Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
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La disciplina del risanamento e della risoluzione delle banche. Aspetti critici (di Vincenzo Calandra Buonaura *)


L’Autore analizza la disciplina del risanamento e della risoluzione delle banche introdotta dalla Direttiva 2014/59/UE (la c.d. BRRD) e dal Regolamento UE n. 806 del 2014 e recepita dal d.lgs. n. 180/2015 e, in particolare, affronta gli aspetti di maggiore criticità, quali il pericolo che si ingeneri sfiducia nei confronti del sistema bancario, nonché i tempi e le modalità con cui questa disciplina è stata introdotta. L’Autore concentra, inoltre, la propria attenzione sul modo con cui la disciplina stessa viene applicata e, in particolare, sul ruolo delle Autorità preposte nella valutazione delle situazioni di crisi, affrontando il tema dell’elevata discrezionalità in capo alle Autorità chiamate a verificare i presupposti per l’applicazione degli interventi e delle procedure previste dalla BRRD e a decidere le modalità e i limiti di coinvolgimento dei creditori nella copertura delle perdite.

Banks' Reorganization and Resolution. Critical Aspects

This paper analyses the Italian Bank Recovery and Resolution Law, introduced by the Bank Recovery and Resolution Directive (Directive 2014/59/ EU – “BRRD”) and by the Regulation (EU) No 806/2014, and implemented by the Legislative Decree No 180/2015. The aim is to deal with the regulation’s most critical aspects, such as the danger of a general distrust in banks, as well as the circumstances of the introduction in Italy of the new regulation. The Author also focuses his attention on the regulation’s enforcement and, in particular, on the role of the Authorities: their discretionary powers are crucial for verifying the prerequisites for the application of the interventions and procedures envisaged by the BRRD and for deciding the methods and limits of the creditors’ involvement.

KEYWORDS: banks – recovery and resolution – bail-in

CONTENUTI CORRELATI: banche - risoluzione - bail-in

Sommario/Summary:

Introduzione - 1. La mancata previsione di un periodo transitorio - 2. Il coinvolgimento dei creditori “diversi” e il ricorso al sostegno finanziario pubblico straordinario previsto dall’art. 18 del d. lgs 180/2015 - 3. Il ruolo delle autorità preposte nella valutazione delle situazioni di crisi e dei provvedimenti da adottare - 4. Il coinvolgimento dei creditori nel bail-in - 5. La par condicio creditorum nella procedura di risoluzione - 6. Qualche breve considerazione conclusiva - NOTE


Introduzione

Lo scritto di Antonio Blandini, che si esprime in termini decisamente critici nei confronti della disciplina del risanamento e della risoluzione delle banche introdotta dalla Direttiva 2014/59/UE (la c.d. BRRD) e dal Regolamento UE n. 806 del 2014 e recepita dal d. lgs n. 180/2015, offre lo spunto per alcune brevi considerazioni che soltanto in parte e con motivazioni diverse condividono il giudizio negativo sulla disciplina europea delle crisi bancarie. In termini generali, l'a. imputa all'introduzione repentina e inattesa di questa disciplina e al sacrificio che essa impone ai creditori quale condizione per un intervento pubblico volto a consentire il risanamento dell'impresa bancaria o quanto meno la continuazione dell'attività, in una fase economica critica quale l'Europa e, in particolare il nostro Paese, stanno attraversando, l'effetto di ingenerare una sfiducia nei confronti del sistema bancario che si riflette negativamente sulla sua capacità di dare un contributo essenziale alla ripresa economica. Si tratta di un giudizio che incontra un'ampia condivisione, soprattutto nel nostro Paese, per la suggestione esercitata dalle vicende che hanno riguardato le quattro banche assoggettate a risoluzione per le quali è stato applicato il burden sharing (Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti) e dall'insuccesso della ricapitalizzazione delle popolari venete e del Monte dei Paschi di Siena che ha comportato, per le prime, l'intervento del Fondo Atlante (che, peraltro, non appare risolutivo alla luce delle nuove necessità di capitale evidenziate dall'Autorità di vigilanza) e, per la seconda, il ricorso alla ricapitalizzazione pubblica precauzionale prevista dall'art. 18 del d. lgs. n. 180/2015 quale rimedio straordinario volto ad evitare una grave perturbazione dell'economia e a preservare la stabilità finanziaria. Senza trascurare la considerazione che il coinvolgimento dei creditori nel risanamento o nella risoluzione delle banche è destinato a produrre, soprattutto per gli istituti che appaiono patrimonialmente più deboli, un inevitabile incremento dei costi della provvista (in particolare di quella obbligazionaria) ed una minore capacità attrattiva per i depositanti (in particolare per depositi superiori alla soglia che gode della garanzia del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi) con effetti negativi sulla liquidità e sulla [...]


1. La mancata previsione di un periodo transitorio

Si tratta della critica più diffusa, alimentata anche da quanto in più occasioni affermato dal Governatore dalla Banca d'Italia riguardo alla necessità di una fase transitoria e al vano tentativo del Governo italiano e della stessa Banca d'Italia di evitare una applicazione immediata e retroattiva dei meccanismi di burden sharing e di bail-in[2]. Come si può spiegare il mancato consenso in sede comunitaria alla proposta, apparentemente ragionevole, di prevedere un periodo transitorio che consentisse al pubblico degli investitori in titoli bancari di prendere coscienza delle conseguenze dell'introduzione della direttiva e di evitare il coinvolgimento retroattivo di investitori e creditori della banca non in grado di valutare un rischio futuro e imprevedibile? A mio avviso, è limitativo e fuorviante attribuire l'insuccesso alla cronica incapacità delle Autorità italiane e dei nostri rappresentanti in sede comunitaria di imporsi ai nostri partners europei. Se anche è vero che questa debolezza, soprattutto a livello delle strutture tecniche le cui valutazioni hanno spesso un peso determinante, è innegabile, l'atteggiamento assunto dagli organi comunitari non può essere considerato irragionevole. Dopo quattro anni nei quali la Commissione Europea si è trovata a dover autorizzare aiuti di stato alle banche che, limitatamente ai soli interventi sul capitale, hanno superato gli 800 miliardi di euro, si è inevitabilmente aperta una riflessione sugli effetti distorsivi dell'intervento pubblico, in particolare sul piano concorrenziale, che le misure adottate della Commissione per evitare il crowding out non si sono dimostrate in grado di contenere efficacemente. La Commissione si è quindi trovata nella necessità di cercare di realizzare un difficile equilibrio tra la salvaguardia della stabilità del sistema finanziario, che giustifica e permette l'aiuto dei stato ai sensi dell'art. 107, co. 3°, lett. b) TFUE, e l'intento di contenere gli effetti distorsivi derivanti dall'intervento pubblico. Il punto di equilibrio è stato individuato - oltre che nella previsione di un atteggiamento più rigoroso nel valutare l'ammissibilità dell'aiuto di stato, peraltro, affidato in larga misura al giudizio discrezionale della Commissione Europea, nella veste di effettiva autorità di risoluzione - nell'obbligatorio coinvolgimento nella [...]


2. Il coinvolgimento dei creditori “diversi” e il ricorso al sostegno finanziario pubblico straordinario previsto dall’art. 18 del d. lgs 180/2015

Secondo Blandini, il coinvolgimento nel bail-in di creditori diversi dai subordinati contribuisce ad incrementare i rischi di instabilità sistemica minando la fiducia degli individui nella solidità del sistema bancario con effetti più negativi di quelli prodotti dall'intervento pubblico. L'autore auspica, pertanto, una istituzionalizzazione del ricorso al sostegno finanziario pubblico straordinario di cui all'art. 18 del d. lgs. 180/2015, che veda il sacrificio dei soli detentori di strumenti di capitale e dei creditori subordinati, con la conversione del loro credito in capitale (come previsto dall'art. 22), come la soluzione idonea ad evitare i rischi di instabilità. Se si tratta di un auspicio che si possa fare ricorso alla "capitalizzazione precauzionale" di cui all'art. 18 del d. lgs.180/2015 (che, Commissione Europea permettendo, sembra essere la soluzione per ovviare ai problemi di capitale di Monte Paschi), non può che essere condiviso, ma occorre che ve ne siano i presupposti, perché il sostegno pubblico straordinario non è e non può essere lo strumento con cui si può far fronte a tutte le crisi bancarie se non stravolgendo completamente l'impianto della Direttiva. Il citato art. 18 richiede che la banca non sia in dissesto o a rischio di dissesto, vale a dire non versi in una delle situazioni di cui all'art. 17, co. 2°. In particolare, non deve aver subito perdite patrimoniali di particolare gravità, tali da privare la banca di un importo significativo del patrimonio, non deve avere attività inferiori alle passività e non deve essere insolvente, né esservi elementi oggettivi che possono far presumere che tali situazioni si realizzino nel prossimo futuro. In sostanza, non devono sussistere, o profilarsi in un prossimo futuro, i presupposti che giustificherebbero l'apertura di una procedura di liquidazione coatta amministrativa. Inoltre deve sussistere il requisito della necessità di "evitare o porre rimedio a una grave perturbazione dell'economia e preservare la stabilità finanziaria". L'intervento sul capitale non deve essere utilizzato per coprire perdite registrate dalla banca o che essa verosimilmente registrerà in un prossimo futuro (che potrebbero, però, essere coperte tramite la conversione in capitale di strumenti ibridi e obbligazioni subordinate) e la sottoscrizione deve essere effettuata unicamente "per far [...]


3. Il ruolo delle autorità preposte nella valutazione delle situazioni di crisi e dei provvedimenti da adottare

Per meglio comprendere questo ruolo e il grado di discrezionalità con cui può essere esercitato, occorre muovere dalla premessa che la tutela di azionisti e creditori nelle procedure di composizione delle crisi bancarie è affidata al rispetto di due principi fondamentali.Il primo, già affermato dalla Corte di Giustizia UE nella citata sentenza dal 19/07/2016 in sede di interpretazione della Comunicazione della Commissione del 2013, è sancito dall'art. 29, d. lgs. 180/2015, a tenore dal quale l'importo della riduzione o della conversione degli strumenti di capitale di cui all'art. 28 "è determinato nella misura necessaria per coprire le perdite e assicurare il rispetto dei requisiti prudenziali" ed è ripreso dall'art. 48, co. 1°, d. lgs. 180/2015, che individua la finalità del bail-in nella necessità di ripristinare il patrimonio dell'ente sottoposto a risoluzione "nella misura necessaria al rispetto dei requisiti prudenziali e idonea a ristabilire la fiducia del mercato" e, in caso di cessione, nel ridurre il valore nominale delle passività cedute, inclusi i titoli di debito, o nel convertire questa passività in capitale. Nonostante la seconda delle due disposizioni non consenta di definire con precisione quale sia il tetto del sacrificio che può essere imposto ai creditori (che cosa significa la misura necessaria a stabilire la fiducia nel mercato? può essere una misura superiore a quella necessaria al rispetto dei requisiti prudenziali? quale è il limite della riduzione o conversione delle passività in caso di cessione?), la regola che se ne desume è che il sacrificio dei creditori deve essere contenuto nel limite di quanto è strettamente necessario a riportare il patrimonio al rispetto dei requisiti patrimoniali richiesti dell'Autorità di vigilanza per la continuazione dell'attività, anche in una prospettiva di cessione a terzi.Il secondo principio, sancito in generale dall'art. 22, d. lgs. 180/2015 e ripreso per il bail-in dall'art. 87, co. 1°, stabilisce che gli azionisti e i creditori i cui crediti sono stati ridotti o convertiti in azioni "non possono subire perdite maggiori di quelle che avrebbero subito se l'ente sottoposto a risoluzione fosse stato liquidato (. . .) secondo la liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal TUB o altra analoga procedura concorsuale applicabile" (il c.d. principio del no [...]


4. Il coinvolgimento dei creditori nel bail-in

Le criticità che caratterizzano la fase di verifica dei requisiti patrimoniali e dell'adozione dei provvedimenti necessari a far fronte ad eventuali carenze si riflette anche sulla procedura di risoluzione per quanto riguarda sia l'accertamento dei presupposti sia la misura del contributo dei creditori al ripianamento delle perdite. L'accertamento del presupposto di cui all'art. 17, co. 1°, lett. a), (dissesto o rischio di dissesto della banca) spetta alla BCE o alla Banca d'Italia a seconda della competenza e, salve le ipotesi di gravi irregolarità o gravi violazioni di disposizioni legislative o regolamentari, di norma è la conseguenza di perdite patrimoniali la cui entità trae origine dalla verifica sulla qualità degli attivi. Per quanto riguarda le banche italiane risultano, pertanto, determinanti i criteri di valutazione delle sofferenze adottati dalla competente Autorità di vigilanza. Intervenuta la risoluzione, il coinvolgimento dei creditori nel bail-in è determinato sulla base di una valutazione "equa, prudente e realistica" delle attività e passività della banca effettuata da un esperto indipendente su incarico della Banca d'Italia quale autorità di risoluzione. Questa valutazione non serve soltanto a "quantificare l'entità della riduzione e conversione delle passività ammissibili" (art. 24, co. 1°, lett. d), ma anche ad identificare "le diverse categorie di azionisti e creditori in relazione al rispettivo ordine di priorità applicabile in sede concorsuale" e a stimare "il trattamento che ciascuna categoria di azionisti e creditori riceverebbe se l'ente fosse liquidato secondo la liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal Testo Unico Bancario o altra analoga procedura concorsuale applicabile" (art. 24, co. 5°). Ha, quindi, una importanza fondamentale nel definire l'entità e il grado di partecipazione al bail-in da parte dei creditori e nel garantire il rispetto del principio NCWO. La valutazione prevista dall'art. 23 del d. lgs. 180/2015 ha, però, anche la funzione di definire le condizioni che rendono legittimo l'intervento del fondo di risoluzione che, pur essendo tale fondo formato dai contributi delle banche, poiché questi contributi sono obbligatori, è considerato un aiuto di stato. Il fondo, infatti, può contribuire al ripianamento delle perdite e alla ricapitalizzazione dell'ente sottoposto [...]


5. La par condicio creditorum nella procedura di risoluzione

Ritengo corretta la tesi che riconosce alla procedura di risoluzione natura concorsuale. Vi sono una serie di indici normativi che la confermano[20], anche se la finalità della procedura non è la soddisfazione dei creditori, ma è il perseguimento degli obiettivi di pubblico interesse individuati dall'art. 21, tra i quali in particolare "la continuità delle funzioni essenziali" dell'ente e la stabilità finanziaria. La concorsualità si evidenzia, in particolare, nell'affermazione del principio per cui "gli azionisti e i creditori aventi la stessa posizione nell'ordine di priorità applicabile in sede concorsuale ricevono pari trattamento e subiscono le perdite secondo l'ordine medesimo" (art. 22, co. 1°, lett. b), ribadito dall'art. 52, co. 2°, lett. a) dove si afferma che le misure di assorbimento delle perdite e di conversione in capitale in sede di risoluzione sono disposte "in modo uniforme nei confronti di tutti gli azionisti e i creditori dell'ente appartenenti alla stessa categoria, proporzionalmente al valore nominale dei rispettivi strumenti finanziari o crediti, secondo la gerarchia applicabile in sede concorsuale e tenuto conto delle clausole di subordinazione". Tuttavia, nell'ambito della procedura di risoluzione il rispetto della par condicio creditorum non è assoluto, ma incontra una serie di deroghe che trovano giustificazione nelle finalità di pubblico interesse che s'intendono perseguire le quali prevalgono sull'interesse dei creditori. E' lo stesso art. 22, lett. b) a prevedere la derogabilità della regola della parità di trattamento stabilendo che essa si applica "salvo che sia diversamente previsto dal presente decreto". E la deroga è espressamente menzionata anche nel sopracitato art. 52, co. 2°, lett. a) con riferimento a quanto previsto dall'art. 49, co. 1° e 2° che, come richiamato in precedenza, elencano i crediti esclusi dal bail-in per legge o per decisione della Banca d'Italia nella sua veste di autorità di risoluzione. Ne consegue, in particolare per quanto riguarda le passività escluse ai sensi del 2° comma dell'art. 49, che le stesse "possono ricevere un trattamento più favorevole rispetto a quello che spetterebbe a passività ammissibili dello stesso grado, secondo la liquidazione coatta amministrativa disciplinata dal Testo Unico bancario o altra analoga procedura concorsuale"[21]. In [...]


6. Qualche breve considerazione conclusiva

Il principio ispiratore della BRRD, che chiama azionisti e creditori a contribuire al risanamento dell'impresa bancaria, risponde ad una logica coerente con la normativa comunitaria in materia di concorrenza e di aiuti di stato e non può oggettivamente considerarsi come un fattore di sfiducia e di instabilità del sistema finanziario, se non sulla base di un preconcetto, retaggio di una esperienza passata, non più riproducibile in futuro, che escluda la possibilità del fallimento di una banca. Pur considerando le ripercussioni che il dissesto di una banca può avere nel contesto economico in cui opera, non essendo più percorribili quelle soluzioni "privatistiche" che la moral suasion dell'Autorità di vigilanza ha permesso di adottare in passato[24], in assenza dei presupposti che giustificano un intervento pubblico preventivo, la procedura di risoluzione, nella forma più attenuata del burden sharing limitato alle azioni, alle partecipazioni e agli strumenti di capitale computabili nei fondi propri e in quella più grave del bail-in, costituisce l'unica alternativa alla liquidazione che, inevitabilmente coinvolge tutti i creditori, con la sola eccezione dei depositi garantiti. Poiché non è pensabile (e non corrisponde al vero) che qualsiasi dissesto bancario sia tale da provocare un grave turbamento nell'economia di uno Stato e da mettere in pericolo la stabilità del suo sistema finanziario giustificando l'intervento pubblico ai sensi dell'art. 107, par. 3, lett. b) TFUE o la capitalizzazione precauzionale di cui all'art. 32, co. 4°, lett. d) BRRD (e all'art. 18, d. lgs. 180/2015), la procedura di risoluzione costituisce un opportuno strumento di superamento della crisi, più efficiente rispetto alla liquidazione, destinato ad applicarsi soprattutto alle banche la cui attività non presenta un rilievo sistemico. D'altra parte, non si può negare che l'ampio ricorso agli aiuti di stato autorizzato dalla Commissione nel periodo tra il 2008 e la prima metà del 2013 ha certamente prodotto una distorsione sul piano concorrenziale - che le misure correttive adottate non sono state in grado di limitare adeguatamente - accentuate dalla diversa capacità di intervento a sostegno del proprio sistema bancario consentita dalla situazione dei conti pubblici dei singoli Stati. Tuttavia, nel sistema delineato della BRRD e nelle modalità con cui se [...]


NOTE