Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
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La nozione di PMI costituita in forma di società a responsabilità limitata (di Corrado Malberti)


L’articolo esamina i diversi approcci proposti dalla dottrina per individuare la nozione di PMI costituita in forma di società a responsabilità limitata ai fini dell’applicazione dell’art. 57 d.l. n. 50/2017. Dopo aver analizzato le nozioni di PMI ricavabili dall’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f., dalla direttiva 2013/34/UE e dalla raccomandazione 2003/361/CE, per escluderne la rilevanza, si espongono le ragioni che portano a concludere per l’applicazione della definizione di PMI contenuta nel regolamento (UE) 2017/1129. L’analisi prosegue approfondendo i diversi profili di quest’ultima nozione, soffermandosi in particolare sul rinvio che il regolamento (UE) 2017/1129 fa alla definizione di PMI contenuta nella direttiva 2014/65/UE, a sua volta integrata dal regolamento delegato (UE) 2017/565. L’articolo, infine, approfondisce alcune importanti implicazioni dell’utilizzo della definizione del regolamento (UE) 2017/1129 per individuare le PMI costituite in forma di società a responsabilità limitata.

The definition of SME incorporated as a private limited liability company

This article explores the different approaches legal scholars elaborated to identify the definition of SME incorporated as a private limited liability company for the purposes of Article 57 of Law Decree No. 50/2017. The rationale for applying the definition of SME provided in Regulation (EU) 2017/1129 is discussed, after analysing – in order to exclude their relevance – the definitions of SME elaborated (a) in Article 1, first paragraph, letter w-quater.1), of the Consolidated Law on Finance, (b) in Directive 2013/34/EU, and (c) in Recommendation 2003/361/EC. The article then examines the different features of the definition of SME provided in Regulation (EU) 2017/1129, focusing in particular on the cross-reference to the definition of SME provided in Directive 2014/65/EU, which, in turn, is supplemented by Delegated Regulation (EU) 2017/565. The final part of the article discusses some important implications of applying the definition provided in Regulation (EU) 2017/1129 to identify the SMEs incorporated as private limited liability companies.

Keywords: SME; Recommendation 2003/361/EC; growth markets; issuers of debt instruments

Sommario/Summary:

1. Introduzione. - 2. Quadro d’insieme dei diversi approcci proposti dalla dottrina per individuare la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l. - 3. Esame della nozione di PMI ricavabile dalla direttiva 2013/34/UE. - 4. (segue). Limiti di questa nozione. - 5. L’inapplicabilità della definizione di PMI prevista dall’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f. - 6. La definizione di PMI contenuta nella raccomandazione 2003/361/CE: ragioni che depongono a favore della sua applicazione. - 7. (segue). Limiti e problemi applicativi di questa definizione. - 8. La definizione di PMI contenuta nel regolamento (UE) 2017/1129: analogie e differenze rispetto alla definizione della raccomandazione 2003/361/CE. - 9. (segue). Impossibilità di ritenere che le imprese ricomprese nella definizione di PMI della raccomandazione 2003/361/CE ricadano sempre anche in quella prevista dal regolamento (UE) 2017/1129. - 10. (segue). Esame delle ragioni che depongono a favore dell’appli­cazione di questa definizione per individuare la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l. - 11. (segue). Limiti di questa definizione. - 12. (segue). Il rinvio alla definizione di PMI contenuta nella direttiva 2014/65/UE. - 13. (segue). L’integrazione della definizione di PMI della direttiva 2014/65/UE con quella prevista dal regolamento delegato (UE) 2017/565. - 14. (segue). Applicabilità della definizione di PMI contenuta nella direttiva 2014/65/UE alle società che non hanno strumenti finanziari negoziati in sedi di negoziazione. - 15. (segue). L’utilizzo della nozione di PMI prevista dalla direttiva 2014/65/UE ai fini dell’applicazione delle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1129. - 16. (segue). Le s.r.l. emittenti titoli di debito negoziati in sedi di negoziazione. - 17. Sintesi degli argomenti che portano a concludere per l’applicazione della definizione di PMI prevista dal regolamento (UE) 2017/1129 nella sua interezza. - 18. (segue). Esame delle possibili interpretazioni del rinvio alla definizione di PMI contenuta nel regolamento delegato (UE) 2017/565. - 19. (segue). Analisi di alcune implicazioni della nozione di PMI sopra delineata. - NOTE


1. Introduzione.

Fin dalla loro introduzione nel nostro ordinamento le s.r.l. sono state un laboratorio di innovazione normativa [1]. Negli ultimi anni questo tipo sociale è stato oggetto di una costante evoluzione, che ha spinto la dottrina a mettere in discussione i tratti essenziali di queste società. Questo processo di revisione però spesso non ha portato ad un abbandono delle scelte di fondo adottate dal legislatore nel 2003, né all’adozione convinta di nuovi paradigmi [2]. Con l’in­troduzione di sottotipi e varianti, il legislatore, invece, ha preferito circoscrivere le implicazioni tipologiche delle novità introdotte, relegandole a regimi speciali destinati a trovare applicazione soltanto alle s.r.l. che hanno determinate caratteristiche, limitando, invece, gli interventi di portata generale.

Questa costante evoluzione del tipo s.r.l. ha trovato una tappa fondamentale con l’adozione dell’art. 57, primo comma, d.l. n. 50/2017, convertito dalla l. n. 96/2017, che, in modo apparentemente anodino, nel contesto di un decreto intitolato “disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo”, ha modificato tre commi dell’art. 26, d.l. n. 179/2012, convertito dalla l. n. 221/2012, sostituendo le parole “start-up innovativa” con l’acronimo “PMI”. Le possibili implicazioni di questa piccola modifica sono state fin da subito di immediata evidenza [3]: l’estensione della disciplina prevista per le start-up innovative a tutte le s.r.l. qualificabili come PMI comporta un mutamento profondo nella disciplina di queste società. Se, infatti, il dato normativo sembra escludere che le regole previste per le start-up innovative prima e per le PMI ora, possano trovare applicazione diretta a tutte le s.r.l., è stato però correttamente segnalato che l’estensione del campo di applicazione delle regole previste per le start-up innovative alle PMI [4], comporta, almeno nei fatti, l’applicabilità di queste regole alla maggioranza – se non alla quasi totalità – delle s.r.l. costituite nel nostro ordinamento [5].

Non stupisce quindi che, data l’importanza delle novità introdotte dal legi­slatore, la dottrina abbia cercato soprattutto di esaminare e delimitare i nuovi margini di libertà messi a disposizione delle s.r.l. PMI. Pochi approfondimenti, invece, sono stati dedicati all’esatta individuazione del campo di applicazione delle nuove disposizioni, che, seppur molto ampio, in quanto avente ad oggetto tutte le PMI, non sembra neppure essere – almeno in virtù del dato normativo – del tutto privo di limiti [6].

La questione assume poi una rilevanza ancor più significativa se si dà atto che il nostro legislatore non chiarisce, al contrario di quanto aveva fatto in passato per le PMI innovative, quando una s.r.l. possa essere considerata PMI. Questa infelice omissione ha dato luogo a incertezze interpretative, perché nell’ordinamento italiano e in quello dell’Unione europea esistono diverse nozioni di PMI, a cui si può far riferimento per determinare quale sia l’effettivo campo di applicazione delle modifiche introdotte dal d.l. n. 50/2017.


2. Quadro d’insieme dei diversi approcci proposti dalla dottrina per individuare la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l.

La necessità di individuare il campo di applicazione delle novità introdotte dal d.l. n. 50/2017, e quindi, in ultima istanza, anche di fornire la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l., non è del tutto ignorata dalla dottrina. Tuttavia, almeno nella maggior parte dei casi, l’esame di questo problema è relegato ai cenni introduttivi degli approfondimenti sulle nuove disposizioni [7].

Nei contributi che affrontano la questione sono frequenti i rinvii ai parametri sanciti dall’art. 2, primo par., dell’allegato alla raccomandazione 2003/361/CE (di seguito anche la “raccomandazione”), in cui si prevede che possano essere qualificate come PMI le imprese che occupino «meno di 250 persone, il cui fatturato annuo non [superi] i 50 milioni di EUR oppure il cui totale di bilancio annuo non [superi] i 43 milioni di EUR» [8]. Numerosi sono però anche i riferimenti ai parametri stabiliti dall’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129 (di seguito anche il “regolamento”) [9], il quale delinea due diverse definizioni di PMI. La prima di queste definizioni adotta criteri dimensionali simili a quelli sanciti nella raccomandazione 2003/361/CE, prevedendo che possano essere considerate PMI quelle imprese che soddisfino «almeno due dei tre criteri seguenti: numero medio di dipendenti nel corso dell’esercizio inferiore a 250, totale dello stato patrimoniale non superiore a 43 000 000 EUR e fatturato netto annuale non superiore a 50 000 000 EUR». La seconda definizione fornita dal regolamento (UE) 2017/1129, invece, ha attirato meno l’attenzione dei commentatori e prevede un rinvio alla definizione di PMI prevista all’art. 4, primo par., punto 13, direttiva 2014/65/UE (c.d. MiFID II, di seguito anche la “direttiva MiFID II”), che definisce PMI le imprese che hanno «una capitalizzazione di borsa media inferiore a 200 000 000 EUR sulla base delle quotazioni di fine anno dei tre precedenti anni civili» [10]. Come si vedrà nelle prossime pagine, quest’ultima definizione, nonostante sia stata poco approfondita, può giocare un ruolo importante per individuare il campo di applicazione della nozione di PMI, perché ad essa rimanda, seppur indirettamente, anche l’art. 61, primo comma, lett. h), t.u.f.

In molti casi chi rinvia alla definizione della raccomandazione 2003/361/CE non evoca neppure il regolamento (UE) 2017/1129 [11]. Al contrario, chi richiama il regolamento – almeno normalmente – prende in considerazione anche la definizione della raccomandazione [12]. In generale, si può affermare che, mentre l’idea di fare riferimento alla raccomandazione ha trovato seguito come ipotesi interpretativa di prima lettura, l’idea di richiamare la definizione di PMI fornita dal regolamento è stata presa in considerazione soltanto in un momento successivo. Più precisamente quest’approccio ha trovato seguito soltanto una volta che sono stati metabolizzati il recepimento della direttiva 2014/65/UE e l’attuazione del regolamento (UE) 600/2014 (MiFIR) ad opera del d.lgs. n. 129/2017.

È poi importante segnalare che chi prende in considerazione la possibilità di fare ricorso a queste due diverse nozioni di PMI giunge a conclusioni diverse. Da un lato, alcuni presentano queste due definizioni senza prendere una chiara posizione a favore di una o dell’altra [13]. Dall’altro, è stato sostenuto che le due nozioni siano sostanzialmente equivalenti e che esse siano espressione di una definizione di PMI di più ampio respiro che trova il suo fondamento nel diritto dell’Unione europea [14]. Questa lettura fa leva sul fatto che, sia la raccomandazione, sia il regolamento, adottano gli stessi parametri dimensionali, vale a dire il numero di dipendenti, lo stato patrimoniale e il fatturato netto, peraltro declinandoli in modo identico da un punto di vista quantitativo.

Altri autori, invece, hanno sottolineato le differenze esistenti tra le due nozioni di PMI, per giungere alla conclusione di ritenere preferibile quella indicata nel regolamento [15], o, meno frequentemente, quella prevista nella raccomandazione [16]. Infine, alcuni hanno anche tentato di individuare altrove il campo di applicazione delle modifiche introdotte dal d.l. n. 50/2017. Infatti, nel diritto nazionale e in quello dell’Unione europea esistono anche altre nozioni di PMI oltre alle due sopra richiamate, di cui, a priori, non è possibile escludere la rilevanza [17].

In relazione a quest’ultimo punto, per quanto riguarda il diritto interno, è stato segnalato che anche il t.u.f. contiene una definizione di PMI all’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1). Questa definizione stabilisce che per PMI debbano intendersi, fermo quanto previsto da altre disposizioni di legge, gli emittenti «azioni quotate che abbiano una capitalizzazione di mercato inferiore ai 500 milioni di euro» [18]. Per quanto riguarda, invece, il diritto dell’Unione europea è stata evocata la nozione contenuta nell’art. 3, terzo par., direttiva 2013/34/UE, in tema di bilanci, il quale dispone che gli Stati membri possano considerare come “medie” le imprese che non superino due dei tre seguenti parametri, vale a dire (a) 20 milioni di euro di totale dello stato patrimoniale, (b) 40 milioni di euro di ricavi netti delle vendite e delle prestazioni, e (c) un numero medio di 250 dipendenti occupati durante l’esercizio [19].

Per comprendere quali siano gli argomenti che depongono a favore e contro l’applicazione di queste diverse nozioni e definizioni di PMI, e per approfondire quali siano le conseguenze applicative dell’adozione di ciascun approccio, è necessario soffermarsi brevemente su ciascuno di essi per valutarne i rispettivi punti di forza e debolezze.


3. Esame della nozione di PMI ricavabile dalla direttiva 2013/34/UE.

La possibilità di ricostruire la nozione di s.r.l. PMI partendo dal disposto della direttiva 2013/34/UE sui bilanci di esercizio e consolidati è raramente evocata in dottrina e sempre per giungere alla conclusione di escluderne la rilevanza [20]. Probabilmente le ragioni, che portano a ritenere la nozione di media impresa ricavabile da questa direttiva come un valido punto di riferimento per determinare quando una s.r.l. possa essere considerata PMI, devono essere ricercate nella relativa semplicità con cui si può verificare la sussistenza dei relativi parametri. Nello stabilire criteri dimensionali crescenti per le micro, per le piccole e per le medie imprese l’art. 3, terzo par., direttiva 2013/34/UE, stabilisce, infatti, che gli Stati membri non possano considerare un’impresa come “media” qualora, alla data di chiusura del bilancio essa abbia superato almeno due dei seguenti tre parametri, vale a dire, come già ricordato in precedenza, (a) 20 milioni di euro di totale dello stato patrimoniale, (b) 40 milioni di euro di ricavi netti delle vendite e delle prestazioni, e (c) un numero medio di 250 dipendenti occupati durante l’esercizio.

Questa nozione, in particolare per quanto riguarda il totale dello stato patrimoniale e i ricavi netti delle vendite e delle prestazioni, utilizza una terminologia diversa da quella del regolamento (UE) 2017/1129 e della raccomandazione 2003/361/CE. Nel regolamento, infatti, si fa riferimento al fatturato e non ai ricavi netti delle vendite e delle prestazioni, mentre nella raccomandazione, da un lato, si parla di totale di bilancio e non di stato patrimoniale e, dall’altro, come nel regolamento, si fa riferimento al fatturato e non ai ricavi netti delle vendite e delle prestazioni.

In realtà, in particolare alla luce delle indicazioni sull’interpretazione della raccomandazione 2003/361/CE contenute nel d.m. 18 aprile 2005, del ministero delle attività produttive, queste differenze terminologiche sul parametro del totale dello stato patrimoniale e su quello dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni non comportano difformità sostanziali nell’individuazione qualitativa di questi due criteri nelle diverse nozioni di PMI ricavabili dalla direttiva 2013/34/UE, dal regolamento e dalla raccomandazione. Ad una diversa conclusione, invece, si deve giungere per quanto riguarda il parametro relativo al numero medio dei dipendenti. Senza dilungarsi troppo su questo tema, in questa sede è sufficiente segnalare che nella direttiva 2013/34/UE questo parametro è declinato in modo molto simile a quanto previsto nel regolamento [21], mentre, sotto questo profilo, la raccomandazione elabora una disciplina molto più dettagliata e complessa [22].

Si deve poi segnalare che, da un punto di vista puramente quantitativo, i parametri finanziari stabiliti dalla direttiva 2013/34/UE per le medie imprese sono inferiori a quelli previsti dal regolamento e dalla raccomandazione. Diversamente, per quanto riguarda, invece, il parametro dei dipendenti, mentre nel regolamento e nella raccomandazione si afferma che per superare la soglia sia sufficiente che vi siano 250 occupati o dipendenti, la direttiva 2013/34/UE stabilisce che la soglia sia superata qualora vi siano più di 250 dipendenti, e quindi viene adottato un approccio leggermente meno restrittivo.

Infine, in chiave applicativa, si deve riconoscere che un altro atout della direttiva 2013/34/UE sta nel fatto che il calcolo dei relativi parametri non prende in considerazione imprese associate o collegate, come invece fa la raccomandazione. Ciò rende certamente meno complessa – almeno rispetto alla raccomandazione – l’accertamento della qualifica di PMI [23].


4. (segue). Limiti di questa nozione.

È importante segnalare però che la direttiva 2013/34/UE non fornisce – in senso stretto – né una nozione di PMI né una nozione di media impresa, ma si limita soltanto a prevedere che gli Stati membri non possano considerare, ai fini dell’applicazione delle regole di questo atto normativo, come “medie” le imprese che superino determinati parametri dimensionali. In pratica la direttiva 2013/34/UE si limita a circoscrivere la libertà degli Stati membri di determinare le soglie massime da prendere in considerazione per qualificare un’im­presa come “media”, ben potendo le normative nazionali di recepimento stabilire soglie quantitative inferiori a quelle indicate in questa direttiva [24].

È possibile poi rilevare che la stessa natura della direttiva 2013/34/UE, di atto legislativo dell’Unione, che non ha – almeno in linea di principio – effetti diretti e che è indirizzato soltanto agli Stati membri chiamati a darne attuazione, costituisce una base incerta su cui fondare la nozione di PMI [25]. Contro questa conclusione, tuttavia, si deve riconoscere che comunque il nostro legislatore ha fatto propria la direttiva 2013/34/UE trasponendola nel nostro ordinamento. D’altra parte, si deve però anche ammettere che, da un lato, il nostro legislatore, nel recepire la nozione di piccola impresa prevista dalla direttiva 2013/34/UE, all’art. 2435-bis c.c. in materia di bilancio in forma abbreviata, si avvale della facoltà di innalzarne i parametri, e che, dall’altro, l’art. 2435-ter c.c., sul bilancio delle micro-imprese, deroga – in questo caso in ribasso – i parametri previsti nella direttiva 2013/34/UE [26].

In breve, diverse ragioni portano a ritenere che la nozione di s.r.l. PMI non possa essere ricondotta ai criteri stabiliti dalla direttiva 2013/34/UE. In primo luogo questo provvedimento ha un carattere settoriale. Inoltre il nostro legislatore non fa propria la nozione di media impresa indicata nella direttiva 2013/34/UE e anche quando il nostro ordinamento si avvale delle semplificazioni previste in questo atto normativo per le imprese di minori dimensioni, non adotta esattamente i parametri massimi consentiti, ma stabilisce soglie differenti.


5. L’inapplicabilità della definizione di PMI prevista dall’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f.

Un secondo possibile punto di riferimento per determinare quali siano le s.r.l. PMI ai fini dell’applicazione del d.l. n. 50/2017 è costituito dalla definizione contenuta nell’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f., in cui si afferma che, «fermo quanto previsto da altre disposizioni di legge», sono PMI «le piccole e medie imprese, emittenti azioni quotate che abbiano una capitalizzazione di mercato inferiore ai 500 milioni di euro» [27]. Questa norma è raramente richiamata dalla dottrina per individuare la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l. Comunque, anche chi fa riferimento a questa definizione esclude che possa essere applicata alle s.r.l. [28]. In particolare, si rileva che questa definizione è riferita alle società quotate e che, quindi, essa non può interessare le s.r.l. [29].

Senza affrontare per il momento la questione della possibilità che le quote di s.r.l. PMI possano essere negoziate in sedi di negoziazione [30], si deve rilevare che, dal momento che la definizione dell’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f., prende in considerazione un parametro di capitalizzazione e considerato che essa fa espresso riferimento alle “azioni”, non è possibile concludere che nel d.l. n. 50/2017 il legislatore abbia inteso fare riferimento proprio a questa definizione per individuare le PMI costituite in forma di s.r.l.

È comunque opportuno segnalare almeno due aspetti della definizione di PMI contenuta nell’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f. In primo luogo si deve ricordare che la sua formulazione è stata oggetto di un’evoluzione nel corso del tempo e, che, al momento dell’entrata in vigore del d.l. n. 50/2017, essa prevedeva che potessero essere qualificate come PMI «le piccole e medie imprese, emittenti azioni quotate, il cui fatturato anche anteriormente all’am­missione alla negoziazione delle proprie azioni, [fosse stato] inferiore a 300 milioni di euro, ovvero che [avessero avuto] una capitalizzazione di mercato inferiore ai 500 milioni di euro» [31].

In secondo luogo, si deve poi dare atto che la definizione di PMI dell’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), non è l’unica contenuta nel t.u.f. L’art. 61, primo comma, lett. h), t.u.f., offre infatti una definizione di “piccola o media impresa” applicabile alla parte III del t.u.f., relativa alla “Disciplina dei mercati”, ma richiamata anche nel titolo sull’appello al pubblico risparmio, contenuto nella parte IV del t.u.f. [32], la quale rinvia a quella della direttiva MiFID II. Questa precisazione è importante perché, in un primo momento, il d.lgs. n. 129/2017 aveva recepito la direttiva MiFID II facendo riferimento in diversi articoli al termine PMI, senonché la presenza nel t.u.f. di un’altra nozione di PMI aveva ingenerato dubbi applicativi che si è tentato di risolvere con il d.lgs. n. 165/2019 [33].


6. La definizione di PMI contenuta nella raccomandazione 2003/361/CE: ragioni che depongono a favore della sua applicazione.

Appurati i motivi che portano a scartare la possibilità di fare ricorso alle nozioni di PMI fornite dalla direttiva 2013/34/UE e dall’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f., è necessario esaminare se la raccomandazione 2003/361/CE offra una base più solida per determinare il campo di applicazione delle novità introdotte dal d.l. n. 50/2017.

L’idea di fare ricorso alla definizione di PMI elaborata dalla raccomandazione è plausibile per diverse ragioni. In primo luogo si deve ricordare che questo atto normativo dell’Unione europea mira ad introdurre una nozione uniforme di PMI, sia nel diritto dell’Unione europea, sia in quello dei singoli Stati membri. Il considerando (1) della raccomandazione, infatti, afferma che «[n]ell’ottica del mercato unico […] si era già considerato che il trattamento delle imprese dovesse essere fondato su una base costituita da regole comuni», inoltre «[l]a conferma di tale approccio è tanto più necessaria se si tiene conto delle numerose interazioni tra provvedimenti nazionali e comunitari di sostegno […] alle piccole e alle medie imprese (PMI) […] per evitare che la Comunità indirizzi le sue azioni a un certo tipo di PMI e gli Stati membri a un altro».

Occorre poi segnalare che la definizione di PMI elaborata dalla raccomandazione già trova un espresso riconoscimento nel nostro ordinamento nel contesto dell’individuazione dei sottotipi e delle varianti del tipo s.r.l., in virtù del richiamo che l’art. 4, d.l. n. 3/2015, convertito dalla l. n. 33/2015, fa a questa raccomandazione per individuare la nozione di “PMI innovativa”.

Più in generale, si deve poi ricordare che il nostro paese ha recepito questo atto normativo dell’Unione europea, con il d.m. 18 aprile 2005 del ministero delle attività produttive, che ha provveduto a fornire le indicazioni necessarie per individuare, alla luce della raccomandazione, la nozione di PMI.

La rilevanza della raccomandazione è poi confermata dalla frequenza con cui essa è richiamata nel nostro ordinamento e in quello dell’Unione europea. Al riguardo è sufficiente ricordare che oltre settanta atti normativi italiani e centocinquanta dell’Unione europea contengono riferimenti alla raccomandazione.

Considerato il carattere di generalità a cui aspira la raccomandazione e gli ampi riconoscimenti che essa ha avuto nel diritto nazionale e in quello dell’Unione europea, è facile comprendere perché molti ritengano che questo provvedimento sia un valido punto di riferimento per individuare il campo di applicazione delle modifiche introdotte con il d.l. n. 50/2017.


7. (segue). Limiti e problemi applicativi di questa definizione.

L’idea di fare ricorso alla raccomandazione per determinare quando una s.r.l. possa essere considerata PMI incontra però anche diversi ostacoli. Per prima cosa si deve ricordare che la raccomandazione, pur essendo un atto normativo dell’Unione europea, non è vincolante per gli Stati membri. Di conseguenza, un eventuale riconoscimento della rilevanza di questo provvedimento ai fini dell’applicazione del d.l. n. 50/2017 è possibile soltanto in via mediata e nella misura in cui esso venga recepito con atti vincolanti nel nostro ordinamento o in quello dell’Unione europea [34].

Se però si procede in questo modo, vale a dire in virtù di un riconoscimento “mediato” di questa definizione, nascono diverse incertezze interpretative, perché non sempre il recepimento della raccomandazione è fedele al suo testo originale. Per fare un esempio concreto, per le società di nuova costituzione, che non hanno ancora chiuso il primo bilancio, l’art. 4, terzo comma, dell’allegato della raccomandazione, prevede che il numero di dipendenti, il fatturato e il totale di bilancio annuo possano essere «oggetto di una stima in buona fede ad esercizio in corso». Diversamente, l’art. 2, settimo comma, d.m. 18 aprile 2005 del ministero delle attività produttive, che fornisce le indicazioni necessarie per individuare la nozione di PMI alla luce della raccomandazione, stabilisce che, per decidere se un’impresa che non ha ancora approvato il primo bilancio possa essere considerata una PMI, debbano essere presi in considerazione «esclusivamente il numero degli occupati ed il totale dell’attivo patrimoniale» [35]. È evidente quindi che eventuali adeguamenti, modifiche o integrazioni della raccomandazione in sede di recepimento possano far nascere molti dubbi sull’esatta individuazione della nozione di PMI.

La definizione di PMI elaborata dalla raccomandazione presenta poi alcuni caratteri peculiari di cui è difficile giustificare la ratio nel contesto dell’ap­plicazione del d.l. n. 50/2017. In particolare l’art. 3, quarto comma, dell’allegato alla raccomandazione, stabilisce che, fatte salve alcune eccezioni, «un’impresa non [possa] essere considerata PMI se almeno il 25% del suo capitale o dei suoi diritti di voto è controllato direttamente o indirettamente da uno o più organismi collettivi pubblici o enti pubblici, a titolo individuale o congiuntamente» [36]. Le ragioni di questa esclusione sono abbastanza chiare nella prospettiva di voler determinare dei criteri per individuare le imprese meritevoli di ricevere misure di sostegno, mentre è meno immediato comprendere perché queste imprese debbano essere escluse dal campo di applicazione delle novità introdotte dal d.l. n. 50/2017.

Si deve poi ammettere che le regole della raccomandazione non si prestano molto bene all’esigenza di dover ricondurre il campo di applicazione del d.l. n. 50/2017 a singole società. L’obiettivo di questo provvedimento, infatti, è quello di fornire parametri per stabilire quando un’impresa, insieme a quelle ad essa correlate, possa essere qualificata come PMI e non tanto quello di stabilire quando questa qualifica possa essere riconosciuta ad un singolo ente. La verifica del superamento delle soglie quantitative previste, infatti, non riguarda soltanto singole imprese, perché la raccomandazione richiede che si debba tener conto anche di eventuali altre imprese che siano associate o collegate a quella sotto esame [37]. A tal fine la raccomandazione fornisce indicazioni molto dettagliate su come procedere all’aggregazione dei dati per calcolare il superamento delle soglie rilevanti.

È bene chiarire subito però che la raccomandazione non si spinge ad adottare una nozione di impresa quale “entità economica unica” simile a quella ricavabile, ad esempio, dall’interpretazione degli artt. 101 e 102 TFUE [38]. L’art. 1 dell’allegato della raccomandazione, infatti, afferma che la nozione di impresa ricomprende «ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, che eserciti un’attività economica», e precisa che possano essere considerate imprese «le entità che esercitano un’attività artigianale o altre attività a titolo individuale o familiare, le società di persone o le associazioni che esercitino un’attività economica». Declinata in questi termini, la nozione di impresa è quindi ancora focalizzata su singole imprese e non su aggregati di enti nel loro complesso.

La rilevanza delle imprese associate e collegate discende invece dall’art. 6 dell’allegato della raccomandazione, il quale richiede che, nell’effettuare il calcolo dei parametri dimensionali, si tenga conto, oltre che dell’“impresa in questione”, anche delle imprese ad essa associate e collegate.

Si deve riconoscere però anche che la raccomandazione non esclude neppure del tutto la possibilità di tener conto di una prospettiva “aggregata”, in quanto essa prevede che i dati relativi ai parametri possano essere dedotti dai conti consolidati. Senonché, è anche lecito interrogarsi sull’effettivo valore che, ad esempio, i dati sui dipendenti ricavabili dal bilancio possano avere ai fini della raccomandazione, dal momento che difficilmente questi dati sono in grado di riprodurre fedelmente tutte le nuances con cui, ai sensi dell’art. 5 dell’allegato della raccomandazione, si dovrebbe calcolare il parametro relativo agli occupati [39].

Altre incertezze derivano poi dal fatto che il metodo di aggregazione dei parametri delle imprese associate e collegate stabilito dalla raccomandazione porta, almeno in alcuni casi, a risultati abbastanza paradossali. Più precisamente, è possibile che in un gruppo di società, a seconda di quale sia l’“im­presa in questione”, per ragioni abbastanza arbitrarie, per alcune società possa dirsi verificata la qualifica di PMI e per altre no [40].

In breve, la raccomandazione non cerca tanto di valutare le dimensioni di un’attività imprenditoriale, ma piuttosto si limita a determinare in quale misura quest’attività possa essere imputata ad un certo ente. In questa prospettiva l’individuazione della qualifica di PMI non riguarda tanto un aggregato di imprese associate e collegate, ma ogni singola impresa a cui poi si devono aggiungere le imprese che a questa siano correlate [41].

Quest’analisi della nozione di impresa e delle modalità di calcolo dei parametri dimensionali previsti nella raccomandazione rivela anche che, qualora si intenda far ricorso a questo provvedimento per definire il campo di applicazione delle novità introdotte dal d.l. n. 50/2017, e quindi anche per individuare la nozione di s.r.l. PMI, non è scontato che si debba necessariamente tener conto delle imprese collegate e associate. Certamente la raccomandazione considera anche queste imprese per determinare il superamento dei parametri dimensionali, ma ciò non significa che questa aggregazione sia richiesta anche al fine di individuare a quali s.r.l. debba trovare applicazione l’art. 57 d.l. n. 50/2017. Le riforme introdotte con questo decreto, infatti, fanno riferimento soltanto alle “PMI costituite in forma di società a responsabilità limitata”, che, in linea di principio, potrebbero anche essere intese individualmente, vale a dire come singole “imprese in questione”, senza quindi dover tener conto delle imprese che ad esse siano collegate o associate.


8. La definizione di PMI contenuta nel regolamento (UE) 2017/1129: analogie e differenze rispetto alla definizione della raccomandazione 2003/361/CE.

Un altro approccio suggerito dalla dottrina per individuare la nozione di s.r.l. PMI consiste nel far riferimento al disposto dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, che, come già rilevato in precedenza, contiene due diverse definizioni di PMI. La prima di queste definizioni (quella di cui al “n. i)”, di seguito anche “primo alinea”, che è richiamata anche dall’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., nella parte in cui fa riferimento al «primo alinea» di questa lettera) riproduce una nozione di PMI che era già presente nell’art. 2, primo par., lett. f), direttiva 2003/71/CE, e che era stata recepita nel nostro paese già con l’art. 3, primo comma, regolamento 11971/1999, come modificato dalla delibera Consob n. 16840 del 19 marzo 2009, oggi però riformulato. La seconda definizione (vale a dire quella di cui al “n. ii)”, di seguito anche “secondo alinea”), rinvia, invece, all’art. 4, primo par., punto 13, direttiva 2014/65/UE. L’attenzione della dottrina si è concentrata quasi esclusivamente sulla prima di queste due definizioni, ma in alcuni contributi si è dato conto anche di quella prevista nel secondo alinea [42].

Incominciando dalla nozione di PMI ricavabile dal primo alinea, si deve rilevare che essa contempla parametri quantitativi simili a quelli già incontrati esaminando la raccomandazione, vale a dire (a) il numero medio di dipendenti nel corso dell’esercizio, (b) il totale dello stato patrimoniale e (c) il fatturato netto annuale. Anche l’ammontare delle soglie dimensionali corrisponde a quello previsto nella raccomandazione. Come accennato in precedenza, queste somiglianze hanno portato alcuni autori a ritenere assimilabili le due nozioni di PMI contenute nel regolamento e nella raccomandazione e a ritenere non necessario approfondire ulteriormente il tema dell’individuazione della nozione di PMI prevista dal d.l. n. 50/2017 [43].

In realtà le differenze tra le due definizioni di PMI sono significative e di esse occorre dar conto. In primo luogo i parametri dimensionali rilevano in modo diverso nelle due nozioni. La raccomandazione afferma infatti che possano essere considerate PMI soltanto le imprese che abbiano meno di 250 dipendenti e non superino, alternativamente, la soglia di fatturato annuo o quella di totale di bilancio annuo. Il regolamento prevede invece che sia sufficiente che, per poter essere considerata PMI, un’impresa soddisfi due qualsiasi dei tre parametri dimensionali. In breve, sotto questo profilo, la nozione di PMI del regolamento è più permissiva di quella fornita dalla raccomandazione, perché una società potrebbe avere almeno 250 dipendenti, e, comunque, soddisfacendo le due soglie relative al fatturato annuo e al totale di bilancio annuo, essere ancora considerata PMI [44].

Le differenze tra le due nozioni di PMI ricavabili dal regolamento e dalla raccomandazione, tuttavia, non si esauriscono nella diversità con cui vengono combinati i diversi parametri quantitativi. Si deve ricordare, infatti, che la raccomandazione esclude dalla nozione di PMI le imprese che abbiano almeno il 25% del capitale o dei diritti di voto controllati da uno o più organismi collettivi pubblici o da enti pubblici, mentre una simile esclusione non è prevista nel regolamento [45]. Inoltre, come già si è rilevato, è opinione diffusa che, ai fini della raccomandazione, si debba tener conto anche delle imprese associate e collegate [46]. Queste imprese, invece, non giocano nessun ruolo ai fini della definizione del primo alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento.

Già da questa rapida analisi si può quindi concludere che le due nozioni di PMI ricavabili dalla raccomandazione e dal regolamento sono, in effetti, diverse tra loro e che pertanto è necessario individuare quale di esse possa rilevare ai fini dell’applicazione del d.l. n. 50/2017.


9. (segue). Impossibilità di ritenere che le imprese ricomprese nella definizione di PMI della raccomandazione 2003/361/CE ricadano sempre anche in quella prevista dal regolamento (UE) 2017/1129.

Appurata la necessità di dover distinguere la definizione di PMI contenuta nel regolamento da quella della raccomandazione è però necessario fugare un dubbio che potrebbe derivare da un esame non approfondito delle differenze che esistono tra queste due definizioni, vale a dire quello di ritenere che la nozione di PMI ricavabile dalla raccomandazione sia sempre più restrittiva di quella del regolamento. In questa prospettiva si potrebbe ritenere che, dal momento che la definizione del regolamento è più restrittiva di quella della raccomandazione, potrebbe bastare fare riferimento a quest’ultima per essere sicuri di non fraintendere l’ambito di operatività delle novità introdotte dal d.l. n. 50/2017 [47].

Se si esaminano queste due definizioni con attenzione, si deve però concludere che esse, non soltanto non coincidono, ma non possono neppure dirsi ricomprese l’una nell’altra. Di conseguenza, è ben possibile che un’impesa sia una PMI per la raccomandazione, ma non per il regolamento, così come può accadere che un’impresa soddisfi i requisiti del regolamento, ma non quelli della raccomandazione.

Per giungere a questa conclusione, oltre a dover tener conto delle differenze già illustrate in precedenza, è necessario soffermarsi brevemente sull’am­bito temporale in cui i parametri dimensionali devono essere valutati e sulle modalità con cui è verificato il superamento delle soglie rilevanti nelle due diverse nozioni.

In relazione al primo profilo, mentre nel regolamento si richiede che il superamento dei parametri sia valutato con riferimento al più recente «bilancio annuale o consolidato», l’art. 4, secondo comma, dell’allegato della raccomandazione 2003/361/CE, afferma che, se un’impresa constata il superamento dei parametri, «essa perde o acquisisce la qualifica di media, piccola o microimpresa solo se questo superamento avviene per due esercizi consecutivi». Se quindi si considerano le diverse definizioni di PMI nella prospettiva del loro orizzonte temporale rilevante, una società potrebbe certamente essere considerata PMI ai fini del regolamento, ma non a quelli della raccomandazione [48].

Occorre poi rilevare che il calcolo degli occupati nella raccomandazione segue regole molto particolari che, ad esempio, impongono di non tener conto dei dipendenti con contratto di apprendistato, mentre simili esclusioni non sono contemplate nel regolamento [49]. Anche da questo punto di vista, quindi, un’impresa potrebbe avere la qualifica di PMI esclusivamente ai fini del regolamento.

In definitiva, queste differenze confermano l’idea che i due diversi insiemi delle imprese che ricadono nelle definizioni di PMI elaborate dal regolamento e dalla raccomandazione, siano soltanto in parte sovrapponibili e non possano certamente dirsi ricompresi l’uno nell’altro. Anche per queste ragioni diventa quindi fondamentale determinare a quale o a quali provvedimenti si debba fare riferimento per individuare la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l.


10. (segue). Esame delle ragioni che depongono a favore dell’appli­cazione di questa definizione per individuare la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l.

Una volta delineati i tratti essenziali della definizione di PMI elaborata dall’art. 2, primo par., lett. f), primo alinea, regolamento (UE) 2017/1129, e i suoi rapporti con quella della raccomandazione, è però necessario comprendere anche per quali ragioni si ritenga che proprio questa sia la nozione di PMI rilevante ai fini dell’applicazione del d.l. n. 50/2017. Per giungere a questa conclusione si sostiene che le novità introdotte dal d.lgs. n. 129/2017, e in particolare il nuovo testo dell’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., relativo alla definizione di “portale per la raccolta di capitali per le piccole e medie imprese e per le imprese sociali” giustificherebbe questa lettura. Secondo questa disposizione, infatti, per “portale per la raccolta di capitali” si intende «una piattaforma on line che abbia come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitale di rischio da parte delle piccole e medie imprese, come definite dall’articolo 2, paragrafo 1, lettera (f), primo alinea, del regolamento (UE) 2017/1129».

Alla luce di questo dato normativo, la nozione di PMI viene quindi indirettamente ricavata da quella di “portale per la raccolta di capitali”, non in virtù di un rinvio operato dal d.l. n. 50/2017, bensì facendo leva sul disposto dell’art. 26, quinto comma, d.l. n. 179/2012, come modificato dal d.l. n. 50/2017, in forza del quale «le quote di partecipazione in PMI costituite in forma di s.r.l. possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, anche attraverso i portali per la raccolta di capitali» [50].

Per essere più chiari, dal momento che il d.l. n. 179/2012, ha modificato il t.u.f., inserendo una definizione di portale per la raccolta di capitali, che rinvia all’art. 2, primo par., lett. f), primo alinea, regolamento (UE) 2017/1129, e, dal momento che l’art. 26, quinto comma, d.l. n. 179/2012, come modificato dal d.l. n. 50/2017, richiama la possibilità che le PMI effettuino offerte al pubblico di prodotti finanziari attraverso questi portali, si conclude che vi siano indici di analogia rilevanti che portino a ritenere che la nozione di PMI possa essere indirettamente ricavata da quella di “portale per la raccolta di capitali” e quindi, in ultima istanza, che il d.l. n. 50/2017 intenda fare riferimento alla definizione di PMI prevista nel regolamento [51].


11. (segue). Limiti di questa definizione.

L’idea di fare riferimento al Regolamento (UE) 2017/1129 per individuare la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l. deve però essere valutata con attenzione perché incontra alcuni ostacoli. Innanzitutto è facile notare che il gioco di rinvii alla nozione di PMI ricavabile dall’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., segue un percorso logico piuttosto articolato. Si rileva, infatti, (a) che le s.r.l. PMI possono offrire le proprie quote sui portali per la raccolta di capitali e (b) che questi portali possono facilitare la raccolta di capitale da parte delle PMI come definite dall’art. 2, primo par., lett. f), primo alinea, regolamento (UE) 2017/1129, per giungere (c) alla conclusione che la nozione di PMI debba essere ricavata da quella di portale per la raccolta di capitali.

In realtà il dato normativo, all’esito delle modifiche apportate dal d.lgs. n. 129/2017, sembra debba essere letto – più correttamente – soltanto nel senso (a) che tutte le s.r.l. PMI possono offrire le proprie quote sui portali per la raccolta di capitali (in virtù dell’art. 26, quinto comma, d.l. n. 179/2012, come modificato dal d.l. n. 50/2017) e (b) che quindi la nozione di PMI debba comunque ricomprendere almeno tutte le PMI di cui all’art. 2, primo par., lett. f), primo alinea, regolamento (UE) 2017/1129, e non anche necessariamente coincidere con la nozione ricavabile da questa disposizione. Infatti, sarebbe davvero strano che una s.r.l. possa essere qualificata come PMI ai fini dell’offerta sul portale per la raccolta di capitali secondo la definizione del t.u.f., ma non ai fini dell’appli­cazione delle modifiche introdotte dal d.l. n. 50/2017.

Si deve poi rilevare che un ostacolo alla possibilità di richiamare la definizione del regolamento deriva dal fatto che l’attuale formulazione dell’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., con particolare riguardo al riferimento al regolamento, è successiva all’entrata in vigore del d.l. n. 50/2017 [52]. Al momento dell’en­trata in vigore di questo decreto, infatti, l’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., in forza del disposto della l. n. 232/2016 prevedeva che, per “portale per la raccolta di capitali per le PMI”, si dovesse intendere «una piattaforma on line che [avesse] come finalità esclusiva la facilitazione della raccolta di capitale di rischio da parte delle PMI come definite dalla disciplina dell’Unione europea e degli organismi di investimento collettivo del risparmio o altre società che investono prevalentemente in PMI». In questa prospettiva, è quindi anche lecito interrogarsi se la nozione di s.r.l. PMI, in mancanza di indici chiari, debba essere ricostruita alla luce del dato normativo applicabile al momento dell’entra­ta in vigore del d.l. n. 50/2017, oppure se essa possa variare nel corso del tempo in virtù di una lettura sistematica della nozione di PMI. Sotto questo profilo giova ricordare anche che, al momento dell’entrata in vigore del d.l. n. 50/2017, il regolamento non solo non era applicabile, ma neppure esisteva. Il d.l. n. 50/2017, infatti, ha trovato applicazione a decorrere dal 24 aprile 2017, mentre il regolamento è stato firmato soltanto il 14 giugno 2017, per poi entrare in vigore il 20 luglio 2017.

Di conseguenza, chi ritiene che la nozione di PMI ai fini dell’applicazione del d.l. n. 50/2017 sia quella ricavabile dal regolamento, deve – almeno implicitamente – necessariamente riconoscere anche che questa nozione sia mutata nel corso del tempo e che in futuro essa sia passibile di ulteriori cambiamenti in virtù di modifiche o revisioni del dato normativo.

Comunque, a prescindere da questi problemi [53], la nozione di PMI di cui all’art. 2, primo par., lett. f), primo alinea, regolamento, presenta alcuni indubbi vantaggi applicativi rispetto a quella ricavabile dalla raccomandazione. In primo luogo, questa nozione riguarda singole imprese, senza che rilevino le imprese associate e collegate [54]. La verifica del superamento dei parametri dimensionali, inoltre, non è soggetta alle regole dettagliate previste nella raccomandazione. Di conseguenza, almeno da un punto di vista pratico, la possibilità di fare riferimento al regolamento risolve molte incertezze applicative e permette anche, con tutta probabilità, di riconoscere la qualifica di PMI a un maggior numero di s.r.l.


12. (segue). Il rinvio alla definizione di PMI contenuta nella direttiva 2014/65/UE.

Non si deve però anche dimenticare che la definizione di PMI del regolamento è duplice e che essa contiene un rinvio a quella prevista dall’art. 4, primo par., punto 13, direttiva 2014/65/UE. Come si è già avuto modo di rilevare in precedenza, questa nozione di PMI ha trovato accoglimento nell’art. 61, primo comma, lett. h), t.u.f., che, al contrario dell’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., rinvia a tutto il disposto dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, e non soltanto al suo primo alinea [55].

La definizione di PMI contenuta nella direttiva MiFID II non è stata oggetto di particolari approfondimenti per individuare le PMI costituite in forma di s.r.l., perché – almeno ad un primo esame – essa appare difficilmente applicabile a questo tipo sociale. Questo disinteresse deriva dal fatto che detta definizione riguarda le imprese che hanno «una capitalizzazione di borsa media inferiore a 200 000 000 EUR sulla base delle quotazioni di fine anno dei tre precedenti anni civili», e quindi, facendo riferimento a criteri “di mercato”, non sarebbe riferibile alle s.r.l. [56].

Alcuni autori hanno però ritenuto comunque necessario esaminare la definizione della direttiva 2014/65/UE, da un lato, proprio per escludere la sua applicabilità alle s.r.l. PMI, o, dall’altro, per cercare di motivare la scelta di fare ricorso alla definizione del primo alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, e non a quella del secondo alinea di questa lettera. Se, infatti, l’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., richiama le PMI del primo alinea del­l’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, e il d.l. n. 50/2017 fa riferimento, invece, alle PMI senza ulteriori qualificazioni, occorre chiarire perché questo più ampio rinvio riguardi soltanto il primo alinea di questa lettera e non anche il secondo [57].

Nonostante queste interpretazioni restrittive, si deve rilevare però che, alla luce del dato normativo attuale, la definizione di PMI contenuta nella direttiva MiFID II non può più essere considerata irrilevante. L’art. 100-ter, primo comma, t.u.f., all’esito delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 165/2019, oggi dispone, infatti, che le offerte al pubblico «condotte attraverso uno o più portali per la raccolta di capitali [possano] avere ad oggetto soltanto la sottoscrizione di strumenti finanziari emessi dalle piccole e medie imprese, come definite dall’articolo 61, comma 1, lettera h)». Subito dopo questo comma, l’art. 100-ter, comma 1-bis, t.u.f., contiene una disposizione che ha un tenore letterale del tutto simile a quello dell’art. 26, quinto comma, d.l. n. 179/2012, come modificato dal d.l. n. 50/2017 [58]. Di conseguenza, se i portali per la raccolta di capitali possono offrire al pubblico «soltanto la sottoscrizione di strumenti finanziari emessi dalle piccole e medie imprese» e se «le quote di partecipazione in piccole e medie imprese costituite in forma di società a responsabilità limitata possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, anche attraverso i portali per la raccolta di capitali», vi sono fondati motivi per concludere che sia l’art. 100-ter, comma 1-bis, sia l’art. 100-ter, primo comma, t.u.f., rinviino all’art. 61, primo comma, lett. h), t.u.f., e quindi, in ultima istanza, alla definizione del regolamento nella sua interezza.

Alla luce delle modifiche apportate al t.u.f. dal d.lgs. n. 165/2019, quindi, non si può più escludere, ai fini dell’applicazione delle novità introdotte dal d.l. n. 50/2017, la possibilità di richiamare anche la definizione di PMI contenuta nella direttiva MiFID II, in virtù del fatto che: (a) il d.l. n. 50/2017, oltre a disciplinare le “PMI costituite in forma di società a responsabilità limitata”, ha anche modificato l’art. 26, quinto comma, d.l. n. 179/2012, estendendone l’applicazione alle PMI; (b) l’art. 100-ter, comma 1-bis, t.u.f., riproduce quasi in modo letterale il testo dell’art. 26, quinto comma, d.l. n. 179/2012; (c) non vi sono ragioni per ritenere che l’art. 100-ter, comma 1-bis, t.u.f. e l’art. 26, quinto comma, d.l. n. 179/2012, facciano riferimento a due diverse nozioni di PMI; e (d) è difficile sostenere che la nozione di PMI a cui fa riferimento l’art. 100-ter, comma 1-bis, t.u.f., non corrisponda a quella dell’art. 100-ter, primo comma, t.u.f., la quale, richiamando l’art. 61, primo comma, lett. h), t.u.f., rinvia alla definizione del regolamento (UE) 2017/1129 nella sua interezza, e quindi, in ultima istanza, anche alla definizione della direttiva 2014/65/UE.

Di conseguenza, in virtù delle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 165/2019, non è più necessario ricavare indirettamente la nozione di PMI da quella di “portale per la raccolta di capitali”, perché l’art. 100-ter, t.u.f. già rinvia direttamente alla nozione di PMI prevista dall’art. 61, primo comma, lett. h), t.u.f., e quindi al regolamento (UE) 2017/1129 nella sua interezza [59].


13. (segue). L’integrazione della definizione di PMI della direttiva 2014/65/UE con quella prevista dal regolamento delegato (UE) 2017/565.

A questo punto occorre però verificare se la possibilità di fare riferimento a tutti e due gli alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, sia sistematicamente sensata e se essa comporti una ridefinizione della nozione di PMI ai fini dell’applicazione del d.l. n. 50/2017. Come accennato in precedenza, almeno ad una prima impressione, sembra che a questo interrogativo si debba dare una risposta negativa, in virtù del fatto che non sarebbe possibile applicare alle s.r.l. un criterio basato sulla capitalizzazione di mercato.

Questa conclusione non è però condivisibile per diverse ragioni. In primo luogo si deve ricordare che la definizione di PMI prevista nella direttiva MiFID II è funzionale a disciplinare i c.d. “Mercati di crescita per le PMI”, che non sono mercati regolamentati, ma sistemi multilaterali di negoziazione. In questa prospettiva si deve quindi subito precisare che la questione non è tanto quella della possibilità che le quote di s.r.l. possano essere negoziate su un mercato regolamentato, quanto quella di valutare se le partecipazioni di queste società possano essere scambiate su sistemi multilaterali di negoziazione [60].

A prescindere da questa questione, si deve poi ricordare che la definizione di PMI della direttiva 2014/65/UE deve essere letta in combinazione con quanto previsto dall’art. 77 regolamento delegato (UE) 2017/565 (di seguito il “regolamento delegato”), che integra la direttiva MiFID II, tra l’altro, proprio per quanto riguarda la definizione di PMI. Nella sua versione originale, risalente al 2017, il primo paragrafo di questo articolo forniva chiarimenti per verificare il superamento del criterio di capitalizzazione sancito dalla direttiva 2014/65/UE. Il secondo paragrafo di questa disposizione, invece, precisava che un emittente che non avesse avuto strumenti di capitale negoziati in sedi di negoziazione sarebbe stato comunque considerato una PMI ai fini dell’art. 4, primo par., punto 13, direttiva 2014/65/UE, qualora, «in base al più recente bilancio annuale o consolidato», avesse rispettato «almeno due dei tre seguenti criteri: un numero medio di dipendenti inferiore a 250 nel corso dell’esercizio, un totale di bilancio non superiore a 43 000 000 EUR e un fatturato annuo netto non superiore a 50 000 000 EUR», vale a dire gli stessi parametri quantitativi previsti dal primo alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129.

Il secondo paragrafo di questo articolo è stato però recentemente modificato dal regolamento delegato (UE) 2019/1011 e, infatti, esso oggi prevede che l’emittente «che non ha strumenti di capitale negoziati in sedi di negoziazione [sia] considerato una PMI ai fini dell’articolo 4, paragrafo 1, punto 13, della direttiva 2014/65/UE se il valore nominale delle sue emissioni di debito nel­l’anno civile precedente in tutte le sedi di negoziazione dell’Unione non supera i 50 milioni di euro».

In breve, ai fini dell’individuazione della nozione di PMI costituita in forma di s.r.l., si deve verificare se il disposto dell’art. 77, secondo par., regolamento delegato, possa trovare applicazione anche a queste società. In questa prospettiva, al contrario della definizione di PMI prevista dall’art. 4, primo par., punto 13, direttiva 2014/65/UE, non si può concludere a priori che quella ricavabile dall’art. 77, secondo par., regolamento delegato, sia inapplicabile anche alle s.r.l., almeno nella misura in cui queste società possano essere considerate emittenti, ovvero, ai sensi della direttiva MiFID II, nella misura in cui esse possano emettere strumenti finanziari [61].


14. (segue). Applicabilità della definizione di PMI contenuta nella direttiva 2014/65/UE alle società che non hanno strumenti finanziari negoziati in sedi di negoziazione.

Per confermare la possibilità di applicare l’art. 77, secondo par., regolamento delegato, alle s.r.l. si deve però verificare anche se questa norma riguardi esclusivamente le società che hanno già strumenti di capitale o emissioni di debito negoziati in sedi di negoziazione. In effetti si deve sottolineare che questa disposizione contiene un espresso riferimento alle «emissioni di debito […] in tutte le sedi di negoziazione».

Contro una lettura di questo tipo si deve però rilevare che la versione originale di questo paragrafo prevedeva una nozione di PMI del tutto simile a quella del regolamento (UE) 2017/1129, che quindi non prendeva in considerazione in alcun modo l’ammissione alla negoziazione di strumenti di capitale o di titoli di debito. A questo riguardo, non si può poi sostenere che il regolamento delegato (UE) 2019/1011 abbia inteso limitare il campo di applicazione del­l’art. 77, secondo par., regolamento delegato, perché l’obiettivo principale delle modifiche introdotte con questo provvedimento era invece proprio quello di ampliare il campo di applicazione di questa disposizione [62].

Questa conclusione è poi supportata anche dallo stesso tenore letterale della norma. L’art. 77, secondo par., regolamento delegato, prevede infatti che, per poter verificare la qualifica di PMI nel caso in cui una società non abbia strumenti di capitale negoziati, si debba far riferimento al valore nominale delle emissioni di debito con riguardo all’anno civile precedente. Ora, qualora si ritenga che il riferimento alle emissioni di debito in tutte le sedi di negoziazione contenuto in questa disposizione giustifichi una sua applicazione soltanto agli emittenti che hanno già strumenti finanziari negoziati in sedi di negoziazione, si dovrebbe concludere anche che, nell’anno in cui si procede per la prima volta all’emissione dei titoli di debito, un emittente non potrebbe mai ricadere nel disposto dell’art. 77, secondo par., regolamento delegato, perché, nell’anno civile precedente, non risulterebbe aver emesso titoli di debito negoziati.

Un’interpretazione di questo tipo, quindi, porta a risultati inaccettabili proprio ai fini della disciplina dei mercati di crescita per le PMI, perché implica il mancato riconoscimento della qualifica di PMI a tutte le società che accedono per la prima volta al mercato esclusivamente con titoli di debito e, di riflesso, mette anche a repentaglio la qualifica di mercato di crescita di quei sistemi multilaterali di negoziazione che, in uno stesso anno, ammettano alla negoziazione titoli di debito di molte di queste società.

Non si può poi neppure ritenere che la formulazione dell’art. 77, secondo par., regolamento delegato, non sia altro che una svista del legislatore europeo. Il primo paragrafo di questa disposizione, infatti, delinea molto chiaramente, anche sotto il profilo temporale, con quali modalità si debba determinare il superamento della soglia di capitalizzazione per le società che hanno strumenti di capitale negoziati anche nel corso del primo anno successivo all’ammissione alla negoziazione. Se, per determinare la qualifica di PMI, il legislatore dell’Unione europea richiama la situazione esistente nell’anno civile precedente, non si può quindi ritenere che il riferimento al «valore nominale delle […] emissioni di debito […] in tutte le sedi di negoziazione dell’Unio­ne» possa riguardare un lasso temporale diverso, neppure nel primo anno in cui i titoli di debito sono stati ammessi alla negoziazione; la formulazione dell’art. 77, primo par., regolamento delegato, infatti, depone contro una lettura di questo tipo del dato normativo.

Certamente è vero che, nel contesto della direttiva 2014/65/UE, la definizione di PMI rileva soltanto per gli emittenti che hanno strumenti finanziari ammessi alla negoziazione su mercati di crescita, ma questo accade soltanto perché nella direttiva MiFID II questa definizione è funzionale a determinare quali sistemi multilaterali di negoziazione possano essere qualificati come mercati di crescita: sono le PMI che qualificano un sistema multilaterale di negoziazione come mercato di crescita e non viceversa.

In conclusione, l’idea di ritenere che la definizione di PMI ricavabile dalla direttiva MiFID II e dal regolamento delegato presupponga che un emittente debba avere strumenti di capitale o di debito negoziati non trova fondamento nel testo di questi provvedimenti e potrebbe essere giustificata soltanto in chiave teleologica in relazione all’applicazione delle norme previste dalla direttiva MiFID II. Tuttavia, neppure questa giustificazione è del tutto convincente, perché la nozione di PMI ricavabile dalla direttiva 2014/65/UE oggi non rileva più soltanto ai fini dell’individuazione dei mercati di crescita, ma ha una valenza più ampia, anche in virtù del rinvio che ad essa oggi fa il regolamento (UE) 2017/1129.


15. (segue). L’utilizzo della nozione di PMI prevista dalla direttiva 2014/65/UE ai fini dell’applicazione delle disposizioni del regolamento (UE) 2017/1129.

In realtà, oltre che per i motivi sopra esposti, vi sono anche altre ragioni che impediscono di circoscrivere il campo di applicazione della definizione di PMI ricavabile dalla direttiva 2014/65/UE soltanto agli emittenti che hanno una “capitalizzazione di borsa”. In questo senso, è infatti la stessa definizione di PMI contenuta nella direttiva MiFID II a non essere del tutto adeguata ad assolvere i compiti che oggi le affida il legislatore dell’Unione europea.

In effetti, nel gioco dei rinvii per individuare la nozione di PMI, un profilo poco esaminato è quello dei motivi per cui il regolamento (UE) 2017/1129 richiami la direttiva 2014/65/UE per definire le PMI. A questo riguardo si deve sottolineare che questo rimando è funzionale essenzialmente all’applicazione dell’art. 15 del regolamento relativo ai c.d. “Prospetti UE della crescita” [63]. Considerate le finalità di questo richiamo è in effetti singolare che il regolamento evochi un concetto come quello della “capitalizzazione di borsa” anche per emittenti che potrebbero ancora non averla.

Fatte salve le altre ipotesi in cui si può ricorrere ai Prospetti UE della crescita [64], il riferimento alle PMI contenuto nell’art. 15 del regolamento, se letto in modo restrittivo, porta alla conclusione che questi prospetti possano essere utilizzati soltanto dalle PMI che, alternativamente, (a) soddisfano i parametri del primo alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, o (b) hanno già una capitalizzazione di borsa. Questa possibilità, invece, sarebbe preclusa a tutte le società che, pur non soddisfacendo i requisiti del primo alinea, potrebbero avere, all’esito della prima offerta dei loro strumenti di capitale, una capitalizzazione inferiore a 200 milioni di euro. La nozione della direttiva 2014/65/UE, quindi, mal si presta a soddisfare gli obiettivi perseguiti dal regolamento con i Prospetti UE della crescita.

A questi problemi ha cercato di dare una risposta il legislatore dell’Unione europea con il regolamento (UE) 2019/2115 [65]. Più precisamente questo provvedimento ha modificato l’art. 15 del regolamento (UE) 2017/1129 per consentire l’offerta di titoli di capitale con contestuale ammissione alla negoziazione in mercati di crescita anche a quegli emittenti che, pur non soddisfacendo i criteri del primo alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, abbiano, all’esito della prima offerta delle loro azioni, una capitalizzazione non superiore a quella indicata nel secondo alinea di questa disposizione. A questi emittenti, quindi, che non sono necessariamente PMI ai fini del regolamento, perché ad essi non è ancora applicabile la definizione della direttiva MiFID II, oggi si consente comunque, a determinate condizioni, di poter utilizzare i Prospetti UE della crescita [66].

Queste modifiche introdotte con il regolamento (UE) 2019/2115, che presuppongono un’interpretazione letterale del riferimento alla capitalizzazione di borsa, almeno per le società che hanno strumenti di capitale negoziati, non possono però essere lette come un’indiretta conferma dell’idea che la nozione di PMI sancita dalla direttiva 2014/65/UE riguardi esclusivamente gli emittenti con strumenti finanziari già negoziati in sedi di negoziazione. Nel modificare il regolamento delegato, la Commissione, infatti, era ben consapevole del fatto che il riferimento al parametro della capitalizzazione contenuto nella direttiva MiFID II aveva creato problemi nel contesto dell’applicazione del regolamento (UE) 2017/1129. Considerato poi che il regolamento (UE) 2019/2115 aveva introdotto correttivi per ampliare il novero degli emittenti che possono avvalersi del Prospetto UE della crescita, ma soltanto quando si proceda ad un’offerta di strumenti di capitale, è difficile comprendere perché simili correttivi non siano stati previsti anche per le prime emissioni di titoli di debito, a meno di ritenere che questi correttivi non siano stati ritenuti necessari proprio in virtù della nuova e diversa formulazione delle regole applicabili a queste emissioni [67].

Di conseguenza, è anche la mancanza nel regolamento (UE) 2017/1129 di regole specifiche sulle prime emissioni di titoli di debito che porta a ritenere che, per ricadere nella definizione elaborata dall’art. 77, secondo par., regolamento delegato, non sia necessario che un emittente abbia strumenti di debito o di capitale già negoziati in sedi di negoziazione. In questo senso, anche le novità introdotte con il regolamento (UE) 2019/2115, portano quindi a concludere che il regolamento delegato contenga una definizione residuale, potenzialmente applicabile a tutti gli emittenti che non hanno strumenti finanziari negoziati in sedi di negoziazione.


16. (segue). Le s.r.l. emittenti titoli di debito negoziati in sedi di negoziazione.

Un altro aspetto fondamentale della definizione di PMI contenuta nell’art. 77, secondo par., regolamento delegato, sta poi nel fatto che essa è applicabile anche agli emittenti che hanno strumenti finanziari diversi da quelli di capitale negoziati in sedi di negoziazione. Questo profilo è di sicuro interesse per individuare il campo di applicazione delle novità introdotte dal d.l. n. 50/2017, perché la rilevanza della definizione di PMI della direttiva 2014/65/UE è stata esclusa proprio perché essa sarebbe poco idonea «ad un inquadramento […] delle s.r.l. attualmente esistenti, per le quali appare difficile ipotizzare una capitalizzazione di borsa da determinarsi sulla base delle quotazioni» [68].

Di conseguenza, a prescindere dalle aperture della dottrina alla possibilità che anche le quote di s.r.l. possano essere scambiate in sedi di negoziazione [69], si deve rilevare che, per rientrare nel campo di applicazione della definizione di PMI elaborata dalla direttiva MiFID II, come integrata dal regolamento delegato, non occorre affatto avere strumenti di debito o di capitale quotati su mercati regolamentati, né occorre avere strumenti di capitale negoziati in sedi di negoziazione. In questa prospettiva, è bene ricordare poi che già oggi diversi titoli di debito emessi da s.r.l. sono negoziati in sistemi multilaterali di negoziazione italiani e che queste società, sicuramente, possono rientrare nella definizione di PMI prevista dall’art. 77, secondo par., regolamento delegato.

Certamente la facoltà che le s.r.l. hanno di emettere titoli di debito incontra diversi limiti [70]. In questa sede però è sufficiente ricordare che il sistema multilaterale di negoziazione ExtraMOT, organizzato e gestito da Borsa Italiana, già da tempo accoglie i titoli di debito delle s.r.l. e che oggi il segmento ExtraMOT PRO3, riservato ad investitori professionali, è dedicato proprio alla negoziazione delle emissioni di debito che hanno un valore inferiore a 50 milioni di euro [71]. Se quindi oggi è improbabile riscontrare nella pratica l’esi­stenza di s.r.l. con strumenti di capitale negoziati, molto più facile è invece individuare s.r.l. che hanno emesso titoli di debito negoziati in sistemi multilaterali di negoziazione, che possono rientrare nella nozione di PMI ricavabile dall’art. 77, secondo par., regolamento delegato [72].

In conclusione, il fatto che diverse s.r.l. già oggi abbiano titoli di debito, in particolare nella forma di minibond, negoziati su sistemi multilaterali di negoziazione, rafforza l’idea che la definizione di PMI ricavabile dal regolamento delegato non possa essere ignorata per individuare le PMI costituite in forma di s.r.l. secondo il d.l. n. 50/2017 [73]. D’altra parte, se si reputa corretto richiamare il regolamento (UE) 2017/1129 per ricavare la nozione di s.r.l. PMI, adottando un’ottica essenzialmente finanziaria, si devono anche trarre le logiche conseguenze di questo inquadramento e quindi riconoscere che la definizione di PMI contenuta nel primo alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, non è in grado di ricomprendere tutte le diverse modalità di finanziamento che già oggi sono certamente a disposizione delle s.r.l. Queste modalità di finanziamento, infatti, sicuramente trascendono il semplice ricorso ai portali per la raccolta di capitali e possono anche assumere la forma di emissioni di titoli di debito negoziati su sistemi multilaterali di negoziazione [74].


17. Sintesi degli argomenti che portano a concludere per l’applicazione della definizione di PMI prevista dal regolamento (UE) 2017/1129 nella sua interezza.

È possibile a questo punto tirare le fila delle considerazioni svolte nelle pagine precedenti per valutare quale nozione di PMI si debba richiamare ai fini dell’applicazione delle novità introdotte dal d.l. n. 50/2017. In primo luogo si deve notare che né la nozione di PMI ricavabile dalla direttiva 2013/34/UE, né la definizione prevista dall’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f., possono essere utilizzate a questo fine. Contro la prima depongono soprattutto la difficoltà di individuare parametri quantitativi precisi e il fatto che questa nozione sembra avere un carattere sui generis e quindi rilevare soltanto ai fini contabili. Contro la definizione dell’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f., invece, depone il suo stesso tenore letterale, perché essa fa riferimento alle azioni e limita il suo campo di applicazione alle sole società quotate.

La definizione della raccomandazione 2003/361/CE, invece, è certamente un candidato credibile per individuare le PMI costituite in forma di società a responsabilità limitata. La nozione ricavabile da questo atto normativo, infatti, ha il carattere della generalità; inoltre, pur non essendo vincolante, la raccomandazione è ampiamente riconosciuta in provvedimenti vincolanti del nostro ordinamento e di quello dell’Unione europea.

L’idea di fare ricorso alla raccomandazione incontra però anche diversi ostacoli. A prescindere dalle difficoltà applicative che derivano dalla sua formulazione e dalla necessità di dover prendere in considerazione le imprese associate e collegate, si deve riconoscere che non è facile individuare il perimetro di questa definizione proprio perché essa è contenuta in un atto non vincolante e perché il suo recepimento nell’ordinamento italiano e in quello dell’U­nione europea non è sempre fedele alla sua formulazione originale.

In realtà la critica decisiva che può essere mossa a questa ipotesi ricostruttiva è che con l’art. 57, primo comma, d.l. n. 50/2017, il legislatore ha consentito l’offerta al pubblico delle quote di partecipazione in PMI costituite in forma di s.r.l., anche attraverso i portali per la raccolta di capitali. Considerato che la definizione di PMI indirettamente ricavabile da quella di “portale per la raccolta di capitali” e quella della raccomandazione sono soltanto in parte sovrapponibili, vi potrebbero essere alcune società che soddisfano i criteri della seconda, ma non quelli della prima. Di conseguenza, non è possibile ritenere che con il d.l. n. 50/2017 il legislatore abbia voluto richiamare esclusivamente la definizione della raccomandazione, perché non tutte le quote delle s.r.l. qualificabili come PMI per questo provvedimento possono essere oggetto di offerta al pubblico attraverso i portali per la raccolta di capitali. È quindi la stessa idea di far riferimento alla raccomandazione che mal si concilia con il testo dell’art. 26 d.l. n. 179/2012, come modificato dal d.l. n. 50/2017.

Anche alla luce di queste considerazioni non sorprende poi che proprio il rapporto esistente tra i “portali per la raccolta di capitali” e le novità introdotte dal d.l. n. 50/2017 portino molti a concludere che, al fine di individuare le PMI costituite in forma di s.r.l., rilevi la definizione dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, che è evocata nella definizione di “portale per la raccolta di capitali” contenuta nel t.u.f. Certamente la definizione del regolamento non ha un carattere di generalità paragonabile a quello della raccomandazione, ma sicuramente essa può essere considerata rilevante alla luce del testo dell’art. 26, quinto comma, d.l. n. 179/2012.

Per valutare la possibilità di utilizzare la definizione di PMI ricavabile dal regolamento (UE) 2017/1129, occorre però verificare se alcune incertezze interpretative possano essere superate. La prima di queste incertezze riguarda il momento dell’entrata in vigore del d.l. n. 50/2017, che è precedente rispetto a quello del regolamento. Si può sostenere, infatti, che il rinvio operato dall’art. 26, quinto comma, d.l. n. 179/2012, alla definizione di “portale per la raccolta di capitali” debba ritenersi cristallizzato al momento in cui il d.l. n. 50/2017 è entrato in vigore. Ragionando in questo modo, non sarebbe possibile fare riferimento al regolamento perché successivo al d.l. n. 50/2017, e si dovrebbe, invece, richiamare la definizione di “portale per la raccolta di capitali” al tempo vigente, in cui si stabiliva un rinvio più ampio alle «PMI come definite dalla disciplina dell’Unione europea».

Qualora si propenda per una lettura di questo tipo, in definitiva, è possibile concludere che il riferimento alla disciplina dell’Unione europea riguardi, alternativamente, (a) la definizione della raccomandazione 2003/361/CE, o, (b) contemporaneamente più nozioni di PMI, e quindi, sia quella della raccomandazione 2003/361/CE, sia quella al tempo contenuta nella direttiva 2003/71/CE e oggi riproposta nell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129.

In realtà si deve escludere che la nozione di s.r.l. PMI possa ritenersi cristallizzata al momento dell’adozione del d.l. n. 50/2017. Il dato normativo depone contro questa conclusione, perché in esso manca un riferimento diretto a una o più specifiche definizioni di PMI [75]. Un corollario del rifiuto dell’idea di fare ricorso alla «disciplina dell’Unione europea» a favore dell’applicabilità del regolamento (UE) 2017/1129 è però anche che il riferimento a questa normativa non può considerarsi immutabile nel tempo. Di conseguenza, chi richiama il regolamento implicitamente deve riconoscere che la nozione di PMI possa evolvere con il cambiamento del quadro normativo.

Una seconda difficoltà che si incontra nell’applicare la definizione di PMI dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, riguarda il fatto che essa in realtà incorpora due diverse definizioni, perché, da un lato, al suo primo alinea adotta parametri dimensionali simili a quelli della raccomandazione, ma, dall’altro, al suo secondo alinea rinvia alla definizione di PMI contenuta nella direttiva 2014/65/UE.

L’implicito rinvio dell’art. 26, quinto comma, d.l. n. 179/2012, viene spesso inteso come riferito soltanto al primo e non anche al secondo alinea della definizione del regolamento. Una nozione di s.r.l. PMI basata sul primo alinea ha il vantaggio di essere facilmente applicabile ed è in grado – con tutta probabilità – di attribuire la qualifica di PMI ad un numero maggiore di s.r.l. rispetto a quanto potrebbe accadere qualora si utilizzasse la nozione basata sulla raccomandazione. Argomentando in questo modo è però difficile spiegare perché, in assenza di chiari indici normativi, una volta richiamata la definizione del regolamento, questa non debba essere applicata nella sua interezza.

Per sostenere quest’impostazione si può affermare che il rinvio soltanto al primo alinea della definizione del regolamento sia giustificato dal fatto che, vista la definizione di “portale per la raccolta di capitali”, l’offerta al pubblico di quote di s.r.l. sarebbe possibile soltanto attraverso questi portali. In alternativa, si può anche affermare che la parte della definizione del regolamento che rinvia direttamente alla direttiva 2014/65/UE sia strutturalmente – o almeno sostanzialmente – inapplicabile al tipo s.r.l.

Né il primo né il secondo argomento possono però essere accolti: per quanto riguarda il primo, infatti, si deve ricordare che è lo stesso art. 100-ter, comma 1-bis, t.u.f., a chiarire che l’offerta tramite “portali per la raccolta di capitali” costituisce soltanto una delle modalità con cui le quote di s.r.l. possono essere offerte al pubblico. Questa disposizione, infatti, afferma che queste quote possono essere offerte anche attraverso i portali per la raccolta di capitali. Inoltre oggi l’art. 100-ter, primo comma, t.u.f., fa espresso riferimento all’art. 61, primo comma, lett. h), t.u.f., il quale rinvia alla definizione del regolamento nella sua interezza ed è quindi difficile sostenere che l’art. 100-ter t.u.f., abbia inteso adottare al comma 1-bis una nozione di PMI diversa rispetto a quella prevista al primo comma.

Certamente permangono alcune antinomie e, quindi, anche qualche incertezza. In particolare è evidente la difficoltà di riconciliare la definizione di “portale per la raccolta di capitali” con quella del regolamento richiamata dall’art. 61, primo comma, lett. h), t.u.f. La prima, infatti, al contrario della seconda, esclude la possibilità di rinviare alla definizione di PMI contenuta nella direttiva 2014/65/UE [76]. A questo riguardo si deve ricordare che, in tema di crowdfunding, anche il regolamento Consob n. 18592/2013 ancor oggi fa soltanto riferimento alla nozione contenuta nel primo alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129. Sembra però che questa antinomia discenda da un difetto di coordinamento imputabile al d.lgs. n. 165/2019, che, in effetti, non è intervenuto sul testo dell’art. 1 t.u.f.

Per quanto riguarda, invece, l’idea che la definizione di PMI della direttiva 2014/65/UE sia inapplicabile alle s.r.l. in quanto riferita ad un criterio di capitalizzazione di mercato, si deve notare che, nonostante esistano impostazioni più restrittive, in dottrina si sta facendo strada l’idea che anche le quote di s.r.l. possano essere scambiate in sedi di negoziazione e, in particolare, in sistemi multilaterali di negoziazione e mercati di crescita.

Comunque, anche a prescindere da questa lettura innovativa del dato normativo, la stessa definizione di PMI ricavabile dalla direttiva MiFID II deve essere letta congiuntamente a quella dell’art. 77 regolamento delegato, che integra questa direttiva. Questa disposizione, infatti, contempla una definizione di PMI per le società che non hanno strumenti di capitale negoziati in sedi di negoziazione, che è sicuramente già applicabile alle s.r.l. da un punto di vista strutturale e sostanziale. Per quanto riguarda il primo profilo, infatti, l’art. 77 regolamento delegato è potenzialmente applicabile a tutte le società che non hanno strumenti di capitale negoziati in sedi di negoziazione. Per quanto riguarda il secondo profilo, invece, è sufficiente ricordare che già oggi esistono nel nostro ordinamento numerose s.r.l. che hanno emesso titoli di debito negoziati in sistemi multilaterali di negoziazione.

Considerato il testo dell’art. 26, quinto comma, d.l. n. 179/2012, e dell’art. 100-ter, primo comma e comma 1-bis, t.u.f., nonché la difficoltà di limitare un rinvio generico al concetto di PMI, come quello contenuto nel d.l. n. 50/2017, soltanto a una parte della definizione del regolamento, si può quindi concludere che certamente le quote di tutte le s.r.l. ricomprese nella definizione dell’art. 1, comma 5-novies, t.u.f. ricadano nel campo di applicazione delle modifiche introdotte con il d.l. n. 50/2017. Questo non esclude però che la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l. sia, in effetti, più ampia e possa quindi riguardare anche tutte le società che soddisfino i criteri stabiliti dalla direttiva MiFID II come integrati dal regolamento delegato.


18. (segue). Esame delle possibili interpretazioni del rinvio alla definizione di PMI contenuta nel regolamento delegato (UE) 2017/565.

La possibilità di fare riferimento alla definizione del regolamento delegato richiede però qualche ultima verifica e precisazione. In primo luogo si deve fugare ogni dubbio sull’applicabilità nel nostro paese di questo provvedimento. Certamente il gioco di rinvii che portano ad una sua applicazione è piuttosto articolato: gli artt. 100-ter e 61 t.u.f., prevedono un rinvio al regolamento, il quale, a sua volta, rinvia alla direttiva 2014/65/UE, la quale poi viene integrata dal regolamento delegato.

Ci si può interrogare, ad esempio, su quanto possa essere considerato vincolante un rinvio contenuto in un regolamento europeo, come il regolamento (UE) 2017/1129, ad un atto, come la direttiva MiFID II, che, invece, deve essere recepito dal legislatore nazionale. Si potrebbe così dubitare anche dell’ef­ficacia diretta del regolamento delegato. Questi dubbi devono però essere immediatamente fugati perché, sia l’art. 91 regolamento delegato (UE) 2017/565, sia l’art. 2 regolamento delegato (UE) 2019/1011, che ha modificato questo provvedimento, dispongono, con identica formulazione, che ciascuno di essi è «obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri» [77].

Per quanto riguarda le precisazioni, invece, una volta riconosciuto che, per individuare le PMI costituite in forma di s.r.l. si può far riferimento anche alla definizione contenuta nel regolamento delegato, occorre individuare quali limiti incontri questa definizione. Sotto questo profilo, si è visto che, nella misura in cui si ammetta che una società possa avere – e nei fatti abbia – strumenti di capitale negoziati in sedi di negoziazione, in alternativa al soddisfacimento dei parametri previsti dall’art. 2, primo par., lett. f), primo alinea, regolamento, potrà essere riconosciuta la qualifica di PMI anche a quelle società che abbiano una c.d. “capitalizzazione di borsa” [78] media inferiore ai 200 milioni di euro [79].

Invece, fatto salvo quanto si dirà nelle prossime righe in relazione all’art. 77, secondo par., regolamento delegato, la qualifica di PMI ai sensi della direttiva MiFID II non potrà essere riconosciuta alle s.r.l. che non rispettino i parametri dimensionali previsti dall’art. 2, primo par., lett. f), primo alinea, regolamento, e, semplicemente, aspirino alla quotazione su un mercato di crescita. Queste società, infatti, non potranno essere qualificate come PMI fino a quando le loro partecipazioni non saranno ammesse alla negoziazione.

Diverse incertezze riguardano poi l’applicazione della definizione di PMI contenuta nell’art. 77, secondo par., regolamento delegato. Come rilevato in precedenza, infatti, questa nozione ha carattere essenzialmente residuale ed è in grado di ricomprendere tutti gli emittenti che (a) non hanno strumenti di capitale negoziati in sedi di negoziazione e che (b) nell’anno civile precedente hanno avuto emissioni di debito in tutte le sedi di negoziazione dell’Unione europea di valore nominale non superiore a 50 milioni di euro [80].

Inoltre, per le ragioni che sono state esposte in precedenza, non sembra necessario che, per poter essere considerata PMI ai sensi dell’art. 77, secondo par., regolamento delegato, una s.r.l. debba necessariamente avere titoli di debito negoziati in sedi di negoziazione o anche soltanto aver emesso titoli di debito [81]. Il fatto che, ai fini dell’applicazione della direttiva MiFID II in materia di mercati di crescita, la definizione dell’art. 77, secondo par., regolamento delegato, in definitiva riguardi sempre emittenti con strumenti finanziari negoziati in sedi di negoziazione, non sembra incidere su questa conclusione. Questa definizione, infatti, non contempla questo ulteriore requisito e il suo campo di applicazione ormai non è più circoscritto alle sole disposizioni della direttiva MiFID II, ma si estende anche al regolamento (UE) 2017/1129.

Occorre però sottolineare che la possibilità di fare ricorso alla nozione di PMI dell’art. 77, secondo par., regolamento delegato, incontra anche qualche limite. In particolare, per poter rientrare in questa definizione una s.r.l. deve poter essere qualificata come emittente e per ottenere questa qualifica deve aver emesso strumenti finanziari [82]. Questo requisito può essere soddisfatto qualora siano stati emessi titoli di debito e, probabilmente, anche quote di s.r.l. standardizzate [83].

Non si deve nascondere però che anche la definizione di PMI contenuta nel regolamento delegato è soltanto un piccolo ingranaggio in un meccanismo complesso, non scevro di antinomie, essenzialmente orientato a promuovere lo sviluppo dei mercati di crescita. Nonostante vi siano diverse ragioni che giustificano una lettura ampia della nozione di PMI costituita in forma di s.r.l., che ricomprenda tutti gli emittenti non quotati che, nell’anno civile precedente, hanno avuto emissioni di debito non superiori a 50 milioni di euro in tutte le sedi di negoziazione dell’Unione europea, alcuni dati possono anche essere letti nel senso che le agevolazioni riconosciute alle PMI riguardino soltanto gli emittenti che hanno strumenti di capitale o di debito negoziati in sedi di negoziazione.

A favore di questa interpretazione del dato normativo depongono la poca attenzione che hanno ricevuto le novità introdotte con il “SME Listing Package” e il fatto che il regolamento del sistema multilaterale di negoziazione ExtraMOT e quello del segmento ExtraMOT PRO3 di Borsa Italiana non riconoscono ancora apertamente la qualifica di PMI alle società che soddisfano i criteri previsti dall’attuale testo dell’art. 77 regolamento delegato.

In realtà, per testare l’effettivo campo di applicazione di questa disposizione, la vera cartina di tornasole non sarà tanto l’applicazione delle regole della direttiva MiFID II, le quali, in quanto relative ai mercati di crescita, presuppongono l’ammissione alla negoziazione degli emittenti, quanto piuttosto i riferimenti alla definizione di PMI contenuti nel regolamento (UE) 2017/1129. In particolare, il vero banco di prova della definizione del regolamento delegato consisterà nel verificare in quale misura sarà consentito agli emittenti che non soddisfano i criteri del primo alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento, ma che non hanno, né strumenti di capitale ammessi alla negoziazione, né emissioni di debito superiori a 50 milioni di euro, di fare ricorso ai Prospetti UE della crescita [84].


19. (segue). Analisi di alcune implicazioni della nozione di PMI sopra delineata.

Non si devono nascondere le implicazioni delle conclusioni raggiunte nelle pagine precedenti. Sia che si aderisca ad una lettura lineare della nozione di PMI ricavabile dall’art. 77, secondo par., regolamento delegato, sia che si prediliga una lettura più ortopedica e meno dirompente di questa disposizione, sotto il profilo della necessità che le quote o i titoli di debito debbano – effettivamente – almeno essere ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione, non si può mancare di rilevare che già oggi diverse s.r.l. sono potenzialmente in grado di soddisfare la definizione di PMI della direttiva MiFID II come integrata dal regolamento delegato, perché hanno titoli di debito negoziati in sedi di negoziazione.

Qualora si legga il testo dell’art. 77, secondo par., regolamento delegato, in modo piano e quindi si riconosca la qualifica di PMI anche a tutti gli emittenti che non hanno strumenti di capitale negoziati in sedi di negoziazione e che hanno emissioni di debito nell’anno civile precedente in tutte le sedi di negoziazione dell’Unione del valore nominale non superiore a 50 milioni di euro, è facile riconoscere che le s.r.l. “non PMI” potrebbero dirsi ormai quasi del tutto estinte. Non ci si può però stupire troppo di questo risultato; d’altra parte questa è la conclusione di una vicenda iniziata con la sostituzione in tre commi delle parole “start up” con l’acronimo PMI in un decreto che conteneva misure dalla natura più disparata.

Né, una volta creato un collegamento tra la nozione di PMI e le definizioni contenute in provvedimenti dell’Unione europea destinati ad altre finalità, ci si può lamentare troppo se l’ordinamento europeo segue logiche diverse e poco coerenti con il contesto in cui operano le nostre s.r.l. È quindi anche con un approccio basato sull’interpretazione del dato normativo, ricostruendo la nozione di PMI costituita in forma di s.r.l., che si arriva a concludere che il campo di applicazione del d.l. n. 50/2017 è ormai sostanzialmente esteso alla totalità delle s.r.l. [85].

Certamente, una lettura molto meno dirompente è quella che riconosce la qualifica di s.r.l. PMI oltre che alle società che soddisfano quanto richiesto dal primo alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, soltanto a quelle s.r.l. che hanno già strumenti finanziari negoziati in sedi di negoziazione. Anche in questi termini più limitati la possibilità di applicare le novità introdotte dal d.l. n. 50/2017 costituisce però un importante riconoscimento del ruolo che il mercato dei capitali può giocare per le s.r.l.

Se si propende per questa chiave di lettura, meno fedele alla lettera della legge e più conservatrice, le facoltà che il d.l. n. 50/2017 concede alle s.r.l. sarebbero passibili di un’applicazione a singhiozzo [86]. Così, una volta superate le soglie dimensionali sancite dal primo alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, si potrebbe mantenere o riottenere la qualifica di PMI, emettendo titoli di debito negoziati in sistemi multilaterali di negoziazione per un valore nominale non superiore a 50 milioni di euro. Successivamente, qualora anche questa soglia fosse superata, si potrebbe pensare, nuovamente, di mantenere o riottenere la qualifica di PMI aspirando alla quotazione di strumenti di capitale – nella misura in cui ciò sia effettivamente possibile – su un mercato di crescita, mirando ad una capitalizzazione inferiore a 200 milioni di euro. Intesa in questi termini la definizione di PMI ricavabile dal d.l. n. 50/2017 darebbe qualche piccolo vantaggio alle società che decidano di ricorrere ai mercati di crescita, ma è evidente che, qualora una s.r.l. si avvicini al superamento delle soglie dimensionali, nella maggior parte dei casi sarà meno gravoso trasformare la società in s.p.a., piuttosto che chiedere l’am­missione alla negoziazione di titoli di debito o quote in sistemi multilaterali di negoziazione.

Comunque si intenda la possibilità di fare rinvio alla definizione di PMI prevista nel regolamento delegato (UE) 2017/565, non è semplice limitare l’applicazione delle novità introdotte dal d.l. n. 50/2017 soltanto alle società che possono avvalersi dei portali per la raccolta di capitali o che già oggi fanno ricorso al mercato ma con altre modalità. In questo senso, oltre ad essere un «pungolo gentile» alla trasformazione [87], il d.l. n. 50/2017 si inserisce in un ambito di riforme di più ampio respiro che punta a favorire l’accesso al mercato delle società di piccole e medie dimensioni, consentendo margini di libertà prima sconosciuti nel nostro ordinamento.

Quando si iniziò a parlare di società a responsabilità limitata in una prospettiva di riforma del nostro diritto commerciale, si affermò con un’efficace metafora che l’introduzione di questo tipo sociale avrebbe consentito di evitare di avere anonime che danno «l’impressione ridicola di un bimbo vestito da corazziere» [88]. Oggi il nostro legislatore dà alle s.r.l. la possibilità di crescere nei propri abiti, permettendo a queste società di fare cose che fino a poco tempo fa avrebbero imposto di dotarsi della pesante armatura delle s.p.a. Questi nuovi margini di libertà permettono alle s.r.l. di accedere ai mercati senza modificare la propria natura, anche adottando previsioni statutarie non consentite nelle s.p.a.

È quindi forse questa l’implicazione più importante di questa analisi sulla nozione di PMI costituita in forma di s.r.l.: nella misura in cui si riconosce che le s.r.l. possono realizzare offerte al pubblico e che i titoli di debito di queste società – e forse anche le loro quote – possono essere scambiate in sedi di negoziazione, si consente alle s.r.l. di avvalersi di alcuni strumenti che facilitano l’ingresso di investitori esterni e l’accesso al mercato di capitali, senza però che ciò comporti la necessità di una trasformazione in s.p.a.

In definitiva, con le facoltà che oggi il d.l. n. 50/2017 riconosce alle s.r.l. PMI, l’autonomia statutaria delle società che intendono fare ricorso ai mercati trova terreno fertile e può spingersi a sperimentare soluzioni in precedenza proibite alle stesse s.p.a. [89]. Le PMI che intendono crescere anche rivolgendosi al mercato dei capitali non dovranno più vedersi sempre imposta l’armatura delle s.p.a., ma potranno optare anche per il tipo s.r.l., che offre nuovi margini di libertà, seppur con qualche vincolo. In questo nuovo contesto, il confronto, o se si preferisce la concorrenza, tra diversi tipi sociali su un nuovo campo di battaglia certamente permetterà – non senza rischi – di sperimentare nuove soluzioni [90], ma darà anche utili indicazioni per comprendere se vi siano parti dell’armatura delle s.p.a. che ormai possano considerarsi soltanto dei ferri vecchi.


NOTE

[1] È sufficiente ricordare che già le società a garanzia limitata, che trovarono definitivo accoglimento nelle nuove provincie con il r.d. n. 2325/1928, oltre a ispirare l’introduzione nel codice del 1942 delle società a responsabilità limitata, generarono anche una prima forma embrionale di concorrenza regolatoria nel nostro ordinamento. Sul punto si vedano in particolare M. Stella Richter, Antecedenti e vicende della società a responsabilità limitata, in S.r.l. Commentario dedicato a Giuseppe B. Portale, Milano, Giuffrè, 2011, 1 ss., 7 s.; P. Ungari, Profilo storico del diritto delle anonime in Italia, Roma, Bulzoni, 1974, 87. Di questo fenomeno dava conto anche la Relazione al Re sul codice civile del 1942, n. 1004.

[2] Sul punto si veda P. Benazzo, Categorie di quote, diritti di voto e governance della “nuovissima” s.r.l.: quale ruolo e quale spazio per la disciplina azionaria nella s.r.l.-PMI aperta?, in Riv. soc., 2018, 1441, ss., 1441, il quale, richiamando il pensiero di Kuhn, parla di un «cambiamento di paradigma».

[3] Il d.l. è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 24 aprile 2017 e già il 27 aprile 2017, in sede di primo commento D. Boggiali, A. Paolini, A. Ruotolo, Le novità in tema di PMI in forma di s.r.l. nella Manovra-bis (art. 57, d.l. 24 aprile 2017, n. 50), in CNN Notizie, 27 aprile 2017, davano atto delle possibili implicazioni di questo provvedimento.

[4] In effetti anche la Relazione al d.lgs. 6/2003, par. 11, affermava che il tipo s.r.l. «si volge a soddisfare esigenze particolarmente presenti nell’ambito del settore delle piccole e medie imprese».

[5] Per alcuni riferimenti quantitativi, si vedano ad esempio i dati riportati in G. Zanarone, La società a responsabilità limitata. un modello “senza qualità”? (un ideale dialogo con Oreste Cagnasso), in La società a responsabilità limitata: un modello transtipico alla prova del Codice della Crisi. Studi in onore di Oreste Cagnasso, a cura di M. Irrera, Torino, Giappichelli, 2020, 5 ss., 10, il quale afferma che le PMI sarebbero il 99,89% delle s.r.l.; secondo, invece, quanto indicato da M. Speranzin, S.r.l. piccole-medie imprese tra autonomia statutaria e ibridazione dei tipi (con particolare riferimento alle partecipazioni prive del diritto di voto), in Riv. soc., 2018, 335 ss., 339, nt. 18, le PMI sarebbero circa il 98% di tutte le s.r.l.; C. Pasquariello, I diritti particolari riguardanti l’amministrazione della società e le categorie di quote, in La governance delle società a responsabilità limitata, a cura di E. Pederzini, R. Guidotti, Milano, Wolters Kluwer, 2018, 123 ss., 168, nt. 94, infine, riporta altri dati per cui le s.r.l. PMI sarebbero circa il 95% delle s.r.l.

[6] Sulla possibilità di applicare le novità previste dal d.l. n. 50/2017 anche alle s.r.l. che non sono PMI, si veda C. Pasquariello, (nt. 5), 166 ss.

[7] Per un esame più approfondito della questione si vedano invece: M.C. Cengia, M.P. Murdolo, La finanza alternativa per le PMI s.r.l., Milano, Giuffrè, 2020, 17 ss.; Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, Orientamenti del Comitato Triveneto dei notai in materia di atti societari, Milano, Wolters Kluwer, 2019, 439 ss.; M. Maltoni, A. Ruotolo, D. Boggiali, La nuova disciplina delle (PMI) società a responsabilità limitata, Studio n. 101-2018/I del Consiglio Nazionale del Notariato, approvato dalla Commissione Studi d’Impresa il 19 aprile 2018, par. 1.1; M. Notari, Analisi de iure condendo delle varianti organizzative delle s.r.l. (start up innovative, PMI innovative e PMI): problemi aperti e prospettive evolutive, in ODCC, 2019, 241 ss., 247 ss.; Id., Le s.r.l. e PMI nel sistema dei modelli societari di diritto italiano, in Società a responsabilità limitata, piccola e media impresa, mercati finanziari un mondo nuovo?, a cura di P. Montalenti, M. Notari, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020, 25 ss., 28 ss.; C. Rinaldo, La multiformità della s.r.l., in Riv. soc., 2020, 1513 ss., 1520 ss.

[8] Questa definizione è richiamata da N. Abriani, I controlli, in La società a responsabilità limitata, a cura di C. Ibba, G. Marasà, II, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020, 1985 ss., 2035; Id., Il sistema dei controlli nella s.r.l. tra modifiche del codice civile e codice della crisi: un rebus aperto?, in La società a responsabilità limitata, (nt. 5), 866 ss., 870; Id., La struttura finanziaria della società a responsabilità limitata, in RDS, 2019, 501 ss., 508; N. Baccetti, Informazione e postergazione tra s.p.a. e nuove s.r.l. che esercitano piccole e medie imprese, in Banca borsa tit. cred., 2019, I, 689 ss., 700, nt. 25; D. Boggiali, A. Paolini, A. Ruotolo, (nt. 3); O. Cagnasso, La s.r.l. «aperta», in Start up e P.M.I. innovative, opera diretta da O. Cagnasso, A. Mambriani, Bologna, Zanichelli, 2020, 227 ss., 232 s.; Id., La s.r.l. piccola e media impresa (P.M.I.), in La società a responsabilità limitata, (nt. 8), I, 87 ss., 87 s.; Id., Profili organizzativi e disciplina applicabile alle s.r.l. PMI, in Società a responsabilità limitata, (nt. 7), 59 ss., 60; L. Calvosa, Le altre vicende delle partecipazioni, in La società a responsabilità limitata, (nt. 8), I, 703 ss., 708, nt. 10; M.C. Cengia, M.P. Murdolo, (nt. 7), 19 ss.; M. Cian, S.r.l. PMI, s.r.l., s.p.a.: schemi argomentativi per una ricostruzione del sistema, in Riv. soc., 2018, 818 ss., 846, nt. 50; [N. Ciocca], A. Guaccero, La raccolta di capitale di rischio delle P.M.I. attraverso i canali tradizionali, in Start up e P.M.I. innovative, (nt. 8), 843 ss., 845; Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, (nt. 7), 439 ss.; E. Desana, PMI innovative, PMI e società a responsabilità limitata: una rivoluzione copernicana?, in La società a responsabilità limitata, (nt. 5), 52 ss., 70; M. Di Sarli, I bilanci abbreviati: una disciplina “a misura” di s.r.l., ivi, 921 ss., 954 s., nt. 100; R. Guidotti, I diritti di informazione e di consultazione del socio, in La governance delle società a responsabilità limitata, (nt. 5), 373 ss., 382; M. Maltoni, Le operazioni sulle proprie partecipazioni nelle s.r.l.-P.M.I., in RDS, 2019, 605 ss., 608; M. Miola, La s.r.l. di gruppo, in La società a responsabilità limitata, (nt. 8), III, 2117, ss., 2123; A. Monteverde, Note minime sul voto dei soci nella s.r.l., in La società a responsabilità limitata, (nt. 5), 1001 ss., 1002 s.; F. Murino, Il conflitto tra il creditore pignorante e il terzo acquirente di quota di s.r.l., nota a Cass. civ., sez. III, 18 agosto 2017, n. 20170, in Giur. comm., 2018, II, 212 ss., 216; C. Pasquariello, (nt. 5), 152 s.; E. Pederzini, I controlli. Sindaco e revisore tra imperatività e facoltatività, in La governance delle società a responsabilità limitata, (nt. 5), 339 ss., 368; G. Trimarchi, La riduzione per perdite del capitale sociale nelle start up innovative, in Start up e P.M.I. innovative, (nt. 8), 719 ss., 720, nt. 2; G. Salatino, Le operazioni di fusione a seguito di acquisizione con indebitamento (merger leveraged buy-out), in Giur. comm., 2018, II, 363 ss., 381; S. Rossi, S.r.l.-P.M.I.: disciplina del capitale e tipologia delle società, in RDS, 2019, 525 ss., 526, nt. 1; C. Saracino, Categorie di quote e particolari diritti. La comproprietà della quota, in Start up e P.M.I. innovative, (nt. 8), 351 ss., 352; A. Scano, Il “tipo”, in La società a responsabilità limitata, (nt. 8), I, 31 ss., 76; G. Zanarone, (nt. 5), 10; e si vedano i riferimenti alla raccomandazione contenuti in: L. Calvosa, (nt. 8), 708, nt. 10; P. Montalenti, Start up, P.M.I. innovative: tipi, modelli e mercati finanziari, in Start up e P.M.I. innovative, (nt. 8), 39 ss., 44 s.; D.U. Santosuosso, Introduzione alla riforma delle società a responsabilità limitata PMI e qualificazione tipologica della società a responsabilità limitata, in RDS, 2019, 489 ss., 495; nonché, infine, il rinvio generico ai tre parametri indicati nella definizione contenuto in F. Vella, Equity crowdfunding, sistemi di negoziazione e mercati regolamentati, in Società a responsabilità limitata, (nt. 7), 131 ss., 134 s.

[9] L’idea di fare riferimento a questa definzione è evocata da P. Agstner, A. Capizzi, P. Giudici, Business Angels, Venture Capital e la nuova s.r.l., in questa Rivista, 2020, 353 ss., 376, nt. 94; M. Campobasso, I titoli di debito, in La società a responsabilità limitata, (nt. 8), II, 1275 ss., 1318, nt. 118; Id., Il futuro delle società di capitali, in Banca borsa tit. cred., 2019, I, 138 ss., 140 s., nt. 10; Id., La società a responsabilità limitata. Un modello “senza qualità”?, in La società a responsabilità limitata, (nt. 5), 19 ss., 20; I. Capelli, Il controllo individuale del socio di s.r.l. il modello legale, Milano, Giuffrè, 2017, 116 s., nt. 80; A. Cetra, Le s.r.l.-P.M.I.: disciplina legale e autonomia statutaria, in G.A. Rescio, M. Speranzin, Patrimonio sociale e governo dell’impresa. Dialogo tra giurisprudenza, dottrina e prassi in ricordo di G.E. Colombo, Torino, Giappichelli, 2020, 71 s.; S. Corso, Le s.r.l. “aperte” al mercato tra governance societaria e diritti dei soci investitori, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2021, 23; Ead., S.r.l.-PMI aperte al mercato: scelte statutarie e diritti dei soci investitori, in Banca borsa tit. cred., 2019, I, 877 ss., 879, nt. 8; E. Cusa, Le quote di s.r.l. possono essere valori mobiliari, in Riv. soc., 2019, 675 ss., 677; M. Di Rienzo, Il procedimento di costituzione, in La società a responsabilità limitata, (nt. 8), I, 291 ss., 300; V. Donativi, I diritti particolari dei soci, ivi, 789 ss., 796 s.; M. Irrera, L’art. 2467 c.c.: limiti di applicazione di una norma transtipica ad una “s.r.l. transtipica”, in La società a responsabilità limitata, (nt. 5), 394 ss., 405; M. Maltoni, A. Ruotolo, D. Boggiali, (nt. 7), par. 1.1; K. Martucci, [G. Olivieri], L’ordinamento contabile, in La società a responsabilità limitata, (nt. 8), III, 2063 ss., 2075 s., nt. 32; U. Minneci, Equity crowdfunding: gli strumenti a tutela dell’investitore, in Riv. dir. civ., 2019, 509 ss., 509, nt. 2; Id., La raccolta “alternativa” di capitale di debito da parte delle PMI, in La società a responsabilità limitata, (nt. 5), 247 ss., 247, nt. 1; M. Onza, L’“accesso” alla società per azioni ed alla società a responsabilità limitata, in Giur. comm., 2020, I, 717 ss., 728, nt. 70; G. Presti, Vent’anni vissuti pericolosamente. TUF e codice civile: una convivenza difficile, in AGE, 2019, 473 ss., 482; G.A. Policaro, Dalle s.r.l. emittenti sui portali online di equity crowdfunding alle s.r.l. aperte. «senza deviazione dalla norma, il progresso non è possibile», in La società a responsabilità limitata, (nt. 5), 100 ss., 110; C. Rinaldo, (nt. 7), 1520 ss.; F. Rolfi, Le decisioni dei soci, in Start up e P.M.I. innovative, (nt. 8), 619 ss., 621, nt. 4; M. Sciuto, Le quote di partecipazione, in La società a responsabilità limitata, (nt. 8), I, 415 ss., 416, nt. 1; M. Speranzin, (nt. 5), 339, nt. 17; L.M. Quattrocchio, La disciplina contabile e di bilancio delle start up e delle p.m.i. innovative, in Start up e P.M.I. innovative, (nt. 8), 599 ss., 600; Id., Le nuove categorie di società (di capitali) e i riflessi sull’informativa di bilancio. disciplina sanzionatoria in sede civile e penale, in La società a responsabilità limitata, (nt. 5), 960 ss., 962 ss., con riferimento, però, alle PMI innovative; R. Viggiani, Lo statuto, in G. Meo, P. Pettiti, G.A. Rescio, R. Viggiani, Costituzione, modificazioni dell’atto costitutivo e operazioni sul capitale sociale, Milano, Giuffrè, 2018, 103 ss., 125 s.; nonché, almeno così sembrerebbe, E. Fregonara, L’espro­priazione della partecipazione nella s.r.l., Milano, Giuffrè, 2018, 147, ma si veda anche Ead., Strumenti finanziari partecipativi, imprese innovative, e PMI s.r.l.: questioni aperte, in questa Rivista, 2021, 219 ss., 223, nt. 10, per una posizione in parte diversa; sul punto si veda anche l’ipotesi ricostruttiva di M. Notari, Analisi, (nt. 7), 247 ss.; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 28 ss., che sembra orientata in questa direzione.

[10] Tra gli autori che considerano l’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, nella sua interezza, si vedano P. Agstner, A. Capizzi, P. Giudici, (nt. 9), 376, nt. 94; O. Cagnasso, La s.r.l. piccola e media impresa (P.M.I.), (nt. 8), 87 s.; L. Calvosa, (nt. 8), 708, nt. 10; M. Campobasso, La società, (nt. 9), 20; S. Corso, Le s.r.l. “aperte” al mercato tra governance societaria, (nt. 9), 23; Ead., S.r.l.-PMI aperte al mercato: scelte statutarie, (nt. 9), 879, nt. 8; M. Irrera, (nt. 9), 405; M. Maltoni, A. Ruotolo, D. Boggiali, (nt. 7), par. 1.1; M. Notari, Analisi, (nt. 7), 247 ss.; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 28 ss.; L.M. Quattrocchio, La disciplina, (nt. 9), 600; F. Rolfi, (nt. 9), 621, nt. 4; M. Sciuto, (nt. 9), 416, nt. 1. Normalmente il secondo alinea dell’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129, viene evocato per escludere la sua applicabilità o, in via generica, nel richiamare la definizione di PMI contenuta nel regolamento.

[11] In questo senso si vedano, ad esempio, i seguenti contributi: N. Abriani, I controlli, (nt. 8), 2035; Id., Il sistema, (nt. 8), 870; D. Boggiali, A. Paolini, A. Ruotolo, (nt. 3); O. Cagnasso, La s.r.l. «aperta», (nt. 8), 232 s.; Id., Profili, (nt. 8), 60; M. Cian, (nt. 8), 846, nt. 50; E. Desana, (nt. 8), 70; M. Di Sarli, (nt. 8), 954 s., nt. 100; R. Guidotti, (nt. 8), 382; M. Miola, (nt. 8), 2123; A. Monteverde, (nt. 8), 1002 s.; F. Murino, (nt. 8), 216; E. Pederzini, (nt. 8), 368; D.U. Santosuosso, (nt. 8), 495; G. Trimarchi, (nt. 8), 720, nt. 2; S. Rossi, (nt. 8), 526, nt. 1; C. Saracino, (nt. 8), 352; G. Zanarone, (nt. 5), 10.

[12] Così, ad esempio, I. Capelli, (nt. 9), 116 s., nt. 80; E. Cusa, (nt. 9), 677; M. Maltoni, A. Ruotolo, D. Boggiali, (nt. 7), par. 1.1; G. Presti, (nt. 9), 482; C. Rinaldo, (nt. 7), 1520 ss.; F. Rolfi, (nt. 9), 621, nt. 4; M. Speranzin, (nt. 5), 339, nt. 17. In argomento si veda anche l’ipotesi ricostruttiva elaborata da M. Notari, Analisi, (nt. 7), 247 ss.; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 28 ss.

[13] Per questo approccio si vedano M. Di Rienzo, (nt. 9), 300; K. Martucci, [G. Olivieri], (nt. 9), 2075 s., nt. 32; M. Onza, (nt. 9), 728, nt. 70; cfr. F. Vella, (nt. 8), 134 s. In modo simile si veda anche S. Corso, S.r.l.-PMI aperte al mercato: scelte statutarie, (nt. 9), 879, nt. 8, ma si confronti anche Ead., Le s.r.l. “aperte” al mercato tra governance societaria, (nt. 9), 23, in cui vi è una più chiara adesione alla definizione elaborata nel regolamento.

[14] Vi è così chi afferma che la definizione del regolamento recepisce (P. Agstner, A. Capizzi, P. Giudici, (nt. 9), 376, nt. 94), riprende (M. Campobasso, La società, (nt. 9), 20), precisa (A. Cetra, (nt. 9), 71 s.), coincide con (E. Fregonara, Strumenti finanziari, (nt. 9), 223, nt. 10), o mette a punto (R. Viggiani, (nt. 9), 125 s.) quella della raccomandazione. Altri, invece, ritengono che la definizione della raccomandazione sia stata recepita integralmente nel regolamento (M. Sciuto, (nt. 9), 416, nt. 1). Vi è poi chi ritiene che la definizione del regolamento fosse già stata accolta nella raccomandazione (M. Irrera, (nt. 9), 405).

[15] I. Capelli, (nt. 9), 116 s., nt. 80; E. Cusa, (nt. 9), 677; M. Maltoni, A. Ruotolo, D. Boggiali, (nt. 7), par. 1.1; C. Rinaldo, (nt. 7), 1520 ss.; M. Speranzin, (nt. 5), 339, nt. 17; in questo senso sembrano orientati anche M. Notari, Analisi, (nt. 7), 247 ss.; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 28 ss.; F. Rolfi, (nt. 9), 621, nt. 4.

[16] N. Baccetti, (nt. 8), 700, nt. 25; O. Cagnasso, La s.r.l. piccola e media impresa (P.M.I.), (nt. 8), 87 s.; M.C. Cengia, M.P. Murdolo, (nt. 7), 18 ss.; Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, (nt. 7), 439 ss.

[17] La possibilità astratta di fare riferimento anche ad altri criteri è evocata in Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, (nt. 7), 439 ss.; M. Notari, Analisi, (nt. 7), 247 ss.; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 28 ss.; C. Rinaldo, (nt. 7), 1520 ss.; M. Speranzin, (nt. 5), 339, nt. 17; R. Viggiani, (nt. 9), 125 s.

[18] L’idea di fare ricorso a questa definizione è esaminata da Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, (nt. 7), 441; G. Presti, (nt. 9), 482, nt. 14; C. Rinaldo, (nt. 7), 1521; M. Speranzin, (nt. 5), 339, nt. 17; R. Viggiani, (nt. 9), 125 s.

[19] M. Notari, Analisi, (nt. 7), 250; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 30; C. Rinaldo, (nt. 7), 1521. Sul punto si veda anche L.M. Quattrocchio, Le nuove, (nt. 9), 962 s., il quale confronta la definizione di PMI contenuta nel regolamento con la nozione ricavabile dalla direttiva 2013/34/UE.

[20] In questo senso si vedano in particolare M. Notari, Analisi, (nt. 7), 250; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 30; C. Rinaldo, (nt. 7), 1521.

[21] Il regolamento (UE) 2017/1129, infatti, fa riferimento al «numero medio di dipendenti nel corso dell’esercizio», mentre la direttiva 2013/34/UE richiama il «numero medio dei dipendenti occupati durante l’esercizio».

[22] Sul punto si vedano Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, (nt. 7), 440 ss.; M. Notari, Analisi, (nt. 7), 249 s.; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 29 s.; C. Rinaldo, (nt. 7), 1521.

[23] M. Notari, Analisi, (nt. 7), 250; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 30.

[24] Si deve segnalare, peraltro, che la direttiva 2013/34/UE, in certi casi, come nella defini­zione di piccola impresa, consente agli Stati membri anche di superare – almeno entro certi limiti – i parametri in essa previsti.

[25] Cfr. M. Notari, Analisi, (nt. 7), 250; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 30.

[26] Sul punto si veda ancora M. Notari, Analisi, (nt. 7), 250; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 30.

[27] L’art. 2-ter regolamento 11971/1999 contiene poi disposizioni attuative di questa definizione.

[28] Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, (nt. 7), 441; G. Presti, (nt. 9), 482, nt. 14; C. Rinaldo, (nt. 7), 1521; M. Speranzin, (nt. 5), 339, nt. 17; R. Viggiani, (nt. 9), 125 s.

[29] Mettono l’accento sulla quotazione: Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, (nt. 7), 441; C. Rinaldo, (nt. 7), 1521; M. Speranzin, (nt. 5), 339, nt. 17; R. Viggiani, (nt. 9), 125 s., invece, fa riferimento, in modo più preciso, «alla quotazione delle azioni».

[30] Sul punto si veda infra nt. 60 e il testo corrispondente.

[31] In relazione a questa prima versione della definizione di PMI, è interessante rilevare che il criterio della capitalizzazione non era l’unico previsto.

[32] Il riferimento è in particolare al disposto dell’art. 100-ter, primo comma, t.u.f.

[33] In questa sede è sufficiente ricordare che, con il d.lgs. n. 165/2019, si è inteso riservare, almeno nel t.u.f., l’acronimo PMI alle sole società di cui all’art. 1, primo comma, lett. w-quater.1), t.u.f.; sul punto si veda anche S. Corso, Le s.r.l. “aperte” al mercato tra governance societaria, (nt. 9), 23.

[34] In merito al recepimento della raccomandazione nel nostro ordinamento, sono frequenti i rinvii al d.m. 18 aprile 2005. Sul punto si vedano L. Calvosa, (nt. 8), 708, nt. 10; R. Guidotti, (nt. 8), 382; F. Murino, (nt. 8), 216; E. Pederzini, (nt. 8), 368; M. Speranzin, (nt. 5), 339, nt. 17; R. Viggiani, (nt. 9), 125 s.

[35] Per le società che non hanno ancora chiuso il primo bilancio, in Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, (nt. 7), 440 s., non si ritengono applicabili le regole previste nel d.m. 18 aprile 2005, ma, rinviando alla raccomandazione, si afferma che la qualifica di PMI possa essere acquisita sulla base di «una stima in buona fede ad esercizio in corso».

[36] Il punto è posto in evidenza soprattutto da M. Notari, Analisi, (nt. 7), 249; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 29 s.; C. Rinaldo, (nt. 7), 1520 s.

[37] Questo profilo è rilevato da Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, (nt. 7), 440 s.; M. Notari, Analisi, (nt. 7), 249; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 29.

[38] M. Notari, Analisi, (nt. 7), 249; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 29, ad esempio, ritiene che questa nozione comunitaria sia «modellata su base consolidata e [imponga] di calcolare i parametri quantitativi (numero dei dipendenti, attivo patrimoniale e fatturato) a livello del gruppo di società e imprese, non già della singola società»; Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, (nt. 7), 440 s., invece, dà atto della diversità delle nozioni di “impresa autonoma”, “impresa associata” e “impresa collegata”.

[39] Per ulteriori dettagli su come calcolare il numero medio dei dipendenti in sede di redazione del bilancio, si vedano A. Lolli, La nota integrativa nel bilancio d’esercizio delle S.p.A., Milano, Giuffrè, 2003, 314 ss.; C. Sottoriva, La nota integrativa, in Il bilancio di esercizio5, a cura di A.M. Palma, Milano, Giuffrè, 2016, 426 s.; G. Racugno, sub art. 2427, in Il bilancio d’esercizio, a cura di O. Cagnasso, L. De Angelis, G. Racugno, in Il Codice Civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2018, 465.

[40] Sul punto, si veda, ad esempio, C.E. Baldi, La disciplina degli aiuti di Stato. Manuale critico ad uso delle amministrazioni e delle imprese2, Sant’Arcangelo di Romagna, Maggioli, 2017, 635 ss.

[41] Queste conclusioni sono confermate anche dalla lettura del d.m. 18 aprile 2005, in cui, da un lato, si fa riferimento all’«impresa richiedente le agevolazioni» e, dall’altro, si chiarisce che i rapporti tra l’impresa di cui si deve rilevare lo status di PMI e le imprese ad essa associate e collegate possono, tra l’altro, consistere in rapporti di partecipazione nel capitale o ai diritti di voto.

[42] Sul punto si veda supra nt. 10 e il testo corrispondente.

[43] Vedi supra nt. 13 e nt. 14.

[44] Sul punto si veda in particolare Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, (nt. 7), 441 s.

[45] Vedi supra par. 7.

[46] Sul punto si veda ancora supra par. 7.

[47] Sul punto si veda Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, (nt. 7), 441, il quale sembra argomentare in questo senso, almeno nella parte in cui si afferma che la definizione del regolamento è «più ampia e meno sofisticata» di quella della raccomandazione.

[48] Il d.m. 18 aprile 2005, peraltro, non contempla regole di questo tipo e fa riferimento al bilancio relativo all’«ultimo esercizio contabile chiuso ed approvato».

[49] L’esclusione dei dipendenti assunti con contratto di apprendistato è confermata anche dal d.m. 18 aprile 2005.

[50] Quest’argomento è sviluppato soprattutto da M. Maltoni, A. Ruotolo, D. Boggiali, (nt. 7), par. 1.1; M. Notari, Analisi, (nt. 7), 250 s.; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 30 s.; sui rapporti tra la nozione di PMI e l’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., si vedano anche I. Capelli, (nt. 9), 116 s., nt. 80; E. Cusa, (nt. 9), 677.

[51] Questa possibile ipotesi interpretativa è delineata da M. Notari, Analisi, (nt. 7), 250 s.; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 30 s.

[52] Per questa critica, si veda, in particolare, Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, (nt. 7), 441 s.

[53] Sul punto si veda anche infra par. 17.

[54] In questo senso si vedano S. Corso, Le s.r.l. “aperte” al mercato tra governance societaria, (nt. 9), 24; M. Notari, Analisi, (nt. 7), 250; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 30 s.

[55] È interessante rilevare che l’art. 61 t.u.f., nella sua formulazione attuale, deriva quasi interamente dal d.lgs. n. 129/2017, con cui si è provveduto a recepire nel nostro ordinamento la direttiva 2014/65/UE. Ciononostante, questo articolo richiama la definizione di PMI contenuta nel regolamento (UE) 2017/1129, successiva a quella della direttiva 2014/65/UE e con essa oggi non più esattamente allineata.

[56] Per questa conclusione si vedano O. Cagnasso, La s.r.l. piccola e media impresa (P.M.I.), (nt. 8), 87 s.; M. Maltoni, A. Ruotolo, D. Boggiali, (nt. 7), par. 1.1; L.M. Quattrocchio, La disciplina, (nt. 9), 600; M. Sciuto, (nt. 9), 416, nt. 1.

[57] Si vedano, ad esempio, M. Irrera, (nt. 9), 405; M. Notari, Analisi, (nt. 7), 250 s.; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 30 s., i quali, pur facendo riferimento all’art. 1, comma 5-novies, t.u.f., richiamano la nozione di PMI contenuta nel regolamento anche in relazione al secondo alinea del­l’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129.

[58] Una differenza degna di nota è che, mentre l’art. 26, quinto comma, d.l. n. 179/2012, fa riferimento alle «PMI», l’art. 100-ter, comma 1-bis, t.u.f. parla di «piccole e medie imprese».

[59] Questa impostazione poi risolve anche le difficoltà che derivano dall’interpretare il riferimento alle PMI contenuto nel d.l. n. 50/2017 come circoscritto soltanto al primo alinea del­l’art. 2, primo par., lett. f), regolamento (UE) 2017/1129.

[60] Favorevoli a questa possibilità sono M. Cian, I sistemi multilaterali di negoziazione e i «mercati semiregolamentati», in Il Testo Unico finanziario, diretto da M. Cera, G. Presti, Bologna, Zanichelli, 2020, vol. **, 1126 ss., 1138 s.; E. Cusa, (nt. 9), 677 s.; C. Rinaldo, (nt. 7), 1528 s.; M. Speranzin, (nt. 5), 339, nt. 19; e si confrontino anche N. Ciocca, [A. Guaccero], (nt. 8), 860, nt. 27, e S. Corso, Le s.r.l. “aperte” al mercato tra governance societaria, (nt. 9), 39 ss. Contrari, invece, A. Dentamaro, Apertura della s.r.l. PMI tra divieto di rappresentazione delle quote ex art. 2468, comma 1, c.c. e tutela dell’investitore, in La società a responsabilità limitata, (nt. 5), 158 ss., 170 s.; M. Notari, Analisi, (nt. 7), 261 ss.; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 37 ss.; S. Patriarca, Prodotti e strumenti finanziari, in Il Testo Unico finanziario, cit., vol. *, 67 ss., 79 ss.; M. Sciuto, (nt. 9), 542 ss. Problema in parte diverso è invece quello della possibilità che le quote di s.r.l. oggetto di offerta attraverso i portali per la raccolta di capitali possano essere scambiate su un mercato secondario; su questo punto specifico si vedano i dubbi espressi da M. de Mari, Diritto delle imprese e dei servizi di investimento, Milano, Wolters Kluwer, 2018, 159; M. Lamandini, D. Ramos Muñoz, La disciplina dell’equity crowdfunding nella prospettiva dell’emittente e del diritto societario: verso il sub-tipo emittente digitale?, in RDS, 2019, 594 ss., 599 s.; E. Ricciardiello, sub art. 100-ter, in Commentario breve al Testo Unico della Finanza, diretto da V. Calandra Buonaura, Milano, Wolters Kluwer, 2020, 736 ss., 737 s.

[61] Il tema è affrontato soprattutto in relazione alla possibilità che le quote di s.r.l. possano essere qualificate come strumenti finanziari. A favore di questa possibilità si vedano M. Cian, (nt. 60), 1138 s.; S. Corso, Le s.r.l. “aperte” al mercato tra governance societaria, (nt. 9), 35 ss.; E. Cusa, (nt. 9), 677; C. Rinaldo, (nt. 7), 1528 s.; V. Santoro, Tentativi di sviluppo di un mercato secondario delle quote di società a responsabilità limitata, in La società a responsabilità limitata, (nt. 5), 279 ss., 283 s.; in senso contrario, invece, A. Dentamaro, (nt. 60), 181; S. Patriarca, Prodotti e strumenti finanziari, in Il Testo Unico finanziario, (nt. 60), vol. *, 67 ss., 79 ss.; sul punto si vedano anche P. Benazzo, Categorie di quote, diritti di voto e governance della “nuovissima” s.r.l., in RDS, 2019, 643 ss.; Id., (nt. 2), 1453 ss.; G. Presti, (nt. 9), 483 s.

[62] Sul punto, in particolare, si veda la Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (UE) n. 596/2014 e (UE) 2017/1129 per quanto riguarda la promozione dell’uso dei mercati di crescita per le PMI, COM(2018) 331 def., Bruxelles, 24 maggio 2018, 5, in cui si afferma che le misure proposte, tra cui la modifica del regolamento delegato 2017/565, avrebbero determinato «un aumento del numero di emittenti che emettono solo strumenti di debito rientranti nella definizione di piccole e medie imprese, il che a sua volta [avrebbe consentito] a un maggior numero di MTF di registrarsi come mercati di crescita per le PMI e agli emittenti su tali mercati di beneficiare di requisiti normativi semplificati». Si deve notare che la tecnica normativa con cui si è ampliata la definizione di PMI potrebbe comunque portare, almeno in certi casi, anche all’esclusione di alcuni emittenti dal campo di applicazione del nuovo testo dell’art. 77 regolamento delegato 2017/565. Questo, ad esempio, potrebbe accadere qualora un’emittente abbia titoli di debito negoziati con un valore nominale superiore ai 50 milioni di euro, ma soddisfi ancora due dei tre parametri che erano previsti nella formulazione iniziale dell’art. 77, secondo par., regolamento delegato (UE) 2017/565.

[63] Sui Prospetti UE della crescita si vedano in particolare P. Lucantoni, L’informazione da prospetto, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020, 193 ss.; A. Perrone, ‘Light’ Disclosure Regimes: The EU Growth Prospectus, in Prospectus Regulation and Prospectus Liability, edited by D. Busch, G. Ferrarini, J.P. Franx, Oxford, OUP, 2020, ch. 10.

[64] Il riferimento è in particolare all’ipotesi prevista dall’art. 15, primo par., lett. b), relativa agli «emittenti, diversi dalle PMI, i cui titoli sono o saranno negoziati in un mercato di crescita per le PMI, a condizione che tali emittenti abbiano una capitalizzazione di borsa media inferiore a 500 000 000 EUR sulla base delle quotazioni di fine anno dei tre precedenti anni civili».

[65] Il regolamento (UE) 2019/2115, insieme al regolamento delegato (UE) 2019/1011, costituisce il c.d. “SME Listing Package”, recentemente approvato in sede europea.

[66] Come ricorda il considerando (17) del regolamento (UE) 2019/2115, infatti, «[l]e definizioni attuali di PMI di cui al regolamento (UE) 2017/1129 possono esse [sic] troppo restrittive, in particolare per gli emittenti che chiedono l’ammissione alla negoziazione in un mercato di crescita per le PMI, che tendono a essere più grandi delle PMI tradizionali. Pertanto, per quanto riguarda le offerte pubbliche, seguite immediatamente da un’iniziale ammissione alla negoziazione in un mercato di crescita per le PMI, gli emittenti più piccoli non sarebbero in grado di utilizzare il prospetto UE della crescita, anche se la loro capitalizzazione di mercato dopo l’iniziale ammissione alla negoziazione fosse inferiore a 200 000 000 EUR. Di conseguenza, il regolamento (UE) 2017/1129 dovrebbe essere modificato per consentire agli emittenti che chiedono un’offerta pubblica iniziale con una capitalizzazione di mercato provvisoria inferiore a 200 000 000 EUR di redigere un prospetto UE della crescita». Il regolamento (UE) 2019/2115, infatti, si è limitato ad ampliare il campo di applicazione delle regole sui Prospetti UE della crescita senza però intervenire sulla definizione di PMI contenuta nella direttiva 2014/65/UE. Ancor più eloquenti sono i lavori preparatori del regolamento (UE) 2019/2115 e in particolare il considerando 12(a) della bozza di regolamento (documento ST 6686 2019 ADD 1, del 25 febbraio 2019, disponibile sul sito https://www.consilium.europa.eu/), in cui si afferma che «[t]he EU Growth Prospectus, as set out in Article 15 of Regulation (EU) 2017/1129 of the European Parliament and of the Council, is one of the key elements to encourage smaller issuers to access public markets, through a tailor-made prospectus. Pursuant to Article 15, a EU Growth Prospectus can be used by an SME. An SME is defined either as a company meeting at least two of the three following conditions: (i) less than 250 employees, (ii) a total balance sheet not exceeding EUR 43 million, and (iii) an annual net turnover not exceeding EUR 50 million (point (i) of Article 2(f)); or as a company that had an average market capitalisation of less than EUR 200 million on the basis of end-year quotes for the previous three calendar years (point (ii) of Article 2(f)). As non-listed issuers do not have a market capitalisation, they can only draw up a EU Growth prospectus if they meet two of the three criteria set out in Article 2(f)(i). However, that latter definition is too restrictive because issuers seeking an admission to trading on an SME Growth Market tend to be larger than traditional SMEs. As a result, in regards of public offers, immediately followed by an initial admission to trading on an SME Growth Market, smaller firms would not be able to use the EU Growth prospectus, even if their market capitalisation after their initial admission to trading tend to be lower than EUR 200 million. As a consequence, Article 15 of the Regulation (EU) 2017/1129 of the European Parliament and of the Council should be amended to allow firms seeking an initial public offer with a tentative market capitalisation of below EUR 200 million to draw up an EU Growth Prospectus».

[67] D’altra parte, la Commissione europea non poteva intervenire direttamente sulle offerte di titoli di debito, perché il regolamento delegato integra la direttiva MiFID II e non il regolamento (UE) 2017/1129. Considerato che quindi non era possibile introdurre modifiche alle regole sui Prospetti UE della crescita intervenendo sul regolamento delegato, alla Com­missione restava comunque la possibilità di ampliare la definzione di PMI nel caso in cui fossero stati emessi soltanto titoli di debito; in questo modo, infatti, si sarebbero potuti rag­giungere risultati simili a quelli conseguibili con una modifica dell’art. 15 del regolamento.

[68] In questo senso è interessante rilevare che M. Maltoni, A. Ruotolo, D. Boggiali, (nt. 7), par. 1.1, non rifiutano in modo assoluto l’idea di fare riferimento alla definizione di PMI contenuta nella direttiva MiFID II, ma si limitano soltanto ad escludere questa possibilità «almeno sino a quando il sistema di circolazione previsto nel d.lgs. n. 129/2017 non sarà entrato a pieno regime».

[69] Si veda supra nt. 60 e il testo corrispondente.

[70] Sul punto si vedano, ad esempio, N. Abriani, Quote, categorie di quote e strumenti finanziari delle S.r.l. PMI: possibilità di razionalizzazione del sistema?, in Società a responsabilità limitata, (nt. 7), 79 ss., 86 ss.; M. Notari, Analisi, (nt. 7), 257 ss.; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 35 ss.

[71] È interessante segnalare che il regolamento del mercato ExtraMOT definisce il segmento ExtraMOT PRO3 come «il segmento per la crescita delle piccole e medie imprese del mercato ExtraMOT dedicato prevalentemente all’emissione di obbligazioni o titoli di debito da parte di società non quotate su mercati regolamentati o piccole e medie imprese o aventi un valore di emissione inferiore a 50 000 000 EUR» e che un emittente «è considerato una piccola e media impresa se, in base al più recente bilancio annuale o consolidato, rispetta almeno due dei tre seguenti criteri: un numero medio di dipendenti inferiore a 250 nel corso dell’esercizio, un totale di bilancio non superiore a 43 000 000 EUR e un fatturato annuo netto non superiore a 50 000 000 EUR». Questa nozione, che è ripresa anche dal regolamento del Segmento ExtraMOT PRO3, non recepisce quella dell’art. 77, secondo par., regolamento delegato (UE) 2017/565, ma riflette ancora, da un lato, la nozione di PMI contenuta nell’art. 2, primo par., lett. f), alinea 1, regolamento (UE) 2017/1129, e, dall’altro, quella dell’art. 77, secondo par., regolamento delegato (UE) 2017/565, precedente alle modifiche introdotte con il regolamento delegato (UE) 2019/1011.

[72] Giova ricordare che, al momento dell’entrata in vigore del d.l. n. 50/2017, vi erano già s.r.l. con titoli di debito negoziati sul sistema ExtraMOT.

[73] Per approfondimenti sull’argomento si vedano M.C. Cengia, M.P. Murdolo, (nt. 7), 108 ss.; A. Fiorelli, Forme di lending e finanza alternativa, in Il diritto di internet nell’era digitale, a cura di G. Cassano, S. Previti, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020, 1221 ss., 1222 ss.; R. Locatelli, C. Schena, La diversificazione dei canali di reperimento delle risorse finanziarie delle PMI: a che punto siamo?, in Studi in onore di Antonio Dell’Atti, a cura di S. Dell’Atti, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020, 641 ss., 664 ss.; V. Martielli, A. Salvi, Entrepreneurial finance - Finanza d’azienda e ciclo di vita dell’impresa, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2020, 129 ss.; F. Miglietta, Lo sviluppo dei minibond come occasione di crescita per le imprese italiane, in Studi in onore di Antonio Dell’Atti, cit., 681 ss., 694 ss.

[74] In realtà anche le modifiche del testo dell’art. 77, secondo par., regolamento delegato (UE) 2017/565, sembrano riconoscere questa evoluzione: la definizione di PMI elaborata per le società che non hanno strumenti di capitale negoziati in sedi di negoziazione, che era del tutto simile a quella dell’art. 2, primo par., lett. f), alinea 1, regolamento (UE) 2017/1129, infatti, era troppo restrittiva per chi avesse voluto ricorrere al mercato emettendo strumenti di debito e per questo è stata oggetto di revisione.

[75] Istruttiva è, ad esempio, l’evoluzione della formulazione dell’art. 111-bis disp. att. c.c. e le interpretazioni che sono state date di questa norma relativa all’individuazione delle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio; sul punto, ad esempio, si veda M. Sciuto, sub art. 2325-bis, in Le società per azioni, I, diretto da P. Abbadessa, G.B. Portale, Milano, Giuffrè, 2016, 136 ss., 143 s.

[76] Il disallineamento tra queste definizioni è rilevato anche da S. Corso, Le s.r.l. “aperte” al mercato tra governance societaria, (nt. 9), 23, nt. 45.

[77] Sul punto si veda E. Ambrosini, sub art. 31, in Commentario alla Legge 24.12.2012 n. 234, a cura di L. Costato, L.S. Rossi, P. Borghi, Napoli, ESI, 2015, 276 ss., 287, la quale segnala che: «deve rilevarsi come, di fatto, l’esercizio del potere delegato avvenga prevalentemente tramite l’adozione di atti immediatamente vincolanti in ogni loro parte, quali i regolamenti (non legislativi) e le decisioni (atti sempre non legislativi). In questi casi, stante la loro diretta applicabilità, nessuna attività di recepimento delle disposizioni contenute in regolamenti è richiesta al legislatore nazionale. La semplice entrata in vigore di questi atti delegati determina, infatti, effetti immediatamente vincolanti in capo ai destinatari, rendendo superfluo, laddove non addirittura illecito, l’intervento normativo statuale volto ad attuare le disposizioni europee».

[78] È opportuno ricordare ancora che il riferimento alla “capitalizzazione di borsa” potrebbe dare adito a qualche fraintendimento, dal momento che, nella prospettiva del regolamento delegato, non riguarda mercati regolamentati ma sistemi multilaterali di negoziazione.

[79] Come rilevato in precedenza, l’art. 77, primo par., regolamento delegato (UE) 2017/565, fornisce poi dettagliate precisazioni sulle modalità con cui verificare il rispetto di questo parametro.

[80] Allo stato attuale è difficile essere certi su come sarà interpretato il riferimento alle «emissioni» in «tutte le sedi di negoziazione». In particolare non è del tutto chiaro se, per superare detto parametro, si debba tener conto di tutti i titoli di debito emessi da una s.r.l., oppure, come sembrerebbe dal dato normativo, soltanto di quelli effettivamente negoziati in sedi di negoziazione. In questo senso sembra deporre anche il fatto che questa disposizione consideri rilevanti soltanto le emissioni in sedi di negoziazione «dell’Unione». Nel nostro ordinamento la questione potrebbe riguardare, ad esempio, la necessità di includere nel calcolo del parametro di riferimento soltanto le emissioni negoziate in sistemi multilaterali di negoziazione, quali l’ExtraMOT PRO3, oppure anche i titoli di debito offerti attraverso i portali per la raccolta di capitali.

[81] Questo soprattutto perché la stessa nozione di PMI contenuta in questa disposizione usa come punto di riferimento temporale per determinare detta qualifica un momento che può anche precedere quello dell’emissione dei titoli di debito o quello della loro ammissione alla negoziazione.

[82] Quali sono i valori mobiliari, vale a dire, secondo la definizione dell’art. 1, comma 1-bis, t.u.f., delle «categorie di valori che possono essere negoziati nel mercato dei capitali». Sulla possibilità di qualificare anche le quote delle s.r.l. PMI come valori mobiliari, si veda, in particolare, S. Corso, Le s.r.l. “aperte” al mercato tra governance societaria, (nt. 9), 28 ss.

[83] Sul punto si vedano in particolare M. Cian, (nt. 60), 1138 s.; S. Corso, Le s.r.l. “aperte” al mercato tra governance societaria, (nt. 9), 35 ss.; E. Cusa, (nt. 9), 687 ss.; C. Rinaldo, (nt. 7), 1528 s.

[84] Se si accoglie quest’interpretazione, è poi evidente che anche l’importanza delle modifi­che introdotte all’art. 15 del regolamento (UE) 2017/1129 dal regolamento (UE) 2019/2115 viene ridimensionata, perché questa disposizione sarebbe destinata a trovare applicazione quando un emittente abbia già emesso più di 50 milioni di titoli di debito negoziati in tutte le sedi di negoziazione dell’Unione.

[85] Si confronti anche C. Pasquariello, (nt. 5), 167 ss., la quale, adottando un diverso approccio si interroga sulla possibilità che le regole previste dal d.l. n. 50/2017 possano trovare applicazione anche alle s.r.l. non qualificabili come PMI.

[86] N. Abriani, La struttura, (nt. 8), 523, invece, richiama l’incisiva metafora della clessidra.

[87] Si veda ancora N. Abriani, La struttura, (nt. 8), 523.

[88] Così C. Vivante, La riforma del codice di commercio, in Nuova antologia, 1923, fasc. 1228, 160 ss., 168.

[89] Secondo M. Notari, Analisi, (nt. 7), 262 s.; Id., Le s.r.l., (nt. 7), 38 ss., l’idea che il d.l. n. 50/2017 possa aver creato una s.r.l. aperta con caratteri analoghi a quelli delle s.p.a. aperte o quotate dovrebbe essere considerata come incoerente e non funzionale, perché creerebbe una sovrapposizione indebita con il tipo s.p.a. con possibili «rischi di elusioni o violazioni dei vincoli delle direttive europee in materia societaria» e di vuoti normativi difficilmente giustificabili. In realtà non sembra che il diritto europeo ponga limiti insuperabili all’accesso ai mercati da parte del tipo s.r.l. (o per meglio dire da parte delle società indicate nell’allegato I della direttiva 2009/102/CE e nell’allegato II bis della direttiva (UE) 2017/1132), in particolare se si considera che la c.d. “armonizzazione negativa” è ancora uno strumento a disposizione del legislatore dell’Unione europea (sull’armonizzazione negativa si veda, ad esempio, L. Enriques, A. Zorzi, L’armonizzazione europea del diritto degli Stati membri in materia societaria: profili generali, in Diritto societario europeo e internazionale, diretto da M. Benedettelli, M. Lamandini, Assago, Wolters Kluwer, 2017, 179 ss., 208 ss.). A questo riguardo, dopo un rapido esame dei listini di Euronext, è interessante segnalare anche che diverse società appartenenti a un tipo analogo alle nostre s.r.l., vale a dire la b.v. di diritto olandese, hanno strumenti di capitale già oggi ammessi alla negoziazione in sedi di negoziazione (così Fastned B.V. è quotata su Euronext a Amsterdam, Meltwater B.V. e CRC Holding B.V. sono ammesse alla negoziazione sul sistema multilaterale di negoziazione Euronext Growth di Oslo, e, infine, ESG Core Investments B.V., Dutch Star Companies TWO B.V. e Pegasus Acquisition Company Europe B.V. sono SPAC ammesse alla negoziazione su Euronext a Amsterdam; sulle tecniche usate per raggiungere risultati di questo tipo si veda S. Corso, Le s.r.l. “aperte” al mercato tra governance societaria, (nt. 9), 83 s., nt. 200 e 172, nt. 144, la quale accenna anche alle difficoltà che l’utilizzo di queste tecniche potrebbe incontrare nel nostro ordinamento).

[90] N. Abriani, La struttura, (nt. 8), 524; Id., (nt. 70), 101, parla della possibilità di una «competizione regolatoria diseguale» tra il tipo s.p.a. e il tipo s.r.l.; P. Benazzo, (nt. 61), 665; Id., (nt. 2), 1480, ritiene invece che si possa instauarare «una concorrenza virtuosa, e pure proficua, tra i due tipi societari capitalistici», purché questa sia supportata dall’inserimento di apposite clausole nello statuto delle s.r.l., la cui mancanza potrebbe portare invece a una «competizione tra s.p.a. e s.r.l. [che] sembra destinata a rimanere irriducibilmente squilibrata, sbilanciata». C. Pasquariello, (nt. 5), 168 s., invece, ritiene che l’evoluzione delle regole applicabili alle s.r.l., «in chiave di concorrenzialità tra i tipi societari, potrebbe risolversi in un disincentivo a scegliere la società a responsabilità limitata».