Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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La nozione di PMI costituita in forma di società a responsabilità limitata (di Corrado Malberti)


L’articolo esamina i diversi approcci proposti dalla dottrina per individuare la nozione di PMI costituita in forma di società a responsabilità limitata ai fini dell’applicazione dell’art. 57 d.l. n. 50/2017. Dopo aver analizzato le nozioni di PMI ricavabili dall’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f., dalla direttiva 2013/34/UE e dalla raccomandazione 2003/361/CE, per escluderne la rilevanza, si espongono le ragioni che portano a concludere per l’applicazione della definizione di PMI contenuta nel regolamento (UE) 2017/1129. L’analisi prosegue approfondendo i diversi profili di quest’ultima nozione, soffermandosi in particolare sul rinvio che il regolamento (UE) 2017/1129 fa alla definizione di PMI contenuta nella direttiva 2014/65/UE, a sua volta integrata dal regolamento delegato (UE) 2017/565. L’articolo, infine, approfondisce alcune importanti implicazioni dell’utilizzo della definizione del regolamento (UE) 2017/1129 per individuare le PMI costituite in forma di società a responsabilità limitata.

The definition of SME incorporated as a private limited liability company

This article explores the different approaches legal scholars elaborated to identify the definition of SME incorporated as a private limited liability company for the purposes of Article 57 of Law Decree No. 50/2017. The rationale for applying the definition of SME provided in Regulation (EU) 2017/1129 is discussed, after analysing – in order to exclude their relevance – the definitions of SME elaborated (a) in Article 1, first paragraph, letter w-quater.1), of the Consolidated Law on Finance, (b) in Directive 2013/34/EU, and (c) in Recommendation 2003/361/EC. The article then examines the different features of the definition of SME provided in Regulation (EU) 2017/1129, focusing in particular on the cross-reference to the definition of SME provided in Directive 2014/65/EU, which, in turn, is supplemented by Delegated Regulation (EU) 2017/565. The final part of the article discusses some important implications of applying the definition provided in Regulation (EU) 2017/1129 to identify the SMEs incorporated as private limited liability companies.

Keywords: SME; Recommendation 2003/361/EC; growth markets; issuers of debt instruments

Sommario/Summary:

1. Introduzione. - 2. Quadro d’insieme dei diversi approcci proposti dalla dottrina per individuare la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l. - 3. Esame della nozione di PMI ricavabile dalla direttiva 2013/34/UE. - 4. (segue). Limiti di questa nozione. - 5. L’inapplicabilità della definizione di PMI prevista dall’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f. - 6. La definizione di PMI contenuta nella raccomandazione 2003/361/CE: ragioni che depongono a favore della sua applicazione. - 7. (segue). Limiti e problemi applicativi di questa definizione. - 8. La definizione di PMI contenuta nel regolamento (UE) 2017/1129: analogie e differenze rispetto alla definizione della raccomandazione 2003/361/CE. - 9. (segue). Impossibilità di ritenere che le imprese ricomprese nella definizione di PMI della raccomandazione 2003/361/CE ricadano sempre anche in quella prevista dal regolamento (UE) 2017/1129. - 10. (segue). Esame delle ragioni che depongono a favore dell’appli­cazione di questa definizione per individuare la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l. - 11. (segue). Limiti di questa definizione. - 12. (segue). Il rinvio alla definizione di PMI contenuta nella direttiva 2014/65/UE. - 13. (segue). L’integrazione della definizione di PMI della direttiva 2014/65/UE con quella prevista dal regolamento delegato (UE) 2017/565. - 14. (segue). Applicabilità della definizione di PMI contenuta nella direttiva 2014/65/UE alle società che non hanno strumenti finanziari negoziati in sedi di negoziazione. - 15. (segue). L’utilizzo della nozione di PMI prevista dalla direttiva 2014/65/UE ai fini dell’applicazione delle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1129. - 16. (segue). Le s.r.l. emittenti titoli di debito negoziati in sedi di negoziazione. - 17. Sintesi degli argomenti che portano a concludere per l’applicazione della definizione di PMI prevista dal regolamento (UE) 2017/1129 nella sua interezza. - 18. (segue). Esame delle possibili interpretazioni del rinvio alla definizione di PMI contenuta nel regolamento delegato (UE) 2017/565. - 19. (segue). Analisi di alcune implicazioni della nozione di PMI sopra delineata. - NOTE


1. Introduzione.

Fin dalla loro introduzione nel nostro ordinamento le s.r.l. sono state un laboratorio di innovazione normativa [1]. Negli ultimi anni questo tipo sociale è stato oggetto di una costante evoluzione, che ha spinto la dottrina a mettere in discussione i tratti essenziali di queste società. Questo processo di revisione però spesso non ha portato ad un abbandono delle scelte di fondo adottate dal legislatore nel 2003, né all’adozione convinta di nuovi paradigmi [2]. Con l’in­troduzione di sottotipi e varianti, il legislatore, invece, ha preferito circoscrivere le implicazioni tipologiche delle novità introdotte, relegandole a regimi speciali destinati a trovare applicazione soltanto alle s.r.l. che hanno determinate caratteristiche, limitando, invece, gli interventi di portata generale. Questa costante evoluzione del tipo s.r.l. ha trovato una tappa fondamentale con l’adozione dell’art. 57, primo comma, d.l. n. 50/2017, convertito dalla l. n. 96/2017, che, in modo apparentemente anodino, nel contesto di un decreto intitolato “disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo”, ha modificato tre commi dell’art. 26, d.l. n. 179/2012, convertito dalla l. n. 221/2012, sostituendo le parole “start-up innovativa” con l’acronimo “PMI”. Le possibili implicazioni di questa piccola modifica sono state fin da subito di immediata evidenza [3]: l’estensione della disciplina prevista per le start-up innovative a tutte le s.r.l. qualificabili come PMI comporta un mutamento profondo nella disciplina di queste società. Se, infatti, il dato normativo sembra escludere che le regole previste per le start-up innovative prima e per le PMI ora, possano trovare applicazione diretta a tutte le s.r.l., è stato però correttamente segnalato che l’estensione del campo di applicazione delle regole previste per le start-up innovative alle PMI [4], comporta, almeno nei fatti, l’applicabilità di queste regole alla maggioranza – se non alla quasi totalità – delle s.r.l. costituite nel nostro ordinamento [5]. Non stupisce quindi che, data l’importanza delle novità introdotte dal legi­slatore, la dottrina abbia cercato soprattutto di esaminare e delimitare [...]


2. Quadro d’insieme dei diversi approcci proposti dalla dottrina per individuare la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l.

La necessità di individuare il campo di applicazione delle novità introdotte dal d.l. n. 50/2017, e quindi, in ultima istanza, anche di fornire la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l., non è del tutto ignorata dalla dottrina. Tuttavia, almeno nella maggior parte dei casi, l’esame di questo problema è relegato ai cenni introduttivi degli approfondimenti sulle nuove disposizioni [7]. Nei contributi che affrontano la questione sono frequenti i rinvii ai parametri sanciti dall’art. 2, primo par., dell’allegato alla raccomandazione 2003/361/CE (di seguito anche la “raccomandazione”), in cui si prevede che possano essere qualificate come PMI le imprese che occupino «meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non [superi] i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non [superi] i 43 milioni di EUR» [8]. Numerosi sono però anche i riferimenti ai parametri stabiliti dall’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129 (di seguito anche il “regolamento”) [9], il quale delinea due diverse definizioni di PMI. La prima di queste definizioni adotta criteri dimensionali simili a quelli sanciti nella raccomandazione 2003/361/CE, prevedendo che possano essere considerate PMI quelle imprese che soddisfino «almeno due dei tre criteri seguenti: numero medio di dipendenti nel corso dell’esercizio inferiore a 250, totale dello stato patrimoniale non superiore a 43 000 000 EUR e fatturato netto annuale non superiore a 50 000 000 EUR». La seconda definizione fornita dal regolamento (UE) 2017/1129, invece, ha attirato meno l’attenzione dei commentatori e prevede un rinvio alla definizione di PMI prevista all’art. 4, primo par., punto 13, direttiva 2014/65/UE (c.d. MiFID II, di seguito anche la “direttiva MiFID II”), che definisce PMI le imprese che hanno «una capitalizzazione di borsa media inferiore a 200 000 000 EUR sulla base delle quotazioni di fine anno dei tre precedenti anni civili» [10]. Come si vedrà nelle prossime pagine, quest’ultima definizione, nonostante sia stata poco approfondita, può giocare un ruolo importante per individuare il campo di applicazione della nozione di PMI, perché ad essa rimanda, seppur indirettamente, anche l’art. 61, primo comma, lett. h), t.u.f. In molti casi chi rinvia alla [...]


3. Esame della nozione di PMI ricavabile dalla direttiva 2013/34/UE.

La possibilità di ricostruire la nozione di s.r.l. PMI partendo dal disposto della direttiva 2013/34/UE sui bilanci di esercizio e consolidati è raramente evocata in dottrina e sempre per giungere alla conclusione di escluderne la rilevanza [20]. Probabilmente le ragioni, che portano a ritenere la nozione di media impresa ricavabile da questa direttiva come un valido punto di riferimento per determinare quando una s.r.l. possa essere considerata PMI, devono essere ricercate nella relativa semplicità con cui si può verificare la sussistenza dei relativi parametri. Nello stabilire criteri dimensionali crescenti per le micro, per le piccole e per le medie imprese l’art. 3, terzo par., direttiva 2013/34/UE, stabilisce, infatti, che gli Stati membri non possano considerare un’impresa come “media” qualora, alla data di chiusura del bilancio essa abbia superato almeno due dei seguenti tre parametri, vale a dire, come già ricordato in precedenza, (a) 20 milioni di euro di totale dello stato patrimoniale, (b) 40 milioni di euro di ricavi netti delle vendite e delle prestazioni, e (c) un numero medio di 250 dipendenti occupati durante l’esercizio. Questa nozione, in particolare per quanto riguarda il totale dello stato patrimoniale e i ricavi netti delle vendite e delle prestazioni, utilizza una terminologia diversa da quella del regolamento (UE) 2017/1129 e della raccomandazione 2003/361/CE. Nel regolamento, infatti, si fa riferimento al fatturato e non ai ricavi netti delle vendite e delle prestazioni, mentre nella raccomandazione, da un lato, si parla di totale di bilancio e non di stato patrimoniale e, dall’altro, come nel regolamento, si fa riferimento al fatturato e non ai ricavi netti delle vendite e delle prestazioni. In realtà, in particolare alla luce delle indicazioni sull’interpretazione della raccomandazione 2003/361/CE contenute nel d.m. 18 aprile 2005, del ministero delle attività produttive, queste differenze terminologiche sul parametro del totale dello stato patrimoniale e su quello dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni non comportano difformità sostanziali nell’individuazione qualitativa di questi due criteri nelle diverse nozioni di PMI ricavabili dalla direttiva 2013/34/UE, dal regolamento e dalla raccomandazione. Ad una diversa conclusione, invece, si deve giungere per quanto riguarda il parametro relativo al numero medio [...]


4. (segue). Limiti di questa nozione.

È importante segnalare però che la direttiva 2013/34/UE non fornisce – in senso stretto – né una nozione di PMI né una nozione di media impresa, ma si limita soltanto a prevedere che gli Stati membri non possano considerare, ai fini dell’applicazione delle regole di questo atto normativo, come “medie” le imprese che superino determinati parametri dimensionali. In pratica la direttiva 2013/34/UE si limita a circoscrivere la libertà degli Stati membri di determinare le soglie massime da prendere in considerazione per qualificare un’im­presa come “media”, ben potendo le normative nazionali di recepimento stabilire soglie quantitative inferiori a quelle indicate in questa direttiva [24]. È possibile poi rilevare che la stessa natura della direttiva 2013/34/UE, di atto legislativo dell’Unione, che non ha – almeno in linea di principio – effetti diretti e che è indirizzato soltanto agli Stati membri chiamati a darne attuazione, costituisce una base incerta su cui fondare la nozione di PMI [25]. Contro questa conclusione, tuttavia, si deve riconoscere che comunque il nostro legislatore ha fatto propria la direttiva 2013/34/UE trasponendola nel nostro ordinamento. D’altra parte, si deve però anche ammettere che, da un lato, il nostro legislatore, nel recepire la nozione di piccola impresa prevista dalla direttiva 2013/34/UE, all’art. 2435-bis c.c. in materia di bilancio in forma abbreviata, si avvale della facoltà di innalzarne i parametri, e che, dall’altro, l’art. 2435-ter c.c., sul bilancio delle micro-imprese, deroga – in questo caso in ribasso – i parametri previsti nella direttiva 2013/34/UE [26]. In breve, diverse ragioni portano a ritenere che la nozione di s.r.l. PMI non possa essere ricondotta ai criteri stabiliti dalla direttiva 2013/34/UE. In primo luogo questo provvedimento ha un carattere settoriale. Inoltre il nostro legislatore non fa propria la nozione di media impresa indicata nella direttiva 2013/34/UE e anche quando il nostro ordinamento si avvale delle semplificazioni previste in questo atto normativo per le imprese di minori dimensioni, non adotta esattamente i parametri massimi consentiti, ma stabilisce soglie differenti.


5. L’inapplicabilità della definizione di PMI prevista dall’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f.

Un secondo possibile punto di riferimento per determinare quali siano le s.r.l. PMI ai fini dell’applicazione del d.l. n. 50/2017 è costituito dalla definizione contenuta nell’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f., in cui si afferma che, «fermo quanto previsto da altre disposizioni di legge», sono PMI «le piccole e medie imprese, emittenti azioni quotate che abbiano una capitalizzazione di mercato inferiore ai 500 milioni di euro» [27]. Questa norma è raramente richiamata dalla dottrina per individuare la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l. Comunque, anche chi fa riferimento a questa definizione esclude che possa essere applicata alle s.r.l. [28]. In particolare, si rileva che questa definizione è riferita alle società quotate e che, quindi, essa non può interessare le s.r.l. [29]. Senza affrontare per il momento la questione della possibilità che le quote di s.r.l. PMI possano essere negoziate in sedi di negoziazione [30], si deve rilevare che, dal momento che la definizione dell’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f., prende in considerazione un parametro di capitalizzazione e considerato che essa fa espresso riferimento alle “azioni”, non è possibile concludere che nel d.l. n. 50/2017 il legislatore abbia inteso fare riferimento proprio a questa definizione per individuare le PMI costituite in forma di s.r.l. È comunque opportuno segnalare almeno due aspetti della definizione di PMI contenuta nell’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f. In primo luogo si deve ricordare che la sua formulazione è stata oggetto di un’evoluzione nel corso del tempo e, che, al momento dell’entrata in vigore del d.l. n. 50/2017, essa prevedeva che potessero essere qualificate come PMI «le piccole e medie imprese, emittenti azioni quotate, il cui fatturato anche anteriormente all’am­missione alla negoziazione delle proprie azioni, [fosse stato] inferiore a 300 milioni di euro, ovvero che [avessero avuto] una capitalizzazione di mercato inferiore ai 500 milioni di euro» [31]. In secondo luogo, si deve poi dare atto che la definizione di PMI dell’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), non è l’unica contenuta nel t.u.f. L’art. 61, primo comma, lett. h), t.u.f., offre infatti una definizione di “piccola o media impresa” [...]


6. La definizione di PMI contenuta nella raccomandazione 2003/361/CE: ragioni che depongono a favore della sua applicazione.

Appurati i motivi che portano a scartare la possibilità di fare ricorso alle nozioni di PMI fornite dalla direttiva 2013/34/UE e dall’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f., è necessario esaminare se la raccomandazione 2003/361/CE offra una base più solida per determinare il campo di applicazione delle novità introdotte dal d.l. n. 50/2017. L’idea di fare ricorso alla definizione di PMI elaborata dalla raccomandazione è plausibile per diverse ragioni. In primo luogo si deve ricordare che questo atto normativo dell’Unione europea mira ad introdurre una nozione uniforme di PMI, sia nel diritto dell’Unione europea, sia in quello dei singoli Stati membri. Il considerando (1) della raccomandazione, infatti, afferma che «[n]ell’ottica del mercato unico […] si era già considerato che il trattamento delle imprese dovesse essere fondato su una base costituita da regole comuni», inoltre «[l]a conferma di tale approccio è tanto più necessaria se si tiene conto delle numerose interazioni tra provvedimenti nazionali e comunitari di sostegno […] alle piccole e alle medie imprese (PMI) […] per evitare che la Comunità indirizzi le sue azioni a un certo tipo di PMI e gli Stati membri a un altro». Occorre poi segnalare che la definizione di PMI elaborata dalla raccomandazione già trova un espresso riconoscimento nel nostro ordinamento nel contesto dell’individuazione dei sottotipi e delle varianti del tipo s.r.l., in virtù del richiamo che l’art. 4, d.l. n. 3/2015, convertito dalla l. n. 33/2015, fa a questa raccomandazione per individuare la nozione di “PMI innovativa”. Più in generale, si deve poi ricordare che il nostro paese ha recepito questo atto normativo dell’Unione europea, con il d.m. 18 aprile 2005 del ministero delle attività produttive, che ha provveduto a fornire le indicazioni necessarie per individuare, alla luce della raccomandazione, la nozione di PMI. La rilevanza della raccomandazione è poi confermata dalla frequenza con cui essa è richiamata nel nostro ordinamento e in quello dell’Unione europea. Al riguardo è sufficiente ricordare che oltre settanta atti normativi italiani e centocinquanta dell’Unione europea contengono riferimenti alla raccomandazione. Considerato il carattere di generalità a cui aspira la [...]


7. (segue). Limiti e problemi applicativi di questa definizione.

L’idea di fare ricorso alla raccomandazione per determinare quando una s.r.l. possa essere considerata PMI incontra però anche diversi ostacoli. Per prima cosa si deve ricordare che la raccomandazione, pur essendo un atto normativo dell’Unione europea, non è vincolante per gli Stati membri. Di conseguenza, un eventuale riconoscimento della rilevanza di questo provvedimento ai fini dell’applicazione del d.l. n. 50/2017 è possibile soltanto in via mediata e nella misura in cui esso venga recepito con atti vincolanti nel nostro ordinamento o in quello dell’Unione europea [34]. Se però si procede in questo modo, vale a dire in virtù di un riconoscimento “mediato” di questa definizione, nascono diverse incertezze interpretative, perché non sempre il recepimento della raccomandazione è fedele al suo testo originale. Per fare un esempio concreto, per le società di nuova costituzione, che non hanno ancora chiuso il primo bilancio, l’art. 4, terzo comma, dell’allegato della raccomandazione, prevede che il numero di dipendenti, il fatturato e il totale di bilancio annuo possano essere «oggetto di una stima in buona fede ad esercizio in corso». Diversamente, l’art. 2, settimo comma, d.m. 18 aprile 2005 del ministero delle attività produttive, che fornisce le indicazioni necessarie per individuare la nozione di PMI alla luce della raccomandazione, stabilisce che, per decidere se un’impresa che non ha ancora approvato il primo bilancio possa essere considerata una PMI, debbano essere presi in considerazione «esclusivamente il numero degli occupati ed il totale dell’attivo patrimoniale» [35]. È evidente quindi che eventuali adeguamenti, modifiche o integrazioni della raccomandazione in sede di recepimento possano far nascere molti dubbi sull’esatta individuazione della nozione di PMI. La definizione di PMI elaborata dalla raccomandazione presenta poi alcuni caratteri peculiari di cui è difficile giustificare la ratio nel contesto dell’ap­plicazione del d.l. n. 50/2017. In particolare l’art. 3, quarto comma, dell’allegato alla raccomandazione, stabilisce che, fatte salve alcune eccezioni, «un’impresa non [possa] essere considerata PMI se almeno il 25% del suo capitale o dei suoi diritti di voto è controllato direttamente o indirettamente da uno o [...]


8. La definizione di PMI contenuta nel regolamento (UE) 2017/1129: analogie e differenze rispetto alla definizione della raccomandazione 2003/361/CE.

Un altro approccio suggerito dalla dottrina per individuare la nozione di s.r.l. PMI consiste nel far riferimento al disposto dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, che, come già rilevato in precedenza, contiene due diverse definizioni di PMI. La prima di queste definizioni (quella di cui al “n. i)”, di seguito anche “primo alinea”, che è richiamata anche dall’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., nella parte in cui fa riferimento al «primo alinea» di questa lettera) riproduce una nozione di PMI che era già presente nell’art. 2, primo par., lett. f), direttiva 2003/71/CE, e che era stata recepita nel nostro paese già con l’art. 3, primo comma, regolamento 11971/1999, come modificato dalla delibera Consob n. 16840 del 19 marzo 2009, oggi però riformulato. La seconda definizione (vale a dire quella di cui al “n. ii)”, di seguito anche “secondo alinea”), rinvia, invece, all’art. 4, primo par., punto 13, direttiva 2014/65/UE. L’attenzione della dottrina si è concentrata quasi esclusivamente sulla prima di queste due definizioni, ma in alcuni contributi si è dato conto anche di quella prevista nel secondo alinea [42]. Incominciando dalla nozione di PMI ricavabile dal primo alinea, si deve rilevare che essa contempla parametri quantitativi simili a quelli già incontrati esaminando la raccomandazione, vale a dire (a) il numero medio di dipendenti nel corso dell’esercizio, (b) il totale dello stato patrimoniale e (c) il fatturato netto annuale. Anche l’ammontare delle soglie dimensionali corrisponde a quello previsto nella raccomandazione. Come accennato in precedenza, queste somiglianze hanno portato alcuni autori a ritenere assimilabili le due nozioni di PMI contenute nel regolamento e nella raccomandazione e a ritenere non necessario approfondire ulteriormente il tema dell’individuazione della nozione di PMI prevista dal d.l. n. 50/2017 [43]. In realtà le differenze tra le due definizioni di PMI sono significative e di esse occorre dar conto. In primo luogo i parametri dimensionali rilevano in modo diverso nelle due nozioni. La raccomandazione afferma infatti che possano essere considerate PMI soltanto le imprese che abbiano meno di 250 dipendenti e non superino, alternativamente, la soglia di fatturato annuo o quella di totale di bilancio annuo. Il [...]


9. (segue). Impossibilità di ritenere che le imprese ricomprese nella definizione di PMI della raccomandazione 2003/361/CE ricadano sempre anche in quella prevista dal regolamento (UE) 2017/1129.

Appurata la necessità di dover distinguere la definizione di PMI contenuta nel regolamento da quella della raccomandazione è però necessario fugare un dubbio che potrebbe derivare da un esame non approfondito delle differenze che esistono tra queste due definizioni, vale a dire quello di ritenere che la nozione di PMI ricavabile dalla raccomandazione sia sempre più restrittiva di quella del regolamento. In questa prospettiva si potrebbe ritenere che, dal momento che la definizione del regolamento è più restrittiva di quella della raccomandazione, potrebbe bastare fare riferimento a quest’ultima per essere sicuri di non fraintendere l’ambito di operatività delle novità introdotte dal d.l. n. 50/2017 [47]. Se si esaminano queste due definizioni con attenzione, si deve però concludere che esse, non soltanto non coincidono, ma non possono neppure dirsi ricomprese l’una nell’altra. Di conseguenza, è ben possibile che un’impesa sia una PMI per la raccomandazione, ma non per il regolamento, così come può accadere che un’impresa soddisfi i requisiti del regolamento, ma non quelli della raccomandazione. Per giungere a questa conclusione, oltre a dover tener conto delle differenze già illustrate in precedenza, è necessario soffermarsi brevemente sull’am­bito temporale in cui i parametri dimensionali devono essere valutati e sulle modalità con cui è verificato il superamento delle soglie rilevanti nelle due diverse nozioni. In relazione al primo profilo, mentre nel regolamento si richiede che il superamento dei parametri sia valutato con riferimento al più recente «bilancio annuale o consolidato», l’art. 4, secondo comma, dell’allegato della raccomandazione 2003/361/CE, afferma che, se un’impresa constata il superamento dei parametri, «essa perde o acquisisce la qualifica di media, piccola o microimpresa solo se questo superamento avviene per due esercizi consecutivi». Se quindi si considerano le diverse definizioni di PMI nella prospettiva del loro orizzonte temporale rilevante, una società potrebbe certamente essere considerata PMI ai fini del regolamento, ma non a quelli della raccomandazione [48]. Occorre poi rilevare che il calcolo degli occupati nella raccomandazione segue regole molto particolari che, ad esempio, impongono di non tener [...]


10. (segue). Esame delle ragioni che depongono a favore dell’appli­cazione di questa definizione per individuare la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l.

Una volta delineati i tratti essenziali della definizione di PMI elaborata dall’art. 2, primo par., lett. f), primo alinea, regolamento (UE) 2017/1129, e i suoi rapporti con quella della raccomandazione, è però necessario comprendere anche per quali ragioni si ritenga che proprio questa sia la nozione di PMI rilevante ai fini dell’applicazione del d.l. n. 50/2017. Per giungere a questa conclusione si sostiene che le novità introdotte dal d.lgs. n. 129/2017, e in particolare il nuovo testo dell’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., relativo alla definizione di “portale per la raccolta di capitali per le piccole e medie imprese e per le imprese sociali” giustificherebbe questa lettura. Secondo questa disposizione, infatti, per “portale per la raccolta di capitali” si intende «una piattaforma on line che abbia come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitale di rischio da parte delle piccole e medie imprese, come definite dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera (f), primo alinea, del regolamento (UE) 2017/1129». Alla luce di questo dato normativo, la nozione di PMI viene quindi indirettamente ricavata da quella di “portale per la raccolta di capitali”, non in virtù di un rinvio operato dal d.l. n. 50/2017, bensì facendo leva sul disposto dell’art. 26, quinto comma, d.l. n. 179/2012, come modificato dal d.l. n. 50/2017, in forza del quale «le quote di partecipazione in PMI costituite in forma di s.r.l. possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, anche attraverso i portali per la raccolta di capitali» [50]. Per essere più chiari, dal momento che il d.l. n. 179/2012, ha modificato il t.u.f., inserendo una definizione di portale per la raccolta di capitali, che rinvia all’art. 2, primo par., lett. f), primo alinea, regolamento (UE) 2017/1129, e, dal momento che l’art. 26, quinto comma, d.l. n. 179/2012, come modificato dal d.l. n. 50/2017, richiama la possibilità che le PMI effettuino offerte al pubblico di prodotti finanziari attraverso questi portali, si conclude che vi siano indici di analogia rilevanti che portino a ritenere che la nozione di PMI possa essere indirettamente ricavata da quella di “portale per la raccolta di capitali” e quindi, in ultima istanza, che il d.l. n. 50/2017 intenda fare riferimento alla definizione di PMI prevista nel [...]


11. (segue). Limiti di questa definizione.

L’idea di fare riferimento al Regolamento (UE) 2017/1129 per individuare la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l. deve però essere valutata con attenzione perché incontra alcuni ostacoli. Innanzitutto è facile notare che il gioco di rinvii alla nozione di PMI ricavabile dall’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., segue un percorso logico piuttosto articolato. Si rileva, infatti, (a) che le s.r.l. PMI possono offrire le proprie quote sui portali per la raccolta di capitali e (b) che questi portali possono facilitare la raccolta di capitale da parte delle PMI come definite dall’art. 2, primo par., lett. f), primo alinea, regolamento (UE) 2017/1129, per giungere (c) alla conclusione che la nozione di PMI debba essere ricavata da quella di portale per la raccolta di capitali. In realtà il dato normativo, all’esito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 129/2017, sembra debba essere letto – più correttamente – soltanto nel senso (a) che tutte le s.r.l. PMI possono offrire le proprie quote sui portali per la raccolta di capitali (in virtù dell’art. 26, quinto comma, d.l. n. 179/2012, come modificato dal d.l. n. 50/2017) e (b) che quindi la nozione di PMI debba comunque ricomprendere almeno tutte le PMI di cui all’art. 2, primo par., lett. f), primo alinea, regolamento (UE) 2017/1129, e non anche necessariamente coincidere con la nozione ricavabile da questa disposizione. Infatti, sarebbe davvero strano che una s.r.l. possa essere qualificata come PMI ai fini dell’offerta sul portale per la raccolta di capitali secondo la definizione del t.u.f., ma non ai fini dell’appli­cazione delle modifiche introdotte dal d.l. n. 50/2017. Si deve poi rilevare che un ostacolo alla possibilità di richiamare la definizione del regolamento deriva dal fatto che l’attuale formulazione dell’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., con particolare riguardo al riferimento al regolamento, è successiva all’entrata in vigore del d.l. n. 50/2017 [52]. Al momento dell’en­trata in vigore di questo decreto, infatti, l’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., in forza del disposto della l. n. 232/2016 prevedeva che, per “portale per la raccolta di capitali per le PMI”, si dovesse intendere «una piattaforma on line che [avesse] come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitale di rischio da parte delle PMI [...]


12. (segue). Il rinvio alla definizione di PMI contenuta nella direttiva 2014/65/UE.

Non si deve però anche dimenticare che la definizione di PMI del regolamento è duplice e che essa contiene un rinvio a quella prevista dall’art. 4, primo par., punto 13, direttiva 2014/65/UE. Come si è già avuto modo di rilevare in precedenza, questa nozione di PMI ha trovato accoglimento nell’art. 61, primo comma, lett. h), t.u.f., che, al contrario dell’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., rinvia a tutto il disposto dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, e non soltanto al suo primo alinea [55]. La definizione di PMI contenuta nella direttiva MiFID II non è stata oggetto di particolari approfondimenti per individuare le PMI costituite in forma di s.r.l., perché – almeno ad un primo esame – essa appare difficilmente applicabile a questo tipo sociale. Questo disinteresse deriva dal fatto che detta definizione riguarda le imprese che hanno «una capitalizzazione di borsa media inferiore a 200 000 000 EUR sulla base delle quotazioni di fine anno dei tre precedenti anni civili», e quindi, facendo riferimento a criteri “di mercato”, non sarebbe riferibile alle s.r.l. [56]. Alcuni autori hanno però ritenuto comunque necessario esaminare la definizione della direttiva 2014/65/UE, da un lato, proprio per escludere la sua applicabilità alle s.r.l. PMI, o, dall’altro, per cercare di motivare la scelta di fare ricorso alla definizione del primo alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, e non a quella del secondo alinea di questa lettera. Se, infatti, l’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., richiama le PMI del primo alinea del­l’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, e il d.l. n. 50/2017 fa riferimento, invece, alle PMI senza ulteriori qualificazioni, occorre chiarire perché questo più ampio rinvio riguardi soltanto il primo alinea di questa lettera e non anche il secondo [57]. Nonostante queste interpretazioni restrittive, si deve rilevare però che, alla luce del dato normativo attuale, la definizione di PMI contenuta nella direttiva MiFID II non può più essere considerata irrilevante. L’art. 100-ter, primo comma, t.u.f., all’esito delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 165/2019, oggi dispone, infatti, che le offerte al pubblico «condotte attraverso uno o più portali per la [...]


13. (segue). L’integrazione della definizione di PMI della direttiva 2014/65/UE con quella prevista dal regolamento delegato (UE) 2017/565.

A questo punto occorre però verificare se la possibilità di fare riferimento a tutti e due gli alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, sia sistematicamente sensata e se essa comporti una ridefinizione della nozione di PMI ai fini dell’applicazione del d.l. n. 50/2017. Come accennato in precedenza, almeno ad una prima impressione, sembra che a questo interrogativo si debba dare una risposta negativa, in virtù del fatto che non sarebbe possibile applicare alle s.r.l. un criterio basato sulla capitalizzazione di mercato. Questa conclusione non è però condivisibile per diverse ragioni. In primo luogo si deve ricordare che la definizione di PMI prevista nella direttiva MiFID II è funzionale a disciplinare i c.d. “Mercati di crescita per le PMI”, che non sono mercati regolamentati, ma sistemi multilaterali di negoziazione. In questa prospettiva si deve quindi subito precisare che la questione non è tanto quella della possibilità che le quote di s.r.l. possano essere negoziate su un mercato regolamentato, quanto quella di valutare se le partecipazioni di queste società possano essere scambiate su sistemi multilaterali di negoziazione [60]. A prescindere da questa questione, si deve poi ricordare che la definizione di PMI della direttiva 2014/65/UE deve essere letta in combinazione con quanto previsto dall’art. 77 regolamento delegato (UE) 2017/565 (di seguito il “regolamento delegato”), che integra la direttiva MiFID II, tra l’altro, proprio per quanto riguarda la definizione di PMI. Nella sua versione originale, risalente al 2017, il primo paragrafo di questo articolo forniva chiarimenti per verificare il superamento del criterio di capitalizzazione sancito dalla direttiva 2014/65/UE. Il secondo paragrafo di questa disposizione, invece, precisava che un emittente che non avesse avuto strumenti di capitale negoziati in sedi di negoziazione sarebbe stato comunque considerato una PMI ai fini dell’art. 4, primo par., punto 13, direttiva 2014/65/UE, qualora, «in base al più recente bilancio annuale o consolidato», avesse rispettato «almeno due dei tre seguenti criteri: un numero medio di dipendenti inferiore a 250 nel corso dell’esercizio, un totale di bilancio non superiore a 43 000 000 EUR e un fatturato annuo netto non superiore a 50 000 000 EUR», vale a [...]


14. (segue). Applicabilità della definizione di PMI contenuta nella direttiva 2014/65/UE alle società che non hanno strumenti finanziari negoziati in sedi di negoziazione.

Per confermare la possibilità di applicare l’art. 77, secondo par., regolamento delegato, alle s.r.l. si deve però verificare anche se questa norma riguardi esclusivamente le società che hanno già strumenti di capitale o emissioni di debito negoziati in sedi di negoziazione. In effetti si deve sottolineare che questa disposizione contiene un espresso riferimento alle «emissioni di debito […] in tutte le sedi di negoziazione». Contro una lettura di questo tipo si deve però rilevare che la versione originale di questo paragrafo prevedeva una nozione di PMI del tutto simile a quella del regolamento (UE) 2017/1129, che quindi non prendeva in considerazione in alcun modo l’ammissione alla negoziazione di strumenti di capitale o di titoli di debito. A questo riguardo, non si può poi sostenere che il regolamento delegato (UE) 2019/1011 abbia inteso limitare il campo di applicazione del­l’art. 77, secondo par., regolamento delegato, perché l’obiettivo principale delle modifiche introdotte con questo provvedimento era invece proprio quello di ampliare il campo di applicazione di questa disposizione [62]. Questa conclusione è poi supportata anche dallo stesso tenore letterale della norma. L’art. 77, secondo par., regolamento delegato, prevede infatti che, per poter verificare la qualifica di PMI nel caso in cui una società non abbia strumenti di capitale negoziati, si debba far riferimento al valore nominale delle emissioni di debito con riguardo all’anno civile precedente. Ora, qualora si ritenga che il riferimento alle emissioni di debito in tutte le sedi di negoziazione contenuto in questa disposizione giustifichi una sua applicazione soltanto agli emittenti che hanno già strumenti finanziari negoziati in sedi di negoziazione, si dovrebbe concludere anche che, nell’anno in cui si procede per la prima volta all’emissione dei titoli di debito, un emittente non potrebbe mai ricadere nel disposto dell’art. 77, secondo par., regolamento delegato, perché, nell’anno civile precedente, non risulterebbe aver emesso titoli di debito negoziati. Un’interpretazione di questo tipo, quindi, porta a risultati inaccettabili proprio ai fini della disciplina dei mercati di crescita per le PMI, perché implica il mancato riconoscimento della qualifica di PMI a tutte le società che accedono per la [...]


15. (segue). L’utilizzo della nozione di PMI prevista dalla direttiva 2014/65/UE ai fini dell’applicazione delle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1129.

In realtà, oltre che per i motivi sopra esposti, vi sono anche altre ragioni che impediscono di circoscrivere il campo di applicazione della definizione di PMI ricavabile dalla direttiva 2014/65/UE soltanto agli emittenti che hanno una “capitalizzazione di borsa”. In questo senso, è infatti la stessa definizione di PMI contenuta nella direttiva MiFID II a non essere del tutto adeguata ad assolvere i compiti che oggi le affida il legislatore dell’Unione europea. In effetti, nel gioco dei rinvii per individuare la nozione di PMI, un profilo poco esaminato è quello dei motivi per cui il regolamento (UE) 2017/1129 richiami la direttiva 2014/65/UE per definire le PMI. A questo riguardo si deve sottolineare che questo rimando è funzionale essenzialmente all’applicazione dell’art. 15 del regolamento relativo ai c.d. “Prospetti UE della crescita” [63]. Considerate le finalità di questo richiamo è in effetti singolare che il regolamento evochi un concetto come quello della “capitalizzazione di borsa” anche per emittenti che potrebbero ancora non averla. Fatte salve le altre ipotesi in cui si può ricorrere ai Prospetti UE della crescita [64], il riferimento alle PMI contenuto nell’art. 15 del regolamento, se letto in modo restrittivo, porta alla conclusione che questi prospetti possano essere utilizzati soltanto dalle PMI che, alternativamente, (a) soddisfano i parametri del primo alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, o (b) hanno già una capitalizzazione di borsa. Questa possibilità, invece, sarebbe preclusa a tutte le società che, pur non soddisfacendo i requisiti del primo alinea, potrebbero avere, all’esito della prima offerta dei loro strumenti di capitale, una capitalizzazione inferiore a 200 milioni di euro. La nozione della direttiva 2014/65/UE, quindi, mal si presta a soddisfare gli obiettivi perseguiti dal regolamento con i Prospetti UE della crescita. A questi problemi ha cercato di dare una risposta il legislatore dell’Unione europea con il regolamento (UE) 2019/2115 [65]. Più precisamente questo provvedimento ha modificato l’art. 15 del regolamento (UE) 2017/1129 per consentire l’offerta di titoli di capitale con contestuale ammissione alla negoziazione in mercati di crescita anche a quegli emittenti che, pur non soddisfacendo i criteri del [...]


16. (segue). Le s.r.l. emittenti titoli di debito negoziati in sedi di negoziazione.

Un altro aspetto fondamentale della definizione di PMI contenuta nell’art. 77, secondo par., regolamento delegato, sta poi nel fatto che essa è applicabile anche agli emittenti che hanno strumenti finanziari diversi da quelli di capitale negoziati in sedi di negoziazione. Questo profilo è di sicuro interesse per individuare il campo di applicazione delle novità introdotte dal d.l. n. 50/2017, perché la rilevanza della definizione di PMI della direttiva 2014/65/UE è stata esclusa proprio perché essa sarebbe poco idonea «ad un inquadramento […] delle s.r.l. attualmente esistenti, per le quali appare difficile ipotizzare una capitalizzazione di borsa da determinarsi sulla base delle quotazioni» [68]. Di conseguenza, a prescindere dalle aperture della dottrina alla possibilità che anche le quote di s.r.l. possano essere scambiate in sedi di negoziazione [69], si deve rilevare che, per rientrare nel campo di applicazione della definizione di PMI elaborata dalla direttiva MiFID II, come integrata dal regolamento delegato, non occorre affatto avere strumenti di debito o di capitale quotati su mercati regolamentati, né occorre avere strumenti di capitale negoziati in sedi di negoziazione. In questa prospettiva, è bene ricordare poi che già oggi diversi titoli di debito emessi da s.r.l. sono negoziati in sistemi multilaterali di negoziazione italiani e che queste società, sicuramente, possono rientrare nella definizione di PMI prevista dall’art. 77, secondo par., regolamento delegato. Certamente la facoltà che le s.r.l. hanno di emettere titoli di debito incontra diversi limiti [70]. In questa sede però è sufficiente ricordare che il sistema multilaterale di negoziazione ExtraMOT, organizzato e gestito da Borsa Italiana, già da tempo accoglie i titoli di debito delle s.r.l. e che oggi il segmento ExtraMOT PRO3, riservato ad investitori professionali, è dedicato proprio alla negoziazione delle emissioni di debito che hanno un valore inferiore a 50 milioni di euro [71]. Se quindi oggi è improbabile riscontrare nella pratica l’esi­stenza di s.r.l. con strumenti di capitale negoziati, molto più facile è invece individuare s.r.l. che hanno emesso titoli di debito negoziati in sistemi multilaterali di negoziazione, che possono rientrare nella nozione di PMI ricavabile [...]


17. Sintesi degli argomenti che portano a concludere per l’applicazione della definizione di PMI prevista dal regolamento (UE) 2017/1129 nella sua interezza.

È possibile a questo punto tirare le fila delle considerazioni svolte nelle pagine precedenti per valutare quale nozione di PMI si debba richiamare ai fini dell’applicazione delle novità introdotte dal d.l. n. 50/2017. In primo luogo si deve notare che né la nozione di PMI ricavabile dalla direttiva 2013/34/UE, né la definizione prevista dall’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f., possono essere utilizzate a questo fine. Contro la prima depongono soprattutto la difficoltà di individuare parametri quantitativi precisi e il fatto che questa nozione sembra avere un carattere sui generis e quindi rilevare soltanto ai fini contabili. Contro la definizione dell’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f., invece, depone il suo stesso tenore letterale, perché essa fa riferimento alle azioni e limita il suo campo di applicazione alle sole società quotate. La definizione della raccomandazione 2003/361/CE, invece, è certamente un candidato credibile per individuare le PMI costituite in forma di società a responsabilità limitata. La nozione ricavabile da questo atto normativo, infatti, ha il carattere della generalità; inoltre, pur non essendo vincolante, la raccomandazione è ampiamente riconosciuta in provvedimenti vincolanti del nostro ordinamento e di quello dell’Unione europea. L’idea di fare ricorso alla raccomandazione incontra però anche diversi ostacoli. A prescindere dalle difficoltà applicative che derivano dalla sua formulazione e dalla necessità di dover prendere in considerazione le imprese associate e collegate, si deve riconoscere che non è facile individuare il perimetro di questa definizione proprio perché essa è contenuta in un atto non vincolante e perché il suo recepimento nell’ordinamento italiano e in quello dell’U­nione europea non è sempre fedele alla sua formulazione originale. In realtà la critica decisiva che può essere mossa a questa ipotesi ricostruttiva è che con l’art. 57, primo comma, d.l. n. 50/2017, il legislatore ha consentito l’offerta al pubblico delle quote di partecipazione in PMI costituite in forma di s.r.l., anche attraverso i portali per la raccolta di capitali. Considerato che la definizione di PMI indirettamente ricavabile da quella di “portale per la raccolta di capitali” e [...]


18. (segue). Esame delle possibili interpretazioni del rinvio alla definizione di PMI contenuta nel regolamento delegato (UE) 2017/565.

La possibilità di fare riferimento alla definizione del regolamento delegato richiede però qualche ultima verifica e precisazione. In primo luogo si deve fugare ogni dubbio sull’applicabilità nel nostro paese di questo provvedimento. Certamente il gioco di rinvii che portano ad una sua applicazione è piuttosto articolato: gli artt. 100-ter e 61 t.u.f., prevedono un rinvio al regolamento, il quale, a sua volta, rinvia alla direttiva 2014/65/UE, la quale poi viene integrata dal regolamento delegato. Ci si può interrogare, ad esempio, su quanto possa essere considerato vincolante un rinvio contenuto in un regolamento europeo, come il regolamento (UE) 2017/1129, ad un atto, come la direttiva MiFID II, che, invece, deve essere recepito dal legislatore nazionale. Si potrebbe così dubitare anche dell’ef­ficacia diretta del regolamento delegato. Questi dubbi devono però essere immediatamente fugati perché, sia l’art. 91 regolamento delegato (UE) 2017/565, sia l’art. 2 regolamento delegato (UE) 2019/1011, che ha modificato questo provvedimento, dispongono, con identica formulazione, che ciascuno di essi è «obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri» [77]. Per quanto riguarda le precisazioni, invece, una volta riconosciuto che, per individuare le PMI costituite in forma di s.r.l. si può far riferimento anche alla definizione contenuta nel regolamento delegato, occorre individuare quali limiti incontri questa definizione. Sotto questo profilo, si è visto che, nella misura in cui si ammetta che una società possa avere – e nei fatti abbia – strumenti di capitale negoziati in sedi di negoziazione, in alternativa al soddisfacimento dei parametri previsti dall’art. 2, primo par., lett. f), primo alinea, regolamento, potrà essere riconosciuta la qualifica di PMI anche a quelle società che abbiano una c.d. “capitalizzazione di borsa” [78] media inferiore ai 200 milioni di euro [79]. Invece, fatto salvo quanto si dirà nelle prossime righe in relazione all’art. 77, secondo par., regolamento delegato, la qualifica di PMI ai sensi della direttiva MiFID II non potrà essere riconosciuta alle s.r.l. che non rispettino i parametri dimensionali previsti dall’art. 2, primo par., lett. f), primo alinea, regolamento, e, [...]


19. (segue). Analisi di alcune implicazioni della nozione di PMI sopra delineata.

Non si devono nascondere le implicazioni delle conclusioni raggiunte nelle pagine precedenti. Sia che si aderisca ad una lettura lineare della nozione di PMI ricavabile dall’art. 77, secondo par., regolamento delegato, sia che si prediliga una lettura più ortopedica e meno dirompente di questa disposizione, sotto il profilo della necessità che le quote o i titoli di debito debbano – effettivamente – almeno essere ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione, non si può mancare di rilevare che già oggi diverse s.r.l. sono potenzialmente in grado di soddisfare la definizione di PMI della direttiva MiFID II come integrata dal regolamento delegato, perché hanno titoli di debito negoziati in sedi di negoziazione. Qualora si legga il testo dell’art. 77, secondo par., regolamento delegato, in modo piano e quindi si riconosca la qualifica di PMI anche a tutti gli emittenti che non hanno strumenti di capitale negoziati in sedi di negoziazione e che hanno emissioni di debito nell’anno civile precedente in tutte le sedi di negoziazione dell’Unione del valore nominale non superiore a 50 milioni di euro, è facile riconoscere che le s.r.l. “non PMI” potrebbero dirsi ormai quasi del tutto estinte. Non ci si può però stupire troppo di questo risultato; d’altra parte questa è la conclusione di una vicenda iniziata con la sostituzione in tre commi delle parole “start up” con l’acronimo PMI in un decreto che conteneva misure dalla natura più disparata. Né, una volta creato un collegamento tra la nozione di PMI e le definizioni contenute in provvedimenti dell’Unione europea destinati ad altre finalità, ci si può lamentare troppo se l’ordinamento europeo segue logiche diverse e poco coerenti con il contesto in cui operano le nostre s.r.l. È quindi anche con un approccio basato sull’interpretazione del dato normativo, ricostruendo la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l., che si arriva a concludere che il campo di applicazione del d.l. n. 50/2017 è ormai sostanzialmente esteso alla totalità delle s.r.l. [85]. Certamente, una lettura molto meno dirompente è quella che riconosce la qualifica di s.r.l. PMI oltre che alle società che soddisfano quanto richiesto dal primo alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento [...]


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