Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo pdf articolo pdf fascicolo


La rinegoziazione del concordato preventivo tra vecchie e nuove sollecitazioni (di Alessandra Zanardo, Professore associato di diritto commerciale, Università Ca’ Foscari Venezia)


L’articolo, prendendo le mosse dalla situazione di emergenza epidemiologica da COVID-19 e dalle correlate misure di contenimento, che hanno dato vita, soprattutto in relazione ai contratti d’impresa, ad istanze di revisione delle originarie condizioni contrattuali divenute squilibrate, indaga se sia possibile modificare le condizioni della proposta e/o del piano di concordato preventivo omologato, al fine di consentirne l’esatto adempimento in un quadro economico-finanziario (sensibilmente) mutato.

L’analisi si sofferma sia sull’attuale legge fallimentare, sia sulla disciplina contenuta nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, valutando se le conclusioni raggiunte con riguardo alla prima restino confermate anche alla luce delle disposizioni del nuovo codice.

Renegotiation of compositions with creditors: old and new reflections

This article, starting from the COVID-19 outbreak and the related containment measures, which have given rise to requests for revision of the original contractual terms that have become ‘unbalanced’, investigates whether it is possible to modify the terms of a proposal and/or a plan after confirmation in order to allow the proper fulfilment of the composition with creditors (concordato preventivo) in a (significantly) changed economic and financial framework.

The analysis focuses both on the current Italian Bankruptcy Law and the new Business Crisis and Insolvency Code, and it assesses whether the conclusions reached in relation to the former remain valid under the new Code.

Keywords: composition with creditors; renegotiation; proper fulfilment; termination of a composition with creditors

Sommario/Summary:

1. Premessa - 2. La risoluzione del concordato preventivo ex art. 186 l. fall. - 3. Il dibattito sulla rinegoziazione del concordato omologato: gli argomenti a favore. - 4. (Segue) Gli “spazi di manovra” consentiti dall’attuale disciplina del concordato preventivo. - 5. (Segue) La modificabilità del (solo) piano di concordato. - 6. Ulteriori argomenti ricavabili dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. - 7. Soluzioni concretamente e attualmente praticabili. - NOTE


1. Premessa

L’art. 9, primo comma, del d.l. 8 aprile 2020, n. 23, concernente la proroga dei termini di adempimento dei concordati omologati, è stato opportunamente modificato, in sede di conversione in legge, dalla l. 5 giugno 2020, n. 40. Anzitutto, la disposizione è stata estesa, oltre agli accordi di ristrutturazione dei debiti (già previsti), agli accordi di composizione della crisi e ai piani del consumatore omologati; in secondo luogo, è stata riformulata in modo che la proroga riguardi tutti i termini di adempimento di concordati, accordi e piani omologati con scadenza successiva al 23 febbraio 2020 – e non solo quelli che sarebbero scaduti alla data del 31 dicembre 2021 –, così da evitare un pericoloso effetto “imbuto” [1].

La legge di conversione non ha invece affrontato una questione da subito emersa tra gli operatori giuridici [2]: la possibilità di riconoscere al debitore concordatario un diritto o una facoltà di rinegoziazione del concordato omologato, in caso di persistente impossibilità di dare puntuale esecuzione alla proposta e al piano dopo l’esaurirsi dell’effetto temporaneo della proroga dei termini di adempimento. Solo con il recentissimo decreto-legge recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale il legislatore è nuovamente intervenuto sull’adempimento del concordato preventivo, prevedendo l’improcedibilità, fino al 31 dicembre 2021, dei ricorsi per la risoluzione di concordati con continuità aziendale la cui omologazione sia avvenuta dopo il primo gennaio 2019 (e dei ricorsi per la dichiarazione di fallimento “dipendente” dalle predette procedure).

La questione della rinegoziazione del concordato post-omologazione trascende evidentemente lo stretto ambito della legislazione emergenziale, sebbene la situazione determinatasi per effetto della pandemia di COVID-19 abbia senza dubbio contribuito a sollecitare una riflessione sul tema, fino a quel momento abbastanza trascurato dagli interpreti [3]. La riflessione, ad avviso di chi scrive, merita di essere proseguita e sviluppata: non tanto in una prospettiva de iure condendo, quanto per valutare se il nostro ordinamento già offra strumenti, negoziali o procedurali, da utilizzare al predetto scopo [4].

A tale riguardo, le considerazioni che si svolgeranno, pur se riferite alla vigente legge fallimentare, si attagliano anche al codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, poiché nel codice il profilo della rinegoziazione del concordato omologato (precisamente, della modifica della proposta e/o del piano concordatari) continua ad essere un profilo non espressamente regolato, diversamente da quanto avviene in altri ordinamenti (cfr. 11 U.S.C. § 1127, «Modification of plan»). La “futura” disciplina degli strumenti di regolazione della crisi è però in grado di fornire nuovi e interessanti spunti di riflessione, anche se va detto che gli ultimi interventi in materia concorsuale ad opera della legislazione emergenziale (su cui infra) hanno ulteriormente attenuato la distanza tra il vecchio e il nuovo.


2. La risoluzione del concordato preventivo ex art. 186 l. fall.

Dinanzi all’inadempimento, anche incolpevole, degli obblighi derivanti da un concordato preventivo omologato, il nostro legislatore si limita, sia nella legge fallimentare che nel c.c.i.i., a prevedere la risoluzione del concordato [5]. L’art. 186 l. fall. stabilisce, infatti, che ciascuno dei creditori può richiederne la risoluzione per inadempimento – a condizione che si tratti di inadempimento di non scarsa importanza – e che il ricorso deve proporsi entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato stesso. L’art. 119 c.c.i.i. estende la legittimazione ad agire al commissario giudiziale, che può richiedere la risoluzione su istanza di uno o più creditori, ma continua a non prevedere nulla in merito ad una possibile rinegoziazione del concordato post-omologazione; e ciò nonostante l’art. 58 c.c.i.i. contenga una precisa disposizione che abilita l’imprenditore a modificare il piano originariamente predisposto (e su cui si è formato l’accordo con i creditori) nel­l’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti. Ai sensi di detta ultima norma (sulla quale si tornerà più diffusamente infra, par. 6), qualora si rendano necessarie modifiche «sostanziali» del piano, l’imprenditore vi apporta le modifiche idonee ad assicurare l’esecuzione degli accordi richiedendo al professionista attestatore indipendente il rinnovo dell’attestazione.

Come più volte ribadito anche dalla Suprema Corte, la risoluzione del concordato – diversamente dalla risoluzione disciplinata dall’art. 1453 e ss. c.c. – prescinde da eventuali profili di imputabilità dell’inadempimento e di colpa del debitore, venendo in rilievo il solo dato oggettivo della mancata esecuzione degli obblighi concordatari assunti nella proposta e nel piano, da cui consegue l’«impossibilità di realizzare la promessa soddisfazione dei creditori» [6]. I giudici di legittimità hanno in particolare affermato che la non imputabilità al debitore dell’inadempimento non rileva ai fini della risoluzione del concordato in quanto l’art. 186 l. fall. intende valorizzare il mancato avveramento del piano secondo una logica diversa da quella dell’art. 1218 c.c., a mente del quale l’inadempimento costituisce un fatto causativo di responsabilità a carico della parte inadempiente. Questo orientamento non sembra mitigabile neppure ricorrendo all’art. 3, comma 6-bis, d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 [7], la cui applicazione, ad avviso di chi scrive, dovrebbe rimanere circoscritta all’ambito meramente contrattuale; non senza tacere del fatto che detto articolo resta, comunque, una norma temporalmente limitata nella sua applicazione, quindi non utilizzabile oltre l’orizzonte del periodo emergenziale di contenimento e gestione della pandemia di COVID-19.

A ciò si aggiunga che, sempre secondo l’orientamento giurisprudenziale, i creditori possono agire per la risoluzione del concordato anche prima della scadenza del termine finale di adempimento dello stesso, qualora l’impossi­bilità di soddisfacimento dei creditori nella misura proposta ed approvata sia emersa in modo certo [8].

Peraltro, ai fini di comprendere quale sia il reale impatto della previsione dell’art. 186 l. fall. sulla posizione del debitore e sulla sua condizione di (incolpevole) incapacità di adempiere, non vanno trascurati i seguenti profili.

In primo luogo, il concordato non è risolvibile se l’inadempimento è di scarsa importanza, da determinarsi attingendo alle regole o principi enucleati in materia contrattuale [9]; è però dubbio, alla luce delle modifiche introdotte a partire dal 2005, quali siano i parametri cui ancorare la valutazione dell’im­portanza dell’inadempimento nella varietà di fattispecie concordatarie oggi ammesse [10]. Oltretutto, se il concreto riempimento della clausola generale implica una valutazione fattuale che può rivelarsi problematica già nell’ambito della disciplina di diritto comune, le criticità si acuiscono nel contesto dell’e­secuzione di un concordato preventivo, ove alla dimensione individuale si affianca una dimensione collettiva o meta-individuale, quella dell’interesse comune della massa dei creditori (cui – si ritiene – va parametrata la gravità del­l’inadempimento).

In secondo luogo, pur non essendo l’opinione pacifica né, forse, prevalente [11], si condivide la tesi secondo cui ciò che rileva ai fini della risoluzione è l’inadempimento della proposta concordataria (rectius: delle obbligazioni ivi assunte), non del piano, ossia delle azioni programmate ai fini della concreta attuazione della proposta e delle relative modalità esecutive; ed è con riguardo alla proposta e all’entità di soddisfazione o utilità economica promessa ed accettata dai creditori che va valutata l’importanza dell’inadempimento [12]. La violazione delle previsioni del piano assume rilievo, ai fini dell’invocabilità dell’art. 186 l. fall., nella misura in cui detta violazione impedisca il rispetto degli impegni assunti con la proposta e, quindi, l’integrale soddisfacimento dei creditori.

Questa conclusione non sembra poter essere revocata in dubbio, con riguardo al concordato con cessione dei beni, dalla diffusa affermazione che l’oggetto dell’obbligazione concordataria sarebbe “unicamente” l’impegno a mettere a disposizione dei creditori i beni liberi da vincoli ignoti che ne impediscano la liquidazione o ne alterino sensibilmente il valore [13]. Si ritiene, infatti, che la percentuale di pagamento, che non può oggi essere inferiore al 20 per cento dell’ammontare dei crediti chirografari (ex art. 160, ultimo comma, l. fall.), costituisca il necessario termine di raffronto per valutare l’im­portanza dell’inadempimento, concorrendo ad integrare il contenuto della proposta di concordato con cessione dei beni [14]. La quale importanza non può, nel vigore della legge attuale, essere slegata da una valutazione certa, nel senso di basata su dati attendibili e verificati e non più espressa in termini di mera probabilità, del risultato perseguibile dalla liquidazione [15]. In altre parole, le modifiche apportate alla disciplina concordataria dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83, [16] influenzano il contenuto minimo della proposta di concordato; di talché eventuali scostamenti tra quanto «assicurato» in sede di proposta – mediante assunzione di un “impegno” – e quanto concretamente conseguito dalla liquidazione dei beni legittimano il creditore concorsuale ad agire per la risoluzione del concordato, se non di scarsa importanza [17].

In terzo luogo, il fatto che il legislatore abbia circoscritto l’iniziativa della risoluzione ai soli creditori, privandone, rispetto al passato, il commissario giudiziale e il tribunale, ha reso, di fatto, del tutto residuali i casi di ricorso ex art. 186 l. fall. [18]; soprattutto nell’ambito dei concordati con cessione dei beni [19], ove peraltro il significato da attribuire all’ultimo comma dell’art. 160 l. fall. in punto di vincolatività della percentuale di pagamento è ancora controverso, sia in dottrina che in giurisprudenza.

Infine, come in ogni altra ipotesi di esercizio in giudizio di un’azione, deve ricorrere la condizione dell’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.) in capo al creditore istante per la risoluzione. Detto interesse, a ben vedere, difetterebbe qualora la situazione fosse tale, in concreto, da far escludere secondo una valutazione prognostica che il successivo fallimento possa offrire una migliore e/o più celere soddisfazione del creditore stesso (si pensi al prolungato disinteresse del mercato per i beni da liquidare) [20].

I rilievi sopra svolti in merito all’“effettività” del rimedio di cui all’art. 186 l. fall. non risolvono, evidentemente, il problema generale di cui si discute nel presente scritto, ma consentono, almeno, di ridimensionarne gli effetti pratici per il debitore incolpevole.


3. Il dibattito sulla rinegoziazione del concordato omologato: gli argomenti a favore.

Di fronte all’emergenza epidemiologica e all’adozione delle note misure di contenimento è stato da taluno affermato, facendo ricorso a strumenti normativi già a disposizione dell’operatore giuridico, che al debitore fosse consentito modificare il piano dopo l’omologazione, attesa la presenza di una causa estranea consistente nella forza maggiore [21]. L’affermazione è però discutibile perché apre la porta, nelle procedure concorsuali e in particolare in quelle concordatarie, a una causa esimente, la cui individuazione può rivelarsi problematica nel caso concreto [22], in assenza di precisi indici normativi a supporto della possibilità di fare generale ricorso, in materia, alle disposizioni sulle obbligazioni e sul contratto in generale (artt. 1256 e 1467 c.c.). Si è inoltre affermato che «dovrebbe essere escluso in ogni caso il fallimento dell’impren­ditore incolpevole, poiché la nuova situazione è dovuta a forza maggiore da Coronavirus», con il rischio però di dare la stura a una inopportuna (anche per ragioni di certezza e stabilità dei traffici giuridici) soggettivizzazione della valutazione di insolvenza [23].

Non sembra utile neppure il richiamo, da parte del medesimo autore e agli stessi fini, all’art. 185, sesto comma, l. fall., da un lato, e all’art. 186-bis, settimo comma, l. fall., dall’altro.

Il citato comma dell’art. 185 l. fall., così come i precedenti commi quarto e quinto, il cui ambito di applicazione è stato oggetto di ampio dibattito in dottrina, nascono con finalità affatto diverse, ossia con lo scopo di superare situazioni di stallo nella fase esecutiva del concordato dovute all’inerzia del debitore; inerzia giustificata dal fatto che il debitore è chiamato a dare esecuzione a una proposta concorrente. Pur ammettendo, come in effetti fa la dottrina prevalente, che le disposizioni di cui all’art. 185, commi quarto, quinto e sesto, l. fall., si applichino anche alle proposte e ai piani presentati dallo stesso debitore, la fattispecie è circoscritta agli atti che si rende necessario porre in essere “autoritativamente”, per il tramite del commissario giudiziale o dell’ammini­stratore giudiziario-liquidatore, perché il debitore o i suoi organi non provvedono o non provvedono tempestivamente. L’estensione analogica di dette disposizioni all’ipotesi in esame – perché di questo si tratterebbe nel caso di specie – è ingiustificata.

Quanto all’art. 186-bis, ultimo comma, l. fall., relativo all’ipotesi in cui, nel­l’ambito di un concordato con continuità aziendale, l’esercizio dell’attività d’impresa cessi o risulti manifestamente dannoso per i creditori, riesce difficile invocarne l’applicazione post-omologazione. Il testo normativo, infatti, il quale dispone la revoca dell’ammissione al concordato, salva la facoltà per il debitore di modificare la proposta, si riferisce alla fase precedente al decreto di omologazione e a tale fase resta circoscritto il suo ambito applicativo [24].

Un altro argomento addotto in favore della possibilità di modifica è il dettato dell’art. 13, comma 4-ter, l. n. 3/2012, in materia di sovraindebitamento, a norma del quale «quando l’esecuzione dell’accordo o del piano del consumatore diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, quest’ultimo, con l’ausilio dell’organismo di composizione della crisi, può modificare la proposta» [25].

In siffatta ipotesi il legislatore prevede expressis verbis l’applicabilità degli articoli precedenti al citato art. 13, relativi in particolare al procedimento, al raggiungimento e all’omologazione dell’accordo, nonché al procedimento di omologazione del piano del consumatore. Trarre da questa disposizione (peraltro sensibilmente rivista nel nuovo c.c.i.i. [26]) un principio generale suscettibile di applicazione in materia di procedure concorsuali, o affermarne l’ap­plicazione analogica, è tutt’altro che scontato. In particolare, è assai dubbio che la mancata previsione legislativa della possibilità di modificazione della proposta e del piano concordatari, in sede di esecuzione, possa ritenersi una lacuna dell’ordinamento suscettibile di essere colmata con disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe ai sensi dell’art. 12 delle preleggi, piuttosto che una precisa scelta del legislatore, alla luce della peculiare natura del concordato. Tanto che, in effetti, il legislatore appresta uno specifico rimedio al suo inadempimento, sia esso imputabile o meno: la risoluzione.

In termini più generali, l’argomento di maggior rilievo tra quelli addotti contro la rinegoziabilità, de iure condito, del concordato preventivo resta indubbiamente la circostanza che in esso, accanto ad elementi di natura negoziale, che potrebbero giustificare l’applicazione delle norme in materia di impossibilità sopravvenuta della prestazione o di sopravvenuta onerosità, c’è sempre l’intervento del tribunale; il quale è chiamato ad esprimersi dapprima sull’am­missibilità della proposta (artt. 162-163 l. fall.), successivamente sulla sua omologazione (art. 180 l. fall.) [27]. Poiché il vaglio del giudice è elemento essenziale nell’ambito della procedura concordataria, la cui disciplina persegue (anche) interessi pubblici e compositi, è difficilmente giustificabile l’idea che, in sede di esecuzione degli obblighi derivanti dal concordato, possa prescindersi dagli elementi processuali, applicando tout court le categorie negoziali. La comprensibile volontà di tutelare il debitore incolpevole, infatti, deve trovare un ragionevole bilanciamento con l’esigenza di non frustrare le pretese di creditori, altrettanto incolpevoli e meritevoli di tutela, che hanno già (almeno la maggior parte di loro) subito una falcidia significativa del proprio credito; creditori che sono spesso, a loro volta, imprenditori.

Peraltro, anche a voler valorizzare l’origine e l’accentuazione rispetto al passato degli elementi negoziali del concordato, non possono trascurarsi le difficoltà che ancora accompagnano il tentativo di ricavare dal sistema l’esi­stenza di un obbligo di rinegoziazione in capo alle parti del rapporto contrattuale di durata divenuto squilibrato per la sopravvenienza di circostanze straordinarie e imprevedibili. Pur riscontrandosi un orientamento che, sebbene non nuovo [28], ha raccolto un favore via via crescente nell’attuale contesto di emergenza pandemica [29], per il quale l’esistenza di un obbligo siffatto si ricaverebbe dai principi e delle clausole generali dell’ordinamento (artt. 1175, 1375, 1366, 1374 c.c. e art. 2 Cost.), e nonostante le aperture in tal senso della giurisprudenza [30], questa conclusione non è da tutti condivisa [31]. Tanto che, in primo luogo, si è da più fronti caldeggiato l’intervento del legislatore o a livello di disciplina generale dei contratti o a livello dei singoli tipi o sottotipi contrattuali [32] e una proposta concreta in materia di sopravvenienze e rinegoziazione è già contenuta nel ddl Senato n. 1151/2019, presentato il 19 marzo 2019 [33]; in secondo luogo, il legislatore, nello specifico contesto della nuova composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, ha dettato precise e limitate (quanto a finalità e ambito applicativo) disposizioni sulla rinegoziazione dei contratti (v. art. 10 d.l. n. 118/2021, su cui supra, nt. 4).

Infine, e ad abundantiam, la previsione di temporanea improcedibilità dei ricorsi ex art. 186 l. fall. per i concordati con continuità aziendale inadempiuti, anch’essa inserita nel d.l. n. 118/2021 per tenere conto della difficoltà degli imprenditori di mantenere gli impegni assunti a causa della crisi pandemica, sembra confermare che è tutt’altro che agevole risolvere il problema delle sopravvenienze in ambito concorsuale attingendo dalla disciplina generale delle obbligazioni e del contratto.

Sulla questione della buona fede oggettiva e del suo possibile ruolo in sede di esecuzione degli obblighi concordatari, a fronte di circostanze o avvenimenti straordinari e imprevedibili emergenti in questa fase, si tornerà comunque nel sesto paragrafo.


4. (Segue) Gli “spazi di manovra” consentiti dall’attuale disciplina del concordato preventivo.

Quanto sin qui evidenziato non impedisce comunque di cercare, nell’attuale disciplina legislativa – recte: nel modo in cui la stessa è interpretata e applicata –, qualche elemento in grado di aprire una breccia in favore della possibilità, per il debitore in concordato, di rinegoziare le condizioni originariamente proposte e accettate dai creditori.

Prima di procedere con l’analisi, è doveroso segnalare che la legge di conversione del d.l. 22 marzo 2021, n. 41 (l. 21 maggio 2021, n. 69) ha modificato l’art. 182-bis l. fall. introducendo una disposizione analoga a quella dell’art. 58, secondo comma, c.c.i.i., così anticipandone, sostanzialmente, l’entrata in vigore (v. art. 37-ter d.l. n. 41/2021). Trattandosi di intervento molto recente – occorso quando il presente scritto era già stato ultimato e poi integrato dalle modifiche apportate alla legge fallimentare dal d.l. n. 118/2021 – e rispetto al quale sono perfettamente replicabili le considerazioni svolte in merito al più noto e commentato art. 58 c.c.i.i., si rinvia a queste ultime quanto alla possibilità di trarre dalla norma dettata in materia di accordi di ristrutturazione un argomento in favore della rinegoziazione o modificazione del concordato preventivo (v. infra, par. 6).

Ciò premesso, il primo profilo da esaminare è se, ad una procedura conclusasi con l’emissione del decreto di omologazione, possa susseguirne un’altra volta a regolare la medesima situazione di crisi o di insolvenza [34].

Una recente e interessante pronuncia del Tribunale patavino ha ritenuto legittima la stipula di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall. nella fase di esecuzione di un concordato preventivo, ritenendola ipotesi non diversa dalla conclusione di specifici accordi con i singoli creditori (con tutti o con parte degli stessi). Nel caso di specie, la rinegoziazione era stata dettata dalla volontà della società debitrice di superare la sopravvenuta impossibilità di dare esecuzione agli obblighi derivanti da un concordato in continuità pura per la mancata concretizzazione delle previsioni di realizzo dell’attivo originariamente formulate nella proposta e nel piano [35]. L’operazione di ristrutturazione manteneva ferme le percentuali concordatarie, anticipandone le tempistiche di pagamento, e contemplava una modificazione sostanziale del piano.

Il ragionamento tribunalizio, che evidenzia come l’alternativa che si pone in concreto per i creditori consista nell’accettare una modifica al piano, aderendo così alla proposta/accordo di ristrutturazione secondo le nuove condizioni, ovvero nel non aderirvi, con conseguente diritto a ottenere quanto oggetto dell’originaria proposta concordataria e nei tempi ivi previsti, è condivisibile [36]. Ai nostri fini, tuttavia, la questione da risolvere si presenta più complessa, poiché è necessario accertare se sia predicabile una “consecuzione” [37] di procedure dello stesso tipo (in particolare, concordatarie). L’interrogativo, giova precisarlo, ha riguardo ai soli casi fisiologici, ossia ai casi in cui non sia riscontrabile alcun abuso dello strumento concordatario da parte del debitore. Una cosa, infatti, è trovarsi al cospetto di una situazione nella quale, a causa del mutamento delle condizioni originarie, per cause non imputabili al debitore, non è più possibile adempiere gli obblighi assunti; altra cosa è la strumentale reiterazione di proposte concordatarie che integri gli estremi dell’abuso del diritto (sub specie di abuso del processo), in quanto mossa da una chiara finalità dilatoria della soddisfazione dei creditori e della dichiarazione di fallimento [38]. La questione, pertanto, va affrontata senza cadere nell’equivoco di considerare ogni caso in cui ad un concordato preventivo ne segue un altro un’ipotesi di abuso del diritto.

È stato da taluno affermato che l’omologazione di un concordato preclude che si possano devolvere ad una nuova procedura dello stesso tipo gli impegni a suo tempo assunti e non adempiuti, in quanto l’unica soluzione prevista dall’or­dinamento per risolvere la patologia irreversibile della crisi d’impresa è la risoluzione del concordato e la conseguente dichiarazione di fallimento, su istanza di parte o su richiesta del pubblico ministero, ricorrendone i presupposti [39].

In realtà, venuta meno l’automaticità tra risoluzione del concordato e dichiarazione di fallimento, la presentazione di una nuova proposta, diretta a regolare la medesima situazione di crisi o insolvenza del debitore, dopo che il primo concordato sia stato risolto e i suoi effetti esdebitatori siano caducati, non sembra incompatibile con l’attuale disciplina normativa [40]. Lo scenario è senz’altro diverso da quello che si determina nell’ipotesi – ritenuta ammissibile – di un concordato omologato nella cui fase esecutiva si innesti un accordo di ristrutturazione dei debiti [41], poiché ivi ciascuno dei creditori partecipanti all’accordo accetta espressamente le nuove condizioni di adempimento e i creditori rimasti estranei non subiscono ulteriori falcidie, conservando il concordato omologato i suoi effetti obbligatori [42]. Tuttavia, se l’iniziativa non si concreta in un abuso dello strumento concordatario e, anzi, si giustifica alla luce del perseguimento, nelle mutate circostanze economiche e di mercato, del principio del miglior soddisfacimento dei creditori, dovrebbe ritenersi ammissibile [43].

Resta, ad avviso di chi scrive, il limite della necessaria risoluzione giudiziale del primo concordato, con conseguente venir meno della sua efficacia vincolante ultra partes ex art. 184 l. fall. [44].

Non sembra, al riguardo, di poter trarre una diversa conclusione dall’orien­tamento giurisprudenziale che ammette il fallimento omisso medio [45]. In primo luogo, si tratta di un orientamento non consolidato e controverso (e sub iudice), tanto che il decreto correttivo del c.c.i.i. è intervenuto a dirimere l’attuale contrasto interpretativo prevedendo che il tribunale dichiari aperta la liquidazione giudiziale solo a seguito della risoluzione del concordato [46]. In secondo luogo, anche a voler condividere detto orientamento, resta difficilmente predicabile, ad avviso di chi scrive, l’apertura omisso medio di un’altra procedura dello stesso tipo, nella specie concordataria [47]. In questo caso, dinanzi ad una nuova domanda di concordato depositata dallo stesso debitore e diretta a regolare la medesima situazione di crisi o di insolvenza, il tribunale dovrebbe dichiararne l’inammissibilità ex art. 162 l. fall., in quanto la nuova proposta sarebbe diretta alla regolazione di una crisi già “regolata”, con carattere di definitività, dal concordato omologato, i cui effetti esdebitatori sono vincolanti per tutti i creditori anteriori (salvo l’eventuale annullamento o risoluzione) [48]. Inoltre, la formulazione di una nuova proposta altro non sarebbe che una rinuncia o abdicazione da parte del debitore al primo concordato; la quale è ritenuta, per orientamento consolidato, non ammissibile una volta che il concordato è stato omologato [49]. L’iniziativa volta alla caducazione dei suoi effetti obbligatori è attribuita dal legislatore, negli stretti binari dell’art. 186 l. fall., ai soli creditori concorsuali.

Né sembra che a detta ricostruzione possa essere obiettato che il secondo ricorso e la seconda proposta di concordato avrebbero in realtà ad oggetto i crediti (anteriori) nella misura ristrutturata e falcidiata, e non in quella originaria, poiché ciò presupporrebbe che, a seguito dell’omologazione, si verifichi un effetto novativo ed estintivo ex art. 1230 c.c. che deve invece escludersi, rendendo il concordato preventivo soltanto inesigibili i crediti anteriori.

Ancora, merita di essere evidenziato come la Suprema Corte, seppur in relazione ad altra fattispecie, abbia più volte ribadito che «con riguardo al medesimo imprenditore ed alla medesima insolvenza il concordato non può che essere unico, e dunque unica la relativa procedura ed il suo esito» [50]. Si è consapevoli che la Corte si è così pronunciata nell’ambito di giudizi nei quali la procedura concordataria era ancora in corso, per escludere la configurabilità di una seconda domanda di concordato “autonoma” rispetto a quella originaria, ossia tale da dare vita a una nuova e separata procedura. Tuttavia, si ritiene che detto principio debba trovare applicazione anche, e verrebbe da dire a fortiori [51], in relazione ai concordati (pendenti) la cui procedura si è chiusa con il decreto di omologazione ex art. 180 l. fall.; ossia con un provvedimento cui deve riconoscersi il carattere della decisorietà e della definitività o, almeno, la “stabilità” dei risultati ai fini della falcidia concordataria (salvo il vittorioso esperimento delle azioni di cui all’art. 186 l. fall.) [52].

Concludendo, la strada della consecuzione di procedure concordatarie, pur nei limiti sopra tratteggiati, sembra attualmente percorribile. Non può però trascurarsi che essa impone al debitore di presentare, ex art. 161 l. fall., una nuova proposta sulla quale i creditori anteriori saranno chiamati a votare e che sarà oggetto di un nuovo giudizio di omologazione da parte del tribunale.

Da qui la domanda se vi siano altre vie che consentono di raggiungere la stessa, “agognata” meta, almeno nelle ipotesi in cui gli interventi resisi necessari a seguito delle mutate condizioni macro o microeconomiche non coinvolgano le percentuali concordatarie originariamente offerte ai creditori.


5. (Segue) La modificabilità del (solo) piano di concordato.

Nel caso appena ipotizzato, una valida alternativa è rappresentata dalla mera modificazione delle azioni indicate nel piano, qualora ciò si renda necessario per consentire al debitore di adempiere la proposta approvata dai creditori e omologata in presenza di sopravvenienze. Si pensi, per esemplificare, alla parziale riconversione della produzione; alla temporanea chiusura di impianti o alla sospensione di alcune linee produttive non più redditizie; ad altri scostamenti significativi dal piano industriale sulla base del quale avrebbe dovuto proseguire l’attività aziendale (ad esempio, la decisione di non aprire nuovi canali commerciali o di non ampliare un sito industriale, oppure l’inserimento di nuovi prodotti nel mercato); o, ancora, alla liquidazione di cespiti o assets divenuti non più funzionali all’esercizio dell’impresa.

In altre parole, se si assume – come si è fatto in precedenza – che ciò che rileva, ai fini della risoluzione, è l’inadempimento delle obbligazioni oggetto della proposta concordataria, non già solo l’inosservanza delle modalità di adempimento della stessa indicate nel piano [53], i predetti scostamenti dovrebbero ritenersi ammissibili poiché non toccano tali obbligazioni (di norma, di carattere pecuniario) e, quindi, il contenuto della proposta [54]. E ciò, con ogni probabilità, anche a prescindere dalla imprevedibilità o straordinarietà degli eventi sopravvenuti (si pensi a sopravvenienze non già imprevedibili, bensì non previste).

Sembra comunque necessario che il commissario giudiziale, alla luce dei poteri di sorveglianza attribuitigli e degli ulteriori poteri di cui all’art. 185, quarto e quinto comma, l. fall., sia tempestivamente informato delle variazioni che il debitore intende apportare al piano, ritenendosi finanche opportuno che lo stesso concordi sulla loro necessità e strumentalità rispetto all’effettivo soddisfacimento dei creditori concorsuali [55].

La concreta esigenza di modifica delle azioni programmate nel piano, ai fini dell’adempimento della proposta, ricorre, com’è intuibile, prevalentemente nell’ambito dei concordati con continuità aziendale, in cui le iniziali previsioni e assunzioni sull’andamento dell’impresa si prestano maggiormente ad essere incise dalle sopravvenienze rispetto a mere operazioni liquidatorie [56]. Da qui la necessità di indagare se le variazioni o scostamenti possano spingersi sino alla conversione di un concordato con continuità aziendale in un concordato liquidatorio, con cessazione, prima che i creditori siano stati del tutto soddisfatti, dell’attività d’impresa [57].

Tanto l’art. 186-bis, ultimo comma, l. fall., quanto il chiaro favor legislativo per la soluzione del concordato in continuità e la salvaguardia del valore dell’impresa, difficilmente conciliabile con la possibilità di passare da una forma concordataria all’altra in sede esecutiva, inducono a rispondere, in linea generale, negativamente [58].

Quanto al primo profilo, giova ricordare che, ai sensi dell’art. 186-bis, ultimo comma, l. fall., se nel corso della procedura l’esercizio dell’attività d’im­presa cessa o risulta manifestamente dannoso per i creditori, il tribunale provvede alla revoca dell’ammissione al concordato con continuità aziendale, salva la facoltà del debitore di modificare la proposta. Sebbene la norma disciplini situazioni che si verificano nel corso della procedura, non dopo l’omolo­ga­zione, essa avvalora la tesi dell’essenzialità che la continuazione dell’impresa, quale parte dell’ope­razione concordataria che il debitore si è proposto di attuare, riveste in detta speciale ipotesi di concordato preventivo (cui è riconnessa una speciale e più favorevole disciplina normativa). L’anticipata cessazione dell’attività, così come il suo proseguimento a danno dei creditori, integrano comportamenti inadempienti, tali da consentire a ciascun creditore di ricorrere, ove sussistano i presupposti della non scarsa importanza dell’inadempi­mento e dell’interesse ad agire, allo strumento della risoluzione [59].

Quanto al secondo profilo, ci si limita ad osservare che è assai probabile che la percentuale minima di pagamento del 20 per cento dell’ammontare dei crediti chirografari – da assicurare solo ove si proponga un concordato diverso da quello di cui all’art. 186-bis l. fall. – non risulti integrata in caso di passaggio da un concordato in continuità ad uno consistente nella cessione dei beni, con conseguente violazione, ex post, della relativa prescrizione normativa [60].

C’è, infine, un’altra questione di non poco momento su cui è opportuno soffermarsi. Ci si chiede se gli atti compiuti dal debitore in difformità rispetto a quanto indicato nel piano siano coperti dall’ombrello dell’esenzione da revocatoria ex art. 67, terzo comma, lett. e), l. fall. (che, come noto, copre «gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato preventivo») [61]; nonché dall’ombrello dell’esenzione dai reati di bancarotta ex art. 217-bis l. fall. (che parimenti si riferisce alle operazioni compiute in esecuzione di un concordato preventivo) [62].

La questione è indubbiamente delicata, sebbene il fatto che gli scostamenti dal piano siano precipuamente dettati dall’esigenza di eliminare o ridurre l’im­patto negativo delle sopravvenienze sulle aspettative di adempimento dei creditori dovrebbe limitare il rischio di successivo fallimento e dell’instaurazione delle relative iniziative [63]. Ciò detto, non sembra del tutto peregrino ipotizzare che la formula utilizzata dal legislatore possa essere interpretata, alla luce della ratio della norma, in termini sufficientemente ampi da consentirne l’ap­plicazione a tutte le operazioni strettamente funzionali all’esecuzione di un concordato omologato, anche se parzialmente diverse dalle singole azioni di risanamento o liquidatorie indicate nel piano [64]; a condizione che sia rispettata la sostanza economica del programma originario [65]. La circostanza, poi, che – a differenza degli accordi di ristrutturazione dei debiti e dei piani di risanamento – gli atti di esecuzione di un concordato siano soggetti alla sorveglianza del commissario giudiziale, dotato di poteri di reazione nei confronti (della condotta) del debitore, sembra fornire un argomento alla plausibilità di siffatta conclusione [66].

Non può tuttavia trascurarsi che, nel nuovo art. 166, terzo comma, lett. e), c.c.i.i., la previsione appena citata è stata integrata con l’inserimento delle parole «in essi [i.e. concordato preventivo e accordo di ristrutturazione omologato] indicati»: detto inserimento testuale renderà più difficile neutralizzare, ai fini della revocatoria, gli eventuali scostamenti dalle operazioni indicate nel piano, ancorché giustificati esclusivamente dall’esigenza di realizzare il soddisfacimento dei creditori.

Non si è, finora, presa posizione sulla facoltà, per il debitore, di modificare anche i tempi di adempimento della proposta concordataria: la questione non è di facile o immediata soluzione, come dimostra il fatto che, in passato, quando ciò si è reso necessario per il verificarsi di circostanze eccezionali il legislatore è intervenuto prevedendo moratorie ex lege [67].

Proprio quest’ultima circostanza, la previsione di uno stretto termine decadenziale per l’esercizio dell’azione di risoluzione, che decorre dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento, e il fatto che «la proposta di concordato deve […] avere ad oggetto la regolazione della crisi, secondo modalità che possono assumere concretezza soltanto attraverso l’indicazione delle condizioni di soddisfacimento dei creditori, ricomprendenti le relative percentuali e i tempi di adempimento» [68], sono i motivi che inducono a rispondere negativamente [69]. Inducono, più precisamente, a ritenere che il mancato adempimento del debitore nel o nei termini indicati nel piano – che non abbiano una valenza meramente indicativa – debba essere valutato in termini di gravità o non gravità dell’inadempimento [70], secondo quanto ribadito, anche recentemente, dalla Suprema Corte in materia di contrattuale [71]. Il fatto che i tempi di adempimento siano indicati dal debitore nel piano di concordato, e non nella proposta costituente oggetto di approvazione da parte dei creditori, non sembra argomento sufficiente a negarne la rilevanza ai fini dell’esattezza dell’a­dempimento del concordato preventivo.

In ogni caso, e specie per i concordati con cessione dei beni, la valutazione circa l’entità dello scostamento temporale sanzionabile con la risoluzione non può che essere improntata ad una ragionevole flessibilità, alla luce degli ineliminabili profili di aleatorietà e delle variabili esogene che caratterizzano le varie situazioni concrete [72]; e va sempre accertato il concreto interesse ad agire del procedente.


6. Ulteriori argomenti ricavabili dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

Il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza offre ulteriori elementi ai fini del rafforzamento dell’idea che sia possibile immaginare una parziale modifica dell’agere del debitore in concordato, senza che ciò pregiudichi il successo della procedura. Il primo elemento è offerto dalla nuova disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti; il secondo dai principi generali cui è dedicata la sezione I, capo II, titolo I, parte prima del c.c.i.i.

L’art. 58 c.c.i.i., nell’ambito della disciplina degli accordi di ristrutturazione dei debiti, contiene una precisa disposizione che abilita l’imprenditore, dopo l’omologazione, a modificare il piano economico-finanziario predisposto al fine di assicurare l’esecuzione dell’accordo. La nuova norma, la cui entrata in vigore è stata anticipata in sede di conversione in legge del decreto “sostegni”, prevede il rinnovo dell’attestazione da parte del professionista indipendente e stabilisce che i creditori, debitamente avvisati della pubblicazione, nel registro delle imprese, del piano modificato e dell’attestazione, possono fare opposizione avanti al tribunale nel termine di trenta giorni.

Vista l’affinità tra il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, entrambi denominati «strumenti di regolazione della crisi» (titolo IV) e che condividono il procedimento di accesso (art. 40 ss. c.c.i.i.), è doveroso chiedersi se il principio sotteso all’art. 58, secondo comma, c.c.i.i., evidentemente funzionale alla completa esecuzione degli accordi omologati, possa applicarsi anche al concordato preventivo [73]. In caso affermativo, ne deriverebbe un’ul­teriore conferma del fatto che il debitore può discostarsi dal piano concordatario senza che ciò integri un inadempimento, qualora ciò si renda necessario per rispettare i termini della proposta omologata.

A tale riguardo, merita innanzitutto di essere evidenziato che l’art. 58 c.c.i.i., diversamente dall’art. 13, comma 4-ter, l. n. 3/2012, mentre prevede la modificabilità del piano e degli accordi prima dell’omologazione, dopo l’o­mologazione contempla e disciplina la sola ipotesi in cui si renda necessario apportare modifiche sostanziali [74] al piano economico-finanziario al fine di assicurare l’esecuzione degli accordi omologati. Questi ultimi pare debbano rimanere invariati, salve eventuali variazioni non rilevanti ai fini della valutazione di adesione, anche alla luce della nuova disciplina [75].

Se si condivide tale premessa e si condivide altresì l’opinione secondo cui ciò che concretamente rileva, per la risoluzione del concordato, è il solo ina­dempimento della proposta [76], ammettere la modificabilità del piano ove ciò sia necessario per assicurare l’esatto adempimento degli obblighi concordatari sembra rispondere ad un principio che può dirsi connaturato ai vari strumenti di regolazione della crisi[77]. Nel concordato, poi, non si porrebbe neppure l’esi­genza di un nuovo intervento del­l’imprenditore e dell’attestatore a garanzia dei creditori com’è, invece, richiesto negli accordi di ristrutturazione (v. art. 58, secondo comma, c.c.i.i.) [78], atteso il ruolo di sorveglianza che ivi riveste il commissario giudiziale (il quale deve riferire al giudice ogni fatto da cui possa derivare pregiudizio ai creditori). Detto ruolo dovrebbe garantire una costante cooperazione tra gli organi della procedura e lo stesso imprenditore durante tutta la fase di esecuzione del concordato. Da qui la superfluità di un puntuale intervento legislativo, se non nei limiti dell’opportuna previsione, comune agli strumenti stragiudiziali di regolazione della crisi (v. artt. 56, secondo comma, e 57, secondo comma, c.c.i.i.), di indicare nel piano «le iniziative da adottare nel caso di scostamento tra gli obiettivi pianificati e quelli raggiunti» (art. 87, primo comma, c.c.i.i.); anche ai fini dell’art. 166, terzo comma, lett. e), c.c.i.i. [79].

Se pertanto si pone mente a quanto detto nel precedente paragrafo in merito agli scostamenti che non sono tali da integrare un inadempimento del concordato, il cerchio sembra chiudersi senza grosse sbavature.

A queste riflessioni se ne può aggiungere un’altra, relativa ai principi generali del codice della crisi e dell’insolvenza.

L’art. 4 c.c.i.i., rubricato «Doveri delle parti», impone al debitore e ai creditori, nell’esecuzione degli accordi e nelle procedure di regolazione della crisi e dell’insolvenza (e durante la fase delle relative trattative), di comportarsi secondo buona fede e correttezza; inoltre, nel terzo comma, specifica che i creditori hanno il dovere di collaborare lealmente con il debitore e con gli organi delle procedure (art. 4, terzo comma, c.c.i.i.) [80]. È ragionevole chiedersi se dette disposizioni, e le clausole generali in esse contenute, siano invocabili per imporre ai creditori di acconsentire alla rinegoziazione delle condizioni del concordato al verificarsi di situazioni di impossibilità non imputabile delle prestazioni promesse; o, almeno, di astenersi dal richiedere la risoluzione [81].

Al di là delle considerazioni in merito all’effettiva innovatività dell’art. 4 c.c.i.i. [82], non sembra che detti doveri si estendano sino al punto di imporre ai creditori, il cui credito ha già subito una falcidia (di norma) significativa, di rinegoziare il contenuto della proposta originaria ogniqualvolta una sopravvenienza non imputabile al debitore ne impedisca l’adempimento [83]. Né sembra di poter concludere che l’eventuale istanza di risoluzione da parte del creditore in siffatte ipotesi integri una condotta lesiva della clausola della buona fede oggettiva; perlomeno in tutti i casi in cui il concordato non sia più in grado di assicurare il miglior soddisfacimento dei creditori rispetto all’alternativa liquidatoria.

In altre parole, i limiti già posti in luce nei paragrafi precedenti in relazione al ricorso ai principi generali in materia di obbligazioni e contratti e alla loro applicazione nell’ambito del concordato preventivo non sono superati, ad avviso di chi scrive, dalla loro codificazione nel c.c.i.i. [84].

Resta da chiedersi se correttezza e buona fede oggettiva e il “nuovo” dovere di collaborazione possano essere richiamati almeno per giustificare una rimodulazione dei tempi di adempimento delle obbligazioni assunte in sede concordataria [85]. Anche sotto questo profilo, si ritiene che essi non consentano di legittimare qualcosa in più di una mera tolleranza del ritardo nel­l’adem­pimento della prestazione il cui rilievo sia complessivamente irrisorio nel­l’economia del “programma concordatario” [86]: ipotesi, quest’ultima, in cui non risulterebbero invero neppure integrati gli estremi per la risoluzione ex art. 119 c.c.i.i. o art. 186 l. fall. In altri termini, il rispetto dei tempi di adempimento della proposta indicati nel piano, ossia dell’orizzonte temporale per il suo svolgimento [87], è condizione la cui modificabilità richiede l’assenso dei creditori, incidendo sulle utilità dai medesimi conseguibili in sede concorsuale [88].


7. Soluzioni concretamente e attualmente praticabili.

Le criticità sopra evidenziate non impediscono di ipotizzare una soluzione pratica al problema della sopravvenuta impossibilità, incolpevole, del debitore di adempiere le obbligazioni derivanti dal concordato omologato; la quale gli consenta non solo di discostarsi dalle azioni indicate nel piano, ma anche di rivedere, al ribasso, le prestazioni oggetto della proposta (riducendo, ad esempio, la percentuale di pagamento dei creditori chirografari).

Come già evidenziato dai primi commentatori [89], l’unica soluzione ad oggi praticabile con certezza consiste nel rinegoziare e raggiungere un nuovo accordo con singoli o gruppi di creditori, così da ottenere una parziale rinuncia o una modifica della prestazione originariamente offerta a ciascuno di loro. Trattandosi di diritti patrimoniali disponibili, non vi sono ostacoli al fatto che i singoli acconsentano ad una (ulteriore) riduzione del credito esigibile o ad allungare i tempi di pagamento. Né può ritenersi un ostacolo il limite legale del pagamento di almeno il 20 per cento dell’ammontare dei crediti chirografari, che opera su un piano diverso da quello del rapporto negoziale di scambio tra singolo creditore e debitore.

Un’altra strada percorribile, seppur retrocedendo al momento di redazione del piano, potrebbe essere quella di prevedere, nei limiti della compatibilità con le esigenze poste dal sistema concorsuale, due o più scenari alternativi o di individuare, ove possibile, azioni o iniziative (ad esempio, una riconversione temporanea della produzione) da adottare qualora eventuali situazioni contingenti lo rendano necessario [90]. Questa conclusione, del resto, è avallata dal nuovo art. 87, primo comma, lett. e), c.c.i.i.

Le altre ipotesi cui si è fatto cenno nelle pagine precedenti non trovano, ad avviso di chi scrive, un sicuro appiglio né nel dato normativo attuale, né in quello di futura applicazione; salvo ulteriori interventi correttivi del legislatore che, tuttavia, con riguardo ai profili che qui precipuamente rilevano non sembrano profilarsi all’orizzonte.


NOTE

[1] V., per una prima applicazione della disposizione, così come modificata dalla relativa legge di conversione, e del terzo comma dell’art. 9, Trib. Ravenna, 16 giugno 2020, reperibile in www.ilcaso.it. L’art. 9 d.l. n. 23/2020 ha subito ulteriori modifiche in sede di conversione, che tuttavia esulano dal­l’oggetto su cui verte il presente scritto: in particolare, l’introduzione della possibilità – per il debitore che abbia ottenuto la concessione dei termini di cui all’art. 161, sesto comma, o al­l’art. 182-bis, settimo comma, l. fall. – di depositare un atto di rinuncia alla procedura dichiarando di avere predisposto un piano di risanamento ex art. 67, terzo comma, lett. d), l. fall., pubblicato nel registro delle imprese, e depositando la documentazione relativa alla pubblicazione medesima.

[2] Ben lo rileva, tra gli altri, A. Pazzi, La nuova dimensione del giudizio di risoluzione del concordato a seguito della legislazione di emergenza introdotta per la pandemia da coronavirus, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 23 aprile 2020, reperibile in www.ilcaso.it.

[3] Se si eccettua lo scritto di D. Vattermoli, La rinegoziazione del concordato post-omologazione, in Giustiziacivile.com, n. 12/2015, specificamente dedicato alla questione di cui trattasi.

[4] Data la finalità del presente saggio, la cui analisi trascende la straordinaria situazione di emergenza determinata dall’attuale pandemia, si ritiene poco utile soffermarsi su un’altra norma della legislazione emergenziale, ossia l’art. 91 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 (conv., con modificazioni, dalla l. 24 aprile 2020, n. 27), di cui è stata evidenziata la prossimità o vicinanza con la figura dell’impossibilità sopravvenuta ex art. 1256 c.c. (v. A.A. Dolmetta, «Misure di contenimento» della pandemia e disciplina dell’obbligazione (prime note all’art. 91 comma 1 d.l. n. 18/2020), in Banca borsa tit. cred., 2020, I, 152 s.). Detta disposizione prevede l’inserimento, dopo il sesto comma dell’art. 3 d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 (conv., con modificazioni, dalla l. 5 marzo 2020, n. 13), del seguente comma: «Il rispetto delle misure di contenimento […] è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti». Per alcuni commenti della disposizione v., ex multis, A.M. Benedetti, Il «rapporto» obbligatorio al tempo dell’isolamento: una causa (transitoria) di giustificazione?, in Giustiziacivile.com, n. 4/2020; A. Monteverde, L’incursione del d.l. 17 marzo 2020 n. 18 in tema di obbligazioni non adempiute e responsabilità del debitore, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 20 aprile 2020, reperibile in www.ilcaso.it; A. Pinori, Riflessioni sugli effetti dello stato di emergenza da Coronavirus nell’esecuzione dei contratti, in Contr. impr., 2020, 1192 ss.; M. Zaccheo, Brevi riflessioni sulle sopravvenienze contrattuali alla luce della normativa sull’emergenza epidemiologica da Covid-19, in Giustiziacivile.com, n. 4/2020. Secondo taluni – e nonostante il richiamo testuale agli artt. 1218 e 1223 c.c. –, la previsione potrebbe essere applicata anche in sede di risoluzione del concordato preventivo, al fine di verificare se, avendo riguardo all’esigibilità della prestazione, il rispetto delle misure di contenimento sanitarie abbia influito sull’inadempimento della proposta: così A. Pazzi, (nt. 2), 8 ss.; nonché C.L. Appio, D. De Filippis, La sorte delle procedure concorsuali “minori” pendenti al tempo del Coronavirus, in Giustiziacivile.com, n. 10/2020, 16 s.; D. De Filippis, L’esecuzione del concordato preventivo ai tempi del Coronavirus, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 17 aprile 2020, reperibile in www.ilcaso.it, 9 ss.; e, seppur più cautamente, F. Iozzo, Questioni in tema di risoluzione del concordato preventivo fra vecchia e nuova disciplina, anche alla luce della legislazione d’urgen­za, in Crisi d’impresa ed emergenza sanitaria, opera diretta da S. Ambrosini, S. Pacchi, Bologna, Zanichelli, 2020, 204 ss.; solleva giustamente delle perplessità sul punto M. Fabiani, Prove di riflessioni sistematiche per le crisi da Emergenza Covid-19, in Fallimento, 2020, 593, nt. 17.

Per completezza si aggiunge che, nell’ambito dello strumento di composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa appena introdotto dal decreto-legge in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale (emanato quando il presente lavoro era già in corso di stampa), l’esperto all’uopo nominato può invitare le parti a rideterminare, secondo buona fede, il contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica, ovvero ad esecuzione differita, se la prestazione è divenuta eccessivamente onerosa per effetto della pandemia da SARS-CoV-2. In mancanza di accordo, su domanda dell’imprenditore, il tribunale può rideterminare equamente le condizioni del contratto, per il periodo strettamente necessario e come misura indispensabile ad assicurare la continuità aziendale, e può assicurare l’equilibrio tra le prestazioni anche stabilendo la corresponsione di un indennizzo (v. art. 10, secondo comma, d.l. 24 agosto 2021, n. 118, relativo alla rinegoziazione dei contratti).

[5] Come noto, la riforma del 2005-2007 ha eliminato anche l’automatismo tra risoluzione del concordato e dichiarazione di fallimento; la quale, pertanto, presuppone un’istanza da parte di un creditore rimasto insoddisfatto o una richiesta del P.M.

[6] Limitandosi alle pronunce relative a procedimenti successivi alla riforma del 2005-2007, v. Cass. civ., sez. I, 31 luglio 2019, n. 20652, reperibile in www.ilcodicedeiconcordati.it; Cass. civ., sez. I, 13 luglio 2018, n. 18738, in Dir. fall., 2019, 905 ss., con nota di F. Sacchi, ove si evidenzia che la peculiare natura del concordato – caratterizzato da una natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici e conduce, all’esito dell’omo­logazione, alla cristallizzazione di un accordo di carattere complesso ove una delle parti ha consistenza composita e plurisoggettiva – impedisce in quest’ambito una traslazione tout court delle categorie proprie dell’inadempimento contrattuale; Cass. civ., sez. I, 4 marzo 2015, n. 4398, reperibile in www.ilcodicedeiconcordati.it; quanto alla giurisprudenza di merito, Trib. Ravenna, 27 luglio 2018, Trib. Milano, 29 settembre 2016, Trib. Modena, 11 giugno 2014, Trib. Ravenna, 7 giugno 2012, tutti reperibili in www.ilcaso.it. Più “cauta” la posizione di una parte della dottrina (v., ad es., S. Ambrosini, Il concordato preventivo, in Aa.Vv., Le altre procedure concorsuali, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da F. Vassalli, F.P. Luiso, E. Gabrielli, IV, Torino, Giappichelli, 2014, 428), mentre assume una netta posizione in favore dell’imputabilità dell’inadempimento al debitore, ai fini della risoluzione, G. La Croce, La liquidazione di beni nel concordato in continuità e la nomina del liquidatore giudiziale (commento a Cass. civ., sez. I, 10 agosto 2017, n. 19925), in Fallimento, 2018, 39. A sostegno della risolubilità anche in presenza di un inadempimento non imputabile è stato fondatamente richiamato l’art. 14 della legge sulla composizione delle crisi da sovraindebitamento (l. 27 gennaio 2012, n. 3), che prevede la risoluzione dell’accordo anche se l’esecuzione diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore: cfr. L. Guglielmucci, Diritto fallimentare8, a cura di F. Padovini e con la collaborazione di E. Bran, Torino, Giappichelli, 2017, 377, nt. 95; E. Macrì, Esecuzione, risoluzione ed annullamento del concordato fallimentare e preventivo, in Dir. fall., 2012, I, 535.

[7] V. supra, nt. 4.

[8] V., a mero titolo esemplificativo, Cass. civ., sez. VI, 29 maggio 2019, n. 14601, e Cass. civ., sez. I, 31 marzo 2010, n. 7942, reperibili in www.ilcaso.it; Trib. Rovigo, 7 dicembre 2017, in Fallimento, 2018, 734, con commento di M. Ratti, A. Pezzano; Trib. Padova, 30 marzo 2017, Trib. Modena, 6 maggio 2016, Trib. Monza, 13 febbraio 2015, Trib. Genova, 26 giugno 2014, tutti reperibili in www.ilcaso.it; App. L’Aquila, 31 maggio 2012, in Fallimento, 2013, 59 ss., con commento di F. Casa. Cfr., altresì, G.B. Nardecchia, La risoluzione, ivi, 2020, 1334, il quale sottolinea come l’interpretazione giurisprudenziale, formatasi nella vigenza dell’originaria disciplina della legge fallimentare, sia ancora attuale e sia applicabile ad ogni tipo di concordato.

[9] Sebbene l’art. 186 l. fall. non richiami espressamente l’art. 1455 c.c., non c’è ragione – peraltro in presenza della medesima formulazione linguistica – di discostarsi dagli orientamenti formatisi, in relazione alla predetta norma, sull’accertamento dell’apprezzabilità in concreto del peso dell’inadempimento nell’economia complessiva del rapporto (conf. App. Venezia, 24 maggio 2017, reperibile in www.ilcaso.it). In questo senso, esplicitamente, la Relazione illustrativa al d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, la quale precisa che il nuovo testo dell’art. 186 l. fall. è ritenuto in coerenza con l’accentuata natura privatistica del concordato preventivo e che «in aderenza ai principi generali […] il concordato preventivo non si può risolvere se l’ina­dempimento risulta essere di scarsa importanza. Si recuperano, in questo modo, tutti i principi sull’importanza dell’inadempimento contrattuale elaborati con riferimento alla norma generale di cui all’articolo 1455 del cod. civ.».

[10] Lo rileva bene G.B. Nardecchia, (nt. 8), 1336 s. Per un’applicazione concreta v. Trib. Ravenna, 7 giugno 2012, (nt. 6), che evidenzia la necessità che il pregiudizio si rifletta sull’equilibrio e sul fondamento dell’impianto obbligatorio disegnato dall’accettazione e successiva omologazione del concordato.

[11] Per una attenta ricostruzione del dibattito e delle diverse possibili tesi in merito al ruolo del piano e alle conseguenze della sua inattuazione v. F. Sacchi, Inattuazione del piano e inadempimento della proposta nel concordato preventivo, in Riv. dir. comm., 2018, I, 145 ss.

[12] Così G.B. Nardecchia, (nt. 8), 1333 s., e Id., La risoluzione del concordato preventivo, in Fallimento, 2012, 258 s. Cfr., altresì, M. Fabiani, I disorientamenti nella nomofilachia a proposito della fattibilità del concordato preventivo e della cessione dei beni (nota a Cass. civ., sez. I, 16 settembre 2011, n. 18987, Cass. civ., sez. I, 15 settembre 2011, n. 18864, Trib. Milano, 28 ottobre 2011 e Trib. Catania, 14 aprile 2011), in Foro it., 2012, I, 170 ss.; D. Galletti, La risoluzione del concordato preventivo: violazione dei termini della proposta o anche del piano?, 1 settembre 2014, in ilFallimentarista.it; G. Rago, La risoluzione del concordato preventivo fra passato, presente e ... futuro (commento a Trib. Roma, 14 marzo 2007), in Fallimento, 2007, 1213; M. Sciuto, “Adempimento” del concordato e programma societario, in Impresa e mercato. Studi dedicati a Mario Libertini. Tomo III. Crisi dell’impresa. Scritti vari, a cura di V. Di Cataldo, V. Meli, R. Pennisi, Milano, Giuffrè, 2015, 1481 ss., in part. 1491 ss.; P. Sisinni, Art. 186, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A. Nigro, M. Sandulli, V. Santoro, III, Torino, Giappichelli, 2010, 2364. Sulla stessa scia sembra porsi G. Fauceglia, La risoluzione e l’annullamento del concordato preventivo, in Fallimento, 2006, 1105, lì dove distingue gli obblighi caratterizzanti la proposta concordataria e individuati come condizioni essenziali, sui quali si è formato il consenso espresso dai creditori, dagli ulteriori obblighi che non assumono la stessa rilevanza. Ritiene che «l’art. 186 l. fall. prescriv[a] quale presupposto della risoluzione concordataria il grave inadempimento del concordato (da intendersi della proposta […])» anche F. Sacchi, (nt. 11), 177, sebbene la posizione dell’autore con riguardo al rilievo degli scostamenti dal piano presenti profili di originalità. In giurisprudenza cfr. Trib. Rovigo, 30 novembre 2016, reperibile in www.ilcaso.it, secondo il quale il parametro per valutare l’inadempimento ai fini della risoluzione non può essere il piano, bensì la proposta; Trib. Ravenna, 8 novembre 2013, ivi; Trib. Ravenna, 7 giugno 2012, (nt. 6).

[13] V., in particolare, Cass. civ., sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521, in Fallimento, 2013, 149 ss., con commento di M. Fabiani.

[14] Trib. Ravenna, 27 luglio 2018, (nt. 6). V. altresì, condivisibilmente, E. Macrì, (nt. 6), 539 s.

[15] Si vedano sul punto le riflessioni di G. Bozza, Il concordato liquidatorio, in Fallimento, 2020, 1234, secondo il quale «l’obbligo di assicurare il pagamento del 20%, proiettato sulla capacità dei beni ceduti di consentire il raggiungimento del risultato prospettato, sta a significare che il debitore assicura che i beni messi a loro disposizione sono idonei, sulla base dei dati verificati anche dall’attestatore, e quindi sulla base di un giudizio prospettico estimativo, a soddisfarli nella misura promessa, che non può essere inferiore a quella indicata dalla legge»; nonché Trib. Milano, 5 luglio 2021, reperibile in www.tribunale.milano.it; Trib. Treviso, 29 luglio 2016, reperibile in www.ilcaso.it, e Trib. Padova, 2 maggio 2016, reperibile in www.fallimenti
esocieta.it (da cui si cita), lì dove entrambi rilevano che, «pur non richiedendosi impegni irrevocabili all’acquisto o altre forme di garanzia della vendita, appaiono imprescindibili rigorose e concrete valutazioni sulla plausibilità della realizzazione dei valori indicati, attraverso per esempio comparazioni con vendite similari». Su questa linea si pongono anche M. Fabiani, I nuovi vincoli alla proposta di concordato preventivo visti dal prisma di una “lettura difensiva” (commento a Trib. Firenze, 8 gennaio 2016, e a Trib. Siracusa, 23 dicembre 2015), in Fallimento, 2016, 582 s.; L. Guglielmucci, (nt. 6), 335 s., testo e nt. 6, 377 s., nonostante un’accentuazione (sembra) del significato del verbo garantire; M. Sandulli, La rilevanza del livello di soddisfazione dei creditori (le percentuali concordatarie), in La nuova mini-riforma della legge fallimentare, a cura di M. Sandulli, G. D’Attorre, Torino, Giappichelli, 2016, 105 s.

[16] Come convertito con modificazioni dalla l. 6 agosto 2015, n. 132.

[17] Di diverso avviso P.F. Censoni, Il concordato preventivo, in A. Jorio, B. Sassani, Trattato delle procedure concorsuali. IV. Concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa, tutela dei diritti, profili penali, Milano, Giuffrè, 2016, 361, nt. 65.

[18] Come dimostrano i risultati di un’analisi empirica – A. Danovi, S. Giacomelli, P. Riva, G. Rodano, Strumenti negoziali per la soluzione delle crisi d’impresa: il concordato preventivo, Questioni di Economia e Finanza (Occasional Papers), marzo 2018, n. 430 –, ove (a 24 s.) si precisa che l’opzione di richiedere la risoluzione è esercitata, in media, solo nel 17% dei casi; percentuale che si eleva al 30% nei concordati con continuità diretta. L’analisi condotta si basa su un dataset originale costituito da circa 3.350 procedure di concordato preventivo ammesse (quelle, cioè, in cui il piano è stato presentato e il tribunale ha giudicato ammissibile la domanda) nel periodo 2009-2015, pari a circa il 35% di quelle complessivamente ammesse negli stessi anni. Nel lavoro, in specie, si legge: «Il mancato rispetto dei termini per l’esecu­zione, in particolare nei concordati liquidatori, è in genere legato alle difficoltà incontrate nella vendita degli attivi. In tale contesto, i creditori spesso preferiscono attendere comunque il realizzo piuttosto che chiedere la risoluzione del concordato e quindi il fallimento. […] Nel caso di continuità diretta il recupero per i creditori deriva dalla capacità dell’impresa risanata di produrre reddito. La mancata esecuzione del piano entro i termini può indicare l’insuccesso del tentativo di risanamento: in tale circostanza i creditori hanno incentivi a chiedere la risoluzione».

[19] V., per un caso concreto, Trib. Roma, 10 ottobre 2017, in Dir. fall., 2018, 1238 ss., con nota di S. Nicita, seppur relativo ad un concordato il cui ricorso era stato depositato nel 2012 e omologato nel 2013, quindi precedente all’aggiunta dell’ultimo comma dell’art. 160 l. fall. e della previsione di cui all’art. 161, secondo comma, lett. e), l. fall. Anche con riguardo al concordato con cessione dei beni, comunque, non è dubitabile che lo stesso possa essere risolto ex art. 186 l. fall. (almeno) ove emerga che è venuto meno alla funzione che gli è propria, ossia la funzione di soddisfare i creditori nella misura promessa: v. Cass. civ., sez. I, 31 luglio 2019, n. 20652, (nt. 6), anch’essa, peraltro, relativa ad un concordato omologato nel 2010, ove si afferma altresì che «la percentuale di soddisfacimento eventualmente indicata non è affatto vincolante, come detto, ma funge da punto di riferimento utile ad apprezzare l’importanza dell’ina­dempimento»; App. Venezia, 28 settembre 2020, reperibile in www.dirittobancario.it; nonché, distinguendo tra concordati cui si applica la disciplina ante 2015 e concordati cui si applica la disciplina successiva, la condivisibile analisi di Trib. Ravenna, 27 luglio 2018, (nt. 6).

[20] V. Trib. Pistoia, 20 dicembre 2017, in Fallimento, 2018, 742 s., con commento di M. Ratti, A. Pezzano.

[21] Ci si riferisce, in particolare, a G. Limitone, Gli effetti del coronavirus sulla continuità aziendale dopo l’omologazione del concordato preventivo, 13 aprile 2020, reperibile in www.
ilcaso.it. La possibilità di fare ricorso alla condizione assolutoria della forza maggiore, al fine di ottenere la modifica del piano di concordato, è affermata anche nella Relazione tematica della Corte Suprema di Cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo, n. 56, 8 luglio 2020 (red. S. Leuzzi), 17 ss. (per un’anticipazione di dette riflessioni cfr. S. Leuzzi, L’impatto della pandemia sui concordati preventivi omologati in continuità diretta: l’indagine, le soluzioni, in Aa.Vv., Dalla crisi all’emergenza: strumenti e proposte anti-Covid al servizio della continuità d’impresa, Centro Studi Diritto della Crisi e dell’Insolvenza, 2020, 174 ss.).

[22] Per una definizione di forza maggiore, ancora assente nel nostro ordinamento (diversamente da altri: cfr. art. 1218 Code civil francese), si v. la Convenzione di Vienna sui contratti di vendita internazionale (United Nations Convention on Contracts for the International Sale of Goods), 11 aprile 1980, il cui art. 79, primo comma, prevede: «A party is not liable for a failure to perform any of his obligations if he proves that the failure was due to an impediment beyond his control and that he could not reasonably be expected to have taken the impediment into account at the time of the conclusion of the contract or to have avoided or overcome it, or its consequences»; UNIDROIT Principles of International Commercial Contracts 2016, il cui art. 7.1.7, rubricato «Force majeure», stabilisce: «Non-performance by a party is excused if that party proves that the non-performance was due to an impediment beyond its control and that it could not reasonably be expected to have taken the impediment into account at the time of the conclusion of the contract or to have avoided or overcome it or its consequences»; Principles of European Contract Law elaborati dalla Commission on European Contract Law, dove all’art. 8:108, rubricato «Excuse Due to an Impediment», è così previsto: «A party’s non-performance is excused if it proves that it is due to an impediment beyond its control and that it could not reasonably have been expected to take the impediment into account at the time of the conclusion of the contract, or to have avoided or overcome the impediment or its consequences». In giurisprudenza, nelle pronunce della Corte di Cassazione, si legge che, «sotto il profilo naturalistico, la forza maggiore si atteggia come una causa esterna che obbliga la persona a comportarsi in modo difforme da quanto voluto, di talché essa va configurata, relativamente alla sua natura giuridica, come una esimente poiché il soggetto passivo è costretto a commettere la violazione a causa di un evento imprevisto, imprevedibile ed irresistibile, non imputabile ad esso contribuente, nonostante tutte le cautele adottate»: Cass. civ., sez. VI, 8 febbraio 2018, n. 3049, reperibile in www.dirittoegiustizia.it. V., altresì, a mero titolo esemplificativo, Cass. civ., sez. un., 23 aprile 2020, n. 8094, ivi, la quale ribadisce che i requisiti della forza maggiore sono da individuare nell’impre­vedibilità ed inevitabilità dell’evento, tale da sovrastare la volontà dell’acquirente.

[23] Le parole virgolettate sono di G. Limitone, (nt. 21), 4, e il tema è ripreso, più compiutamente, dall’autore in Id., La forza maggiore nel giudizio sull’insolvenza, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 2 aprile 2020, reperibile in www.ilcaso.it. In senso conforme a quanto osservato nel testo v. invece M. Fabiani, (nt. 4), 593; S. Ambrosini, La “falsa partenza” del codice della crisi, le novità del decreto liquidità e il tema dell’insolvenza incolpevole, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 21 aprile 2020, reperibile in www.ilcaso.it, 18 ss.

[24] In favore dell’opinione prevalente per cui l’omologazione del concordato impedisce la possibilità di revoca dell’ammissione, configurabile solo nell’intervallo temporale compreso tra l’apertura della procedura e la sua omologazione, v., da ultimo, Cass. civ., sez. VI, 14 settembre 2020, n. 19005, reperibile in www.ilcaso.it.

[25] Sul coordinamento tra detta disposizione e l’art. 14-bis, secondo comma, l. n. 3/2012 v., da ultimo, Trib. Napoli, 3 aprile 2020 e 17 aprile 2020, in Dir. fall., 2020, 1137 ss., con nota di P. Pirone, per i quali «deve […] ritenersi che il rapporto tra art. 13 comma IV ter ed art. 14 bis comma II lett. b) va inteso nel senso che prevale la volontà del debitore di chiedere la modifica della proposta del piano rispetto a quella dei creditori di ottenere la cessazione degli effetti della omologazione del piano del consumatore». Sottolinea l’applicazione macchinosa dell’art. 13, comma 4-ter, l. n. 3/2012, pur ritenendola disposizione opportuna, V. Zanichelli, Le prospettive di aggiornamento di piani e proposte per i soggetti sovraindebitati alla prova dell’emergenza sanitaria ed economica, 1 luglio 2020, reperibile in www.dirittobancario.it.

[26] Cfr., ad esempio, artt. 81, quinto comma, e 82, secondo comma, c.c.i.i., in materia di concordato minore, che, a seguito della modifica ad opera del d.lgs. 26 ottobre 2020, n. 147 (c.d. decreto correttivo del c.c.i.i.), sono ora così formulati: «Quando il piano non è stato integralmente e correttamente eseguito, il giudice indica gli atti necessari per l’esecuzione del piano ed un termine per il loro compimento. Se le prescrizioni non sono adempiute nel termine […] il giudice revoca l’omologazione» (art. 81); «Il giudice provvede allo stesso modo [i.e. revoca l’omologazione] in caso di mancata esecuzione integrale del piano […] o qualora il piano sia divenuto inattuabile e non sia possibile modificarlo» (art. 82). Parla di approccio “minimalista” del legislatore della riforma – in quanto la possibilità di modificare il piano risulta in modo indiretto dalla disciplina della revoca – V. Zanichelli, Le modifiche del piano e della proposta nelle procedure di crisi, in S. Ambrosini, S. Pacchi, (nt. 4), 69 ss.

[27] V., in questo senso, M. Fabiani, (nt. 4), 593.

[28] Doveroso il richiamo a F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, Jovene, 1996, e, successivamente, Id., Rischio contrattuale e rapporti di durata nel nuovo diritto dei contratti: dalla presupposizione all’obbligo di rinegoziare, in Riv. dir. civ., 2002, I, 63 ss.; Id., Le sopravvenienze, in Trattato del contratto. V. Rimedi2, a cura di V. Roppo, Milano, Giuffrè, 2006, 689 ss.; v. altresì P. Gallo, Revisione e rinegoziazione del contratto, in Dig. disc. priv., sez. civ., agg. ******, Torino, Utet Giuridica, 2011, 804 ss.; Id., Sopravvenienza contrattuale e problemi di gestione del contratto, Milano, Giuffrè, 1992, in part. 363 ss.; V. Roppo, Il contratto2, in Trattato di diritto privato, a cura di G. Iudica, P. Zatti, Milano, Giuffrè, 2011, 972 s.

[29] Tra gli altri, Assonime, Guida pratica per le imprese alla legislazione di emergenza Covid-19, 3 agosto 2020, 25 s.; E. Bellisario, Covid-19 e (alcune) risposte immunitarie del diritto privato, in Giustiziacivile.com, n. 4/2020; A.M. Benedetti, R. Natoli, Coronavirus, emergenza sanitaria e diritto dei contratti: spunti per un dibattito, 25 marzo 2020, reperibile in www.dirittobancario.it; R. Fornasari, Sopravvenienze e contratto dopo il Covid-19: problemi di contenuto e di metodo, in Contr. impr., 2020, 1681 ss.; M. Grondona, Dall’emergenza sanitaria all’emergenza economica: l’eccessiva onerosità sopravvenuta tra buona fede e obbligo di rinegoziazione, in Actualidad Jurídica Iberoamericana, 2020, n. 12 bis, 314 ss.; S. Leuzzi, Sopravvenienze perturbative e rinegoziazione dei contratti d’impresa, in Diritto della Crisi, 4 giugno 2021, reperibile in www.dirittodellacrisi.it; F. Macario, Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di “coronavirus”, in Giustiziacivile.com, n. 3/2020; E. Navarretta, CoViD-19 e disfunzioni sopravvenute dei contratti. Brevi riflessioni su una crisi di sistema, in Nuova giur. civ. comm., supplemento 3/2020, 87 ss., in part. 90 ss.; V. Roppo, R. Natoli, Contratto e Covid-19. Dall’emergenza sanitaria all’emergenza economica, in Giustizia Insieme, 2020; nonché, ampiamente, la Relazione tematica n. 56, (nt. 21), 20 ss.

[30] V., a titolo esemplificativo, Trib. Lecce, 24 giugno 2021, reperibile in www.ilcaso.it, e Trib. Roma, 27 agosto 2020, in Corr. giur., 2021, 805 ss., con commento di C. Magli, relativi all’attuale situazione pandemica (ma v., in senso difforme, Trib. Biella, 17 marzo 2021, Trib. Roma, 15 gennaio 2021, in DeJure, e Trib. Roma, 29 maggio 2020, in Corr. giur., 2020, 1092 ss., con commento di S. Guadagno); Trib. Bari, 31 luglio 2012, in Nuova giur. civ. comm., 2013, I, 117 ss., con nota di F.P. Patti; Trib. Bari, 14 giugno 2011, in Contratti, 2012, 571 ss., con commento di F.P. Patti.

[31] V., in luogo di altri e in misura e per motivi diversi, F. Benatti, Contratto e Covid-19: possibili scenari, in Banca borsa tit. cred., 2020, I, 207 ss.; A. Cinque, Sopravvenienze contrattuali e rinegoziazione del contratto, in Contr. impr., 2020, 1691 ss., in part. 1707 ss.; V. Di Cataldo, Pandemia, imprese e contratti di durata, in questa Rivista, 2020, 701 s.; E. Gabrielli, Dottrine e rimedi nella sopravvenienza contrattuale, in Jus civ., 2013, 21 ss.; F. Gambino, Il rinegoziare delle parti e i poteri del giudice, ivi, 2019, 400 ss., ove riferimenti a precedenti opere dell’autore; A. Gentili, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, in Contr. impr., 2003, 708 ss.; G. Sicchiero, La rinegoziazione, ivi, 2002, 796 ss.; E. Tuccari, Sopravvenienze e rimedi nei contratti di durata, Milano, Wolters Kluwer-Cedam, 2018, in part. 56 ss.; M.L. Vitali, Clausole di forza maggiore, di «hardship» e di «assenza di effetti sfavorevoli»: riflessioni ai tempi della “grande epidemia”, in Riv. dir. banc., 2020, 700 ss.; F. Zemignani, La buona fede integrativa e l’obbligo di rinegoziazione: una rimeditazione al tempo del covid-19, in Giustiziacivile.com, n. 12/2020. In termini più generali cfr. R. Pardolesi, Un nuovo super-potere giudiziario: la buona fede adeguatrice e demolitoria (nota a Corte Cost., 2 aprile 2014, n. 77), in Foro it., 2014, I, 2039 ss.

[32] Cfr., in particolare, le riflessioni dell’Associazione Civilisti Italiani (Id., Una riflessione ed una proposta per la migliore tutela dei soggetti pregiudicati dagli effetti della pandemia, reperibile in www.civilistiitaliani.eu, par. 4); nonché C. Scognamiglio, Il governo delle sopravvenienze contrattuali e la pandemia COVID-19, in Corr. giur., 2020, 585 ss.; P. Sirena, L’impossibilità ed eccessiva onerosità della prestazione debitoria a causa dell’epidemia di CoViD-19, in Nuova giur. civ. comm., supplemento 3/2020, 79.

[33] «Delega al Governo per la revisione del codice civile», art. 1, primo comma, lett. i). Per un’analisi dell’iniziativa legislativa si rimanda, in luogo di altri, a F. Macario, Dalla risoluzione all’adeguamento del contratto. Appunti sul progetto di riforma del codice civile in tema di sopravvenienze, in Foro it., 2020, V, 102 ss. Per un confronto con esperienze e ordinamenti a noi vicini è invece utile il richiamo all’art. 1195 del Code civil francese, così come modificato dall’Ordonnance n° 2016-131 du 10 février 2016, che contempla e regola l’imprévision; all’art. 6.2.3 degli UNIDROIT Principles 2016, (nt. 22), rubricato «Effects of hardship», che così prevede: «(1) In case of hardship the disadvantaged party is entitled to request renegotiations. The request shall be made without undue delay and shall indicate the grounds on which it is based. […] (3) Upon failure to reach agreement within a reasonable time either party may resort to the court»; e all’art. 6:111, rubricato «Change of Circumstances», dei Principles of European Contract Law, (nt. 22).

[34] Per un’ipotesi simile, seppur a termini invertiti rispetto ai casi qui considerati, v. Cass. civ., sez. I, 10 aprile 2019, n. 10106, reperibile in www.ilcaso.it, che si è pronunciata in favore dell’ammissibilità di una domanda di concordato preventivo presentata dopo l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, in assenza di comportamenti abusivi del debitore.

[35] Trib. Padova, 17 gennaio 2020, reperibile in www.fallimentiesocieta.it. V. anche, per analoghe riflessioni, M.A. Maiolino, C. Zambotto, La fase esecutiva del concordato preventivo in continuità: la posizione del debitore concordatario e i poteri degli organi della procedura, in Fallimento, soluzioni negoziate della crisi e disciplina bancaria dopo le riforme del 2015 e 2016, opera diretta da S. Ambrosini, Bologna, Zanichelli, 2017, 608.

[36] L’unica perplessità riguarda la circostanza che i creditori non aderenti all’accordo potrebbero subire l’ulteriore moratoria consentita dall’art. 182-bis, primo comma, lett. a), l. fall., con conseguente possibile allungamento dei tempi di adempimento. Sul punto si rimanda alle più generali considerazioni che si svolgeranno infra, parr. 5 e 6.

[37] Richiamando le parole della Suprema Corte in una pronuncia relativamente recente, la consecuzione «è un fenomeno generalissimo consistente nel collegamento fra procedure concorsuali di qualsiasi tipo volte a regolare una coincidente situazione di dissesto dell’impresa», che trova nell’art. 69-bis l. fall. una sua particolare disciplina nel caso in cui detto fenomeno si atteggi a consecuzione fra una o più procedure minori e un fallimento finale (Cass. civ., sez. I, 11 giugno 2019, n. 15724, reperibile in www.ilcaso.it, punto 6.5).

[38] V., sull’abuso dello strumento concordatario, ex multis, Cass. civ., sez. I, 17 maggio 2021, n. 13222, in Banca Dati Il Fallimentarista; Cass. civ., sez. VI, 31 marzo 2021, n. 8982, reperibile in www.ilcaso.it; Cass. civ., sez. I, 7 dicembre 2020, n. 27936, in Fallimento, 2021, 954 s., con commento di U. De Crescienzo, ove si legge che «l’abuso del diritto (sub specie, qui, di abuso del processo) è figura generale del nostro sistema, che viene a configurarsi come limite immanente all’agire dei privati e all’esercizio delle facoltà loro commesse»; Cass. civ., sez. I, 12 marzo 2020, n. 7117, reperibile in www.ilcaso.it; Cass. civ., sez. I, 11 giugno 2019, n. 15724, in Banca Dati Il Fallimentarista; Cass. civ., sez. I, 18 marzo 2019, n. 7577, Cass. civ., sez. I, 26 novembre 2018, n. 30539, Cass. civ., sez. I, 7 marzo 2017, n. 5677, Cass. civ., sez. VI, 11 ottobre 2018, n. 25210, tutte reperibili in www.ilcaso.it; Cass. civ., sez. I, 31 marzo 2016, n. 6277, in Dir. fall., 2016, 882 ss., con nota di A. Penta (anche in Giur. it., 2016, 1917 ss., con nota di M. Spiotta); Cass. civ., sez. un., 15 maggio 2015, n. 9935, pubblicata, tra l’altro, in Fallimento, 2015, 900 ss., con commenti di F. De Santis e I. Pagni; in Dir. fall., 2016, 187 ss., con nota di D. Turroni; in Giur. comm., 2017, II, 21 ss., con nota di A.F. Di Girolamo; v. altresì Cass. civ., sez. I, 10 ottobre 2019, n. 25479, reperibile in www.dirittoegiustizia.it, ove si legge che la società debitrice aveva la possibilità «di presentare una nuova proposta concordataria di soluzione della crisi e dell’insolvenza per evitare la conclusione fallimentare, ponendosi come unico limite a tale agire l’eventuale esercizio distorto ed abusivo della detta facoltà da parte del debitore, come tale indirizzato non già alla previsione di una ordinata e condivisa soluzione negoziale dell’insolvenza (attraverso la presentazione di una nuova e seria proposta concordataria, volta ad intercettare il consenso del ceto creditorio), quanto piuttosto solo a procrastinare nel tempo la dichiarazione di fallimento» (punto 4.1.3). In dottrina, sul tema dell’abuso del concordato preventivo, cfr. S. Pacchi, L’abuso del diritto nel concordato preventivo, in Giust. civ., 2015, 789 ss., e, alla luce delle nuove previsioni del c.c.i.i., R. Santagata, Concordato preventivo “meramente dilatorio” e nuovo “Codice della crisi e dell’insolvenza”: verso il tramonto dell’abuso di diritto (o del processo)?, in Dir. fall., 2019, 333 ss.

[39] F. Signorelli, Il concordato di un ... concordato “non s’ha da fare”, 28 aprile 2020, in ilFallimentarista.it, che commenta adesivamente una decisione del Tribunale di Bologna, a quanto consta inedita.

[40] Conf., in relazione ad una nuova proposta che preveda un allungamento dei tempi di esecuzione del concordato, S. Ambrosini, (nt. 6), 99 s., e Id., Contenuti e fattibilità del piano di concordato preventivo alla luce della riforma del 2012, 21 agosto 2012, reperibile in www.ilcaso.it, 5.

[41] Come ben ricorda V. Zanichelli, Sindacato del tribunale sui tempi di esecuzione del concordato preventivo (commento a Trib. Palermo, 31 ottobre 2014), in Fallimento, 2015, 828, «il consenso alla proposta del debitore interviene attraverso il meccanismo del voto nell’ambito di una platea di soggetti che non hanno scelto volontariamente di assoggettare i loro diritti di credito al volere della maggioranza il cui potere incontra dunque dei limiti legali, posti a tutela della minoranza non assenziente, il rispetto dei quali è condizione di ammissibilità del concordato».

[42] V. Trib. Padova, 17 gennaio 2020, (nt. 35), ove si legge che «l’alternativa che si pone in concreto per i creditori concordatari risiede nell’accettare una modifica al piano (e quindi aderire alla proposta di ristrutturazione secondo le nuove condizioni) ovvero nel non aderire all’accordo di ristrutturazione, con conseguente diritto a conseguire nei tempi e nella misura di quanto oggetto della proposta concordataria omologata». Più problematico il raffronto tra accordi di ristrutturazione e concordato preventivo se ci si sposta sul versante degli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa (ex accordi di ristrutturazione con intermediari finanziari) di cui all’art. 182-septies l. fall. Si potrebbe valorizzare la prescrizione secondo cui il tribunale procede all’omologazione dell’accordo ex art. 182-septies l. fall. solo previo accertamento, inter alia, che i creditori della medesima categoria non aderenti cui vengono estesi gli effetti dell’accordo «possano risultare soddisfatti in base all’accordo stesso in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili». Tuttavia, la possibilità di utilizzare lo strumento di cui all’art. 182-septies l. fall. per rinegoziare un concordato preventivo omologato sembra contrastare con la necessità, allo stato, che i creditori concordatari non subiscano una modificazione delle condizioni della proposta a suo tempo approvata senza il proprio consenso. Analoghe perplessità sono espresse da M.A. Maiolino, C. Zambotto, (nt. 35), 608 s., che concludono in senso negativo; ma v. le diverse considerazioni di D. Vattermoli, (nt. 3), 6 ss. La stessa questione potrebbe oggi porsi anche per l’amministrazione finanziaria e gli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie, alla luce del nuovo periodo inserito nel­l’art. 182-bis, quarto comma, l. fall. in sede di conversione del d.l. 7 ottobre 2020, n. 125; sebbene l’omologo intervento nel corpo dell’art. 180, quarto comma, l. fall., frutto della comune esigenza di favorire soluzioni concordate neutralizzando resistenze talvolta ingiustificate, consenta di superare più agevolmente un’obiezione di questo tipo.

[43] Cfr. anche I. Kutufà, Emergenza e crisi d’impresa: profili problematici e snodi interpretativi, in RDS, 2021, 403 ss., la quale tuttavia propone una diversa ricostruzione rispetto a quella suggerita nel testo, richiamando il rimedio civilistico della liberazione dagli obblighi originariamente contratti per la sopravvenuta impossibilità di eseguire la prestazione.

[44] Sulla medesima linea, si ritiene, si pone l’orientamento (giurisprudenziale e dottrinale) in favore dell’impossibilità di rinunciare al(la domanda di) concordato dopo la sua omologazione: v., per tutti, Cass. civ., sez. I, 10 ottobre 2019, n. 25479, (nt. 38), dove la Corte precisa che l’o­mologazione del concordato è il momento «che consacra il consenso sulla proposta concordataria già manifestato dal ceto creditorio in sede di approvazione e che avvia il concordato alla sua necessaria e successiva fase esecutiva» (punto 4.1.7); Cass. civ., sez. I, 28 aprile 2015, n. 8575, in Fallimento, 2016, 29 ss., con commento di M. Vacchiano; Trib. Pistoia, 20 dicembre 2017, (nt. 20), 743. In dottrina v., in particolare, S. Ambrosini, (nt. 6), 403 ss., e Id., La rinuncia al concordato preventivo dopo la legge (n. 40/2020) di conversione del “Decreto liquidità”: nascita di un “ircocervo”?, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 10 giugno 2020, reperibile in www.ilcaso.it., dove l’autore torna ad affrontare l’argomento alla luce dei recenti interventi normativi.

[45] Il dibattito è molto vivo, sia in giurisprudenza che in dottrina. Ci si limita a richiamare, considerando le pronunce più recenti, Cass. civ., sez. VI, 22 giugno 2020, n. 12085, reperibile in www.ilcaso.it; Cass. civ., sez. I, 17 ottobre 2018, n. 26002, in Dir. fall., 2019, 882 ss., con nota di R. Metafora; Cass. civ., sez. VI, 11 dicembre 2017, n. 29632, in Fallimento, 2018, 731 s., con commento di M. Ratti, A. Pezzano; Cass. civ., sez. VI, 17 luglio 2017, n. 17703, reperibile in www.ilcaso.it; in senso difforme merita di essere segnalata, per l’ampiezza della motivazione, App. Firenze, 16 maggio 2019, in Dir. fall., 2020, 842 ss., con nota di R. Fava, che a sua volta richiama gli argomenti ben sviluppati da Trib. Pistoia, 20 dicembre 2017, (nt. 20), 735 ss., secondo la quale «la risoluzione del concordato è l’unica possibilità di reazione creata dall’ordinamento per l’inadempimento alle obbligazioni assunte con quello specifico concordato omologato, rimettendo esclusivamente ai creditori la valutazione sulla richiedibilità o meno della misura e conseguentemente della possibilità o meno di accedere al fallimento in seconda battuta». Cfr., altresì, le perplessità che emergono da altro arresto della Suprema Corte (Cass. civ., sez. I, 22 maggio 2019, n. 13850, reperibile in www.ilcaso.it) relativo alla diversa, seppur connessa, questione della fallibilità di un’impresa che abbia ottenuto l’omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti.

[46] Ciò salvo che lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo: v. art. 119, ult. comma, c.c.i.i. Nella Relazione illustrativa al d.lgs. n. 147/2020 è precisato che detto comma è stato introdotto al fine di dirimere un contrasto interpretativo non sopito neppure successivamente agli interventi della Corte di Cassazione. La stessa Suprema Corte, peraltro, è nuovamente intervenuta sull’argo­mento rimettendo, mediante ordinanza redatta dalla Prima Sezione Civile, al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la decisione in ordine all’ammissibilità dell’istanza di fallimento ex artt. 6 e 7 l. fall. nei confronti di impresa già ammessa al concordato preventivo poi omologato, a prescindere dall’intervenuta risoluzione di quest’ultimo, ravvisandovi una questione di massima di particolare importanza: v. Cass. civ., sez. I, 31 marzo 2021, n. 8919, reperibile in www.dirittobancario.it e in Dir. fall., 2021, 736 ss., con nota di M. Di Lauro, dalla quale ben emergono le perplessità del Collegio per la soluzione che ammette il fallimento omisso medio. Fa il punto sulla complessa questione S. Ambrosini, Inadempimento del concordato preventivo: fallimento omisso medio o previa risoluzione? La parola alle Sezioni Unite, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 24 aprile 2021, reperibile in www.ilcaso.it.

[47] Diversamente S. Leuzzi, (nt. 21), 154 s.

[48] Similmente, seppur in relazione alla diversa ipotesi della consecuzione di due accordi di ristrutturazione dei debiti, Trib. Terni, 4 luglio 2011, in Fallimento, 2012, 206, con commento di M. Arato: secondo il Tribunale, l’attivazione ex novo dell’intera procedura di omologazione di un accordo modificativo-integrativo presupporrebbe il venir meno, per risoluzione o annullamento, dell’originario accordo di ristrutturazione. Trattasi però, a quanto consta, di una posizione minoritaria, se non isolata, con riguardo agli accordi ex art. 182-bis l. fall.: cfr., in luogo di altri, Università degli Studi di Firenze, CNDCEC e Assonime, Linee-guida per il finanziamento alle imprese in crisi2, 2015, raccomandazione n. 27.

[49] V. supra, nt. 44, e in particolare i condivisibili argomenti di Cass. civ., sez. I, 28 aprile 2015, n. 8575, (nt. 44), 30.

[50] Il virgolettato è di Cass. civ., sez. I, 14 gennaio 2015, n. 495, reperibile in www.
ilcaso.it, punto 2.1.1; v. anche Cass. civ., sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4342, ivi; Cass. civ., sez. I, 10 ottobre 2019, n. 25479, (nt. 38); Cass. civ., sez. I, 31 marzo 2016, n. 6277, (nt. 38), 885. Conf. M. Ratti, A. Pezzano, L’irrealizzabile esecuzione del concordato preventivo: il fallimento senza risoluzione (commento a Cass. civ., sez. VI, 11 dicembre 2017, n. 29632, Trib. Rovigo, 7 dicembre 2017, Trib. Pistoia, 20 dicembre 2017), in Fallimento, 2018, 748, testo e nt. 46; A. Pazzi, L’infinito mondo della consecuzione fra procedure concorsuali, ivi, 2015, 28.

[51] Cfr., seppur in relazione al fallimento omisso medio, Trib. Pistoia, 20 dicembre 2017, (nt. 20), 738, lì dove, condivisibilmente, si afferma che sarebbe «irragionevole che effetti preclusivi analoghi a quelli imposti dalla pendenza di una mera domanda di concordato non abbia a sortire anche la pendenza di un concordato omologato. Se il principio di diritto è che solo lo scrutinio con esito negativo della domanda di concordato rimuove la preclusione al fallimento, parrebbe ragionevole dedurne che, in caso di esito favorevole per intervenuta omologa, l’ef­fetto preclusivo, piuttosto che venir meno, debba cristallizzarsi fino al momento della eventuale risoluzione»; nonché Cass. civ., sez. I, 22 maggio 2019, n. 13850, (nt. 45), lì dove, dopo aver richiamato gli approdi della giurisprudenza di legittimità in tema di rapporto tra procedimento prefallimentare e concordato preventivo, sottolinea che «la domanda di concordato rappresenta concettualmente un minus rispetto al concordato omologato» (punto 10.3).

[52] V., sul punto, Cass. civ., sez. un., 28 dicembre 2016, n. 27073, e Cass. civ., sez. un., 27 dicembre 2016, n. 26989, in Fallimento, 2017, 537 ss., nonché i successivi rilievi di I. Pagni, Decisorietà e definitività dei provvedimenti in materia di concordato e accordi nella prospettiva delle Sezioni unite, 542 ss., in part. 551 s.

[53] M. Sciuto, (nt. 12), 1501 s.; arriva alle medesime conclusioni, seppur seguendo un percorso argomentativo diverso (e che parte da presupposti diversi) e riferendosi specificamente al concordato in continuità, A. Rossi, L’esecuzione del concordato di risanamento, tra governance e conflitti, in Fallimento, 2017, 1011 s. L’interpretazione suggerita nel testo non sembra, invero, trovare smentita nell’affermazione giurisprudenziale che il piano non può essere disgiunto dalla proposta, di cui costituisce lo strumento di realizzazione, con la conseguenza che la prognosi favorevole in ordine all’esito del concordato è inevitabilmente connessa, dal punto di vista causale, alla buona riuscita del piano: v. Cass. civ., sez. I, 28 aprile 2015, n. 8575, (nt. 44), 32. In questa pronuncia, la questione posta all’attenzione dei giudici di legittimità concerne la possibilità di modificare, dopo il limite temporale previsto dalla legge per la modificabilità delle proposte, le sole modalità esecutive indicate nel piano di concordato, rimanendo immodificate le condizioni offerte ai creditori; si riferisce quindi ad una fase precedente all’omologazione, in cui il legislatore vuole essenzialmente evitare, per usare le stesse parole della Corte, «che il calcolo delle maggioranze si fondi su voti espressi in riferimento ad un piano diverso da quello destinato ad essere effettivamente eseguito». Per le stesse ragioni non si ritiene di poter trarre indicazioni, a contrario, dall’art. 9, secondo comma, d.l. n. 23/2020, lì dove stabilisce che nei procedimenti di concordato preventivo pendenti alla data del 23 febbraio 2020 il debitore può presentare istanza al tribunale per la concessione di un termine «per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato ai sensi dell’articolo 161» (enfasi aggiunta).

[54] In senso conforme A. Farolfi, Procedure concorsuali e COVID-19: prime riflessioni alla luce del d.l. liquidità, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 28 aprile 2020, reperibile in www.ilcaso.it, 18 s.; e, sembra, I. Kutufà, (nt. 43), 405; diversamente, de iure condito, D. Vattermoli, (nt. 3), 8. In favore della modificabilità del piano si esprime anche la Relazione tematica n. 56, (nt. 21), 18 s., ma lo fa sulla base delle norme civilistiche e, in particolare, «dei principi che reggono il sistema della revisione e dell’adeguamento dei contratti in caso di eventi sopravvenuti».

[55] In favore di un coinvolgimento del commissario giudiziale si esprime anche D. De Filippis, (nt. 4), 7.

[56] V. anche A. Guiotto, Il ruolo del commissario giudiziale nei concordati preventivi influenzati dalla pandemia da Covid-19, in Fallimento, 2020, 1028.

[57] Come sostenuto da G. Limitone, (nt. 21), 4.

[58] Conf. Relazione tematica n. 56, (nt. 21), 18 s., e S. Leuzzi, (nt. 21), 167 e 176, sulla scorta di una motivazione in parte diversa. Sembrano avvalorare quanto qui sostenuto i Principi di attestazione dei piani di risanamento, documento approvato con delibera del CNDCEC del 16 dicembre 2020, nella parte in cui, nel chiarire cosa si intende per modifiche sostanziali del piano (che rendono necessaria una nuova attestazione), precisano che «non è una modifica sostanziale la modifica dell’action plan che non comporti un cambiamento delle intenzioni strategiche del piano» e aggiungono che «costituisce, ad esempio, un cambiamento di intenzioni strategiche la dismissione di un ramo aziendale del quale era previsto dal Piano originario la conduzione diretta» (ivi, par. 9.2). Nel senso del testo, seppur con riguardo all’art. 119 c.c.i.i., G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino, Giappichelli, 2021, 144.

[59] V., a titolo esemplificativo, Trib. Prato, 12 novembre 2018, reperibile in www.ilcaso.it.

[60] Per una ricostruzione in parte diversa, che verte sull’applicazione dell’art. 1186 c.c., cfr. F. Sacchi, (nt. 11), 175 ss.

[61] La questione è posta anche da A. Farolfi, (nt. 54), 19, e A. Guiotto, (nt. 56), 1029.

[62] Quanto al reato di bancarotta semplice, peraltro, il fatto che la punibilità dell’aggra­vamento del dissesto sia, secondo l’orientamento della Suprema Corte (v., da ultimo, Cass. pen., sez. V, 24 settembre 2020, n. 32422, reperibile in www.dirittobancario.it), circoscritta alla colpa grave dovrebbe notevolmente ridurre il rischio di integrazione della fattispecie penale nel caso di cui si discute in questo scritto.

[63] La questione si è posta più spesso con riguardo a scostamenti nell’esecuzione di accordi di ristrutturazione dei debiti, rispetto ai quali prevale, in dottrina, un’interpretazione restrittiva: cfr. M. Arato, Modifiche all’accordo di ristrutturazione dei debiti e nuovo controllo giudiziario (commento a Trib. Terni, 4 luglio 2011), in Fallimento, 2012, 209 s.; M. Fabiani, Fase esecutiva degli accordi di ristrutturazione e varianti del piano e dell’accordo, ivi, 2013, 773 ss.; A. Guiotto, Gli scostamenti dal piano, in Il ruolo del professionista nei risanamenti aziendali, a cura di M. Fabiani, A. Guiotto, Torino, Eutekne, 2012, 121 ss.; F. Macario, Il monitoraggio del piano: esecuzione e rinegoziazione, in Fallimento, 2014, 1003 ss.; M. Sciuto, Effetti legali e negoziali degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Riv. dir. civ., 2009, I, 364; P. Valensise, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nella legge fallimentare, Torino, Giappichelli, 2012, 479 s., 493 e 521. In questo senso anche Università degli Studi di Firenze, CNDCEC e Assonime, (nt. 48), raccomandazioni nn. 18 e 27.

[64] Di diverso avviso M. Sciuto, (nt. 12), 1501, lì dove afferma che sarebbe opportuno, se si volesse continuare a godere dell’esenzione dall’azione revocatoria per gli atti compiuti in esecuzione del nuovo percorso divisato, formalizzare la possibile rinegoziazione con i creditori in una ulteriore procedura concordataria; e, sembra, anche F. Sacchi, (nt. 11), 165 ss., testo e nt. 43.

[65] V. quanto si è appena sostenuto, nel testo, in merito al concordato con continuità aziendale e alla sua “evoluzione” in senso liquidatorio.

[66] Considerazioni analoghe valgono, a fortiori, per la condotta degli amministratori, qualora il debitore in concordato sia una società, i quali si siano discostati dalle condizioni originariamente previste ai fini dell’effettivo adempimento della proposta e del soddisfacimento dei creditori (v., sul punto, anche G.B. Nardecchia, (nt. 8), 1339). Sulla possibile responsabilità degli amministratori in caso di scostamento dal piano di concordato in continuità (e sulla disciplina applicabile) si sofferma diffusamente A. Rossi, (nt. 53), 1010 ss.

[67] Oltre al già citato art. 9 d.l. n. 23/2020, v., mutatis mutandis, d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, conv., con modificazioni, dalla l. 18 febbraio 2004, n. 39 (decreto “Marzano”), ove, all’art. 4, è stato inserito il comma 4-ter.1 (inserimento operato dal comma 14-bis dell’art. 23 d.l. 1 luglio 2009, n. 78, nel testo integrato dalla relativa legge di conversione, ossia la l. 3 agosto 2009, n. 102).

[68] Cass. civ., sez. I, 31 luglio 2019, n. 20652, (nt. 6), punto 4.2.1 (enfasi aggiunta).

[69] Per la non modificabilità, in sede di esecuzione, del termine di adempimento v. anche G.B. Nardecchia, (nt. 12), 256.

[70] Cfr., in particolare, Trib. Genova, 26 giugno 2014, (nt. 8); Trib. Modena, 11 giugno 2014, (nt. 6), il quale, dopo aver evidenziato che la componente temporale dell’adempimento integra la causa concreta del concordato, aggiunge che «hanno rilievo anche nel concordato con cessione dei beni i tempi di adempimento che il debitore deve necessariamente indicare nel piano (come oggi peraltro esplicitato alla lett. e) co. 2 art. 161 l. fall.) […] e, in fase attuativa, costituiscono uno dei parametri su cui misurare l’inadempimento»; Trib. Prato, 30 aprile 2014, reperibile in www.ilcaso.it, ove è ben rilevato come «il piano, conformemente alle prescrizioni della legge, che richiede l’indicazione dettagliata delle modalità e dei tempi, scandisca con precisione i termini di pagamento sia dal punto di vista dell’importo delle rate che da quello della scadenza delle stesse. Ciò consente di salvaguardare l’interesse dei creditori […] a non vedersi espropriati del diritto di chiedere la risoluzione del concordato per inadempimento per tutta la durata del piano e fino alla sua conclusione, potendo essi reagire con riferimento alle scadenze prospettate qualora l’inadempimento non sia di scarsa importanza». In dottrina v., in senso conforme, T. Ariani, Brevi note in tema di risoluzione del concordato preventivo con cessione dei beni (commento a Cass. civ., sez. I, 14 marzo 2014, n. 6022, e Trib. Modena, 11 giugno 2014), in Fallimento, 2015, 553 s.; G. Capo, Art. 186, in Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, a cura di A. Nigro, M. Sandulli, V. Santoro, Torino, Giappichelli, 2014, 548 s. Diversamente Trib. Busto Arsizio, 8 ottobre 2019, reperibile in www.ilcaso.it, e, con specifico riferimento al concordato con cessione dei beni, G. Giurdanella, Percentuali e tempi di realizzo nel concordato preventivo e controllo del tribunale, in Fallimento, 2013, 1256 s.

[71] Cass. civ., sez. VI, 5 giugno 2018, n. 14409, in Pluris; v. altresì App. Bologna, 14 gennaio 2020, reperibile in www.giuraemilia.it.

[72] Cfr., ad esempio, Trib. Piacenza, 19 giugno 2019, reperibile in www.ilcaso.it, che nel respingere una domanda di risoluzione ha rilevato, quanto al profilo del dedotto ritardo nell’a­dempimento, come esso fosse dovuto a vicende che riguardavano non tanto il piano in sé, bensì l’attività degli organi della procedura (nella specie, il liquidatore giudiziale, poi sostituito).

[73] In senso affermativo D. Finardi, La crisi del Covid-19 nella crisi d’impresa: ipotesi propositive per i concordati preventivi omologati divenuti infattibili e per il concordato fallimentare, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 19 maggio 2020, reperibile in www.ilcaso.it, ivi 8 s.

[74] Ossia modifiche resesi necessarie a causa di scostamenti (non previsti e non assorbiti da meccanismi di aggiustamento o correttivi già contenuti nel piano) tra la situazione in atto o concretamente verificatasi e le azioni programmate nel piano tali da incidere sull’esatto adempimento dell’accordo: v. G.B. Nardecchia, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti nel Codice della crisi e dell’insolvenza, in Fallimento, 2020, 1052.

[75] Conf. G.B. Nardecchia, (nt. 74), 1052; V. Zanichelli, (nt. 26), 67; diversamente F. Marelli, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Strategie e strumenti di risanamento nel codice della crisi e del­l’insolvenza e nel diritto emergenziale, a cura di G. Rocca, Quaderni SAF, n. 84, 2021, 193 s.

[76] V. supra, par. 2.

[77] G.B. Nardecchia, (nt. 8), 1335, rileva che la norma in oggetto è espressiva di un principio generale che identifica soltanto nell’accordo o nella proposta un obbligo immodificabile, essendo al contrario possibile, e anzi doverosa, ogni modifica del piano che si renda necessaria per la loro attuazione.

[78] Cui adde la possibilità per i creditori di fare opposizione avanti al tribunale entro trenta giorni dalla ricezione dell’avviso di pubblicazione del piano modificato e dell’attestazione nel registro delle imprese: v. art. 58, secondo comma, ult. periodo, c.c.i.i. Questa parte della disposizione, peraltro, si presta a dubbi e incertezze interpretativi data la sua laconicità.

[79] La questione è ben riassunta nella Relazione illustrativa al c.c.i.i., sub art. 87, dove si precisa che «con una disposizione che si propone […] di superare le attuali incertezze relative alla gestione nella fase esecutiva del concordato allorquando si verificano situazioni che impongono uno scostamento rispetto alle previsioni di piano […] si richiede l’indicazione […] degli strumenti da adottare per assicurare l’adempimento della proposta nel caso in cui le previsioni su cui il piano è fondato non si realizzino o comunque si verifichino nuove circostanze che mettano a rischio il raggiungimento degli obbiettivi prefissati».

[80] Ciò in vista dell’obiettivo comune di individuare la migliore soluzione della crisi o la migliore regolazione dell’insolvenza: così, testualmente, la Relazione illustrativa al c.c.i.i., sub art. 4.

[81] Ravvisa l’esistenza di un dovere di rinegoziazione in capo ai creditori D. Finardi (nt. 73), 10 s.

[82] Cfr., sul punto, G. D’Attorre, I principi generali nel diritto della crisi d’impresa, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 1089. Segnalano il carattere innovativo della disposizione S. Ambrosini, I “princìpi generali” nel Codice della crisi d’impresa, in Crisi d’Impresa e Insolvenza, 26 gennaio 2021, reperibile in www.ilcaso.it, 7 ss., sebbene l’autore sottolinei l’eco, che nella stessa si avverte, delle corrispondenti previsioni codicistiche (artt. 1375, 1337 e 1175 c.c.); nonché R. Rordorf, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell’ambito dei principi generali del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fallimento, 2021, 598.

[83] Diversamente F. Macario, (nt. 63), 1001 s., il quale, occupandosi della questione in relazione agli accordi di ristrutturazione ex art. 182-bis l. fall., si era già espresso nel senso della possibilità di ricorrere agli artt. 1175 e 1375 c.c. per ricavare un obbligo, in capo ai creditori aderenti, di trattare correttamente per la revisione del piano e dell’accordo.

[84] Per un esempio di particolare interesse ai nostri fini perché relativo a una «mera modalità esecutiva» imposta ad una delle parti del rapporto contrattuale, Cass. civ., sez. III, 9 marzo 1991, n. 2503, in Corr. giur., 1991, 789 ss., con commento di A. di Majo.

[85] Così, con riguardo alla disciplina attuale, la Relazione tematica n. 56, (nt. 21), 18, e S. Leuzzi, (nt. 21), 164 s. e 175 s., la cui posizione è condivisa da F. Iozzo, (nt. 4), 211. In senso conforme I. Kutufà, (nt. 43), 404 s.

[86] Cfr. C.M. Bianca, Diritto civile. 3. Il contratto3, Milano, Giuffrè Francis Lefebvre, 2019, 459 ss., in part. 461 s., il quale, se da un lato riconosce che una parte possa essere tenuta, in forza della buona fede oggettiva, a tollerare che la controparte esegua una prestazione diversa da quella dovuta, circoscrive tali ipotesi a modifiche irrisorie rispetto al valore globale della prestazione.

[87] Che, com’è stato osservato, può anche consistere in un arco temporale compreso tra un tempo minimo e un tempo massimo: v. M. Arato, Il piano di concordato e la soddisfazione dei creditori concorsuali, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto da O. Cagnasso, L. Panzani, III, Assago, Utet Giuridica, 2016, 3447.

[88] In questo senso si è recentemente espressa anche App. L’Aquila, 5 ottobre 2020, in Fallimento, 2021, 370 s., con commento di V. Baroncini, nell’ambito di una fattispecie nella quale il tribunale aveva autorizzato la proroga del termine per l’esecuzione del concordato. Di altro avviso, pronunciandosi in merito ad un piano del consumatore, Trib. Napoli, 17 aprile 2020, (nt. 25), 1143.

[89] M. Fabiani, (nt. 4), 593; A. Guiotto, (nt. 56), 1030; G.B. Nardecchia, (nt. 8), 1340 s.; nonché, precedentemente all’attuale emergenza epidemiologica, D. Vattermoli, (nt. 3), 5.

[90] Conf. M.A. Maiolino, C. Zambotto, (nt. 35), 603. Cfr., in merito ad accordi di ristrutturazione dei debiti e piani di risanamento, M. Arato, (nt. 63), 208; A. Guiotto, (nt. 63), 115 ss.; F. Pirisi, Accordi di ristrutturazione: inadempimenti e scostamenti rispetto alle previsioni di piano, 30 agosto 2017, in ilFallimentarista.it.