L’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato un’offensiva nei confronti delle cooperative di radiotaxi che adottano regole e comportamenti volti a dissuadere i propri soci dall’aderire alle nuove piattaforme digitali di smistamento delle chiamate. Ha così condannato le intese verticali tra cooperative di tassisti nei mercati di Roma e Milano e avviato procedimenti per abuso di posizione dominante e intese orizzontali in altri contesti territoriali. Lo scritto prende spunto dai procedimenti in questione, per svolgere osservazioni sul conflitto tra cooperative e Mytaxi e sulla tutela della concorrenza tra piattaforme e di quella tra tassisti, alla luce del diritto antitrust, della disciplina delle cooperative e di quella in materia di trasporto pubblico locale di persone mediante taxi.
The Italian Antitrust Authority has launched an offensive against radiotaxi cooperatives that adopt rules and behaviors aimed at deterring their members from adhering to the new digital call sorting platforms. The IAA thus condemned the vertical agreements between taxi drivers’ cooperatives in the markets of Rome and Milan and initiated proceedings for abuse of a dominant position and cartelization in other territorial contexts. annulled the decisions on vertical agreements. The paper takes cue from the aforementioned proceedings, in order to make observations on the conflict between the cooperatives and Mytaxi and on the protection of competition between platforms and that between taxi drivers, in the light of antitrust law as well as of the regulation of cooperatives and that providing in the field of local public transport of people by taxi.
KEYWORDS: antitrust law – taxi services – digital platforms – anticompetitive agreements
CONTENUTI CORRELATI: diritto della concorrenza - servizio taxi - piattaforme digitali - accordi restrittivi
1. Le istruttorie dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato sulle cooperative di radiotaxi. - 2. La concorrenza tra piattaforme nel contesto conflittuale del mercato del trasporto a mezzo taxi. - 3. La vicenda Mytaxi nelle giurisprudenze austriaca e tedesca. - 4. Concorrenza tra piattaforme e concorrenza tra tassisti. Forme giuridiche dell'esercizio dell'attività di trasporto. - 5. Caratteristiche e natura giuridica delle clausole restrittive adottate dalle cooperative di radiotaxi. - 6. Illegittimità per oggetto o per effetto delle clausole di non concorrenza. - 7. Giustificabilità del ricorso a clausole specificamente anticoncorrenziali? Valutazione antitrust dei divieti di concorrenza e disciplina delle cooperative. - 8. Le cooperative di produzione e lavoro - NOTE
Tra il 2018 e l’inizio del 2019, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato quattro istruttorie volte ad accertare la contrarietà alla normativa antitrust delle azioni intraprese dalle cooperative di radiotaxi per contrastare l’affermarsi di imprese, in primis Mytaxi Italia s.r.l., offerenti piattaforme di smistamento delle chiamate dei taxi alternative a quelle utilizzate nell’ambito delle medesime cooperative.
Le istruttorie coprono praticamente tutte le fattispecie del diritto antitrust, avendo ad oggetto ora intese, sia orizzontali, sia verticali, ora l’abuso di posizione dominante.
I due primi procedimenti, riguardanti la maggiori cooperative di radiotaxi operanti a Roma e Milano si sono già conclusi con due provvedimenti gemelli, deliberati il 27 giugno 2018 [1]. Con essi, l’Autorità ha ritenuto che le cooperative abbiano posto in essere intese verticali con i propri soci, soci in formazione e tassisti non soci, che utilizzano i loro servizi su base contrattuale, nel “mercato della raccolta e dello smistamento della domanda del servizio taxi”. Tali intese si sostanziano nella “previsione, negli atti che disciplinano i rapporti tra le predette società e i tassisti aderenti, di clausole che individuano specifici obblighi di non concorrenza” e sono state dichiarate illegittime perché “nel loro insieme […], sono suscettibili di produrre effetti anticoncorrenziali impedendo od ostacolando l’ingresso sul mercato di nuovi operatori”.
Accertata l’infrazione, l’Autorità ha ritenuto le intese non gravi e di breve durata. Non ha pertanto irrogato alcuna sanzione pecuniaria, ma solo disposto l’inibitoria.
I provvedimenti sono stati impugnati dalle cooperative e il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, dopo averli sospesi in via cautelare, li ha annullati [2].
Il 10 ottobre 2018 l’Autorità ha avviato un’istruttoria, stavolta per abuso di posizione dominante, nei confronti della Società Cooperativa Taxi Torino [3]. Questa, sempre a seguito dell’ingresso della piattaforma Mytaxi nel mercato cittadino e dell’adesione ad essa di alcune decine di propri soci, ha inserito nello statuto – nel quale era già presente un generico divieto di concorrenza riproduttivo dell’art. 2527, secondo comma, c.c. – una clausola che prevede specificamente l’esclusione del tassista il quale, “pur rimanendo socio della cooperativa, aderisca ad altro soggetto titolare o gestore di diverso sistema tecnologico di intermediazione tra domanda e offerta del servizio taxi o, comunque, ne utilizzi le prestazioni” [4]. L’Autorità ha adottato misure cautelari ai sensi dell’art. 14-bis della l. n. 287/1990 [5], ordinando alla cooperativa di “sospendere l’applicazione della clausola di cui all’articolo 14.2, lettera f) dello Statuto nelle more della decisione di merito”.
Il 13 febbraio 2019 l’Autorità ha avviato un’ulteriore istruttoria nei confronti di quattro cooperative napoletane di radiotaxi, contestando loro un’intesa orizzontale: le cooperative avrebbero concordato strategie comuni al fine di dissuadere i soci, anche con la minaccia di sanzioni (fino a quella dell’esclusione), dall’aderire alle piattaforme aperte (nel caso di specie, oltre alla solita Mytaxi, Digitaxi, che gestisce una analoga piattaforma digitale, disponibile a Napoli, Sorrento e Ischia) [6].
Come detto, i provvedimenti adottati nei confronti delle cooperative romane e milanesi non hanno retto al vaglio del giudice amministrativo di primo grado. Il T.A.R. Lazio ha, in particolare, censurato difetti di istruttoria e di motivazione in relazione a diversi profili, che vanno dalla stessa configurazione della fattispecie di illecito, all’individuazione del mercato rilevante, all’applicazione del test per la valutazione degli effetti delle intese, alla prova di tali effetti [7].
Nel caso del radiotaxi torinese, il T.A.R. Lazio, che aveva sospeso il provvedimento cautelare dell’Autorità [8], ha infine rigettato il ricorso della cooperativa [9]. È interessante rilevare che il giudice amministrativo, nel percorso argomentativo che lo ha condotto a ritenere la sussistenza del fumus boni iuris alla base del provvedimento dell’Autorità, ha rivisto talune valutazioni già espresse nella sentenza di annullamento dei provvedimenti sui radiotaxi romano e milanese in materia di mercato rilevante. Pur formulando un invito all’Autorità ad approfondire tale aspetto nel prosieguo dell’istruttoria, ha, infatti – ad avviso del sottoscritto, correttamente – ritenuto che le app digitali di smistamento delle chiamate, sia dal punto di vista dell’utente, sia da quello del tassista, siano fungibili con il radiotaxi, costituendo dunque con esso un unico mercato del prodotto.
Nel presente lavoro, che vuole andare al di là di un mero commento ai provvedimenti dell’Autorità e alle relative sentenze del giudice amministrativo, si terrà in larga prevalenza conto delle istruttorie sui radiotaxi romani e milanesi (e dei vizi che in esse ha ritenuto di individuare il giudice amministrativo). Queste, infatti, oltre ad essere le sole già concluse, riguardano una fattispecie antitrust di valutazione complessa per definizione, quale quella delle intese verticali. Arduo è, infatti, dubitare che costituisca abuso di posizione dominante la condotta di una cooperativa che associa il 90% dei tassisti operanti sulla piazza comunale, che operi, con proprie disposizioni adottate ad hoc e concreta applicazione di sanzioni ai disobbedienti, in modo da contrastare un new entrant nel mercato dello smistamento della domanda di taxi (caso torinese); o che violi il divieto delle intese l’accordo orizzontale tra cooperative di radiotaxi volto a conseguire il medesimo risultato (caso napoletano).
Di fronte all’esito – almeno per il momento – negativo del riesame giudiziale, diviene anche utile indagare sulla possibilità di un approccio alternativo a quello scelto dall’Autorità. Secondo lo scrivente, infatti, al di là delle insufficienze che possono avere caratterizzato in concreto l’azione intrapresa, condivisibile è il tentativo di aprire spazi alla concorrenza nel mercato del trasporto a mezzo taxi, sia pure nei limiti attualmente consentiti dalla regolamentazione piuttosto restrittiva che lo caratterizza. Come si vedrà, la valutazione non è fondata esclusivamente su considerazioni interne al diritto antitrust, ma anche sull’osservazione del contesto legislativo in cui oggi si svolge l’attività in questione.
All’origine di tutti i procedimenti, conclusi e in corso, vi sono segnalazioni di Mytaxi Italia s.r.l., società del gruppo automobilistico Daimler AG, nata nel 2009, la quale ha sviluppato un’applicazione (di recente ridenominata Free Now) per smartphone o tablet, che consente al cliente in cerca di un taxi di individuare quello più prossimo, tra quanti aderiscono alla piattaforma, indirizzandogli la richiesta del servizio. La app consente anche il pagamento della corsa e la formulazione di un giudizio sul servizio ricevuto. L’attività di intermediazione di Mytaxi viene remunerata in misura percentuale sul compenso pagato al tassista dal cliente.
Il modello, che annovera ormai numerosi esempi, è quello delle cd. imprese-piattaforma, le quali intermediano nella prestazione di servizi su base decentrata, mettendo in contatto peer to peer domanda e offerta di un servizio. Mytaxi, dal punto di vista economico, è definibile come matchmaker (o anche multisided platform) [10].
Per gli utenti, tale tecnica di reperimento dei taxi si pone attualmente come parallela a quelle tradizionali, e cioè la chiamata telefonica ad una centrale radiotaxi operante nel territorio comunale o il contatto diretto con taxi in sosta negli appositi parcheggi o in transito.
Dai provvedimenti – e dalle istruttorie attualmente in corso – emerge una strenua resistenza delle cooperative di radiotaxi all’introduzione di sistemi di intermediazione tra utenti e tassisti alternativi a quelli da esse gestiti, che investe anche modalità più tradizionali di smistamento della domanda, come il numero telefonico unico, messo a disposizione dalle amministrazioni comunali. Caratteristica che accomuna tali piattaforme – pur basate su strumenti tecnologici radicalmente differenti – è la trasversalità: sono cioè piattaforme “aperte”, in quanto non offrono il servizio a soggetti affiliati, bensì a tutti i tassisti operanti nel territorio comunale che desiderino aderire al sistema, siano o meno essi già soci o partner contrattuali di cooperative o utilizzatori anche di altri sistemi di intermediazione. Tale resistenza non può spiegarsi se non si comprende la natura essenziale del conflitto, in un contesto di trasformazione di un mercato certamente ingessato dalla presenza di norme particolarmente restrittive per l’esercizio dell’attività di trasporto, ma nel quale l’innovazione tecnologica appare in grado di introdurre non irrilevanti spazi di concorrenza.
Lo scontro accesosi intorno alla questione dello smistamento della domanda di taxi si inserisce, infatti, in un contesto già caratterizzato da elevata conflittualità. La criticità concorrenziale rispetto alla quale l’Autorità è intervenuta non riguarda però profili attinenti alla possibile (sperata o paventata, a seconda dei punti di vista) liberalizzazione del mercato del TPL di persone non di linea [11]. La questione affrontata non ha cioè nulla a che vedere con lo scontro da tempo in corso tra soggetti abilitati all’esercizio dell’autotrasporto di persone, ai sensi della l. 15 gennaio 1992, n. 21, legge quadro per il trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea e aspiranti all’esercizio libero delle relative attività. Scontro a tutto campo, questo, che vede, per un verso, i tassisti contrapporsi agli esercenti il servizio di noleggio con conducente (NCC) e, per un altro, entrambe le categorie alleate contro Uber, anch’essa impresa-piattaforma (ma anche espressione della sharing economy [12]), la cui peculiarità è quella di mettere in contatto i clienti con autisti non professionisti. Uber è stata perciò considerata dalla giurisprudenza europea come impresa offerente sia “servizi della società dell’informazione”, ai sensi dell’art. 56 TFUE e delle direttive 2006/123/CEE e 2000/31/CE, sia “servizi di trasporto”, ai sensi dell’art. 58 TFUE [13], ed è perciò incorsa in censure di illiceità praticamente dinanzi a tutte le giurisdizioni europee che se ne sono occupate [14].
Pacifico è, per contro, che le piattaforme del tipo di Mytaxi – che consentono, appunto, il contatto della clientela con autisti già operanti con regolare licenza – siano fornitrici esclusivamente di servizi di information technology, che non sollevano alcun problema di contrasto con la legislazione vigente.
È appena il caso di osservare che il tema delle piattaforme di reperimento e chiamata dei taxi non tocca neppure la questione del numero degli operatori presenti sul mercato urbano. Nulla sposta, cioè, rispetto all’annosa controversia sull’assegnazione delle licenze, sul loro numero ottimale, sui soggetti che possono esserne titolari, sull’ambito territoriale di validità, ecc.
Tutti temi, quelli adesso elencati, sui quali l’Autorità, alla luce dell’attuale contesto normativo [15], non ha potuto spingersi al di là dell’esercizio dei propri poteri di advocacy, inviando una cospicua serie di pareri e segnalazioni al Parlamento, al Governo e a diverse amministrazioni locali [16]. Le istruttorie sui radiotaxi sono, infatti, le prime in assoluto avviate in questo settore nella quasi trentennale applicazione della legge antitrust in Italia.
Nei casi affrontati dall’Autorità la posta in gioco è rappresentata dal miglioramento e dalla razionalizzazione dei servizi effettivamente fruibili a condizioni immutate nel mercato del trasporto [17]. Tuttavia, è provando ad avanzare ipotesi sulle possibili evoluzioni indotte dal fenomeno Mytaxi nel contesto più generale del mercato del trasporto che si intuiscono le ragioni della preoccupazione destata dalle iniziative dell’Autorità. La creazione di un mercato libero dei servizi di smistamento delle chiamate parrebbe essere infatti avvertita, comunque, come insidiosa per la tenuta del fronte contrario a qualunque ipotesi di apertura alla concorrenza nel mercato del trasporto a mezzo taxi.
L’affermazione della libertà dei tassisti soci o utenti delle cooperative di fruire contemporaneamente di più piattaforme, infatti, asseconda inevitabilmente la propensione degli operatori più dinamici a valorizzare maggiormente gli aspetti individualistici dell’attività, con possibile indebolimento della dimensione collettiva della categoria. Questa oggi si esprime nell’aggregazione in cooperative che, come si vedrà meglio più avanti, pur essendo giuridicamente mere fornitrici di servizi (pochissime e di rilevanza marginale sono, nell’attuale panorama, le cooperative di produzione e lavoro, titolari dell’attività di trasporto, delle quali si dirà), in realtà tendono a condizionare pesantemente l’offerta dei servizi nel mercato del trasporto.
La svolta digitale nell’attività di smistamento della domanda pone le cooperative di radiotaxi di fronte ad un’evoluzione dagli esiti imprevedibili. Resistervi, continuando a puntare su uno strumento costoso e poco efficiente come il servizio di smistamento attraverso una centrale telefonica, significa scontare l’evidente gap economico e di capacità produttiva tra tale tipo di tecnologia e quella digitale. D’altro canto, la trasformazione in senso digitale rende impossibile perpetuare il controllo, fin qui incontrastato, dello smistamento della domanda di taxi e, attraverso di esso, l’attuale compartimentazione dell’offerta dei servizi di trasporto in monadi incomunicanti, che non soddisfa al meglio le esigenze dell’utente (e dei medesimi tassisti). Dal momento che il successo di una piattaforma di reperimento e chiamata dei taxi è decretato dagli effetti di rete (tanto più alto è il numero di tassisti che vi aderiscono, tanto più la clientela in cerca di un taxi sarà propensa ad utilizzarla prioritariamente, tanto maggiore sarà l’incentivo all’adesione di altri tassisti), pare evidente il vantaggio di cui godono soggetti, come Mytaxi, che operano in un contesto internazionale. Se, da un lato, essi, alla luce dell’attuale sistema di assegnazione delle licenze taxi su base comunale, si trovano a fronteggiare la concorrenza delle piattaforme digitali organizzate localmente su ciascuno dei mercati così territorialmente definiti [18], dall’altro, la loro diffusione fa sì che l’utenza proveniente dall’estero – o anche quella nazionale che si sposti fuori dal proprio comune –, reperisca i taxi attraversi la app che già si trova sul proprio strumento digitale.
Da qui, la “chiamata alle armi” delle cooperative contro la diffusione di tali piattaforme.
Posto, però, che i tentativi di scoraggiare l’accesso al mercato delle piattaforme digitali incorrono in criticità sotto il profilo del diritto antitrust, le cooperative non possono far altro che organizzarsi provando a creare proprie piattaforme digitali in grado di generare, a loro volta, network effects. Il che vuol dire sviluppare app comuni a più cooperative. Ciò è quanto sta effettivamente avvenendo, anche se, per il momento, in prevalenza, con accordi tra cooperative ubicate in comuni diversi. Le cooperative tendono cioè, a mantenere chiuse le proprie piattaforme, anche quando queste divengono digitali.
Sulla scia del prevedibile successo di Mytaxi, si assisterà dunque verosimilmente alla comparsa di altre piattaforme aperte. A quel punto, è possibile che alcune cooperative abbandonino la stessa fornitura dei servizi di smistamento. Quello che è, attualmente, il principale servizio offerto dalle cooperative ai propri soci e utenti potrebbe cioè perdere centralità, magari in favore della maggiore offerta di altri servizi.
A trarre vantaggio dall’evoluzione ipotizzata potrebbero essere (oltre ai gestori delle piattaforme) gli stessi tassisti, che, svincolati dal legame esclusivo con la propria centrale, potrebbero, come sottolineato dall’Autorità, ottimizzare la propria capacità produttiva. La concorrenza tra le diverse piattaforme dovrebbe anche abbassare i costi dell’abbonamento al servizio e, costituendo questo un input della produzione del servizio di trasporto, innescare una concorrenza sul prezzo delle corse [19]. Della proliferazione di piattaforme aperte dovrebbe avvantaggiarsi anche l’utenza, sia in termini di abbassamento delle tariffe, sia in termini di più agevole reperibilità dei taxi [20].
Non si può ovviamente escludere che, ad un certo punto, una piattaforma diventi dominante (o si crei, comunque, un mercato oligopolistico), ma questo è un rischio insito in ogni attività economica e, laddove si avveri, vi sarà tempo e luogo per affrontare i connessi problemi concorrenziali.
La verità è che il futuro del neonato mercato dello smistamento della domanda di taxi è ancora tutto da scrivere. Certo è che le innovazioni che si realizzano in esso possono mettere in moto una rilevante trasformazione delle condizioni concorrenziali nel mercato dell’offerta dei servizi di trasporto, sottraendo l’attività dei tassisti al controllo delle cooperative.
I procedimenti dell’Autorità sono dunque intervenuti in un contesto che era già in movimento. Sarà però magari frutto di mera coincidenza temporale, ma la app “it Taxi”, piattaforma digitale cui aderiscono alcune cooperative, tra le quali la romana Radiotaxi 3570, che associa più di 3.500 tassisti, solo dopo l’emanazione dei provvedimenti dell’Autorità ha ricevuto grande visibilità, divenendo oggetto di un inedito battage pubblicitario.
Allo scontro tra Mytaxi e le cooperative di radiotaxi si è già assistito nell’ambito di altri ordinamenti, nei quali la giurisprudenza si è orientata in vario modo.
In Austria, l’autorità della concorrenza aveva nel 2012 adottato un provvedimento con il quale contestava come abuso di posizione dominante alle centrali di radiotaxi la decisione di escludere i tassisti che aderivano alle piattaforme digitali. Le corti hanno però ribaltato il verdetto [21].
Il caso è interessante perché, se l’autorità austriaca aveva ragionato, al pari della nostra, in termini di coesistenza dei servizi, valorizzando, appunto, l’effetto pro-efficientistico dell’incremento complessivo delle corse, le corti, eludendo la questione concorrenziale portata alla loro attenzione, hanno ragionato in termini di alternativa tra piattaforme. Hanno così escluso l’illecito perché ciascun tassista, in quell’ordinamento, può, con la propria licenza, gestire più autovetture (e, dunque, può con alcune aderire alle centrali di radiotaxi e con altre alle piattaforme digitali aperte) e perché il vincolo contrattuale con le centrali è di durata molto breve (un mese). Ai giudici austriaci è sfuggito, dunque, il pregiudizio che la parcellizzazione dei servizi di reperimento e chiamata dei taxi reca all’efficiente offerta del servizio di trasporto.
In Germania, invece, la controversia tra Mytaxi e le centrali di radiotaxi ha visto queste ultime soccombere [22]. Sulla questione ha avuto già modo di pronunciarsi anche il Bundesgerichtshof, con una sentenza che ha escluso l’illegittimità degli sconti applicati alla clientela di Mytaxi [23].
In tutti i casi decisi in tali giurisdizioni, tuttavia, v’era la prova che le cooperative di radiotaxi avevano posto in essere una attiva opera di dissuasione dei propri aderenti, attraverso la messa in atto di strumenti sanzionatori, giungendo fino all’esclusione dei soci che avevano aderito alla piattaforma aperta. La fattispecie evocata era l’abuso di posizione dominante, analogamente a quanto avviene nell’istruttoria dell’Autorità nei confronti del radiotaxi torinese [24]. Nelle istruttorie sulle intese verticali attuate dai radiotaxi di Roma e Milano, invece, non emerge che nei confronti dei soci/utenti che aderiscono a Mytaxi siano state effettivamente già adottate sanzioni. Il provvedimento sui radiotaxi milanesi accenna a casi del genere, ma non dà loro sostanzialmente alcun peso ai fini della decisione [25].
Come visto, l’Autorità ha considerato oggetto della tutela concorrenziale il mercato dello smistamento delle chiamate e, quindi, espresso un giudizio di illegittimità nei confronti delle clausole adottate dalle cooperative di radiotaxi “che individuano specifici obblighi di non concorrenza”, dove la specificità riguarda la preclusione della sola concorrenza tra piattaforme chiuse e piattaforme aperte [26].
È opinione di chi scrive che, in realtà, rispetto al primo profilo, l’approccio scelto dall’Autorità si sia rivelato ingiustificatamente limitativo e, rispetto al secondo, la valutazione delle clausole sia stata condotta in modo sostanzialmente indifferenziato, mancando del tutto un loro esame analitico. L’avere imboccato tali strade ha, in qualche modo, costretto l’Autorità a formulare una generale valutazione di illegittimità per l’effetto degli accordi verticali tra cooperative e tassisti, aggravando notevolmente l’onere probatorio che, ad avviso del giudice amministrativo, non è stato adeguatamente assolto.
Una prima critica che si può muovere all’impianto stesso dei provvedimenti sui radiotaxi romani e milanesi è di essersi limitati a considerare l’impatto concorrenziale delle clausole di non concorrenza esclusivamente con riferimento al mercato di smistamento delle chiamate dei taxi e di avere ragionato unicamente in termini di dualismo tra piattaforme aperte e piattaforme chiuse [27].
Certo, questa era la direzione impressa dal segnalante, comprensibilmente interessato unicamente a poter svolgere la propria attività. Con ciò, però, il servizio di trasporto e le implicazioni concorrenziali rispetto ad esso restano confinati sullo sfondo. L’avere isolato il tema della concorrenza tra piattaforme chiuse e piattaforme aperte, anziché considerare in una visione più ampia il problema della compartimentazione dell’offerta del servizio di trasporto attraverso la chiusura delle piattaforme di smistamento della domanda, rappresenta il maggior limite della spiegazione dell’intervento fornita nei diversi procedimenti, conclusi e in corso. Cogliere invece il legame tra ostacolo alla concorrenza fra piattaforme e preclusione al libero esercizio dell’attività di trasporto ha conseguenze importanti sulla stessa definizione dell’ambito di illegittimità considerato. Consente, infatti, di mettere in discussione la legittimità di qualunque limite posto ai tassisti di fruizione di qualunque strumento idoneo a consentire l’acquisizione di chiamate; ivi compresa la possibilità di godere contestualmente dei servizi prestati da più cooperative. Possibilità, quest’ultima, che appare ovviamente meramente teorica (considerati i costi connessi) laddove i servizi di smistamento siano prestati mediante radiotaxi, ma che, come anticipato, diventa assai più realistica laddove anche i servizi di smistamento della domanda delle cooperative siano forniti mediante applicazioni digitali.
Per richiamare la ricordata esperienza tedesca, è esattamente questa la prospettiva accolta dalla Corte di appello di Düsseldorf, la quale, nell’affermare la illegittimità degli ostacoli posti dalla cooperativa di radiotaxi ai tassisti per ciò che riguarda l’utilizzo di piattaforme alternative, ha sottolineato in primo luogo il pregiudizio alla concorrenza tra tassisti e solo in seconda battuta quella tra piattaforme: “Da un lato, questo divieto impedisce la concorrenza tra operatori di taxi, dal momento che vieta loro, oltre ai servizi di intermediazione del convenuto, di richiedere ulteriori servizi da un’altra centrale di intermediazione, e di acquisire così ulteriori chance di guadagno. Da un altro lato, il fatto che agli operatori di taxi sia vietato richiedere i servizi di un’altra centrale di intermediazione impedisce anche la concorrenza nell’offerta tra le centrali di intermediazione” [28].
Che la concorrenza sul mercato del trasporto si debba svolgere tra tassisti e non sia limitabile mediante una gestione dalle piattaforme lo si ricava, nel nostro ordinamento, anche da un dato normativo. È, infatti, suggerito dall’art. 7 della l. n. 21/1992, che definisce le modalità organizzative secondo cui il servizio taxi può essere esercitato da parte dei titolari di licenza.
Questi possono operare del tutto indipendentemente, cioè al di fuori di un contesto, per così dire, organizzato, ovvero associarsi.
Nel secondo caso, sussiste l’alternativa tra:
– “associarsi in cooperative di produzione e lavoro, intendendo come tali quella a proprietà collettiva” (art. 7, comma 1, lett. b, prima parte);
– associarsi “in cooperative di servizi, operanti in conformità alle norme vigenti sulla cooperazione” (art. 7, comma 1, lett. b, seconda parte);
– “associarsi in consorzio tra imprese artigiane ed in tutte le altre forme previste dalla legge” (art. 7, comma 1, lett. c).
Al secondo comma si precisa che “Nei casi di cui al comma 1 è consentito conferire la licenza o l’autorizzazione agli organismi ivi previsti e rientrare in possesso della licenza o dell’autorizzazione precedentemente conferita in caso di recesso, decadenza od esclusione dagli organismi medesimi”.
In sintesi, pur essendo oggi disposto che le licenze possano essere rilasciate solo a singole persone fisiche, la titolarità del servizio di trasporto può essere individuale o collettiva. È individuale sia quando il tassista opera al di fuori di una qualunque organizzazione, sia quando questa organizzazione sia una cooperativa di servizi o un consorzio, o altra forma associativa, tra imprese artigiane. È senz’altro collettiva nel caso delle cooperative di produzione e lavoro. Ciò è reso chiaro dallo stesso riferimento alla “proprietà collettiva”, riguardante la proprietà dei veicoli e la disponibilità delle licenze [29]. Puòdiventare collettiva negli altri casi di esercizio dell’attività di trasporto in forma associata, laddove la licenza sia, stavolta per scelta, conferita all’ente associativo. Si aggiunga che, considerata l’ampiezza del riferimento ai “casi di cui al comma 1”, contenuta nel secondo comma, deve ritenersi che, laddove tale opzione sia adottata per cooperative di servizi, queste cessino di essere solo tali, per assumere anch’esse la natura di cooperative “di produzione e lavoro” a “proprietà collettiva”.
In tali casi, così come nel caso del comma 1, lett. b), prima parte, gli enti – e non più i tassisti loro soci – sono i soggetti operanti nel mercato del servizio di trasporto.
Nell’ipotesi, più frequente, della cooperativa di servizi (o del consorzio tra imprese artigiane), il servizio di trasporto è e resta in capo ai singoli tassisti. Come osservato dalla giurisprudenza amministrativa, l’attività della cooperativa, in tal caso, “consiste nell’elargizione di servizi comuni a favore dei soci, ma il servizio taxi è svolto e gestito direttamente dal titolare della licenza” [30]. Il che vuol dire che, in tale ipotesi, il mercato del trasporto vede concorrere i singoli tassisti e non le cooperative/società cui essi aderiscono e non ci si deve lasciar fuorviare dalla tendenza di detti enti collettivi a sovrapporre la propria immagine a quella dei soggetti che esercitano l’attività di trasporto.
Tutti i casi affrontati dall’Autorità paiono riguardare enti associativi meri erogatori di servizi: le tre cooperative romane e due delle tre milanesi, così come la cooperativa torinese accusata di abuso di posizione dominante e quelle napoletane accusate di attuato un cartello anti-Mytaxi, destinatarie dei provvedimenti antitrust sono, infatti, cooperative di servizi. La milanese Yellow Tax Multiservice è una s.r.l., ma nulla cambia: l’oggetto sociale di tutti gli enti considerati è gestire la piattaforma di smistamento delle chiamate, ma anche fornire ai tassisti aderenti altri servizi accessori all’attività di trasporto da questi svolta [31].
Se dunque, tutti i soggetti destinatari dei provvedimenti dell’Autorità forniscono servizi ai propri soci e, su base contrattuale, a non affiliati, possono individuarsi in modo più corretto i limiti entro i quali le piattaforme da essi gestite siano caratterizzabili come “chiuse”.
La piattaforma è definibile come “chiusa” se fornisce il proprio specifico servizio di smistamento delle chiamate esclusivamente a tassisti associati alla cooperativa (o suoi partner contrattuali), mentre, ad avviso di chi scrive, nessuna piattaforma può essere chiusa, dal punto di vista del tassista, nel senso di operare come impedimento a cercare occasioni di lavoro attraverso altre piattaforme.
Non si tratta solamente di porre un diverso accento su aspetti complementari di un medesimo fenomeno. Concepire i limiti all’utilizzo delle piattaforme di smistamento delle chiamate come limiti all’esercizio dell’attività di trasporto induce a guardare in un’altra luce l’atteggiamento aggressivo delle cooperative verso chi offra servizi che, in precedenza, non costituivano oggetto di alcun mercato, e valutare la reale gravità delle pratiche in cui detto atteggiamento si è concretizzato. Si può anticipare fin d’ora che, adottandosi tale diverso e più ampio punto di vista, le clausole che appaiono specificamente finalizzate a precludere la libertà dei tassisti ad utilizzare mezzi alternativi di smistamento delle chiamate potrebbero essere ritenute illegittime per l’oggetto, non essendo necessaria una valutazione del loro effetto.
Qui si apre lo spazio per la seconda considerazione critica suggerita dagli interventi posti in essere dall’Autorità. Essa, infatti, ha omesso di condurre un esame analitico delle disposizioni restrittive riscontrate negli statuti, al fine prioritario di isolare quelle che esplicitamente “individuano specifici obblighi di non concorrenza”. Le ha etichettate tutte, indistintamente, come obblighi di non concorrenza.
Come è noto, ai fini del diritto delle intese, l’espressione “obbligo di non concorrenza” ha però un significato piuttosto ampio. L’art. 1, comma 1, lett. d), del Reg. 330/2010 in materia di esenzione delle restrizioni verticali, comprende sotto tale espressione “qualsiasi obbligo, diretto o indiretto, che impone all’acquirente di non produrre, acquistare, vendere o rivendere beni o servizi in concorrenza con i beni o servizi oggetto del contratto, ovvero qualsiasi obbligo, diretto o indiretto, che impone all’acquirente di acquistare dal fornitore o da un’altra impresa da questo indicata più dell’80% degli acquisti annui complessivi dei beni o servizi contrattuali e dei loro succedanei effettuati dall’acquirente stesso sul mercato rilevante, calcolati sulla base del valore o, se è normale prassi del settore, del volume dei suoi acquisti relativi all’anno civile precedente”.
Non solo, dunque, l’obbligo di non concorrenza si può esprimere nel divieto di chi sia vincolato ad un accordo verticale di esercitare effettivamente attività in concorrenza con quella del proprio partner contrattuale, in proprio, ovvero agendo quale partner di soggetti concorrenti del partner contrattuale, ma anche semplicemente nell’obbligo di approvvigionarsi per la quasi totalità del proprio fabbisogno presso il proprio partner contrattuale.
Se si osservano gli atti oggetto di indagine da parte dell’Autorità, si evidenzia una certa varietà di previsioni che possono essere ricomprese nella suddetta lata definizione di “obbligo di non concorrenza”.
All’interno degli statuti delle cooperative e dei regolamenti sulla fornitura dei servizi si possono infatti, in linea di massima, distinguere due tipologie di restrizioni (talvolta sovrapponentisi all’interno dello statuto di una medesima organizzazione):
a) divieti il cui contenuto letterale si riferisce specificamente all’adesione a soggetti concorrenti della cooperativa o all’utilizzazione di servizi di smistamento forniti da soggetti concorrenti con la cooperativa di appartenenza[32], talvoltasub specie di divieto di utilizzazione di apparecchiature diverse da quelle fornite dalla cooperativa [33];
b) divieti di concorrenza a contenuto generale, che per lo più richiamanol’art. 2527, comma 2, c.c., ma spesso vi aggiungono locuzioni a contenutoespansivo [34].
Dai provvedimenti dell’Autorità emerge invece una valutazione indistinta e generalizzata. Viene dunque dato per scontato che le clausole di non concorrenza “possono risultare in linea di principio finalizzate all’esigenza di assicurare il buon funzionamento della cooperativa stessa”, spiegandosi così l’impossibilità di valutarle illegittime per l’oggetto [35].
Dalla valutazione per effetto di tutto il complesso indistinto delle clausole scaturisce inevitabilmente la necessità di applicare il c.d. test Delimitis sull’esistenza di un danno concorrenziale [36]. Questo richiede, in primo luogo, di accertare la difficile accessibilità del mercato del prodotto o servizio considerato a concorrenti che potrebbero insediarvisi o espandere la propria quota di mercato e, in secondo luogo, “che il contratto di cui trattasi contribuisca in modo significativo all’effetto di blocco prodotto dal complesso di questi contratti, nel loro contesto economico e giuridico. L’importanza del contributo del contratto individuale dipende dalla posizione delle parti contraenti sul mercato considerato e dalla durata del contratto”.
Sotto il primo aspetto, l’Autorità desume la non contendibilità del mercato dall’alto numero di tassisti affiliati alle centrali, che rende non conveniente per il singolo abbandonare la cooperativa per aderire alle piattaforme aperte; dall’affermazione della non accessibilità di Mytaxi a quei tassisti che hanno scelto di restare indipendenti; dalla insufficienza delle previsioni che assicurano il diritto di recesso (che in tutti gli statuti dei radiotaxi può essere esercitato con tempi piuttosto lunghi di preavviso e per l’esame della domanda).
Il giudice amministrativo ha ritenuto che anche la prima fase del test fosse caratterizzata da carenze istruttorie, ma è in particolare rispetto al secondo requisito che si è rivelata la criticità dell’analisi condotta dall’Autorità [37]. L’accertamento dell’effetto di foreclosure richiede la prova che il cumulo, così generatosi, di accordi restrittivi, abbia impedito l’affermazione delle piattaforme aperte, agendo da efficace deterrente nei confronti dei tassisti aderenti alle cooperative, che volessero utilizzarle. Non emergendo infatti dall’istruttoria (a differenza di quanto sembrerebbe già risultare nel caso torinese) che la minaccia di sanzioni agli aderenti alle piattaforme aperte si sia tradotta in atti concreti, né, comunque, la prova che le clausole di non concorrenza abbiano realmente funzionato da deterrente, l’Autorità ha dedotto l’effetto di foreclosure dall’osservazione dell’attuale modo di essere del mercato rilevante nelle due realtà territoriali di riferimento. Ha così argomentato sulla oggettiva difficoltà di penetrazione delle piattaforme aperte; sulla limitata percentuale di tassisti che, pur avendo scaricato la app di Mytaxi, effettivamente la usano, e sul fatto che il tasso di evasione delle chiamate effettuate dall’utenza utilizzando tale piattaforma appare, di conseguenza, sensibilmente più basso rispetto a quello dei radiotaxi [38].
È soprattutto la prova basata su tale deduzione a non avere retto al vaglio del giudice amministrativo [39].
Ci si deve a questo punto chiedere se fosse davvero inevitabile valutare per l’effetto tutte le clausole di non concorrenza sopra indicate.
È nostra opinione che l’Autorità si sia così, almeno in parte, inutilmente complicata il compito e che la necessità di esprimere talune valutazioni, che il giudice amministrativo ha ritenuto non sufficientemente supportate da riscontri istruttori, sia frutto, come anticipato, di un’analisi non adeguatamente specifica del materiale oggetto di indagine, così come alla mancata considerazione delle più ampie implicazioni anticoncorrenziali delle pratiche in valutazione, anche alla luce del contesto normativo di riferimento.
Sono tali scelte ad aver condotto l’Autorità sull’accidentato sentiero della valutazione di illegittimità per effetto di tutte le clausole indagate, con il risultato di aggravarne oltre il dovuto l’onere probatorio.
Almeno parte delle disposizioni statutarie delle centrali di radiotaxi contenenti divieti di concorrenza avrebbero invece potuto essere valutate come illegittime per l’oggetto. Il che, tra l’altro, avrebbe potuto condurre ad una valutazione differenziata delle posizioni dei soggetti indagati.
Non ci si può certo nascondere che l’individuazione del discrimen tra le intese illegittime per oggetto e quelle per le quali sia necessario valutare l’effetto sia materia tradizionalmente controversa. Per giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia, l’espressione “oggetto” si riferisce “agli scopi perseguiti dall’accordo come tale, alla luce del contesto economico in cui esso deve essere applicato” [40]. Ne deriva che “Non è necessario che la concorrenza sia effettivamente impedita, ristretta o falsata, né che sussista un nesso diretto fra tale decisione e i prezzi al dettaglio. Inoltre, sebbene l’intenzione delle parti non costituisca un elemento necessario per determinare la natura restrittiva di un accordo, nulla vieta alla Commissione o ai giudici dell’Unione di tenerne conto” [41].
Il problema è che, se la distinzione teorica delle due fattispecie è chiara, difficile è definire in concreto quali intese siano da considerare illegittime per oggetto e quali solo previa valutazione dell’effetto.
Ciò perché, anche laddove si ritenga che l’oggetto di un accordo possa essere ritenuto anticoncorrenziale, ai fini della valutazione del contesto economico, “occorre prendere in considerazione anche la natura dei beni o dei servizi coinvolti e le condizioni reali del funzionamento e della struttura del mercato o dei mercati in questione” [42]. La Corte ha voluto così evitare di espandere eccessivamente l’ambito di illegittimità per l’oggetto, valorizzando a tal fine l’idoneità dell’accordo a restringere la concorrenza. Al contempo, ha voluto evitare che l’indagine sul contesto economico, a ciò funzionale, porti a trasmodare nella valutazione dell’effetto [43].
Si può dire che l’equilibrio si trovi delineando una relazione inversa tra gravità della pratica indagata e considerazione del contesto economico. La profondità dell’indagine su quest’ultimo è cioè inversamente proporzionale a detta gravità. In presenza di violazioni particolarmente gravi della concorrenza, “l’analisi del contesto economico e giuridico in cui si colloca la pratica può pertanto limitarsi a quanto risulti strettamente necessario per concludere per la sussistenza di una restrizione della concorrenza per oggetto” [44].
Ciò vale senz’altro per gli accordi restrittivi per eccellenza, le c.d. hardcore restrictions, cioè, nell’ambito delle intese verticali, l’imposizione di prezzi minimi o fissi di rivendita, la ripartizione dei mercati. In tali casi la valutazione di illiceità non richiede ulteriori indagini [45]. Tuttavia, non esiste unnumerus clausus delle restrizioni valutabili per l’oggetto, e tali possono essere considerate anche altre tipologie di accordi verticali, con gravità variabile [46].
Se si riporta il discorso all’ambito che si sta considerando, si può ritenere che le clausole contenenti specifici divieti di utilizzo di piattaforme alternative per lo smistamento delle chiamate (che si è ritenuto di inserire sub a), siano valutabili come molto gravi e quindi illegittime per l’oggetto, semplicemente considerando il gioco concorrenziale che esse sono suscettibili di alterare, osservando il contesto in cui operano. A chi scrive pare, infatti, che clausole il cui obiettivo specifico è quello di bloccare l’accesso di un determinato operatore al mercato siano valutabili non solo come obblighi di acquisto esclusivo di servizi dalla cooperativa, ma, per un verso (nel mercato del trasporto), come uno strumento di ripartizione del mercato, per un altro (nel mercato dello smistamento delle chiamate), come un patto di boicottaggio [47].
E ciò supera la questione se un accordo di acquisto esclusivo tra una cooperativa e i propri soci possa essere considerato di per sé illegittimo per l’oggetto. Valutazione, questa, che trova peraltro almeno un precedente affermativo nella giurisprudenza europea, con la sentenza pronunciata nel caso del presame e dei coloranti per formaggio [48].
Per le clausole contenenti divieti generali di concorrenza (cioè quelle che si è ritenuto di raggruppare sub b), si rende invece necessaria la valutazione dell’effetto. Esse non hanno di per sé una finalità specificamente anticoncorrenziale, salvo valutare come siano state concretamente interpretate e quali effetti anticoncorrenziali ne siano già derivati.
Nella giurisprudenza della Corte di giustizia si ammette che l’illegittimità per oggetto possa essere esclusa solamente in presenza di oggettive giustificazioni [49].
Non pare proprio che, nel caso di specie, se ne possa trovare alcuna – sia sul piano economico, sia su quello giuridico – in grado di sorreggere uno specifico divieto di utilizzare piattaforme alternative a quella fornita dalla cooperativa. Quale giustificazione può avere, del resto, una disposizione che vieti di utilizzare il numero unico comunale, piattaforme digitali alternative o anche servizi un’altra cooperativa, da parte di un tassista che continui regolarmente a pagare i servizi della propria?
Sotto il profilo giuridico, posto che l’art. 7 della l. n. 21/1992 afferma che le forme giuridiche adottabili dai “titolari di licenza per l’esercizio del servizio di taxi” sono funzionali al “libero esercizio della propria attività”, difficile è giustificare divieti statutari il cui unico obiettivo è, dal punto di vista dei tassisti, quello di limitare, appunto, tale libero esercizio e il cui solo effetto, dal punto di vista degli utenti, è la frammentazione dell’offerta di servizi di trasporto, che la legge vuole siano esercitati individualmente.
Sempre sotto il profilo giuridico, non tiene l’argomento – sollevato praticamente da tutte le cooperative – basato sulla previsione di cui all’art. 2527, comma 2, c.c., a mente del quale: “Non possono in ogni caso divenire soci quanti esercitano in proprio imprese in concorrenza con quella della cooperativa”.
Al di là della complessa questione della gerarchia tra divieti antitrust eurounitari e norme interne, il divieto di concorrenza, nell’ampio senso dato alla locuzione dal Regolamento n. 330/2010, non è perfettamente sovrapponibile alla fattispecie costituente il presupposto per l’applicazione della disposizione codicistica. Tale norma si applica esclusivamente all’esercizio, da parte del socio, di una attività concorrente. Ed è superfluo ribadire che l’attività che costituisce oggetto delle cooperative di radiotaxi è altra rispetto a quella esercitata dai tassisti, e ciò esclude l’esistenza di un rapporto di concorrenza. Né il tassista, utilizzando strumenti alternativi di smistamento, crea tale rapporto. Egli è, infatti, titolare di un’impresa di trasporto e non distributore di servizi di smistamento; questi costituiscono solamente un input per la sua produzione di servizi di trasporto.
Per completezza, si può, più in generale, dubitare già sotto l’aspetto strettamente giuscommercialistico dell’applicabilità dell’art. 2527, comma 2, c.c., alle cooperative di radiotaxi.
La ratio della disposizione in discorso è da taluni rinvenuta nella necessità di tutelare lo stesso perseguimento della funzione mutualistica della cooperativa, che sarebbe già pregiudicato laddove della compagine sociale facciano parte soggetti con interessi confliggenti con quello della cooperativa [50]. Altri l’hanno ritenuta diretta a tutelare la funzione antintermediaria dell’istituto cooperativo; la norma sarebbe volta cioè a contrastare il fenomeno delle c.d. false cooperative tra imprenditori [51]. Tale ultima spiegazione appare quella più convincente (dato che giustifica l’inderogabilità della disposizione), considerata la precisazione per cui l’attività concorrenziale non ammessa è quella esercitata “in proprio”. Il che vuol dire che la norma non può comunque essere invocata per impedire la partecipazione del socio anche ad altra cooperativa o per impedire l’acquisto di input da altri fornitori, comprese altre cooperative [52].
Il divieto, com’è noto, fu oggetto di modifica del codice civile, che in origine non lo prevedeva, riproducendosi con esso quanto disposto dall’art. 23, secondo e quarto comma, della c.d. legge Basevi (d.lg. C.P.S. 14 dicembre 1947, n. 1577, che introdusse nell’ordinamento repubblicano la prima disciplina organica delle cooperative) [53]. Mentre però la legge Basevi disponeva il divieto con esclusivo riferimento alle cooperative di lavoro e di consumo, la norma codicistica non contiene alcuna esplicita limitazione alla propria applicazione. Purtuttavia, ci si è interrogati in merito alla possibilità di limitarne l’applicabilità, escludendola per le cooperative di produzione e di servizi, per le quali il divieto sembra ingiustificato [54] e, in generale, di sostenere un’interpretazione caso per caso della sussistenza di un rapporto di concorrenza. È stato tra l’altro rilevato che un’applicazione rigida del divieto renderebbe impossibile l’esistenza delle cooperative tra agricoltori e di quelle tra artigiani [55].
Il che rafforza l’idea che anche il richiamo all’art. 2527, comma 2, c.c., come argomento di difesa delle clausole dirette a contrastare l’utilizzo di strumenti alternativi di smistamento, sia fallace.
Opportuno è, a margine, chiedersi se spazi di concorrenza analoghi a quelli sopra individuati sussistano laddove si sia invece in presenza di cooperative di produzione e lavoro “a proprietà collettiva”, ovvero, di altro ente associativo diverso, al quale il tassista abbia scelto di conferire la licenza (art. 7, comma 1, lett. b), e comma 2, l. n. 21/92).
Come è noto, le cooperative di produzione e lavoro sono quelle nelle quali “il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio, sulla base di previsioni di regolamento che definiscono l’organizzazione del lavoro dei soci” (art. 1, comma 1, l. 3 aprile 2001, n. 142, Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore). Sulla base di quanto previsto dalla legge, tra esse e il socio lavoratore intercorre un duplice rapporto: il primo è quello nascente dal vincolo associativo; il secondo è un rapporto di lavoro, che può essere di tipo subordinato, autonomo o parasubordinato, a seconda di quanto previsto dal regolamento interno, che tali cooperative devono obbligatoriamente adottare. Sulla base della configurazione di tale rapporto di lavoro vengono determinati diritti e doveri del socio lavoratore.
Nel caso dei tassisti, indipendentemente dal tipo di relazione lavoristica intercorrente tra cooperativa e soci, come si è visto, “il servizio non viene svolto direttamente dal tassista ma dalla cooperativa di produzione e lavoro che, quale soggetto a ‘proprietà collettiva’, ha la proprietà dei veicoli adibiti a taxi e la disponibilità delle licenze conferite dai titolari” [56].
Difficile ritenere che, in questo caso, la tutela della concorrenza nel mercato del trasporto possa vedere tra i players i tassisti soci di quell’ente associativo. Operatore in quel mercato, in questi casi, non è più il tassista, bensì la cooperativa, proprietaria degli autoveicoli e conferitaria delle licenze. In questa ipotesi, tra l’altro, si potrebbe ritenere pienamente applicabile l’art. 2527, secondo comma, c.c. (e, laddove il rapporto di lavoro fosse configurato come lavoro subordinato, potrebbe venire in questione, prima ancora, l’obbligo di fedeltà del lavoratore, di cui all’art. 2105 c.c.) al socio che svolga attività in concorrenza con la cooperativa [57]. Lo conferma il comma 3 dell’art. 7, della l. n. 21/92, secondo cui “In caso di recesso dagli organismi di cui al comma 1, la licenza o l’autorizzazione non potrà essere ritrasferita al socio conferente se non sia trascorso almeno un anno dal recesso”. Si tratta, infatti, di una tipica previsione volta a proteggere l’avviamento dell’ente dal quale si fuoriesce. Norma certamente inapplicabile al recesso dagli enti associativi nei casi in cui non sia stata esercitata la facoltà del conferimento delle licenze.
Ciò rende dubbio che vi sia in questo caso spazio anche per la tutela della concorrenza tra piattaforme, che non può che realizzarsi attraverso il riconoscimento della libertà del socio di utilizzare strumenti alternativi di smistamento della domanda di taxi. Non si può negare che, sul piano funzionale, il tassista che formalmente fruisce di un servizio esterno di intermediazione, in realtà stia organizzando una propria attività individuale di trasporto alternativa a quella della cooperativa, per di più utilizzando strumenti non propri (la licenza conferita e il veicolo di proprietà della cooperativa). Del resto, ogni corsa che egli effettua servendosi della piattaforma alternativa è sottratta all’ente di appartenenza.
La disciplina delle cooperative di produzione e lavoro con riferimento all’attività in questione è chiaramente frutto di un compromesso, all’esito di un conflitto, periodicamente risorgente, che vede il fronte liberalizzatore battersi per la possibilità che le licenze siano rilasciate anche a persone giuridiche e, sull’altro versante, i tassisti, non ingiustificatamente timorosi per uno sviluppo nel senso di quella “proletarizzazione” della categoria che caratterizza l’attività nel modello anglosassone. Compromesso apparente, in realtà, dato che la soluzione è assai più vicina alla posizione sostenuta dai secondi. È infatti evidente che l’adozione di tale modalità organizzativa sia disincentivata: conferire la licenza e rinunciare ad esercitare l’attività con il proprio veicolo, con la prospettiva di riacquistare la prima solo dopo un anno dall’uscita dalla cooperativa, è prospettiva di scarsa appetibilità. E, infatti, rivelatrice della diffusa volontà dei tassisti di restare imprenditori indipendenti e concorrere individualmente nel mercato del trasporto, al più demandando alla cooperativa la fornitura di servizi strumentali, è la circostanza che le cooperative di taxi “a proprietà collettiva” non siano affatto numerose.
Ovviamente, la questione della tutela della concorrenza, nei termini sopra individuati, si può riproporre laddove la cooperativa di produzione e lavoro intenda limitare la libertà di soggetti non soci, i quali, mantenendo la disponibilità della propria licenza e la proprietà del veicolo, usufruiscano dei suoi servizi su base contrattuale.
[1] Provv. n. 27244/18, Servizio di prenotazione del trasporto mediante taxi-Roma e n. 27245/18, Servizio di prenotazione del trasporto mediante taxi-Milano. Poiché le argomentazioni svolte nei provvedimenti sono praticamente identiche, quando se ne citeranno passaggi lo si farà per comodità con riferimento a quello relativo alle cooperative taxi romane.
[2] T.A.R. Lazio, 29 aprile 2019, nn. 5358, 5359, 5417, 5418, 5419. Al momento in cui quest’articolo viene licenziato pende l’appello dell’Autorità al Consiglio di Stato.
[3] Provv. n. 27372/18, Attività di intermediazione della domanda di servizi taxi nel comune di Torino.
[4] Contemporaneamente, è stata inserita una clausola che consente il recesso del socio “che motivi la domanda di recesso con la decisione di aderire ad altro soggetto titolare o gestore di diverso sistema tecnologico di intermediazione tra domanda e offerta del servizio taxi o di utilizzarne, comunque, le prestazioni”. Secondo l’Autorità, gli “obblighi di non concorrenza appaiono volti ad impedire l’utilizzo simultaneo da parte dei tassisti aderenti alla cooperativa di più intermediari per la fornitura di servizi di raccolta e smistamento della domanda di taxi, vincolandoli a destinare tutta la propria capacità (in termini corse/turno) alla cooperativa stessa. In quanto applicati a una percentuale maggioritaria dei tassisti in un dato ambito territoriale – nel caso di specie ad oltre il 90% dei tassisti operanti a Torino – essi risultano idonei a impedire od ostacolare l’accesso e lo sviluppo di altri fornitori e, in particolare, del nuovo operatore Mytaxi, che opera secondo un modello di piattaforma “aperta”, nel mercato dei servizi di raccolta e smistamento della domanda del servizio taxi nel Comune di Torino”.
[5] Provv. n. 27434, del 29 novembre 2018.
[6] Provv. n. 27553, del 13 febbraio 2019.
[7] Ha riassuntivamente concluso il Tribunale Amministrativo Regionale che “La generale carenza istruttoria che ha connotato il procedimento, consistita in mera elaborazione di dati forniti dalle parti e, in parte significativa, dalla denunciante, la mancanza di un’analisi strutturale chiara dello stesso accordo anticompetitivo e la presenza, in punti nevralgici della motivazione, di affermazioni apodittiche depone, conclusivamente, nel senso che l’Autorità non sia riuscita a ricostruire l’intera fattispecie nei termini della necessaria congruenza narrativa, né sia stata in grado di superare le spiegazioni alternative al riguardo avanzate dalle imprese”.
[8] Ord. 30 gennaio 2019, n. 721. La motivazione fornita dal T.A.R. Lazio è la medesima con la quale erano stati sospesi i provvedimenti sulle cooperative radiotaxi romane e milanesi.
[9] T.A.R. Lazio, sez. I, 7 giugno 2019, n. 7463.
[10] Sul tema delle multisided platforms si è sviluppata una cospicua letteratura economica e giuridica. Per la prima, si vedano D.S. Evans, R. Schmalensee, Matchmakers: The New Economics of Multisided Platforms, Boston Massachussetts, 2016. Quanto agli aspetti giuridici, il fenomeno ne propone di inediti: si veda J.F. Cohen, Law for Platform Economy, in 51U.C. Davis L. Rev. 133-2014 (2017); G. Smorto, La tutela del contraente debole nella platform economy, in Giornale di diritto del lavoro e delle relazioni industriali, 2018, 423. Sulle questioni concorrenziali sollevate da tale modello, si vedano D.A. Balto, M. Lane, Reconciling the Matchmaker Economy with Competition Policy, in www.ssrn.com.
[11] Sul quadro normativo regolante il TPL, si veda C. Iaione, La regolazione del trasporto pubblico locale. Bus e taxi alla fermata delle liberalizzazioni, Napoli, 2008.
[12] Sul tema dell’economia della condivisione la letteratura è ormai vastissima. Si veda, per una trattazione dedicata prevalentemente agli aspetti economici del fenomeno, N.M. Davidson, M. Finck, J.J. Infranca (ed.), The Cambridge Handbook of the Law of the Sharing Economy, Cambridge, 2018. Ampi riferimenti alla letteratura giuridica si trovano in F. Casale, La “proprietà nell’impresa collaborativa, in Orizzonti del Diritto Commerciale, www.rivistaodc.eu, n. 1/2018. La sharing economy ha in effetti indotto a ripensare tradizionali categorie giuridiche in diversi ambiti. Sui problemi riguardanti regolazione e antitrust con riferimento al fenomeno, si vedano V. Hatzopoulos, S. Roma, Caring for sharing? The collaborative economy under EU law, in Common Market Law Review, in Common Market Law Review, 2017, 81. Sulla necessità di adeguare anche le categorie generali del diritto antitrust ai fenomeni della sharing economy si vedano D. Vitkovic, The Sharing Economy: Regulation and the EU Competition Law, in Global Antitrust Review, Issue 9, 2016; M. Anderson, M. Huffman, The Sharing Economy Meets the Sherman Act: Is Uber a Firm, a Cartel, or Something in Between, in Columbia Business Law Review, 2017, 859; J. Safron, The Application of EU Competition Law to the Sharing Economy, in Stanford-Vienna Transatlantic Technology Law Forum (2018), EU Law Working Papers No. 27, disponibile in www.ssrn.com.
[13] Si vedano le pronunce pregiudiziali Cort. Giust., 20 dicembre 2017, causa C-434/15, Asociación Profesional Elite Taxi c. Uber Systems Spain SL; Id., 10 aprile 2018, causa C-320/16, Uber France SAS. È fin troppo nota la battaglia condotta dalle categorie di operatori del trasporto locale contro UberPop. Su tale pronuncia, si vedano M. Finck, Distinguishing internet platforms from transport services: Elite Taxi v. Uber Spain, in Common Market Law Review, 2018, 1619; L. Moreno Liso, El transporte colaborativo: ¿comercio electrónico o competencia desleal, in Actas de derecho industrial y derecho de autor, 2018, 443; P. Hacker, UberPop, UberBlack, and the Regulation of Digital Platforms after the Asociación Profesional Elite Taxi Judgment of the CJEU. Judgment of the Court (Grand Chamber) 20 December 2017, Asociación Profesional Elite Taxi (C-434/15), in European Review of Contract Law, 2018, 80; M.R. Nuccio, Il trasporto condiviso al vaglio della Corte di Giustizia, in Rivista di diritto dell’impresa, 2018, 471; N.A. Vecchio, Condivisione o elusione? la Corte di Giustizia e le sfide dell’Uberification della sharing economy, in Giustiziacivile.com, 2019.
[14] In Italia, nel senso della illegittimità del servizio si sono pronunciati Trib. Milano (ord.), 26 maggio 2015, in Corr. giur., 2016, 356; Id., 9 luglio 2015, Ibidem, 360; Trib. Torino, 1° marzo 2017, in Quot. giuridico; Id., 22 marzo 2017, in Dir. Ind., 2018, 1, 16. Diversamente si è orientato il Tribunale di Roma sul servizio Uber Black (che offre un servizio equivalente al NCC), riformando, con l’ord. collegiale 26 maggio 2017, in Foro it., 2017, 6, 1, 2081, l’ord. 7 aprile 2017, ibidem, 2082.
In Germania l’attività di Uber è stata ritenuta concorrenza illecita anche nella versione Uber Black (che offre servizi equivalenti a quelli dei nostri NCC) da LG Berlin, 9 febbbraio 2015 – 101 O 125/14, in GRUR – RR 2015, 350, confermata da KG 11 dicembre 2015 – 5 U 31/15, in GRUR 2016, 213 e, infine, dal BGH, con la sentenza 13 dicembre 2018 – Az.: I ZR 3/16, Uber Black II.
In Francia, per la illegittimità di Uber si è pronunciata la Cour de Cassation, Chambre criminelle, 31 gennaio 2017, 15-87770, che ha confermato la pronuncia della Cour d’Appel de Paris 7 dicembre 2015.
In Spagna la valutazione di illegittimità dell’attività di Uber, che già era stata formulata con l’ord. cautelare del Tribunale di Madrid, 9 dicembre 2014, 74/2014, ES:JMM:2014:74, ha avuto sanzione (anche con riferimento all’analogo servizio Cabify) dal Tribunal Supremo, con la sent. 25 gennaio 2018, 120/2018, ES:TS:2018:120.
Per una riflessione che ambisce ad affrontare sotto il profilo giuridico, economico e sociale le questioni poste da tale espressione della sharing economy, si vedano E. Mostacci, A. Somma, Il caso Uber: La sharing economy nel confronto tra common law e civil law, Milano, 2016.
[15] Com’è noto, i “servizi di trasporto, compresi i trasporti urbani, i taxi” sono stati esclusi dai processi di liberalizzazione di cui alla direttiva 2006/123/CE (Considerando 21 della c.d. direttiva Bolkenstein), fedelmente recepita sul punto, dall’art. 6 del d.lgs. 26 marzo 2010, n. 59, ed anche negli ultimi importanti interventi normativi di liberalizzazione, rappresentati dai d.l. nn. 138/2011 e 1/2012, il legislatore italiano si è astenuto dall’affrontare la materia.
[16] L’Autorità ha inviato ben 15 tra segnalazioni ex art. 21 e pareri ex art. 22 della l. n. 287/1990, riguardanti (esclusivamente, o come parte di più ampi documenti riguardanti l’incremento della concorrenza in diversi settori) questioni relative ai servizi di TPL non di linea. In particolare:
– i pareri AS 5050 del 2009, AS989 del 2012 e le segnalazioni AS794 del 2011, AS942 del 2012, AS948 del 2012, sono stati indirizzati ad amministrazioni comunali (tra le quali quella di Roma, destinataria di tutte e tre le segnalazioni);
– le segnalazioni AS53 del 1995, AS125 del 1998, AS226 del 2002, AS227 del 2004, AS453 del 2008, AS683 del 2010, AS722 del 2010, AS853 del 2011, AS 885 del 2011, AS988 del 2012, AS1137 del 2014 hanno avuto come destinatari il Parlamento ed il Governo.
[17]A. Boitani, S. Colombo, Taxi, Ncc, Uber: scontro finale o alba di coesistenza?, in Mercato concorrenza regole, 2017, 61, 63, notano come la regolamentazione attuale relativa al numero di soggetti abilitati, consentendo che si verifichino fenomeni di eccesso di domanda, presenti comunque tra le sue caratteristiche l’esistenza di opportunità di miglioramento del servizio in essere non del tutto sfruttate.
[18] Sulla individuazione del mercato geografico dei servizi di smistamento delle chiamate come comunale si è espresso il T.A.R. Lazio, con la ricordata sent. n. 7463/19 (nt. 9).
[19] Le spiegazioni dell’Autorità sul punto della riduzione dei costi non appaiono, per la verità, molto lineari. Secondo quanto si legge (par. 230 del provvedimento sui radiotaxi romani), le piattaforme aperte consentono ai tassisti di risparmiare sui costi, perché non richiedono “hardware e attrezzature, che sono ancora richiesti per usufruire della tecnologia radio”. All’obiezione degli indagati che anche i radiotaxi usano le nuove tecnologie, sviluppando proprie app, si controbatte che i tassisti sono comunque costretti a dotarsi delle attrezzature richieste da tutte le tecnologie del radiotaxi, mentre le “modalità di utilizzo delle nuove tecnologie da parte delle piattaforme aperte da un lato, rendono molto facile l’affiliazione da parte dei tassisti alla piattaforma aperta, ancorché molto spesso per una parte limitata della propria capacità produttiva”. In realtà, l’argomento dell’Autorità sarebbe fondato laddove la prospettiva fosse l’abbandono, da parte dei tassisti, delle piattaforme chiuse, per aderire solamente a quella aperte. Laddove, infatti, le due adesioni convivano, non si vede perché i costi complessivi si debbano abbassare. D’altro canto, i costi attuali sono connessi all’utilizzazione della tecnologia del radiotaxi, più che all’adesione alla piattaforma chiusa. Laddove anche le piattaforme chiuse – come sta avvenendo – operassero con tecnologie meno costose, il problema sarebbe minimizzato.
[20] Si veda il par. 231 del provvedimento sui radiotaxi romani.
A ben vedere, il massimo del vantaggio per l’utenza sarebbe l’integrale superamento delle piattaforme chiuse e l’adesione di tutti i tassisti a piattaforme aperte. In caso contrario, l’offerta di taxi resterebbe frammentata e la domanda continuerebbe ad essere largamente insoddisfatta. Laddove, invece, i tassisti aderissero tutti ad un’unica piattaforma aperta, la domanda sarebbe soddisfatta al massimo grado possibile, ma il costo delle corse non si abbasserebbe, dato che l’input costituito dal servizio di smistamento delle chiamate sarebbe acquistato dai tassisti a prezzo monopolistico.
Si deve inoltre considerare, nel valutare l’effetto di incremento della disponibilità di corse per l’utenza, che un medesimo tassista, laddove sia contattato attraverso più piattaforme contemporaneamente, dovrà per forza scegliere a quale rispondere. Il che comporta che per un cliente soddisfatto ve ne sarà almeno un altro che resterà in attesa. Ciò, proiettato sul complesso del mercato, comporta che il tasso complessivo di mancata evasione delle chiamate si ridurrà, ma certo non si azzererà. Questo è però un problema insolubile in un mercato il cui numero di operatori è prefissato – e generalmente in termini insufficienti – per decisione dell’autorità amministrativa.
[21] Il provvedimento della Bundeswettbewerbsbehörde che, su segnalazione di due gestori di piattaforme digitali, aveva condannato per abuso di posizione dominante due centrali di radiotaxi fu annullata dall’Oberlandsgericht (OLG) Wien, in funzione di Kartellgericht, con decisione del 22 agosto 2012, confermata dall’Oberster Gerichtshof (OGH), con decisione del 27 giugno 2013. La vicenda è dettagliatamente esposta nella Relazioni annuali 2012 e 2103 della Bundeswettbeweberbsbehörde (scaricabili dal sito https://www.bwb.gv.at/de/recht_publikatio
nen/taetigkeitsberichte_der_bundeswettbewerbsbehoerde/). La Bundeswettbewerbsbehörde rileva che il problema non si è posto in città diverse da Vienna, in cui le centrali di radiotaxi hanno pacificamente accettato la coesistenza con le piattaforme alternative.
[22] Si vedano, inter alia, OLG Nürnberg, 22 gennaio 2016 – 1 U 907/14, reperibile all’indirizzo http://www.gesetze-bayern.de/Content/Document/Y-300-Z-BECKRS-B-2016-N-02009?
hl=true&AspxAutoDetectCookieSupport=1; OLG Düsseldorf, 07 giugno 2017 – VI-U (Kart) 8/16, reperibile all’indirizzo web http://www.justiz.nrw.de/nrwe/olgs/duesseldorf/j2017/
VI_U_Kart_8_16_Urteil_20170531.html.
[23] Si veda la sentenza BGH 29 marzo 2018 – I ZR 34/17.
[24] In questo caso, infatti, l’Autorità ha accertato che alcuni soci sono stati esclusi dalla cooperativa per violazione di tale previsione statutaria e che, in seguito alle decisioni così assunte, il numero di tassisti registrati sulla piattaforma Mytaxi si è drasticamente ridotto, così come quello dei tassisti già registrati che effettivamente la utilizzano.
[25] Un socio risulta essere stato escluso dalla cooperativa milanese Audioradiotassì, Taxiblu ha sospeso alcuni soci dal servizio e la società Yellow Taxi ha distaccato alcuni tassisti dal terminale radiotaxi (par. 38 del provvedimento sulle cooperative milanesi).
[26] Si veda, ad es., par. 227 del provvedimento sui radiotaxi romani.
[27] Si veda par. 227 del provvedimento sui radiotaxi romani.
[28] OLG Düsseldorf, 7 giugno 2017, cit. (par. 2): “Dieses Verbot behindert zum einen den Wettbewerb der C. Taxiunternehmer untereinander, indem diesen verboten wird, neben den Vermittlungsdiensten der Beklagten zusätzlich solche einer weiteren Vermittlungszentrale nachzufragen und sich dadurch weitergehende Einkommenschancen zu eröffnen. Zum anderen wird dadurch, dass den Taxiunternehmern verboten wird, die Dienste einer anderen Vermittlungszentrale nachzufragen, auch der Angebotswettbewerb zwischen den Vermittlungszentralen in C. behindert”.
[29] Si veda T.A.R. Lazio, 20 dicembre 2016-10 gennaio 2017, n. 407, secondo la quale, appunto, “il servizio non viene svolto direttamente dal tassista ma dalla cooperativa di produzione e lavoro che, quale soggetto a ‘proprietà collettiva’, ha la proprietà dei veicoli adibiti a taxi e la disponibilità delle licenze conferite dai titolari”. L’istanza di sospensione cautelare della sentenza è stata rigettata dal Consiglio di Stato, con l’ord. 12 ottobre 2017, n. 4411/17.
Si veda anche, ad es., il Regolamento comunale per la disciplina degli autoservizi pubblici non di linea di Roma Capitale (DCC 214/1998 e successive modifiche e integrazioni), che all’art. 6 – Forme giuridiche di esercizio dei servizi, comma 2, precisa che “Il conferimento agli organismi collettivi dà diritto alla gestione economica dell’attività autorizzata da parte dello stesso organismo, senza che ciò comporti modifica dell’intestazione dei titoli e senza alcun provvedimento autorizzativo da parte dell’Amministrazione Comunale”.
[30] Si veda ancora T.A.R. Lazio, 20 dicembre 2016-10 gennaio 2017, n. 407.
[31] Se si guarda agli statuti, l’oggetto sociale è descritto, infatti, come “fornire i propri soci di una stazione radio ricevente e trasmittente collegata con autoradiotaxi o di qualsiasi altro sistema di rice-trasmissione, anche informatizzato, che consenta di ottimizzare il servizio ad essi necessario” (Radiotaxi 3570); “esercitare per i propri soci una stazione radioricevente e trasmittente collegata con autoradiotaxi per lo svolgimento della loro attività” (Audioradiotassi); “ottenere, tramite la gestione in forma associata beni, servizi ed attività atti a favorire, coordinare e sostenere l’attività di trasporto di persone con autoveicoli di piazza alle migliori condizioni rispetto a quelle ottenibili sul mercato” (Pronto Taxi 6645); “Promuovere e favorire l’incremento e lo sviluppo degli enti associati principalmente per mezzo della gestione della centrale di radiotaxi con rilevamento satellitare e delle attività connesse: conseguentemente il consorzio potrà gestire, in proprio o per conto degli enti associati, una centrale di radiodiffusione per la ricezione e lo smistamento ai vari radiotaxi delle chiamate utilizzando tutti gli accorgimenti tecnologici necessari” (Taxiblu S.C.). Qualche dubbio suscita la lettura dello statuto di Samarcanda, secondo il quale “la cooperativa ha per oggetto il trasporto pubblico di persone tramite servizi di linea e non di linea”, dandosi così l’impressione che i servizi forniti ai soci – tra i quali “una stazione ricevente o trasmittente collegata con autoradiotaxi o di qualsiasi altro sistema di ricetrasmissione anche informatizzato, che consenta di ottimizzare il servizio ad essi necessario per lo svolgimento della loro attività” – siano strumentali a detto scopo. Sulla qualificazione della cooperativa in questione lo scrivente non è però in grado di dire altro, dato che non conosce il tipo di rapporti in concreto intercorrenti tra essa e i soci, ma, dal silenzio sul punto, si può desumere che neppure detta cooperativa sia titolare delle licenze di esercizio del servizio di trasporto. L’oggetto sociale di Yellow Tax Multiservice s.r.l., al pari di quello delle cooperative, è “la gestione automatizzata di una radio ricevente e trasmittente collegata con autoveicoli ad uso taxi e mototaxi”.
La Società Cooperativa Taxi Torino “ha scopo mutualistico, e si propone di fornire beni e servizi ai propria soci cooperatori, titolari di licenza per l’esercizio del servizio di taxi al fine di agevolare l’esercizio delle rispettive attività di impresa con veicoli propri dei singoli soci cooperatori” e, tra tali servizi, indica “il reperimento della clientela, la gestione e lo smistamento delle richieste della clientela stessa in modo equo e razionale, attraverso un servizio radio, o con altre tecnologie idonee (…)”.
[32] Nel contratto di servizio di Samarcanda con il tassista aspirante socio si impegna il tassista a “non esporre targhe relative ad altri servizi di chiamata taxi o applicazioni concorrenti; non prestare servizio per altre applicazioni concorrenti, incluso il servizio Chiama Taxi 060609” [numero unico comunale]; nel contratto di servizio seconda flotta della stessa Samarcanda si impegna il tassista si impegna a “non esporre targhe relative ad altri servizi di chiamata taxi o applicazioni concorrenti” “non prestare servizio per altre applicazioni concorrenti, ad eccezion fatta per il servizio comunale ”Chiama Taxi 060609”; nello statuto di Autoradiotassì, “è fatto divieto ai soci di collaborare, iscriversi o associarsi ad altre cooperative, consorzi, società, ovvero ad imprese in qualsiasi forma costituite che perseguano scopi analoghi o che esplichino attività, direttamente o indirettamente, concorrenti con gli scopi, le finalità e le attività della cooperativa. È fatto comunque divieto ai soci di esercitare, anche in forma autonoma, la propria attività di trasporto pubblico da piazza (…)attraverso l’utilizzo di mezzi di qualsiasi natura forniti da, ovvero attraverso l’intermediazione di, soggetti terzi altri e diversi rispetto alla cooperativa”. È altresì vietato ai soci di prestare lavoro subordinato a favore di soggetti terzi che operino, direttamente o indirettamente, in concorrenza con la cooperativa, nonché svolgere attività anche in proprio, direttamente o indirettamente in concorrenza con gli scopi, le finalità e le attività della cooperativa”; nel contratto di fornitura di servizi e noleggio beni di Yellow Tax (che è una società commerciale e non una cooperativa) è previsto che i tassisti che sottoscrivono detto contratto hanno il divieto di “avvalersi di qualsiasi altro sistema di fornitura e smistamento ad opera di qualsivoglia altro fornitore e/o gestore di servizio taxi e/o comunque qualsivoglia altro genere, sistema/metodologia di smistamento/dispaccio corse in concorrenza con quello del fornitore (a titolo esemplificativo e non esaustivo a mezzo App ad esclusione del sistema pubblico di assegnazione/dispaccio corse che rispetti la metodologia di smistamento (ai posteggi taxi) di cui alle colonnine comunali)”.
[33] Come l’obbligo statutario (art. 4 dello Statuto del 3570) per cui i soci “nell’avvalersi del servizio radio o di qualsiasi altro sistema di ricetrasmissione dati e informazioni predisposto dalla società cooperativa, potranno utilizzare esclusivamente microfoni, apparecchi radio, impianti di antenna e impianti di alimentazione privi di qualsiasi sistema di amplificazione e/o potenziamento, nonché conformi per tipo, potenza e ricezione alle caratteristiche fissate dalla società cooperativa con proprio regolamento interno” o quello, presente nel regolamento interno della cooperativa (sempre il 3570), per cui il socio non deve installare sulla propria autovettura qualsivoglia ulteriore apparecchiatura radiotrasmettente oltre a quella della cooperativa; o, ancora, , ancora, la disposizione presente nel Regolamento per i tassisti utenti di Taxiblu si legge che “la fruizione del servizio radiotaxi erogato da Taxiblu, e più in generale l’iscrizione a Taxiblu, è incompatibile con la fruizione di qualsiasi altro servizio, a titolo gratuito od oneroso, di smistamento e/o ricezione delle chiamate per corse taxi telefoniche, telematiche e/o veicolate con qualsiasi altro mezzo tecnologico” (rileva peraltro l’Autorità – par. 36 del provvedimento sui taxi milanesi, testo e nota che “Detta clausola è stata introdotta in concomitanza con lo sviluppo di modalità innovative di raccolta della domanda da parte dei tassisti” e che in un atti interni, in relazione ad altre app basate sulla geolocalizzazione, si legge “ora in collaborazione con gli altri radio taxi stiamo inviando dei messaggi sul desistere nell’utilizzo di questa applicazione in quanto contrasta con i nostri statuti: agli utilizzatori verrà richiesta l’espulsione”.
[34] Come quella presente nello statuto della cooperativa Radiotaxi 3570, secondo la quale “non possono essere soci coloro che esercitano in proprio imprese identiche, affini o concorrenti a quella della cooperativa. Non possono essere altresì soci (…) coloro che già usufruiscono del servizio di radiotaxi da parte di altri soggetti e chiunque abbia attività o interessi in contrasto con la cooperativa”; o quelle presenti nello statuto della cooperativa Pronto Taxi 6645, secondo la quale “Non possono essere soci coloro che, esercitando in proprio imprese identiche o affini a quella della cooperativa, svolgano un’attività effettivamente concorrente o in contrasto con quella della cooperativa stessa. A tal fine, l’organo amministrativo dovrà valutare i settori e i mercati economici in cui operano i soci, nonché le loro dimensioni imprenditoriali”; o quella presente nello statuto di Samarcanda, secondo la quale “Non possono essere soci coloro che esercitano in proprio imprese identiche, affini o concorrenti a quella della cooperativa. Non possono essere altresì soci (…) coloro che già usufruiscono del servizio di radiotaxi da parte di altri soggetti e chiunque abbia attività o interessi in contrasto con la cooperativa”; o quella presente nel Regolamento interno di Autoradiotassì, secondo la quale “i soci della cooperativa non possono partecipare né aderire ad organizzazioni, enti società o consorzi che svolgano attività in concorrenza, conflitto o contrasto con gli interessi della cooperativa stessa”.
[35] “le clausole statutarie e regolamentari, che prevedono obblighi di non concorrenza per i soci e gli utenti delle Parti, e l’esclusione dalle società cooperative per i membri che acquistino i servizi anche all’esterno della cooperativa, e in concorrenza con essa, possono risultare in linea di principio finalizzate all’esigenza di assicurare il buon funzionamento della cooperativa stessa. In tal senso, le clausole in esame non appaiono caratterizzate da un “oggetto” anti-competitivo, risultando in astratto coerenti con l’obiettivo di garantire la funzionalità della ncooperativa” (par. 211 del provvedimento sui taxi romani).
[36] Così denominato sulla base della pronuncia pregiudiziale Corte giust. 28 febbraio 1991, causa C-234/89, StergiosDelimitis c. Henninger Bräu AG.
[37] Per la verità, in T.A.R. Lazio ha contestato, sempre per carenza di istruttoria, anche la corretta conduzione della prima parte della valutazione. A tale profilo attiene, ad esempio, la carente spiegazione del perché 2.800 tassisti che operano da indipendenti nel mercato romano, non costituiscano bacino di utenza contendibile da parte di Mytaxi (si veda la sent. n. 5417/2019).
[38] Deve qui, peraltro, segnalarsi una contraddizione nei provvedimenti. L’Autorità afferma di non potere giudicare le clausole di non concorrenza illegittime per l’oggetto. Di conseguenza, opera una valutazione del loro effetto. Tuttavia, delibera, infine, che esse sono illegittime in quanto “suscettibili” di produrre effetti anticoncorrenziali. Con ciò, finisce con il giudicare il loro oggetto e non il loro effetto.
[39] Il Tribunale ha infatti argomentato che “in relazione alla ritenuta ricorrenza di un nesso causale tra le condotte delle imprese e l’effetto di chiusura del mercato, il provvedimento adotta una tecnica argomentativa assertiva laddove esclude ogni possibile incidenza della politica dei costi di Mytaxi sul basso indice di affiliazione, così che l’affermazione resta affidata ad una ritenuta superiorità delle piattaforme aperte ovvero a ragioni che in tale assunto trovano la loro premessa logica o, ancora, a ragionamenti ipotetici (paragrafi da 262 a 266)” e che “I paragrafi da 264 a 266, a ciò dedicati, non menzionano infatti riferimenti ad accertamenti istruttori che supportino le affermazioni rassegnate e la reiezione della prospettazione delle parti del procedimento in ordine alle spiegazioni alternative lecite alla mancata espansione di Mytaxi secondo le aspettative della medesima è avvenuta sulla base di affermazioni spesso apodittiche o, al più, meramente argomentative, ma prive di richiami ad emergenze empiriche, ciò che non era consentito dalla specifica tipologia di intesa in esame (verticale e “per effetto”), per la quale, come sopra rilevato, le norme e la giurisprudenza comunitaria richiedono un particolare approfondimento dell’analisi economica”. Conclude sinteticamente che l’Autorità “benché sollecitata dalle parti, non ha indagato compiutamente le possibili ragioni di mancata adesione dei singoli tassisti alla piattaforma Mytaxi” (si veda, per tutte, la sent. 5358/19).
Altri passaggi delle sentenze del T.A.R. Lazio paiono invece poco convincenti. Valgano per tutte la censura, presente in tutte le sentenze, secondo la quale, ai fini dell’individuazione del mercato rilevante, l’Autorità non avrebbe indagato sulla sostituibilità tra app digitali e radio chiamate; e l’affermazione, formulata nelle sentenze sul provvedimento diretto ai radiotaxi milanesi, che il pregiudizio concorrenziale in danno degli stessi tassisti qualificati parte dell’intesa “sarebbe stato coerente con una ricostruzione della fattispecie in termini di abuso di posizione dominante, ma […] è antitetico al concetto stesso di intesa”. Come rilevato in precedenza nel testo, con la sentenza del 7 giugno 2019, n. 7463, pronunciata sul ricorso della Società Cooperativa Radiotaxi Torino, la prima affermazione è stata rivista.
Quanto alla prima censura, è pacifico che in materia di intese, il mercato rilevante è quello definito dal perimetro dell’intesa indagata. In tal senso si è, del resto, espresso più volte, con specifico riferimento a procedimenti condotti dall’Autorità garante della concorrenza, il Consiglio dio Stato (si veda, ad es., Cons. St., 4 novembre 2014, n. 5423, secondo la quale tale definizione “è relativa anche e soprattutto all’ambito nel quale l’intento anticoncorrenziale ha, o avrebbe, capacità di incidere e attitudine allo stravolgimento della corretta dinamica concorrenziale, sicché, nelle ipotesi di intese restrittive della concorrenza, la definizione del mercato rilevante è direttamente correlata al contesto in cui si inquadra il comportamento collusivo tra le imprese coinvolte (per tutte, Cons. Stato, sez. VI; 3 giugno 2014, n. 2837). Come a più riprese è stato chiarito dalla giurisprudenza amministrativa, infatti, in tali ipotesi l’individuazione e la definizione del mercato rilevante è successiva rispetto all’individuazione dell’intesa nei suoi elementi oggettivi, in quanto sono l’ampiezza e l’oggetto dell’intesa a circoscrivere il mercato su cui l’abuso è commesso”). Il richiamo del T.A.R. Lazio a Corte giust., 23 gennaio 2018, causa C-179/16, F. Hoffmann-La Roche Ltd e aa. c. AGCM, è palesemente non pertinente.
Per dimostrare poi l’erroneità dell’affermazione che chi è parte di un’intesa non possa esserne anche soggetto pregiudicato, basti richiamare la sentenza Corte giust., 20 settembre 2001, causa C-453/99, Courage Ltd contro Bernard Crehan e Bernard Crehan contro Courage Ltd e altri, che costituisce il fondamento del riconoscimento a chi è parte di un’intesa restrittiva della concorrenza del diritto ad essere risarcito dei danni subiti, ovviamente laddove egli “si trovasse in una posizione d’inferiorità grave nei confronti della controparte, tale da compromettere seriamente, e persino da annullare, la sua libertà di negoziare le clausole del detto contratto nonché la sua capacità di evitare il danno o limitarne l’entità, in particolare esperendo tempestivamente tutti i rimedi giuridici a sua disposizione” (par. 33).
[40] Corte giust., 28 marzo 1984, cause riun. 29 e 30/83, Compagnie Royale Asturiennedes Mines SA e Rheinzink GmbH c. Commissione CE, par. 26.
[41] Corte giust., 11 settembre 2014, causa C-67/13, Groupement des cartes bancaires (CB) c. Commissione europea, par. 57 (ivi riferimenti alla precedente conforme giurisprudenza della Corte).
[42] Ibidem, par. 53. Per un’analisi degli orientamenti in materia, si vedano M. Libertini, Diritto della concorrenza dell’Unione Europea, Milano, 2014, 126 ss.; R. Whish, D. Bailey, Competition Law, IX ed., Oxford, 2018, 121 ss.; A. Pappalardo, Il diritto della concorrenza dell’Unione Europea, II ed., Torino, 2018, 132 ss.
[43] R. Whish, D. Bailey, Competition Law (nt. 42), 125 s.
[44] Corte giust., 20 gennaio 2016, causa C-373/14 P, Toshiba Corp. c. Commissione europea; 27 aprile 2017, causa C-469/15 P, FSL Holdings e aa. c. Commissione europea.
[45] Sulle ragioni per le quali l’art. 101 vieta talune pratiche per il loro oggetto, senza richiedere la prova del loro effetto, si vedano R. Whish, D. Bailey, Competition Law (nt. 42), 127. Riassuntivamente, si può parlare di ipotesi in cui, più che valutare gli effetti, sia pure potenziali, nel singolo caso, il giudizio si basa su una proxy.
[46] Per una attenta ricostruzione della posizione della Corte, si veda A. Pappalardo, Il diritto della concorrenza dell’Unione Europea, (nt. 424), 136 s.
[47] La cui idoneità dissuasiva, considerato il contesto, può derivare sia da considerazioni strettamente economiche (il mancato godimento degli effetti di rete che potrebbero essere assicurati dagli incumbent, rispetto ad un new entrant), ma anche di tipo strategico (la certezza dell’oggi contro l’incertezza del domani; il timore che, una volta divenuto incumbent, il soggetto multinazionale sfrutti il mercato, ecc., ecc.) e, last but not least, di tipo sociale e psicologico: in una corporazione così coesa quando si sente sotto attacco, quale è quella dei tassisti, può non essere facile per i singoli operatori affrontare la riprovazione di una parte particolarmente agguerrita dei suoi componenti e dei vertici delle cooperative. Le clausole restrittive e le relative sanzioni possono agevolmente dare al reprobo la sensazione di tagliarsi i ponti alle spalle. E, ancora, il tassista costretto a scegliere tra la cooperativa e Mytaxi è consapevole che, nel secondo caso, rinuncerà alla protezione collettiva della categoria, trovandosi solo di fronte al mercato.
[48] Si veda Corte giust., 25 marzo 1981, causa C-61/80, Cooperatieve Stremsel – en Kleuselfabrik c. Commissione, par. 12. È vero che diversamente sembra affermarsi nella sentenza della Corte richiamata nei provvedimenti Corte giust., 15 dicembre 1994, C-250/92, Gøttrup-Klim c. Dansk Landbrugs Grovvareselskab Amba sulla quale l’Autorità basa una presunzione di giustificabilità di principio degli accordi, che la porta ad escludere l’illegittimità per oggetto delle clausole di non concorrenza (par. 215 del provvedimento sui taxi romani). In realtà, tale pronuncia della Corte non è di interpretazione così lineare. L’attenzione sembra concentrata, piuttosto che su un semplice obbligo di acquisto dalla cooperativa, sul divieto, imposto ai soci “di partecipare ad altre forme di cooperazione organizzata in concorrenza diretta con la cooperativa” (par. 45 della sent. 15 dicembre 1994). Si può dunque ben comprendere che la valutazione di simile divieto lasciasse spazio a sue possibili giustificazioni.
Il minimo che può dirsi è che, su tale materia, la Corte segua il criterio del caso per caso.
Sul tema si veda C. Garilli, Contratto di rete e diritto antitrust, Torino, 2018, 90 ss., 133, testo e nota 140.
[49] Corte giust., 13 ottobre 2001, causa C-439/09, Pierre Fabre Dermo-Cosmétique SAS c. Président de l’Autorité de la concurrence et Ministre de l’Économie, de l’Industrie et de l’Emploi, par. 39.
[50] Si vedano, con varie sfumature, E. Tonelli, Commento all’art. 2527, in M. Sandulli, V. Santoro (a cura di), La riforma delle società, Torino, 2003, 98; G. Capo, Art. 2527, in Delle società – Dell’azienda – Della concorrenza, a cura di D. Santosuosso, artt. 2511-2574, Commentario del codice civile, diretto da E. Gabrielli, Torino, 2014, 232; A. Ceccherini, S. Schirò, Società cooperative e mutue assicuratrici, Milano, 2003, 92. Per una ricognizione, si veda da ultimo la nota di M. Cavanna, Spunti in tema di esclusione del socio da società cooperativa, in Le Società, 2019, 290.
[51] Così G. Bonfante, La società cooperativa, Padova, 2014, 203.
[52] Mentre v’è chi ritiene che il divieto possa considerarsi sia violato anche nel caso di partecipazione come socio illimitatamente responsabile in società concorrente (artt. 2301 e 2390 c.c.) o dell’assunzione della funzione di amministratore o direttore generale in società concorrenti (art. 2390 c.c.), o, ancora, l’assunzione della posizione di socio di s.p.a. o s.r.l. unipersonale. Si veda ancora M. Cavanna, Spunti (nt. 50), ove riferimenti di dottrina, il quale rileva però che le disposizioni in questione consentono la deroga al divieto, su consenso della società, mentre l’art. 2527, comma 2, c.c., è inderogabile.
[53] L’attuale testo della norma è però frutto di una modifica apportata con l’art. 28 del d.lgs. 28 dicembre 2004, n. 310 (integrativo e correttivo della disciplina di riforma del diritto societario). In precedenza, infatti, la norma parlava di “imprese identiche o affini”.
[54] Si vedano, in tal senso, G. Bonfante, Il nuovo diritto societario, Bologna, 2004, 2496; A. Ceccherini, S. Schirò, Società cooperative e mutue assicuratrici, (nt. 50), 92. Contra, M. Frascarelli, Le nuove cooperative, Milano, 2003, 69; G. Fauceglia, Luci ed ombre nella nuova disciplina delle società cooperative, in Corr. Giur., 2004, 1392.
[55] Si veda E. Tonelli, Commento all’art. 2527, (nt. 50), 98.
[56] Si veda la già citata T.A.R. Lazio n. 407/2017.
[57] Si veda App. Milano, 6 febbraio 2018, in Le Società, 2019, 285, che afferma la legittimità dell’esclusione di un medico che percepiva in via esclusiva i compensi corrispostigli dai pazienti, che la corte considera spettanti alla cooperativa di appartenenza, avente ad oggetto attività assistenziale.