Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Attività economica e atti antieconomici nell'esercizio dell'impresa (di Elisabetta Loffredo)


Nel contributo si analizza il problema del compimento di atti antieconomici nell'esercizio dell'impresa, per valutare se questi si pongano sempre in contrasto con il principio normativo della economicità della gestione, generando responsabilità o fenomeni di concorrenza illecita, oppure se, a certe condizioni, siano compatibili con esso.
L'esistenza nel sistema normativo e nella prassi interpretativa di alcuni criteri che possono collegare l'atto antieconomico all'iniziativa produttiva e che neutralizzano il loro disvalore, consente di non escludere in termini generali la compatibilità di questo genere di atti con l'esercizio di un'impresa svolto correttamente e secondo regole di mercato.

The paper analyzes the impact of uneconomical acts in the functioning of the firm, in order to determine whether they always contrast with the legal principle of cost-effectiveness (in terms of balanced-budget), provoking liabilities or phenomena of unfair competition, or they are, under certain conditions, consistent with it.
The presence in legislation, in doctrinal analysis, and in judicial case law of some criteria, which link the uneconomical act to commercial enterprise and neutralize their negative effects on the budget balance, allows not to exlude, in general terms, their compatibility with a correct and market-oriented functioning of the firm.

Sommario/Summary:

1. La libertà “condizionata” degli atti di esercizio dell’impresa - 2. L’attività economica e la rilevanza di atti antieconomici - 3. La compatibilità con l’attività economica di atti onerosi non remunerativi e di atti non onerosi a rilievo economico - 4. Gli atti antieconomici interessati e il collegamento con l’iniziativa produttiva: atti interni, atti infragruppo e atti di mercato - 5. L’apprezzamento dell’atto antieconomico nella relazione con l’attività e con l’operazione economica - 6. Il rispetto del criterio di economicità e le compensazioni esterne: spunti dalla regolazione dei SIEG - 7. Economicità della gestione e atti antieconomici nelle imprese individuali e societarie tra moventi e causa associativa - NOTE


1. La libertà “condizionata” degli atti di esercizio dell’impresa

La libertà sancita dall'art. 41 Cost., che presidia l'iniziativa economica privata assicurandone l'autonomia nelle scelte di avvio e di cessazione su base volontaria e nella selezione delle forme organizzative e associative funzionali al programma[1], si proietta sul suo esercizio e, dunque, regge la dimensione attuativa dell'impresa anche nella prospettiva dei singoli atti giuridici e negoziali che vengono compiuti. Pure in questa visuale, tuttavia, lo svolgimento dell'impresa non è interamente riservato alla autodeterminazione, né è realmente insindacabile nella sua operatività. Subisce, al contrario, diversi livelli di condizionamento, sia sul piano dell'attività - intesa come sintesi che ordina e unifica nella comune finalità economica la varietà di atti materiali e negoziali con la quale l'iniziativa si concretizza-, sia sul piano dei singoli atti con cui ad essa viene data attuazione. I limiti posti alla libertà di iniziativa sono infatti condivisi dall'attività e dagli atti che ne costituiscono le unità elementari. Si estende a questi ultimi, di conseguenza, il vincolo costituzionale del rispetto dell'utilità sociale stabilito dall'art. 41 per l'iniziativa economica, alla luce del quale tanto si definiscono le restrizioni al compimento di atti tipici, quanto si svolge il vaglio di meritevolezza giuridica su quegli schemi che nell'agire dell'impresa, anche ripetendo modelli alieni[2], si collocano all'esterno delle cause contrattuali tipiche[3]. Gli atti giuridici, gli atti negoziali e i contratti, in quanto strumenti che mediano giuridicamente tra gli interessi e i fini economici dell'impresa e gli interessi generali del contesto nel quale essa opera[4], si confrontano con l'assetto dato dall'ordinamento a questi ultimi, sui quali si parametra l'estensione della autonomia privata nell'impresa e la legittimità delle singole operazioni. Per tracciare a grandi linee il contesto dei vincoli negoziali nel quale si svolge l'attuazione delle iniziative economiche conviene ricordare che nell'orizzonte politico della dittatura nel quale si plasmò la codificazione del 1942, la valutazione degli interessi plurimi e collettivi coinvolti sia nell'impresa, sia dall'impresa - figura alla quale nella Carta del Lavoro si attribuiva "funzione di interesse generale"-, fu, per la verità, ambivalente, tanto da non giungere a connotare in senso spiccatamente [...]


2. L’attività economica e la rilevanza di atti antieconomici

E' solo all'interno del perimetro delimitato da questo sistema normativo che la gestione dell'impresa può avvalersi di una piena autonomia negoziale, interamente governata da criteri di discrezionalità tecnico-aziendale e dalle regole degli affari. Qui, l'attività potrà concretarsi liberamente nelle condotte più consone alle sue caratteristiche, alle specificità del modello organizzativo adottato, e agli intenti dei soggetti ai quali l'iniziativa è riferibile, e potranno venire assunte senza coazioni le determinazioni sugli atti da compiere: per tipi, oggetto, contenuti e regole del rapporto. Nulla sembra escludere, quindi, che in quest'ambito di discrezionalità gestoria possano fare ingresso anche atti che, nella loro singola considerazione, appaiono a tutta prima incoerenti con gli obiettivi di remunerazione della produzione e del conseguimento di risultati utili - sotto forma di profitti o di altri vantaggi -, propri degli schemi imprenditoriali e societari. Anche senza scomodare, per giustificarli, le più recenti teorie comportamentali sulla presunta irrazionalità delle imprese e i suoi effetti[14], non può sorprendere il ricorso ad atti non remunerativi, se compensati da vantaggi prospettici non immediati, ma economicamente significativi per l'impresa e le sue aspettative, e quantificabili secondo un giudizio prognostico. La questione, piuttosto, consiste nel comprendere se il paradigma giuridicamente rilevante della economicità dell'attività, assunto nell'art. 2082 c.c.tra gli elementi costitutivi della fattispecie normativa, rendendo essenziale la pianificazione dell'azione verso l'obiettivo dell'equilibrio e della continuità aziendale, che è quanto il requisito prescrive, non rappresenti, da questo punto di vista, un ulteriore livello di vincoli all'azione. Vale a dire, se esso non precluda, in linea di principio, operazioni anti-economiche, cioè atti in sé anomali rispetto all'economicità dell'esercizio dell'impresa, il compimento dei quali risulta in contrasto con altri interessi e posizioni protetti e fondi, quindi, specifiche responsabilità dell'imprenditore o altre conseguenze in senso lato sanzionatorie. Il dubbio è ingenerato dalla considerazione per nulla neutra che gli atti non  remunerativi ricevono in contesti normativi differenti e contigui al diritto dell'impresa: in particolare in quello [...]


3. La compatibilità con l’attività economica di atti onerosi non remunerativi e di atti non onerosi a rilievo economico

A una riflessione più attenta, invece, può giustificarsi l'accoglimento di opinioni meno nette rispetto a quelle poco sopra prospettate, o se non altro più articolate. La prima correzione del giudizio deve farsi rispetto alla valutazione di compatibilità di tutti gli atti onerosi con l'equilibrio economico dell'impresa: tra essi rientrano, infatti, anche atti in concreto incapaci di contribuire alla stabilità dell'impresa, quando la onerosità non si traduca né in piena corrispettività, né in un livello almeno adeguato alla remunerazione dei costi della prestazione resa[20]. Situazione, questa, che trova evidenza emblematica nelle vendite sotto costo[21] o effettuate a prezzi predatori, ma che si verifica anche in presenza di atti con prestazioni affette da squilibri economici meno gravi per l'impresa, conseguenti all'adozione di politiche concorrenziali aggressive, che potrebbero venire praticate dal nuovo entrante su un mercato, o da un'impresa in posizione dominante assoluta o relativa, quale forma di sfruttamento abusivo del suo potere[22], nelle quali l'operazione si attua a valore inferiore - per utilizzare il lessico ricorrente nelle norme tributarie - rispetto al "valore normale"(cfr., in particolare, art.9 TUIR). Tutte le ipotesi di manovre ribassiste, in effetti, salvo che non siano giustificate da eventi propriamente promozionali o dalle caratteristiche del prodotto - in particolare dalla sua deperibilità, da obsolescenza tecnologica accelerata, da stagionalità -, oppure dalla riduzione effettiva dei costi di produzione o dalla razionale contrazione dei propri margini di profitto[23], risultano prive di un fondamento di tipo gestionale o industriale e si motivano in termini di pura strategia commerciale di genere predatorio[24]. Gli atti finalizzati a tali obiettivi concorrenziali erodono risorse e presuppongono, se reiterati e posti in essere durevolmente, o almeno in modo non episodico, che l'impresa possegga direttamente, o attinga all'esterno, una ricchezza finanziaria sufficiente a sostenere l'antieconomicità non occasionale della sua gestione. Si tratta di condotte che si collocano, perciò, al di fuori del "normale" esercizio dell'iniziativa e possono fondar especifiche responsabilità dell'impresa a causa della violazione delle regole sulla lealtà e sulla non alterazione artificiosa della concorrenza[25]. D'altra parte, minando [...]


4. Gli atti antieconomici interessati e il collegamento con l’iniziativa produttiva: atti interni, atti infragruppo e atti di mercato

La tipologia degli atti gratuiti o anti-economici, ma economicamente interessati, recuperabili alla logica dell'economicità comprende, in primo luogo, atti che possono definirsi "interni", cioè che si pongono a servizio del ciclo produttivo o di alcune sue componenti, in vista del conseguimento di vantaggi funzionali. A questo genere potrebbero ascriversi tutte le forme note all'esperienza imprenditoriale di servizi prestati collettivamente o individualmente ai dipendenti, non riconducibili al profilo salariale, e posti in diretta relazione con la prestazione lavorativa e ad essa ancillari: trasporto gratuito, comodato di immobili concessi a fronte di prestazioni di custodia o di manutenzione, servizi di mensa, e così via, ma anche atti con i quali si rendono al dipendente servizi alla persona o alla famiglia - per esempio tramite strutture di cura ed educazione per i figli dei prestatori di lavoro - a valori non di mercato. Il criterio che riconduce questa congerie di atti alla prospettiva dell'economicità della gestione risulta quello della loro riferibilità ad uno dei fattori produttivi, con il quale risultano collegati in posizione servente, accessoria o integrativa. La deviazione dell'atto o della serie di atti gratuiti o sotto-remunerati dal criterio di economicità viene quindi compensata dal recupero di efficienza del ciclo produttivo complessivo, che muove sul piano dei servizi alla forza lavoro. Mi pare, peraltro, che questo possa avvenire legittimamente, cioè senza conseguenze in termini di una o altra responsabilità di impresa, solo a condizione che la maggiore efficienza complessiva sia prevedibile e pre-determinabile. Ciò non necessariamente in termini strettamente ragioneristici o di bilancio, ma almeno secondo una quantificazione adeguata a venire inserita nella prospettiva programmatica della continuità aziendale e di una redditività complessiva coerente con la forma organizzativa assunta dall'impresa: lucrativa, mutualistica o non profit. Quindi, non sarebbe sufficiente, a questi fini, per escludere illeciti o responsabilità gestorie, né un generico auspicio del management al conseguimento di una maggiore efficienza, quale risultante dell'accresciuto benessere dei lavoratori, né l'evenienza - che potrebbe solo essere del tutto fortuita - di una economicità dell'esercizio "a saldo", conseguita grazie ad altre voci di bilancio che [...]


5. L’apprezzamento dell’atto antieconomico nella relazione con l’attività e con l’operazione economica

Se dunque non può presumersi che tutti gli atti a titolo gratuito, inclusi quelli liberali, siano lesivi del credito d'impresa o che rappresentino comportamenti in sé non consentiti e contra ius,non può neppure escludersi pregiudizialmente che la gestione che comprende atti a titolo gratuito e liberalità - più in generale atti senza corrispettivo - e produce, a causa di quelli, immediate diseconomie sia compatibile con il riconoscimento di un'impresa svolta in condizioni di "normalità". Per superare anche tale preconcetto ed evitare il rischio di giudizi apodittici, il confronto tra attività imprenditoriale e atti non remunerativi nella prospettiva del diritto commerciale può utilmente avvalersi di una doppia linea di verifica, i cui risultati forse potrebbero avere anche rilevanza trasversale, ad esempio rispetto al diritto tributario, o in ordine alle tutele laburistiche che operano solo nei rapporti con datori di lavoro di carattere imprenditoriale, talvolta negate per il disconoscimento di tale qualità in un organismo che opera in assenza di compiuta autonomia finanziaria[48].  Le due prospettive secondo le quali è possibile valutare il ruolo e l'incidenza nell'impresa di atti di diversa natura e, in particolare, per quanto si è detto, la capacità di taluni di essi o a certe condizioni di determinare scostamenti giuridicamente significativi dall'economicità della gestione imprenditoriale, ovvero la loro neutralità funzionale ed effettuale rispetto a quest'ultima, attengono l'una all'atto oggettivamente considerato, l'altra a condizionamenti di diversa origine nella attività d'impresa che ne connotano il concreto svolgimento.  La prima linea di analisi, quella che riguarda oggettivamente l'atto in sé, si sviluppa nella ricerca e nella verifica del collegamento - in senso lato - che esso presenta con l'iniziativa produttiva. In altre parole, essa è indirizzata a valutare se l'inserimento dell'atto in una condotta imprenditoriale possa attribuirgli, nella sua specifica conformazione, una giustificazione in concreto capace di trasformarne la non corrispettività[49] e di individuare un criterio - quali l'integrazione funzionale, l'accessorietà, la rilevanza promozionale o altro - che rende l'atto coerente con il metodo economico della gestione. La prospettiva si avvalora nella logica dell'operazione [...]


6. Il rispetto del criterio di economicità e le compensazioni esterne: spunti dalla regolazione dei SIEG

La seconda linea di analisi va ad appuntarsi invece, come si è sopra anticipato, sulla condotta imprenditoriale complessiva, in relazione alle concrete espressioni che essa assume, in quanto condizionata da elementi che attengono al soggetto al quale essa è riferibile; elementi che possono attenere a finalità, motivi o ragioni della persona fisica, causa della struttura societaria, situazione del titolare rispetto a pubblici poteri, specificità dei partecipanti, ed altro. "Qualità" e caratteristiche strutturali o funzionali del soggetto al quale si imputa l'impresa possono, difatti, contribuire ad acclarare la causa concreta di un atto dispositivo gratuito inserito nella condotta imprenditoriale e quindi qualificarlo come pertinente ad essa. Sotto questo profilo è noto che per il diritto dell'impresa, in particolare per l'applicazione dello statuto dell'imprenditore e delle regole sulla concorrenza non falsata, è un punto d'arrivo da tempo pacifico che la qualificazione imprenditoriale dell'iniziativa e del soggetto, persona fisica o organismo al quale essa è riferibile, si fonda esclusivamente sulle modalità di organizzazione e di finanziamento dell'attività e non rilevino fine, scopi, motivi o moventi. Gli stessi principi sembrano peraltro ormai attestati anche in altri contesti disciplinari. Così, nella logica impositiva del diritto tributario, gli interventi della giurisprudenza di legittimità sono valsi a stabilizzare il criterio di apprezzamento del carattere imprenditoriale di un'iniziativa nei termini di "attività economica, organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi ed esercitata in via esclusiva o prevalente, che sia ricollegabile ad un dato obiettivo inerente all'attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi, rimanendo giuridicamente irrilevante lo scopo di lucro, che riguarda il movente soggettivo che induce l'imprenditore ad esercitare la sua attività"[54]. E' irrilevante, del resto, anche il modo in cui si realizza la remunerazione dei fattori produttivi: se sulla base di una totale autonomia finanziaria dell'ente o se grazie alla programmazione di una compensazione, con contributi privati,  ad esempio degli stessi partecipanti nelle strutture cooperative e consortili[55],  o con risorse pubbliche, sotto forma di sovvenzioni o di rinuncia a introiti da parte del soggetto pubblico[56], [...]


7. Economicità della gestione e atti antieconomici nelle imprese individuali e societarie tra moventi e causa associativa

Quanto, infine, al confronto degli atti antieconomici con le finalità e i moventi del soggetto, può assumersi, come premessa ampiamente condivisa tra gli interpreti, che nell'impresa individuale gli obiettivi di chi agisce appartengono interamente alla sfera dei motivi e dunque, accertabili solo ex post, sono giuridicamente irrilevanti e inefficienti rispetto alla qualificazione di un'attività, mentre rispetto agli organismi strutturati (in forma societaria e non) è ugualmente un dato del tutto pacifico che le finalità dell'agire imprenditoriale si saldano nella causa "economica"[67] del negozio e della struttura che ne viene generata. Esse condizionano, piuttosto che la gestione - certo ispirata in ragione di una causa lucrativa alla massimizzazione del profitto, e orientata invece dalla presenza di una causa mutualistica o ideale a una redditività meno accentuata -,l'attribuzione degli utili conseguiti, che segue logiche differenti. Può trattarsi del vantaggio egoistico dei partecipanti - in guisa di remunerazione dell'investimento propria della società lucrative, o quale acquisizione di benefici economici diversamente commisurati nelle società mutualistiche di genere cooperativo o consortile - o invece della destinazione degli avanzi di gestione a terzi, in una prospettiva di attribuzione esterna interamente altruistica e secondo le logiche del dono, negli schemi di azione causalmente (associazioni, fondazioni[68]) o funzionalmente (imprese sociali in forma di società lucrative e altre società di capitali legalmente non lucrative) senza fini di lucro. Motivi di carattere personale e familiare possono sottostare al compimento da parte della persona fisica imprenditore di atti dispositivi non remunerativi, la (in)compatibilità dei quali con l'impresa si svela normalmente nel trattamento fallimentare di essi[69]; in pari modo moventi e fini ideali e sociali, spirito caritativo, solidaristico o di mecenatismo del soggetto al quale è riferibile l'impresa individuale possono indurlo al compimento di atti non onerosi o non corrispettivi e moltiplicarli, giacché essi corrispondono a un "fondamentale bisogno della vita che consiste nell'arricchimento altrui"[70]. Di questi ultimi non è tuttavia da escludersi il loro legame con l'impresa, che potrebbe rilevarsi anche in termini oggettivi, sebbene solo in via presuntiva, sulla base del dato del tipo di [...]


NOTE