stakeholder Group (SMSG) [23] dell’ESMA, da alcune autorità del Regno Unito (Bank of EnglandFinancial Conduct Authority[24] e dall’Autorità federale svizzera di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA) [25].

Nel rapporto SMSG il termine crypto-asset comprende cripto-monete, valute virtuali e asset virtuali: «a broad term that encompasses many virtual assets and can be defined by opposing it to account-based assets» [26]. In questa definizione sta una delle caratteristichepeculiari del token come strumento digitale rappresentativo di un valore. Mentre i registri accentrati degli emittenti titoli di credito nominativi prima e, poi, i registri degli emittenti strumenti finanziari si fondavano sul principio per cui si deve poter verificare l’identità del titolare dello strumento, nell’economia dei token ciò che conta è la validità del token in sé, un po’ come per le banconote e per i titoli al portatore. Ciò per un’eterogenesi dei fini, forse riavvicina la categoria ai titoli di credito che sopra abbiamo distinto dai token proprio per l’impossibilità di predicarsi dei secondi il possesso. D’altro canto, questo riavvicinamento evidenzia il contrasto tra la disciplina contrattuale e spontanea di molte emissioni di token e il modello legale dei titoli di credito. In primo luogo perché il token riconducibile al genere delle valute virtuali non sarebbe lecitamente utilizzabile stante il divieto di cui all’art. 2004 c.c. In secondo luogo, e in termini più generali, perché tutti gli ordinamenti contemporanei tendono a porre al di fuori della legalità gli strumenti di circolazione della ricchezza che garantiscono l’anonimato. In Italia, come noto, il processo ha avuto inizio con riguardo alle azioni nominative in epoca coeva alla promulgazione del codice civile e la tendenza si è affermata nei successivi settant’anni, soprattutto per le esigenze di contrastodel riciclaggio che finanzia la criminalità organizzata e il terrorismo.

Emerge un’altra differenza. Al contrario di banconote e titoli non nominativi, i token basati su sistemi crittografici recano, in uno con lo svantaggiolegatoalla possibilità di nascondere il titolare effettivodel valore, il vantaggio di essere garantiti in punto di sicurezza da chiavi crittografiche; il che, se non evita,comunquecomprime la possibilità di smarrimento, furto, ed errore nel­l’attribuzione di valore [27].

Se la fattispecie si pone in contrasto con disposizioni imperative che ne impediscono la riconducibilità al fenomeno dei titoli di credito, è pure sostenibile che i token si presentino comeun ibrido contrattuale fondato su una legge di circolazione convenzionaleaccettata tra i privati che ne facciano uso, secondo schemi non cartolari, non tipizzati dalla legge (e forse in contrasto con essa) e tuttavia assimilabili a fenomeni di circolazione impropria. Se così fosse, si sarebbealla presenza di strumenti di circolazione della ricchezza qualificabili come documenti di legittimazione digitali, o forse come titoli digitali impropri. In altre parole, la categoria dei token, sempre che di categoria unitaria si tratti, potrebbe integrare una nuova declinazione dell’antifattispecie cartolare [28], in contrasto con la fattispecie dei titoli di credito, ma bisognosa delle categorie di quest’ultima per essere compresa e descritta.


5. Token. Le tassonomie sin qui elaborate con una precisazione (oltre ogni suggestione): categorie nuove richiedono nuovi sforzi interpretativi.

Tra le tassonomie sino a oggi proposte, sembra appropriata all’indaginequella che distingue i token in base alla funzione economica.La seguente tripartizione è oggi largamente condivisa [29]:

(i)Token di pagamento (payment token o crypto-currency). Si trattadeitoken che possono essere utilizzati, appena emessi o in un prossimo futuro, come mezzo di pagamento. La principale caratteristicadei token di pagamento èl’attitudine a svolgere la funzione solutoria propria della moneta, pur non essendo moneta. Un’altra caratteristica ricorrente dei token di pagamento è che non conferiscono al detentore alcun diritto nei confronti dell’emittente. L’e­mittente, nel caso dellecripto-monete, può anche sfumare sino a scomparire (ma meglio sembra ritenere che esista in una forma diffusa o decentrata, sconosciuta all’ordinamento, salva la riconduzione alla categoria della società di fatto). Sono esempi di token di pagamento: Bitcoin, Litcoin, Ether (in attesa del lancio di Libra, previsto per l’anno 2020).

(ii) Token di accesso a un servizio o altra utilità (utility token). Si tratta di token che offrono accesso a un servizio digitale o che conferiscono altro vantaggio al titolare (e.g. il sottoscrittore del token ottiene spazio di memoria su un disco diffuso o condiviso). Può trattarsi di qualcosa di molto simile a voucherdigitali che incorporano il diritto a ricevere una prestazione, come un facere, o comunque una prestazione materiale o immateriale diversa da un utile conseguente a un investimento. Moltissimi sono gli utility token acquistabili nell’ambito dei videogiochi: l’utente finanzia l’intrapresa di programmazione del gioco e ottiene dei gettoni virtuali che nell’àmbito del gioco medesimo lo favoriscono rispetto ad altri giocatori. Come tali gli utility tokensi avvicinano più alla figura informale del buono con funzione di legittimazione, qui digitale, che a quella del prodotto o dello strumento finanziario. È un esempio di token di utilità Filecoin.

(iii) Token di investimento (asset token o security token [30]), nei quali il token rappresenta un bene di investimento, come uno strumento di debito, di capitale o un derivato. Esso conferisce il diritto a ricevere una prestazione patrimoniale da unemittente di qualche tipo (anche diffuso) secondo le categorie rischio/rendimento, ma per via tutta digitale. Ne è un esempio Polybius, token attribuito ai sostenitori del progetto Polybius Bank [31]. In questa speciepossono rientrare anche i token che rappresentano unità di valore corrispondenti a un bene materiale digitalizzato (“tokenizzato”) [32]. Ad esempio, si può immaginare che il valore di uno o più beni immobili sia suddiviso in token che ne rappresentino digitalmente, appunto, frazioni di valore, come già accade nella realtà economica dei fondidi investimento immobiliari.

La tassonomia che precede è puramente descrittiva. Ogni classificazione operata in conformità a categorie che pre-esistonoal fenomeno dei token, pur offrendo coordinate interpretative, non può essere pedissequamente accettata, pena il rischio per l’interprete di trovarsi intrappolato in definizioni dell’esi­stente incapaci di inquadrare il nuovo. Il ricorso alle nozioni di azione, obbligazione, mezzo di pagamento può offrire appigli concettuali, ma anche ostacolare l’individuazione di token ibridi. Sfuggono alle categorie elencate quei token che incorporano digitalmente un valore che per il detentore può assolvere una funzione diversa da quella per cui era stato progettato. L’esempio è dato dai token di pagamento che si propongono come strumenti solutorie divengono attivi con un mercato in alcuni casi fiorentissimo [33]. Nulla esclude che anche i token di utilità, come i citati Filecoin, possono essere “minati” e poi detenuti dal miner a scopo di investimento [34]. Si deve quindi anche avere riguardo alla funzione economica che i token svolgono, almeno quando ne svolgano una [35].


6. Primi tentativi di inquadrare leInitial Coin Offering (ICO) e i crypto-asset nella disciplina europea dei mercati finanziari.

L’emersione dei token si lega all’inarrestabile ascesa di un nuovo modello di raccolta del risparmio, le Initial Coin Offering (ICO). Una raccolta:

(i) decentrata o, almeno, non necessariamente implicante la presenza di un emittente immediatamente riconoscibile;

(ii) digitale, non solo nel senso di dematerializzata, ma giammai cartolare né connotata da alcuna realità;

(iii) a-territoriale,perché l’offerta interviene in un ambiente virtuale come l’internet (internet-basedfinancial market [36]); eppure

(iv) transnazionale, nel senso che di là dall’essere rivolta a soggetti che risiedono in più di un territorio-ordinamento, essa non si lega a nessun ordinamento in particolare, ma a tutti e a nessuno al contempo [37].

Vi sono alcune forme ricorrenti nel processo di collocamento. Il mercato sembra ritenere imprescindibile una forma di prospetto sui generis che prende il nome di libro bianco (white paper), il quale permette agli esperti del settore di conoscere le caratteristiche del progetto, ma certo non assolve le funzioni di tutela del risparmio, trasparenza e integrità del mercato cui mira la disciplina sul prospetto informativo. In un contesto siffatto è naturale che i regolatori si chiedano se questa fattispecie integri quella dell’offerta al pubblico di prodotti finanziari. Ma anche ove una ICO non sia il presupposto del collocamento, i regolatori sono chiamati a stabilire se i token siano prodotti, strumenti finanziari o altrafattispecie di rilievo per la disciplina positiva.

Con due avvisi alla Commissione europea pubblicati il 9 gennaio 2019, laEuropean Banking Authority (EBA) e la European Securities and Market Authority (ESMA) hanno fatto propria la tripartizione a contenuto descrittivo ricordata e hanno offerto alcuni spunti circa l’inquadramento del fenomeno [38]. Per rimanere nel campo di indagine che qui ci si è proposti, ci si limiterà a richiamare ed esaminare l’avviso dell’ESMA [39]. In primo luogo, l’autorità ricorda la definizione di strumento finanziario (financialinstrument) e quella di valore mobiliare (transferable security[40]. Poi evidenzia come tali definizioni implichino la necessaria compresenza dei caratteri della standardizzazione, della trasferibilità e della negoziabilità sul mercato. Caratteri di cui, secondo l’ESMA, un certo numero di token in circolazione sarebbero in possesso [41], con evidenti conseguenze circal’applicazione (i) della direttiva sul prospetto (2003/71/CE) [42]se i token siano transferable securities, (ii) della direttiva trasparenza (2013/50/UE), che troverebbe in ipotesi applicazione ove i token fossero ammessi alle negoziazioni su di un mercato, (iii) del sistema MiFID, nel caso in cui i token ricadano nella nozione di strumento finanziario, ivi inclusa la disciplina degli intermediari e quella dei mercati (anche multilateral trading facility – di seguito MTF), (iv) del regolamento in materia di abusi di mercato (2014/596/UE – MAR), ove il token sia uno strumento finanziario, (v) nonché delle discipline in materia di vendite allo scoperto, dei regolamenti (settlmentfinalitydirective), e delle direttive sull’investimento collettivo del risparmio (UCITS) e sui manager dei fondi alternativi (AIFMD).

Le conclusioni dell’ESMA sono essenzialmente due. La prima è che il fenomeno dei crypto-asset non ha al momento dimensioni tali da determinare ri­schi per la stabilità finanziaria. La seconda è che nonostante la dimensione per ora limitata, i crypto-asset possono già porre, e anzi pongono, rischi per la protezione degli investitori [43]. L’ESMA non indaga il problema del carattere a-territoriale degli operatori del mercato dei token. Auspica l’avvento di una disciplina europea [44], ma pure rileva che una regolamentazione eccessivamente rigida potrebbe pregiudicare la crescita di un mercato europeo di questi strumenti. In assenza di una comune disciplina europea, l’analisi non può che proseguire avendo riguardo agli approcci che alcuni ordinamenti hanno nei confronti dei token.


7. L'approccio tedesco. I token possono essere strumenti finanziari. Necessità di una valutazione caso per caso.

I token di pagamento come Bitcoin, sin dal 2013, sono stati ricondotti dallaBundesanstaltfürFinanzdienstleistungsaufsicht (BaFin) alla fattispecie delle unità di conto (Rechnungseinheiten). Queste sono strumenti finanziari ai sensi della legge bancaria (GesetzüberdasKreditwesen, d’ora in avanti KWG) [45], ma non anche delle disposizioni contenute nella disciplina tedesca di recepimento dellaMiFID. Di conseguenza, secondo BaFin, l’intermediazione di Bitcoin èsottoposta in Germania a riserva di attività, in particolare per quantoconcerne le attività di cambio con valute aventi corso legale [46]. Tuttavia, una recentissima sentenza sembrerebbe aver sconfessato la tesi, sul presupposto che per darsi unità di conto, il valore monetario da essa rappresentato dovrebbe avere un riconoscimento giuridico in almeno un ordinamento diverso da quello tedesco [47].

Con riguardo ai token di investimento, il discorso è in parte diverso. Nel febbraio del 2018, BaFin ha pubblicato una circolare su token e ICO [48] in cui afferma che i token possono qualificarsi, in base a valutazioni caso per caso, come strumenti finanziari. In un più recente documento [49],l’autorità sembra accederealla più volte citata tripartizione (payment tokeninvestment tokenutility token) pur non negando il ricorrere, nella prassi, di fenomeni di ibridazione.BaFin chiarisce pure che la legge tedesca non vieta le offerte pubbliche, né la promozione o la negoziazione di token sulla base di contrattazioni bilaterali o intermediate. Aggiunge, e il profilo qui interessa, che se un token è uno strumento finanziario, si deve applicare la disciplina del prospetto per le offerte e quella della MiFID per l’intermediazione e per la negoziazione.

I token di investimento che presentino i caratteri degli strumenti di capitale o di debito possono rientrare nella nozione di strumento finanziario nel senso della legge tedesca su mercati e strumenti finanziari (Wertpapierhandelsgesetz, innanzi “WpHG”, ossia la disciplina che comprende le disposizioni di trasposizione della MiFID). Come accennato, il concetto di strumento finanziario di cui al KWG non è identico a quello enunciato dal WpHG. Sicché, se si prende il WpHG [50], per qualificarsi come strumento finanziarioun token deve essere: (i) trasferibile; (ii) negoziabile sul mercato dei capitali; (iii) incorporare uno o più diritti di natura partecipativa sul modello delle azioni o delle obbligazioni. Al ricorrere di tali requisiti,i token sarebbero strumenti finanziari [51]e andrebbero soggetti alla relativa disciplina, nonché a quella sul prospetto (Wertpapierprospektgesetz, innanzi “WpPG”) [52]. Seguendo questa impostazione, è evidente che i token che siano offerti sul mercato come strumenti digitali che incorporano il diritto a ricevere una prestazione conseguente all’in­vestimento, sul modello delle azioni o delle obbligazioni, sarebbero riconducibili all’alveo della fattispecie strumenti finanziari, cioè Wertpapier [53], nel senso originario più vicino al concetto di titoli di massa. Resta pur sempre da verificare, caso per caso, se la negoziabilità su di un cripto-mercato diverso dalle ordinarie sedi di negoziazione integri il requisito della negoziabilità sul mercato dei capitali. La questione in Germania non è di secondaria importanza. L’esistenza di un mercato regolamentato, o di un mercato comunque regolato dalla legge o dal contratto, è rilevante perché la categoria degli strumenti finanziari, influenzata come in Italia dalle costruzioni concettuali di un passato cartolare, riconosce nell’attitudine alla circolazione secondo la regola possesso di buona fede un requisito del carattere della negoziabilità. Questo implica non solo che uno strumento finanziario sia trasferibile, ma che possa in concreto essere trasferito secondo regole certe, cosa che avviene su di un mercato regolamentato e che può non avvenire, almeno non allo stesso modo, su di uno regolato da convenzione. Poiché i token sono un fenomeno nuovo, è dubbio se a essi e ai loro mercati sui generis si applichi la disciplina positiva dell’acquisto di buona fede, che vale per i valori mobiliari, e si evolve nelle regole della circolazione scritturale per i loro successori, gli strumenti finanziari. Proprio per l’assenza di regole imperative sul punto, alcuni autori sostengono che i token, non potendo negoziarsi su mercati riconosciuti dalla legge, rientrerebbero nella nozione di investimenti disciplinati dal VermAnlG [54]. La valutazione, lo si è detto, si fa caso per caso, ma si può concludere con due osservazioni.Se, in concreto, i token sono come strumenti finanziari o di investimento si applicherà la relativa disciplina, in particolare MiFID. Per gli altri titoli negoziabili in massa, come gli investimenti di capitale, pur se non dovesse trovare applicazione la disciplina MiFID, rimarrebbe fermo in ogni caso l’obbligo di pubblicazione di un prospetto, nelle forme più o meno semplificate previste dalla legge tedesca [55].


8. Il dibattito in Francia. I token non sono strumenti finanziari(con l'eccezione di alcuni derivati), ma potranno esserlo con la nuova disciplina paneuropea sul prospetto.

Secondo la dottrina francese prevalente, le cripto-monete, e quindi i token di pagamento, non sono moneta, né moneta elettronica, né strumento finanziario [56]. Con riguardo a questi ultimi, nessun token, tampoco quello di investimento, sarebbe sussumibile nei tipi enumerati dall’articolo L. 211-1 Code monétaire et financier: azioni, obbligazioni, quote di fondi, ecc. [57] Ciononostante, l’autorità di vigilanza sui mercati finanziari (AMF), in un documento del 2018 ha evidenziato come, non esistendo una definizione “chiusa” di derivato nell’ordinamento francese, alcuni token, il cui valore sia collegato a un sottostante, potrebbero rientrare nella categoria e quindi farsi strumenti finanziari [58] (cfr. l’analoga impostazione del Regno Unito [59]).

In tempi recentissimi, una voce autorevole ha comunque evidenziato che ove un token di investimento conferisca diritti assimilabili a quelli conferiti da una delle tre fattispecie richiamate dall’art. 211-1 Code monétaire et financier, andrebbe soggetto alla relativa disciplina [60]. Il quadro in Francia è destinato a mutare con l’entrata in vigore, a luglio 2019, della nuova disciplina europea in materia di prospetto. Il nuovo regolamento, che sostituisce una direttiva che ha sin qui lasciato spazio alle definizioni nazionali francesi, lega l’obbligo di pubblicare un prospetto alla nozione ditransferable security di cui all’art. 4(1)(44) della MiFID II, e cioè ai «valori mobiliari», intesi comeampia e aperta categoria di valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali. Donde la negoziabilità come carattere fondamentale: il punto è decisivoperché la nuova disciplina reintrodurrànell’ordinamento francese il termine valeursmobilières(traduzione in francese di transferable security) e lo sostituirà, nella disciplina del prospetto, a instrumentsfinancierscon il probabile effettodi riaprire la categoria e di imporre l’applica­zione della disciplina del prospettoai token di investimento che posseggano il carattere della negoziabilità.

Con riguardo ai token di pagamento, conviene richiamare l’orientamento secondo cui le cripto-monete possono essere considerate come attivi speculativi «Bitcoin est l’un desactifsspéculatifs, parfoisqualifiés à tortde “monnaies” virtuellesou “crypto-monnaies”, qui existentactuellementdans le monde. Il s’échangeenligne et n’estmatérialisé par aucune pièce ou billet» [61].Una conclusione, questa, che sembrerebbe autorizzare riflessioni circa l’attitudine anche delle cripto-monete, almeno di quelle con più efficienti e ampi mercati, a circolare come titoli di investimento. Qui, però, la questione centrale riguarda non solo la negoziabilità, ma anche la funzione dello strumentoe, forse, la causa del rapporto in base al quale il token siaemesso o trasferito.


9. Stati Uniti. I token sono security se il test di Howey è superato. Lo strano caso dei token che mutano natura nel corso dell'esistenza: strumenti finanziari al momento dell’emissione, meri utility token a impresa decentrata "compiuta" e senza amministratori (Ether).

Per verificare se un investimento abbia natura finanziaria e sia, quindi, stru­mento finanziario (security[62], negli Stati Unitisi richiede che il titolo superi il c.d. test di Howey [63]. Si è in presenza di uno strumento finanziario se: (i) vi è un investimento di denaro, (ii) l’investitore si attende un profitto, (iii) l’inve­stimento è in un’impresa comune (iv) l’eventuale profitto dipende dallo sforzo di un promotore o di un terzo, nel senso che non è rimesso al caso e che si non richiede un’attivitàdell’investitore. La giurisprudenza è intervenuta su alcune nozioni essenziali del test. Sebbene il primo requisito richieda un investimento di denaro (money), in alcune pronunce si è chiarito comel’investimento di attivi diversi dal denaro (ad esempio, altri strumenti finanziari) sia da ritenersi equivalente [64]. Anche il concetto diimpresa comuneè stato interpretato in modo più o meno ampio, a seconda diepoche e fattispecie. In sintesi, si tende a riconoscere un’impresa comune laddove il denaro sia investito da più soggetti per realizzare un comune progetto. Il successo di questo deve poidipendere in concreto dagli sforzi (effort) di un soggetto terzo rispetto agli investitori, tipicamente, ma non necessariamente, un consiglio di amministrazione, secondo la classica dinamica di agency.

Un caso interessante in cui la Securities Exchange Commission (SEC) ha ritenuto che si fosse in presenza di un token-strumento finanziario è quello dell’iniziativa posta in essere da The DecentralizedAutonomous Organization (in avanti, “The DAO”). La SEC ha definito la struttura di questa impresa digitale come una «organizzazione virtuale incorporata in un codice eseguito su un DLT o una blockchain» [65]. Pur essendo completamente decentrata, la struttura di The DAO è stata creata da soggetti che la SEC ha identificato nei fondatori di un’applicazione web (Slock.it) promotori di un progetto comune finanziato con l’emissione di DAO token, sottoscrivibili dietro pagamento non con moneta avente corso legale, ma con altra valuta virtuale (Ether). I DAO token attribuivano al titolare diritti di natura non solo patrimoniale, ma anche amministrativa (i.e. voto su alcuni argomenti).Inoltre, secondo le stesse intenzioni dei promotori, The DAO avrebbe dovuto generare profitti finanziando progetti che sarebbero stati selezionatitenendo conto delle indicazionidei sottoscrittori, ottimizzate da un algoritmo.

In questo quadro, la SEC ha ritenuto che i DAO token superassero il test di Howey e si configurassero come una sorta di quote di un fondo comune di investimento. La SEC è giunta anche a conclusioni interessanticirca l’esistenza di un’impresa comune e sulla attività di un agente terzo rispetto agli investitori, non qualificabile come soggetto in senso tradizionale. Il quasi-soggetto che viene in rilievoè l’organizzazione decentrata, The DAO. Pur non essendo un ente incorporato ai sensi delle leggi di alcuno Stato, per la SEC si tratta di un’entità venuta a esistere in forza dell’opera di promotori del sistema: «Investors’profits were to be derived from the managerialefforts of others – specifically, Slock.it and its co-founders, and The DAO’sCurators» [66]. Questi sono dunque, se non i terzi dal cui sforzo manageriale deve derivare il profitto, i manutentori garanti del funzionamento della struttura decentrata.

Benché l’interpretazione della SEC offra importantissime coordinate interpretative, sul punto non mancano alcune interessanti, e forse confliggenti, tesi giurisprudenziali. Il primo riferimento cade su un provvedimento cautelare adottato da un tribunale della Florida nel luglio 2018. A seguito di un’indagine della SEC, i fondatori di una società che avevaemesso token denominati Centra’s CTR tokenerano convenuti in un giudizio volto a ottenere un sequestro dei loro beni da alcuni investitori che sostenevano di aver perso tutto il capitale investito. Tra gli argomenti a supporto della domanda cautelare, gli investitori allegavano che i token fossero stati collocati con un’offerta pubblica priva dei requisiti di legge [67]. Il tribunale, nell’autorizzare il sequestro, ha ricondotto l’operazione di raccolta ai fondatori (persone fisiche), sostenendo che questi, attraverso l’internet, avessero raccolto capitali in cambiodi token i quali ultimi, pur se emessi su di un registro diffuso protetto dalla crittografia,seguivano lo schema classico dei prodotti finanziari offerti al pubblico [68]. L’obiettivo del progetto Centraconsisteva nella creazione della prima carta di debito smart, collegabile a più blockchain e, quindi, potenzialmente legata a più cripto-mo­nete. I detentori dei token rappresentativi del capitale raccolto avrebbero avuto diritti patrimoniali sul modello dei dividendi e qualche diritto di natura amministrativa. In questo quadro il tribunale ha ritenuto integrati tutti i presupposti del test di Howey, anche perché il successo dell’iniziativa sarebbe dipeso dallo sforzo gestionale dei fondatori [69]. In un caso di poco più recente, diverso per volume di raccolta [70] ma non nei tratti essenziali (emittente decentrato e sui generis, impresa comune, aspettativa di profitto, sforzo gestionale terzo), una corte californiana è giunta a una conclusione opposta, sostenendo che il whitepaper non fosse sufficientemente chiaro in punto di rendimenti potenziali [71].

Si conferma l’impostazione tedesca, e come vedremo italiana, per cui la valutazione circa la natura dei token deve effettuarsi caso per caso. E negli Stati Uniti non mancano i casi particolari, come quello di Ether. Secondo un’inter­pretazione, Ether sarebbe stato uno strumento finanziario al momento dell’e­missione (tramite ICO), ma avrebbe perduto una tale qualità nel corso della sua esistenza. In un discorso molto citato, un membro del consiglio della SEC, William Hinman, ha affermato che un token che sia stato uno strumento finanziario al momento dell’emissione possa poi perdere tale qualità nel corso della sua esistenza digitale nei casi in cui «thereisnolongeranycentralenterprisebeinginvested in or where the digitalasset issoldonly to be used to purchase a good or serviceavailablethrough the network on whichitwascreated» [72]. La questione è ovviamente connessa al test di Howey, che la nota cripto-moneta avrebbe superato al momento dell’ICO, ma che ora non potrebbe più superare essendo divenuta un’impresa veramente decentrata [73].

In ultimo, si deve segnalare che una novella della Delaware General Corporation Law ha introdotto, nella primavera del 2018, per le società emittenti con sede nel Delaware, la possibilità di affidare la tenuta del registro (stock ledger) e dei libri sociali a «1 or more distributedelectronic networks or databases» [74]. In questo modo la tecnologia di tipo blockchain diventa possibile legge di circolazione legale, che concorre con un residuo regime cartolare e con ancora diffuse forme di gestione delle scritturazioni accentrate.


10. Primi orientamenti italiani: i token di investimento come «prodotti finanziari».

In Italia la questione definitoria si presenta forse più complessa. La categoria degli strumenti finanziari emerge con la disciplina europea. Avendo riguardo al diritto nazionale, la categoria è figlia, almeno adottiva, di quella dei valori mobiliari, estensione della categoria dei titoli di credito di massa. Nel sistema attuale, i valori mobiliari costituiscono una specie del genere strumento finanziario. La categoria degli strumenti finanziari è apparentementechiusa, nel senso che la legge offre una lista che può essere ampliata solo con legge o regolamento [75] (salvo che non la si ritenga riaperta dai derivati [76]). In ultimo,valori mobiliari e strumenti finanziari sono specie del più ampio genere prodotti finanziari, categoria aperta, anzi apertissima (l’art. 1, comma 1, lett. u) t.u.f. li definisce come «gli strumenti finanziari e ogni altra forma di investimento di natura finanziaria»).È in questo complesso quadro che si deve stabilire se i token siano, e in che misura, strumenti o prodotti finanziari. Se, infatti, la disciplina del prospetto e dell’offerta pubblica si applicano a entrambe le fattispecie, numerose sono le disposizioni del t.u.f. e del t.u.b. che vengono in rilievo solo con riguardo agli strumenti e non anche ai prodottifinanziari [77].

In materia è pubblicato un precedente. Il Tribunale di Verona [78] si è pronunciato su di un caso di vendita di Bitcoin da parte di una società promotrice di una piattaforma di crowdfunding. In punto di qualificazione del rapporto contrattuale tra piattaforma e potenziali acquirenti, il Tribunale ha definito il Bitcoin quale strumento finanziario. In particolare, ha statuito: «Il nucleo liquido della vicenda, difatti, si incentra tutto sul rapporto (necessariamente contrattuale) che si perfezionò tra gli odierni attori e la società convenuta, in forza del quale [...] ebbe luogo il cambio di valuta reale con bitcoin (definito da attenta dottrina come uno ‘strumento finanziario utilizzato per compere una serie di particolari forme di transazioni online’ costituito da ‘una moneta che può essere coniata da qualunque utente ed è sfruttabile per compiere transazioni, possibili grazie ad un software open source e ad una rete peer to peer’)».

La pronuncia sembra forzare la definizione di strumento finanziario, forse perché la fattispecie viene in considerazione solo incidentalmente e secondo lo schema del Codice del consumo, ove il lemma «finanziario»copre un campo semantico più ampio di quello che lo stesso vocabolo ha nel t.u.f.

Se la dottrina che ha iniziato a occuparsi di cripto-valute sembrerebbe invece propendere per l’esclusione dei Bitcoin dal novero degli strumenti finanziari [79], una tale conclusione non pare valere anche per i token di investimento. Questi assumono la forma dell’investimento di «natura finanziaria»e possono quindi essere ricondotti al novero dei prodotti finanziari. Se si condivide l’impostazione, allora si deve ritenere che il token-prodotto finanziario non possa sottrarsi alla disciplina sul prospetto, sempre, ovviamente, che vi sia un emittente individuabile (ma, come ha ritenuto la SEC, un emittente nella forma del promotore c’è anche nelle strutture che ambiscono a divenire pienamente decentrate: un demiurgo è per ora necessario anche nel cyber-spazio).

Alcune recenti delibere della Consob aiutano a meglio inquadrare il problema. Con la prima di esse, dello scorso 31 ottobre 2018 [80], l’autorità ha sospeso l’ope­razione di offerta di “token TGA”. Questi token erano stati pubblicizzati presso il pubblico, in lingua italiana, su un sito web visitabile dall’Italia e qualificati dai promotori quali opportunità di «investimento». Indizio questo della natura dei token, per ciò qualificati (non come strumenti, ma) come prodotti finanziari offerti in violazione della disciplina sul prospetto [81]. La Consob, seguendo peraltro un orientamento costante, ha aggiunto che la nozione di investimento di natura finanziaria implica la compresenza dei tre elementi: (i) un impiego di capitale; (ii) un’aspettativa di rendimento di natura finanziaria; (iii) l’assunzione di un rischio direttamente connesso e correlato all’impiego di capitale [82]. Sul punto si vede l’influenza dell’approccio statunitense e dell’Howeytest.

L’aspetto certamente più interessante della delibera, ove si fa riferimento alla sostanza oltre la forma, è quello in cui l’autorità chiarisce come l’offerta di token sia qualificabile come offerta al pubblico di prodotti finanziari se: «l’elemento causale della proposta negoziale è riconducibile alla produzione di un rendimento finanziario quale corrispettivo dell’impiego di capitale conferito dal percettore del rendimento medesimo che, quindi, conferisce il proprio denaro con un’aspettativa di profitto». È quindi la causa del proposto contratto (i.e. investimento) a qualificare il token come prodotto finanziario [83].


11. Conclusioni. I token di investimento possono essere prodotti finanziari. Necessità del ricorso alla fattispecie dei titoli di credito per comprendere e descrivere i token. I token come valori mobiliari?

Con il conforto delle recentissime decisioni della Consob, si può sostenere che i token di investimento possano qualificarsi come prodotti finanziari. Ciò implica l’applicazione della disciplina sul prospetto, ma non anche quella di altri plessi normativi che l’ordinamento fa venire in rilievo esclusivamente per gli strumenti finanziari [84].

È invece difficile sostenere che i token siano strumenti finanziari. Si è detto, infatti, che sonostrumenti finanziari solo gli strumenti inclusi nel c.d. elenco MiFID, trasposto nella Sezione C dell’Allegato It.u.f. Si èperò ricordato che quell’elenco chiuso contiene alcune fattispecie forse aperte: valori mobiliari e derivati. Quanto ai valori mobiliari, il t.u.f. ne individua in particolare una che è sicuramente aperta: «categorie di valori che possono essere negoziati nelmercato dei capitali, quali ad esempio…» le azioni e le obbligazioni [85]. La locuzione “ad esempio” è chiara. Il novero dei valori mobiliari può essere integrato da nuove categorie di valori emessi in classi (i.e. la standardizzazione) che si caratterizzino per la negoziabilità su di un mercato [86].

La nozione italiana di valore mobiliare deriva, letteralmente, dal francese valeursmobilières, che all’inizio del secolo scorso coincideva con l’espressione titoli di massa, concetto diffusosi per distinguere i titoli standardizzati, rappresentanti una provvista collettiva, dai titoli di credito individuali [87]. Ora, anche se l’etimolo­gia ha un valore limitato in un settore dell’ordinamento così stratificato, il concetto di valore mobiliare suggerisce il necessario ricorrere del carattere mobiliare, cioè di un bene mobile o a questo assimilabile, essenziale per l’applicazione di un regola di circolazione come quella fondata sul possesso di buona fede e sulla circolazione secondo lo schema della legittimazione che ne consegue.

L’esperienza della dematerializzazione imposta per legge negli anni Novanta del secolo scorso ha aperto a fattispecie di circolazione dei valori mobiliari diverse dal trasferimento del possesso. L’apertura concettuale voluta dal legislatore ha così ammesso l’esistenza di valori che circolano secondo tecniche scritturali, che non richiedono la materiale apprensione di un bene. Non già perché la regola del possesso di buona fede sia superata, ma perché superato è il bene materiale come necessario veicolo di ricchezza. Come tale, e da tempo, un bene-res può non esservi. Anzi, la sua esistenza è sempre più scoraggiata da un legislatore che costruisce una filosofia di mercato che rifugge dall’anonimato e impone registri che tracciano tutta la filiera del prodotto finanziario.

Ebbene, con i token, in luogo della dematerializzazione imposta dalla legge, si ha una forma di digitalizzazione dei valori. Questi circolano secondo regole non legali ma convenzionali [88], come se fossero titoli atipici ex art. 2004 c.c., ripercorrendo uno schema che consiste in una serie continua di girate validate da un sistema crittografico e registrate sulla catena a blocchi composta dai partecipanti al sistema. Sicché la categoria dei token, almeno quelli che siano di investimento in senso causale [89], puòfar riviverequel carattere del titolo di massa che divenne valore mobiliare. Vale a dire che, come per i titoli di massa, è lecito indagare la causa del token e da essa trarre conseguenze in punto di classificazione. Del resto, è proprio questa l’operazione ermeneutica alla base del test di Howey ediquello, non dissimile sul punto, proposto dalla Consob nelle sue più recenti deliberazioni.

Nulla vieta che gli ordinamenti, come ha fatto quello del Delaware nel caso richiamato poco sopra, conferiscano valore legale alla circolazione crittografica e alle registrazioni diffuse, cioè su DLT. In un’ipotesi siffatta, lo si è detto, la legge di circolazione dei token, che si è qui definita convenzionale, e di cui si è denunciata la dubbia liceità stante il divieto ex art. 2004 c.c., diverrebbe uno dei possibili modelli di circolazione legale accanto a quello cartolare e a quello scritturale. Affinché ciò avvenga, è necessario un riconoscimento legislativo che appare tutt’altro che prossimo e che gli operatori del settore non sembrano desiderare.

L’esistenzadi un mercato – primario, con le ICO; secondario nel caso di piattaforme di scambio dei token – è ben dimostrata dai fatti. Non si possono disconoscere mercati digitali perché diversi da quelli previsti dai modelli legali. Come ha fatto la Cina si possono vietare, con tutti i problemi posti dal carattere a-territoriale degli scambi, ma non si può negarne l’esistenza. Da ciò non è improprio far discendere che il carattere della negoziabilità su di un mercato, che dovrà dimostrarsi caso per caso (non essendo i token negoziati su mercati regolamentati), fa rivivere nei tokenil carattere dei titoli di massa che divennero valori mobiliari [90].

Sulla base di queste considerazioni, in parte sorrette da una mera suggestione (il parallelo tra token e titoli di credito), ritengo che(i) si possa e forse si debba ricorrere alla categoria dei titoli di credito per comprendere e descrivere quella dei token; (ii)sia lecito sostenere che i token di investimentostandardizzati, trasferibili, negoziabili su di un mercato digitale la cui esistenza non può essere negata, siano potenzialmente riconducibili alla fattispecie dei valori mobiliari e, per il tramite di questa, rientrare nella nozione di strumento finanziario [91].

Si tratta di conclusioni poco soddisfacenti perché non affrontano e non risolvono il problema posto dal fenomeno della raccolta mediante crypto-asset, il cui aspetto più spinoso è l’identificazione della legge, o delle leggi, applicabili. Del resto, se anche i token fossero strumenti finanziari, lo sarebbero ai sensi di quale legge? Ma questo non un problema dei token, è il problema del mercato digitale [92], la cui soluzione impone di ripensare il rapporto tra mercato e ordinamento, e forse anche il rapporto tra ordinamento e territorio. Poiché si tratta di temiche non possono essere affrontati in questa sede, mi limito a due sintetiche osservazioni conclusive. Non sono persuaso che la dimensione globale del problema possa essere utilmente affrontata con convenzioni internazionali, come si fece con quelle ginevrine degli anni Trenta del secolo scorso in materia di cambiale e di assegno [93]. Il progresso tecnologico richiede tempi di azione più rapidi e, comunque, il multilateralismo disordinato che caratterizza le odierne relazioni internazionali lascia intendere che sarebbe difficile raggiungere sufficienti livelli di consenso intorno alla disciplina di un fenomeno che sposta ricchezza da piazze finanziarie consolidate verso luoghi, anche virtuali, emergenti. Ciò non significa che si debba rinunziare alla disciplina del fenomeno. Se lo Stato-ordinamento, con il suo àmbito territoriale necessariamente limitato, non può farsi da solo carico del problema, non per questo deve perdere ogni ruolo nel governo del fenomeno [94].


NOTE

[1] Le questioni poste dall’emersione della categoria di token sono tante e tali da poter contribuire alla riapertura del noto dibattito che vede confrontarsi, in materia di titoli di credito, i sostenitori dell’approccio normativo e di quello tipologico. Un dibattito che ha impegnato e, in qualche misura, continua a impegnare molti studiosi. Si vedano, tra gli altri, T. ASCARELLI, Il problema preliminare dei titoli di credito e la logica giuridica, in Riv. dir. comm., 1956, I, 397; G. FERRI, La teoria «realista» dei titoli di credito, in Banca, borsa, tit., cred., 1972, I, 36; M. LIBERTINI, Profili tipologici e profili normativi nei titoli di credito, Milano, 1971, 2 ss.; F. CHIOMENTI, Il titolo di credito. Fattispecie e disciplina, Milano, Giuffrè, 1977, 5 ss. P. SPADA, Fattispecie e disciplina cartolari (qualche appunto a margine di un libro recente), in Riv. dir. civ., 1979, II, 54. Più recentemente, v. STAGNO D’ALCONTRES, Il titolo di credito. Ricostruzione di una disciplina, Torino, Giappichelli, 1999, 6 ss. e, da ultimo, cfr. gli studi di N. DE LUCA, tra cui L’antifattispecie cartolare. Contributo allo studio dei titoli di credito, in Banca, borsa, tit. cred., 2017, I, 93.

[2] Da molto tempo prima che si diffondessero le tecniche di circolazione dematerializzata, alcuni aa. Hanno messo in evidenza come la documentazione del rapporto cartolare in un titolo cartaceo non fosse da intendersi quale forma o veicolo esclusivo di accesso delle parti alle prerogative della disciplina cartolare. Sul punto, M. LIBERTINI, Premesse a una revisione della teoria unitaria dei titoli di credito, in Banca, borsa, tit. cred., 1972, I, 220; F. CHIOMENTI, Il titolo di credito, (nt. 1), 208; F. MARTORANO, Titoli di credito3, Milano, Giuffrè, 1997, 23. Da ultimo, sul profilo, M. CIAN, Note sui rapporti tra il nuovo diritto societario e il regime di dematerializzazione, in Giur. comm., 2004, I, 315.

[3] P. SPADA, Introduzione al diritto dei titoli di credito3, Torino, Giappichelli, 2012, 9. Sulla categoria, M. LIBERTINI, Profili tipologici (nt. 1) e, con riguardo ai problemi posti da dematerializzazione prima e digitalizzazione poi, ID., I titoli di credito nella dottrina giuscommercialistica italiana, in Impresa e Società nell’Opera di Antonio Pavone La Rosa,a cura di V. Di Cataldo, in Giur. comm., quaderno 416, 2017, 71 ss. Per una recente ricostruzione delle tesi su origini della categoria dei titoli di credito nonché su possesso, titolarità e funzione circolatoria v., anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici, R. LENER, P. SPADA, Commento sub art. 1992 c.c., in Delle promesse unilaterali. Dei titoli di credito, a cura di R. Lener, in Commentario Gabrielli, Torino, Utet, 2015, 121-127 e 131 ss.

[4] P. SPADA, Introduzione, (nt. 3), 19. Cfr. anche MESSINEO, Titoli di credito, II, Padova, Cedam, 1933, 222 ss. In precedenza, v. per il confronto in negativo con i documenti di legittimazione, G. FERRI, La legittimazione all’esercizio del diritto cartolare, in Banca, borsa, tit. di cred., 1935, I, 250. ASQUINI, Titoli di credito, Padova, Cedam, 1966, 103-104; ID, voce Trasporto di cose (contratto di), in Noviss., Dig. it., XIX, Torino, 1973, 565 ss.; FIORENTINO, Distinzione di titoli di credito causali ed astratti, in Riv. dir. comm., 1946, I, 565.

[5] Sull’azione come titolo di credito, v. Sulla fuga dell’azione dal modello titolo di credito v. G. GUIZZI, Il titolo azionario come strumento di legittimazione, Milano, Giuffrè, 2000, 96, poiché l’iscrizione in conto tipica della circolazione intermediata dematerializzata nega la disciplina previgente (anche se la disciplina previgente continua a informare quella degli strumenti finanziari). Per una ricostruzione generale, anche in relazione alla fattispecie cartolare, C. ANGELICI, voce “Azioni di società”, in Enc. Dir., IV, Milano, 1988, 3. Sul punto cfr. ancheF. GALGANO, Dei titoli di credito, in CommentarioScialoja-Branca, Bologna-Roma, Zanichelli-Il Foro Italiano, 2010, 161.

[6] L’espressione è di P. SPADA, Introduzione, (nt. 3), 128.

[7] Ci si riferisce ovviamente ad antecedenti storici dei titoli di credito, C. N DE ANGELIS, I contratti commerciali nel periodo medievale italiano: saggio storico, Napoli, Jovene, 1940, 95, ove ovviamente si richiamano anche le tesi opposte di coloro che ritengono che la litera cambi non si distinguesse dalle altre scritture private, salvo poi divenire cambiale alla metà del secolo XIX assumendo la qualità di titolo di credito formale. Sulle note, v. J.M. HOLDEN, The history of negotiable instruments in English law, Athlone, 1955, 70.

[8] La genesi dei biglietti di banca potrebbe confermare la bontà del parallelo, nonostante le evidenti differenze. Cfr. MOLLE, I titoli di credito bancari, Milano, Giuffrè, 1972, 45. Del resto, in origine il biglietto di banca non aveva valore in sé, ma solo in rapporto ad altri beni, ed era emesso da una banca sul modello del buono, secondo un’idea di fondo (i.e.consentire lo scambio di beni non compresenti) che è poi quella che sostiene la categoria dei titoli di credito in senso stretto. Sul punto pure la discussione è sterminata, per l’essenziale cfr. P. SPADA, La circolazione della “ricchezza assente” alla fine del millennio (Riflessioni sistematiche sui titoli di massa), in Banca, borsatit. cred., 1999, I, 407.

[9] M. MANCINI, Valute virtuali e Bitcoin, in A.G.E., 2015, 1, 120 e 136. Cfr. Anche BANCA CENTRALE EUROPEA, Virtual Currency Schemes – a further an alysis, gennaio 2015, 15 ss. BANCA D’ITALIA, Avvertenze sull’utilizzo delle cosiddette “valute virtuali”, 30 gennaio 2015. Di recente, interessante la posizione di G. SÖDERBERG, Are Bitcoin and other crypto-assets money?, in Economic Commentaries, 2018, 5, 14. Si tratta di voce rilevante perché l’a. lavora per la banca centrale della Svezia, che è uno dei due paesi che sta testando una valuta decentrata.

[10] Non ci si occupa, in questa sede, del problema del consumo di energia da parte dei miner. Tra i primi a segnalare il problema v. M. GIMEIN, Virtual Bitcoin mining is a real-world environmentaldisaster, in Bloomberg, 12 aprile 2013. Nel momento in cui si scrive, la sola attività di miningdei Bitcoin ha consumato una quantità di energia superiore a quella necessaria per soddisfare il fabbisogno energetico di paesi come il Peru o l’Iraq. Dati aggiornati sono disponibili su https://digiconomist.net/bitcoin-energy-consumption.

[11] Il riferimento è alla direttiva 2004/39/CE e alla direttiva 2014/65/EU (MiFID II) e al regolamento UE n. 600/2014 (MiFIR).

[12] Disciplina che si pone in termini problematici perché si fonda non solo sul presupposto che a essere emesso sul mercato sia un prodotto finanziario, ma anche sulla qualità dell’emit­tente. Nell’àmbito dei token, e in particolare con riferimento alle cripto-monete virtuali (Bitcoin, Ether, Litcoin, ecc.), è piuttosto difficile individuare l’emittente, sempre che ve ne sia uno solo in senso tecnico giuridico. Farà forse eccezione Libra, lanciata da Facebook e altri promotori, gestita da un’associazione senza scopo di lucro con sede a Ginevra, e, secondo le prime informazioni disponibili, garantita da asset reali.

[13] R. HOUBEN, Bitcoin: there two sides to every coin, ICCLR, Vol. 26, Issue 5, 2015, 193-208; N. VANDEZANDE, Virtual currencies: a legal framework, Anversa, Intersentia, 2018, 165 ss. Sui profili delle catene a blocchi digitali e sistemi di pagamento, v. COMMITTEE ON PAYMENTS AND MARKET INFRASTRUCTURES (CPMI), Distributed ledger technology in payment, clearing and settlement – An analytical framework, febbraio 2017.

[14] Nei termini che seguono: «una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente».

[15] Cfr. art. 6 del D.M. Giustizia 16 aprile 2014 (in Gazz. Uff., 30 aprile 2014, n. 99). Un altro riferimento normativo di rilievo nel settore dell’identificazione personale tramite Token è il c.d. Codice dell’Amministrazione Digitale, in particolare all’art. 6 del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82.

[16] Nel trasferimento di cripto moneta il contratto e la pubblicità del contratto divengono la stessa cosa. Sul punto v. E. RULLI, Le sfide della Blockchain ai giuristi, in Fintech: diritto, tecnologia e finanza, a cura di R. Lener, Roma, Minerva Bancaria, 2018, 93-94.

[17] Come evidenziato in HM TREASURY, BANK OF ENGLAND, FINANCIAL CONDUCT AUTHORITY, Crypto-assets taskforce: final report, ottobre 2018.

[18] È chiaro che il dibattito tecnologico che si innesta su questa affermazione impone al giurista di abbandonare il campo all’ingegnere informatico. Si può evidenziare però come esistano degli strumenti che consentono di forzare gli esiti evolutivi di una blockchain. È noto un caso di hard fork, ossia di retrocessione forzata di una parte della catena a blocchi Ethereum, a seguito del caso “The DAO” nel 2016 (su cui infra, nel paragrafo 9). La modifica unilaterale forzata per restituire un maltolto, tuttavia, deve essere condivisa da tutti i partecipanti alla catena a blocchi. Se qualche blocco non accetta la modifica, la catena si sdoppia. Poiché il tutto avviene al di fuori di un ordinamento positivo che imponga il da farsi, sta ai componenti della catena ritenere legittima quella originaria o quella modificata dall’hard fork. La questione era stata anticipata in G. GASPARRI, Timidi tentativi giuridici di messa a fuoco del Bitcoin: miraggio monetario crittoanarchico o soluzione tecnologica in cerca di un problema?, in Dir. inform., 3, 2015, 420.

[19] Cfr. la definizione offerta dal FINANCIAL STABILITY BOARD: «a type of private asset that depends primarily on cryptography and distributed ledger or similar technology as part of their perceived or inherent value”, da ultimo in Crypto-asset markets Potential channels for future financial stability implications, 10 ottobre 2018, 17.

[20] HM REVENUES AND CUSTOMS, Crypto-assets for individualsPolicy paper, 19 dicembre 2018.

[21] È chiaro che nella specie il trasferendo immobile potrebbe dover essere, come si dice, “tokenizzato” (v. nt. 32), ossia rappresentato (anche) digitalmente da uno o più token, perché è la rappresentazione digitale che si appunta nel registro diffuso a divenire oggetto di scambio immediato e non l’immobile, il cui godimento e la cui disponibilità, divengono, per gli investitori, più che marginali.

[22] Vi sono altri approcci, v. ad esempio E&Y, Accounting for crypto-assets, 2018, 5 che distingue tra cripto-valute virtuali, che si caratterizzano per l’essere preordinate allo scambio e al pagamento e altri token, intesi come crypto-asset diversi dalle cripto valute.

[23] ESMA SECURITIES AND MARKETS STAKEHOLDER GROUP, OwnInitiative Report on Initial Coin Offerings and Crypto-Assets, 19 ottobre 2018, secondo cui «crypto asset as a generic term for cryptocurrencies, virtualcurrencies, virtual assets and digital tokens», disponibile su www.esma.europa.eu e non superato dal rapporto datato 9 gennaio 2019 predisposto della stessa ESMA sulla materia che ci occupa infra.

[24] HM TREASURY, BANK OF ENGLAND, FINANCIAL CONDUCT AUTHORITY, Crypto-assets Taskforce: final report, (nt. 18), 11.

[25] FINMA, Guida pratica per il trattamento delle richieste inerenti all’assoggettamento in riferimento alle initial coin offering (ICO), febbraio 2018, ovviamente disponibile anche in italiano sul sito dell’autorità, cfr. https://www.finma.ch/it/news/2018/02/20180216-mm-ico-wegleitung/.

[26] ESMA SECURITIES AND MARKETS STAKEHOLDER GROUP, (nt. 24), secondo cui «crypto asset as a generic term for crypto currencies, virtual currencies, virtual assets and digital tokens».

[27] Ma vedi ancora supra (nt. 19). La questione fa venire il dubbio a chi scrive che la richiamata hard fork, poi, sia riconducibile a una forma di ammortamento convenzionale.

[28] N. DE LUCA, L’antifattispecie cartolare, (nt. 2), 93.

[29] L’impostazione si trae da tutti i primi studi e documenti dai regolatori sin qui richiamati (cfr. paragrafo che precede), nonché da ESMA ed EBA.

[30] Qui security token ha un significato diverso da token di sicurezza, nel senso che il termine security va tradotto come strumento finanziario o comunque di investimento.

[31] Qui c’è un emittente, la Polybius Foundation, il cui progetto imprenditoriale è costituire una banca tradizionale, ma senza sede fisica né sportelli reali. La raccolta di capitali, con Initial Coin Offering, nel giugno 2017, ha richiamato investitori che hanno “conferito” oltre trenta milioni di dollari. All’apparenza, I crypto-asset non conferiscono diritti amministrativi, v. K. WERBACH,The Blockchain and the New Architecture of Trust, MIT Press 2018, 128.

[32] Per tokenizzazione (tokenisation) si intende la riproduzione digitale di un bene o di un valore, con incorporazione digitale dei diritti relativi al bene o al valore in questione, incluso il diritto di trasferirlo. Cfr. sul punto BAFIN, Tokenisation, 20 maggio 2019, disponibile su www.bafin.de.

[33] Il tema è investigato sotto il profile economico H. ELENDNER, S. TRIMBORN, B. ONG, T.M. LEE, The Cross-Section of Crypto-Currencies as Financial Assets: Investing in Crypto-Currencies Beyond Bitcoin, in Handbook of Blockchain, Digital Finance, and Inclusion, 2018, v. 1,145 e ss.

[34] Cfr. Filecoin, il token che viene attribuito ai miner del progetto, un network decentrato per la condivisione di memoria su disco. In sostanza i miner mettono a disposizione spazio su disco e ricevono Filecoin con i quali possono acquistare altri token (Bitcoin, Ether) oppure altro spazio nell’àmbito del sistema Filecoin. Pur trattandosi di un token tipicamente di utilità, il white paper dice apertamente che i Filecoin possono essere detenuti dagli utenti come riserva di valore o investimento, cfr. https://filecoin.io.

[35] Tra i regolatori e gli standard setter internazionali è in corso un vivace dibattito sulle cripto-valute. La posizione di scetticismo più diffusa muove da una considerazione: le cripto-valute non risolvono alcun problema e, quindi, non servono a niente. Di più, l’anonimato che esse possono garantire e la volatilità del loro valore suggeriscono che esse siano foriere di nuovi e ulteriori problemi di cui i mercati, valutari e finanziari, non hanno bisogno. V. A. CARSTENS, My message to young people: stop trying to create money, discorso del 25 giugno 2018 sul sito della Banca per iregolamenti internazionali: «cryptocurrencies are, in a nutshell, a bubble, a Ponzi scheme and an environmental disaster»; B. CŒURÉ, The new frontier of payments and market infrastructure: on cryptos, cyber and CCPs, 15 novembre 2018, v. sito della Banca centrale europea.

[36] FINANCIAL STABILITY BOARD, Crypto-assetReport to the G20 on work by the FSB and standard-setting bodies, 16 luglio 2018, 6.

[37] Le ICO non seguono il modello legale di alcun ordinamento, con la conseguenza che agli Stati non resta che agire di rimessa, vietandole tutte come fattispecie (Cina, Sud Corea) o vietandone alcune (Stati Uniti, Stati dell’Unione europea), secondo un approccio caso per caso (e forse talvolta casuale), ove poste in essere in violazione di disposizioni di legge esistenti. Sul divieto in Cina, che aveva chiuso il mercato dei Bitcoin già alla fine del 2017, e poi ha bandito tutti i crypto-asset, cfr. D.A. ZETZSCHE, R.P. BUCKLEY, D.W. ARNER, L. FÖHR, The ICO Gold Rush: It’s a Scam, It’s a Bubble, It’s a Super Challenge for Regulators. University of Luxembourg, Law Working Paper, (11), 2017, 17-83. Per una panoramica, K. LANGENBUCHER, Initial coin offerings – where do we stand and should we move?Revue Trimestrielle Droit Financier, 2018, 40 ss.

[38] ESMA, Advice Initial Coin Offerings and Crypto-Assets, 9 gennaio 2018, EBA, Report with advice for the European Commission on crypto-asset, 9 gennaio 2018.

[39] Non si può qui entrare nel merito della comunicazione dell’EBA, che chiarisce ancora una volta come le cripto-monete non siano monete aventi corso legale, né moneta elettronica e ricorda che la categoria delle valute virtuali (crittografiche o meno) sia soggetta alla disciplina antiriciclaggio.

[40] Rispettivamente:(i) l’art. 4(1)(15) MiFID II, che fa riferimento alla nota lista, copiata e incollata nel t.u.f., che contiene valori mobiliari, strumenti del mercato monetario, quote di fondi ed è ritenuta un numerusclausus e (ii) l’art. 4(1)(44) MiFID II, che richiama le classi di valori negoziabili sul mercato dei capitali come ad esempio le azioni, le obbligazioni e simili.

[41] Per stendere il rapporto ESMA ha svolto una consultazione con le autorità degli Stati membri prendendo a campione sei esempi di token (di pagamento, di investimento e di utilità), con esclusione di Bitcoin. Le autorità degli Stati UE avrebbero individuato nella maggior parti di essi i caratteri dello strumento finanziario (secondo ESMA il campione potrebbe corrispondere ad una quota di mercato dei token pari al 10-30%: un numero significativo).

[42] Che si applicherà, come si tornerà a dire, sino al 21 luglio 2019, data di efficacia delle nuove disposizioni del Regolamento 2017/1129/UE sul prospetto, destinato a prevalere sulle discipline nazionali.

[43] Benché non vi sia attenzione particolare al profilo, un aspetto che presenterà difficoltà nella disciplina del fenomeno è il nuovo paradigma dell’asimmetria informativa che è intrinseco al mercato e ai prodotti di che trattasi. Con i crypto-asset emerge una forma di asimmetria informativa che è ben più difficile da correggere in quanto relativa non già alla mancata conoscenza di una o più informazioni specifiche (compensabile con gli obblighi informativi MiFID), ma all’ignoranza di un metodo, di un sistema, di un mondo: il virtuale.

[44] È vero che a livello europeo esiste una notissima pronuncia avente a oggetto Bitcoin (Corte giust. UE, 22 ottobre 2015, C-264/14Skatteverket c. David Hedqvist), ma essa è di scarso aiuto con riguardo al tema di questo scritto, vertendo tale decisione sul regime IVA delle operazioni di cambio della valuta virtuale. Si legge in D&G, f. 39, 2015, 11, nota di NOCERA.

[45] Sono Finanzinstrumentai sensi di §1(11) KWG: Aktien, Vermögensanlagen, Schuldtitel, sonstige Rechte, Anteile an Investmentvermögen, Geldmarktinstrumente, Devisen, RechnungseinheitenEmissionszertifikate (i.e. azioni, obbligazioni, altri strumenti di debito, quote di fondi di investimento, strumenti del mercato monetario, valuta estera, unità di conto, certificati di emissione).

[46] Nel paper citato, BaFin chiarisce che l’attività di cambio di Bitcoin in euro richiede l’au­torizzazione ai sensi del §32(1) KWG. Ove il servizio si configuri come negoziazione per conto terzi e il prestatore richieda una commissione, è comunque necessaria una autorizzazione ai sensi del §1(1) n. 4 KWG.

[47] KammergerichtBerlin, 25 settembre 2018, Az.: (4) 161 Ss 28/18 (35/18). Disponibile su: https://www.online-und-recht.de/. La sentenza è dettata in grado di appello ed è di particolare importanza non solo perché giunge a conclusioni diverse da quelle cui era giunto il regolatore, ma anche perché riforma la sentenza di primo grado, che aveva invece ritenuto integrata la fattispecie incriminatrice dipendente dalla qualifica dei Bitcoin quali unità di conto. Al contrario, il giudice di appello ha ritenuto che Bitcoin non sia assimilabile a tale fattispecie, analoga alla valuta straniera, poiché la nozione di unità di conto implica che lo strumento costituisca un’unità di valore per l’acquisto di beni o servizi, eventualmente avente valore legale in territori diversi da quello tedesco. Non è il caso dei Bitcoin che, oltre a non riferirsi a un territorio altro, non potrebbe essere unità di conto pure in ragione della sua elevata volatilità e della sua imprevedibile longevità (il “sistema” Bitcoin potrebbe collassare domani, non esistendo una garanzia circa la conservazione del suo valore, come quella di norma attribuita alle valute ufficiali che hanno valore nel territorio dello Stato). Secondo principi ben noti nel nostro ordinamento, la sentenza non è vincolante per l’interpretazione di BaFin, sicché non sembra lecito concludere che i Bitcoin siano, ora, in Germania liberamente commerciabili. A maggior ragione tale conclusione sarebbe fallace ove estesa alla categoria dei token di pagamento tout court, restando necessaria un’analisi caso per caso.

[48] Circolare del 20 febbraio 2018 BaFin, riferimento WA 11-QB 4100-2017/0010). Disponibile su https://www.bafin.de/dok/10506450 non ha offerto, almeno non apertamente, una categorizzazione dei token.

[49] BAFIN, Blockchain Technology – Thoughts on Regulation, nella serie biennale BaFinPerspectives, 1 agosto 2018, disponibile sul sito dell’autorità di vigilanza.

[50] Cfr. §2 (1) WpHG e, ovviamente, l’art. 4(1) n. 44 MiFID II.

[51] Ancorché ciò complichi ulteriormente il quadro, non può escludersi che in Germania i token possono qualificarsi come titoli di capitale ai sensi della disciplina sugli investimenti in capitale (Vermögensanlagengesetz, in acronimo, “VermAnlG”). La questione definitoria, con particulare riguardo al dibattito tedesco, è molto ben ricostruita in P. HACKER, C. THOMALE, Crypto-Securities Regulation: ICOs, Token Sales and Cryptocurrencies under EU Financial Law, in ECFLR, 2018, 15(4), 648.

[52] Che verrà sostituita da quella contenuta nel nuovo Regolamento europeo sul prospetto dal 21 luglio 2019.

[53] Rectius: di valore mobiliare, Wertpapier, che identifica «l’avente diritto ad una prestazione nel caso di contrattazione di massa (Rektapapiere) e le carte valore dotate di fede pubblica (WertpapiereöffentlichenGlaubens), destinate, cioè, alla circolazione e, potenzialmente, ai mercati». Così M. COSSU, P. SPADA, Dalla ricchezza assente alla ricchezza inesistente – divagazioni del giurista sul mercato finanziario, in Banca, borsa, tit. cred., 2010, I, 403.

[54] M. JÜNEMANN, J.S. WIRTZ, Arten und Regulierung von Token, 7 febbraio 2018. Un concetto assimilabile a quello di cui all’art. 93 bist.u.f. in materia di offerta al pubblico di sottoscrizione e vendita, ove «titoli di capitale» significa azioni e altri strumenti negoziabili equivalenti. L’impostazione sembra essere stata di recente accolta dal regolatore tedesco, (nt. 33).

[55] BAFIN, Initial Coin Offerings: Hinweisschreiben zur Einordnung als Finanzinstrumente, 20 febbraio 2018, reperibile in https://www.bafin.de/dok/10506450. In effetti nel 2019 BaFin ha approvato il primo prospetto per un token di investimento emesso in Germania. Lo strumento sottostante il token era stato in un primo momento qualificato come titolo di capitale ai sensi del VermAnIG, ma il regolatore ha poi riconosciuto come la negoziabilità del titolo su di una blockchain ne avrebbe garantito un’effettiva negoziabilità sui mercati finanziari, rendendolo quindi uno strumento finanziario, ancorché sui generis. Ciò ha imposto l’applicazione al token in questione della disciplina del WpPG, nonostante l’impossibilità di applicare al trasferimento del medesimo titolo il principio della circolazione di buona fede (Gutglaubensschutz), almeno non secondo il tradizionale schema civilistico.

[56] See H. DE VAUPLANE, L’analysejuridique du bitcoin – Rapport moral sur l’argent dans le monde, 2014, 351; F. LACROIX, Les places financières alternatives: proposrelatifs aux approaches régulatoiresconcernant les plateformes de crowdfunding et d’échange de bitcoins, Internet, espaced’interrégulation, Dalloz, 2016, passim; D. GEIBEN, O. JEAN-MARIE, T. VERBIEST, J-F VILOTTE, Bitcoin et Blockchain: vers un nouveau paradigme de la confiancenumérique, RB Edition, 2016, 73; M. ROUSSILLE, Le bitcoin: objetjuridique non identifié, in Banque & Droit, 2015, n. 159.

[57] Art. L.211-1 – «I. Les instruments financiers sont les titres financiers et les contrats financiers. II. – Les titres financiers sont: 1. Les titres de capital émis par les sociétés par actions; 2. Les titres de créance; 3. Les parts ou actions d’organismes de placement collectif. III. – Les contrats financiers, égalementdénommés “instruments financiers à terme”, sont les contrats à terme qui figurent sur unelistefixée par décret. IV. – Les effets de commerce et les bons de caisse ne sont pas des instruments financiers».

[58] AUTORITÉ DES MARCHÉS FINANCIERS, Analysis of the legal qualification of cryptocurrency derivatives, 23 marzo 2018.

[59] FINANCIAL CONDUCT AUTHORITY, Statement on the requirement for firms offering cryptocurrency derivatives to be authorised, 6 aprile 2014.

[60] R. OPHÈLE, “Virtual Currencies” fact-finding mission set up by the National Assembly Finance Committee Chairman, 25 aprile 2018, disponibile sul sito dell’AMF.

[61] AMF, Buying Bitcoin: the AMF and the ACPR issue a warning to savers, 4 dicembre 2017.

[62] Per la definizione, cfr. Section 2(a)(1) del Securities Act e la Section 3(a)(10) del Securities Exchange Act, dove security è fra l’altro definito come «note, stock, treasury stock, bond» o «investment contract». Anche se la definizione di strumento finanziario è leggermente diversa nel Securities Act del 1933 e nel Securities Exchange Act del 1934, le due impostazioni sono state ritenute virtually identical in AmfacMort. Corp. v Arizona Mall of Tempe, Inc., 583 F.2d 426, 431 (District South California Nono Circuito, 1978).

[63] Il nome deriva da una pronuncia dalla Corte Suprema nel 1946. Securities and Exchange Commission v. W. J. Howey Co., 328 U.S. 293 (1946).

[64] Cfr. Ad esempio, Uselton v. CommLovelace Motor Freight, Inc., 940 F.2d 564, 574 (10th Cir. 1991) («[I]n spite of Howey’s reference to an ‘investment of money,’ it is well established that cash is not the only form of contribution or investment that will create an investment contract»).

[65] SECURITIES AND EXCHANGE COMMISSION, Report of Investigation Pursuant to Section 21(a) of the Securities Exchange Act of 1934, The DAO, 25 luglio 2017, 1.

[66] SECURITIES AND EXCHANGE COMMISSION, (nt. 65), 12.

[67] Cfr. le Sections 5(a) e 5(c) del Securities Act [15 U.S.C. §§ 77e(a), 77e(c)]. In Europa diremmo “senza prospetto”; negli Stati Uniti si utilizza l’espressione un registered securities sale, giacché il Securities Exchange Act prevede proprio la registrazione dello strumento presso la SEC quale obbligo centrale di informazione del regolatore, senza nulla togliere all’impor­tanza del profilo informativo contrattuale legato al prospetto.

[68] Agli investitori avevano otteneva 400 token per un Ether. La raccolta, secondo le autorità americane, ha raggiunto nel 2017 (poco dopo il caso The DAO), circa 32 milioni di dollari.

[69] District Court Southern District of Florida, 25 giugno 2018, case no. 17-24500, King v. Simonton: «Because the success of Centra Tech and the Centra Debit Card, CTR Tokens, and cBay that it purported to develop was entirely dependent on the efforts and actions of the Defendants, the third prong is satisfied. Therefore, the offering of Centra Tokens was an investment contract under the Securities Act, such that the Defendants sold or offered to sell securities by virtue of the Centra Tech ICO».

[70] Solo trentadue investitori. È chiaro, dunque, che la distribuzione tra il pubblico in modo rilevante conta, anche se non fa parte dell’Howey test.

[71] District Court Southern District of California, 27 novembre 2018, case no.: 18CV2287-GPB(BLM), SEC v. Blockvest: «As to the second prong of Howey, Plaintiff has not demonstrated that the 32 test investors had an “expectation of profits”». Benché sul sito legato all’iniziativa si leggesse che i titolari dei BLV token avrebbero ricevuto «transaction fees according to their stability contributions to the network».

[72] Il discorso si può ascoltare su youtube, all’indirizzo web di seguito indicato https://www.you
tube.com/watch?v=HJyRATEXpMQ.

[73] La questione era stata anticipata in un paper professionale di J. BATIZ-BENET, J. CLAYBURGH, M. SANTORI, The SAFT Project: Toward a Compliant Token Sale Framework, 2 ottobre 2017 ed è ora molto ben sintetizzata da J. PARK, When Are Tokens Securities? Some Questions from the Perplexed, in Lowell Milken Institute Policy Report e in UCLA School of Law, Law-Econ Research Paper No. 18-13, 10 dicembre 2018.

[74] Cfr. Delaware General Corporation Law,Subchapter VII, § 224 (Form of record), disponibile su https://delcode.delaware.gov/title8/c001/.

[75] L’articolo 18, comma 5, t.u.f. prevede infattiche «Il Ministro dell’economia e delle finanze, con regolamento adottato sentite la Banca d’Italia e la Consob: a) può individuare, al fine di tener conto dell’evoluzione dei mercati finanziari e delle norme di adattamento stabilite dalle autorità comunitarie, nuove categorie di strumenti finanziari, nuovi servizi e attività di investimento e nuovi servizi accessori, indicando quali soggetti sottoposti a forme di vigilanza prudenziale possono esercitare i nuovi servizi e attività».

[76] Questi nel sistema italiano, almeno secondo alcuni autori, avrebbero l’effetto di riaprire il numerusclausus degli strumenti finanziari.

[77] Il riferimento cade, in particolare, sulle disposizioni in materia di servizi di investimento, come si dirà infra, ma anche su alcune fattispecie in materia di abuso del mercato o di altro rilievo, anche penale. Cfr. ad esempio gli artt. 2637 c.c. e 185 t.u.f. che fanno esclusivo riferimento a “strumenti finanziari”. Con riguardo al t.u.b., cfr. gli artt. 130, 131, 132, 131-ter.

[78] Trib. Verona, 24 gennaio 2017, in Banca, borsatit. cred., 2017, II, 471, nota di PASSARETTA.

[79] G. GASPARRI, (nt. 18),R. BOCCHINI, Lo sviluppo della moneta virtuale: primi tentativi di inquadramento e disciplina tra prospettive economiche e giuridiche, in Dir. inform., 2017, 1, 27.

[80] Delibera n. 20660, Sospensione, ai sensi dell’art. 99, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 58/1998, dell’offerta al pubblico residente in Italia avente ad oggetto token TGA, effettuata da Togacoin LTD anche tramite il sito internet https://togacoin.com.

[81] Cfr. art. art. 1, comma 1, lett. t), t.u.f.: «ogni comunicazione rivolta a persone, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, che presenti sufficienti informazioni sulle condizioni dell’of­ferta e dei prodotti finanziari offerti così da mettere un investitore in grado di decidere di acquistare o di sottoscrivere tali prodotti finanziari, incluso il collocamento tramite soggetti abilitati».

[82] Così, ex multis, anche la delibera Cryp Trade n. 20207 del 6 dicembre 2017. In particolare, per la Consob si è in presenza di un investimento di natura finanziaria ogni volta che il risparmiatore impieghi il proprio denaro con un’aspettativa di profitto, mentre di un «investimento di consumo» quando la spesa è finalizzata al godimento del bene, ossia è volta a trasformare le proprie disponibilità in beni reali idonei a soddisfare in via diretta i bisogni non finanziari del risparmiatore. «Per configurare un investimento di natura finanziaria, non è sufficiente che vi sia accrescimento delle disponibilità patrimoniali dell’acquirente (cosa che potrebbe realizzarsi attraverso talune modalità di godimento del bene come ad esempio con la rivendita del diamante) ma è necessario che l’atteso incremento di valore del capitale impiegato (ed il rischio ad esso correlato) sia elemento intrinseco all’operazione stessa» (Comunicazione n. DTC/13038246 del 6 maggio 2013).

[83] Vedi anche due delibere del dicembre 2018 aventi ad oggetto la sospensione dell’offerta pubblica di Bitsurge Token (delibera n. 20741 del 12 dicembre 2018) e dei “certificati Green Earth” promossa sulla pagina Facebook “Progetto Crypto Green Earth” (delibera n. 20740 del 12 dicembre 2018).

[84] Le conseguenze, come segnalato in precedenza, possono essere molto rilevanti. Basi qui richiamare ad esempio che solo con riferimento agli strumenti finanziari rilevano l’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato (cfr. l’art. 180 t.u.f.).

[85] Non solo aperta, ma anche ampliata a seguito del recepimento della MiFID II in relazione anche al rapporto con quella di strumento derivato, sul punto v. F. ANNUNZIATA, Il recepimento di MiFID II: uno sguardo di insieme tra continuità e discontinuità, in Riv. soc., 2018, I, 1105.

[86] Su questi profili, v. anche per i richiami la bibliografici, M. ONZA, L. SALAMONE, Commento sub art. 1 t.u.f., in Delle promesse unilaterali. Dei titoli di credito, a cura di R. Lener, CommentarioGabrielli, Torino, Utet, 2015, 552 e 553.

[87] Sul rapporto tra valori e strumenti, anche in chiave evolutiva e comparata, v. M. COSSU, P. SPADA, (nt. 53), 401 ss., in part. 405 e 406.

[88] Il che pone con riferimento ai token problemi concettuali analoghi, anche se non identici, a quelli posti dagli strumenti finanziari della stagione dell’atipico, e cioè se è se i contratti concretamente posti in essere fra privati (non gli intermediari, ma le parti del rapporto peer to peer, debbano sempre esserein via diretta o, quanto meno analogica, attraverso «il ricorso a soluzioni affinate in tema di titoli di credito». Cfr., su quel problema, B. LIBONATI, Titoli di creditoTitoli di credito e strumenti finanziari, Milano, Giuffrè, 1999, 135.

[89] Il riferimento qui è alla causa di investimento che può riconoscersi nei titoli in serie, agli strumenti finanziari e, a parere di chi scrive, ai token di investimento.Non è questa la sede per richiamare il dibattito intenso sulla distinzione tra titoli astratti e causali o costitutivi e non costitutivi. Ma non è questo il punto e, se lo si aprisse, si finirebbe forse con l’indulgere a inutili superfetazioni definitorie (M. LIBERTINI, I titoli di credito nella dottrina giuscommercialistica italiana, (nt. 3), 79. E, però, l’armamentario culturale e terminologico offerto da concetti come il titolo causale e istituti come la girata offre strumenti di comprensione del nuovo (questo mi sembra l’invito, appunto culturale, di P. SPADA, Introduzione,(nt. 3), 201). In ogni caso, per una recente ricostruzione del dibattito su titoli causali e astratti, v. DE LUCA, Titoli di credito, in Diritto on line, Treccani.it, 2016.

[90] G. FERRI, Sul concetto di titoli di credito, in Banca, borsatit. cred., 1956, I, 322 ss. Cfr. pure, più di recente, da SALANITRO, Titoli di credito e strumenti finanziariivi, I, 1 ss., in part. 3, ove l’osservazione secondo cui la distinzione tra titoli individuali e titoli di massa pare traducibile «nel senso che la funzione economica dei titoli individuali si manifesta soprattutto nell’ausilio allo svolgimento delle attività commerciali per provvedere al pagamento (ad es. cambiali, assegni) degli acquisti di beni e delle esecuzioni di servizi; mentre la funzione economica dei titoli di massa (titoli di debito e/o di investimento) è rivolta soprattutto ad agevolare la raccolta dei capitali occorrenti per l’esercizio e lo sviluppo delle stesse imprese»; v. anche R. LENER, Sui certificati bancari di deposito, in Banca, borsa,tit. cred., 2013, II, 351.

[91] Né, come accade in Francia, si può escludere che token il cui valore dipenda un sottostante siano derivati e, quindi, strumenti finanziari. La questione è meritevole di approfondimento in altra sede.

[92] Sul punto, cfr. il volume curato da S. GRUNDMANN, European Contract Law in the Digital Age, Anversa, 2018.

[93] Tesi sostenuta ad esempio da P. HACKER, C. THOMALE, (nt. 52),658.

[94] Suggeriscono nuovi approcci, basati sulla cooperazione tra pubblico e privato J.G. ALLENE R.M. LASTRA, BorderProblems II: Mapping the Third Border, in UNSW LawResearch Paper No. 18-88, 2018, 25 ss. Il lavoro prosegue idealmente C.A.E. GOODHART e R.M. LASTRA, BorderProblems, in JIEL, 2010, 13(3), 705.