Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Abuso del diritto e abuso di posizione dominante (di Mario Libertini)


L'a. critica l'idea, attualmente molto diffusa, secondo cui l'abuso di posizione dominante, vietato dalle norme antitrust, sia un esempio, legalmente tipico, di abuso del diritto. Secondo l'a. questa idea si collega all'affermazione - tradizionale nella giurisprudenza antitrust europea - secondo cui l'impresa in posizione dominante è investita di una "speciale responsabilità" e pertanto non può avvalersi di strumenti giuridici (p.e. clausole di esclusiva, rifiuti di contrarre ecc.) che, invece, rimangono nella piena disponibilità delle imprese ordinarie.

Sostiene l'a. che la fattispecie dell'abuso di posizione dominante è più ampia e non richiede la prova dell'impiego abusivo di strumenti giuridici che sarebbero legittimi se l'impresa che se ne avvale non avesse potere di mercato. Per giungere a tale conclusione l'a. ripercorre la storia giurisprudenziale e dottrinale della fattispecie "abuso di posizione dominante", manifestando adesione alla soluzione, affermatasi nel diritto vivente, secondo cui si ha abuso di posizione dominante in tutti i casi in cui un'impresa, dotata di potere di mercato, ottenga un vantaggio competitivo con mezzi non apprezzabili in termini di competition on the merits, cioè ottenga vantaggi non costituenti il risultato di libere scelte dei consumatori.

Abuse of Rights and Abuse of a Dominant Position

The Author criticises the very common opinion that the abuse of a dominant position, which is forbidden by the antitrust legislation, is a legally typical example of abuse of rights.

From the Author's standpoint, this opinion is connected with the statement - which is a traditional statement in the European antitrust case-law - that the dominant enterprise is entrusted with a special responsibility and thus it cannot use legal instruments (e.g. exclusivity clauses, refusal to contract) which remain, instead, at full disposal of the non-dominant enterprises. The Author argues that the situation of abuse of a dominant position is broader, and it doesn't require evidence that the legal instruments, that would be legitimate if the firm taking advantages of them did not have market power, have been misused. To come to this conclusion, the Author analyses the evolution of the case-law and scholarship on the abuse of a dominant position, and agrees on the solution, which has been established in the living law, that the abuse of a dominant position exists whenever an enterprise having market power gets a competitive advantage with no significant means in terms of competition on the merits; namely, this firm gets advantages that are not the result of the consumers' freedom of choice.

KEYWORDS: dominant position - Abuse of rights - market power - competition on the merits

Sommario/Summary:

1. Premessa - 2. Un quadro storico: monopolization e abuso di posizione dominante - 3. La costruzione della fattispecie dell’abuso di posizione dominante nell’elaborazione della Commissione UE e nella giurisprudenza europea: dalla speciale responsabilità alla competizione secondo i meriti - 4. Il significato normativo di competition on the merits - 5. Il contributo della dottrina alla costruzione della fattispecie di abuso di posizione dominante - 6. Segue. Alcune proposte dottrinali recenti. Criteri restrittivi ed estensivi, rivalutazione dell’intento monopolistico, Consumer Choice Theory - 7. Conclusioni sulla costruzione della fattispecie dell’abuso di posizione dominante - 8. Critica dell’idea secondo cui l’abuso di posizione dominante costituirebbe un esempio nell’ambito della figura generale dell’abuso del diritto - NOTE


1. Premessa

Nell'organizzazione dei lavori del convegno, in cui questa relazione si inserisce, mi è stato affidato il compito di confrontare il divieto di abuso di posizione dominante ("a.p.d."), che è una norma specifica del diritto della concorrenza, con la dottrina generale del divieto di abuso del diritto. Questo rapporto è in effetti problematico, perché accade oggi spesso di vedere presentato l'a.p.d. come un esempio di abuso del diritto[1], ma accade anche - se pur di rado - di vedere affermato il contrario[2]. Si tratta dunque di vedere se sia appropriata la frequente assimilazione delle due figure, cioè la qualificazione dell'a.p.d. come figura speciale di abuso del diritto; e, in secondo luogo, si tratta di vedere se l'eventuale assimilazione, al di là dell'appropriatezza concettuale, sia poi neutra sul piano della ricostruzione normativa o possa avere ricadute significative su di essa, sì da fare assumere al problema una valenza "dogmatica" e non meramente terminologica. Al fine di formulare una risposta al quesito ci si interrogherà dapprima sulla costruzione concettuale della fattispecie di a.p.d. nel diritto europeo vivente (§§ 2-4), per poi richiamare sinteticamente gli sviluppi della dottrina in materia di a.p.d. (§§ 5-6) e formulare una conclusione sul contenuto della figura (§ 7); a questo punto si formulerà un confronto finale con la dottrina dell'abuso del diritto, giungendo alla conclusione secondo cui svolge solo una funzione ausiliaria e complementare ai fini della corretta applicazione del divieto di abuso di posizione dominante (§ 8).


2. Un quadro storico: monopolization e abuso di posizione dominante

Com'è noto, la figura del (divieto di) abuso di posizione dominante è frutto di una scelta originale del legislatore antitrust europeo e non trova un preciso precedente nella legislazione antitrust americana. Questa, infatti, prevede, tra le figure di illecito antitrust, oltre agli accordi e alla collusione fra più imprese, quella della monopolization[3]. Questa previsione normativa riprende, in sostanza, una linea di politica legislativa molto antica (risalente, quanto meno, al diritto romano), che vietava le condotte economiche private intese a creare un monopolium, mediante incetta di beni o accordi fra venditori per realizzare un aumento artificioso dei prezzi[4]. Le norme antimonopolio erano norme penali, e come tali le si ritrova nei secoli, fino alloSherman Act. Nella concreta applicazione, il divieto di monopolization dello Sherman Act è stato progressivamente interpretato non come divieto assoluto di acquisizione di una posizione di primato o addirittura di monopolio (nella moderna accezione economica) sui mercati: tale conquista è stata invece considerata lecita - alla luce, sostanzialmente, della rule of reason -quando fondata sul merito della superiorità delle proprie offerte commerciali. Il divieto è quindi oggi inteso come avente ad oggetto lo sfruttamento di situazioni di potere di mercato per rafforzare la propria posizione ed impedire o ostacolare l'azione dei concorrenti[5]. Per di più, nei tempi più recenti, con l'affermarsi della dottrina dell'analisi economica del diritto, gli orientamenti della giurisprudenza americana si sono sempre più spostati nel senso di legittimare le pratiche delle grandi imprese, purché giustificabili in termini di efficienza produttiva e idonee ad incrementare il benessere del consumatore. Oggi, come vedremo ancora più avanti, vi è notevole differenza, fra diritto americano e diritto europeo, nel trattamento delle condotte unilaterali delle grandi imprese: p.e., il diritto europeo condanna la pratica dei prezzi predatori senza richiedere la prova dell'esistenza di una concreta strategia di recoupement (cioè di recupero delle perdite mediante la futura pratica di prezzi di monopolio)[6]; condanna la pratica del margin squeeze da parte di imprese verticalmente integrate, anche quando il prezzo finale non è sottocosto, ma comunque ostacola la presenza sul mercato dei concorrenti nuovi entranti[7]; condanna [...]


3. La costruzione della fattispecie dell’abuso di posizione dominante nell’elaborazione della Commissione UE e nella giurisprudenza europea: dalla speciale responsabilità alla competizione secondo i meriti

Questa scelta di politica legislativa (ammissibilità della p.d. ma divieto di abuso) era coerente con la tradizione europea di diritto della concorrenza e fu accettata anche dagli ordoliberali di seconda generazione, che avevano sostituito - seguendo Hayek - l'ideale della concorrenza perfetta con quello della concorrenza imperfetta e dinamica[19]. Rimaneva, dell'originaria ispirazione, l'idea che compito dello Stato debba essere quello di tutelare la libertà dei cittadini anche nei confronti dei poteri privati. Da qui, inizialmente, era venuta l'idea che le norme antitrust dovessero imporre alle imprese dominanti un dovere di comportarsi "come se" (Als Ob) fossero effettivamente soggette a pressione concorrenziale. Questa formula, risalente ai classici del pensiero ordoliberale (Miksch, 1937, 1948), apparve ben presto astratta e irrealistica: in effetti, essa era coniata ponendo, come riferimento ideale, quello della concorrenza perfetta e di un mercato di scambi in equilibrio, e postulando quindi una politica della concorrenza volta ad avvicinare, per quanto possibile, il funzionamento reale dei mercati a quell'ideale. Ma, dal momento che la concorrenza effettiva è lontana dal modello di concorrenza perfetta, ed è tipicamente concorrenza "imperfetta" (o "monopolistica"), incentrata sulla differenziazione dell'offerta, quel criterio è apparso sostanzialmente inapplicabile ed è stato abbandonato. Non è stata però abbandonata l'idea ordolibeale (anzi, liberaletout court) per cui al potere privato, in quanto tale, debbano essere collegate forme di responsabilità per il caso in cui il suo esercizio porti ad esiti economicamente inefficienti e/o socialmente riprovevoli. Su questa base, la giurisprudenza europea, nelle sue sentenze fondative in materia di a.p.d. degli anni '70 e '80, oltre a costruire una definizione della p.d. come "sostanziale indipendenza" di un'impresa dalle possibili reazioni di concorrenti, fornitori e clienti alle proprie condotte, coniò la formula della "speciale responsabilità" gravante sull'impresa dominante: questa è obbligata, in ragione del suo potere di mercato, a comportarsi in maniera tale da non impedire la sussistenza di una concorrenza effettiva nel mercato di riferimento. In tal modo, l'abuso assumeva il significato di condotta costituente violazione di questo dovere di comportarsi secondo criteri di "speciale [...]


4. Il significato normativo di competition on the merits

Può dirsi dunque che il diritto vivente europeo tende a configurare l'abuso di p.d., in termini generali, come condotta dell'i.d. idonea a realizzare, in proprio favore, un vantaggio competitivo non giustificabile in termini dicompetition on the merits. Ad avviso di molti osservatori, quest'ultima sarebbe una formula vuota, che non consentirebbe di fare alcun passo avanti, nella soluzione del problema[34]. Questa affermazione non può essere però condivisa, perché la formula in questione (Leistungswettbewerb, Competition on the Merits) ha una lunga storia ed è stata generalmente intesa nel senso della meritevolezza del successo conseguito da un'impresa mediante la qualità delle proprie offerte commerciali, vagliate dalla libera scelta dei consumatori[35] (in contrapposizione alla Behinderungswettbewerb, cioè concorrenza attuata mediante la creazione di ostacoli all'attività altrui). In tempi successivi, si sono effettuati diversi tentativi di attribuire alla formula un significato più preciso, in termini di analisi economica del diritto, con l'intento di costruire un test idoneo a condurre a conclusioni tecnicamente verificabili. Uno studio dell'OECD[36] ha messo in rassegna diversi significati attribuiti alla formula, nel dibattito giuridico ed economico[37], concludendo per la preferibilità di unconsumer welfare balancing test. Questi tentativi, a parte ogni discussione sui pregi e difetti dei diversi test escogitati, si scontrano, in realtà, con un rilievo decisivo: essi trovano il loro limite nella più generale critica che può farsi alla pretesa di esaustività dell'EAL, a sua volta fondata su un assunto di scientificità in senso "forte" dell'analisi economica, che non può essere, come tale accettato[38]. I criteri unificanti ed esclusivamente quantitativi dell'EAL classica non possono pretendere di avere una validità assoluta, perché la verificabilità scientifica/sperimentale delle tesi economiche è una illusione. L'analisi economica ci offre certamentebenchmarkutili, ed anzi indispensabili, per la valutazione giuridica delle diverse fattispecie. Ma la valutazione finale richiede sempre un momento sintetico, che passa attraverso giudizi di valore e attraverso una ricostruzione tipologica della realtà. In ogni caso, anche se si volesse prendere per buono il testdel consumer welfare, dovrebbe [...]


5. Il contributo della dottrina alla costruzione della fattispecie di abuso di posizione dominante

Nella prospettiva così delineata, può essere di qualche interesse richiamare le elaborazioni dottrinali sul concetto di a.p.d., per trarne - se possibile - spunti costruttivi. In effetti, nel diritto della concorrenza si ritiene abitualmente che il "formante" dottrinale non abbia svolto, storicamente, una funzione di primaria importanza; ma ciò è vero fino a un certo punto (in particolare in Europa), perché anche le formule giurisprudenziali si alimentano - come abbiamo già visto - di idee generali formatesi nel dibattito dottrinale. I primi contributi dottrinali in materia di a.p.d. incentravano la nozione di abuso intorno al profilo dello "sfruttamento abusivo" della p.d. (Joliet, 1969), cioè si riferivano alle pratiche di prezzi e condizioni ingiustificatamente gravose ("monopolistiche", nel senso tradizionale dell'espressione)[41]. A questa dottrina se ne contrappose un'altra (Mestmäcker, 1974), che poneva invece l'accento sulla lesione della libertà economica altrui. Si giunse così ben presto ad una sintesi, divenuta ben presto punto fermo nella costruzione della nozione di a.p.d., che distingue, all'interno della figura dell'abuso, due sottocategorie: "abusi di sfruttamento" e "abusi di impedimento"[42]. Peraltro, anche negli U.S.A. si giungeva ad una categorizzazione sostanzialmente identica, con la distinzione tra exploitative ed exclusionary (practices, non abuses, ma la sostanza non cambia)[43]. Al di là di questo risultato, che può dirsi ormai definitivamente acquisito, i contributi dottrinali successivi sono stati prevalentemente caratterizzati da un approccio casistico e da esegesi della giurisprudenza. La prevalenza di questo metodo "realistico" ha finito per oscurare i tentativi dottrinali di costruzione sistematica della nozione di a.p.d., che pur non sono mancati. Si deve ricordare, in primo luogo, quello di Peter Ulmer (1977), che individua l'abuso in quella condotta che consenta l'acquisto di un vantaggio competitivo non giustificato in termini di concorrenza di merito (Leistungswettbewerb) e comporti anche una riduzione della concorrenza complessiva nel mercato rilevante.  Quindi, una sintesi interessante di criteri funzionali e strutturali, che non ha avuto un grande seguito dottrinale perché, nel frattempo, la dottrina in materia di concorrenza è stata egemonizzata dall'analisi economica del diritto. Può dirsi tuttavia che [...]


6. Segue. Alcune proposte dottrinali recenti. Criteri restrittivi ed estensivi, rivalutazione dell’intento monopolistico, Consumer Choice Theory

Negli ultimi anni il dibattito generale si è arricchito di altre proposte dottrinali, che si caratterizzano per il fatto di muoversi su terreni diversi da quello dell'analisi economica del diritto "ortodossa". In una recente monografia, Pinar Akman[47] ha sostenuto una tesi eclettica, secondo cui l'a.p.d. richiederebbe, in generale, tre elementi, che dovrebbero essere tutti provati dall'autorità di concorrenza (o dal soggetto che agisce in giudizio contro l'i.d.): a)        un effetto di sfruttamento della p.d., con il conseguimento di un vantaggio di mercato che non sarebbe stato ottenuto se non si fosse sfruttata la p.d.; b)        un effetto escludente, in senso lato, nei confronti dei concorrenti; c)        la mancanza di giustificazioni in termini di efficienza produttiva dell'impresa dominante. Gli argomenti a sostegno della tesi sono di stampo giuspositivistico tradizionale[48], pur nel quadro di una trattazione sensibile ai profili di analisi economica. I risultati di questa ricostruzione sono però, palesemente, troppo restrittivi. Il puntoa)porta a legittimare - in contrasto con una tradizione molto radicata del diritto antitrust europeo - le condotte dell'impresa dominante che utilizzino clausole (p.e. sconti condizionati, esclusive) che sono a disposizione anche di imprese non dominanti; inoltre, la necessità di provare in ogni caso un effetto diexploitationlascia fuori dall'ambito di applicazione della norma i comportamenti "predatori" puri, come le vendite sottocosto (salvo che si provi anche l'esistenza di una strategia effettiva direcoupement-i.e. di recupero futuro dei profitti perduti, mediante la pratica di prezzi di monopolio - da parte dell'i.d.; prova, com'è noto, molto difficile, e oggi non richiesta nel diritto vivente europeo).  Infine, il rafforzamento della presunzione d'innocenza e la conseguente attribuzione all'autorità antitrust dell'onere di provare l'inefficienza della condotta dell'i.d. sono destinati a rendere ancora più improbabile la possibilità di applicazione del divieto dell'art. 102 TFUE È abbastanza evidente che l'insieme di soluzioni proposte da questa dottrina porterebbe ad uniformare la normativa europea sulle pratiche monopolistiche a quello che è lo stato attuale del diritto antitrust americano in materia. È merito [...]


7. Conclusioni sulla costruzione della fattispecie dell’abuso di posizione dominante

Sviluppato anche questo breve excursus sul dibattito dottrinale, possiamo concludere nel senso che, nel dibattito sulla costruzione della fattispecie di a.p.d. si sono determinati - in una tendenziale confluenza di apporti giurisprudenziali e dottrinali - dei punti di arrivo (provvisori, come tutte le soluzioni di problemi giuridici, ma per ora soddisfacenti). Non credo dunque che sia necessario rassegnarsi a considerare la tematica dell'a.p.d. come "un'area disciplinare a concettualizzazione debole", come ha affermato Roberto Pardolesi[56]. In sintesi, può dirsi che l'abuso di posizione dominante consta di due elementi: a)        una situazione di potere di mercato, intesa come "sostanziale indipendenza" delle proprie condotte di mercato, cioè come possibilità di fatto di scegliere determinate condotte di mercato senza rischio - entro certi limiti - di temere reazioni paralizzanti di concorrenti o di fornitori o di clienti; b)        l'acquisizione, mediante una propria condotta, di un vantaggio competitivo non giustificabile in termini dicompetition on the merits,cioè non dovuto alla libera scelta di consumatori, che ha determinato il successo commerciale di una determinata offerta. A sua volta, il secondo elemento della fattispecie può essere definito, riprendendo quanto sopra anticipato nel § 4, in questi termini: (i)       l'impresa dominante rafforza il proprio potere di mercato con pratiche commerciali scorrette nei confronti dei concorrenti; (ii)     l'impresa dominante "costringe" il consumatore a compiere certe scelte, poco convenienti, per mancanza di alternative (pratica di prezzi o di condizioni ingiustificatamente gravosi) o (iii)   per l'esistenza di vincoli giuridici pregressi e non per libera scelta (clausole leganti e simili); (iv)   l'impresa dominante, per favorire le sue produzioni, priva i consumatori di alternative di mercato potenzialmente interessanti, o nel senso di frenare innovazioni tecnologiche o organizzative proprie o altrui o nel senso di impedire o ostacolare offerte di mercato di imprese concorrenti ragionevolmente efficienti (pratiche escludenti). La trattazione dettagliata di queste diverse figure richiederebbe spazi non compatibili con quelli del presente scritto, per cui dev'essere rinviata ad altre sedi. Il lettore sa bene che [...]


8. Critica dell’idea secondo cui l’abuso di posizione dominante costituirebbe un esempio nell’ambito della figura generale dell’abuso del diritto

Nella prospettiva sopra delineata, non può configurarsi l'a.p.d. come unaspeciesdel genere "abuso del diritto". In particolare, manca - a mio avviso - la connotazione essenziale dell'abuso del diritto, che non consiste, ovviamente, nella violazione di una qualsiasi norma di condotta (non è sinonimo di "illecito"), bensì si riferisce ad una violazione qualificata da qualche elemento di particolare riprovevolezza, tale da giustificare la disapplicazione di una norma attributiva di un diritto soggettivo o comunque di una libertà d'azione. La qualifica di "abusività" porta infatti ad un capovolgimento di valutazioni giuridiche: la condotta che, a prima vista, dovrebbe essere giuridicamente protetta, diviene invece condotta vietata. Questo capovolgimento di valutazioni si manifesta, in effetti, anche in molti profili applicativi del divieto di a.p.d. È divenuta luogo comune - come si osservava all'inizio di questo scritto - l'affermazione per cui la "speciale responsabilità" dell'impresa dominante impone ad essa di astenersi da certe condotte (tipicamente: dall'impiego di certe clausole contrattuali o dall'esercizio di certe facoltà), che invece rimangono consentite alle imprese non dotate di particolare potere di mercato (p.e. le clausole di sconto fidelizzante, o le stesse clausole di esclusiva). Questo fenomeno non è però essenziale nella fattispecie dell'a.p.d., anche se spesso sussiste effettivamente e si inserisce come momento particolare, nell'ambito di una strategia abusiva che comunque dev'essere colta nella sua complessità, con criteri sintetici. Manca invero, nella disciplina dell'a.p.d., la centralità dell'attribuzione - da parte dell'ordinamento - di una situazione giuridica soggettiva attiva di diritto o di potere e la conseguente necessità di capovolgere la valutazione primaria dell'ordinamento, da protezione a divieto. Di fronte ad una singola vicenda di sospetto a.p.d., per esempio se un rifiuto di contrarre dell'impresa dominante determini una discriminazione distorsiva della concorrenza tra fornitori o tra operatori nel mercato a valle, non ci chiederemo se vi sia stato un abuso di un ipotetico diritto di discriminare (e dell'altrettanto ipotetica funzione legale di tale diritto), ma ci chiederemo se la discriminazione nei mercati a monte o a valle abbia determinato una restrizione della concorrenza lesiva dell'interesse dei consumatori, [...]


NOTE