Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
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L'esdebitazione nell'attuazione del patto marciano disciplinato dall'art. 48-bis T.U.B. (di Francesco Moscogiuri, Laureato in Giurisprudenza, Sapienza Università di Roma)


La formula negoziale di autotutela esecutiva del credito, introdotta dal nuovo art. 48-bis T.U.B., solleva diversi problemi interpretativi. Uno di questi riguarda la cosiddetta esdebitazione nel caso di garanzia incapiente. Nel silenzio legislativo, in dottrina sono state prospettate tutte le soluzioni ipotizzabili. Più convincente appare quella che ammette l’esde­bitazione solo per accordo espresso delle parti, con effetto che potrebbe essere, secondo l’intento, di semplice inesigibilità della prestazione o di estinzione dell’obbligazione.

The discharge in the implementation of the

The credit’s executive self-protection, it was introduced by the new art. 48-bis T.U.B., presents several problems of interpretation. One of these concerns the debt’s extinction when the guarantee is insufficient. In the law’s silence, all the possible solutions have been proposed by law’s experts. It is more plausible to admit the debt’s extinction only by express agreement of the parties. The effect can be, according to the agreement, the simple unforceability or the radical extinction of the obligation.

KEYWORDS: pactum marcianum – agreement on forfeitur – debtor’s discharge

Sommario/Summary:

1. La pluralità di "soluzioni marciane" ... - 2. ... e il problema dell'esdebitazione nell'art. 48-bis T.U.B. - 3. L'intreccio dogmatico: l'esdebitazione e la "funzione" delle alienazioni commissorie. - 4. Segue: il fondamento concettuale e pratico della funzione di garanzia nelle alienazioni commissorie. - 5. Segue: la funzione di garanzia delle alienazioni commissorie e la mo­dalità condizionale dell'efficacia. - 6. Segue: la "relativa" indipendenza del problema dell'esdebitazione dalla "funzione" delle alienazioni commissorie. - 7. Le modulazioni argomentative dell'orientamento favorevole all'e­sdebitazione. Critica e rassegna degli argomenti contrari. - 8. Segue: se i vantaggi (per il creditore) dell'autotutela esecutiva del credito possano costituire il fondamento razionale idoneo a giustificare l'esdebitazione. - 9. L'ammissibilità dell'esdebitazione solo come conseguenza di una pattuizione espressa - NOTE


1. La pluralità di "soluzioni marciane" ...

Anche tralasciando ogni riferimento alle connessioni con la cosiddetta «economia del debito» [1], con le basi ideologiche da cui muove il riformismo di questi ultimi decenni [2], con la letteratura “efficientista” di law and develop­ment [3], restano pur sempre molte le ragioni che hanno portato in auge – non soltanto negli ordinamenti giuridici nazionali, ma a diversi “livelli” della esperienza giusprivatistica attuale [4] – l’antico patto marciano e le modalità di cosiddetta autotutela esecutiva del credito [5]. Sono ragioni ormai ampiamente note: fornire ai privati rimedi idonei ad evitare le lentezze e i costi delle forme giurisdizionali di tutela del credito [6]; adeguare i sistemi di garanzia delle obbligazioni, a volte obsoleti, ai mutamenti intervenuti in una realtà economica sempre più dinamica e globalizzata [7]; tentare di arginare l’accumulo dei NPLs bancari, accentuato dalla Grande Recessione degli anni 2007 e seguenti, favorendo la cedibilità dei crediti in virtù di garanzie dalla più facile realizzazione [8]; elevare il grado di efficienza nella tutela del credito per agevolare il finanziamento degli investimenti e dei consumi e, in definitiva, stimolare così la crescita economica.

I potenziali benefici del “patto marciano” hanno convinto anche il nostro legislatore. A differenza di altri, adoperatisi con risultati forse discutibili nel merito ma certo pensati più organicamente all’insegna di una regola marciana di applicazione generale [9], il nostro è però intervenuto, con tale soluzione e con ampiezza nella materia delle garanzie (reali) del credito, solo di recente e in maniera, per vero, alquanto scomposta. L’esito è costituito dalla presenza nel nostro ordinamento di una pluralità di formule contrattuali creditizie [10], nelle quali al creditore è consentito di avvalersi di meccanismi negoziali (cioè interamente stragiudiziali, se si escludono le ipotesi dei commi 10 e seguenti dell’art. 48-bis) di attuazione della garanzia e, a favore del debitore inadempiente, sono previste protezioni di vario tipo (inadempimento “qualificato”, oneri “procedimentali” del creditore ecc.), che si aggiungono al diritto di ricevere l’eventuale eccedenza di valore del trasferimento commissorio rispetto al debito insoluto, secondo la cautela marciana [11]. Assommano almeno a cinque – fino ad oggi [12] – le (diverse) formulazioni extracodistiche della regola marciana. A quella introdotta nel 2004, valevole nell’ambito dei contratti costitutivi di garanzie finanziarie [13], si sono via via aggiunte soluzioni marciane, variamente articolate, che possono accompagnare: (a) la costituzione del pegno non possessorio per la garanzia di debiti inerenti l’esercizio dell’impresa [14]; (b) il contratto bancario di prestito vitalizio ipotecario a soggetti ultrasessantenni [15]; (c) i contratti bancari di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali ex art. 120-quinquiesdecies T.U.B. [16]; (d) i finanziamenti bancari agli imprenditori ai sensi dell’art. 48-bis T.U.B. [17].

È vero che la “complessità”, oggi, non è più un «mero presupposto sociologico della riflessione del giurista», ma un «dato connotativo della giuridicità» [18], se non altro per la coesistenza di una pluralità di fonti normative, per la moltiplicazione e specializzazione degli interessi da tutelare [19] e per la compresenza di valori statualistici, ordo-liberali e neo-liberisti, che intrecciano le linee evolutive del nostro ordinamento [20]. Sembra pur vero, però, che non è questa l’idea di complessità idonea a descrivere le conseguenze del proliferare dei nuovi marciani. È piuttosto calzante, invece, l’immagine pittoresca del «pasticcio» oppure quella, sagace mix di ironia e “tecnicalità”, del «guazzabuglio di diritti speciali assedianti un diritto primo» [21]. Espressioni che sintetizzano adeguatamente la singolarità di un nuovo plesso normativo che sembra l’effetto, non solo o non tanto delle pressioni lobbistiche di recente evocate [22], quanto soprattutto della più volte denunciata incapacità, impreparazione, approssimazione e, a volte, sciatteria del nostro legislatore [23].

Incerte nel risultato sistematico complessivo, a causa della varietà di prescrizioni e divieti che si aggiungono, nei vari casi, alla regola marciana pura [24], le discipline delle nuove formule negoziali (di finanziamento e) di garanzia del credito appaiono spesso disordinate, non solo lessicalmente; talora lacunose e insieme – il paradosso, va da sé, è solo apparente – troppo minuziosamente dettagliata; altre volte ignare di principi giuridici fondamentali e indiscussi; poco capaci nel bilanciare, in modo equilibrato e coerente con il sistema generale, la protezione dei vari interessi in gioco; non raramente farraginose e inutilmente rigide.

Se si escludono le dottrine minoritarie che estendono il divieto commissorio al patto marciano [25], si può dire, con qualche approssimazione, che prima del recente proliferare di sottotipi marciani, nell’ambito delle alienazioni commissorie in senso lato, il rapporto fra patto commissorio e patto marciano poteva ragionevolmente essere ricostruito nei termini della (almeno tendenziale) complementarietà. Quindi, indipendentemente dall’ambito operativo del divieto, la stipulazione commissoria si poteva considerare lecita se corretta con la regola marciana, illecita se puramente commissoria. Donde la possibilità non trascurata, prima dalla dottrina e poi dalla giurisprudenza più recenti, di circoscrivere l’applicazione del divieto commissorio attraverso l’introduzione sempre più am­pia del correttivo marciano, nella forma elementare del trasferimento al “giusto prezzo” e del conseguente obbligo di restituire il superfluum [26].

Il quadro normativo si complica non poco con l’introduzione dei nuovi marciani. Al patto commissorio vietato [27], si affiancano progressivamente le diverse formulazioni della regola marciana. La conseguenza è che, fra il patto commissorio (nullo) e la pluralità dei marciani (leciti) emerge l’area delle stipulazioni commissorie o, se si preferisce, marciane che possono definirsi atipiche, perché non integranti, in ipotesi, la fattispecie del patto commissorio né quella dei marciani speciali/settoriali tipizzati. Le condizioni di liceità (o illiceità) di queste alienazioni commissorie atipiche devono perciò essere integralmente e nuovamente determinate dall’interprete, attraverso un’opera di non semplice valorizzazione della molteplicità di elementi differenziali (aggiuntivi) sussistenti fra «il» patto marciano e i sottotipi marciani introdotti dal legislatore.

In questa prospettiva, le possibilità ermeneutiche risultano tanto ampie negli esiti normativi quanto incerte nel fondamento dogmatico. I vincoli legislativi sono molto poco stringenti. Dal lato del divieto commissorio, l’ambito di illiceità dell’atipico può essere fortemente ampliato o ridotto, come del resto è sinora avvenuto, espandendo o restringendo l’applicazione del divieto (ad esempio, all’insegna della accessorietà del patto commissorio alle garanzie reali e all’anticresi, della modalità condizionale del trasferimento, della ratio del divieto opportunamente calibrata, ecc.). Dal lato della regola marciana, invece, l’area della liceità dell’atipico può essere molto arbitrariamente ristretta o, viceversa, dilatata, dando o negando valore generale ad uno o all’altro degli elementi specializzanti – per giunta, assiologicamente ambigui e talora anche di dubbia razionalità – innestati dal legislatore nello schema marciano puro. La materia delle stipulazioni commissorie, insomma, precipita in una situazione di difficoltà ricostruttiva che forse mai aveva conosciuto nel corso della sua storia. L’introduzione delle nuove garanzie marciane in qualche modo disorienta le direzioni di sviluppo dell’ordinamento, come testimonia la diversità di opinioni che stanno via via emergendo riguardo agli spazi di liceità del mar­ciano di diritto comune [28].


2. ... e il problema dell'esdebitazione nell'art. 48-bis T.U.B.

Un effetto di questo tessuto legislativo così sfilacciato e del conseguente disordine sistematico può essere considerato il problema dell’esdebitazione nel caso di attuazione, (anche) con garanzia incapiente, del marciano previsto dall’art. 48-bis T.U.B. [29]. Prima però di affrontare l’argomento, occorre almeno avvertire che, sotto l’aspetto pratico, la questione dovrebbe porsi con rara frequenza, per molti motivi. Anzitutto, perché il nuovo marciano, seppure dovesse diffondersi come strumento di garanzia, porrebbe più probabilmente – in linea con la prassi più comune – il problema opposto a quello derivante dalla garanzia insufficiente, cioè quello della sproporzione in eccesso della garanzia rispetto al debito [30]. Poi, perché il comma 2 dell’art. 48-bis attribuisce al creditore lo jus eligendi fra l’attuazione del patto di garanzia e l’utilizzo dei rimedi ordinari; e poiché non è escluso il cumulo fra ipoteca e alienazione marciana dello stesso cespite ipotecato, risulta poco probabile che il creditore professionale – cui la garanzia dovrebbe essere riservata ai sensi del comma 1 – non sappia premunirsi, nella misura e nelle forme adeguate, contro l’eventualità di dover attuare il marciano con garanzia incapiente. Infine – last but not least – perché, carico com’è di profili problematici e di farraginose rigidità, il nuovo strumento di garanzia sembra godere di poco successo presso gli operatori economici, tanto più che subisce la concorrenza di una garanzia ipotecaria che si evolve nel senso dello snellimento delle procedure di escussione (v. il riformato art. 532, comma 2, c.p.c.).

Ciò detto, quella della garanzia incapiente, seppur molto poco probabile, non si può considerare una mera ipotesi di scuola: i valori immobiliari possono subire oscillazioni notevoli nel tempo; il creditore, poi, deve decidere se avvalersi della garanzia marciana quando ancora non può conoscere il valore di stima del bene offerto in garanzia (v. l’art. 48-bis comma 5). Non si può escludere, dunque, che la garanzia immobiliare costituita ai sensi del comma 1, pur inizialmente sufficiente, possa nel tempo ridurre il proprio valore ad un livello inferiore all’ammontare del debito garantito e che il creditore si trovi nella situazione di dover attuare il trasferimento marciano in condizioni di garanzia incapiente.

Invano però l’interprete, riguardo al problema dell’esdebitazione che si può porre in tale circostanza, cercherebbe indicazioni risolutive nella littera legis delle minuziose disposizioni affastellate nell’art. 48-bis: il legislatore, almeno nel nostro caso [31], non se n’è preoccupato. Rimessa sic et simpliciteralle tecniche interpretative, la ricerca di una soluzione appare di rilevante interesse “teorico”, in quanto presenta un carattere di evidente novità e può giovarsi molto poco di soluzioni a “rime obbligate” [32]. Sulla questione, poi, convergono diversi fattori di complicazione: le incertezze interpretative, riguardo alla costruzione di una disciplina comune integratrice, indotte dalla pluralità di soluzioni marciane, variamente regolate e con “specialità” di ambito applicativo; l’«incompiutezza» della disciplina introdotta con l’art. 48-bis, che appare «basculante… tra negozio e procedimento» [33], e che per più aspetti sembra quasi rifuggire dalle possibilità di una lettura sistematica utile a ricostruirne organicamente le specificità; i problemi di carattere dogmatico tuttora irrisolti (anzi, resi ancor meno limpidi dall’introduzione dei nuovi marciani), e principalmente quello concernente la cosiddetta funzione causale delle alienazioni commissorie; le difficoltà di desumere linearmente, e senza la mediazione di un discorso dogmatico idonea a limitare esiti arbitrari, regole univoche dalla applicazione, suggerita da una recente dottrina come soluzione generale ai problemi posti dai nuovi marciani, dei principi generali di sussidiarietà, proporzionalità, solidarietà, effettività, adeguatezza [34].

Vero è che, le disposizioni del codice civile, solitamente richiamate a proposito delle alienazioni commissorie (quelle consentite così come quelle vietate) [35], e la disorganica disciplina delle varie soluzioni di tipo marciano, pur rilette entrambe alla luce dei pertinenti principi generali, compongono un quadro normativo particolarmente frastagliato e difficoltoso da razionalizzare. Perciò, suscettibile di alimentare esiti interpretativi disparati e non sempre facili da coordinare tra loro e da armonizzare sia nell’ambito di operatività proprio di ciascuno dei nuovi marciani, isolatamente considerato come micro-sistema [36], sia in una (più opportuna o forse necessaria) visione sistemica generale [37].

Da qui le difficoltà del tema, che si manifestano già al primo approccio, se è vero, come si nota, che «il fresh start del debitore non risulta eccentrico nel sistema», ma la soluzione affermativa dell’esdebitazione «si scontra con il silenzio del legislatore» [38]. E si tratta di un silenzio che, in punto di principio, non dovrebbe essere trascurato, perché il legislatore, proprio nel dettare la disciplina dei nuovi marciani, a volte non ha previsto l’effetto dell’esdebita­zione mentre altre volte lo ha disposto chiaramente. Lo ha fatto, expressis verbis, nell’art. 120-quinquiesdecies comma 3 T.U.B., riguardo ai contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali; lo si ricava inequivocabilmente dalle disposizioni del comma 12-quater dell’art. 11-quaterdecies l. 2 dicembre 2005 n. 248, come modificato dalla l. 2 aprile 2015 n. 44, in tema di prestito vitalizio ipotecario [39]. Sì, dunque, argomento debole, almeno in linea generale, quello dell’«ubi lex voluit dixit»; suscettibile, tuttavia, di assumere una valore qualificante abbastanza univoco quando il legislatore, in un insieme di fattispecie affini, più o meno coeve e accomunate dal medesimo carattere di riconosciuta specialità/settorialità [40]tacuit in un caso e dixit in altri. Debole o meno che sia, non è però argomento cui si possa riconoscere a priori un’attitudine dirimente, specie se il testo legislativo – com’è nel nostro caso – è troppo pasticciato, incoerente e incompiuto per poter giustificare l’attribuzione del carattere “oggettivamente” intenzionale ad un’omissione; tanto più che, nel medesimo contesto e testo legislativo, altre omissioni non possono poi ragionevolmente giovarsi dello stesso argomento interpretativo [41].

Né sembra un criterio ermeneutico proficuamente utilizzabile, a prescindere dal merito della soluzione che in tal modo si intenda accreditare, il richiamo al favor legislativo, ritenuto presente ed evidente sia nell’art. 48-bis che nel­l’art. 120-quinquiesdecies, e però rivolto, nel primo caso, al finanziatore e, nel secondo, al consumatore [42]. Declinato con riferimento a formule negoziali complesse o ricavato dalla contrapposizione fra istituti o provvedimenti legislativi dai contenuti multiformi, il concetto di favor assume invero un valore alquanto generico e ambiguo, inidoneo a giustificare “finalisticamente” un esito interpretativo piuttosto che un altro. Né un favor legislativo può essere determinato più univocamente in relazione alla sola disciplina dell’art. 48-bis, a causa della pluralità di interessi che il legislatore ha qui tentato di comporre; per giunta, non sempre coerentemente, compiutamente e in maniera equilibrata, considerato che profili di iper-protezione del creditore, del debitore e dei terzi si alternano e intrecciano a volte abbastanza confusamente [43] e che, tra i vari interessi rilevanti o in conflitto, la tutela oscilla o si concentra su uno o sull’altro in maniera instabile e talora irrazionale [44]. È dunque difficile poter concordare sull’affermazione circa il favor, la «spiccata tutela accordata al soggetto finanziatore» [45], cui sarebbe chiaramente improntato l’art. 48-bis, tanto più che altre dottrine interpretano le disposizioni del medesimo istituto in chiave esattamente opposta, cioè come norme inderogabili poste a tutela di interessi del debitore [46].

Il quadro appena delineato dovrebbe sufficientemente spiegare le ragioni di fondo per le quali, sin dai primi studi sul nuovo istituto, gli interpreti, più o meno convintamente, e talora anche disapprovando l’esito interpretativo ritenuto necessitato dal testo della legge, sono divisi fra orientamenti in genere contrapposti riguardo alla soluzione del problema dell’esdebitazione in caso di garanzia incapiente [47]. E neanche sono mancati, insieme alle posizioni incerte, i tentativi di superamento delle contrapposizioni interpretative, attraverso soluzioni che, in qualche modo, mirano a compendiare le ragioni giustificative degli orientamenti antitetici (infra, § 8).


3. L'intreccio dogmatico: l'esdebitazione e la "funzione" delle alienazioni commissorie.

Sotto il profilo costruttivo della determinazione della norma utile, quello della esdebitazione costituisce forse uno dei problemi di maggior impegno [48] e di particolare rilevanza «dogmatica», almeno quando se ne ricerchino, così come in realtà è stato fatto in prevalenza, la corretta impostazione e la soluzione sul piano della funzione “causale” [49], cioè della causa solutoria ovvero di garanzia, del patto marciano e, in generale, delle alienazioni commissorie [50]. Tema su cui occorre soffermare l’attenzione nei suoi riferimenti generali, anche perché interferisce, ripetutamente e per diversi aspetti, con l’interpreta­zione e l’(ampia) integrazione necessaria a dare organicità alla disciplina della formula negoziale di finanziamento e garanzia del credito introdotta con l’art. 48-bis [51].

Complice l’inclusione nella categoria delle alienazioni in garanzia e l’asso­ciazione legislativa alle garanzie reali e all’anticresi, l’identificazione del patto commissorio con la costituzione di una particolare forma atipica di garanzia è talora considerata un dato del tutto scontato. In realtà, riguardo alla determinazione della essenziale finalità delle stipulazioni commissorie, superata definitivamente l’antica opinione della “causa” di scambio [52], gli orientamenti dogmatici sono radicalmente divisi fra le due opzioni fondamentali della funzione di garanzia e della funzione solutoria [53] e quella della funzione composita, cioè comprensiva di entrambe le funzioni, che talora non sono ritenute rigorosamente alternative [54].

Una prima importante sistemazione nella materia del patto commissorio avviene nella dottrina tedesca dei primi del ‘900. Superando alcune concettualizzazioni meramente descrittive o l’inaccettabile accostamento alla figura della compravendita, si attribuisce alla stipulazione commissoria una funzione unitaria eminentemente solutoria, attraverso l’inquadramento della stes­sa nella figura della datio in solutum [55].

In aperto dissenso da questa risalente (e mai del tutto abbandonata) dottrina, nella prima moderna trattazione organica della materia elaborata nel nostro paese, le stipulazioni commissorie sono invece considerate tipiche ipotesi di alienazione in funzione di garanzia, indipendentemente dalla forma che esse possono assumere in concreto, cioè quella del trasferimento sospensivamente condizionato all’inadempimento del debito garantito ovvero quella del trasferimento immediato e risolutivamente condizionato all’adempimento [56]. Contro l’impostazione criticata, si rileva che soltanto la costruzione della convenzione commissoria come alienazione in garanzia consente di pervenire a una configurazione “causale” omogenea e, dunque, all’unitarietà della categoria negoziale. Diversamente ragionando, si osserva, al patto commissorio aggiunto ad una garanzia tipica, in caso di inadempimento, dovrebbe essere riconosciuto un doppio effetto, traslativo e insieme solutorio; viceversa, il patto commissorio apposto all’alienazione in garanzia avrebbe solo un effetto solutorio e diverrebbe una semplice clausola condizionale del negozio di alienazione. Smarrita l’unitarietà funzionale, sarebbe anche compromessa la ricerca di un coerente fondamento giustificativo del divieto di patto commissorio e dell’ele­mento – la causa cavendi, appunto – che consente di distinguere tale patto dai negozi con funzione solutoria o liquidativa [57].

La costruzione della stipulazione commissoria come meccanismo pattizio di adempimento secondario ed eventuale, in tempi più recenti, viene però ripresa e ampiamente sviluppata nella prospettiva di una essenziale differenziazione del patto commissorio dall’alienazione in garanzia [58]. I termini nei quali è riproposta la costruzione, in linea di principio, appaiono sostanzialmente più convincenti, sia sul piano della raffinata sistemazione concettuale sia riguardo alle ricadute in ordine alla disciplina. Sotto quest’ultimo aspetto, infatti, scorporando la funzione di garanzia dalla stipulazione commissoria si elimina il patto commissorio dalla categoria delle alienazioni in garanzia generale e si evita così di sovrapporre, in maniera incontrollata, la disciplina del patto com­missorio alla disciplina delle alienazioni in garanzia, deducendo automaticamente l’illiceità di queste ultime dal divieto commissorio [59].

Per realizzare l’alienazione in garanzia, si osserva, il negozio deve assumere una struttura formale idonea a determinare «un regime di indisponibilità del bene, vincolandolo all’azione espropriativa del creditore» [60]. La stipulazione commissoria, invece, ha una funzione differente, perché realizza un’attribu­zione patrimoniale condizionale, effettuata solvendi causa, che esaurisce i pro­pri effetti nella predisposizione di un trasferimento della proprietà in funzione satisfattiva del credito e che può accompagnarsi o meno a una alienazione in garanzia. La funzione del patto commissorio, dunque, è esclusivamente solutoria e, poiché consente di ottenere la massima tutela del credito attraverso un automatismo della vicenda traslativa, può essere fonte e strumento, appunto per come è congegnato, di possibile approfittamento ai danni del debitore. Donde il tradizionale divieto, che dovrebbe investire, appunto, il solo patto commissorio e non l’alienazione in garanzia.

Nel patto commissorio aggiunto alle garanzie tipiche, si nota, la funzione esclusivamente solutoria appare evidente e congruente con il fatto che la funzione di garanzia è propria del contratto di costituzione del pegno o dell’ipo­teca cui il patto accede. Cosicché, la vicenda traslativa condizionata all’ina­dempimento, innescata con il patto commissorio, nel caso del patto accessorio, emerge in maniera inequivoca nella sua identità e specificità di vicenda giuridica avente una esclusiva funzione solutoria.

Anche nelle stipulazioni commissorie cosiddette autonome, tuttavia, si ritiene che l’alienazione in garanzia e la funzione solutoria del patto commissorio possano essere separate e distintamente identificate. Precisamente, nel caso della alienazione in garanzia risolutivamente condizionato, si osserva che la funzione di garanzia si può realizzare nella maniera più efficace, dato che l’at­tribuzione al creditore del diritto avviene in via preventiva, e viene risolta in conseguenza dell’adempimento o diviene definitiva in caso di inadempimento, appunto come effetto, sempre eventuale, del connesso patto commissorio, che perciò manifesta e conferma, in questo modus operandi, la sua funzione esclusivamente solutoria. Nel caso dell’alienazione sospensivamente condizionata all’inadempimento, invece, si osserva che la funzione di garanzia non è attribuibile al patto commissorio in quanto tale, ma discende, in realtà, dalla opponibilità del patto stesso. Solo per il caso dell’inadempimento, poi, il diritto sul bene sarà oggetto di trasferimento come effetto eventuale della stipulazione commissoria (se non vietata), che perciò assume anche in questo caso la sua esclusiva e connotante funzione solutoria [61].

Le due opposte sistemazioni dogmatiche della categoria delle alienazioni commissorie, esposte in estrema sintesi, sembrano enfatizzare, alternativamente, soltanto un profilo funzionale o effettuale o una fase della modalità operativa del patto. Ed una delle ragioni del radicale contrasto sta forse nel fatto che, di volta in volta, si individua come archetipo della categoria una formula negoziale piuttosto che un’altra. Le dottrine che negano la funzione di garanzia del patto commissorio, assumono come modelli di riferimento principale l’alienazione in garanzia a condizione risolutiva e il patto aggiunto alle garanzie reali tipiche e all’anticresi, ritenendo in qualche modo autoevidente che in queste operazioni negoziali la funzione di garanzia, in quanto già assolta dal trasferimento del diritto in garanzia o dalla costituzione della garanzia tipica cui il patto commissorio accede, non possa essere ascritta, in termini di funzione “causale”, allo stesso patto commissorio. Viceversa, le dottrine che affermano la funzione di garanzia del patto commissorio identificano il paradigma della categoria nel patto autonomo, nel quale la funzione solutoria sembra necessariamente ridursi a semplice clausola contrattuale (la clausola condizionale sospensiva ovvero quella risolutiva), priva in quanto tale di una propria identità causale che possa assurgere a funzione negoziale qualificante.

Gli sviluppi argomentativi sono poi condotti, con gli opportuni aggiustamenti, in linea con i presupposti fissati in avvio, sicché il risultato è in qualche modo condizionato dalle premesse. Perciò, nell’orientamento che afferma la esclusiva funzione solutoria del patto, quando la funzione di garanzia emerge abbastanza chiaramente nella sua individualità, come sembra evidente soprattutto nell’ipotesi del patto commissorio autonomo a condizione sospensiva, si richiama, quale mezzo di realizzazione della funzione di garanzia, non già il patto in sé ma bensì la sua opponibilità, sicché si può ribadire la esclusiva fun­zione solutoria del patto. Non senza motivo, in questa prospettiva, si afferma pure che l’alienazione commissoria autonoma a condizione sospensiva non svolga alcuna funzione di garanzia qualora le parti stabiliscano puramente e semplicemente che, per l’eventualità dell’inadempimento, un bene del debitore passi in proprietà al creditore; si ritiene infatti che, in tal caso, la funzione di garanzia resti frustrata dalla deficitaria opponibilità del negozio [62]. Nell’am­bito dell’opposto orientamento, quando la funzione solutoria sembra assumere un rilievo autonomo e più evidente, come nel caso del patto commissorio aggiunto a garanzie tipiche, si rileva che la stipulazione commissoria procura co­munque al creditore il vantaggio costituito dalla predisposizione della destinazione di un bene del debitore al soddisfacimento del credito per l’eventualità dell’inadempimento. E che questo effetto costituisce il risultato di un’aliena­zione idonea ad essere opposta ai creditori e ai terzi successivi aventi causa, di guisa che «il patto commissorio si rivela come un’alienazione che garantisce al creditore un soddisfacimento secondario del credito inadempiuto, giustificando il suo inquadramento nell’ambito delle alienazioni in garanzia» [63].

Dal punto di vista delle inferenze dogmatiche riconducibili alle opposte concezioni e, quindi, osservando l’utilità e i riflessi pratici delle teorie, sembra evidente che esse operano, ed in effetti hanno operato, per vero anche in conseguenza del diverso contesto ideale nel quale sono maturate, in senso diametralmente opposto in merito alla soluzione del problema generale della ammissibilità delle alienazioni a scopo di garanzia. Se, infatti, si considera il patto commissorio come l’espressione principale e tipica della categoria, la conseguenza non può che essere l’affermazione della tendenziale invalidità delle alienazioni in garanzia. Non a caso, la forte influenza esercitata dall’autore­volezza dello Studioso che si è mosso in questa direzione [64], ha contribuito, nel primo cinquantennio di applicazione del codice civile, al progressivo espandersi del divieto commissorio generalmente verso ogni ipotesi di alienazione in garanzia.

Viceversa, con la sottrazione del patto commissorio alla categoria delle alienazioni in garanzia (e con il superamento delle impostazione dogmatiche prevalenti nei primi decenni di applicazione del codice del ’42), si eliminano in radice le ombre di aprioristica proibizione, implicate dal divieto commissorio (e dalle preclusioni dogmatiche), sui trasferimenti attuati in funzione di garanzia. Non a caso, come conseguenza di quest’ultima impostazione, il divieto commissorio riduce fortemente il suo ambito applicativo o, addirittura, viene fagocitato dalla introduzione di formule correttive, di fonte pattizia o eventualmente di applicazione legale necessaria, riportabili alla cautela marciana [65]. Ed è quello che è spesso accaduto nella esperienza giuridica di questi ultimi anni; almeno quella, s’intende, immediatamente anteriore alla introduzione dei nuovi marciani, i cui effetti generali e sistemici appaiono però fortemente incerti e, perciò, potrebbe essere tanto confermata quanto destabilizzata la direzione di sviluppo dell’ordinamento che sembrava affermarsi più recentemente.


4. Segue: il fondamento concettuale e pratico della funzione di garanzia nelle alienazioni commissorie.

Sia la costruzione del patto commissorio come alienazione in garanzia, sia quella del patto configurato nei termini del contratto con esclusiva funzione solutoria, sembrano contenere una verità di fondo. Se così si può dire, l’errore sta nel considerare le due concezioni come alternative, cioè non conciliabili l’una con l’altra. In realtà, entrambe le funzioni, intese per ora genericamente, sembrano coessenziali alla stipulazione commissoria, tanto che parte della dottrina più recente ritiene le due causae  solvendi e cavendi – coesistenti, in maniera simultanea o, eventualmente, consecutiva [66]. Può dirsi, anzi, che le due funzioni sono in rapporto di vicendevole implicazione. Ma occorre chiarire questo punto, perché una conclusione sincretistica, alla fine, risulterebbe semplicemente ambigua, se non intrinsecamente erronea, e forse priva di ogni utilità pratica e sistematica.

Posto che le espressioni funzione di garanzia e funzione solutoria hanno una forte carica di indeterminatezza, può essere utile, per non cadere nelle trappole di una terminologia polisensa, seguire le riflessioni condotte sulla figura della cessione del credito. Un banco di prova estremamente sensibile in quanto, notoriamente, tale cessione può svolgere l’una o l’altra finalità, propriamente intese sotto il profilo della fondamentale connotazione funzionale del negozio.

Sul piano fenomenologico, appunto allo scopo di distinguere le cessioni con la diversa finalità, è stata delineata l’identità delle due funzioni nei seguenti termini: le garanzie hanno il carattere della sussidiarietà, perché sono risorse che vengono utilizzate solo in caso di inadempimento, e hanno la finalità di «rafforzare la pretesa del creditore, attribuendogli dei poteri che possono essere esercitati solo quando sia venuta a mancare la collaborazione del­l’obbligato principale»; gli strumenti solutori, invece, «servono a soddisfare – con maggiore o minore immediatezza – l’interesse all’adempimento della prestazione» [67]. Se il criterio distintivo tra le due funzioni viene agganciato alle priorità fissate nel regolamento contrattuale, come sembra giusto che sia fatto, allora si può giustamente affermare che «tra le due funzioni […] corre un nesso di alternatività, nel senso che l’una esclude l’altra – e viceversa – senza lasciare spazio a fattispecie ibride o miste» [68].

Se si condivide questa impostazione, l’affermazione della coessenzialità di entrambe le funzioni nelle stipulazioni commissorie si regge solo a patto che una di esse (quale che sia, non ha ora importanza) venga specificata nel significato suo proprio appena indicato, mentre l’altra deve essere assunta in un senso generico e atecnico. Assumendo la funzione solutoria come quella propria delle stipulazioni commissorie, si potrebbe anche dire che una generica funzione di garanzia, effetto dell’ampliamento delle possibilità di soddisfazione del credito, costituisce il mero riflesso dell’obbligarsi ad una prestazionesuccedanea, in caso di inadempimento di quella principale. Viceversa, considerando la funzione di garanzia come quella tipicamente svolta dal patto, la funzione solutoria rileverebbe come mera attuazione della stessa funzione di garanzia e non consentirebbe perciò di comprendere l’alienazione commissoria tra gli atti solutori propriamente intesi, nel significato cioè di atti aventi funzione di adempimento dell’obbligazione.

La scelta più opportuna sembra quella orientata nell’ultimo senso, se non altro perché, ove così non fosse, la stipulazione commissoria rischierebbe di risultare non più distinguibile dalle obbligazioni in senso lato complesse o dalla datio in solutum, con problemi, forse insolubili, determinati dal convergere, all’interno di una medesima categoria giuridica, di fattispecie disciplinate in maniera fortemente eterogenea e, in molti casi, con norme fra loro sostanzialmente incompatibili.

Ed invero, se si pone l’attenzione sul tipico programma contrattuale contenuto nelle alienazioni commissorie, si vede che l’intento delle parti è quello di costituire un vincolo in virtù del quale un cespite del debitore (garante) venga destinato al soddisfacimento preferenziale del creditore. Soltanto però per il caso di inadempimento dell’obbligazione che si intende così garantire. L’in­tento pratico, perciò, è quello che connota peculiarmente le garanzie del credito e, più propriamente, la costituzione delle garanzie reali tipiche. La funzione solutoria, viceversa, appartiene alla realizzazione (negoziale) della garanzia e, quindi, costituisce una vicenda che potrebbe avere il suo parallelo nella escussione rituale delle garanzie reali tipiche [69]. Per entrambe queste ultime due vicende, dirette alla soddisfazione del creditore, si può anche discorrere di una funzione solutoria, ma solo in un senso improprio (in qualche modo consentito dall’ambiguità della terminologia): nel senso cioè che si tratta di vicende che non costituiscono certo l’adempimento dell’obbligazione ma realizzano, piuttosto, la responsabilità patrimoniale del debitore e sono dirette, quindi, a ristorare il creditore rimasto insoddisfatto proprio a causa dell’inadempimento del­l’obbligazione garantita. Si deve pure ricordare, al riguardo, che il rapporto di concorrenzialità del patto commissorio con l’espropriazione forzata rituale è stato elevato, da autorevoli dottrine [70], a ratio dello stesso divieto commissorio, mentre non è in alcun modo chiamato in causa nei contratti solutori o nelle obbligazioni, in senso lato, alternative.

Si muove nella prospettiva qui accolta la teoria, già esaminata, che afferma la essenziale funzione di garanzia del patto commissorio. Essa non disconosce in assoluto anche una funzione in senso generico solutoria, satisfattiva del patto, ma semplicemente nega che questa possa connotarlo dal punto di vista causale e, perciò, alla fin fine, quanto qui si cerca di mostrare è del tutto allineato a questa impostazione teorica.

L’orientamento contrario, d’altra parte, presenta qualche incrinatura logica e dogmatica, derivante sostanzialmente dalle “forzature” presenti nella scomposizione di una fattispecie essenzialmente unitaria nella struttura e nella funzione, qual è appunto quella che dà luogo all’alienazione commissoria. D’al­tronde, questa figura negoziale riesce a manifestare la sua corrispondenza al­l’intento delle parti e, insieme, il disvalore che ne può giustificare, in alcuni casi, la comminatoria di illiceità, soltanto nella sintesi della sua dinamica funzionale e nella ricostruzione unitaria della sua struttura formale (il trasferimento in garanzia che si converte automaticamente o, per diritto potestativo del creditore, in trasferimento lato sensu solutorio); non già, o soltanto con molte difficoltà, quando venga smembrata nei suoi elementi atomistici o, piuttosto, nei momenti salienti della evoluzione propria della situazione giuridica effettuale attivata dal negozio.

Peraltro, la teoria della funzione solutoria delle alienazioni commissorie è (o era) giustificabile nei limiti di una precisa utilità, che sicuramente ha svolto, anche in maniera egregia: eliminare, cioè, ogni automatismo di carattere “dog­matico” nell’estendere il divieto commissorio a tutta la categoria delle alienazioni in garanzia. L’estensione trovava terreno fertile, com’è dimostrato dalla singolare ampiezza che ha caratterizzato l’applicazione del divieto nel nostro ordinamento [71], sia sul piano della funzione dei negozi ascritti alla categoria delle alienazioni in garanzia (la diffusa opinione negativa circa l’inidoneità o irragionevolezza causale di quei negozi), sia su quello della affermata inammissibilità della situazione giuridica effettuale cui le alienazioni in garanzia darebbero luogo (conformazione “atipica” dei diritti reali, specie della proprietà, trasferiti in garanzia e conseguente compromissione della integrità e omogeneità dello statuto dei diritti reali e, dunque, della sicurezza nel credito e nella circolazione degli stessi diritti).

Oggi, però, sono stati sostanzialmente superati i problemi di carattere dogmatico, esegetico e pratico che facevano ritenere le alienazioni in garanzia estranee al (ed incompatibili con il) nostro ordinamento [72]. L’affermazione della generale e tendenziale liceità dei trasferimenti in garanzia è sempre più diffusa in dottrina [73], e non viene disconosciuta anche in elaborate riflessioni della giurisprudenza [74]. Forse risulta non più utile, allora, come invece lo è stato fino ad un certo momento, ogni sforzo costruttivo diretto a distinguere e separare le alienazioni in garanzia, sotto il profilo “causale” e strutturale, dalle alienazioni commissorie, con o senza cautela marciana.

Con queste preliminari precisazioni, si può dunque accettare l’idea che, nelle alienazioni commissorie, coesistano la funzione di garanzia (in senso proprio) e quella eventualmente satisfattiva o, se si vuole, solutoria [75], purché quest’ultima venga assunta in senso lato, atecnico, e dunque in un senso inespressivo o, meglio, strumentale rispetto alla funzione fondamentale del negozio. Si può dire, anzi, che l’alienazione commissoria compendia entrambe queste funzioni, in perfetta corrispondenza con gli interessi del creditore al trasferimento del diritto nel caso di inadempimento dell’obbligazione garantita e del debitore alla conservazione del diritto in caso di adempimento. Ed è proprio la formula negoziale della funzione satisfattiva integralmente configurata dalla funzione di garanzia che, poi, risulta suscettibile di sintetizzare il disvalore tipico del negozio commissorio, nei suoi momenti caratteristici del rischio, che si insinua con particolare insidia [76], di abusi qualitativi (suffocatio debitoris, intenti predatori del creditore, ineluttabilità e immediatezza del trasferimento al momento del verificarsi della “condizione” di inadempimento) e di squilibri sinallagmatici (là dove non sia previsto il correttivo della cautela marciana).


5. Segue: la funzione di garanzia delle alienazioni commissorie e la mo­dalità condizionale dell'efficacia.

Il nesso di dipendenza che il regolamento commissorio pone fra l’avverarsi dell’inadempimento e la vicenda traslativa fa sì che il creditore, in caso di inadempimento, venga immesso (automaticamente o per sua scelta «potestativa») nella titolarità di un altro diritto, solitamente di proprietà (o, quanto meno, di un diritto di credito che non richieda la cooperazione del medesimo debitore principale). In termini economici, prendendo come riferimento il caso classico del mutuo garantito con l’alienazione commissoria di un diritto di proprietà, si può ravvisare nella vicenda un recupero dello scambio fra moneta e bene nel caso di fallimento dello scambio fra moneta attuale e moneta futura. In termini giuridici, è un modo di sostituire, almeno se l’operazione è lecita ed è tecnicamente ben confezionata, «la tutela reale … alla tutela risolutoria» [77]. Il creditore, infatti, attraverso il programma negoziale di tipo condizionale, neutralizza il rischio dell’inadempimento, divenendo titolare di un altro diritto nel caso in cui il diritto di credito resti insoddisfatto. Anche al debitore, però, grazie alla stessa operatività di tipo condizionale, è garantito il recupero automatico del diritto alienato in garanzia al momento stesso dell’adempimento, senza i rischi propri dei trasferimenti fiduciari [78].

La relazione che il regolamento negoziale commissorio istituisce fra l’ina­dempimento di un’obbligazione e il trasferimento del diritto rende del tutto pertinente il richiamo al «modello condizionale», in funzione però di un utilizzo del meccanismo della condizione che in generale può anche (e, nel nostro caso, dovrebbe opportunamente) prescindere dalla configurazione dell’evento incerto, costituito dall’inadempimento, come vera e propria condizione negoziale [79]. La mera condizionalità dell’effetto giuridico, come si osserva giustamente, non è il presupposto sufficiente a richiamare il concetto tecnico della condizione negoziale. Perché un «evento» possa definirsi propriamente condizione contrattuale, è necessaria la presenza di determinati «caratteri distintivi» e la corrispondenza «ad un interesse integrativo e peculiare, reso rilevante e valorizzato nel contesto dello schema tipico (o normale) proprio dell’atto considerato» [80]. Dal punto di vista funzionale, la disciplina del contratto condizionato è orientata a tutelare le parti, quando è «incerto» l’interesse alla realizzazione di un dato programma contrattuale (nella sua interezza o in qualche sua parte) [81]. La condizione in senso proprio, perché resti tale, deve perciò preservare l’identità del programma contrattuale cui accede, facendone soltanto dipendere l’attuazione dall’evento incerto [82].

La struttura formale dell’alienazione commissoria può definirsi condizionale soltanto in senso improprio, in quanto la condizionalità dell’alienazione commissoria rappresenta il modo d’essere necessario perché si realizzi la stessa funzione negoziale tipica, caratteristica. Non risponde, invece, all’esigenza, peculiare della condizione contrattuale propriamente intesa, di dare rilevanza ad interessi e finalità altrimenti estranei a un autoregolamento già espressivo, per sé stesso, di una funzione negoziale definita. La relatio all’evento costituito dall’inadempimento del debito, che il meccanismo condizionale è in grado di neutralizzare nelle sue conseguenze dannose per il creditore, conforma la stessa struttura e funzione negoziale commissoria, perché costituisce l’ine­liminabile modalità di realizzazione della finalità di garanzia del regolamento contrattuale. Non è, invece, una clausola eventuale di un negozio che esprime con compiutezza la sua funzione, anche a prescindere dalla volontà ipotetica delle parti di realizzarlo in toto o in qualche sua parte.

Nel caso dell’alienazione commissoria, non è oggetto di «incertezza» l’in­teresse alla realizzazione del programma contrattuale (o di una sua parte), perché la relatio all’evento incerto caratterizza strumentalmente e imprescindibil­mente lo stesso contenuto del regolamento contrattuale, proprio allo scopo di attuarne la funzione tipica e identitaria [83]. Il meccanismo di tipo condizionale, di cui si avvale l’alienazione commissoria, non stabilisce una relazione di dipendenza fra un interesse contrattuale dato e interessi da esso distinti, ma è lo strumento che rende possibile, attraverso la necessaria previsione dell’evento incerto costituito dall’inadempimento, una determinata finalità negoziale, cioè la funzione di garanzia. L’avveramento o il mancato avveramento della cosiddetta condizione di inadempimento, nelle alienazioni commissorie a condizione sospensiva, o della condizione di adempimento, nelle alienazioni commissorie a condizione risolutiva, sono eventi idonei a spiegare l’efficacia o la perdita di efficacia del negozio non già sotto l’aspetto del realizzarsi o del mancato realizzarsi di una vicenda propriamente condizionale, ma piuttosto nei termini dell’attuazione o dell’«esaurimento» della funzione del negozio di garanzia [84].

Il modello condizionale, così genericamente inteso, è idoneo a veicolare effetti nella realtà giuridica secondo modalità che risultano perfettamente congruenti con la realizzazione degli interessi delle parti nelle alienazioni commissorie (non vietate). Le situazioni giuridiche utili a tradurre sul piano normativo il regolamento tipico di questa funzione negoziale sono costituite dal­l’aspettativa (di diritto) del creditore garantito e dalla correlativa posizione di soggezione del debitore (o del garante) riguardo alla vicenda traslativa subordinata all’inadempimento (o all’inadempimento e, insieme, all’esercizio di un diritto potestativo da parte del creditore insoddisfatto, quando sia prevista la facoltà di scelta in ordine alla produzione del trasferimento del diritto alienato in garanzia) [85]. Posizioni giuridiche correlative che hanno ad oggetto, evidentemente, il trasferimento del diritto, nel caso del modello condizionale sospensivo; la definitività del trasferimento del diritto, se questo è stato già “precariamente” trasferito sotto la condizione risolutiva dell’adempimento.

Le indicate situazioni giuridiche rappresentano la più conveniente forma di rilevanza degli interessi del creditore e del debitore e ne accompagnano, sul piano normativo, l’evoluzione dalla iniziale incertezza sino al momento del futuro avverarsi dell’adempimento o dell’inadempimento. La programmata vi­cenda traslativa condizionale, propria della stipulazione commissoria, costituendo una situazione di aspettativa e di soggezione riguardo al trasferimento eventuale (nelle alienazioni a condizione sospensiva) o riguardo alla caducazione del trasferimento (nelle alienazioni a condizione risolutiva), realizza per ciò stesso, sul diritto che ne è oggetto, un vincolo di destinazione che può ritenersi praticamente analogo al vincolo che si costituisce attraverso una garanzia reale tipica [86]. In entrambi i casi, infatti, sia pur attraverso modalità giuridiche e procedimentali differenti, si realizza la medesima funzione di garanzia, mediante la costituzione, secondo una delle formule più efficaci con la quale è solitamente sintetizzata, di una «riserva di utilità ad rem», asservita alla realizzazione dell’interesse del creditore per il caso in cui il debito garantito non venga adempiuto [87].

Nelle garanzie reali tipiche, l’utilità risulta vincolata al soddisfacimento del creditore e si avvale del diritto di sequela, strumentale all’attuazione dell’effi­cacia erga omnes della garanzia, e della funzione “integrativa” (o connotante, secondo le varie opinioni) del diritto di prelazione, utile alla soddisfazione preferenziale del credito. Nelle alienazioni commissorie, secondo i vari schemi utilizzabili, il vincolo sull’utilità si realizza in conformità alle predisposte modalità di autotutela, attraverso, appunto, la costituzione di un’aspettativa sulla vicenda traslativa del diritto offerto in garanzia, vicenda che, nel caso di inadempimento dell’obbligazione garantita, assume efficacia (se “sospesa”) o efficacia definitiva (se “precaria”, in quanto condizionata risolutivamente). L’effetto che genera il regime di indisponibilità relativa del bene e insieme il vincolo all’azione espropriativa in autotutela del creditore, non sembra però attribuibile ad un negozio di alienazione in garanzia distinto dal regolamento commissorio, ma consegue, nella forma della “destinazione” tutelata dall’a­spettativa, esattamente alla stessa predisposizione di un trasferimento condizionale in funzione satisfattiva del credito (per l’eventualità che questo non venga spontaneamente adempiuto) [88].

L’alienazione in garanzia, dunque, non è altro che l’alienazione commissoria osservata nel momento in cui il regolamento negoziale dispiega la sua efficacia immediata e provvisoria, propria del modello condizionale di produzione degli effetti. La funzione regolatrice degli effetti tipica del negozio condizionale è impiegata, o “piegata”, alla scopo di realizzare, in una forma peraltro che normalmente è più “intensa” rispetto a quella delle garanzie reali tipiche [89], la finalità di garanzia del credito.

La funzione di garanzia delle stipulazioni commissorie, come effetto di quella satisfattiva eventuale, si ricava, d’altronde, dai profili di rilevanza giuridica del negozio condizionale o, più in generale, dal modus operandi del meccanismo condizionale, che è scandito dai due momenti di efficacia neiquali si concentra la risposta dell’ordinamento giuridico: quello cioè della conclusione del contratto e quello del verificarsi dell’evento condizionale. Al di là della varie teorie attraverso le quali si è inteso spiegare il fenomeno condizionale, si può dire, forse senza prendere posizioni avventate, che alla conclusione del contratto consegue una situazione giuridica strumentale alla esigenza che gli effetti finali si possano produrre; al verificarsi o non verificarsi dell’evento condizionale, consegue la caducazione della situazione giuridica strumentale e il dispiegarsi degli effetti finali in conformità alle previsioni del regolamento negoziale. Similmente, nell’alienazione commissoria (non vietata), la prima risposta dell’ordinamento è nella costituzione della situazione giuridica strumentale, esprimentesi nel vincolo imposto a un bene (diritto) attraverso la costituzione, riguardo al trasferimento eventuale (se “sospeso”) o definitivo (se “precario”), di un’aspettativa del creditore e di una soggezione del debitore, situazioni giuridiche utili a mantenere in vita la possibilità normativa degli effetti finali eventuali. Sorge, cioè, una tutela di tipo conservativo riguardo agli interessi finali che le parti intendono realizzare. Verificatasi la “condizione” di inadempimento o di adempimento, o escluso il suo verificarsi, ha modo di dispiegarsi la tutela realizzativa di questi interessi. La risposta del­l’ordinamento si apre, perciò, all’attuazione degli effetti previsti inizialmente in via semplicemente ipotetica: nel caso di inadempimento dell’obbligazione garantita, il trasferimento del diritto (se l’alienazione è strutturata secondo lo schema condizionale sospensivo) o il consolidamento definitivo della vicenda traslativa già avvenuta (se lo schema è a condizione risolutiva); in caso di adempimento, la caducazione degli effetti provvisori del negozio.

Dall’utilizzo del modello condizionale, discende che nel patto commissorio accessorio al pegno e all’ipoteca, contrariamente a quanto ritenuto da alcune dottrine, la funzione di garanzia (ipoteticamente lecita) non è inesistente ma, semmai, inutile, solo là dove il creditore dovesse optare per l’attuazione della garanzia reale tipica. In ogni caso, a prescindere dalla convenienza ad escutere quest’ultima ovvero dare attuazione a quella commissoria, la funzione di garanzia della stipulazione commissoria (non vietata) emerge sempre sul piano della realtà giuridica, veicolata dalla situazione soggettiva strumentale che consegue all’attivazione del meccanismo di produzione condizionale degli effetti finali.

Né la funzione di garanzia della stipulazione commissoria a condizione sospensiva dovrebbe essere identificata tout court con l’opponibilità del patto ai terzi, onde trarne la conclusione, soltanto apparentemente confermativa dell’as­sunto che attribuisce al patto commissorio la sola funzione solutoria, secondo la quale il patto a condizione sospensiva, se inopponibile, non realizza alcuna funzione di garanzia [90]. Posto che la carenza di opponibilità può afferire anche all’alienazione commissoria a condizione risolutiva (sicché dovrebbe dirsi che anche questa, in carenza di opponibilità, non realizzerebbe alcuna funzione di garanzia), va detto che la situazione effettuale generata dal negozio commissorio (non vietato) è propria dell’alienazione condizionata in quanto tale e non della sua opponibilità, che è un requisito normalmente fondato su fatti ulteriori ed eventuali e non è un effetto del negozio come tale. Oltretutto l’opponibilità ha carattere «relativo», nel senso che un atto può essere opponibile e, al contempo, inopponibile, a seconda di quale sia evidentemente il termine di riferimento (ad es., se l’atto può essere trascritto, è opponibile a chi ha trascritto o iscritto successivamente, inopponibile verso chi ha compiuto anteriormente la formalità pubblicitaria). Sicuramente, ma soltanto sul piano pratico, la funzione di garanzia dell’alienazione commissoria (lecita) è tanto più efficace quanto maggiore è il suo grado di opponibilità ai terzi; ma, sul piano giuridico, il difetto di opponibilità è un problema che attiene alla soluzione dei conflitti fra situazioni giuridiche incompatibili e, perciò, non contraddice, anzi presuppone, la costituzione della stessa situazione giuridica effettuale innescata con la stipulazione commissoria [91].

Quanto all’ipotesi della stipulazione commissoria immediatamente traslativa a condizione risolutiva, è appena il caso di precisare che la funzione di garanzia, intanto rafforzata dal diritto «risolubile» trasferito immediatamente, è costituita dall’aspettativa del creditore riguardo alla definitività del trasferimento del diritto in caso di inadempimento (l’aspettativa dell’alienante in garanzia, contraria e simmetrica, rispetto alla aspettativa dell’acquirente nell’a­lienazione commissoria a condizione sospensiva conforma semplicemente il diritto risolubile in funzione della costituzione della garanzia).

In tutti i casi, la fase solutoria, genericamente intesa, rappresenta pertanto una semplice appendice eventuale che, nella materialità del suo avverarsi, è mera attuazione della funzione di garanzia ed è, comunque, non significativa sotto il profilo “causale” o della finalità essenziale dell’alienazione commissoria, considerato che essa costituisce la modalità di esecuzione, in autotutela, della garanzia del credito, ponendosi come vicenda alternativa all’attuazione rituale della responsabilità patrimoniale e con questa condividendo, perciò, la finalità lato sensu satisfattiva [92]. Fase satisfattiva, dunque, solo ipotetica e causalmente inespressiva, ma strumentale, nel suo valore normativo, programmatico, alla emersione delle già indicate posizioni giuridiche in termini che sono assimilabili al vincolo che si costituisce sui beni attraverso le tipiche garanzia reali e, quindi, in termini utili a realizzare la funzione di garanzia.


6. Segue: la "relativa" indipendenza del problema dell'esdebitazione dalla "funzione" delle alienazioni commissorie.

Tornando al problema specifico dell’esdebitazione nell’attuazione, con cespite incapiente, del patto di garanzia previsto nell’art. 48-bis, si potrebbe affermare che la conclusione raggiunta circa la essenziale funzione di garanzia delle alienazioni commissorie dovrebbe condurre de plano alla soluzione negativa. Nell’assenza di una deroga legislativa espressa all’art. 2740 comma 2 c.c., si dovrebbe infatti applicare la regola generale secondo la quale il diritto di credito, nella misura in cui risulti insoddisfatto, permane pur dopo l’escus­sione della garanzia specifica.

Va detto però che, in punto di principio, gli argomenti utili a sorreggere la tesi negatrice dell’esdebitazione, così come quelli funzionali alla affermazione della tesi contraria, potrebbero anche dissociarsi, come in effetti, in alcune dottrine, è anche accaduto, dalla attribuzione al patto marciano della funzione di garanzia o, viceversa, di quella solutoria in senso proprio. La scelta, fra l’una o l’altra di queste ultime impostazioni, certamente attribuisce una maggiore coerenza dogmatica alle conclusioni contrarie o, viceversa, a quelle favorevoli all’esdebitazione; ma l’alternativa che si pone in merito alla funzione causale delle stipulazioni commissorie, pur importante a vari fini costruttivi [93], non appare di per sé tanto decisiva quanto invece è stata solitamente considerata. Nulla vieta, infatti, di ipotizzare un contratto con funzione solutoria che risulti soltanto parzialmente estintivo di un’obbligazione [94]; così come, per converso, secondo i più recenti sviluppi della dottrina, non sarebbe impedito alle parti limitare negozialmente la responsabilità patrimoniale a un dato cespite concesso in garanzia e, conseguentemente, attribuire alla escussione di quella garanzia, quand’anche il credito dovesse rimanere parzialmente insoddisfatto, l’effetto preclusivo della residua pretesa creditoria o radicalmente estintivo dell’obbligazione [95].

Dunque, si potrebbe ben contrastare l’automatismo della soluzione tratta dalla natura “causale” dell’alienazione commissoria, affermando che il contratto solutorio determina normalmente, ma non necessariamente, l’estinzione dell’obbligazione; per contro, l’escussione o l’appropriazione della garanzia, a sua volta, comporta solo di norma, ma non necessariamente, il permanere del­l’obbligazione nei limiti in cui risulti non soddisfatta [96].

La contraria impostazione, secondo la quale l’effetto estintivo dell’obbliga­zione è conseguenza necessaria dell’atto giuridico con funzione solutoria ma non della realizzazione della garanzia, è però quella più frequentemente seguita nella dottrina che si è occupata del nuovo marciano bancario [97]. Naturalmente, agli studiosi che propendono per la funzione di garanzia dell’aliena­zione commissoria, non sfugge che nel marciano previsto dall’art. 120-quin­quiesdecies è espressamente stabilito l’effetto estintivo dell’obbligazione. Se ne denuncia, però, la «dubbia fruibilità sul piano ermeneutico», per la curvatura che subisce la disciplina in relazione alle finalità protettive del consumatore. Anzi, come si è già visto, dall’«evidente favor per il consumatore», che ispira quella disposizione, si trae «un’ulteriore conferma della tesi basata sulla causa di garanzia» del marciano ex art. 48-bis, «dove il favor è, non meno chiaramente, per il soggetto finanziatore» e, quindi, sarebbe ancora più stridente con la funzione di garanzia del patto l’effetto estintivo dell’obbligazione nel caso di garanzia incapiente [98].

Molto più articolato, invece, è lo sviluppo dell’orientamento che si avvale principalmente della «causa solutoria» del patto marciano per risolvere positivamente il problema della esdebitazione nell’attuazione del patto di cui all’art. 48-bis. Il nucleo della tesi è comune alle diverse dottrine così orientate ed è costituito, appunto, dalla attribuzione della funzione solutoria (eventualmente, solo finale, in quanto subentrante ad una iniziale funzione di garanzia) all’atto traslativo condizionale previsto nell’art. 48-bis. L’effetto estintivo, anche quando il cespite trasferito dovesse avere un valore inferiore al debito, è tratto come conseguenza necessaria e coerente con la natura solutoria attribuita alla vicenda traslativa. Su questo presupposto comune, poi, si innestano ricostruzioni diverse e diversamente argomentate [99].

Anzitutto, però, riguardo all’eventuale effetto estintivo conseguente all’at­tuazione del marciano, non sembra che si possano trarre conclusioni univoche se si afferma, sul piano generale, che il patto marciano, poiché connotato inizialmente dalla funzione di garanzia e poi da quella solutoria, presenta una struttura bifasica e, quindi, assolve una funzione che dovrebbe essere bivalente [100]. Non è il caso di entrare nella discussione delle conseguenze problematiche che si dovrebbero affrontare, allargando il punto di vista, là dove ad un atto venga riconosciuta la duplice funzione, contemporanea o in successione, ma comunque in senso proprio, di garanzia e insieme solutoria. Valga solo considerare che la collocazione del patto in una «zona grigia», nella quale «diventa meno agevole distinguere il caso in cui si verta in una negoziazione delle conseguenze dell’inadempimento, con la previsione di una prestazione succedanea a quella principale» [101], per ciò stesso dovrebbe almeno impedire ogni conclusione tratta semplicemente come conseguenza di una delle due funzioni (nel caso, quella solutoria) che non si ritenga, nel contempo, implicata o almeno coerente anche con l’altra (cioè, quella di garanzia).

In ogni caso, sia pur con riguardo alla sola funzione solutoria attribuita al patto marciano, non appare convincente il generico richiamo, più o meno esplicito, alla disciplina della clausola penale, delle obbligazioni facoltative/al­ternative e della datio in solutum, in funzione strumentale alla affermazione dell’effetto “esdebitativo”. È certo vero che la funzione di adempimento, pur connotata dal requisito di «esattezza» rispetto al debito, non esclude la possibilità che le parti attribuiscano, consensualmente, una funzione estintiva del­l’obbligazione ad una prestazione diversa da quella dovuta, come nella datio in solutum [102], o che concordino una soluzione pattizia della prestazione dovuta in caso di inadempimento o di inesattezza dell’adempimento (clausola penale). Ma l’omologazione con le fattispecie di «surrogato satisfattivo dell’adem­pimento» [103], fattispecie che indubbiamente presentano alcune analogie con le stipulazioni commissorie, specie quando queste ultime vengano osservate nella sola fase satisfattoria «alternativa», è oggi respinta quasi costantemente in dottrina.

Al di là delle ampie dimostrazioni analitiche ormai diffuse in tutte le opere che si occupano del patto commissorio e della datio in solutum [104], sembra qui sufficiente considerare che, la collocazione del patto marciano nella indicata «zona grigia», se trascende il piano meramente (e parzialmente) descrittivo, ri­schia di provocare nuove antinomie forse irresolubili. Verrebbe a costituirsi, infatti, un’area o, peggio, una categoria, fortemente eterogenea nella disciplina delle fattispecie incluse (il patto commissorio e la sua nullità testuale; i patti limitativi della responsabilità patrimoniale e la loro dubbia liceità; il patto marciano atipico e la sua tendenziale liceità; le soluzioni marciane tipizzate, la clausola penale e la datio in solutum e la loro sicura liceità in astratto). Sicché, la funzione di garanzia, momentaneamente accantonata, dovrebbe comunque tornare necessaria almeno per tenere distinte, onde giustificare le diversità normative, le fattispecie con sicura finalità solutoria dalla categoria delle alienazioni commissorie [105]. La disomogeneità funzionale, infatti, sembra un’e­vidente conseguenza del fatto che l’alienazione commissoria, proibita o lecita, colloca il trasferimento condizionale del diritto nella fase attuativa della responsabilità patrimoniale, come strumento di autotutela negoziale alternativo alla tutela giurisdizionale; mentre la datio in solutum e la clausola penale sembrano piuttosto collocarsi, geneticamente ed operativamente, sul piano del­l’obbligazione [106], o in un momento comunque antecedente a quello dell’at­tuazione della responsabilità patrimoniale, con finalità specificamente estintiva e, rispettivamente, con lo scopo di determinare in via preventiva il valore dell’inadempimento (cioè la responsabilità personale) [107]. Per questa ragione, la legge attribuisce alla dazione e alla clausola penale una normale funzione estintiva dell’obbligazione (salvo contraria pattuizione, che attribuisca perciò valore di estinzione parziale alla datio o, alla clausola penale, carattere non preclusivo della richiesta del maggior danno).

D’altronde, è principio incontrastato quello secondo il quale, nel momento attuativo della garanzia, il creditore può soddisfarsi non oltre la misura esatta determinata dalla fonte del debito garantito [108], senza che però il valore della garanzia offerta al creditore possa costituire un limite alla responsabilità patrimoniale del debitore. Perciò questi può subire l’aggressione del restante patrimonio da parte del creditore non integralmente soddisfatto dall’escussione della garanzia specifica [109]. Né potrebbe normalmente evitarlo, perché un patto che delimiti la responsabilità patrimoniale del debitore al bene offerto in garanzia, detto così per semplificare, sarebbe nullo per contrarietà al principio della responsabilità patrimoniale illimitata del debitore (art. 2740 comma 2 c.c., che ammette limitazioni solo se previste dalla legge) [110].

Il quadro normativo delineato, allora, suggerisce l’idea che la soluzione positiva al problema della esdebitazione, piuttosto che farsi discendere dall’alter­nativa fra causa cavendi e causa solvendi del patto marciano, dovrebbe connettersi (non alla mancanza di una contraria volontà negoziale delle parti manifestata inizialmente [111], ma) ad una espressa previsione legislativa (o pattizia, se si ritenga ammissibile). Tanto più che, proprio sotto l’aspetto della funzione, come si è visto, le opinioni non sono concordanti, non solo, invero, in materia di stipulazioni commissorie, ma perfino a proposito della stessa datio in solutum [112], che pure viene assunta come paradigma di riferimento a sostegno della tesi favorevole alla esdebitazione.


7. Le modulazioni argomentative dell'orientamento favorevole all'e­sdebitazione. Critica e rassegna degli argomenti contrari.

Contro la tesi, invero maggioritaria, che nega l’effetto di esdebitazione, nel caso di estinzione solo parziale del debito, sono state formulate alcune più specifiche e penetranti obiezioni, che fanno perno sostanzialmente sui seguenti argomenti: (a) l’anomalia di una datio in solutum soltanto parziale o di un trasferimento in facultate solutionis che non sia anche estintivo dell’obbliga­zione [113]; (b) il carattere formalistico dell’argomento ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, introdotto attraverso il confronto fra l’art. 120-quinquiesdecies (ove l’estinzione dell’obbligazione garantita con il patto marciano è stabilita espressamente), e il patto di garanzia dell’art. 48-bis, che invece in proposito tace e, quindi, dovrebbe legittimare la conclusione negativa riguardo all’am­missibilità dell’esdebitazione [114]; (c) il fatto che la liberazione del debitore con una prestazione alternativa inferiore al valore del debito costituisca sì per lui un arricchimento ma «pur sempre deducibile in realtà da uno jus eligendi com­piuto a monte dal creditore» [115]; (d) l’esigenza di realizzare le finalità del nuovo istituto, che sono anche quelle di «di abbattere il contenzioso dell’esecuzio­ne forzata» e di offrire all’imprenditore uno strumento che possa facilitarne gli investimenti, finalità che sarebbero in contrasto o comunque non incentivate dalla mancata esdebitazione [116]; (e) l’obiettivo di fornire, nell’applicazione degli artt. 48-bis e 120-quinquiesdecies, un senso omogeneo al principio della par condicio creditorum e, quindi, di tutelare, in entrambi i casi allo stesso modo, la posizione dei terzi creditori di fronte al creditore che, avvalsosi del patto marciano, faccia poi valere, per la parte di credito rimasta insoddisfatta, la garanzia generica sui beni residui del debitore, considerato che questi beni costituiscono «i soli cespiti su cui gli altri creditori, chirografari o con un titolo di prelazione postergato, possano pensare di soddisfarsi … non in concorso col primo, già avvalsosi di un diverso adempimento» [117].

Riguardo ad alcune di queste obiezioni, si è osservato che, in generale, sono senz’altro dotate di una certa persuasività, ma che tuttavia non appaiono «assolutamente dirimenti». La datio in solutum, infatti, può ben essere parziale, non solo nel senso che essa può «intervenire quando una parte del debito sia stata già adempiuta» (ma, forse, questo non sarebbe da considerare propriamente un caso di estinzione parziale realizzata con la datio in solutum), ma anche nel senso che «possa concordarsi che il debito esistente sia solo in parte soddisfatto con una prestazione diversa, e che rimanga in vita per la restante parte». Il contenzioso generato dall’esecuzione forzata, poi, è ritenuto «inconveniente ipotetico» che esclude, non verificandosi necessariamente, il contrasto fra il permanere dell’obbligazione solo parzialmente estinta con l’at­tuazione del patto marciano e la ratio della norma [118]. Quanto al risultato disincentivante, si nota che l’attribuzione dell’effetto estintivo all’attuazione del patto marciano può essere di incentivo all’imprenditore ma «potrebbe disincentivare l’altro contraente (ossia la banca) dalla stipula del patto marciano» [119].

Il punto che però sembra possedere una maggiore forza argomentativa è quello relativo alla superiore coerenza della soluzione che deduce l’effetto di esdebitazione dall’esercizio di uno jus eligendi da parte del creditore. Sviluppando più dettagliatamente lo spunto, si potrebbe sostenere che la possibilità della scelta data al creditore implichi, come lineare conseguenza, l’attribuzio­ne del «rischio» relativo alla insufficiente copertura del credito. È certamente coerente, infatti, che gli effetti di una scelta vengano imputati a chi compie la scelta stessa. Come si osserva, in linea generale, «l’idea per cui chi sceglie subisce l’effetto della scelta … appartiene … al modo di pensare universale» [120].

Si deve osservare, tuttavia, in proposito, che la deducibilità dell’effetto estintivo dell’obbligazione da una scelta negoziale compiuta inizialmente dal creditore e poi dallo stesso confermata nella fase esecutiva, dal punto di vista logico-formale, non può che reggersi su una sorta di petizione di principio. Questa è poco evidente, semplicemente perché è veicolata dall’inquadramento del patto ex art. 48-bis nell’ambito degli strumenti propriamente solutori e, quindi, è fondata su un premessa «nascosta» dal concetto di funzione solutoria, intesa come funzione implicante necessariamente l’estinzione dell’obbli­gazione. In realtà, si può attribuire questo effetto estintivo alla scelta del creditore soltanto sul presupposto implicito secondo cui l’attuazione del marciano libera il debitore. Ciò che può fare il creditore, infatti, è scegliere se agire, per la soddisfazione del credito, nei modi della esecuzione forzata ovvero in autotutela. Per quale ragione, in questo secondo caso, il trasferimento del diritto dovrebbe essere estintivo dell’intera obbligazione, anche quando non raggiunga il valore del debito, se non perché questo conseguenza in realtà si presuppone? Detto altrimenti, basterebbe assumere come (inespresso) presupposto quello secondo cui l’estinzione dell’obbligazione non si verifica nel caso di minusvalore del bene trasferito, per giungere alla conclusione contraria, cioè che l’esercizio dello jus eligendi non estingue l’obbligazione, se non nei limiti in cui risulti soddisfatta dal trasferimento marciano.

Fuori da ogni critica di carattere formale, resta che all’esito della esdebitazione anche in caso di garanzia incapiente si deve pervenire obliterando totalmente la funzione di garanzia che connota il patto marciano e che consente di tenerlo distinto dalla datio in solutum o da altre forme di adempimentoalternativo delle obbligazioni [121]. Sembra evidente, entrando più nel merito, che soltanto uno jus eligendi esplicantesi nell’ambito di alternative collocabili sempre sullo stesso piano solutorio, consente di concludere nel senso che, agli effetti dell’estinzione dell’obbligazione, una prestazione valga l’altra. In realtà, tale presupposta equivalenza o sostituibilità, non sembra ricorrere esattamente nei termini necessari alla conclusione che se ne trae. Lo jus eligendi, a ben vedere, infatti, non riguarda l’alternativa, tutta collocabile sul piano solutorio, «prestazione principale / prestazione succedanea», ma piuttosto si esplica con riferimento ad un’altra, differente alternativa. Precisamente, quella sussistente fra la prestazione succedanea e l’esecuzione forzata [122]. Questo ulteriore passaggio, forse non adeguatamente considerato, allontana dalla funzione solutoria il trasferimento del diritto oggetto dello jus eligendi e lo colloca nell’ambito della fase attuativa della responsabilità patrimoniale [123], con un mutamento di prospettiva che dovrebbe riflettersi significativamente sulla conclusione di necessarietà dell’effetto liberatorio nel caso di attuazione del marciano.

Torna, allora, il problema della «funzione» delle alienazioni in garanzia. È stato rilevato, con riferimento alla cessione del credito, schema negoziale che può assumere indifferentemente causa cavendi o causa solvendi, e che perciò costituisce un banco di prova della “perfezione” del criterio discretivo tra queste causae, che «la cessione deve ritenersi effettuata a scopo solutorio, ogni qual volta serva a procurare le risorse, con le quali il creditore potrà procedere all’autosoddisfacimento della propria pretesa; mentre ha finalità di garanzia, ogni qual volta le predette risorse debbono essere accantonate, con facoltà di utilizzo solo in caso di inadempimento» [124]. Applicando questo criterio al patto marciano previsto dall’art. 48-bis T.U.B., non è chi non veda come l’esito debba necessariamente orientarsi verso l’affermazione della funzione di garan­zia, visto che il trasferimento del cespite presuppone l’inadempimento e perciò occupa «una fase dell’obbligazione che si pone al di là dell’adempimento e dei suoi surrogati» [125]. Lo stesso argomento tratto dallo jus eligendi, utile ad affermare l’esdebitazione quando il diritto di scelta si dovesse esplicare in ambito solutorio, potrebbe pertanto essere coerentemente utilizzato per sostenere la tesi esattamente opposta, quando si riconosca che l’esercizio dello jus eligendi ha per oggetto modalità alternative di attuazione della responsabilità patrimoniale.

La sussistenza di un diritto potestativo di scelta circa l’utilizzo del patto marciano o, viceversa, dei normali rimedi contro l’inadempimento, sembra poi rafforzare l’orientamento che esclude l’esdebitazione per una duplice concorrente ragione. In primo luogo, perché sottrae radicalmente, mancando l’ob­bligo di accettare una prestazione alternativa (o diversa in facoltà del debitore), l’alienazione marciana dalla categoria degli atti con funzione solutoria «complessa», tipicamente rappresentata dalle obbligazioni alternative e da quelle facoltative. In secondo luogo, perché, escludendo il caratteristico automatismo commissorio nella sostituzione del trasferimento del diritto alla prestazione non adempiuta, connota più intensamente l’alienazione marciana del carattere tipico ed esclusivo della forma di garanzia patrimoniale. Il diritto del creditore di scegliere se avvalersi o meno del patto marciano, infatti, sorge dall’inadempimento. Presupponendo l’inadempimento, interviene nel momento della responsabilità patrimoniale e delle sue concordate modalità attuative e non, invece, nella fase di realizzazione negoziale alternativa del rapporto obbligatorio. Quest’ultimo non esiste più nella forma originaria, perché – si osserva giustamente – «la posizione debitoria non è più composta dalla prestazione originaria ma dal risarcimento del danno sostitutivo della prestazione e dal risarcimento dei danni consequenziali». Vale a dire che «l’obbligazione si è […] già trasformata nel vincolo di responsabilità» [126] e, poiché il valore della garanzia non incide sulla misura della responsabilità patrimoniale, dovrebbe di conseguenza escludersi ogni ipotesi di automatica esdebitazione.

Sempre la presenza dello jus eligendi, poi, rende ancora meno compatibile l’accostamento del patto marciano previsto nell’art. 48-bis a schemi negoziali riportabili nell’ambito della datio in solutum [127]. Questa, infatti, dovrebbe essere conformata come se fosse sottoposta inizialmente ad una duplice condizione, quella dell’inadempimento (totale o parziale) dell’obbligazione principale e quella, meramente potestativa, dell’esercizio della facoltà del creditore di avvalersi della stessa datio in solutum concordata anticipatamente. Insomma, si innestano nello schema negoziale formale della datio in solutum elementi di tipo condizionale che ne trasfigurano lo schema legale, perché non operano con la consueta modalità «accidentale» e «estrinseca», ma bensì «al­l’interno» del negozio, determinandone lo stesso contenuto in via necessaria, e quindi plasmando la struttura e la funzione negoziale in maniera fortemente disancorata dalla fattispecie tipica [128].

Se è vero quanto sinora osservato, dovrebbe trovare conferma la mancanza, nell’orientamento favorevole all’esdebitazione, del presupposto sistematico o dogmatico su cui esso intende fondarsi, cioè la funzione solutoria dell’alie­nazione marciana prevista nell’art. 48-bis. Dunque, l’accostamento agli schemi e ai normali effetti delle obbligazioni complesse o della datio in solutum non appare giustificabile o, forse, appare ancora meno giustificabile di quanto possa esserlo nello schema delle stipulazioni commissorie pure [129].

Si richiama, ancora, la figura della prestazione in facultate solutionis con obbligo di restituire l’eccedenza, figura da tenere distinta dalla datio in solutum, dalle obbligazioni alternative e facoltative e dallo schema, estraneo alla nostra legislazione ma tipizzato nell’ordinamento tedesco, della prestazione a scopo di adempimento [130]. Sembra quasi, però, che il richiamo a questa, per vero sfuggente, categoria di obbligazioni si concretizzi essenzialmente nel denominare in modo diverso l’alienazione in garanzia con cautela marciana, e pertanto, al di là delle suggestioni terminologiche, non valga alla fine come argomentazione utile a dimostrare che l’esdebitazione è necessariamente implicata dal carattere solutorio dell’attuazione del patto marciano. Infatti, la pre­stazione definita in facultate solutionis non è, in realtà, nella «facoltà» del debitore né in quella del creditore. Il primo non ha alcun diritto di estinguere l’obbligazione con la prestazione alternativa (cioè l’attribuzione patrimoniale prevista nell’alienazione in garanzia), ma deve sottostare, nel caso non voglia o non possa adempiere, al potere del creditore di scegliere se avvalersi o meno del patto marciano. E se anche mancasse questo potere di scelta del creditore, quello del debitore di non adempiere sarebbe un mero potere di fatto (non sarebbe cioè un diritto di scegliere «come» adempiere l’obbligazione). D’altra parte, il potere di scelta sorge in capo al creditore solo in conseguenza dell’i­nadempimento e, perciò, non è «in facoltà» del creditore pretendere che l’ob­bligazione venga estinta con la prestazione alternativa.

In definitiva, una modulazione della figura nella quale una res è in obbligazione mentre duae res sono in facultate solutionis: (a) rivela una situazione giuridica strutturalmente diversa da quella innescata dal trasferimento in garanzia con cautela marciana; (b) presenta elementi di disciplina non estensibili all’attuazione del patto marciano, se non con vistose correzioni (la necessità strutturale della «condizione» di inadempimento, l’obbligo di restituzione del superfluum); (c) distorce gli interessi tipicamente sottostanti all’alienazione in garanzia (il creditore e il debitore – salvo intenti “predatori” del primo, che eventualmente, se non restano confinati tra i motivi irrilevanti, appartengono alla patologia dell’alienazione commissoria – hanno interesse, rispettivamente, a ricevere e ad effettuare la prestazione che è oggetto dell’obbligazione restitutoria, non già l’attribuzione patrimoniale prevista nel patto marciano in via «condizionale»); (d) conduce infine a una alternativa cieca o, meglio, inaccettabile dal punto di vista del risultato sostanziale ovvero sotto l’aspetto formale, rispettivamente perché: (d-1) o si deve porre sullo stesso piano la prestazione principale e l’attribuzione marciana, vanificando o quanto meno svilendo il carattere accessorio del rapporto di garanzia, con tutte le connesse implicazioni; ad es., se è un terzo ad assumere l’obbligo della prestazione in facultate solutionis, visto che la funzione accessoria di garanzia della alienazione marciana viene di fatto cancellata e “riqualificata” sul piano esecutivo dell’obbliga­zione, quale sarà l’ambito della responsabilità del terzo nel caso di inadempimento del debitore “principale” e di impossibilità della prestazione in facultate solutionis imputabile al terzo? traendo le conseguenze, si dovrebbe forse affermare che il terzo non è semplice garante, cioè responsabiledell’inadempi­mento nella misura della garanzia, ma in realtà condebitore “succedaneo” e che, perciò, debba rispondere dell’intero debito in solido con il debitore della prestazione “principale”?; oppure (d-2) si deve affermare che la prestazione alternativa è solo succedanea dell’adempimento, un suo surrogato, e allora, però, occorrerebbe spiegare singolari anomalie: come possa cioè logicamente e sistematicamente costruirsi un atto solutorio che costituisce sì adempimento dell’obbligazione ma, purtuttavia, presuppone l’inadempimento della medesima obbligazione; non obbliga, poi, il creditore ad accettare la prestazione succedanea e non facoltizza il debitore ad eseguirla, né prima né dopo l’inadem­pimento della prestazione principale; nel contempo, però, obbliga il creditore che voglia appropriarsi della prestazione succedanea a restituire l’eccedenza di valore rispetto alla prestazione principale. Ma quale forma o tipo di obbligazione “complessa” presenta queste specificità funzionali? Non è forse più lineare, per comprendere la struttura e la funzione delle alienazioni commissorie, il richiamo all’analogia con l’effetto che deriva tipicamente dalla costituzione delle garanzie reali, alla soggezione del cespite al potere autosatisfattivo creditorio, ai limiti di tale potere segnati dalla entità del debito non adempiuto?

Dal punto di vista della giustizia contrattuale, poi, l’orientamento favorevole alla esdebitazione riduce l’importanza del fatto che il creditore deve decidere se avvalersi del patto marciano ex art. 48-bis quando ancora non conosce il valore di stima del bene trasferendo [131]. Verificatosi l’inadempimento, infatti, ai sensi del comma 5, il creditore ha l’onere di “notificare” la dichiarazione (che non sembra revocabile) di volersi avvalere del patto, mentre la nomina del perito per la stima del cespite può essere richiesta al Presidente del Tribunale solo quando sia decorso il termine di sessanta giorni dalla notifica. Si attribuisce, così, al creditore il rischio del minusvalore del diritto sul bene rispetto al credito insoddisfatto, in maniera che non sembra giustificabile in relazione alle condizioni nelle quali viene operata la scelta. Anche nella discutibile prospettiva della funzione meramente solutoria del patto marciano, perciò, l’esdebitazione non sembra trovare sicure ed eque giustificazioni sostanziali.

Contro l’effetto di esdebitazione, peraltro, militano anche ragioni di simmetria, non meramente formale, riferibili all’obbligo di restituzione del superfluum al debitore. L’equilibrio sinallagmatico, infatti, sembra recuperabile alla oggettiva equità del rapporto, quale attribuibile anche al presumibile intento dalle parti (salvo, perciò, diversa pattuizione), solo se il debitore, che ha diritto di ottenere il plusvalore, debba altresì rispondere del minusvalore del bene rispetto al credito da soddisfare. Si costituisce, altrimenti, una situazione di favore che difficilmente può ricevere una ragione giustificativa assiologicamente fondata, considerato che, a monte, l’operazione economica cui accede la garanzia è il finanziamento di un’impresa e non un mutuo «civile» finalizzato a risolvere esigenze di sussistenza del mutuatario. Inoltre, in caso di minusvalore del bene rispetto al debito insoluto, il creditore è nella posizione di chi certatde damno vitando, mentre il debitore si troverebbe in quella, opposta, di colui che certat de lucro captando. Evidente, dunque, che la posizione da salvaguardare, nell’ipotesi, è quella del creditore.

L’esdebitazione, inoltre, se imposta come conseguenza della dichiarazione di volersi avvalere del patto, considerato che la dichiarazione avviene prima della conoscenza del valore di stima, introduce nell’operazione economica del finanziamento un elemento di vera e propria aleatorietà in senso giuridico. Il rischio attribuito al creditore, infatti, posto che la prestazione originariamente concordata non è certo quella del trasferimento del cespite, non riguarda tanto il mutevole valore economico di una prestazione in sé certa e determinata, ma può investire la stessa prestazione nella sua esatta determinazione quantitativa, rendendola incerta nel suo ammontare quando il valore del bene sia inferiore al credito. Questo esito modifica l’assetto di interessi programmato dalle parti oltre l’alea normale del contratto ed appare poco plausibile sia per il contrasto con la natura e la tipica regolamentazione delle operazioni di finanziamento, sia per l’assoluta asimmetria del carattere aleatorio. Il rischio di ricevere una prestazione inferiore a quella “dovuta” e di ammontare incerto, verrebbe imposto ad una sola delle parti contrattuali, cioè al creditore; mentre la controparte sarebbe addirittura protetta anche rispetto alla semplice alea normale del contratto, considerato che la stima del bene deve avvenire al momento del­l’attuazione della vicenda traslativa e, quindi, l’attribuzione patrimoniale risulta determinata al valore attuale del cespite e perfettamente perequata al valore della prestazione non effettuata (visto l’obbligo di restituzione dell’eventuale superfluum).

Si potrebbe tuttavia obiettare che la previsione dello jus eligendi, nell’art. 48-bis, sarebbe allora l’ennesima ingenuità o incongruenza della legge. Perché mai, infatti, il creditore dovrebbe rinunciare al beneficio di una garanzia specifica se può avvalersene – senza sopportare alcun «costo», come quello, appunto, dell’esdebitazione – e poi procedere, in caso di incapienza, nelle forme ordinarie della esecuzione forzata? Sarebbe un’obiezione, però, non del tutto condivisibile, perché la previsione dello juseligendi trova altrove un’idonea giustificazione; cioè, per le ipotesi nelle quali il creditore insoddisfatto non abbia (o non abbia più) alcun interesse ad acquisire il diritto oggetto del patto. Questo può accadere, ad esempio, quando ritiene che il cespite non sia facilmente liquidabile (si pensi ancora alla nota vicenda dei capannoni industriali); o quando il debito residuo rappresenta una quota minima del valore del bene e, perciò, il creditore dovrebbe restituire un’eccedenza molto vicina al valore di mercato del cespite, praticamente “comprando” il diritto dal debitore (operazione evidentemente irrazionale e suscettibile di chiudersi facilmente con un saldo negativo) [132].

Anche altre ragioni pratiche, poi, sembrano sconsigliare la soluzione favorevole all’esdebitazione. Qualora questa soluzione, come (dubbia) conseguenza dell’alternativa qualificatoria del patto marciano in termini di «garanzia/
adempimento», si dovesse consolidare sul piano interpretativo (e fino ad allora, vi sarebbe incertezza, con ricadute generali negative anche sul mercato immobiliare e sull’interesse dei concreditori e, prima ancora, con effetti ancor più disincentivanti riguardo all’utilizzo del nuovo patto marciano bancario), il risultato favorevole al debitore avrebbe poca possibilità di realizzarsi. Sembra evidente, infatti, che il soggetto finanziatore si guarderebbe dal concedere un finanziamento non garantito anche da un’iscrizione ipotecaria sullo stesso cespite oggetto del patto marciano o su altri beni. Oltretutto, se per ipotesi l’art. 48-bis, nel caso di inadempimento, obbligasse espressamente il creditore ad attuare la garanzia marciana, escludendo lo jus eligendi e prevedendo l’esde­bitazione anche nel caso di insufficienza del valore del bene rispetto al credito garantito [133], ciò avvantaggerebbe senza alcun motivo i debitori, peraltro di una determinata «classe» omogenea a quella della controparte (i creditori “professionali”). Al debitore, infatti, con conseguente danno del creditore, sarebbe aperta, là dove il valore del cespite dovesse risultare inferiore al debito residuo, non solo la via dell’inadempimento efficiente [134], ma anche la prospettiva di liberarsi di un cespite divenuto in ipotesi poco commerciabile. In ogni caso, uno strumento di tutela del credito così congegnato, cioè con il rischio di incapienza del cespite in garanzia gravante sul creditore, comporterebbe la richiesta di maggiori interessi a compensazione del maggior rischio e/o sposterebbe su valori più elevati la “copertura” della garanzia. Esiti sicuramente contrastanti con le stesse finalità “efficientiste” e di stimolo al mercato del credito che si sono volute attribuire all’introduzione del nuovo marciano [135].

Sul piano del fondamento equitativo del nuovo istituto, l’accoglimento del­l’effetto di esdebitazione, come conseguenza necessaria dell’attuazione del trasferimento, produrrebbe poi una sorta di potenziale ribaltamento della originaria funzione del patto marciano: da «correttivo» della asperitas del patto commissorio, utile a impedire o limitare gli approfittamenti in danno del debitore da parte del creditore, si appresterebbe a divenire (anche) strumento idoneo a consentire approfittamenti del debitore a danno del creditore, senza che di questa conseguenza possa trovarsi alcuna ragione giustificativa formale o sostanziale. Al contrario, evidentemente, di quanto accade, per motivi di protezione del consumatore, riguardo al patto marciano previsto nell’art. 120-quinquiesdecies del T.U.B.; e riguardo al caso del prestito vitalizio ipotecario, che peraltro costituisce un’operazione economica «naturalmente» connotata dal carattere di aleatorietà (unilaterale) e che, perciò, può essere più agevolmente conformata, senza incorrere nel rischio dell’usura, in maniera tale da compensare l’alea che grava sul solo «vitaliziante» [136].

Infine, quanto al richiamato principio della par condicio creditorum, è evidente che ogni forma di garanzia reale opera per definizione in deroga ad esso (o a quel che di esso rimane). Né si comprende perché l’alienazione commissoria, diversamente da come accade in ogni altra forma di garanzia reale, dovrebbe di per sé legittimare aspettative degli altri creditori riguardo alla restrizione della responsabilità patrimoniale al solo diritto alienato in garanzia e, quindi, riguardo all’esclusione del creditore marciano dal concorso con gli altri creditori sui beni residui del debitore inadempiente o insolvente [137]. D’al­tronde, non si può non rilevare che, se un significato si vuol dare al comma 13 dell’art. 48-bis («Ai fini del concorso tra i creditori, il patto a scopo di garanzia di cui al comma 1 è equiparato all’ipoteca»), questo si deve proprio specificare anche nella direzione segnata dalla connotazione del patto marciano come forma di garanzia equiparata all’ipoteca, con quanto ne consegue appunto, nel caso di garanzia insufficiente.


8. Segue: se i vantaggi (per il creditore) dell'autotutela esecutiva del credito possano costituire il fondamento razionale idoneo a giustificare l'esdebitazione.

Non appare parimenti condivisibile l’orientamento che, pur non ravvisando nel patto marciano «una causa solutionis, poiché il suo effetto non consiste nel consentire un recupero del contenuto originario dell’obbligazione», attribuisce alla sua attuazione l’effetto estintivo della «situazione debitoria» in quanto «rappresenta l’esplicazione [...] di una regola di responsabilità patrimoniale di­versa da quella generale di cui all’art. 2740 c.c. […] e consistente nella destinazione di un bene determinato alla soddisfazione della posizione creditoria mediante un’esecuzione forzata di natura privata» [138].

Sull’impostazione di fondo riguardo alla funzione di garanzia delle alienazioni commissorie, non dissimile da quella qui seguita, si deve evidentemente concordare. Discutibile è invece il corollario tratto in ordine al problema del­l’estinzione dell’obbligazione [139]. C’è in realtà uno iato fra quest’effetto e l’at­to con il quale viene destinato «un bene determinato alla soddisfazione della posizione creditoria mediante un’esecuzione forzata di natura privata». L’alie­nazione commissoria, costituisce una garanzia assimilabile alle garanzie reali e, per questo motivo, destina – secondo la già indicata modalità condizionale – un cespite determinato alla funzione di garanzia. È perciò un atto (a) che costituisce una posizione preferenziale in capo al creditore e (b) che lo abilita all’escussione “privata” del bene destinato alla garanzia. Quale dei due elementi dovrebbe essere la causa efficiente dell’effetto estintivo o, almeno, rappresentare una ragione sufficiente a giustificarla? Non la destinazione a garanzia del credito di un bene determinato (e la preferenza accordato a un creditore a danno degli altri), visto che l’ipoteca o il pegno operano in maniera analoga e non comportano, nel caso di garanzia incapiente, l’esclusione della garanzia patrimoniale generica. Nemmeno, però, l’esecuzione forzata non giudiziale ma di natura privata, considerato che l’esdebitazione è riconosciuta in ipotesi di esecuzioni concorsuali, giurisdizionali o private, ma non nelle esecuzioni individuali.

Vero è che una regola di responsabilità patrimoniale, diversa da quella generale di cui all’art. 2740 c.c., comportante cioè l’esclusione dei beni rimanenti dalla garanzia patrimoniale generica o, a maggior ragione, l’estinzione del debito, non è in alcun modo implicata dalla destinazione di un bene determinato alla soddisfazione della posizione creditoria, né sul piano pratico o logico, né sul piano puramente normativo. Detto altrimenti, non è sufficiente ad ottenere la limitazione della responsabilità che un bene venga destinato a garanzia specifica; è necessario che soltanto al bene destinato venga circoscritta la garanzia del credito. Affinché questo accada, almeno nei termini in cui l’esdebitazione si ritiene generalizzata ad ogni soluzione marciana [140], è necessario individuare una precisa fonte, legale o almeno pattizia, cui ricondurre l’effetto. Solo così l’estinzione del debito, o la limitazione della responsabilità al bene alienato in garanzia (senza estinzione del debito), può innestarsi nella previsione del comma 2 dell’art. 2740 c.c., pur riletto alla luce dell’«ammo­dernamento interpretativo-sistematico» [141], che non si vuole certo ignorare.

Né sembra che la fonte, legale o pattizia, di una regola escludente la garanzia patrimoniale generica o incidente sulla stessa permanenza del debito, possa essere plausibilmente sostituita da motivi di ragionevolezza della deroga alla regola generale. Vengono indicati, a questo proposito, i «vantaggi» costituiti dalla «celerità nell’attuazione del meccanismo esecutivo» e dalla «possibilità di un più proficuo realizzo del bene dato in garanzia» [142]. Si tratta di «vantaggi» del marciano, che, però, non sono esclusivi del creditore ma ridondano a favore dello stesso debitore e degli altri creditori [143]. Nel caso di plusvalore del bene rispetto al credito, infatti, sarà maggiore l’eccedenza di valore che il creditore marciano è obbligato a restituire; nel caso di minusvalore del bene, sarà minore la parte di debito insoluta che il creditore può far valere contro il debitore come chirografario e in eventuale concorso con gli altri creditori. In entrambi i casi, perciò, i vantaggi dell’autotutela esecutiva del credito si estendono al debitore e agli altri creditori.

A ben vedere, dunque, nell’impostazione da cui si dissente, i «vantaggi» del marciano restano sì appannaggio del solo creditore, ma soltanto perché si assume che la responsabilità patrimoniale debba essere limitata al cespite costituito in garanzia. Altrimenti, anche nell’ipotesi del minusvalore del bene rispetto al debito, il vantaggio del più proficuo e celere realizzo della garanzia, si estenderebbe necessariamente al debitore e ai suoi restanti creditori. Insom­ma, la giustificazione argomentativa nasconde un diallelo: è proprio la limitazione della responsabilità al solo bene “destinato” la causa che circoscrive i vantaggi unicamente a favore del creditore marciano e che non consente di estenderli al debitore e agli altri creditori; questi vantaggi, ricadenti sul solo creditore appunto in conseguenza della asserita limitazione di responsabilità al bene destinato, non possono perciò rappresentare, nello stesso tempo, la ragione giustificativa della stessa limitazione di responsabilità di cui sono l’ef­fetto.

Quanto, poi, alla «salvaguardia delle ragioni della massa degli altri creditori del debitore», vista non sotto l’aspetto della «svalutata» par condicio creditorum ma «dell’interesse di ordine generale a bilanciare la soddisfazione preferenziale di taluni creditori con la preservazione della possibilità di realizzare le ragioni dei creditori ordinari» [144], è argomento che prova troppo: evidentemente, per tale aspetto, ogni garanzia reale tipica finisce per incidere allo stesso modo sulle posizioni degli altri creditori ordinari, ma non per questo si è mai affermata la limitazione della responsabilità debitoria alla garanzia medesima [145].


9. L'ammissibilità dell'esdebitazione solo come conseguenza di una pattuizione espressa

Vero è che, in una logica di ricostruzione complessiva di tutte le nuove fattispecie di cautela marciana, sembrerebbe più lineare una soluzione negativa circa l’effetto di esdebitazione nella realizzazione del patto previsto nell’art. 48-bis [146]. Nella prospettiva del confronto fra le regole dei nuovi marciani, infatti, sembra emergere con maggior forza la carenza di una fonte legale utile a giustificare, nell’art. 48-bis, la limitazione di responsabilità ex art. 2740 comma 2 c.c. È ben vero che in astratto è debole e formalistico l’argomento a contrario che, attraverso il confronto dell’art. 48-bis con l’art. 120-quinquiesdecies e con le disposizioni della legge 2 aprile 2015 n. 44 sul prestito vitalizio ipotecario, si potrebbe costruire sulla base del brocardo ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit [147], specie se la voluntas del legislatore non è sorretta da buone «capacità e preparazione» [148]: la natura «consumeristica» delle disposizioni di raffronto, come giustamente si nota, dovrebbe impedire di invocarle come supporto di una soluzione negatrice dell’effetto di esdebitazione [149]; epperò anche come fonte legittimante un’interpretazione dell’art. 48-bis conforme alle altre disposizioni che prevedono l’esdebitazione, giacché altrimenti si aprirebbe forse la via, per la finalità di rendere omogeneo il trattamento degli “altri” creditori in tutti i “nuovi marciani” [150], al paradossale principio opposto dell’ubi lex voluit tacuit.

Accompagnato da altri argomenti, come quelli già passati in rassegna, e comunque controllato nella razionalità degli effetti in concreto prodotti, il richiamo alla voluntas legis perde le caratteristiche di debolezza e formalismo da cui può essere in generale connotato e, in ogni caso, dovrebbe imporre l’o­nere, a chi voglia disattenderlo, di indicare un fondamento logico-sistematico e assiologico forte, idoneo a superare quelle indicazioni testuali che sembrano orientare diversamente i risultati interpretativi. Fondamento che, invero, allo stato, non sembra che possa essere individuato e sostenuto con forza argomentativa dirimente riguardo all’affermazione dell’esdebitazione nell’attuazione della garanzia regolata dall’art. 48-bis.

Appare allora piuttosto vero che, fuori naturalmente delle situazioni di sovraindebitamento regolate da procedure di tipo concorsuale, l’esdebitazione, ove espressamente prevista, debba intendersi quale «norma eccezionale, volta a disciplinare una peculiare vicenda contrattuale, non già il comune sostrato d’una più ampia e generale fattispecie», come è confermato dal «modus operandi del legislatore, teso a disciplinare il patto marciano, con le relative peculiarità e limitazioni, entro i confini della singola disposizione in cui viene mentovato». All’interprete, pertanto, «non sarebbe consentito, in una prospettiva de iure condito, strutturare un marciano ricorrendo ad un collage delle varie disposizioni che ne riecheggiano il contenuto» [151].

In definitiva, in merito al problema dell’esdebitazione nel caso di incapienza della garanzia ex art. 48-bis, sembra perciò preferibile una soluzione negativa o che, piuttosto, ritenga ammissibile l’effetto di esdebitazione soltanto se fondato su una espressa pattuizione concernente la “liberazione” del debitore o la limitazione della responsabilità patrimoniale al cespite costituito in garanzia marciana [152]. Soluzione, quest’ultima, che appare più coerente con il sistema delle garanzie del credito rispetto a quella secondo la quale l’esdebitazione dovrebbe essere considerata un effetto soltanto naturale, e quindi non inderogabile ma escludibile da un’espressa pattuizione contraria, in analogia a quanto è previsto nell’art. 1382 comma 1 c.c. per la clausola penale [153].

La clausola penale ha la finalità di sanzionare e/o di determinare preventivamente il valore dell’inadempimento. Appare “normale” ritenere che le parti, con la clausola penale, abbiano voluto limitare la responsabilità personale e che, perciò, solo una contraria determinazione pattizia possa giustificare la richiesta di ulteriori danni. Al contrario, se è vero che la finalità dell’alienazione marciana è quella di garantire il creditore per l’eventualità dell’inadempi­mento [154], diventa allora “normale” ritenere che le parti, del resto in coerenza con la disciplina generale delle garanzie reali del credito, non abbiano voluto apporre limiti alla estensione della responsabilità patrimoniale, ma soltanto vincolare un bene determinato alla soddisfazione preferenziale del creditore per il caso dell’inadempimento del debito garantito. Di conseguenza, solo un’espressa pattuizione contraria [155], liberatoria dall’eventuale debito residuo o limitante la responsabilità al solo cespite costituito in garanzia, potrebbe rappresentare il fondamento ragionevole dell’esdebitazione in caso di attuazione del patto marciano con garanzia incapiente. La ricerca di una soluzione interpretativa in relazione di congruenza con la diversa finalità dei due istituti (patto marciano e clausola penale), dunque, sembrerebbe dover condurre alla formulazione di una regola, sul punto in esame, non già omologata ma bensì differenziata inversamente, secondo la funzione oggettiva dei diversi istituti e secondo l’intento delle parti ragionevolmente presumibile.

La clausola pattizia contemplante l’esdebitazione, operando in deroga alla regola generale meno favorevole, elimina poi in radice il problema della derogabilità in pejus di una (ipotetica) regola generale opposta, cui dovrebbe invero essere riconosciuto carattere imperativo (per la finalità “di protezione” del debitore attribuibile all’esdebitazione). Si dissolve, perciò, anche la altrimenti giusta obiezione secondo la quale l’applicazione al patto ex art. 48-bis della norma sulla clausola penale, allo scopo di far conseguire l’esdebitazione salvo patto contrario, «incappa [...] in due contrappunti: a) la regola è da supporre che debba intendersi come inderogabile quando da garante figurerà un terzo consumatore? E poi b) v’è l’inconveniente di riconoscere come derogabile in parte qua una disposizione che, per tutto il resto, ha scopertamente la foggia di una norma imperativa» [156].

Sempre all’intento delle parti, poi, occorre fare riferimento per determinare, beninteso nel solo caso del marciano previsto dall’art. 48-bis, il punto di incidenza dell’effetto di esdebitazione eventualmente concordato, cioè la responsabilità patrimoniale ovvero l’obbligazione tout court. Nel primo caso, l’effetto sarebbe quello della semplice inesigibilità della prestazione; nel secondo, quello della radicale estinzione dell’obbligazione. Dovrebbe discendere da quanto detto sinora che, quest’ultimo effetto, si dovrebbe verificare solo in presenza di un accordo espresso che sia univocamente diretto a estinguere l’obbligazione anche nel caso di attuazione del marciano con garanzia incapiente. In mancanza di univocità in tal senso, e quindi di fronte a clausole che prevedano genericamente l’esdebitazione, l’effetto dovrebbe essere quello della semplice inesigibilità della prestazione residua. Una pattuizione solo genericamente “esdebitatoria” agirebbe, infatti, non con effetto liberatorio dall’e­ventuale debito residuo ma come limitazione della responsabilità patrimoniale al bene “destinato” [157], in perfetta coerenza con la funzione dell’alienazione commissoria, che è funzione di garanzia e non di rinuncia al credito o di remissione del debito.

In virtù della clausola di mera esdebitazione, la responsabilità patrimoniale dovrebbe ritenersi “normalmente” circoscritta al bene determinato alienato in garanzia. Di conseguenza, l’adempimento del debito residuo, nel caso di attua­zione del marciano con garanzia incapiente, non sarebbe evidentemente esigibile dal creditore. L’eventuale pagamento spontaneo, tuttavia, non potrebbe essere oggetto di ripetizione dell’indebito. Nella permanenza del debito, infatti, il pagamento costituirebbe, in senso proprio, l’atto di adempimento dovuto e, perciò, sarebbe irripetibile, similmente a quanto accade per il pagamento del debito prescritto [158].


NOTE

[1] V. A. Iuliani, Il diritto privato tra crisi economica ed “economia del debito”: dinamiche della giustizia e autonomia privata, in Riv. crit. dir. priv., 2017, 341 ss., ove riferimenti. Sul mutamento che interessa il ruolo dell’obbligazione nella dinamica della circolazione della ricchezza, in un mercato dei beni correlato al debito e non più al reddito, v. R. Di Raimo, Appunti sulla circolazione con scopo di garanzia nel diritto attuale, in Riv. dir. banc., 2018, spec. 6 s., e S. Delle Monache, Sovraindebitamento del “debitore civile” e riforma del diritto della crisi d’impresa, spec. 4 ss. (in www.giustiziacivile.com – n. 2/2019).

[2] V. U. Mattei, Contro riforme, Torino, 2013; A. Iuliani, Il prestito vitalizio ipotecario nel nuovo «sistema» delle garanzie reali, in N. leggi civ. comm., 2016, 717 ss., spec. 731 ss., ove altri riferimenti di carattere generale.

[3] Riferimenti in F. Fiorentini, Il pegno, in A. Gambaro e U. Morello, Trattato dei diritti reali. Vol. V. Diritti reali di garanzia, Milano, 2014, 5 ss.

[4] Per quanto concerne i principi e le regole “culturali”, che dovrebbero presiedere alla uniformazione del sistema delle garanzie nei Paesi europei, la cautela marciana costituisce lo strumento di armonizzazione e semplificazione delle modalità di attuazione delle garanzie (mobiliari): Draft of a Common Frame of Reference, IX-5: 101: Principi generali e IX.-7: 105: Accordo precedente all’esigibilità della garanzia sull’appropriazione dei beni gravati (G. Ajani e Al., DCFR Translation Project, English-Italian, in http://ec.europa.eu/justice/
contract/files/european-private-law_it.pdf). Riferimenti in A. Veneziano, voce Garanzie del credito (diritto privato europeo), in Dig. – Disc. priv., 2014, 274 ss.

[5] Sulle origini della lex commissoria e del patto marciano, v. O. Toro, L’arricchimento del creditore ai danni del debitore: riflessioni sul patto Marciano e sul divieto del patto commissorio, in Rev. int. droit ant., 2014, 253 ss., ove indicazioni alla dottrina romanistica.

Riflessioni e riferimenti, sulle forme di autotutela del credito, in M. Astone, Inadempimento del consumatore e autotutela del finanziatore, in Eur. dir. priv., 2017, 741 ss. La tendenza a “degiurisdizionalizzare” a favore dell’autonomia privata è presente in molti settore dell’ordinamento. Al riguardo, v. F.P. Luiso, La negoziazione assistita, in Nuove leggi civ. comm., 2015, 649 ss.; e A. Zoppini, L’effettività in-vece del processo, 1 ss. (relazione disponibile on line sul sito dello stesso A.). V. pure M. Confortini, Autonomia privata e giurisdizione, in Jus civile, 2018, 413 ss., nella prospettiva della definizione degli ambiti propri del­l’autonomia privata e della giurisdizione, in un’epoca nella quale, nota l’A., entrambi questi “poteri” tendono ad espandersi, l’uno invadendo la sfera dell’altro.

Sull’opportunità di superare il divieto commissorio – interpretato oggi «come soluzione ordinamentale recessiva, nell’ottica del tasso di competitività sul mercato internazionale delle regole» (così N.A. Vecchio, Il divieto di patto commissorio e la causa delle alienazioni, in Contr., 2016, 432) –, v. già G. Bongiorno, Profili sistematici e prospettive delle esecuzione forzata in autotutela, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, 481. Le posizioni critiche in merito al divieto commissorio e, soprattutto, alla tendenza interpretativa volta ad ampliarne i confini, si moltiplicano specie a partire dagli ‘90 del secolo scorso: v. ad es. F. Anelli, L’alienazione in funzione di garanzia, Milano, 1996, 8; A. Candian, Le garanzie mobiliari. Modelli e problemi nella prospettiva europea, Milano, 2001, 306 ss.; U. Breccia, in G. Alpa, U. Breccia, A. Liserre, Causa, oggetto, forma del contratto, in Trattato dir. priv. diretto da M. Bessone, Torino, 2002, 282 s.; R. Caterina, Paternalismo e antipaternalismo nel diritto privato, in Riv. dir. civ., 2005, II, 773, 791; F. Macario, Il divieto del patto commissorio e la cessione dei crediti in garanzia, in Diritto civile, diretto da N. Lipari e P. Rescigno, coord. da A. Zoppini, vol. IV – t. II, Attuazione e tutela dei diritti. L’attuazione dei diritti, Milano, 2009, 211; E. Navarretta, in E. Navarretta, A. Orestano (a cura di), Dei contratti in generale, I, Artt. 1321-1349, in Comm. cod. civ. E. Gabrielli, Torino, 2011, 689; S. Pagliantini, I misteri del patto commissorio, le precomprensioni degli interpreti e il diritto europeo della dir. 2014/17/UE, in Nuove leggi civ. comm., 2015, 183; A. Chianale, Qualche pensiero sulle recenti vicende del patto marciano, in Riv. not., 2016, 752.

[6] Contribuendo, altresì, a decongestionare il funzionamento della macchina giudiziaria. Sugli effetti economici causati dall’inefficienza del sistema giudiziario, v. V. Confortini, Autonomia privata e realizzazione del credito garantito, in Eur. dir. priv., 2018, spec. 1050 ss.

[7] È diffusa, nel nostro Paese, l’insoddisfazione circa l’assetto normativo delle garanzie reali, che è prevalentemente derivato dal codice civile del ’42 – F. Macario, Circolazione e cessione dei diritti in funzione di garanzia, in Studi in onore di G. Cian, Padova, 2010, 1522 s., osserva come «nella vicenda comunemente definita in termini di “commercializzazione” del diritto civile, le esigenze sistematiche e le concezioni di stampo prettamente “civilistico” siano prevalse, al momento della codificazione del 1942, tanto nella disciplina dell’obbligazione (in generale), quanto nella materia di garanzia del credito» – e che sconta, per di più, le gravi inefficienze del sistema giudiziario italiano (v. i dati riferiti da A. Debernardi, L’art. 48 bis del TUB ed il c.d. “patto marciano” nei contratti di credito immobiliare, § 1, in http://www.
dirittobancario.it). Di recente, l’Associazione dei civilisti italiani ha costituito un “gruppo di lavoro”, cui è rimesso lo studio utile a reimpostare su basi più moderne «la concezione funzionalistica del “rapporto di responsabilità”» (ne dà notizia F. Macario, Appunti per un progetto di riforma delle garanzie di credito, in http://questionegiustizia.it). Le inadeguatezze della disciplina codicistica delle garanzie reali sono segnalate, ad es., da E. Gabrielli, Il pegno «anomalo», Padova, 1990, 94 ss. (e in varie opere successive); G. Tucci, voce Garanzia, in Dig. disc. priv. – Sez. civ., vol. VIII, Torino, 1992, 579 ss.; F. Anelli, L’alienazione, cit., 2 s.; A. Sassi, Garanzia del credito e tipologie commissorie, Napoli, 1999, 82 ss.; P. Piscitello, Le garanzie bancarie flottanti, Torino, 2000, 1 ss.; F. Fiorentini, Garanzie reali atipiche, in Riv. dir. civ., 2000, II, 255 ss.; più di recente e per ulteriori indicazioni, v. M. Astone, Inadempimento del consumatore, cit., 739 ss. Per una considerazione meno “allineata” v. però F. Bosetti, La cessione del credito, in Id. (cur.), Le modificazioni soggettive del rapporto obbligatorio, Torino, 2010, 19 in nota.

[8] In vista dell’obiettivo di «consolidare ulteriormente, a vantaggio delle generazioni future, la base su cui poggia il settore bancario dell’UE, dotando le banche della solidità che permetterà loro di svolgere il ruolo indispensabile di finanziatrici dell’economia e sostenitrici della crescita» (Comunicato stampa del 14 marzo 2018), la Commissione ha pubblicato una proposta di direttiva con lo scopo di introdurre, tra l’altro, meccanismi di esecuzione stragiudiziale accelerata dei prestiti coperti da garanzia reale (sulla proposta, v. V. Confortini, Autonomia privata, cit., 1039 ss.).

[9] Come in Francia, dove il legislatore ha riordinato le garanzie del credito, nel 2006, attraverso una riforma organica del Code civil, cui è aggiunto il nuovo Libro IV, «Des sûretés». Il divieto commissorio permane solo per l’immobile ove il debitore risiede e il patto marciano è elevato a strumento di utilizzo generale (la sua validità è riconosciuta nell’art. 2348, per il pegno, e negli artt. 2459 e 2450, per l’ipoteca). Le parti possono perciò alienare immediatamente in funzione di garanzia (nella forma della proprietà-fiducie o della proprietà riservata a titolo di garanzia), ovvero concordare il trasferimento della proprietà del bene conferito in garanzia per il caso di inadempimento del debitore, purché il valore del cespite venga determinato sulla base di criteri oggettivi (quotazione di mercato, stima concordata in via amichevole o giudiziale), affinché l’eventuale eccedenza di valore sia restituita al debitore o agli altri creditori. Critico sulla riforma francese, in quanto fondata sul meccanismo marciano puro, D. Russo, Oltre il patto marciano, Napoli, 2017, 183 ss. e ivi nota 400.

[10] La “tecnica” determinativa della fattispecie è prevalentemente quella, ormai abbastanza ricorrente, che individua un insieme di operazioni contrattuali in relazione all’elemento comune della funzione economica svolta. V., in generale, E. Gabrielli, I contratti in generale2, I, in Trattato dei contratti P. Rescigno e E. Gabrielli, Torino, 2006, 75 ss.; e, con specifico riferimento ai nuovi marciani, C. Croci, Il nuovo finanziamento alle imprese garantito da trasferimento immobiliare sospensivamente condizionato, in St. iuris, 2016, 1453; D. Mari, Il patto marciano: un’analisi critica del nuovo art. 48-bis TUB, in Riv. not., 2016, 1114 s.; A. Iuliani, Il prestito vitalizio ipotecario, cit., 727; E. Gabrielli, Garanzie finanziarie, contratti d’im­presa e operazione economica, in Studi in onore di Giorgio Cian, I, Padova, 2010, 1032.

[11] Regola che, peraltro, in questo suo contenuto essenziale, è comunemente ritenuta un’e­spressione diretta di vari principi immanenti al sistema giuridico. V., ad es., P. Schlesinger, Leasing: la risoluzione non investe i canoni già pagati, in Corr. giur., 1986, 858; F. Anelli, L’alienazione, cit., 232 ss., 447 ss.; M. Bussani, Il problema del patto commissorio: studio di diritto comparato, Torino, 2000, 269 s.; N. CiprianiPatto commissorio e patto marcianoProporzionalità e legittimità delle garanzie, Napoli, 2000, 141; O.T. Scozzafava, Note in tema di alienazione a scopo di garanzia, in Contr. e impr., 2006, 20 s.; F. Macario, Circolazione e cessione, cit., 1560 s.A.A. Dolmetta, La ricerca del «marciano utile», in Riv. dir. civ., 2017, 815 s.

[12] Nemmeno cinque, ma invero sei, se si condividono le riflessioni di S. Pagliantini, Sul­l’art. 48-bis T.U.B.: il “pasticcio” di un marciano bancario quale meccanismo surrogatorio (versione aggiornata dello scritto L’art. 2744 e le alchimie del legislatore: per una prima lettura (ragionata) dell’art. 48 bis T.U.B., in N. leggi civ. comm., 2016, 963 ss.), in AA.VV., I nuovi marciani, Torino, 2017, 42 ss., 49 (v. pure L. Vizzoni, Spunti in tema di qualificazione dei contraenti e posizione del terzo garante nel nuovo scenario delle garanzie del credito, in Banca borsa tit. cred., 2018, I, 456 ss.). Dovrà pure aggiungersi, con rilevanti problemi di coordinamento con la soluzione marciana dell’art. 48-bis (per un primo raffronto “ipotetico”, v. C.Angelelli, Note di confronto tra la nuova “escussione extragiudiziale delle garanzie” di cui alla proposta di direttiva del 13 marzo 2018 ed il nuovo art. 48 bis T.U.B., in www.dirittobancario.it, 6 ss.), un altro strumento “armonizzato” di «escussione extragiudiziale accelerata delle garanzie» per i prestiti erogati alle imprese. Lo prevede la proposta di direttiva indicata retro, nota 8, al Titolo V – “Accelerated Extrajudicial Collateral Enforcement – AECE”.

[13] D.lgs. 21 maggio 2004, n. 170, di recepimento della direttiva 2002/47/CE del 6 giugno 2002, e le modifiche, che ne espandono l’ambito di applicazione, introdotte con il d.lgs. 24 marzo 2011, n. 48, emanato in attuazione della direttiva 2009/44/CE. Ogni riferimento, per il profilo qui rilevante, in E. Gabrielli (cur.), I contratti di garanzia finanziaria, in Tratt. dir. civ. comm. Cicu e Messineo, Milano, 2018, 176 ss.

[14] Art. 1 del d.l. 3 maggio 2016, n. 59. Sul pegno non possessorio, da ultimo M. Campobasso, Il pegno non possessorio. «Pegno», ma non troppo, in N. leggi civ. comm., 2018, 703 ss.

[15] L. 2 aprile 2015, n. 44, di modifica all’art. 11-quaterdecies del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla l. 2 dicembre 2005, n. 248. Sul rinnovato istituto, tra i commenti più recenti, v. M. Robles, Problema e sistema nel prestito vitalizio ipotecario, in Riv. dir. civ., 2018, 1619 ss.

[16] L’art. 120-quinquiesdecies è aggiunto nel T.U.B. con il d.lgs. 21 aprile 2016, n. 72, cosiddetto «Decreto mutui», di attuazione della Direttiva 2014/17/UE del 4 febbraio 2014 (Mortgage Credit Directive – MCD). Sul nuovo istituto, v. F. Piraino, L’inadempimento del contratto di credito immobiliare ai consumatori e il patto marciano, in AA.VV., I nuovi marciani, cit., 149 ss.

[17] La letteratura sull’art. 48-bis è indicata nelle note del presente lavoro. Adde: AA.VV.Nuove misure per velocizzare il recupero dei crediti: una prima analisi del D.L. 59/2016, nelle Note di stabilità finanziaria e vigilanza della Banca d’Italia, n. 4 – agosto 2016; E. Brodi, Brevi note sull’utilizzabilità dell’art. 48-bis t.u.b. per la gestione delle sofferenze bancarie, in http://www.ilcaso.it; M. Buongiorno e E. Notarangelo, L’articolo 48 bis T.U.B. Prime note a margine dell’introduzione del patto marciano nel nostro ordinamento, in www.diritto
bancario.it; 
G. Falcone, Una nuova “particolare operazione di credito”: il “finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di beni immobile sospensivamente condizionato”, in Dir. banca e mercato finanziario, 2016, 605; G. Iaccarino, Il rimedio del patto marciano nel diritto positivo, in Immobili e proprietà, 2017, 103; G. Orlando, Alienazione attuativa della garanzia del finanziamento ex art. 48 bis T.U.B. e ipoteca, in Giur. it., 2017, 1732.

[18] Così M. Trimarchi, Complessità e integrazione delle fonti nel diritto privato in trasformazione, in Jus civ., 2017, 393. V. anche G. Doria, La “dissolvenza” del codice civile e il ruolo della legge tra giustizia giuridica e incertezza applicativa, in Riv. dir. civ., 2019, spec. 69 ss., ove ampi riferimenti.

[19] V. V. Di Cataldo, A che cosa serve il diritto, Bologna, 2017, 102.

[20] Si potrebbe, invero, anche richiamare l’«intarsio di statalismo giuridico, di marxismo di buon cuore, di dogmatica nazionale-italiana, di solidarismo di superficie» (così, più in generale, con riferimento alla svolta degli anni novanta «a favore dell’autonomia contrattuale e forse anche a favore del mercato», R. Sacco e G. De Nova, Il contratto4, Torino, 2016, 35).

[21] Espressioni di S. Pagliantini, Sull’art. 48-bis T.U.B., cit., 104.

[22] V. P. Piscitello, Corruptissima re publica plurimae leges: le garanzie sui beni dell’im­presa tra evoluzione e prospettive future, in Riv. dir. comm., 2018, II, 219 s., 222 ss.

[23] Tanto che, forse, delle occasioni perse riguardo a riforme più organiche, neanche è il caso di rammaricarsene troppo, se è vero che genera «perplessità e timori» l’eventualità «di una qualunque novella legislativa di tratto civile [...] in ragione della (più e più volte) sperimentata “incapacità tecnico-normativa” del legislatore» (così A.A. Dolmetta, La ricerca, cit., 813 s.). Le notazioni che stigmatizzano la scarsa qualità tecnico-linguistica delle leggi introduttive dei nuovi marciani si possono leggere, ad es., in E. Gabrielli, Una garanzia reale senza possesso, in Giur. it., 2017, 1715; R. Lenzi, Il prestito vitalizio ipotecario, in Giur. it., 2017, 1736 ss.; Id., Considerazioni generali, in R. Lenzi e M. Tatarano, Recenti riforme in tema di garanzie del credito bancarioStudio del Consiglio nazionale del notariato, in http://www.notariato.it, 2 s.; A. Chianale, Qualche pensiero sulle recenti vicende del patto marciano, cit., 756; Id., L’inutilità dell’ipoteca nel “prestito vecchietti”, in Notariato, 2016, 358 (in nota); A. Bulgarelli, La disciplina del prestito vitalizio ipotecario, in www.ilcaso.it, 2015, 2. Non è certo una novità, tuttavia, che la legislazione in materia economica resti particolarmente interessata dal fenomeno della scadente qualità dei testi legislativi. In proposito, v. C. Ibba, Liberalizzazioni, efficienza del sistema economico e qualità della produzione legislativa, in Giur. comm., 2013, I, spec. 245 ss., ove gli opportuni riferimenti.

[24] Prescrizioni e divieti che investono, più o meno cumulativamente nei vari casi, la qualità dei contraenti, il comportamento precontrattuale, la forma del contratto, la natura del finanziamento, la modalità condizionale del trasferimento in garanzia, le caratteristiche o il concreto utilizzo del cespite alienato in garanzia, la gravità dell’inadempimento, la procedura di stima del valore del bene, le forme di attuazione della autotutela esecutiva (trasferimento condizionale variamente procedimentalizzato, mandato in rem propriam), le regole di efficacia reale dell’alienazione sottoposta alla “condizione” di inadempimento, la stessa esdebitazione nel caso di garanzia incapiente. La varietà delle formule contrattuali, e il carattere farraginoso che spesso le contraddistingue, giustificano timori sia riguardo a rinnovate interpretazioni estensive del divieto commissorio, suscettibili di «ritrovare nuove possibili vie di espressione nella congerie dei patti marciani registrabili in esito alla ipertrofia legislativa» [R. Franco, Alienazione in funzione di garanzia e patto marciano: recenti conquiste e incerti automatismi, una riflessione senza (troppi) entusiasmi, in Lib. oss. dir., 2017, 3 (nota 11)]; sia riguardo alla eccessiva dilatazione dei «poteri dell’interprete: almeno di quello consapevole […] che il rapporto speciale/generale, oltre ad essere di esclusione, solitamente può pure mostrarsi di reciproca combinazione» (S. Pagliantini, Sull’art. 48-bis T.U.B., cit., 104). E questo accade in una materia, come quella delle relazioni economiche, dove la peggiore delle soluzioni immaginabili, molto probabilmente, è proprio l’incertezza delle soluzioni e, quindi, l’eventualità di un giudice potenzialmente “coartefice” della regola contrattuale.

Fuori dal coro delle critiche, la voce di chi attribuisce un valore positivo alla «problematicità delle nuove discipline», ritenendole un «vanto» per il nostro legislatore, che ha così mostrato una «maggiore sensibilità» rispetto a quello francese, fermatosi invece a «più superficiali soluzioni… fondate essenzialmente sul meccanismo marciano» puro (così D. Russo, Oltre il patto marciano, cit., 183 (nota 400)). L’A. valuta positivamente la “complessità” delle nuove regole perché indicano la via del superamento del divieto commissorio attraverso un meccanismo marciano opportunamente «arricchito» di tutele (non limitate alla mera correzione delle possibili iniquità economiche ma) dirette a prevenire ogni possibile abuso cui può prestarsi il patto commissorio (ibidem, 183 ss.). In tale prospettiva, la regola “post-marciana” dovrebbe riassumere le molteplici condizioni di liceità delle forme atipiche di autotutela esecutiva del credito e, perciò, segnare il superamento, insieme, e della tradizionale “concettualizzazione” dottrinale/giurisprudenziale del patto marciano e della stessa prospettiva codicistica fondata sul divieto commissorio.

[25] Con varie sfumature, in posizione di contrarietà o di significative perplessità riguardo alla liceità del marciano, v. E. Carbone, Debitoris suffocatio e patto commissorio, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2012, 1087 ss.; L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale. Disposizioni generali, 2a ed, cit., 316 s.; F. Gigliotti, Patto commissorio autonomo e libertà dei contraenti, Napoli, 1997, 130 ss.; G.F. Minniti, Patto marciano e irragionevolezza del disporre in funzione di garanzia, in Riv. dir. comm., 1997, I, 29, 58 ss.; A. Morace Pinelli, Trasferimento a scopo di garanzia da parte del terzo e divieto del patto commissorio, in Giur. it., 1994, I, 1, c. 70; L. Ragazzini, Vendita con patto di riscatto, patto commissorio, patto marciano, in Riv. not., 1991, I, 136 ss.; V. Mariconda, Trasferimenti commissori e principio di causalità, in Foro it., 1989, I, c. 1437; G. Palermo, Funzione illecita e autonomia privata, Milano, 1970, 47 s.

[26] Nella più recente esperienza giuridica, al marciano è generalmente attribuita un’operati­vità sanante altamente pervasiva nell’area delle stipulazioni commissorie, in sostanza coincidente con la stessa area del patto commissorio. Per la dottrina v., ad es., M. Iacuaniello Bruggi, voce Patto commissorio, cit., 6 s.; F. Anelli, L’alienazione, cit., 429 ss.; A. Sassi,Garanzia, cit., 287 ss.; N. Cipriani, Patto commissorio, cit., 140 ss.; A. Reali, La fiducia a scopo di garanzia, la vendita con patto di riscatto e il divieto del patto commissorio, in A. Gambaro, U. Morello, Trattato dei diritti reali, cit., spec. 552 ss.; C. Botta, Gli incerti confini applicativi del divieto del patto commissorio e il sempre più diffuso favore per la pattuizione marciana, in N. giur. civ. comm., 2016, I, 911 ss.; N.A. Vecchio, Il divieto, cit., 2016, 431 ss. e qui ulteriori riferimenti). Per la giurisprudenza, la più compiuta espressione di questo orientamento è in Cass. 28 gennaio 2015, n. 1625 (ad es., in Corr. giur., 2016, 486 ss., con nota di F. Scardino, Il contratto di sale and lease back tra causa in concreto e cautela marciana), le cui argomentazioni sono seguite da Cass. 21 gennaio 2016, n. 1075. Non mancano, tuttavia, anche nella giurisprudenza più recente, interpretazioni del divieto commissorio che non sembrano precluderne le espansioni verso le fattispecie di patto marciano. V. in proposito S. Pagliantini, I misteri, cit., 181 ss., il quale rileva, in alcune «rappresentative» sentenze (si tratta di Cass. 12 gennaio 2009, n. 437, Cass. 5 marzo 2010, n. 5426 e Cass. 10 marzo 2011, n. 5740), l’indicazione secondo la quale «la convenzione marciana, per quanto non sia assistita da una presunzione di illiceità, comunque è indice qualificato di una debitoris suffocatio [...] la clausola di stima scaccia il pericolo di abuso sinallagmatico ma è inefficiente rispetto all’illi­bertà di una vicenda traslativa irreversibile, rilevante funzionalmente ex art. 1344 c.c.» (l’os­servazione è ripresa e sviluppata anche in Id., Sull’art. 48-bis T.U.B., cit., 52; contro questa lettura, v. però C. De Menech, Il patto marciano e gli incerti confini del divieto di patto commissorio, in Contr., 2015, 823 ss., 827 e 841).

[27] La permanenza del divieto commissorio sancito negli artt. 2744 e 1963 c.c., espressamente e ripetutamente confermata in alcune delle leggi introduttive dei nuovi marciani, è definita «fattore di ambiguità» e «aberrazione» da D. Russo, Oltre il patto marciano, cit., 187 e 189.

[28] In merito all’effetto sistemico dell’introduzione dei nuovi marciani, una valutazione generale opposta è in D. Russo, Oltre il patto marciano, spec. 164 ss. Per i diversi orientamenti, v. S. Pagliantini, Sull’art. 48-bis T.U.B., cit., 81 ss. (e Id., Spigolando intorno all’art. 48 bis T.U.B.: specialità (di trattamento) e principio di proporzionalità delle garanzie?, in Giur. it., 2017, 1723 s.; R. Lenzi, Prestito vitalizio ipotecario, cit., spec. 354 ss.; A.A. Dolmetta, La ricerca, cit., 813 ss.; A. Luminoso, Patto marciano, cit., 1414 ss.; G. D’Amico, La resistibile ascesa del patto marciano, in Eur. dir. priv., 2017, 1 ss. (e in AA.VV., I nuovi marciani, cit.); F. Piraino, Il patto marciano alla luce della disciplina del credito immobiliare ai consumatori, in Giur. it., 2017, 1751; A. Chianale, L’ipoteca3, Torino, 2017, 39; C. Abatangelo, Una nuova figura di pegno nel c.d. «decreto banche», in Oss. dir. civ. e comm., 2017, 33; G.A.M. Trimarchi, Appunti sul “finanziamento con trasferimento marciano” disciplinato dall’art. 48-bis TUB, in AA.VV, Orientamenti e questioni di diritto commerciale e fallimentare, Quad. not., n. 39, Torino, 201799 ss.; M. Saraceno, Interferenze fra la garanzia ipotecaria e l’alie­nazione in garanzia, cit.; N. Cipriani, Il patto marciano tra garanzia del credito ed esecuzione forzata, in Giur. it., 2017, 1730; S. Campolattaro, Fenomenologia del patto marciano fra tipicità e atipicità, in Riv not., 2017, cit., 598 ss.; G. Fappiano, Il patto marciano: tra tipicità e autonomia contrattuale, in Contr., 2019, spec. 94 ss.

[29] V. L. Follieri, Il patto marciano tra diritto «comune» e «speciale», in N. giur. civ. comm., 2018, 1864 ss., il quale rileva che il termine esdebitazione sia utilizzato impropriamente perché richiama un istituto del diritto concorsuale, dove l’effetto liberatorio è ottenuto «tramite lo strumento tecnico dell’inesigibilità»; mentre nei nuovi marciani «alla perdita della pro­prietà del bene immobile dato in garanzia consegue l’estinzione integrale del debito, ancorché il credito non sia stato interamente soddisfatto» (corsivi aggiunti). Per marcare la diversità dal­l’esdebitazione delle procedure concorsuali, l’A. propone di indicare l’effetto estintivo dell’ob­bligazione determinato dall’attuazione del trasferimento marciano con la formula «purgazione del debito». Sull’uso del termine esdebitazione esprime riserve anche F. Piraino, L’ina­dempi­mento del contratto, cit., 205, non verificandosi la liberazione per effetto della inesigibilità ma come conseguenza della limitazione della responsabilità al solo bene destinato alla funzione di garanzia (condivide l’osservazione D. Russo, Oltre il patto marciano, cit., 74). Le precisazioni di ordine sostanziale sul concetto di inesigibilità della prestazione e su quello della estinzione dell’obbligazione sono condivisibili. Le precisazioni di ordine terminologico si scontrano però con l’uso ormai invalso del termine esdebitazione, non più limitato alle sole procedure concorsuali. Continuo perciò ad utilizzare il termine, con riserva di precisare quale tra i due effetti (inesigibilità della prestazione o estinzione dell’obbligazione) sia quello eventualmente conseguente all’attuazione del marciano ex art. 48-bis T.U.B. con garanzia incapiente.

[30] Su ciò v. S. Pagliantini, Responsabilità patrimoniale e proporzionalità: vademecum minimo per l’uso, in Eur. dir. priv., 2018, 891 ss., ove ampi riferimenti.

[31] Per quel che può valere, si deve segnalare che sono stati respinti vari emendamenti diretti ad affermare che l’attuazione del patto estingue l’obbligazione (v. le proposte di modifica da n. 2.21 a n. 2.25 al DDL n. 2362 in http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/testi/
46821testi.htm. Già prima, le Commissioni Finanze di Camera e Senato avevano pertanto approvato «alcune condizioni» che impegnavano il governo, tra l’altro, a «chiarire [...] che la restituzione o il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia o dei proventi della vendita del bene stesso determina comunque l’estinzione del debito, anche nel caso in cui il valore del bene trasferito o l’ammontare dei proventi della vendita sia inferiore all’ammontare del debito» (v. Scheda lettura n. 326 – D.L. 59/2016 – A.S. n. 2362, sub art. 2, in http://www.senato.it/
japp/bgt/showdoc/17/DOSSIER/972646/index.html).

[32] «[L]’interprete sarà il protagonista indiscusso di questa nuova stagione del diritto», è l’emblematica conclusione dell’attento studio di R. Franco, Alienazione, cit., 47. In generale, per opposte valutazioni sul carattere innovativo del marciano bancario di cui all’art. 48-bis v., ad es., G. Brianda, Le prospettive del divieto del patto commissorio tra normativa comunitaria, lex mercatoria e tradizione, in Contr. impr., 2016, 828; N. Cipriani, Il patto marciano, cit., 1730; D. Giglio, Il divieto del patto commissorio ed il problema delle alienazioni in funzione della garanzia, alla luce delle novità introdotte dal d.l. 3 maggio 2016 n. 59, in Riv. dir. econ. trasp. amb., 2016, 171 ss.; D. Russo, Oltre il patto marciano, cit., passim (ad es., 55). Retro, nota 28, altri riferimenti.

[33] S. Pagliantini, Sull’art. 48-bis T.U.B., cit., 92 ss.

[34] Secondo l’impostazione generale della recente monografia, di D. Russo, Oltre il patto marciano, cit., spec. 183 ss., ove i richiami alle autorevoli dottrine seguite e al dibattito che investe, non solo l’“eterno problema” del rapporto fra il giudice e la legge (così, A. di Majo, Recensione del libro di N. Lipari, Il diritto civile tra legge e giudizio, Milano, 2017, in Eur. dir. priv., 2017, 1152), ma molti altri nodi cruciali, ad esso connessi, della filosofia del diritto (il “futuro del diritto”, per riprendere la terminologia di F. Viola, Lectio magistralis di commiato, reperibile in https://www.academia.edu), della sociologia del diritto (le aspettative di prevedibilità del “diritto del futuro”, dunque la funzione del diritto di orientamento dell’azione sociale), della teoria generale del diritto (la funzione ordinante dei concetti e delle categorie giuridiche, la tecnica legislativa). In proposito, anche per una “messa a punto” delle idee di fondo e per la ricostruzione del dibattito, si possono vedere prospettive meno “sovvertitrici” (A. Di Majo, op. loc. ult. cit.), e pur egualmente attente alle linee evolutive dell’esperienza giuridica moderna, nelle riflessioni, ad es., di F. Denozza, In viaggio verso un mondo re-incantato? Il crepuscolo della razionalità formale nel diritto neoliberale, in Oss. dir. civ. comm., 2016, 419 ss.; G. D’Amico, Problemi (e limiti) dell’applicazione diretta dei principi costituzionali nei rapporti di diritto privato (in particolare nei rapporti contrattuali), in Giust. civ., 2016, 443 ss.; C. Castronovo, Diritto privato e realtà sociale. Sui rapporti tra legge e giurisdizione a proposito di giustizia, in Eur. dir. priv., 2017, 765 ss.; M. Libertini, Ancora a proposito di principi e clausole generali, a partire dall’esperienza del diritto commerciale, in Orizz. dir. comm., 2018, 14 ss., e ivi i necessari riferimenti di letteratura (cui adde i contributi più recenti di Ph. Fabbio, Il dibattito italiano su principi e clausole generali e l’ideale della certezza del diritto, in Oss. dir. civ. comm., 2018, 587 ss.; F. Belvisi, Caso e certezza del diritto nell’attività giudiziale, in Mat. st. cult. giur., 2018, 491 ss.; U. Morera, Giudicare i rapporti economici. Profili cognitivi, in Analisi giur. econ., 2018, 523 ss.; e, per l’incontro fra le nuove tecnologie e il problema della “calcolabilità” del diritto, E. Rulli, Giustizia predittiva, intelligenza artificiale e modelli probabilistici. Chi ha paura degli algoritmi?ibidem, 533 ss.). Per le connessioni con il principio di effettività, inteso come “diritto ad un rimedio effettivo”, v. ancora M. Libertini, Le nuove declinazioni del principio di effettività, in Eur. dir. priv., 2018, spec. 1088 ss., ove ulteriori riferimenti.

[35] A parte gli artt. 2744 e 1963 c.c., sul divieto del patto commissorio, la ricognizione delle disposizioni codicistiche che si ispirano al meccanismo marciano è stata varie volte compiuta (per la dottrina v. per tutti G. D’Amico, La resistibile ascesa, cit., 3 ss.; per la giurisprudenza v. soprattutto la motivazione (§ 2.5) di Cass. 28 gennaio 2015, n. 1625, cit.). Si richiamano abitualmente in proposito: (a) l’art. 1851 c.c., anche se l’assimilazione della fattispecie del pegno irregolare al patto marciano (in tal senso, ad es., F. Martorano, Cauzione e pegno irregolare, in Riv. dir. comm., 1960, I, 119 s.; A. Luminoso, La vendita con riscatto. Artt. 1500-1509, in Il codice civile. Commentario dir. da Schlesinger, Milano, 1987, 244; in giurisprudenza v. Cass. 18 marzo 2015 n. 5440 e, in qualche modo, anche Cass. 9 maggio 2013 n. 10986), incontra diversi ostacoli perché l’effetto traslativo nella costituzione del pegno irregolare è immediato e consegue ad un’autonoma fattispecie acquisitiva (non condizionalmente subordinata all’ina­dempimento ma) dipendente dalla natura dei beni dati in pegno (cfr. ad es. M. Fragali, Del mutuo, in Comm. cod. civ. Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1966, 236 s.) e allo stesso intento delle parti diretto a consentire al creditore il godimento e la disponibilità dei beni dati in pegno (C.M. Bianca, Il divieto del patto commissorio, Milano, 1957, 177); (b) l’art. 1798 c.c., che consente di assegnare il bene al creditore pignoratizio «fino alla concorrenza del debito, secondo la stima da farsi con perizia o secondo il prezzo corrente, se la cosa ha un prezzo di mercato»; (c) l’art. 2803 c.c. che, nel pegno a garanzia di un credito scaduto, abilita il creditore che abbia riscosso il credito a «ritenere del danaro ricevuto quanto basta per il soddisfacimento delle sue ragioni e restituire il residuo al costituente»; (d) l’art. 2804 c.c., in virtù del quale il creditore può ottenere che «gli sia assegnato in pagamento il credito ricevuto in pegno, fino a concorrenza del suo credito»; (e) gli artt. 1977 ss. c.c., sulla cessione dei beni ai creditori, ove è stabilito che i creditori, incaricati dal debitore di liquidare le sue attività al fine di ripartirne il ricavato a soddisfazione dei crediti, debbano restituire al debitore «il residuo» ai sensi dell’art. 1982 c.c.; (f) il deposito irregolare, il riporto finanziario e il prestito titoli con funzione di garanzia, figure nella quali si ritiene operante un analogo meccanismo di perequazione del valore del trasferimento al debito garantito. Un’altra soluzione marciana, solitamente negletta, è segnalata da M. Iacuaniello Bruggi, voce Patto commissorio, in Enc. Giur., XXII, Roma, 1990, 12 s.

[36] Proprio con riferimento all’art. 48-bis T.U.B., richiama ripetutamente l’idea del microsistema, G.A.M. Trimarchi, Appunti, 41 e passim (v. p. 43, 44, 46).

[37] Già con l’introduzione della citata normativa sui contratti di garanzia finanziaria, F. Macario, I contratti di garanzia finanziaria, in Lamandini-Motti (cur.), Scambi su merci e derivati su commodities, Milano, 2006, 768, pone «il tema del raccordo fra la disciplina del settore in questione… e quella del contratto nonché dell’obbligazione “in generale”», rilevando la presenza di «quesiti che, in una certa misura, potrebbero rievocare il tradizionale dibattito sulla separazione fra diritto civile e diritto commerciale». E. Gabrielli, Contratti di garanzia finanziaria, stabilità del mercato e procedure concorsuali, in Riv. dir. priv., 2005, 509, nota effetti significativi nella disciplina delle garanzie finanziaria, tali da richiedere l’apertura di «un nuovo capitolo nella storia degli istituti» e tali da rendere «importante che i suoi profili vengano analizzati e ricostruiti, anzitutto sul piano sistematico secondo il metodo proprio del civilista». Al contrario, G.B. Portale, Il diritto commerciale italiano alle soglie del XXI secolo, in Riv. soc., 2008, 1 ss., 12 s., proprio assumendo ad esempio le garanzie finanziarie, scorge «l’intro­duzione nel diritto nazionale di nuove figure, difficilmente riconducibili al diritto civile» e ravvisa più in generale, anche per effetto della pressione del diritto comunitario, «una forte erosione dei principi generali del codice civile in materia di contratto, principi che sempre più spesso risultano inapplicabili là dove è presente un’impresa ed un imprenditore». Nella prospettiva di una visione «bipolare», cioè di reciproca integrazione tra diritto civile e diritto com­merciale nello studio degli argomenti di interesse comune, come l’istituto della rappresentanza o il problema della sorte dei debiti inerenti all’azienda commerciale ceduta o quello delle clausole statutarie di prelazione nell’acquisto di partecipazioni sociali, ecc., v. S. Delle Monache, «Commercializzazione» del diritto civile (e viceversa), in Riv. dir. civ., I, 2012, 500-506. Per una guida recente alla esatta comprensione del mai sopito dibattito che accompagna lo sviluppo del diritto commerciale in Italia, v. di recente M. Libertini, Diritto civile e diritto commerciale. Il metodo del diritto commerciale in Italia, in Orizz. dir. comm.2016, 1 ss.

Sulla interazione fra regole generali e regole speciali – che finisce «inevitabilmente per influenzare il modo di porsi nel futuro sia della disciplina generale che di quella speciale» – v. N. Lipari, Parte generale del contratto e norme di settore nel quadro del procedimento interpretativo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2008, 2 ss.; sulla “frammentazione” legislativa, evoluzione o, più probabilmente, degenerazione – in quanto non di rado sembra il riflesso di un legiferare carente di pensiero organico – dei processi di “decodificazione”, v. S. Delle Monache, «Commercializzazione» del diritto civile, cit., 491 s. A proposito di decodificazione e microsistemi, v. N. Irti, Nichilismo e metodo giuridico, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2002, 1161, ove l’illustre Studioso ammette che, nel saggio sulla decodificazione di venti anni prima, «la diagnosi […] peccava d’ingenua fiducia: che le leggi speciali, esprimendo ed attuando principi della Costituzione, si lasciassero ricondurre, insieme con il codice civile, entro la pluralità di microsistemi». Torna sempre utile il monito di G. Benedetti, La categoria generale del contratto, in Riv. dir. civ., 1991, I, 673, il quale rileva che sarebbe «colpevole l’illusione della completezza dei regolamenti speciali» e soggiunge che «all’interno di questi c.d. microsistemi, è … agevole registrare andamenti discontinui e lacunosi, come non infrequenti sono pure le antinomie». Pertanto, «nella logica della frammentazione, la risoluzione dei problemi di disciplina, se rinuncia al quadro sistematico, cade nell’arbitrio». Quanto al ruolo della dogmatica giuridica nel contesto attuale e alla natura intrinsecamente sistematica della scienza giuridica, v. F. Piraino, Riflessioni su dogmatica e autonomia privata: il concetto di causa del contratto, in G. Bombelli e B. Montanari (cur.), Ragionare per decidere, Torino, 2015, 35 ss.

[38] Così G. Marchetti, La responsabilità patrimoniale negoziata, Padova, 2017, 332 s. Ma cfr. C. Croci, Il nuovo finanziamento, cit., 1456. Con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, (D.l.vo 12 gennaio 2019, n. 14), il fresh start del debitore diviene un’esigen­za primaria, che «impone di ripensare alla ratio dell’esdebitazione, spogliandola di tutti quei profili di solidarietà e di giustizia sociale che fin dalla comparsa dell’istituto avevano costituito la base sulla quale è stata costruita la sua giustificazione» (così D. Vattermoli, La disciplina del sovraindebitamento nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in www.giustizia
civile.com, 16). Tuttavia, un’esdebitazione riferita alla singola obbligazione, qualche elemento di “eccentricità” in realtà lo avrebbe, considerato che le procedure di esdebitazione previste dalla legge «hanno un ineliminabile carattere “collettivo”» e conseguono a una procedura di composizione delle crisi da sovraindebitamento «necessariamente “concorsuale” e, dunque, coinvolgente la totalità dei creditori di quel debitore» (così G. D’Amico, Esdebitazione e “concorso dei creditori” nella disciplina del “sovraindebitamento”, in Id. (cur.), Sovraindebitamento e rapporto obbligatorio, Torino, 2018, 41). D’altronde, va detto che, in linea generale ed entro certi limiti, l’esdebitazione può trovare buone giustificazioni sul piano del rapporto costi/benefici, in quanto comporta per il creditore un sacrificio che «può essere considerato ragionevole nel quadro di un ideale “bilanciamento” con i vantaggi (comparativamente maggiori) che dalla esdebitazione può invece conseguire il debitore e, indirettamente, la stessa collettività» (in tal senso, v. ancora G. D’Amico, op. loc. ult. cit., 21 ss.).

[39] Utili puntualizzazioni in G. D’Amico, La resistibile ascesa, cit., 19.

[40] Sul punto, cfr. però D. Russo, Oltre il patto marciano, cit., 160 ss.

[41] Ad esempio, il legislatore ha previsto che il diritto «già oggetto» del patto di garanzia possa essere utilmente espropriato sebbene sia già stato alienato (sia pur) in garanzia, con effetto “purgativo” della garanzia marciana (come se questa fosse un’ipoteca). Ha però “omesso” di richiamare l’obbligo di notificare al creditore marciano l’avviso che invece è dovuto al creditore ipotecario ex art. 498 c.p.c. Non considerare questa una semplice “dimenticanza” cui rimediare adeguatamente, contro il senso dell’argomento ubi lex voluit dixit, porterebbe a soluzioni paradossali, che evidentemente occorre evitare.

[42] S. Ambrosini, La rafforzata tutela dei creditori privilegiati nella l. n. 119/2016: il c.d. patto marciano, in www.ilcaso.it/articoli/900.pdf (ripubblicato, con marginali variazioni, in Dir. fall., 2016, 1075), 12 s.

[43] Ad es., è previsto – commi 5 e ss. dell’art. 48-bis – che il creditore ha diritto di scelta fra i rimedi generali contro l’inadempimento e l’attuazione del patto e, in quest’ultimo caso, secondo un iter sì infarcito di rigidità procedimentali ma in piena autonomia e cancellando lui stesso, in deroga al disposto dell’art. 2668 comma 3 c.c., la condizione sospensiva di inadempimento, così determinando il trasferimento definitivo del cespite; mentre il debitore non può opporsi al trasferimento, ma soltanto contestare la determinazione peritale del valore di stima e, quindi, l’entità del conguaglio (situazione, dunque, di forte protezione degli interessi del creditore, bilanciata da una “speciale”, quanto per vero irrazionale, forma di “gravità” dell’ina­dempimento, a tutela – nell’intento legislativo mal realizzato – del debitore). D’altro canto, la contestazione del valore di stima è prevista espressamente come prerogativa del solo debitore/garante, sicché dovrebbe ritenersi preclusa al creditore o ai terzi interessati (dunque, scarsa protezione degli interessi dei terzi e del creditore). L’efficacia del patto, poi, può retroagire alla data di iscrizione della precedente ipoteca, travolgendo le iscrizioni e trascrizioni prese medio tempore da terzi (comma 4); i quali, però, possono efficacemente espropriare lo stesso diritto già alienato in garanzia (comma 10), se il creditore non interviene nel processo esecutivo chiedendo al giudice l’attuazione del patto marciano (situazioni, dunque, che segnano una protezione anomala, rispettivamente per difetto e per eccesso, dei diritti in conflitto con quello del creditore marciano). È chiaro che si tratta di disposizioni bisognose di riletture razionalizzanti, come tante altre presenti nel testo dello stesso art. 48-bis, ma sembra altrettanto evidente la difficoltà di cogliere in esse un’orientazione finalistica univoca, utile a definirne la ratio nei termini della tutela prevalente di uno piuttosto che degli altri interessi in conflitto.

[44] Com’è per l’inadempimento rilevante ex art. 48-bis comma 5 (un’ampia casistica, esemplificativa delle distorsioni prodotte dalla particolare modalità determinativa, in G. D’Amico, La resistibile ascesa, cit., 14 ss.).

[45] S. Ambrosini, La rafforzata tutela, cit., 13. È evidente che una conclusione siffatta si potrebbe giustificare, sul piano generale, solo sul presupposto secondo il quale l’art. 48-bis introduce uno strumento che opera eccezionalmente, rimuovendo a favore della classe dei creditori istituzionali una limitazione che l’ordinamento pone all’autonomia privata. La conclusione contraria dovrebbe raggiungersi, invece, ove si ritenesse riconosciuta ai privati, in principio, la possibilità generale di alienare in garanzia (con cautela marciana). In questo caso, infatti, il nuovo strumento di garanzia avrebbe l’effetto non di rimuovere ma di porre limitazioni all’au­tonomia privata, irrigidendo lo strumento di garanzia (marciana), nei rapporti fra la banca e l’imprenditore, in uno schema sicuramente arricchito di tutele in favore di quest’ultimo (o del suo garante) e, invece, penalizzante per il creditore.

[46] Sulle finalità di tutela del debitore e sulla natura tendenzialmente inderogabile della disciplina dei nuovi marciani, le dottrine sembrano assolutamente concordare: v., per tutti, G. D’Amico, La resistibile ascesa, cit., 7, 12, 23, 28; S. Pagliantini, Sull’art. 48-bis T.U.B., cit., 66 nota 100, 81 ss.

Si potrebbe obiettare che l’inderogabilità delle singole disposizioni è posta a tutela degli interessi del debitore proprio perché lo strumento di garanzia, nell’identità e finalità, è a favore del creditore. Non sarebbe però un’obiezione condivisibile, perché, se si accerta, oltre la prima apparenza, quale delle parti contrattuali sia effettivamente favorita, si scopre presto che, nella maggioranza dei casi, l’alienazione in garanzia marciana, anche nel suo schema formale essenziale, si può rivelare più vantaggiosa, rispetto alle altre garanzie reali, per lo stesso debitore e, di riflesso, per gli altri creditori. Essa consente, infatti, da un lato, di evitare le spese dell’ese­cuzione forzata e, dall’altro, di realizzare il valore di mercato del cespite offerto in garanzia (valore normalmente superiore a quello d’asta che si raggiunge nelle espropriazioni forzate secondo le procedure rituali). Il debitore e gli (eventuali) altri creditori, pertanto, potranno contare su una migliore valorizzazione del cespite e sull’abbattimento delle spese processuali. Anche sotto l’aspetto della «utilità sociale», poi, l’alienazione in garanzia si rivela vantaggiosa, perché può facilitare l’erogazione dei finanziamenti e, nel caso di inadempimento delle obbligazioni restitutorie, contribuire alla “decongestione” delle aule dei tribunali e, quindi, al migliore funzionamento della macchina giudiziaria (l’osservazione sui vantaggi del patto marciano, in termini parzialmente analoghi a quelli ora indicati, è ormai giustamente diffusa: v. già C.M. Bianca, Il divieto, cit., 218 ss.). Va detto ancora che l’attuazione della garanzia commissoria di un bene immobile a valore di mercato, per il debitore, è sicuramente preferibile alla escussione della garanzia ipotecaria, ma si possono nutrire non pochi dubbi che lo sia sempre e necessariamente per il creditore (che non abbia interesse al bene come tale ma sia mosso solo da intenti liquidativi). Non a caso, normalmente, il valore cauzionale di un cespite costituito in garanzia tende al valore di vendita forzata e non al valore di mercato. Quest’ultimo, infatti, non sconta o non sconta appieno alcuni importanti elementi, come quello della difficoltà di vendita del diritto reale immobiliare al prezzo di mercato stimato, del presumibile tempo occorrente per la vendita e delle spese e dei tributi che graveranno sul titolare del diritto fino alla vendita. Pertanto, una garanzia ipotecaria, pur considerando i tempi di realizzazione più lunghi, potrebbe risultare più appetibile per il creditore rispetto ad un trasferimento in garanzia da attuare a valori di mercato, soprattutto quando l’eccedenza da restituire al debitore “marciano” dovesse rappresentare una quota percentuale elevata del valore del bene. Insomma, sembra davvero difficile e controvertibile stabilire quale sia il soggetto avvantaggiato dalla garanzia di tipo marciano.

[47] In senso contrario alla esdebitazione v. S. Ambrosini, La rafforzata tutela, cit., 11 ss.; N. Bernardi, Il nuovo patto marciano, in St. iuris, 2017, 558 s.; M. Saraceno, Interferenze fra la garanzia ipotecaria e l’alienazione in garanzia nella disciplina dell’art. 48 bis T.U.B., in http://www.notaract.com, che sembra dare come scontata l’inapplicabilità dell’istituto della esdebitazione alla fattispecie dell’art. 48-bis; M. Leo, D.l. 59/2016: la cessione dei beni in garanzia nel contratto di finanziamento fra banche e imprenditori (nuovo art. 48 bis TUB), in Notiziario CNN (2 giugno 2016), 6; G.A.M. Trimarchi, Appunti, cit., 125, 142; C. Croci, Il nuovo finanziamento, cit., 1456; M. Tatarano, L’art. 48 bis, t.u. l. banc., in R. Lenzi e M. Tatarano, Recenti riforme, cit., 35; D. Crivellari, Il Decreto Banche ai sensi del d.l. 59/2016 convertito in l. 119/2916, in AA.VV., Patto marciano o patto “marziano”Alcuni spunti critici circa l’applicabilità pratica del nuovo strumento legislativo di garanzia, 78 s. (in http://www.osservatoriot6.com), il quale tuttavia lamenta la mancata previsione dell’esdebita­zione; F. Amici, Nuovi profili di estinzione del debito mediante trasferimenti solutori, in www.giustiziacivile.com, 5 ss. e 26 nota 51; A.A. Dolmetta, La ricerca, cit., 816; A. Luminoso, Patto marciano e sottotipi, in Riv. dir. civ., 2017, 1412; L. Follieri, Il patto marciano, cit., 1867; D. Mari, Il patto marciano, cit., 1120 s.; M. Natale, Recenti tentativi di tipizzazione del patto marciano, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 24, 2018, 16 ss.

In senso favorevole alla esdebitazione, v. S. Pagliantini, L’art. 2744, cit., 951, e adesivamente, anche in ordine alle principali argomentazioni, A. Scotti, Il trasferimento di beni a scopo di garanzia ex art. 48 bis T.U.B. è davvero il patto marciano?, in Corriere giur., 2016, 1481. Nello stesso senso, N. Cipriani, Il patto marciano, cit., 1730 (v. pure Id., Appunti sul patto marciano, cit., 1005, 1006 nota 33, 1015); L. D’Orazio, Le garanzie: pegno non possessorio e patto marciano, in Nuovo dir. società, 2017, 405, il quale rileva che potrebbe aprirsi una questione di costituzionalità, per violazione dell’art. 3 cost., ove si seguisse una soluzione «in contrasto con quanto espressamente previsto per i consumatori» (ibidem, 413). Sempre in senso favorevole alla esdebitazione, ma come conseguenza dell’attribuzione al patto marciano della «natura di strumento di esecuzione privata del vincolo di responsabilità contrattuale», privo perciò di causa solutionis perché finalizzato ad estinguere la posizione debitoria in conseguenza dell’inadempimento, v. F. Piraino, L’inadempimento del contratto, cit., 197 ss.

Incertezze in G. Liace, Il finanziamento alle imprese garantito da trasferimento di bene immobile sospensivamente condizionato, in Banca Impresa Società, 2017, 246; L. Vizzoni, Spunti in tema di qualificazione dei contraenti, cit., 450 nota 20.

[48] V. Piraino, Il patto marciano, cit., 1752, il quale rileva che «Il profilo più delicato, e forse ancora irrisolto, sollevato dal patto marciano è legato all’effetto estintivo del debito»; analogamente G. Marchetti, La responsabilità, cit., 333; L. Follieri, Il patto marciano, cit., 1857.

[49] Il riferimento alla «funzione causale» è da svolgersi sul piano della finalità tipica degli atti di attribuzione patrimoniale che si includono nella categoria delle alienazioni commissorie. È un problema evidentemente diverso da quello della causa in senso tecnico; della causa, cioè, comunque voglia intendersi, oggetto dello scrutinio di liceità ex art. 1325 e 1343 c.c. Seppur formulate nella vigenza del precedente codice, sono ancora attuali, in proposito, le chiarificatrici riflessioni di R. Nicolò, L’adempimento dell’obbligo altrui, Milano, 1936, 185 ss.

[50] V., ad es., con esiti opposti, A. Scotti, Il trasferimento di beni, cit., 1480 ss., e S. Ambrosini, La rafforzata tutela, cit., 11 s.

[51] Si pensi alle integrazioni necessarie a disciplinare la fase di pendenza del rapporto di garanzia, riguardo alle quali propendere per la funzione solutoria o per quella di garanzia potrebbe giustificare il richiamo alle regole del contratto condizionato piuttosto che a quelle della garanzia ipotecaria. O alla necessità di ricostruire la disciplina nel caso in cui l’alienazione commissoria sia compiuta da un terzo, eventualmente consumatore nel caso dell’art. 48-bis (coobbligato o terzo garante?). E, ancora, al marciano ex intervallo con effetto retroattivo alla precedente iscrizione ipotecaria (art. 48-bis comma 4), per la cui introduzione il legislatore ha previsto la necessità della «modificazione delle condizioni contrattuali» del finanziamento originario, soluzione che, rimessa alla pura littera legis, senza cioè correzioni e integrazioni adeguate (più facilmente desumibili dalla materia ipotecaria, se si opta per la funzione di garanzia), conduce de plano a risultati poco coerenti con il sistema.

[52] V. indicazioni in C.M. Bianca, Il divieto, cit., 105 ss., e 298 ss. per l’incompatibilità tra causa di garanzia e modello legale della vendita.

[53] In qualche modo autonoma l’impostazione di D. Russo, Oltre il patto marciano, cit., spec. 118 ss. L’A. rileva che la funzione del patto commissorio ha un carattere complesso, perché sintetizza «una funzione sostitutiva dell’obbligo risarcitorio legale con una attribuzione patrimoniale di fonte negoziale e carattere forfettariamente compensativo». Quindi, «si sostanzia in una species del genus patto penale» e presenta, come «tratti specializzanti, l’incidenza su di un rapporto di garanzia e l’efficacia reale» (ibidem, 122). Precisamente si tratta di un «patto penale… con funzione “autoesecutiva” istantanea» (ibidem, 130). Dunque, non si afferma la funzione solutoria e, però, si nega che l’alienazione commissoria abbia una funzione di garanzia, in quanto si tratta di un negozio che «si innesta» nella funzione di garanzia ed è però «autonomo» rispetto a questa. A prescindere dalla condivisione dell’idea di considerare l’alienazione commissoria species del genus clausola penale, va detto che l’A., in realtà, ricostruisce la “funzione commissoria” nei termini utili a riflettere le rationes del divieto commissorio, allo scopo di determinare, nella prospettiva attenta ai principi generali della sussidiarietà, proporzionalità, solidarietà, effettività, adeguatezza, le condizioni che possano rendere lecite le alienazioni commissorie. Il che è sen­z’altro meritorio. Ma, se è vero che «il patto commissorio ha una funzione quiescente destinata ad attivarsi solo nel momento in cui dovesse verificarsi l’inadempimento» (ibidem, 119), occorrerebbe allora individuare i riferimenti legislativi immediati, pertinenti ratione materiae (donde la necessità di non abbandonare alcune tradizionali categorie dogmatiche ordinanti), che consentano di costruire un assetto disciplinare organico, ovviamente concretizzante i principi generali, utile a fornire risposte razionali a problemi come quello della conservazione giuridica e materiale della “garanzia”, dei poteri e delle facoltà e dei doveri delle parti in pendenza del rapporto di garanzia, della posizione delle parti rispetto ai terzi in relazione al diritto oggetto dell’alienazione commissoria, dell’attuazione della garanzia nelle procedure esecutive individuali o concorsuali ecc. Tutti profili bisognosi di regole che, però, in nessun modo sono implicate dalla qualificazione della funzione commissoria come «patto penale autoesecutivo immediato», né sono univocamente desumibili dalla applicazione dei citati principi generali, cui l’A. fa ripetutamente riferimento.

[54] Riferimenti, infra, note 64 e 73.

[55] È la dottrina elaborata da L. Raape, Die Verfallklausel bei Pfand und Sicherungsübereignung, Berlin, 1913 (non consultato), ampiamente esaminata e criticata da C.M. Bianca, Il divieto, cit., 8, 107 ss., 137 ss.

[56] C.M. Bianca, Il divieto, cit., e, da ultimo, in C.M. Bianca, Diritto civile. 7. Le garanzie reali. La prescrizione, Milano, 2013, 277 ss. Per l’esclusione dell’alienazione sospensivamente condizionata dal novero delle alienazioni in garanzia v. di recente l’impostazione, che per vero sembra isolata, di N. Cipriani, Il patto marciano, cit., 1730.

[57] C.M. Bianca, Il divieto, cit., 139; v. pure C.M. Bianca, Diritto civile. 7, cit., 278.

[58] F. Anelli, L’alienazione, cit., spec. 303 ss.; seguito da N. Cipriani, Patto commissorio, cit., spec. 116 ss. È questo l’orientamento più diffuso nella dottrina tedesca, che si è sviluppato sulle orme dello studio di L. Raape, Die Verfallklausel bei Pfand und Sicherungsübereignung, cit., e che appunto attribuisce «al patto commissorio la medesima posizione accessoria, sia rispetto al pegno e all’ipoteca che alla alienazione in garanzia […] di soddisfacimento del credito»; mentre la funzione di garanzia sarebbe svolta dal pegno o dall’ipoteca, nel caso di patto commissorio pignoratizio o ipotecario, e dall’alienazione in garanzia nel caso del trasferimento della proprietà cavendi causa (in tal senso, la sintesi di C.M. Bianca, Il divieto, cit., 136 ss. e ivi, a p. 137, la frase virgolata).

[59] Cfr. F. Anelli, L’alienazione, cit., 429 ss.; N. Cipriani, Patto commissorio, cit., 126 e 157 ss. Per una netta posizione contraria, v. L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale. Disposizioni generali2, in Comm. cod. civ. dir. da Schlesinger, Milano, 1991, 289 ss.

[60] F. Anelli, L’alienazione, cit., 431.

[61] Cfr. F. Anelli, L’alienazione, cit., 420 ss., il quale peraltro sembra assumere l’opponi­bilità stessa come elemento costitutivo della garanzia e, sotto questo aspetto, si potrebbero giustificare le osservazioni critiche di A. Sassi, Garanzia, cit., 201 ss., sostanzialmente fondate sul fatto che il meccanismo della opponibilità non è idoneo a qualificare causalmente il negozio e, quindi, a individuare un profilo di rilevanza del patto commissorio, aggiuntivo rispetto a quello relativo alla funzione solutoria, su cui dovrebbe concentrarsi la sola funzione di garanzia. Cfr. pure N. Cipriani, Patto commissorio, cit., 124 nota 240 e testo corrispondente, e gli autori ivi richiamati.

[62] L’affermazione è in N. Cipriani, Patto commissorio, cit., 124 nota, 140 s.

[63] Così C.M. Bianca, voce Patto commissorio, in Novissimo Digesto, Torino, XII, 1965, 717.

[64] Tra le opere che, nel primo cinquantennio di applicazione del codice del ‘42, più hanno conferito spessore dogmatico all’interpretazione espansiva del divieto commissorio, nell’ambi­to, però, di un confronto dialettico tutto sommato poco incline alla critica delle voci più autorevoli (F. Macario, Circolazione e cessione, cit., 1521, testo e nota 7), non si può non indicare il magistrale studio di S. Pugliatti, Precisazioni in tema di vendita a scopo di garanzia, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, 298 ss., nel quale il divieto commissorio assume una valenza costruttiva, tutto sommato, estrinseca o ancillare; mentre, sotto l’aspetto strettamente esegetico, costituisce nient’altro che una semplice conferma puntuale e, per molti versi, neanche necessaria, della teoria elaborata in merito alle ragioni prettamente dogmatiche che giustificano l’inammissibilità delle alienazioni in garanzia. Ma, proprio perché conformato specularmente dalla affermazione di tale inammissibilità, il divieto commissorio assume una forza espansiva che si delinea in maniera logicamente e concettualmente indipendente dalle fattezze dello schema strutturale formale desumibile dagli artt. 2744 e 1963 c.c., così suggellando la dilatazione del divieto cui ha reagito la dottrina più recente.

[65] Indicazioni retro, alla nota 26.

[66] V., ad es., A. Chianale, L’ipoteca3, cit., 40; A. Scotti, Il trasferimento di beni, cit., 1481; G. D’Amico, Alienazioni a scopo di garanzia, in Gitti, Maugeri, Notari (cur.), I contratti per l’impresa. I. Produzione, circolazione, gestione, garanzia, Bologna, 2012, 586 (v. però Id, La resistibile ascesa, cit., 27 nota 51); A. Luminoso, Patto commissorio, patto marciano e nuovi strumenti di autotutela esecutiva, in Riv. dir. civ., 2017, 20 (ma v. le importanti precisazioni del successivo scritto di A. Luminoso, Patto marciano, cit., 1403 s.); S. CampolattaroFenomenologia, cit., 60 nota 33; S. Pagliantini, Spigolando intorno all’art. 48 bis, cit., 1721, testo e nota 21 (ma v. dello stesso A., Sull’art. 48-bis T.U.B., cit., 66 s.); A. Barletta, in AA.VV., Patto marciano o patto “marziano”?, cit., 21; L. Follieri, Il patto marciano, cit., 1861; D. Russo, Oltre il patto marciano, cit., 98.

[67] Le espressioni virgolate sono di G. Terranova, Pagamenti anomali e garanzie. Profili del sistema revocatorio fallimentare, in Banca borsa tit. cred., 2000, I, 55 (e, per le opportune indicazioni circa l’indeterminatezza dei concetti di funzione solutoria e funzione di garanzia, 41 ss., e 56 ss.). V. pure U. La Porta, La causa del trasferimento del credito, gli effetti preliminari e la disposizione del diritto futuro, in Banca, borsa e tit. cred., 1998, II, 718, il quale osserva che «la sovrapposizione tra funzione solutoria e scopo di garanzia non è assolutamente accettabile nel merito, a meno che […] non si discorra di “scopo” di garanzia proprio per indicare che in tal caso la funzione di garanzia ricorra soltanto in fatto non assumendo rilevanza causale ai fini dell’individuazione del negozio. […] in senso giuridico-formale […] funzione solutoria e causa di garanzia risultano profondamente incompatibili».

[68] G. Terranova, Pagamenti anomali, cit., 56. Si tratta di una conclusione che però non è condivisa da tutti. Soprattutto perché, invero, spesso non si utilizzano, anche deliberatamente, concetti rigorosamente definiti della funzione di adempimento e/o di quella di garanzia. Ad es., A. Luminoso, Patto commissorio, cit., 20, usa il termine garanzia nel largo significato di «rafforzamento dell’aspettativa di realizzazione del credito» e, di conseguenza, rileva che «nel patto commissorio e nel patto marciano accanto alla funzione primaria solutoria si può riscontrare anche una funzione secondaria di garanzia». Dell’illustre Studioso v. però le precisazioni del successivo scritto sullo stesso argomento (A. Luminoso, Patto marciano, cit., 1403 s.).

[69] Osserva incisivamente A. Luminoso, Patto marciano, cit., 1406 s. «la datio in solutum costituisce un surrogato dell’adempimento, il patto marciano il surrogato di un’esecuzione forzata sui beni del debitore». V. pure F. Piraino, L’inadempimento del contratto, cit., 197 ss., che attribuisce al marciano la «natura di strumento di esecuzione privata del vincolo di responsabilità contrattuale», privo perciò di vera funzione solutoria perché finalizzato ad estinguere la posizione debitoria in conseguenza dell’inadempimento. E nello stesso senso, v. già U. La Porta, La causa, cit., 720: «l’appropriazione definitiva dell’attribuzione in via diretta e senza l’intervento giudiziale costituisce il proprium della garanzia reale attuata mediante trasferimento di un diritto e non mediante le forme tipiche di costituzione di ragioni di prelazione».

[70] Soprattutto E. Betti, Sugli oneri e i limiti dell’autonomia privata in tema di garanzia e modificazione di obbligazioni, in Riv. dir. comm., 1931, II, 689 ss., 699 (che sotto il vigore del nuovo codice conferma l’orientamento nella voce Autotutela, in Enc. dir., vol. IV, Milano, 1959, 535: «ciò che si vuole evitare non è tanto la possibilità di un arricchimento ingiusto ..., quanto piuttosto la stessa possibilità di un autosoddisfacimento da parte del creditore. La legge… riprova e combatte non tanto il risultato possibile, quanto il modo di perseguirlo: d’auto­rità, cioè, dell’interessato con sopraffazione di un altro pur consenziente: giacché tale sopraffazione è sempre possibile colà dove non giunga il controllo statale»), seguito da vari studiosi. Di recente, l’impostazione è in qualche modo fatta propria da G. Brianda, Le prospettive del divieto, cit., 2016, 797 ss., e da D. Mari, Il patto marciano, cit., 1113. Evidentemente, a seguito delle varie fattispecie di autotutela esecutiva connessa alle nuove fattispecie marciane, è maggiormente condivisibile l’affermazione secondo la quale «nel nostro ordinamento non esiste un generale principio di inderogabilità della espropriazione forzata giurisdizionale e di inammissibilità dell’assoggettamento convenzionale all’autotutela esecutiva del creditore»: così G. Bongiorno, La tutela espropriativa speciale, in Riv. dir. proc., 1990, 1053 (Id., Profili sistematici e prospettive dell’esecuzione forzata in autotutela, in S. Mazzamuto (cur.), Processo e tecniche di attuazione dei diritti, Napoli, 1989, 774).

[71] Il divieto commissorio è sì inserito in molti codici moderni, ma la sua vigenza effettiva, in altre esperienza a noi vicine, è fortemente limitata da pratiche di aggiramento che vengono comunemente ritenute lecite, contrariamente a quanto è successo nel nostro paese fino ad anni recenti. V., in proposito, A. Candian, Appunti dubbiosi sulla ratio del divieto del patto commissorio, in Foro it., 1999, I, 184; M. Bussani, Il problema, cit., 283 ss.; D. Valentino, La circolazione dei beni in funzione di garanzia, in Rass. dir. civ., 2007, 530.

[72] L’evoluzione avutasi nell’esperienza giuridica, specie più recente, ha eroso le principali preclusioni dogmatiche e, nel contempo, le innovazioni legislative hanno fatto perdere univocità agli elementi strettamente normativi che potevano giustificare gli «atteggiamenti di sostanziale “chiusura” (o quanto meno di “diffidenza’) nei confronti dell’ammissibilità nel nostro or­dinamento di trasferimenti con funzione di garanzia, se non altro nel caso in cui si tratti di trasferimenti della proprietà (e, dunque, di alienazioni di cose)» (G. D’Amico, Alienazioni, cit., 585). L’opera di F. Anelli, L’alienazione, cit., infatti, ha mostrato, riguardo alle alienazioni in garanzia, che «il vero ostacolo alla loro ammissibilità andava ravvisato nell’esplicitazione legislativa del divieto del patto commissorio e non nella tralatizia convinzione dell’inadeguatezza della causa di garanzia a giustificare il trasferimento dei diritti» (così F. Macario, Circolazione e cessione, cit., 1526). V., pure N.A. Vecchio, Il divieto, cit., p. 449 ss., ove richiama la «duttilità» dello schema della compravendita e si esprime a favore di un «orientamento realistico che veda quale evenienza fisiologica l’intersecarsi» della funzione di scambio e di quella di garanzia «nella stessa operazione negoziale, in misura più o meno variabile», con «l’intento di garanzia» che impone «un atteggiarsi peculiare del contenuto del negozio, ma… non elide la possibilità di disegnare un negozio traslativo conformato dalla causa di garanzia, ove proprio la cavendi causa è in grado di porsi come causa sufficiente [...] dell’intera operazione economica»; cfr. O.T. Scozzafava, Note in tema di alienazione, cit., 29 ss.). Deriva l’ammissibilità dei trasferimenti in garanzia dal principio consensualistico, U. La Porta, La causa, cit., 715: «l’introiezione dell’atto di trasferimento nel contratto causale giustifica la non necessità di un’omogeneità qualitativa tra le forme di investitura nel diritto. L’investitura nel diritto resterà conformata, dall’interno, a seconda della causa del contratto che ha prodotto come effetto (anche o soltanto) il trasferimento della situazione soggettiva. Ciò è conseguenza del sistema causalista e deve essere affermato per non ridurre il ruolo dell’art. 1376 c.c. a mera forma di superamento del contratto reale». Né si può dimenticare, come osserva G. Terranova, Pagamenti anomali, cit., 2000, 51 s., che talora la negazione della ammissibilità delle alienazioni in garanzia «trova il proprio fondamento in un concetto di garanzia che viene desunto dalla ipostatizzazione delle caratteristiche dell’ipoteca e del pegno regolare», nel senso che si fa coincidere il concetto di garanzia «con quella parte dei poteri dominicali» che sostanziano i tipici diritti reali di garanzia e, di conseguenza, si è costretti a negare che possa essere «qualificato come ‘garanzia’ il trasferimento della piena proprietà della cosa». Invece, prosegue l’A., «il ragionamento deve essere rovesciato, perché l’esplicito riconoscimento legislativo del pegno irregolare porta a ritenere che non vi sia alcuna necessaria correlazione tra la struttura e la funzione del rapporto, e che la funzione… [di garanzia], può essere realizzata anche da un atto dotato di pieni effetti traslativi» (le frasi virgolate sono nella nota 72). Per ciò che riguarda le innovazioni legislative, basti considerare il riconoscimento del trust, le ipotesi di alienazioni in garanzia ammesse nei contratti di garanzia finanziaria e le recentissime tipizzazioni di alcune “soluzioni” marciane.

[73] V. per tutti G. D’AmicoAlienazioni, cit.; e, più recentemente e con ampiezza di riferimenti, D. Russo, Oltre il patto marciano, cit. p. 99 ss. Per il confronto con una recente opinione contraria alla liceità delle alienazioni in garanzia, v. C. Abatangelo, Alienazione in garanzia e meccanismo sotteso al patto marciano: riflessioni a seguito della Direttiva collateral, in M. Bianchini e G. Gioia (cur.), Dialogo fra corti e principio di proporzionalità, Padova, 2013, 147 ss., ove altri riferimenti; P. Gallo, Commento all’art. 2744, in A. Chizzini, G. Bonilini (cur.), Della tutela dei diritti, Artt. 2643-2783 ter, in Comm. cod. civ. dir. E. Gabrielli, Torino, 2016, 976, il quale rileva che l’alienazione in garanzia «costituisce un’applicazione particolare del negozio fiduciario, ed in particolare della fiducia cum creditore, ancora una volta già ammessa dal diritto romano».

[74] V. soprattutto la più volte citata Cass. 28 gennaio 2015 n. 1625.

[75] Ma v. G. D’AmicoAlienazioni, cit., 586: «quando la funzione di garanzia viene meno (o, meglio, si realizza, in conseguenza dell’intervenuto inadempimento del rapporto garantito da parte del debitore, che determina il “consolidamento” della proprietà del bene in capo all’acquirente/creditore), l’effetto traslativo – divenuto ormai definitivo (e non più precario e temporaneo, come era in precedenza) – non trova più (con tutta evidenza) il suo fondamento nella «causa di garanzia», ma piuttosto in una causa solvendi, fin dall’inizio contenuta nell’ac­cordo con il quale le parti hanno accettato che l’adempimento della prestazione dovuta possa essere “sostituito” (appunto) con il (consolidarsi, in capo al creditore, del) trasferimento del bene». Analogamente, S. Pagliantini, I misteri, cit., 184; A. Scotti, Il trasferimento di beni, cit., 1477 ss. (ampiamente, e proprio allo scopo di risolvere la questione dell’esdebitazione attraverso l’affermazione della “finale” funzione solutoria, anche in adesione alla richiamata costruzione di N. Cipriani, Patto commissorio, cit., 296; M. Bussani, Il problema, cit., 269 ss.; F. Murino, L’autotutela nell’escussione della garanzia finanziaria pignoratizia, Milano, 2010, 31); A. Chianale, L’ipoteca3, cit., 40; A. Barletta, in AA.VV., Patto marciano o patto “marziano”?, cit., 22, 26.

[76] La funzione di garanzia non comporta un depauperamento patrimoniale certo e, di solito, trova ragione nel momento di bisogno del debitore. Questi, perciò, non è nella situazione migliore per valutare con la dovuta attenzione e serenità – o almeno con l’attenzione che normalmente accompagna gli atti che comportano perdite patrimoniali certe e definitive, come appunto gli atti solutori – la corrispondenza fra il valore del bene attribuito in garanzia e il debito garantito e, prima ancora, la stessa probabilità della perdita effettiva del bene (probabilità che, anzi, normalmente sottostima, confidando evidentemente ma spesso erroneamente nella propria futura solvibilità). Per la ratio del divieto specificata su questi profili v., ad es., S. Pagliantini, I misteri, cit., 2015, 190 ss.; e, soprattutto, A. Luminoso, La vendita, cit., 238; Id., Alla ricerca degli arcani confini del patto commissorio, in Riv. dir. civ., 1990, I, 221; Id., Lease back, mercato e divieto del patto commissorio, in Giur. comm., 2000, I, 489 ss. Pur in un contesto critico sulla «ragionevolezza» del divieto commissorio, considera l’insidia il fondamento al quale possono essere riportate molte delle rationes individuate dalla dottrina, A. Candian, Appunti dubbiosi, cit., c. 178 s. Di recente anche il più autorevole studioso del patto commissorio, ne ha sottolineato il carattere «insidioso» (C.M. Bianca, Diritto civile. 7, cit., 283 s.).

[77] Così, a proposito della condizione di inadempimento, R. Lenzi, Condizione, autonomia privata e funzione di autotutela. L’adempimento dedotto in condizione, Milano, 1996, 96.

[78] I problemi che pone il negozio fiduciario, nel nostro sistema, sono indicati di recente, riassuntivamente, in P. Gallo, Il contratto fiduciario, in R. Calvo e A. Ciatti (cur.), I contratti di destinazione patrimoniale, Torino, 2014, 35 ss.,

[79] Per la individuazione, nello schema della condizione, di un meccanismo isolabile dalla connessione con la condizione come clausola del negozio e perciò idoneo a spiegare anche vicende non esattamente riportabili nell’ambito del contratto condizionato vera e propria, v. il fondamentale studio di A. Gambino, L’assicurazione nella teoria dei contratti aleatori, Milano, 1964, spec. 127 ss., 171 ss. In generale, anche per ulteriori riferimenti, v. R. Lenzi, Della condizione nel contratto, in E. Navarretta e A. Orestano (cur.), Dei contratti in generale, II, Artt. 1350-1386, Comm. cod. civ. dir. da E. Gabrielli, Torino, 2011, 222 s., ove rileva che «lo statuto della condizione è… idoneo a regolare una fattispecie produttiva di effetti analoghi a quelli di una condizione in senso proprio e la sua applicazione non è rigida, divisa tra una adesione totale al modello condizionale o una estraneità allo stesso, bensì è graduata sulle specificità della situazione ed utilizzata nei limiti in cui contribuisce ad una più idonea regolazione della fattispecie concreta». Afferma che l’art. 48-bis «“codifica” la c.d. condizione di inadempimento», S. Ambrosini, La rafforzata tutela, cit., 8 s. (nello stesso senso, v. N. Bernardi, Il nuovo patto marciano, cit., 557). A prescindere dalla configurazione dell’adempimento come vera e propria condizione (in tal senso, con espresso richiamo delle conseguenze in ordine alla disciplina, D. Mari, Il patto marciano, cit., 1116; ma cfr. O.T. Scozzafava, Note in tema di alienazione, cit., 23; e, con specifico riferimento all’art. 48-bis, S. Pagliantini, L’art. 2744, cit., 974 ss.), l’affermazione non sembra condivisibile, se non altro perché la condizione di adempimento tradizionalmente discussa è quella che assume ad evento condizionante l’adem­pimento dell’obbligazione che deriva dallo stesso contratto cui la condizione è apposta. Nel caso delle stipulazioni commissorie, invece, è assunto come evento condizionante l’inadempi­mento di un’obbligazione che è effetto di un altro negozio, tipicamente di un mutuo. D’altra parte, nell’alienazione commissoria la “condizione” manca del carattere accidentale. Né è applicabile, in alcuni suoi elementi caratterizzanti (ad es., finzione di avveramento, retroattività), la disciplina della condizione. Quindi, nel caso delle stipulazioni commissorie si può ben richiamare il “meccanismo condizionale” di produzione degli effetti, ma non – come cerco di argomentare nel testo – la condizione in senso proprio (v. però le osservazioni di C.M. Bianca, Il divieto, cit., 47 ss., 52). Per quanto riguarda la condizione di adempimento/inadempimento, il punto sul problema della sua ammissibilità, con gli opportuni richiami ai vari orientamenti, è esaminato da A.C. Nazzaro, La condizione tra uso tipico e abuso, e da D. Marcello, L’uso della condizione in prospettiva rimediale, in F. Alcaro (cur.), La condizione nel contratto tra ‘atto’ e ‘attività’, Padova, 2008, rispettivamente p. 364 ss. e p. 390 ss.

[80] F. Alcaro (cur.), La condizione nel contratto tra ‘atto’ e ‘attività’, cit., 196 s., 199. Richiama l’ipotesi della condicio iuris, D. Russo, Oltre il patto marciano, cit., 172 ss.

[81] La condizione può riguardare, come prevede l’art. 1353 c.c., anche «un singolo patto». Se però il singolo patto incide sulla struttura formale del tipo negoziale, è facile che in tal modo venga impedita la stessa riconducibilità dell’«operazione» allo schema negoziale tipico prescelto. Dipende tutto, ovviamente, dalla elasticità del tipo e dal catalogo dei contratti tipici. Così, ad esempio, non si modifica il tipo se si sottopone la compravendita o il giorno della consegna della cosa all’esito di una lotteria; se però si fa dipendere il pagamento del prezzo da un evento incerto, non si tratta più di una compravendita ma, molto probabilmente, di una scommessa. Al contrario, data la schematizzazione legislativa, l’empio spei e l’emptio rei speratae sono collocabili nella stessa area della compravendita, seppure l’evento incerto agisca nei due casi, come nell’esempio precedente, sulla sola “prestazione” del venditore o, rispettivamente, sul contratto nella sua interezza. Per riferimenti, in ordine alla incidenza della condizione sulla struttura del tipo contrattuale, v. R. Lenzi, Della condizione nel contratto, cit., 225, 239 s.

[82] Lo strumento della condizione contrattuale in senso proprio si rivela inadeguato nel rappresentare la struttura negoziale del patto di garanzia e non è in grado di assicurare la realizzazione della sua funzione nei termini più appropriati rispetto agli interessi delle parti. Ciò è tanto vero che, in merito alla disciplina della fase di pendenza della garanzia (aspetto trascurato dal legislatore dell’art. 48-bis), le regole della condizione contrattuale di cui agli artt. 1353 ss. possono risultare utili solo con riferimento a quegli aspetti del rapporto contrattuale meno strettamente correlati alla funzione di garanzia dell’alienazione commissoria. Non sono idonee, invece, in maniera specifica e necessaria alla «conservazione» e alla realizzazione della funzione di garanzia e, più in generale, alla tutela degli interessi delle parti durante la pendenza del rapporto costituito con l’alienazione commissoria. Si tratta di interessi che trovano invece la regolamentazione più appropriata – data l’analogia funzionale – nella disciplina della garanzia ipotecaria. La logica di fondo che innerva la disciplina del rapporto di garanzia non è certo incompatibile con quella che ispira le regole sugli «atti conservativi» dell’aspettativa nel contratto condizionato (artt. 1356 e ss. c.c.). Prevede, tuttavia, strumenti diversi e più ampi della sola «conservazione» consentita dall’art. 1356 c.c. e rifiuta la logica della retroattività della condizione, così come, per evidenti motivi, quella della finzione di avveramento. La tutela conservativa, nel negozio sottoposto a condizione propriamente intesa, è più limitata rispetto a quella riferibile alle garanzia reali. Nel primo caso, infatti, i rimedi sono volti «ad assicurare l’inte­grità materiale e giuridica dell’oggetto della prestazione e ad impedire la sopravvenienza di eventuali cause di impossibilità riconducibili all’oggetto» (R. Lenzi, Della condizione nel contratto, cit., 315 s., che elenca, tra i principali rimedi riconosciuti comunemente in dottrina e giurisprudenza, la cauzione, il sequestro conservativo della garanzia patrimoniale del credito o il sequestro giudiziario, le misure cautelari atipiche, come il sequestro della cosa al solo scopo di preservarne l’integrità, o comunque evitare abusi da parte del possessore, l’azione revocatoria; v. pure S. Maiorca, voce Condizione, in Dig. – Disc. priv., 1988, § 24). Nelle garanzie reali, invece, al di là di ogni possibile diversa estensione ed intensità della tutela conservativa, questa è affiancata da rimedi – estranei, per evidente incompatibilità, al contratto condizionato e, invece, applicabili per analogia o semplice estensione alle alienazioni in garanzia ex art. 48-bis – attinenti specificamente alla conformazione e al mantenimento della funzione di garanzia, come ad es. quelli che prevedono a favore del debitore la proporzionalità della garanzia o quelli che consentono al creditore di ottenere la reintegrazione della garanzia per perimento o deterioramento, anche per caso fortuito, del bene ipotecato (art. 2743 c.c.); o di agire contro il pericolo di perimento o deterioramento della garanzia ex art. 2813 c.c.; o di richiedere sostituzioni e modificazioni del bene costituito in la garanzia (art. 2742 c.c. e, in generale, le norme che prevedono il trasferimento della garanzia su altri beni, come gli artt. 1017, 2815, 2816 e 2825 c.c.).

[83] Cfr. F. Anelli, L’alienazione, cit., 370 ss., e ivi riferimenti, il quale rileva che la descrizione dell’alienazione in garanzia in termini di contratto condizionato «appare accettabile soltanto ammettendo che essa costituisca un negozio necessariamente o tipicamente condizionato, in cui l’elemento condizionale penetra all’interno della struttura essenziale del negozio» (ibidem, 374; corsivi dell’A.).

[84] Cfr. F. Anelli, L’alienazione, cit., 375, che richiama R. Nicolò, Deposito cauzionale di titoli di credito – Effetto traslativo, in Riv. dir. civ., 1937, 373.

[85] Cfr. L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale, cit., 308 s., ove rileva che «la correlazione fra meccanismo condizionale e funzione di garanzia non resta confinato nell’ambito dei motivi, ma si eleva a livello causale con la conseguenza che non occorre che il meccanismo condizionale sia esplicitato nel patto. Esso è infatti connaturale al patto e assicura meglio di ogni altro mezzo, soprattutto se dotato della normale retroattività reale, la divisata sottrazione del­l’aggressione del bene a tutti i creditori diversi da quello contemplato nel patto e la sottrazione del bene al potere dispositivo degli stipulanti il patto». Per ogni riferimento in materia di aspettativa, si può vedere di recente a E.W. Di Mauro, Pendenza della condizione. Aspettativa di diritto. Atti di disposizione, in Jus civile, 2015, 519 ss., e ivi, spec. 533 ss., indicazioni sulle varie teorie elaborate nella dottrina italiana.

[86] Cfr. L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale, cit., 307: «La causa di garanzia è certamente presente, sia se si configura il trasferimento oggetto del negozio di garanzia come trasferimento sottoposto a condizione sospensiva che se lo si configura come sottoposto a condizione risolutiva».

[87] V. E. Gabrielli, Garanzia e garanzie reali, in F. Mastropaolo (cur.), I contratti di garanzia, in Trattato dei contratti dir. da P. Rescigno e E. Gabrielli, Torino, 2007, 1009 ss., ora in Id., Contratto e contratti, Torino, 2010, spec. 567 ss. e, ivi, nota 34: «Con l’espressione “riserva di utilità” si vuole dunque indicare, in termini dogmatici, che la funzione della garanzia reale è quella di creare nel patrimonio del garante la destinazione di una parte ben individuata di quel patrimonio (da qui il concetto di riserva ad rem) in funzione esclusiva del realizzo del diritto di credito e quindi dell’interesse del creditore garantito a vedere conseguire “l’utilità” che deriva dalla soddisfazione del suo diritto di credito; diversamente da quanto accade per la garanzia personale, ove, non una parte, ma l’intero patrimonio del garante è esposto all’azione di garanzia per la soddisfazione del creditore».

[88] V. C.M. Bianca, Il divieto del patto commissorio, cit., 140.

[89] Dalla particolare “intensità” della garanzia (e dalle «cause» delle attribuzioni patrimoniali e dal numero chiuso dei diritti reali), secondo una trama concettuale di fine eleganza, seppur superata, deduceva l’inammissibilità di ogni forma di alienazione in garanzia, S. Pugliatti, Precisazioni in tema di vendita a scopo di garanzia (in Riv. trim. dir. proc. civ., 1950, 298 ss., ora) in Scritti giuridici, vol. III, 1947-1957, Milano, 2011, 455 ss., 478 ss., 514 s.

[90] In tal senso N. Cipriani, Patto commissorio, cit., 124 nota 240. V. peraltro L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale, cit., 287 s., che attribuisce al requisito della opponibilità del trasferimento condizionale la funzione distintiva delle alienazioni in garanzia commissorie; mancando quel requisito, infatti, si ritiene che l’alienazione assuma carattere sostanzialmente fiduciario. E cfr. sul punto P. Gallo, Commento all’art. 2744, cit., 976. In uno scritto recentissimo (N. Cipriani, Il patto marciano, cit., 1730 nota 24), l’A. torna sul punto precisando che «un meccanismo come quello del patto commissorio o del patto marciano può addirittura operare anche in mancanza della garanzia: basti pensare alla pattuizione con la quale si prevede che, in caso di inadempimento, un determinato bene del debitore o di un terzo, non vincolato da ipoteca o da altra garanzia, venga trasferito in pagamento al creditore. Il creditore non avrà garanzia (id est, non avrà diritto di seguito in ipotesi di atto di disposizione, e non avrà diritto di preferenza in caso di aggressione da parte di altri creditori) ma, se non intervengono atti di disposizione o pignoramenti, può veder operare il patto». È forse l’impostazione di fondo sulla struttura formale attribuita alla garanzia reale, più evidente nell’ultimo intervento, che spiega il perché si identifichi la garanzia con la garanzia opponibile. Vale a dire, quella impostazione che conduce al concetto di garanzia reale risolto negli esclusivi termini del diritto di seguito e della “prelazione”, invece che nella costituzione di una situazione giuridica sostanziale, quale ad esempio la «marcatura» di determinati beni del debitore in funzione della costituzione di una riserva di utilità ad rem a favore del creditore (su quelle “errate” impostazione, v. per tutti E. Gabrielli, Garanzia e garanzie reali, cit., spec. 567 ss.).

[91] Cfr. pure C.M. Bianca, Diritto civile. 7, cit., 265, che a proposito delle alienazioni in garanzia sospensivamente condizionate osserva: il creditore «è comunque garantito in base a un titolo che gli attribuisce la proprietà del bene a soddisfacimento del proprio credito nella eventualità del mancato pagamento. L’acquisto del creditore è infatti opponibile ai terzi e ai creditori come lo sono gli acquisti sottoposti a condizione sospensiva».

[92] Cfr. ancora C.M. Bianca, Diritto civile. 7, cit., 278: «Nel patto commissorio l’effetto solutorio è un modo di realizzazione della garanzia, che consiste nel diritto del creditore di far proprio il bene del debitore o di un terzo a soddisfacimento del credito».

[93] Cfr. tuttavia G. D’Amico, La resistibile ascesa, cit., 28, il quale osserva che «il problema qualificatorio del patto – una volta intervenuta la sua regolamentazione legislativa – ha un’im­portanza relativamente limitata, sia perché non serve più a stabilire la meritevolezza dell’in­teresse sotteso al patto (meritevolezza che, almeno in astratto, ha già ottenuto il riconoscimento da parte del legislatore), sia perché la presenza di una disciplina legislativa riduce comprensibilmente il problema di colmare eventuali lacune della regolamentazione convenzionale (nei limiti – che abbiamo visto essere alquanto ristretti – in cui può ritenersi che a quest’ultima sia consentito derogare alla disciplina legislativa)» (corsivo dell’A.).

[94] V. G. Marchetti, La responsabilità, cit., 337 (e Id., Trasferimento di immobili ex art. 48-bis TUB: un marciano abdicativo della garanzia generica?, in www.giustiziacivile.com, 9).

[95] Sulla possibile, diversa qualificazione negoziale di un “marciano” che assegni al trasferimento il valore estintivo dell’obbligazione, cfr. A.A. Dolmetta, La ricerca, cit., p. 817 (v. infra nota 106).

[96] Indicazioni, più avanti, in questo stesso paragrafo, e v. intanto G. Marchetti, La responsabilità, cit., 337.

[97] V. esemplarmente S. Ambrosini, La rafforzata tutela, cit., 12; e, per l’opposto orientamento, A. Scotti, Il trasferimento di beni, cit., 1481 s.

[98] S. Ambrosini, La rafforzata tutela, cit., 12 s.

[99] V. soprattutto S. Pagliantini e A. Scotti, citati nelle note seguenti, e N. Cipriani, Appunti sul patto marciano nella legge 30 giugno 2016, n. 119, in Nuove leggi civ. comm., 2017, 1012 ss., e Id., Il patto marciano, cit., 1730.

[100] A. Scotti, Il trasferimento di beni, cit., 1482. Ma v. le precisazioni di G. Terranova, Pagamenti anomali, cit., compendiate dalla seguente affermazione: «se si condivide 1’assunto secondo il quale la classificazione tipologica dell’atto dipende dalle priorità fissate nel programma negoziale, diventa giuoco forza riconoscere che tra le due funzioni [di garanzia e solutoria] … corre un nesso di alternatività, nel senso che l’una esclude l’altra – e viceversa – senza lasciare spazio a fattispecie ibride o miste» (p. 56).

[101] A. Scotti, Il trasferimento di beni, cit., 1482. Nel senso che l’alienazione in garanzia, nella forma del patto marciano, può sottrarsi al divieto del patto commissorio solo se è unita alla rinuncia del creditore alla garanzia patrimoniale generica v. L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale, cit., 315 ss., 325.

[102] La costruzione della datio in solutum come negozio con funzione solutoria raccoglie i maggiori consensi ma è anche autorevolmente contrastata: cfr. E. Moscati, I modi di estinzione tra surrogati dell’adempimento e vicende estintive liberatorie, in Trattato delle obbligazioni, III, I modi di estinzione, a cura di E. Moscati e A. Burdese, Padova, 2008, 31 ss. e ivi nota 29 ss. i principali riferimenti; A. Barba, in V. Cuffaro (cur.), Delle Obbligazioni, Vol. I, Artt.1173-1217, in Comm. cod. civ. dir. da E. Gabrielli, Torino, 2012, 561.

[103] E. Moscati, I modi di estinzione, cit., 4.

[104] V. per tutti C.M. Bianca, Il divieto, cit., spec. 107 ss.; E. Moscati, I modi di estinzione, cit., 108 ss.; e, di recente, le puntuali riflessioni di A. Luminoso, Patto marciano, cit., 1403 ss.

[105] Infatti, v. ad es. S. D’Ercole, Sull’alienazione in garanzia, in Contr. e impr., 1995, 242: «la dazione realizza l’estinzione del rapporto obbligatorio e non già un rafforzamento della posizione del creditore rispetto ad un determinato bene»; G. Sicchiero, La prestazione in luogo dell’adempimento, in Contr. e impr., 2002, 1380 ss. il patto commissorio a differenza della datio in solutum «è funzionalmente diretto a garantire il creditore per l’ipotesi di inadempimento alla prestazione originaria … Al di fuori di questo profilo non sembra possibile cogliere indici oggettivamente idonei a distinguere le fattispecie». Ma cfr. pure G. Terranova, Pagamenti anomali, cit., pag. 12 ss., il quale, pur a proposito delle revocatorie, non senza avvertire che «l’esigenza sostanzialistica di reprimere la frode induce spesso a riqualificare la fattispecie secondo schemi che si discostano alquanto dalle categorie civilistiche», osserva incisivamente che la datio in solutum «implica una modifica dell’originario disegno negoziale». In giurisprudenza, nel senso che non costituisce patto commissorio la datio in solutum, avendo quest’ultima una finalità solutoria e non di garanzia, v. Cass. 17 marzo 2014 n. 6175 (testo reperibile sul sito web della Corte di cass.); Cass. 6 ottobre 2004, n. 19950, in Giust. civ., 2005, I, 1528.

[106] Tanto che v’è chi osserva come «il patto, che assegna valore estintivo al trasferimento anche se il valore del bene risulti inferiore all’entità del debito residuo, pone comunque l’ope­razione – al di là di ogni eventuale sua denominazione «marciana» – ai confini estremi della figura dell’alienazione in garanzia: facendola decisamente inclinare, piuttosto, verso la ben diversa struttura portata dalla dazione in pagamento» (così A.A. Dolmetta, La ricerca, cit., 816 s.). D’altra parte, cfr. N. Cipriani, Il patto marciano, cit., 1730, che attribuisce sì effetto estintivo al patto marciano, ma sottraendolo alla categoria delle alienazioni in garanzia per ricondurlo nell’ambito delle «alienazioni condizionate» con carattere solutorio.

[107] Sono irrilevanti, nell’economia del presente discorso, le questioni concernenti la funzione deterrente, risarcitoria o sanzionatoria della clausola penale, su cui v. per tutti C.M. Bianca, Diritto civile. Vol. V, La responsabilità 2, Milano, 2012, 245 ss.

[108] È principio che sembra indiscutibile: v. in ogni caso F. Anelli, L’alienazione, cit., 452 s.; N. Cipriani, Patto commissorio, cit., 115 s.

[109] V. ad es. M. Fragali, voce Garanzia, cit., 462.

[110] Cfr. C. Varrone, Il trasferimento della proprietà a scopo di garanzia, Napoli, 1968, 74, il quale osserva che se il patto commissorio fosse idoneo a svolgere una funzione di garanzia limitata sarebbe nullo per violazione del principio secondo il quale «le limitazioni della responsabilità patrimoniale sono ammesse nei soli casi stabiliti dalla legge». Ma, per l’evo­luzione della dottrina sul punto dell’ammissibilità di limitazioni pattizie della responsabilità patrimoniale, v. di recente L. Follieri, Esecuzione forzata e autonomia privata, Torino, 2016, spec. 80 ss., ove i necessari riferimenti.

[111] Cfr. G. D’Amico, La resistibile ascesa, cit., 22 s.

[112] V. retro, nota 102.

[113] S. Pagliantini, L’art. 2744, cit., 950, 970.

[114] L’osservazione è sempre di S. Pagliantini, L’art. 2744, cit., 971.

[115] S. Pagliantini, L’art. 2744, cit., 971.

[116] S. Pagliantini, L’art. 2744, cit., 951; A. Scotti, Il trasferimento di beni, cit., 1480.

[117] S. Pagliantini, L’art. 2744, cit., 952 (corsivi dell’A.); orientandosi nello stesso senso, precisa A. Scotti, Il trasferimento di beni, cit., 1480, che «sostenere la diversità di effetti, quanto all’eventuale residuo insoddisfatto del credito, si riverserebbe in una discriminazione della posizione dei creditori terzi, che solo nel caso di estinzione totale dell’obbligazione garantita possono confidare nella possibilità di rivalersi in via esclusiva sui beni residui del debitore».

[118] Si rileva che, se il creditore potesse escutere il patrimonio del debitore in caso di garanzia marciana insufficiente, si «finirebbe in sostanza per vanificare la dichiarata ratio deflattiva del carico delle procedure esecutive, giusta la rinuncia all’autotutela negoziale» (così A. Scotti, Il trasferimento di beni, cit., 1480). L’osservazione sembra non considerare che, ove fosse impedita la possibilità di escutere il patrimonio del debitore in virtù dell’attuazione del patto marciano, il creditore avrebbe tutto l’interesse di cumulare altre garanzie con quella marciana. Sarebbe così ugualmente vanificata, anche se per altra via, la ratio deflattiva e, in aggiunta, sarebbero pregiudicate anche le finalità di recupero di efficienza e di abbattimento dei costi nel mercato del credito professionale.

[119] In tal senso, ineccepibilmente, G. D’Amico, La resistibile ascesa, cit., 21 s.

[120] Così, R. Sacco, voce Giustizia contrattuale, Digesto – Disc. priv., Torino, 2012, § 6.

[121] Che si possa invocare, per il patto marciano, lo schema delle obbligazioni alternative in senso proprio è recisamente e giustamente negato da S. Pagliantini, L’art. 2744, cit., 946, testo e nota 63, che richiama piuttosto la figura di «un’alienazione estintiva in facultate solutionis», «la variabile di una datio in solutum il cui inverarsi è subordinato all’inadempimento della prestazione (pecuniaria) dovuta entro il termine pattuito». Sicché «il marciano bancario dell’art. 48 bis può dirsi una clausola che facoltizza soltanto impropriamente e, al più, in modo ellittico… l’obbligazione rimane semplice perché una sola è la prestazione dedotta».

[122] Non si comprende, perciò, nella impostazione di N. Cipriani, Appunti sul patto marciano, cit., 1012 ss., per quale motivo si opti per la funzione solutoria estintiva, pur assumendo che l’attuazione del patto marciano si pone come «alternativa (possibile, ma non necessaria) al processo esecutivo». Tanto più che, nella stessa impostazione, si attribuisce espressamente alla «alienazione condizionata (anche ineseguita)» la funzione di «vera e propria causa di prelazione», equiparandola «sotto questo profilo all’ipoteca» (in tal senso, sia pure dubitativamente, v. già M. Tatarano, L’art. 120 quinquiesdecies, t.u. banc., in R. Lenzi e M. Tatarano, Recenti riforme, cit., 34). La medesima alienazione in garanzia, così, darebbe luogo a risultati eterogenei e contrastanti, secondo che venga utilizzata come diritto di prelazione para-ipotecario in un processo esecutivo ovvero come presupposto di attuazione del patto marciano, senza che del­l’effetto estintivo dell’obbligazione, sussistente evidentemente solo nel secondo caso, possa così darsi una giustificazione congruente con le regole del diritto di prelazione del primo caso, sicuramente non limitative della soddisfazione integrale del credito.

[123] In questa prospettiva, espressamente, F. Piraino, L’inadempimento del contratto, cit., 197 ss., il quale attribuisce al marciano la «natura di strumento di esecuzione privata del vincolo di responsabilità contrattuale». V. pure C. Varrone, Il trasferimento della proprietà a scopo di garanzia, cit., 30. Adesivamente, non però riguardo agli sviluppi, G. Marchetti, La responsabilità, cit., 338, che rileva come «il patto marciano sembra propriamente svolgere una duplice funzione: di garanzia, implicando il rafforzamento della tutela creditoria, e di strumento di “autotutela esecutiva”, finalizzato a estinguere la posizione debitoria».

[124] Così, limpidamente, G. Terranova, Pagamenti anomali, cit., 55.

[125] In tal senso, F. Piraino, Il patto marciano, cit., 1752. Osserva M. Natale, Recenti tentativi, cit., p. 17, che «è il concetto stesso di inadempimento, come presupposto dell’attivazione della clausola [marciana], ad impedire la configurazione di una prestazione in luogo dell’adem­pimento (art. 1197 c.c.) e del conseguente effetto estintivo dell’obbligazione».

[126] L’espressione virgolata e quella precedente sono di F. Piraino, op. loc. ult. cit.

[127] Ampiamente argomentata è la critica svolta in proposito da G. D’Amico, La resistibile ascesa, cit., 29 ss., riguardo alla riconduzione del patto marciano nell’area della datio in solutum preventivamente concordata (verso cui sembra in qualche modo orientato S. Pagliantini, L’art. 2744, cit., passim e in particolare p. 946, 960, 970, 974, 976; e adesivamente, ma con minori sfumature, A. Scotti, Il trasferimento di beni, cit., 1482). Si osserva che, rispetto allo schema contemplato nell’art. 1197 c.c. la sequenza prevista nell’art. 48-bis «risulta invertita: non è l’esecuzione da parte del debitore della “diversa prestazione” (che qui sarebbe il trasferimento del diritto) a determinare l’estinzione dell’obbligazione, ma è piuttosto l’adempimento (da parte del creditore) dell’onere di versare (al debitore) la differenza di valore, a condizionare il verificarsi del trasferimento (e, con esso, l’estinzione dell’obbligazione di restituzione del finanziamento)». Il maggiore contrasto fra i due istituti deriva dalla circostanza che, essendo «rimessa alla scelta esclusiva del creditore (banca) la decisione di chiedere l’esecuzione del­l’accordo (solutorio preventivo)», si dovrebbe rilevare la sussistenza non tanto di una datio in solutum preventiva ma piuttosto di «un accordo che attribuisce al creditore (banca) un diritto di optare per una prestazione “solutoria” diversa da quella in via originaria e principale dedotta in obbligazione … [un patto che] consiste, propriamente, non in una datio in solutum, bensi in una opzione di datio in solutum», che però richiama una disciplina non del tutto congrua perché nell’art. 48-bis non è consentito limitare il diritto di scegliere se e quando avvalersi del patto, mentre nell’opzione «è elemento essenziale la fissazione di un termine entro il quale (e sino al quale) la “proposta” (contrattuale) rimane “irrevocabile”, tanto che, se per l’accettazione dell’oblato non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice (art. 1331, comma 2, cod. civ.)». Per altri spunti critici, v. A. Luminoso, Patto marciano, cit., 1406 s., il quale, dopo aver tracciato la distinzione tra il patto commissorio e la datio in solutum, osserva che tra quest’ultima e il patto marciano sussiste «una differenza radicale che ne impedisce qualunque accostamento sostanziale, atteso che la convenzione marciana contempla l’obbligo del creditore di restituire al debitore l’(eventuale) eccedenza tra il valore del bene e il debito, e che tale obbligo è invece incompatibile con la datio in solutum, stante la sua causa solutoria. In altre parole, la datio in solutum costituisce un surrogato dell’adempimento, il patto marciano il surrogato di un’esecuzione forzata sui beni del debitore».

[128] Non a caso, si ricerca la soluzione del problema della esdebitazione nella disciplina del­l’art. 1382 comma 1 c.c., concernente la possibilità di rimuovere pattiziamente il limite operativo della clausola penale e, quindi, di richiedere gli eventuali ulteriori danni da inadempimento: cfr. G. D’Amico, La resistibile ascesa, cit., 22 s. (è appena il caso di notare che l’A., pur richiamando l’applicazione “analogica” della norma citata e pur rilevando qualche elemento in comune fra i due istituti, esclude che il patto marciano sia riconducibile allo schema della clausola penale: v. p. 31 s.).

[129] Nel patto commissorio puro, infatti, l’attribuzione patrimoniale, se è predisposta come alternativa automatica all’inadempimento dell’obbligazione principale, risulta funzionalmente omogenea all’adempimento, considerato che, mancando la prestazione principale, subentra automaticamente quella succedanea. Si avrebbe perciò qualche ragione in più per collegare l’estinzione dell’obbligazione all’attribuzione patrimoniale, che rimane pur sempre “secondaria” ed eventuale in quando effetto di un inadempimento incerto (donde la essenziale funzione di garanzia del patto). Viceversa, la disciplina del patto ex art. 48-bis rapporta l’attribuzione patrimoniale “alternativa” alla misura del debito non adempiuto e non intacca il potere di agire per la soddisfazione del credito nelle forme rituali (non v’è l’obbligo, cioè, di dare attuazione al patto marciano). Perciò, l’attuazione del patto marciano diviene alternativa alla attuazione della responsabilità patrimoniale per le vie ordinarie e, quindi, piuttosto che richiamare la funzione solutoria, sembra ispirarsi alla logica della escussione delle garanzie specifiche (reali), con quanto ne consegue in ordine alle regole nel caso di insufficienza. È significativo, in proposito, che anche chi attribuisce la funzione solutoria alle alienazioni commissorie (con o senza cautela marciana), rileva che, nel patto commissorio, il trasferimento della proprietà determina l’estinzione dell’obbligazione indipendentemente dal valore del bene trasferito; nel patto marciano, invece, la previsione della stima e dell’imputazione del valore del bene a pagamento del debito comporta che, nel caso di minusvalore del bene, l’obbligazione si estingue nella corrispondente misura parziale e non totalmente, come invece accade nel caso del patto commissorio (in tal senso, N. Cipriani, Patto commissorio, cit., 12, che però è orientato diversamente negli scritti più recenti: v. retro, nota 47). Con riferimento ai nuovi marciani, v. pure F. Piraino, Il patto marciano, cit., 1752, il quale osserva che «l’elemento connotativo del patto marciano», cioè «la sua natura di strumento di esecuzione privata del vincolo di responsabilità contrattuale», «sembra addirittura accentuarsi nelle epifanie legislative».

[130] Cfr. S. Pagliantini, Sull’art. 48-bis T.U.B., cit., 57 nota 70 e ivi riferimenti.

[131] Potrebbe, è vero, far stimare il bene autonomamente, così cautelandosi contro l’even­tualità del minusvalore. Ma rischiando di compiere un’attività inutile, perché la condizione di inadempimento non si è ancora perfezionata e, perciò, il debitore potrebbe compiere pagamenti idonei ad impedirne il verificarsi. E, poi, se la stima autonoma non dovesse trovare esatto riscontro nella successiva stima “ufficiale”, divergendo evidentemente da questa per difetto, accadrebbe che il creditore, se non intende contestare in giudizio il valore di stima, deve sopportare il rischio del minusvalore pur avendo agito per cautelarsi contro questa evenienza.

[132] Per altro verso, il caso del debitore che abbia «pagato gran parte del debito» sembra alimentare possibili problemi di costituzionalità secondo S. Ambrosini, La rafforzata tutela, cit., 10, e L. D’Orazio, Le garanzie, cit., 413 (v. retro nota 634).

[133] Similmente a quanto fa l’art. 120-quinquiesdecies del T.U.B., dove però il titolare del diritto normalmente guarderà al valore d’uso più che a quello di scambio del bene. In altri termini, nel caso ipotetico di valore del bene minore del debito, il debitore normalmente non dovrebbe qui avere la stessa immediata convenienza a non adempiere, dato che il bene è normalmente costituito dalla propria abitazione.

[134] Per giunta, senza nemmeno il rischio, altrimenti connaturale alla scelta di non adempiere per convenienza economica, di dover risarcire danni al creditore suscettibili di frustrare la stessa “efficienza” dell’inadempimento: v., in generale, G. Grisi, L’inadempimento dipendente da dolo, in Jus civile, 2018, 672 ss. e ivi riferimenti.

[135] Con tendenziali effetti negativi anche sul fronte della capacità del debitore di ottenere ulteriore credito, vista l’eccedenza di garanzia che richiederebbe il finanziatore dell’impresa a copertura del rischio di incapienza di una garanzia strettamente proporzionata al debito.

[136] In ordine al carattere aleatorio del pvi, v. R. Lenzi, Il prestito vitalizio ipotecario, in Giur. it., 2017, 1742: “Il prestito vitalizio ipotecario è un contratto di finanziamento significativamente caratterizzato da rilevanti elementi di aleatorietà che penetrano nella funzione stessa del contratto».

[137] Si osserva giustamente che «né la par condicio creditorum, né la generica esigenza di tutela dei creditori a fronte della diminuzione della garanzia comune sono idonee a interferire con la validità del patto e, tanto meno, a incidere sulla sua struttura, poiché la tutela dei creditori opera su un piano diverso, ossia quello dell’efficacia» (cosi, G. Marchetti, La responsabilità, cit., 341 ss., ove ulteriori rilievi critici in ordine all’orientamento in esame). V. pure M. Natale, Recenti tentativi, cit., p. 20.

[138] Così F. Piraino, Il patto marciano, cit., 1752. Pur nell’ambito di una diversa impostazione generale, v. F. Anelli, L’alienazione, cit., 78, il quale osserva che «il germe di estraneità al sistema che caratterizza il parto commissario, consiste nel fatto che, qualora fosse valido, esso avrebbe l’effetto di escludere l’applicazione di tutte le norme che regolano l’attuazione coattiva del credito».

[139] Analogo rilievo in G. Marchetti, La responsabilità, cit., 338. E si consideri pure che, nell’ambito di una impostazione sostanzialmente non dissimile (A. Luminoso, Patto marciano, cit., 1402 ss.), si opta per la soluzione opposta in ordine alla esdebitazione sia nel caso del­l’art. 48-bis (ibidem, 1413) sia in relazione al patto marciano di diritto comune, fatta salva naturalmente una contraria clausola pattizia (ibidem, 1420).

[140] Da F. Piraino, Il patto marciano, cit., 1753: la limitazione della responsabilità patrimoniale non deve essere «rintracciata nell’esigenza dell’innalzamento della tutela tipica del diritto dei consumatori … [ma] si giustifica … in termini generali».

[141] V. la dottrina indicata da F. Piraino, Il patto marciano, cit., 1754 nota 74.

[142] A questi due «vantaggi» fa riferimento F. Piraino, Il patto marciano, cit., 1753. Nel merito, si può osservare che il secondo vantaggio è solo ipotetico, potendo ben verificarsi che la liquidazione del bene acquisito avvenga poi ad un valore inferiore a quello di mercato stimato. La celerità nell’attuazione del trasferimento, per sé stessa, è fonte di vantaggio solo se il realizzo del cespite riesce in tempi altrettanto celeri ed al valore di stima; diversamente, l’operazione si concluderà in perdita a causa degli oneri fiscali e di gestione del diritto sull’immobile. Su questi aspetti, retro nota 45.

[143] Le ragioni sono già indicate, retro, alla nota 43.

[144] Così F. Piraino, Il patto marciano, cit., 1753 s. Rilievi critici sul punto, forse però non del tutto pertinenti, in G. Marchetti, La responsabilità, cit., 340 ss.

[145] Per altre osservazioni critiche, che investono il punto di incidenza dell’effetto estintivo (debito/responsabilità), cfr. ancora G. Marchetti, La responsabilità, cit., 342 s., ove premette che «la responsabilità patrimoniale non fa parte della struttura dell’obbligazione, essendo a questa legata da un rapporto accessorio, sicché le vicende della Haftung non toccano direttamente lo Schuld», e rileva che «gli accordi modificativi della responsabilità patrimoniale incidono sulla situazione giuridica soggettiva corrispondente alla garanzia generica e non sul rapporto obbligatorio». Pertanto, «l’eventuale incapienza della garanzia rende, di fatto, incoercibile l’obbligazione, senza che ciò valga di per sé a determinarne estinzione». Risultando necessario allo scopo «che l’accordo sia strutturato in modo da implicare anche una rinuncia ex ante al credito nella misura in cui esso risulti superiore al ricavato dall’esecuzione forzata ed è a tale rinuncia che deve ricondursi l’effetto estintivo del credito».

[146] Cfr. D. Mari, Il patto marciano, cit., 1121, che ritiene ammissibile l’esdebitazione «e­sclusivamente là dove si ritenga consentita l’applicazione analogica dell’art. 120-quinquiesdecies T.U.B., restando in ogni caso soggetta ad una espressa opzione delle parti in tal senso. Diversamente, si integrerebbe una limitazione convenzionale della responsabilità patrimoniale del debitore, da ritenersi nulla ex art. 1418 cod. civ., poiché contraria alla norma imperativa di cui all’art. 2740, comma 2». Analoghe argomentazioni in A. Luminoso, Patto marciano, cit., 1412.

[147] In generale cfr. R. Guastini, Interpretare e argomentare, in Tratt. dir. civ. e comm. Schlesinger, Milano, 2011, 271 s. Richiama espressamente l’argomento “ubi lex voluit …”, per negare l’esdebitazione nella fattispecie dell’art. 48-bisN. Bernardi, Il nuovo patto marciano, cit., 559.

[148] Cfr. A. Chianale, Qualche pensiero sulle recenti vicende del patto marciano, cit., 756.

[149] In tal senso, S. Ambrosini, La rafforzata tutela, cit., 11, secondo il quale sarebbe «alquanto disagevole invocare… il brocardo ubi lex noluit tacuit al fine di predicare l’assenza di effetti estintivi»).

[150] Così come indica S. Pagliantini, L’art. 2744, cit., 951 s.

[151] In tal senso, F. Amici, Nuovi profili di estinzione del debito mediante trasferimenti solutori, cit., 26 nota 51.

[152] In questo senso, sembrerebbe, G. Marchetti, Trasferimento di immobili ex art. 48-bis TUB, cit., 9 s.; M. Tatarano, L’art. 48 bis, t.u. l. banc., cit., 35. In ordine al problema della ammissibilità di un patto che circoscrive l’ambito oggettivo della responsabilità patrimoniale, v. il recente studio di L. Follieri, Esecuzione forzata, cit., spec. 80 ss. e ivi, alle note 222 ss., ampi riferimenti alla impostazione tradizionale e ai nuovi orientamenti della dottrina.

[153] Cfr. G. D’Amico, La resistibile ascesa, cit., 22 s. che propone una soluzione «non difforme da quella che è prevista, in materia di clausola penale, dall’art. 1382 c.c.», attraverso una interpretazione dell’art 48-bis che, attenta a valorizzarne la ratio, attribuisca «efficacia (normalmente) “liberatoria” al trasferimento del bene immobile in attuazione del patto marciano, ammettendo cionondimeno che questa conseguenza possa essere esclusa dalle parti, introducendo la previsione (pattizia) della possibilità per il creditore di richiedere l’eventua­le debito residuo, non coperto dal valore del bene immobile trasferito». Aggiunge l’A. che, attraverso la possibilità delle parti di escludere l’esdebitazione, il nuovo istituto guadagnerebbe anche qualche punto di flessibilità, utile a renderlo più «attrattivo». Dal punto di vista pratico della frequenza statistica con la quale potrebbe ricorrere il caso della esdebitazione, forse non vi sono apprezzabili differenze fra le due soluzioni, visto che, se l’esdebitazione fosse esclusa come effetto naturale del contratto, sarebbe altamente improbabile per il debitore ottenere un patto contrario; così pure, qualora l’esdebitazione fosse ammessa come effetto naturale, sarebbe altamente probabile l’imposizione del patto contrario da parte del creditore.

[154] Come riconosce lo stesso G. D’Amico, La resistibile ascesa, cit., 27 nota 51, quando ravvisa nel comma 13-bis dell’art. 48-bis la «conferma (a nostro avviso) che l’enfasi del legislatore è sulla considerazione del “trasferimento” (marciano) come una forma pur sempre di “garanzia” (con il carattere “accessorio”, che è proprio di tutte le garanzie), che si affianca alle tradizionali garanzie del credito»; e, quindi, indica in senso contrario la tesi di S. Pagliantini, Sull’art. 48-bis T.U.B., cit., 66 s., ove rileva che «è l’intero articolato normativo della novella a fare mostra di gravitare testualmente intorno all’idea di un “trasferimento”, dischiudendo così apertis verbis l’immagine di una natura solutoria della causa in questione» (corsivi nel testo).

[155] Ipotesi, invero, molto “teorica”, data l’improbabilità che il creditore professionale proponga o accetti una clausola di esdebitazione; non meno improbabile, però, sarebbe l’assenza della clausola escludente l’esdebitazione, nel caso in cui questa dovesse ritenersi – secondo la indicata soluzione simmetricamente “alternativa” – un effetto “naturale” del contratto di garanzia regolato dall’art. 48-bis.

[156] Così S. Pagliantini, L’art. 2744, cit., 951 nota 75, e per i rilievi critici sul «parallelismo col disposto dell’art. 1382, comma 1, c.c.», v. anche Id, Sull’art. 48-bis T.U.B., cit., 66 nota 100.

[157] Sulla separazione tra il debito e la responsabilità patrimoniale, v. A. Di Majo, Debito e patrimonio nell’obbligazione, in G. Grisi, Le obbligazioni e i contratti nel tempo della crisi economica. Italia e Spagna a confronto, Torino, 2014, 23 ss.; per l’applicazione all’esdebitazione prevista nella normativa sul sovraindebitamento, v. G. D’Amico, Esdebitazione, cit., 41 ss.

[158] Per le varie conseguenze e per la differenziazione fra l’adempimento dell’obbligazione naturale e il pagamento del debito prescritto (e, dunque, il pagamento del debito nell’assimila­bile ipotesi di esdebitazione in discorso), v. di recente P. Gallo, Il pagamento del debito prescritto, in G. Bonilini e A. Chizzini (cur.), Della tutela dei dirittiArtt. 2907-2969, in Comm. cod. civ. dir. E. Gabrielli, Torino, 2015, 642 ss.