Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
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Crisi finanziaria, struttura dell'impresa, corporate governance. (di Paolo Montalenti)


Il presente lavoro si propone, da un lato, di individuare e ordinare, in modo graduato, le cause della recente crisi finanziaria e di cogliere, dall’altro, le interrelazioni tra le stesse.

In particolare, dopo aver esplorato il tema dell'interesse sociale, evidenziando la necessità di procedere ad una sua rimeditazione, nonché l’annoso tema dei controlli interni, l’Autore formula alcune ipotesi di rivisitazione della materia relativamente alle società quotate, sulle quali è opportuno riflettere.

The paper is essentially aimed at identifying and putting the causes of the recent financial crisis in the correct order, on the one side, and at understanding the correlation among them, on the other.

In particular, after examining the theme of the interest of the company, especially by focusing on the need to reconsider the abovementioned interest, and the central theme of internal control systems, the Author proposes some significant modifications to the regulation of listed companies, on which it is opportune to meditate.

Keywords: Financial Crisis, Corporate Interest, Internal Control System

Se volessimo stilare una semplice "tabella" per punti1 potremmo ordinare le cause della crisi come segue:

  • (i)    la crisi dell'idea dello Stato mero regolatore esterno del mercato;
  • (ii)    le carenze nel controllo delle banche sul merito di credito;
  • (iii)    la crisi del modello originate - to - distribute;
  • (iv)    il mancato coordinamento tra controllo dei mercati e controllo di politica economica;
  • (v)    i conflitti di interessi delle agenzie di rating;
  • (vi)    le carenze dei controlli da parte dei Regulators, anche soltanto di trasparenza, sull'emissione di titoli;
  • (vii) l'eccessivo utilizzo della leva finanziaria (in particolare negli Stati Uniti);
  • (viii) la crisi della concezione dell'impresa fondata sul paradigma dello shareholder value e su prospettive short-term;
  • (ix) l'uso distorto e distorsivo dei sistemi di remunerazione degli amministratori fondati sulla c.d. creazione di valore per gli azionisti;
  • (x)  le carenze dei sistemi di Corporate Governance in senso stretto;
  • (xi)    la necessità  di revisione dei sistemi di controllo.

Il dibattito si è sinora concentrato soprattutto sul salvataggio del sistema bancario (che, attraverso forme differenziate, ha imposto un costo complessivo di circa 1.700 miliardi di Euro); sui c.d. titoli tossici; sulla necessità di creare un'istanza sovranazionale di vigilanza dei mercati a livello europeo o, secondo alcuni, addirittura mondiale.

E' interessante però sottolineare come uno dei rapporti più accreditati sulla crisi - il Rapporto Larosière - al Capitolo dedicato alla Corporate Governance, apra con un'affermazione netta: "This is one of the most important failures of the present crisis".

Un primo elemento critico è - sempre secondo il rapporto citato - l'insufficiente "consideration for the long-term interest of its stakeholders".
Già prima del caso Enron criticai la teoria dello shareholder value come paradigma dell'agire degli amministratori. Inevitabile l'incentivo ad operare più sulle quotazioni di borsa - anche a costo di politiche di bilancio o elusive o scorrette o decisamente fraudolente - e a trascurare totalmente una visione dell'impresa come organizzazione complessa (di là da ogni più specifica e puntuale opzione teorica), irriducibile alla mera aspettativa degli azionisti alla lievitazione dei corsi di borsa.
Sul punto sono ipotizzabili significative proposte regolatorie, ma la "tecnicalità" delle singole misure non può non essere inquadrata in un più solido e ampio contesto teorico.

Il primo tema da esplorare è, appunto, il tema dell'interesse sociale, che deve essere rimeditato alla luce: (i) della "costituzione materiale" dell'impresa; (ii) dell'evoluzione normativa; (iii) dell'evoluzione autoregolatoria; (iv) degli sviluppi teorici che superano, a me pare, antiche preclusioni e pregiudizi ideologici.
Vorrei svolgere alcune sintetiche considerazioni sui singoli
punti.

A partire dagli anni '70 il sistema impresa si articola, sotto il profilo dell'assetto dialettico degli interessi sottesi, in due periodi nettamente distinti.
La prima fase, che termina verso la metà degli anni '80, è segnata dal dibattito sulla democrazia industriale nelle sue diverse declinazioni, dalle esperienze più nettamente codeterminative (Germania, Austria, Olanda) alle esperienze di compartecipazione conflittuale (si pensi alla Francia, all'Inghilterra, all'Italia).
Tematica rimasta poi confinata de residuo nelle Direttive Europee sull'informazione del lavoratori e ridotta in chiave di attuazione minimalista: si pensi allo Statuto della società europea oppure agli obblighi di informazione sui riflessi sull'occupazione in caso d'offerta pubblica di acquisto, introdotti in attuazione della XIII Direttiva (cfr. art. 103 comma 3-bis T.U.F., introdotto con il d.lgs. 19 novembre 2007, n. 229).

Dagli inizi degli anni '90 il focus si sposta nettamente verso la tematica della Corporate Governance, dei diritti delle minoranze, dell'attivismo degli investitori istituzionali.
Con un effettivo allineamento progressivo - dagli strumenti di tutela delle minoranze agli istituti di autoregolamentazione (Codici di Autodisciplina, Audit, Nomination, Remuneration Committees) al ruolo degli amministratori indipendenti - dei principali ordinamenti europei.
Ma con non pochi problemi aperti su cui ritornerò poco oltre.
Sicuramente si può dire che la tematica della Corporate Governance apre la strada ad una concezione "allargata" dell'impresa e dell'interesse sociale.

Un aspetto significativo è costituito dall'approccio innovativo della Corporate Social Responsibility.
Il tema è realmente troppo complesso per poter essere trattato in poche battute.
Personalmente sono convinto che la contrapposizione tra istituzionalismo e contrattualismo debba ritenersi superata e che debba oggi affermarsi una concezione dialettica - nel senso tecnico del termine - dell'interesse sociale come composizione tra interessi degli azionisti e interessi degli stakeholders (e cfr. Costi, Libertini). Questa concezione dell'impresa (e dell'interesse sociale) emerge con diversità di declinazioni e di accenti in numerose legislazioni, dal Companies Act inglese alle legislazioni statali statunitensi, in particolare in materia di antitakeover defenses, al Corporate Law australiano.
L'art. 103, comma 3 bis T.U.F., sopra ricordato, impone ora anche in Italia che il comunicato degli amministratori della target sul takeover deve precisare quali "effetti ... l'eventuale successo dell'offerta avrà sugli interessi dell'impresa".
Responsabilità sociale dell'impresa e codici di autodisciplina costituiscono poi il paradigma del mutamento negli obiettivi e negli strumenti.

Se nella letteratura mondiale la tematica del cambiamento verso il c.d. Multi - Stakeholders approach è un assunto condiviso da molti, un punto è rimasto sinora non sufficientemente esplorato: si tratta della questione della misura concreta del contemperamento tra interessi configgenti, in tutte le diverse possibili variazioni in cui esso può presentarsi [Shareholders vs. stakeholders (as a whole); shareholders and creditors vs. workers; long term /short term view ecc...]
Un'ipotesi interessante da esplorare è l'indicazione per un approccio procedurale anziché contenutistico (cfr. Denozza) e cioè l'introduzione di un sistema di regole di disclosure (il cui perimetro è da definire) sul processo che ha condotto alla decisione di impresa attraverso la valutazione dei diversi interessi.
Il risultato, realistico e non agiografico o apodittico, può essere quello di garantire la tracciabilità delle decisioni, la verificabilità dell'esercizio della discrezionalità tecnica di valutazione degli interessi da parte degli amministratori, la controllabilità delle scelte gestorie.

Il tema dei controlli interni pare a me nettamente più ri- levante della questione dei compensi agli amministratori che pure ha focalizzato forti attenzioni in tutti gli ordinamenti [come è noto da noi affidati all'approvazione assembleare e a obblighi di disclosure: art. 114-bis T.U.F. (ex d.lgs. 29 dicembre 2006, n. 303)]. "Corporate governance is one of the most important failures of the present crisis"; "risk monitoring and management practices within financial institutions have dramatically failed in the crisis", si legge nel Rapporto Larosière4.

Il sistema dei controlli: una revisione necessaria. - Si è detto infatti che il mondo dei controlli è oggi un "reticolo", non un "sistema".
Collegio sindacale, comitato audit, società di revisione, dirigente preposto ai documenti contabili, preposto al sistema di controllo interno, organismo di vigilanza: funzioni, rapporti interorganici, coordinamento complessivo non sono chiaramente delineati.
La materia richiede un ripensamento sistematico per (i) eliminare le vere e proprie sovrapposizioni; (ii) disciplinare il coordinamento tra organi con funzioni condivise, ove si reputi che la coimputazione conduca a sinergie positive; (iii) disciplinare i rapporti tra organi societari e organismo di vigilanza; (iv) rendere equivalenti le istanze di controllo nei diversi modelli di governance.
E' necessaria altresì una revisione sistematica delle partizioni concettuali tradizionali (controllo di legalità, controllo di legalità sostanziale, controllo di merito).

Il controllo di merito spetta ai soci nei confronti del consiglio di amministrazione e a quest'ultimo, come plenum, nei confronti dei delegati. Si tratta di un controllo in forma di potere di indirizzo, di condizionamento di opposizione (con la revoca dell'amministratore o della delega) non già di sorveglianza e verifica in funzione di eventuali iniziative sul terreno della responsabilità.
Infatti il merito della gestione, e cioè il contenuto delle scelte manageriali, è assistito - il punto è pacifico anche nel nostro ordinamento - dalla c.d. business judgement rule: le operazioni gestorie degli amministratori non sono sindacabili, né dal collegio sindacale, né dal comitato audit, né dai revisori, né dal giudice se non in caso di manifesta irrazionalità oppure di palese assenza di procedimenti di valutazione dei profili economici, finanziari, tecnici dell'operazione.
L'altro profilo del controllo è il controllo sull'adeguatezza degli assetti organizzativi e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione (cfr. art. 2381, comma 3°, art. 2403, comma 1°, art. 149, comma 1° t.u.f.; art. 149, comma 4-bis e comma 4-ter, t.u.f.), controllo affidato, con compiti differenziati, sia all'organo di gestione come plenum sia all'organo di controllo.
In conclusione, la partizione pare oggi potersi schematizzare in
(i) controllo di merito; (ii) controllo di adeguatezza organizzativa; (iii) controllo di correttezza gestionale; (iv) controllo di legalità.
Ed è allora nell'ambito di questo paradigma concettuale che l'assegnazione delle funzioni ad uno più organi deve essere ripensata, interrogandosi se (i) debba trattarsi di competenza da assegnarsi ad un unico organo oppure (ii) da imputarsi a più organi in un'ottica "policentrica" (iii) oppure invece da razionalizzarsi con più precise attribuzioni di competenze e con specifiche regole di coordinamento.

Il coordinamento tra gli organi di controllo: un problema aperto. - L'intensificarsi e l'espandersi del "reticolo" dei controlli solleva numerosi interrogativi. E' stato davvero raggiunto un punto di equilibrio tra necessità di prevenire (irregolarità contabili e fiscali, conflitti di interessi, abusi di maggioranza, false informazioni al mercato ecc.) e rischio di imporre alle imprese vincoli o costi eccessivi?
In effetti regole insufficienti in materia di controlli alterano il corretto funzionamento dei mercati, ma regole eccessivamente severe rischiano di rivelarsi comunque inidonee ad impedire qualsiasi "devianza" e contemporaneamente in grado o di stimolarne l'elusione o di incidere negativamente sull'efficienza e la redditività dell'impresa: l'esperienza, oggi oggetto di profonde rimeditazioni, del Sarbanes-Oxley Act è significativa.
Ed ancora: si sono create sinergie positive o prodotte invece sovrapposizioni e/o duplicazioni? Gli operatori si chiedono, infine, come coordinare l'intero meccanismo (sindaci, revisori, amministratori indipendenti, amministratori di minoranza, leading indipendent director, comitato audit, responsabile dei documenti contabili, organismo di vigilanza, preposto al controllo interno, ecc.). E il problema si acuisce nei settori vigilati - banche e assicurazioni - ove si aggiungono le norme speciali, primarie e secondarie, e le Istruzioni dell'Organo di vigilanza.

Controlli diretti e controlli indiretti: un punto critico. - Dall'esame della complessa e articolata disciplina del "reticolo" dei controlli, oltre ai profili critici già analizzati, derivanti, in particolare, dall'eccesso di competenze concorrenti e dalle vere e proprie sovrapposizioni di funzioni, si deve altresì segnalare che il "sistema" si fonda ormai sulla netta prevalenza dei controlli indiretti sui controlli diretti.
Ciò deriva, è indubbio, anche dalla oggettiva complessità della grande impresa moderna nella quale il potere, sia pure gerarchicamente organizzato, è fortemente articolato e diffuso, per cui ben si può affermare che anche la "direzione suprema degli affari" si estrinseca, da un lato, in linee direttrici generali, dall'altro nella verifica dell'efficienza e dell'efficacia dell'azione di altri soggetti (organi delegati, alta dirigenza, managers, responsabili di settore, amministratori di società controllate, ecc.).
Analogo fenomeno si verifica nelle procedure di controllo per cui molte istanze procedono non già ad atti di ispezione e di vigilanza diretta, bensì ad atti di accertamento presso le "istanze inferiori", volte a verificare il corretto svolgimento delle procedure di controllo e l'adeguatezza degli assetti organizzativi, di cui le procedure stesse sono parti integranti. L'amministratore delegato riceve i report del preposto al sistema di controllo interno, questi le informazioni dai propri sottoposti, il consiglio di amministrazione - per effettuare la valutazione di adeguatezza - le "attestazioni di conformità" dagli organi delegati, "validate" dal preposto al controllo interno e dal collegio sindacale (che sugli assetti organizzativi deve vigilare con atti di ispezione sì ma, anch'esso, prevalentemente, attraverso un'attività di sorveglianza indiretta).

In conclusione il sistema si presenta come una sorta di "piramide rovesciata" che ricomprende l'insieme delle funzioni di controllo indiretto e che poggia sul vertice, anch'esso rovesciato, dei controlli diretti su cui si regge, in definitiva, l'intera architettura.
Difficile dire se la materia debba essere in qualche modo regolata in via normativa: certo è però che il sistema presenta una evidente fragilità, in quanto se i controlli diretti (i cosiddetti "controlli di linea") dovessero fallire, l'intero sistema dei controlli si troverebbe ad essere inefficace. In altre parole: i controlli indiretti, proprio perché molteplici articolati e diffusi, contengono in sé maggiori risorse di feedback e quindi di "autocorrezione"; i controlli diretti, se non opportunamente presidiati, ad esempio con l'istituzione di "controllori dei controllori", i quali verifichino, periodicamente ma sistematicamente e direttamente, che i controlli diretti siano effettuati e che siano effettuati in modo adeguato, rischiano di minare la solidità e l'efficacia dell'intero sistema.
Un problema che la sovrapposizione di funzioni di controllo indiretto, di cui si è detto, può certamente acuire.

Ipotesi di lavoro per una semplificazione. - Immaginare soluzioni non è semplice. Nel rivisitare la materia bisogna anche evitare di gettare a mare i risultati di un percorso lungo e complesso attraverso il quale il nostro legislatore ha voluto, peraltro in sintonia con l'evoluzione dei principali ordinamenti, costruire un sistema di controlli articolati e pervasivi di cui società e mercati certamente necessitano per il loro ordinato funzionamento. Si tratta allora di ipotizzare interventi correttivi e non totali inversioni di rotta. Una linea che potrebbe essere percorsa è quella, a mio parere, di individuare le vere e proprie duplicazioni che rischiano di creare, effettivamente, conflitti di competenza negativa.

Il compito non è facile. La stessa espressione "controllo" è ormai difficile da decifrare, perché è utilizzata per indicare concetti e funzioni assai diversi: dall'influenza dominante su di una società controllata alla valutazione di merito delle scelte gestionali; dalla verifica di legalità al giudizio di correttezza istruttoria e procedurale; dal controllo preventivo sull'idoneità delle procedure e degli assetti organizzativi adottati al controllo successivo sul concreto funzionamento degli stessi; dalla vigilanza diretta sull'operatività delle funzioni d'impresa alla vigilanza indiretta effettuata attraverso l'assunzione di informazioni. Le categorie stesse - controllo di legalità, di legalità sostanziale, di correttezza contabile, di correttezza amministrativa, di efficacia, di efficienza, di merito - dovrebbero dunque essere rimeditate.
Anche la compresenza di organi affini - ad esempio comitato audit e collegio sindacale - potrebbe essere messa in discussione. A mio avviso si deve piuttosto lavorare in una diversa direzione: tentare di eliminare o, quanto meno, ridurre le sovrapposizioni di competenze o, quanto meno, le duplicazioni di funzioni.

Proposte per un dibattito - Formulo sinteticamente alcune ipotesi di rivisitazione della materia relativamente alle società quotate, prescindendo, allo stato, dalla questione se i problemi debbano trovare una soluzione in via normativa, di autodisciplina o di interpretazione condivisa:

  • (i)    circoscrivere il controllo del collegio sindacale al controllo di legalità sostanziale, escludendo espressamente il controllo sulla contabilità e sui bilanci, il controllo sul merito delle scelte, il controllo sulla correttezza della gestione;
  • (ii)    confermare l'attribuzione al consiglio di amministrazione come plenum della funzione di controllo sul merito della gestione da parte degli organi delegati;(iii) attribuire soltanto al comitato audit il controllo sulla correttezza della gestione e sulla adeguatezza delle procedure interne;
  • (iv)    limitare, in materia di procedure, la funzione del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari alla predisposizione di adeguate procedure amministrative e contabili per la formazione dei bilanci;
  • (v) affidare invece alla società di revisione, oltreché, ovviamente, il controllo dei conti, la verifica di adeguatezza delle procedure stesse;
  • (vi)    attribuire al sistema di controllo interno la verifica sul rispetto effettivo delle procedure amministrative e contabili (oggi assegnato al dirigente preposto) e sulle procedure interne, in senso ampio;
  • (vii) assegnare espressamente all'ODV poteri circoscritti alla verifica delle sole procedure relative alla prevenzione degli specifici reati che nella specifica società potrebbero essere compiuti, con esclusione delle competenze di controllo sulla sicurezza già affidate ai soggetti competenti ai sensi della L. 626/1996 e s.m.;
  • (viii) nel modello dualistico prevedere che lo statuto debba stabilire le funzioni di alta direzione attribuite al consiglio di sorveglianza; introdurre l'obbligo di istituire il comitato audit nell'ambito di questo organo; statuire espressamente che i rapporti tra consiglio di gestione e consiglio di sorveglianza siano disciplinati da un regolamento interno.

Si tratta, come è ovvio, di ipotesi di lavoro su cui riflettere: ciò che è sicuro è che semplificazione e razionalizzazione sono esigenze da tutti avvertite come non più differibili.

Non v'è dubbio che i problemi qui accennati trascendono, in qualche misura, la crisi finanziaria in atto perchà© coincidono con un'istanza di carattere più generale di verificabilità  della correttezza dei sistemi di funzionamento dell'impresa nel contesto dei mercati finanziari.
E' certo tuttavia che la crisi finanziaria ha posto drammaticamente in luce come un sistema efficace ed efficiente di Corporate Governance - inteso come insieme appropriato di procedure
idonee alla rilevazione delle criticità , di meccanismi adeguati di feedback, di corretta rilevazione contabile, di equilibrato presidio delle situazioni di conflitto di interesse, di ponderata composizione degli interessi nel consiglio di amministrazione - è l'antecedente logico necessario per una corretta rappresentazione dei valori d'impresa nei mercati finanziari e per un conseguente ordinato funzionamento dei meccanismi di formazione dei prezzi.
Ogni segmento della realtà  sempre più complessa dell'ordinamento capitalistico ha le sue specificità  - di problemi e di tecniche di regolazione - ma di là  dalla necessità  di ordinare e collegare i diversi tasselli ordinamentali (nuova regolazione degli strumenti finanziari; disciplina degli intermediari; nuove regole per agenzie di rating, revisori, banche di collocamento; regole più stringenti sulla vigilanza), resta a mio parere prioritario concentrare l'attenzione sulla Corporate Governance interna alla grande impresa per proseguire il cammino verso la trasparenza e la correttezza gestionale.
Un percorso che sia ispirato ad obiettivi di semplificazione, maggiore efficienza ed equilibrato compromesso tra necessità  di vigilanza da un lato, dinamicità  della gestione dall'altro lato; nell'esigenza, in altri termini, di un monitoring reale, tempestivo ed efficace, ma anche di un agire d'impresa che corra il rischio di mercato e non pretenda di sacrificare l'iniziativa imprenditoriale sull'altare del "proceduralismo" di maniera.