Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
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La teoria dei vantaggi compensativi: quale momento migliore per metterla in pratica? (di Marina Spiotta, Professore associato di diritto commerciale, Università degli Studi del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”)


Il saggio esamina la teoria dei vantaggi compensativi, che ha ormai travalicato i confini del Codice civile e conquistato anche il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza e la cui adozione potrebbe aiutare la fase della ripartenza.

L’Autrice, dopo aver ricostruito la genesi dottrinale della teoria e lo stato dell’arte, si sofferma sulle norme del d. lgs. n. 14/2019, emendato dal primo decreto correttivo, che hanno accolto, espressamente o implicitamente, tale teoria, per poi evidenziare le differenze tra i due orditi codicistici ed accennare ad alcune questioni interpretative.

The compensatory advantage theory: what better time to put it into practice?

The paper examines the theory of compensatory advantages, which has now gone beyond the boundaries of the Civil Code and also conquered the Code of business crisis and insolvency and whose adoption could help the restart phase.

The Author, after reconstructing the doctrinal genesis of the theory and the results achieved by the doctrine, analyzes the norms of Legislative Decree no. 14/2019 amended by the first corrective decree, which accepted, expressly or implicitly, this theory; she therefore examines the differences between the two codes and mentions some interpretative issues raised or brought to attention by the recent reform.

Keywords: compensatory advantages; results achieved by the doctrine; potential

CONTENUTI CORRELATI: vantaggi compensativi

Sommario/Summary:

1. Premessa - 2. Le origini della teoria. - 3. Gli artt. 2497 e 2634 c.c. - 3.1. Stato dell’arte. - 4. Gli artt. 284 e 285 c.c.i.i. - 4.1. Differenze tra i due orditi codicistici. - 4.2. Altri riferimenti impliciti. - 5. Nuovi temi d’indagine. - 5.1. Segue: e vexatae quaestiones mai sopite. - 6. Un cenno alla (logica sottesa alla) normativa emergenziale. - 7. Verso una rimodulazione degli artt. 2043 e 2740 c.c.? - 8. Una conclusione e due auspici. - NOTE


1. Premessa

Il 16 febbraio del 2018 si è svolto a Torino un Laboratorio di diritto commerciale su «Impresa, società, governance: problemi e prospettive» in occasione del quale è stato presentato il volume del Prof. Montalenti intitolato «Impresa, società di capitali, mercati finanziari» [1]. Il parterre era composto da autorevoli Relatori, tra cui il Prof. Vincenzo Di Cataldo che durante il suo intervento profetizzò che l’onorato “passerà alla storia” per aver elaborato la teoria c.d. dei vantaggi compensativi. Ascoltandolo mi sono ricordata di quando, nel settembre 2002, frequentai a Milano il seminario organizzato da Borsa Italiana su «La riforma del diritto societario e il codice di autodisciplina: effetti sulla Corporate Governance» ed ebbi il privilegio, durante un breve coffee break, di scambiare poche parole con il compianto Prof. Franco Bonelli, il quale, appresa la notizia della mia appartenenza alla scuola torinese, non esitò a collegarmi al Prof. Montalenti e a farmi qualche anticipazione sull’art. 2497 c.c.

Di qui l’idea (sicuramente non originale) di onorarlo con un saggio sull’ar­gomento, non certo con la presunzione di aggiungere qualcosa a quanto già scritto, ma con il più limitato scopo di proporre qualche riflessione su una formula che ha ormai conquistato anche il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (d’ora in poi, per brevità, c.c.i.i.) e potrebbe essere la chiave di volta per la ripartenza post-Covid-19.


2. Le origini della teoria.

Come ci ripete sempre il Maestro, prima di scrivere su un argomento sarebbe opportuno studiarlo a fondo, perché l’originalità (che è uno dei criteri di valutazione ai fini dell’A.S.N.) non è una mera convinzione personale di chi crede di avere questo requisito perché ignora lo stato dell’arte, ma un “dato oggettivo” che si misura sulla capacità del candidato/a di raggiungere risultati di rilevante qualità, tali da conferirgli una posizione riconosciuta nel panorama anche internazionale della ricerca.

Ho cercato di seguire il consiglio e sono andata a rileggermi le pagine dello scritto di Mignoli [2] ed i contributi a firma dello studioso qui onorato in cui si trova la più compiuta formulazione della teoria [3], che ha poi trovato numerosi seguaci in dottrina [4], fatto breccia in giurisprudenza [5] ed è infine stata recepita a livello normativo.

Nei contributi citati in nota, il Prof. Montalenti sosteneva che la revisione della concezione atomistica del conflitto di interessi dovesse «fondarsi sul­l’idea che la compatibilità con l’interesse sociale dell’interesse di gruppo deve valutarsi in termini di razionalità e coerenza di una singola scelta, ancorché pregiudizievole per la società che la pone in essere, rispetto ad una politica economica generale di gruppo di medio e lungo termine, da cui ragionevolmente può derivare un vantaggio alla singola società, anche su piani economici differenti, anche in tempi diversi rispetto al momento dell’operazione ed anche secondo un parametro non rigidamente proporzionale, né necessariamente quantitativo» [6]. «Carattere logico-funzionale del giudizio, riferimento al contesto ex-ante e non ex-post, coerenza e razionalità economica rispetto alla strategia di gruppo, ragionevole probabilità di un vantaggio compensativo, non necessaria coincidenza tra tempus del sacrificio e momento della “controprestazione”, inessenzialità di una relazione rigidamente proporzionale tra vantaggio e svantaggio costituiscono in definitiva gli elementi, che, […], precisano i contorni della teoria della compensazione, offrendo all’interprete e al giudice un criterio indicativo per tracciare un confine tra “socialità” e “extrasocialità” dell’interesse di gruppo e, quindi, tra fisiologia e patologia nelle strategie economico-finanziarie di gruppo» [7].

È quella che tutti conosciamo (e anche nei manuali viene spiegata) come “teoria dei vantaggi compensativi”, espressione riassuntiva che, sebbene possa suggerire un quid di aprioristico [8] e nascondere una certa dose di ottimismo [9], ha il pregio indiscusso di essere auto-esplicativa e facilmente memorizzabile (anche dagli studenti) per assonanza con la dicitura “interessi compensativi” e per contiguità con il principio della compensatio lucri cum damno [10].


3. Gli artt. 2497 e 2634 c.c.

Questa teoria ha trovato una «malferma base legale» [11] nel secondo periodo del primo comma dell’art. 2497 c.c. e una «più sostanziosa conferma», quasi verbatim, nell’art. 2634, terzo comma, c.c., la cui formulazione, tuttavia, non è ineccepibile.

Nella prima norma – introdotta dal d. lgs. n. 6/2003 in ossequio all’art. 10, lett. a), della l. delega n. 366/2001 [12] – si legge che «non vi è responsabilità» della holding «quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette» [13]. La formulazione è «per metà superflua» (essendo evidente che se non c’è il danno non ci può essere responsabilità) e per l’altra metà «reticente» (l’esonero è previsto dall’ultima frase del primo comma che disciplina la responsabilità della capogruppo, ma è ovvio che l’elisione del danno gioverebbe anche a chi abbia preso parte al fatto lesivo o ne abbia consapevolmente tratto beneficio, la cui responsabilità solidale è contemplata dal secondo comma).

Compensativa potrebbe considerarsi anche l’operazione all’esito della quale il danno risulti azzerato dalla stessa società controllata tramite la soddisfazione dei soci c.d. esterni e dei suoi creditori (v. terzo comma) «secondo un meccanismo meramente “fattuale”» [14], che andrebbe classificato quale misura volta ad elidere l’illiceità della condotta in ossequio al favor del legislatore per l’aggregazione societaria al fine di trarne vantaggi “da gruppo” [15].

L’art. 2634, terzo comma, c.c. – riformulato dal d. lgs. n. 61/2002 in attuazione dell’art. 11, primo comma, lett. a), n. 12, della stessa legge delega – dà invece espressamente rilievo, ai fini dell’esclusione della rilevanza penale della condotta d’infedeltà patrimoniale, ai «vantaggi conseguiti o fondatamente prevedibili derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo», anche se qualifica impropriamente come «ingiusto» (e pertanto da compensare con il vantaggio) il «profitto», anziché il «danno» [16].

L’eco della teoria dei vantaggi compensativi (concepiti, rispettivamente, come un’esimente e una scriminante) è forte e chiaro e si avverte ancora di più rileggendo i lavori preparatori [17] che, pur non citando il Prof. Montalenti, mostrano di aderire alla sua tesi.

I paradigmi dei precetti sopra citati non sono però coincidenti [18] e, sebbene di ciò sia stata fornita una plausibile spiegazione (in parte incrinata dal d. lgs. n. 14/2019) [19], andrebbero armonizzati estendendo la più favorevole regola penalistica (e oggi concorsuale) alla corrispondente disciplina civilistica [20], mentre la giurisprudenza tende ad esigere, anche per la fattispecie di esonero penale, una quasi-certezza del conseguimento dei vantaggi compensativi, spostando ex post il momento di rilevanza dell’accertamento [21].

Dei vantaggi compensativi si sono poi andate delineando diverse varianti [22], che, con un certo margine di approssimazione dovuto ad esigenze di sintesi, possono così schematizzarsi:

– la prima versione, più fedele al pensiero dell’ideatore della teoria [23], ne consente una valutazione ampia ed elastica, che non sia necessariamente a “saldo algebrico pari a zero” e che possa avvenire anche in tempi diversi e su piani economici differenti;

– l’altra, più rigorosa, caratterizzata da una valutazione aritmetica/ragio­nieristica di vantaggi e svantaggi, con la conseguenza che il discrimen fra legittimità e illegittimità di un’operazione dannosa per la singola impresa consisterebbe nella piena compensazione fra lost e gain così come richiede la legge azionaria tedesca [24].

Ancor più severa è la posizione di quello che in Italia può considerarsi il leading case in materia di vantaggi compensativi [25], che, forzando il dato letterale dell’art. 2497 c.c., sembra richiedere una contestualità tra danni e vantaggi prodotti da un singolo atto e quindi una valutazione sotto il profilo, non solo quantitativo, ma anche qualitativo.

Com’è facile intuire, cambiando il metodo varia anche il risultato, nel senso che il giudizio potrà giungere ad esiti diametralmente opposti a seconda che, in linea con la formulazione testuale dell’art. 2497 c.c., si ritenga che il vantaggio possa scaturire da una sintetica valutazione complessiva (e non necessariamente contestuale) del risultato globale dell’attività di direzione e coordinamento oppure da una rigorosa comparazione analitica tra esiti positivi e negativi della singola operazione incriminata, senza che rilevino eventuali benefici conseguiti o conseguibili dalla società eterodiretta in tempi diversi e anche ad altro titolo.

Il dilemma tra compensazione effettiva e compensazione virtuale potrebbe essere – ed è stato – ricondotto all’interrogativo più ampio (sul quale anche il Prof. Montalenti ha interloquito): rules o standards [26]?

La tesi più largheggiante [27] consente di evitare un appiattimento sul principio generale della compensatio lucri cum damno e di non leggere le due esimenti (separate da «ovvero» e poste in rapporto di sussidiarietà [28]) come un’endiadi, stante l’attenta scelta dei vocaboli («mancante» ed «eliminato» [29]) e la specificazione, solo nella seconda proposizione, dell’avverbio «integralmente». Inoltre, la concezione rigida dei vantaggi compensativi «mal si attaglia al carattere dinamico dell’attività di gruppo» [30] e agli stessi obblighi di motivazione (art. 2497 ter c.c.) e di trasparenza (v. in particolare l’art. 2497 bis, quinto comma, c.c.) che, come spiega la Relazione di accompagnamento, servono a «consentire di valutare se l’apparente diseconomicità di un atto, isolatamente considerato, trovi giustificazione nel quadro generale dei costi e benefici derivanti dall’integrazione di un gruppo oppure no». Senza contare le norme sulla prevedibilità del danno (art. 1225 c.c.) [31] e sui flussi finanziari futuri [art. 2427 bis c.c. e artt. 2, lett. a); 13, primo comma, e 285, primo comma, c.c.i.i.].

Aderendo a tale impostazione, si ricavano i seguenti corollari:

– la valutazione circa la mancanza del danno andrebbe effettuata, non ex post, “calcolatrice alla mano” (come sembrerebbero suggerire le parole «risulta» e «risultato» utilizzate dall’art. 2497 c.c.), ma attraverso un giudizio ex ante di ragionevolezza economica [32];

– la relativa decisione, salva l’ipotesi di manifesta irragionevolezza ab origine, dovrebbe essere coperta dalla Business Judgment Rule (BJR) [33], Safe Harbor che invece non opererebbe qualora si ritenesse necessario per l’esclusione della responsabilità civile/risarcitoria l’effettivo conseguimento di vantaggi compensativi.

Restano tuttavia irrisolte altre rilevanti questioni.

In primis, stando alla formulazione dell’art. 2634 c.c., non è chiaro se la mancanza del danno debba essere rapportata alla situazione della singola società danneggiata o all’intero gruppo e la stessa espressione «risultato complessivo» (che figura nell’art. 2497, primo comma, prima proposizione, c.c.) potrebbe creare equivoci [34] (più chiare, come si vedrà, sono le norme del c.c.i.i. che hanno accolto la teoria).

Si continua inoltre a discutere se sia sufficiente la “fondatezza economica” (basata su valutazioni imprenditoriali) o necessaria anche la “fondatezza giuridica” (id est, precisi impegni formali e vincolanti all’ado­zione di misure compensative assunti dalla capogruppo nei confronti delle società controllate). Probabilmente, nella maggior parte dei casi, si tratta di un falso problema [35], ad instar del dibattito scaturito dalla dicotomia (introdotta dalle Sezioni unite con la pluri-annotata sentenza n. 1521/2013 e poi superata dal decreto correttivo n. 147/2020) tra “fattibilità economica” e “fattibilità” (rectius, ammissibilità) “giuridica” del piano di concordato.

Non solo: il legislatore (sia del Codice civile che del Codice della crisi), a differenza di quello tedesco [36], conscio del fatto che i risultati economici delle operazioni normalmente si manifestano nel medio-lungo termine, non indica l’orizzonte temporale da prendere in considerazione [37]. E se in ambito civile si registra ancora molta incertezza [38], ai fini concorsuali il dies ad quem potrebbe essere ricavato per relationem dalla durata del piano di ristrutturazione.

Infine, resta controversa la natura contrattuale o (come si esprime la Relazione illustrativa al d. lgs. n. 6/2003, par. 13) extracontrattuale della responsabilità civile [39]. Peraltro – indipendentemente dalla qualificazione che si ritenga di prediligere [40] – l’onere di dimostrare la compensazione dovrebbe essere fatto ricadere sul gruppo di controllo in virtù del principio c.d. di “vicinanza della prova” e in linea con la regola sancita dall’art. 2697, secondo comma, c.c. [41] (la giurisprudenza penale è costante nell’addossare all’imputato per infedeltà patrimoniale l’onere di provare il bilanciamento fra il danno arrecato – che è elemento costitutivo del reato di cui all’art. 2634 c.c. – e l’eventuale beneficio).


3.1. Stato dell’arte.

La teoria in esame è stata invocata da una parte della dottrina e della giurisprudenza come argomento ad adiuvandum per dimostrare la sottintesa legittimazione attiva della società eterodiretta ad agire in responsabilità [42].

Ma ai vantaggi compensativi è stato attribuito rilievo anche (e, a volte, ancor prima della riforma societaria del 2003) in contesti diversi dalla sedes materiae in cui la teoria ha trovato espresso riconoscimento normativo [43], ossia (limitando il discorso al diritto commerciale) ai fini dell’accertamento:

i) della natura (onerosa o gratuita) delle garanzie infragruppo, qualificazione che si riflette sull’individuazione della norma applicabile per l’eser­cizio dell’azione revocatoria[44];

ii) dell’esorbitanza di un atto intragruppo rispetto all’oggetto sociale della società disponente (c.d. atti ultra vires)[45];

iii) del vizio di conflitto di interessi [46];

iv) di gravi irregolarità gestorie ex 2409 c.c.[47].

Nonostante l’eterogeneità tra le pronunce giurisprudenziali che hanno attribuito rilevanza alla logica del gruppo, quantomeno in materia di responsabilità, sembra lecito intravedere un «avvicinamento della giurisprudenza alla ricostruzione elastica della nozione in esame» [48] ed estrapolare i seguenti capisaldi:

– il vantaggio compensativo non può considerarsi in re ipsa, ossia implicito e derivante ex se dalla mera appartenenza al gruppo (altrimenti non si spiegherebbe l’obbligo di motivazione di cui all’art. 2497 ter c.c., che trova un corrispondente nell’attestazione del professionista richiesta dal codice della crisi), né essere prospettato in termini meramente ipotetici;

– pur essendo lecito dubitare che i precetti inseriti all’interno del codice (anche della crisi) [49] abbiano entificato il “gruppo”, l’“interesse di gruppo” o “del gruppo” (che spesso maschera quello della holding e dei suoi soci di comando [50]) può essere definito come l’interesse gerarchicamente sovraordinato che trascende quello egoistico delle singole società partecipate e rappresenta il punto di equilibrio tra l’interesse della controllante e quello delle controllate [51], che restano distinti tra loro [52] [arg. rafforzato dal riconoscimento del diritto di recesso di cui alla lett. c) dell’art. 2497 ter c.c.].

Quelli sopra schematizzati possono ormai considerarsi punti acquisiti, anche grazie all’impegno profuso dallo Studioso cui è dedicato questo saggio che, per primo, invocò l’ausilio delle scienze economiche al fine di colmare le lacune dell’interpretazione giuridica, così inaugurando e precorrendo un’inter­disciplinarietà, ormai imprescindibile [53].

L’interpretazione sistematica potrebbe portare ad ulteriori sviluppi come all’estensione della portata del diritto d’informazione riconosciuto al quotista dal capoverso dell’art. 2476 c.c. [54] e del temperamento del criterio dei vantaggi compensativi nell’ipotesi di applicazione dell’art. 2476, comma 8, c.c. in un contesto di politiche di direzione e coordinamento [55].

Dal quadro normativo ed interpretativo fin qui sinteticamente tratteggiato, occorre partire per un ragionato raffronto con il nuovo Codice della crisi.

Prima di entrare in medias res, si osserva incidentalmente che mentre la Cassazione ha correttamente escluso la possibilità di compensare la mala gestio con la rinuncia al compenso [56], una pronuncia di merito [57] ha travisato l’art. 2497 c.c. ritenendo che, «non essendo stato provato il beneficio economico infragruppo derivato» dall’operazione (che, nella fattispecie, aveva comportato una «perdita di capacità operativa» della società controllata), né un vantaggio diretto della holding, non vi era alcuna responsabilità in solido della società medesima.


4. Gli artt. 284 e 285 c.c.i.i.

Come ho anticipato nella premessa, la teoria in esame ha travalicato i confini del Codice civile e (attraverso il comparto tributario [58]) ha ormai invaso anche il (Titolo VI del) Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza [59].

Le resistenze opposte a tale “sconfinamento”, del resto, erano solo un retaggio dell’impronta sanzionatoria che caratterizzava la legge fallimentare del 1942 [60] ed erano già state superate da una parte della dottrina [61] in quanto è proprio nella fase patologica che la teoria andrebbe valorizzata al fine di poter esprimere tutte le proprie potenzialità.

Il d. lgs. n. 14/2019, nel testo corretto dal d. lgs. n. 147/2020, vi fa espresso riferimento:

– nell’art. 284, quarto comma, ai sensi del quale il piano/piani di c.p. o di a.d.r. e (in forza del richiamo contenuto nel successivo quinto comma), gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento «quantificano il beneficio stimato per i creditori di ciascuna impresa del gruppo, anche per effetto della sussistenza di vantaggi compensativi, conseguiti o fondatamente prevedibili, derivanti dal collegamento o dall’appartenenza al gruppo» [62];

– nell’art. 285, quinto comma, che legittima i soci a «far valere il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale dalle operazioni» contrattuali e riorganizzative, inclusi i trasferimenti di risorse infragruppo, «esclusivamente attraverso l’opposizione all’omologazione del concordato di gruppo», precisando che comunque «il tribunale omologa il concordato se esclude la sussistenza del predetto pregiudizio in considerazione dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese dal piano» [o dai piani collegati ed interferenti: n.d.r.] «di gruppo» [63].

Può essere utile contestualizzare le suddette norme, per poi cercare di evidenziare le analogie e le differenze, in parte qua, rispetto all’art. 2497 c.c.

Il primo inciso è stato aggiunto al quarto comma dell’art. 284 c.c.i.i. dal decreto correttivo n. 147/2020. Pur essendo stata avanzata una proposta di emendamento in tal senso dal Centro di Ricerca interdipartimentale su Impresa, Sovraindebitamento e Insolvenza dell’Università di Torino (c.d. Centro Crisi [64]), non si può sottacere che, secondo autorevole dottrina, si tratta di una precisazione «abbastanza bizzarra» [65] ed «inappropriata» [66], in quanto il legislatore si riferisce a vantaggi compensativi collegati (anziché ad un pregiudizio) ad un «beneficio».

Il secondo riferimento era invece presente fin dalle prime versioni del d. lgs. n. 14/2019 [67] ed è stato mantenuto nell’art. 285 (anch’esso ritoccato dal decreto correttivo in conformità ad un emendamento suggerito dal Centro Crisi [68]), che, sul punto, ha attuato generosamente il criterio direttivo contenuto nell’art. 3, secondo comma, lett. f), della l. n. 155/2017 [69].

È sicuramente la disposizione più discussa di tutto il nuovo Titolo VI, stante la difficoltà di comprendere la natura (definitiva o provvisoria) dei «trasferimenti» [70] e di conciliare il mantra della separazione delle masse (attive) con la legittimità dei trasferimenti di risorse infragruppo [71].

I c.d. travasi di ricchezza sono consentiti a condizione che:

i) un professionista attesti[72] la loro necessità «ai fini della continuità aziendale per le imprese per le quali essa è prevista nel piano»[73] e coerenza rispetto «all’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori di tutte le imprese del gruppo», compresi (sembrerebbe) quelli della stessa impresa che effettua il trasferimento [74];

ii) ai soci (di minoranza) e ai creditori concordatari dissenzienti (purché appartenenti a una classe dissenziente o, nel caso di mancata formazione delle classi, rappresentanti almeno il venti per cento dei crediti ammessi al voto della singola società) o non aderenti agli a.d.r. (ad efficacia estesa) sia consentito opporsi all’omologazione (anche il Codice della crisi tace sulla legittimazione attiva della società eterodiretta).

Nonostante il suddetto rimedio endoconcorsuale, il tribunale può comunque procedere all’omologazione (c.d. cram down) valutando:

i) per i creditori (opponenti), il quantum che otterrebbero in sede di liquidazione giudiziale della singola società/impresa loro debitrice e non (come invece in sede di ammissione alla procedura) quanto riceverebbero nel caso di presentazione di un piano autonomo per ciascuna impresa (art. 284, quarto comma);

ii) per i soci, i vantaggi derivanti (anziché alla sola società pregiudicata) «alle singole imprese dal piano di gruppo», idonei a compensare il pregiudizio arrecato alla redditività e al valore della partecipazione sociale.

Come si è dimostrato [75], la differenza è non solo nominalistica, ma sostanziale e potrebbe creare dei problemi applicativi qualora venga proposta opposizione sia dai soci che dai creditori, potendo accadere che un concordato gradito a questi ultimi e conforme alla legge quanto alla loro posizione, non sia omologato perché non in linea con la normativa sui vantaggi compensativi: il che, perlomeno prima facie, suscita inevitabilmente qualche perplessità.

La coerenza del sistema è comunque stata abilmente recuperata dalla dottrina [76] osservando che «il giudizio di omologazione presuppone che l’ammis­sione sia già stata delibata dal tribunale e che, pertanto, sia stato valutato già il requisito del migliore soddisfacimento dei creditori delle singole imprese anche con riferimento al piano di concordato autonomo per ciascuna impresa» e che «anche per i creditori la valutazione sull’eventuale pregiudizio dovrà inoltre tenere conto dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese dal piano di gruppo, secondo una valutazione unitaria del complesso delle operazioni e non limitata ai soli trasferimenti infragruppo».

Sul piano applicativo – a parte le difficoltà per i soci di minoranza di procurarsi le informazioni necessarie per assolvere l’onere probatorio stante la competenza deliberativa di regola affidata al plenum (v. l’art. 265, cui rinvia l’art. 44, quinto comma, c.c.i.i.) e gli stringenti limiti della tutela endoconcorsuale – la clausola in esame (ove trapiantata dal terreno dell’azione di responsabilità per comportamenti imprenditoriali che configurino abuso del modello organizzativo della direzione e coordinamento di società a quello diverso della gestione della crisi o dell’insolvenza del gruppo [77]) solleva molteplici interrogativi, non essendo chiaro, ad esempio, se il vantaggio compensativo contemplato dal piano concordatario di gruppo possa provenire da una società del gruppo non inclusa nel perimetro del piano medesimo [78].

Occorre poi capire se i vantaggi compensativi (che possono essere di vario tipo) debbano essere individuati in termini di migliore soddisfacimento delle singole masse dei creditori sociali ovvero di riequilibri economici, patrimoniali e finanziari di ciascuna società. «La risposta a questo interrogativo non è di poco conto, perché nella prima di queste due ipotesi, assicurato un soddisfacente flusso di rimborso ai creditori di una consociata, il piano di continuità aziendale potrebbe anche sacrificare il ruolo di detta società nel contesto di un turnaround dell’intero gruppo che, per il nuovo orientamento strategico richiesto dal risanamento (riposizionamento del modello di business), preveda la valorizzazione di altre società e comunque l’ottimizzazione per l’intero gruppo» [79].


4.1. Differenze tra i due orditi codicistici.

Diversa è innanzitutto la fonte dei vantaggi compensativi: nel codice civile, l’attività di direzione e coordinamento o operazioni dirette ad eliminare il pregiudizio; nel d. lgs. n. 14/2019, il piano (non la proposta) di gruppo che potrebbe prevedere flussi riparatori, ma anche apprestare «rimedi più obliqui» [80].

Un’altra discrasia che balza agli occhi concerne il metodo di calcolo: posto che l’art. 285, quinto comma, c.c.i.i. fa riferimento ai vantaggi compensativi derivanti «dal piano di gruppo» deve ritenersi che la loro venuta ad esistenza non debba essere necessariamente immediata, ma si possa produrre anche in seguito, purché entro il termine fissato per l’adempimento della proposta e la completa esecuzione del piano [81]. In pratica, si tratta di verificare se il costo, attuale e certo, rappresentato dal trasferimento di risorse sia in grado di essere compensato dal vantaggio, futuro ed incerto (ma tale da poter essere oggetto della specifica attestazione richiesta dall’art. 285 c.c.i.i.), derivante dalla persistente partecipazione al gruppo [82].

Rielaborando la teoria in funzione concordataria e contestualizzando le norme sull’etero-direzione al c.d. diritto societario della crisi [83], si è inoltre autorevolmente osservato [84] che l’applicazione del criterio dei vantaggi compensativi potrà aversi in chiave non soltanto indennitaria, ma anche redistributiva (facendo riferimento al plusvalore atteso dalla ristrutturazione) e che detti vantaggi potrebbero essere non solo attuali e tangibili ovvero potenziali e prevedibili, ma anche puramente virtuali o negativi (come, per esempio, quelli legati al non esperimento di azioni revocatorie/risarcitorie/recuperatorie di pertinenza della massa) o indiretti (come l’elisione di alcune poste creditizie inter company o il mancato verificarsi del c.d. effetto domino) [85].

Più nitido è il parametro soggettivo di riferimento giacché il tribunale procede all’omologazione «se esclude la sussistenza di un pregiudizio in considerazione dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese» (e quindi non soltanto alla società pregiudicata) dal piano di gruppo.

Last but not least, nel concordato di gruppo il legislatore «riconosce la legittimità del depauperamento di un’impresa ai danni di un’altra finché non vi è lesione dello zoccolo duro rappresentato da quanto il creditore potrebbe ottenere in sede di liquidazione giudiziale» [86].

Prescindendo da tali differenze, il d. lgs. n. 14/2019 consente di rafforzare i capisaldi enunciati nel par. 3.1, ossia di riconoscere diritto di cittadinanza all’interesse di gruppo (che tuttavia non può coincidere con quello della sola capogruppo) e di accorciare la distanza intercorrente tra concezione elastica e ragionieristica della tesi giacché i vantaggi futuri devono essere oggetto di specifica attestazione.


4.2. Altri riferimenti impliciti.

Nel par. 4 si sono riportate le norme dell’ultima versione del d. lgs. n. 14/2019 in cui compare, expressis verbis, il sintagma «vantaggi compensativi». Ma di tale teoria il curatore della liquidazione giudiziale dovrà tener conto anche ai fini dell’esercizio:

– delle azioni d’inefficacia: lo si desume dalla circostanza che l’art. 290 c.c.i.i. fa salvo il disposto dell’art. 2497, primo comma, c.c., con la conseguenza che la sussistenza di vantaggi compensativi potrebbe rappresentare una nuova esimente dall’azione revocatoria (aggravata). «Sebbene un tale risultato avrebbe richiesto una diversa tecnica legislativa» [87], deve ritenersi che, attraverso la suddetta clausola di salvezza, il legislatore abbia imposto di apprezzare la sussistenza o meno del presupposto oggettivo dell’eventus damni in una prospettiva (anziché statica) dinamica ed in una logica (non dell’impresa monade, ma) di gruppo;

– delle azioni di responsabilità previste dall’art. 2497 c.c. e forse anche di quella spettante ai soci [88] (sulla quale resta invece silente l’art. 2497, quarto comma, c.c. [89]);

– della denuncia di gravi irregolarità ex art. 2409 c.c., esperibile (deve ritenersi in senso sia ascendente che discendente) anche nei confronti di amministratori e sindaci delle società del gruppo non assoggettate alla procedura di liquidazione giudiziale (v. l’art. 291 c.c.i.i.) [90];

– della postergazione dei finanziamenti upstream che si giustifica proprio dando per scontata l’esistenza di vantaggi compensativi per la società finanziatrice [91] (art. 292 c.c.i.i.).

Stante il parallelismo tra i sopra citati artt. 290-291 c.c.i.i. e gli artt. 89-91 del d. lgs. n. 270/1999 (c.d. legge Prodi bis), per ragioni di coerenza sistematica sarebbe opportuno che la giurisprudenza tenesse conto del meccanismo dei vantaggi compensativi anche in sede di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi e di liquidazione controllata d’imprese (di gruppo) non commerciali [92]. E la medesima lente potrebbe essere utilizzata anche per il fallimento (rectius, liquidazione giudiziale) in estensione (art. 148 l. fall., ripreso dall’art. 257 c.c.i.i.) e le procedure familiari (art. 66 c.c.i.i.), anch’esse caratterizzate dal dogma della separazione delle masse, che tuttavia la giurisprudenza pare aver già infranto ammettendo una sorta di “comunicabilità tra le stesse” ai fini, oltre che della formazione del passivo, della concessione dell’esdebitazione [93].

Il legislatore italiano, a differenza di quello francese, non ha invece previsto uno sbarramento all’attivazione dell’allerta (applicabile anche ai gruppi, esclusi quelli di «rilevante dimensione» [94]) ogniqualvolta gli organi di controllo/revisori (in Francia i commissaires aux comptes) abbiano riscontrato l’esistenza di «événements compensatoires» [95], ossia di circostanze suscettibili di neutralizzare o comunque attenuare quei profili di squilibrio che, isolatamente considerati, parrebbero compromettere la continuità aziendale. Ad analogo risultato si potrebbe tuttavia pervenire in via interpretativa [96] valorizzando il tenore del capoverso dell’art. 13 c.c.i.i. (laddove precisa che gli indici della crisi devono essere «valutati unitariamente») e la bozza di documento elaborata, in ossequio alla delega legislativa contenuta nella citata norma, dal CNDCEC nell’ottobre del 2019 (che al par. 5.2. parla di una «valutazione professionale e unitaria» del complesso degli indicatori elaborati a livello nazionale o dalla società in house, il cui superamento «fornisce ragionevoli presunzioni ma non implica automaticamente la fondatezza dell’indizio di crisi»). Si ridurrebbe così il rischio di falsi positivi e di un’apertura eccessivamente anticipata della procedura e si darebbe rilievo a quegli “eventi equilibratori”, non elencabili a priori, che nella singola realtà aziendale potrebbero ridurre la portata degli indicatori e indici della crisi.

Si aggiunge per completezza che una compensazione sui generis (rispetto all’art. 1241 c.c.) è invece prevista dagli artt. 15, quinto comma, e 18, terzo comma, c.c.i.i., dal cui raffronto emerge il minor grado di autonomia che paradossalmente caratterizza l’organo interno di controllo societario rispetto ai creditori pubblici qualificati i quali possono direttamente astenersi dal lanciare l’allerta.

Alla logica in esame potrebbe poi ricondursi la circostanza per cui la presenza di finanza esterna consente al debitore di cedere soltanto parzialmente il suo patrimonio nella misura in cui la stessa possa considerarsi compensativa del valore dei beni che il debitore sceglie di non mettere a disposizione dei suoi creditori [97].


5. Nuovi temi d’indagine.

Ragionando sul combinato disposto dei due orditi codicistici bisognerà capire:

1) se sia configurabile nel nostro ordinamento giuridico una responsabilità della capogruppo per mancata adozione di modelli ex art. 5 del d. lgs. n. 231/2001 [98] e per wrongful trading [99];

2) se, in stretta connessione con il quesito che precede, al fine di prevenire una futura crisi, sia legittimo/doveroso stipulare un accordo di sostegno finanziario infragruppo sulla falsariga di quello codificato dall’art. 69 duodecies t.u.b. [100];

3) fino a che punto possa spingersi la direzione unitaria del gruppo rispettivamente nella fase fisiologica (probabilmente finché non comprometta irreversibilmente la continuità aziendale delle imprese controllate perché tale comportamento non sarebbe “riparabile”, siccome ontologicamente incompatibile con la prospettazione di vantaggi compensativi [101]) e nella c.d. twilight zone (ad esempio, se sarà lecito, in vista del ricorso ad una procedura concorsuale, attuare un consolidamento degli attivi e dei passivi tramite fusioni, conferimenti di aziende od altre operazioni straordinarie [102]);

4) se l’attività di direzione e coordinamento permanga nella fase patologica [103] e se possa essere esercitata anche dal curatore (della liquidazione giudiziale della holding o di una società del gruppo o dell’intero gruppo);

5) quale sia il grado di probabilità del verificarsi del risultato compensatorio, ossia a quali condizioni un vantaggio compensativo possa considerarsi «fondatamente prevedibile»;

6) se i sindaci potranno beneficiare dell’esonero da responsabilità (previsto dall’art. 14, terzo comma, c.c.i.i.) anche qualora abbiano «preso parte» al fatto lesivo (art. 2497, secondo comma, c.c.) e se, viceversa, potranno astenersi dal lanciare l’allerta valutando (nel merito) possibili vantaggi compensativi scaturenti dall’operazione pregiudizievole oggetto della direttiva (per tal via, si potrebbe arrivare ad ipotizzare un “esercizio extrasocietario” dei doveri degli organi sociali [104]);

7) se vi sia un obbligo di equa redistribuzione del surplus derivante dalla politica di gruppo tra tutte le imprese partecipanti (come sembrerebbe richiedere l’art. 2545 septies, primo comma, n. 5, c.c.);

8) se i trasferimenti intragruppo siano ancora qualificabili come atti distrattivi, suscettibili di assumere rilievo come fatti di bancarotta fraudolenta (cfr. artt. 216, 223, 236 l. fall. e artt. 322, 329 e 341 c.c.i.i.).

Sono tutti interrogativi che richiederebbero una trattazione autonoma e la cui soluzione sconta un alto margine di opinabilità essendo il quadro normativo ancora in divenire (v. infra).

In questa sede mi limito ad osservare che in caso (di risposta affermativa al primo quesito e) di assunzione, da parte della holding, di una sorta di posizione di garanzia (e di conseguente responsabilità da contatto sociale per violazione del dovere di protezione), l’applicabilità della Business Judgment Rule (o Insolvency Judgment Rule) passerà dalla sottile distinzione – coniata dallo Studioso cui sono dedicate queste pagine [105] – tra scelte organizzative (pur sempre scelte di merito, strettamente connesse alle opzioni di mercato e quindi coperte dalla BJR) e assetti organizzativi (che invece devono raggiungere la soglia dell’adeguatezza), la cui valutazione giudiziale dovrebbe, a sua volta, avere una diversa intensità a seconda che siano fondati su dati certi o previsionali [106].

Ammesso (in risposta al secondo interrogativo) che tra i doveri della holding sia compreso quello di aiutare le società figlie in difficoltà, dalla violazione dello stesso dovrebbe scaturire una responsabilità di tipo risarcitorio per aver generato un falso affidamento sul sostegno finanziario poi negato e non una responsabilità patrimoniale.

Inoltre, (cercando di rispondere al terzo e quinto quesito), posto che un vantaggio potrebbe considerarsi fondatamente prevedibile solo se e nella misura in cui l’operazione non sia idonea a concretizzare un «fondato indizio» della crisi o, comunque, a far sorgere un serio pericolo per la continuità aziendale dell’eterodiretta [107], per ragioni di coerenza sistematica si potrebbe prospettare una convergenza tra gli «indicatori e indici della crisi» [108], gli «indici di anomalia» idonei a giustificare la postergazione dei finanziamenti dei soci e i «canoni predittivi (dell’irrealizzabilità) di futuri vantaggi compensativi» (e forse anche i criteri di qualificazione dei crediti deteriorati in ambito bancario).

Sicuramente, l’attività di direzione e coordinamento permane nella c.d. zona grigia (ne è manifestazione la decisione di preferire un concordato di gruppo), mentre rimane il dubbio se eventuali doglianze trovino soluzione solo nell’opposizione all’omologa o possano configurare una responsabilità ex art. 2497 c.c. [109].

Più complessa la risposta al quarto quesito: se la direzione e il coordinamento di gruppo è attività che presuppone il going concern, la stessa non potrebbe essere esercitata dal curatore [110], al quale l’art. 287 (al terzo comma) richiede semplicemente d’illustrare nel programma di liquidazione (non si precisa se debba essere unico) «le modalità del coordinamento della liquidazione degli attivi delle diverse imprese» e (al quinto comma) affida il potere-dovere di promuovere l’accertamento dello stato d’insolvenza di altra società del gruppo (ma non la legittimazione a richiedere l’unificazione delle procedure aperte in tempi diversi). Se, viceversa, si mette in discussione la premessa, si potrebbero aprire nuovi scenari anche per effetto dell’inedito potere attribuito al curatore di compiere atti e operazioni riguardanti l’organizzazione e la struttura finanziaria della società (del gruppo) previsti dal programma di liquidazione (art. 264 c.c.i.i.) [111].

Sarei invece propensa (in risposta al sesto quesito) a ritenere che i sindaci non potranno venire contra factum proprium (ossia andare esenti da responsabilità sebbene abbiano «preso parte al fatto lesivo» per il solo fatto di aver lanciato l’allerta), né sostituirsi o sovrapporsi agli amministratori, con la conseguenza che l’accertamento svolto, in adempimento della loro funzione di vigilanza, dovrebbe riguardare l’osservanza, da parte della capogruppo e dei suoi amministratori, dei «principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale» [112].

In riferimento agli ultimi due quesiti, mentre pare una forzatura affermare l’esistenza di un presunto obbligo distributivo del plusvalore secondo una regola di parità di trattamento o di proporzionalità, si potrebbe valorizzare l’incipit («in ogni caso») del terzo comma dell’art. 2634 c.c. per applicare la scriminante dei vantaggi compensativi anche ai fatti di bancarotta [113].


5.1. Segue: e vexatae quaestiones mai sopite.

L’arricchimento del quadro normativo conseguente alla promulgazione del codice della crisi ha anche riacceso il dibattito su vecchie questioni tuttora irrisolte [114]. In particolare, la dottrina è tornata a chiedersi se l’abuso dell’attività di direzione e coordinamento, accanto alla responsabilità risarcitoria ex art. 2497 c.c., possa avere conseguenze ancora più invasive.

In caso di risposta affermativa – sfruttando il generico riferimento alla «persona fisica» contenuto nell’art. 2, lett. h), c.c.i.i. – si potrebbe arrivare ad ammettere il fallimento in estensione del socio tiranno o del socio di fatto, magari di una supersocietà [115]. Del resto, per stessa ammissione di chi [116] ha contribuito alla scrittura delle norme sui gruppi, è verosimile che il d. lgs. n. 14/2019, ampliando nell’art. 256 c.c.i.i. il disposto dell’art. 147 l. fall., «abbia in qualche modo voluto (o per lo meno non disvoluto)» lasciare uno spazio per reazioni più severe dell’ordinamento di fronte ai casi più gravi [117].

Anche in ordine al rapporto tra la disciplina dei gruppi e quella della s.d.f. o super-società di fatto si potrebbero aprire nuovi scenari: la commistione delle masse attive potrebbe deporre per l’esistenza di un fondo comune, mentre la proposizione di un’unica domanda di ammissione alla procedura veicolante una proposta congiunta potrebbe essere intesa come una forma di esplicazione dell’affectio societatis. Bisognerà dunque capire se la continuità aziendale del gruppo, integrata in un piano unitario, possa creare una c.d. super-società di fatto od almeno una solidarietà per i debiti prededucibili sorti nel corso delle procedure [118].

Per sciogliere questi dubbi occorrerà prudenzialmente attendere l’entrata in vigore del Codice della crisi[119], nel testo eventualmente emendato da ulteriori decreti correttivi [120], e il recepimento (entro metà luglio del 2022 [121]) della Direttiva Insolvency 2019/1023 che, per quel che qui rileva, lascia la scelta tra Relative Priority Rule o Absolute Priority Rule [122].

Magari nel frattempo sarà anche promulgata la (tanto attesa) Direttiva sulla corretta gestione dei gruppi [123] che potrebbe rendere vincolante la Raccomandazione formulata, tramite una Commissione d’illustri studiosi, dal Forum Europaeum [124] che, sulla scorta della c.d. “Rozenblum Doctrine” (noi potremmo definirla “dottrina Montalenti”) [125], aveva escluso expressis verbis la possibilità di compensare pregiudizi che compromettano l’esistenza dell’impresa facente parte del gruppo.

Il futuro potrebbe anche riservarci altre novità: basti pensare che se nel settore giudiziario si affermerà l’uso dell’intelligenza artificiale, non pare fantascienza pensare all’elaborazione di un algoritmo in grado di simulare il calcolo dei vantaggi compensativi ad una certa data, così consentendo di sottrarre le operazioni intra-gruppo a rimedi preventivi e invalidatori e all’eccezione di atto viziato da conflitto d’interessi e/o estraneo all’oggetto sociale, nonché di tracciare un più netto discrimen tra direttive di gruppo legittime (il cui rifiuto di eseguirle da parte degli amministratori potrebbe integrare una giusta causa di revoca [126]) ed illegittime (rispetto alle quali pare invece configurabile un potere-dovere di resistenza per salvaguardare la società gestita).

Forse andrebbe anche mitigato (quantomeno in via interpretativa) il criterio di quantificazione dei danni codificato nel comma aggiunto (dall’art. 378 c.c.i.i.) all’art. 2486 c.c.: se il tempo concesso (dalla disciplina dell’allerta) agli amministratori per tentare di affrontare la crisi nel modo più efficiente possibile non sarà preso in considerazione (allorché si tratterà, a posteriori, d’individuare il danno da aggravamento del dissesto), perché non effettuare analogo scomputo con riguardo al tempo impiegato per attuare politiche di gruppo ex ante fattibili e ragionevoli e precedute da un’ampia istruttoria?


6. Un cenno alla (logica sottesa alla) normativa emergenziale.

Tornando al presente, la ricca e frenetica legislazione emergenziale promulgata dopo lo scoppio della pandemia Covid-19 non contiene riferimenti espressi alla teoria in esame, che rimane per così dire sotto traccia, nel senso che tutte le misure messe in campo dal Governo per aiutare le imprese sono accomunate dalla convinzione (rectius, speranza) dei nostri Conditores di riuscire a ricompensare i sacrifici imposti dal lockdown e a recuperare così i c.d. aiuti di Stato (siano essi finanziamenti assistiti da garanzia pubblica o contributi a fondo perduto). In altri termini, il legislatore è perfettamente consapevole che le restrizioni prescritte per contrastare la diffusione del virus hanno pesantemente danneggiato le aziende (soprattutto operanti in alcuni settori), ma ritiene che il “danno giusto” loro inferto (in nome della salvaguardia della salute e dei limiti alla libertà d’iniziativa economica sanciti dall’art. 41 Cost.) possa essere compensato (rectius, ristorato) attraverso una serie di aiuti che dovrebbero agevolare la riattivazione del business e la ripartenza dell’econo­mia e quindi la restituzione delle sovvenzioni date alle imprese [127]. In fondo, la stessa distinzione – coniata dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Mario Draghi – tra “debito buono” (sostenibile grazie alla crescita del PIL) e “debito cattivo” (utilizzato per fini improduttivi) si fonda su una logica non dissimile da quella dei vantaggi compensativi.

Si potrebbe forse parlare di un ampliamento delle potenzialità applicative della teoria in esame, intesa, non nell’accezione tecnica tradizionale, ma come una forma mentis o modus operandi. Infatti, (come aveva già chiarito la norma d’interpretazione autentica dell’art. 2497 c.c. contenuta nell’art. 19, comma 6, del d.l. n. 78/2009, conv. in l. n. 102/2009 ) lo Stato (al quale il decreto correttivo n. 147/2020, andando a ritoccare la nozione di «gruppo di imprese» dettata dall’art. 2, lett. h, c.c.i.i, ha affiancato gli enti territoriali) [128], sebbene possa essere titolare di partecipazioni di controllo e come tale chiamato a rispondere dei danni eventualmente inferti alla società partecipata, non potrebbe avvalersi del modulo organizzativo (della direzione e coordinamento) per rivolgere direttive anche pregiudizievoli alle controllate (adducendo l’attribuzione di un corrispondente vantaggio).

Forse – nell’ottica di un progressivo avvicinamento tra disciplina generale e normative settoriali – il meccanismo compensativo andrebbe esteso in via interpretativa anche al c.d. “controllo analogo” [129] e alle società in house [130], così come l’art. 12 t.u.s.p. (d. lgs. n. 175/2016 e s.m.) è stato valorizzato dalla dottrina come base per un riallineamento di discipline tra i tipi societari capitalistici [131]. Inoltre, riallacciandoci a quanto osservato nel par. precedente, sono forse maturi i tempi per una riflessione circa la possibilità di affermare una responsabilità, non solo risarcitoria, ma anche patrimoniale per i debiti della società in crisi a carico dell’amministrazione pubblica; «troppo evidenti i tratti di somiglianza tra l’amministrazione pubblica che esercita il controllo analogo e il ben noto (e famigerato) imprenditore occulto di bigiaviana memoria per lasciare i creditori sociali della partecipata privi di adeguata tutela» [132].

Tralasciando questi temi di rilevante impatto sistematico e tornando ai provvedimenti emergenziali adottati da marzo del 2020, senza esprimere dei giudizi sulle scelte di politica economica, è sufficiente osservare che:

– se è ammessa una valutazione retrospettiva del going concern [133] e la sterilizzazione della regola “ricapitalizza o liquida” [134];

– se tali opportunità, che andrebbero sfruttate solo dopo una scrupolosa programmazione strategica ed economico-finanziaria, hanno sollecitato in dottrina una riflessione sulla possibilità di creare un mercato dell’assicurazione del rischio di erosione del capitale sociale, costruito come una sorta di assicurazione della responsabilità patrimoniale ex art. 2740 c.c. [135];

– allora, con specifico riferimento al tema qui affrontato e cercando di adattarsi ai cambiamenti (che è sicuramente la più importante skill contemporanea), si potrebbe sostenere che la compensazione possa guardare anche al passato e alle performances pregresse [136] e (sulla scorta dell’art. 1905, secondo comma, c.c.) valutare la possibilità di “assicurare” il verificarsi di vantaggi “fondatamente prevedibili” [137].

Nell’attuale clima d’incertezza dello scenario macroeconomico pare inevitabile una valutazione più rosea (del going concern e) dei vantaggi compensativi, considerando tali anche quelli fondatamente (rectius, plausibilmente) prevedibili entro un termine più esteso e nulla dovrebbe precludere il c.d. “ravvedimento operoso” (o “ingegnoso”), in modo da compensare, anche a posteriori, eventuali pregiudizi in precedenza arrecati alla società eterogestita (artt. 2497 e 2409, terzo comma, c.c.).

Allargando lo sguardo, tutta la gestione imprenditoriale – al pari della logica che sorregge la teoria dei vantaggi compensativi – dovrebbe essere protesa verso una prospettiva forward looking, dove il passato rappresenta il punto di partenza e il presente costituisce il mezzo ragionato per il raggiungimento di obiettivi futuri ben definiti e ponderati.

Gli stessi nuovi principi di attestazione dei piani di risanamento suggeriscono di ricorrere ad un ampliamento dell’orizzonte temporale oltre i canonici cinque anni [138].

Inoltre, secondo autorevole dottrina, da un lato, il giudizio di fattibilità dei piani dovrebbe essere inteso (in linea con l’art. 10, par. 3, della Direttiva Insolvency) come un giudizio di ragionevole plausibilità [139]; dall’altro, la valutazione di pertinenza di un atto rispetto all’oggetto sociale andrebbe formulata in termini meno rigidi-statici e più prospettici-dinamici [140].

Quelli sinteticamente esposti sono solo brevi spunti, non già per un ripensamento, bensì per una riscoperta della matrice dottrinaria della teoria dei vantaggi compensativi e per un suo ammodernamento in linea con i progressi della scienza aziendalistica, il cui apporto, come aveva intuito il Prof. Montalenti, è fondamentale [141].

Se poi verrà seguito il suggerimento del c.d. piano Colao (v. la scheda n. 16 delle «Iniziative per il rilancio Italia 2020-2022») d’incentivare le forme di aggregazione tra imprese (per realizzare sinergie di gruppo ed economie di scala), è chiaro che le occasioni per applicare la teoria si moltiplicheranno e il contesto emergenziale potrebbe rappresentare una sorta di stress test della sua tenuta. Forse lo stesso recovery plan, di cui oggi tanto si discute, dovrebbe in un certo senso istituzionalizzare i “vantaggi compensativi” così come il nuovo Codice di corporate governance delle società quotate (approvato nel gennaio 2020) ha codificato il “successo sostenibile” [142], formule, entrambe, accomunate da una long term vision.


7. Verso una rimodulazione degli artt. 2043 e 2740 c.c.?

Non è ovviamente questa la sede per cercare di rispondere a un quesito così impegnativo che coinvolge anche i civilisti, ma concordo con quanti [143] prospettano una rivisitazione della responsabilità patrimoniale alla luce dei confini del fisiologico esercizio dell’attività di direzione e coordinamento [144] e del precetto del neminem laedere, intendendo per danni ingiusti solo quelli non controbilanciati da vantaggi compensativi [145].

Da un lato, a prescindere dalla possibilità di considerare l’art. 285 c.c.i.i. uno dei casi previsti dalla legge in cui sono ammesse limitazioni della responsabilità patrimoniale, la regola cardine dell’art. 2740 c.c., qualora il debitore sia un imprenditore (o un professionista), andrebbe declinata nell’ot­tica di un patrimonio dinamico, ponendo l’accento sui «beni futuri», ossia sui flussi di redditività [146].

Dall’altro lato, ragionando sul combinato disposto degli artt. 2497 e 2043 c.c., si potrebbe argomentare e ricavare la categoria (quasi un ossimoro) dei “danni giusti” perché cagionati in vista del raggiungimento di un obiettivo macroeconomico. Una prospettiva, questa, che andrebbe attentamente soppesata [147], stante il pericolo di un’eccessiva riduzione dello spazio dell’illecito e di passare dalla risarcibilità di quella voce di danno denominata “lucro cessante” al riconoscimento dell’esimente non codificata del “lucro sperato”.

Non solo: se la dottrina civilistica [148] ha invocato la norma transtipica sul­l’abuso di dipendenza economica (art. 9 della l. n. 192/1998) come argomento a sostegno dell’ammissibilità di una modifica unilaterale dei termini del contratto o del piano di risanamento operata in autotutela dalla parte in difficoltà, simmetricamente la dottrina giuscommercialistica potrebbe valorizzare anche in ambito contrattuale (per esempio in tema di franchising) le potenzialità della teoria dei vantaggi compensativi e farla assurgere a principio generale del nostro ordinamento giuridico.

In sintesi: le potenzialità della teoria in esame sono tante, ancor più preziose nel difficile contesto che stiamo vivendo [149], ma, mutuando l’espressione adoperata da un risalente decreto in materia concorsuale [150], occorre rifuggire da un “uso irriflessivo” della regola dei “vantaggi compensativi”, che rischierebbe di snaturarla e di tradire gli obiettivi dello Studioso unanimemente riconosciuto come il suo precursore. Tentazione alla quale non ha resistito parte della giurisprudenza, che ha invocato il sintagma come ratio decidendi (quasi un commodus discessus) nei settori più disparati, a volte, confondendolo con altri istituti, forse più consoni alle fattispecie decise [151].


8. Una conclusione e due auspici.

Il giurista è chiamato ad osservare la realtà attraverso le lenti del diritto [152] e anche quando queste (a causa dell’irrompere di un fenomeno inaspettato e dirompente come la pandemia Covid-19) sembrino appannate e inadeguate a restituire un’immagine nitida del presente e a ricondurre il novum alle categorie giuridiche della tradizione, l’interprete non deve dimenticarsi che non può dotarsi di nuove lenti se non è il legislatore (o “Monta-lenti”) a fornirgliele.

A parte la battuta sul cognome, sono seriamente convinta che abituarsi a ragionare in termini di vantaggi (auspicabilmente) compensativi [153] o di “non svantaggi” compensativi[154] possa davvero aiutare la ripartenza, mentre un’ap­plicazione rigida degli istituti tradizionali creerebbe una tipica lose-lose situation. Mai come in questo momento «abbiamo tutti bisogno di ottimismo», «un ottimismo serio, razionale, non illusorio» come quello che connota l’Autore del volume citato in apertura di questo saggio [155].

Tuttavia (anche se potrebbe sembrare paradossale) l’apice del successo della teoria (come nel caso dell’allerta e della composizione assistita della crisi) sarà raggiunto quando non ci saranno più occasioni per applicarla nelle aule giudiziarie perché gli amministratori della holding, tramite l’istitu­zione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale (ossia attraverso una pianificazione strategica, industriale e finanziaria dell’attività di gruppo), si saranno effettivamente dimostrati in grado di programmare e monitorare i rapporti intercompany, intraprendendo azioni correttive laddove un’operazione non sortisca gli effetti benefici sperati, prevenendo così sul nascere azioni di responsabilità. Il capoverso aggiunto all’art. 2086 c.c. dovrebbe essere in grado di svolgere quella funzione preventiva che, purtroppo, non ha assolto l’art. 2497 bis, quinto comma, c.c.: «sostanzialmente eliminare in limine lo stesso problema di determinare la nozione di vantaggio compensativo» [156].

L’auspicio è, dunque, che gli operatori del settore sappiano far tesoro di una felice intuizione della quale la comunità scientifica è debitrice al Prof. Montalenti e che il pregio della scelta dell’argomento per onorarlo possa compensare i difetti di questo scritto.


NOTE

[1] La locandina è reperibile all’indirizzo www.giurisprudenza.unito.it/do/avvisi.pl/Show?_
id=8bsl. Alcune relazioni sono state poi pubblicate e saranno citate nel prosieguo.

[2] Già A. Mignoli, Interesse di gruppo e società a sovranità limitata, in Contr. impr., 1986, 738, aveva posto in rilievo che «la nozione di pregiudizio va valutata non separatamente, ma confrontata dialetticamente con i vantaggi dell’appartenenza ad una comunità allargata. Quando si entra in un mercato comune, si vuole fruirne dei vantaggi: e questo comporta, come corrispettivo, taluni sacrifici. […] E così: a) occorre che i sacrifici non siano eccessivi; b) occorre che non sia compromesso l’equilibrio economico e finanziario delle società figlie; c) occorre predisporre misure compensative».

[3] P. Montalenti, Conflitto di interessi nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, in Aa.Vv., I gruppi di società, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Venezia 16-17-18 novembre 1995, a cura di P. Balzarini, G. Carcano, G. Mucciarelli, vol. III, Milano, Giuffrè, 1996, 1627 ss. Il contributo è stato pubblicato anche (con un titolo leggermente diverso) in Giur. comm., 1995, I, 710 ss. e in Studi in onore di Gastone Cottino, Padova, Cedam, 1997, vol. II, 959 ss. e poi ripubblicato, con aggiornamenti, in Id., Persona giuridica, gruppi di società, corporate governance, Padova, Cedam, 1999, 79 ss. La tesi è poi stata sviluppata in Id., Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, in Riv. soc., 2007, 317 ss. e in Id., Società per azioni corporate governance e mercati finanziari, Milano, Giuffrè, 2011, 234 ss.

[4] Per una completa esposizione del dibattito che è seguito alla riforma societaria v. G. Scognamiglio, “Clausole generali”, principi di diritto e disciplina dei gruppi di società, in Studi in ricordo di Pier Giusto Jaeger, Milano, Giuffrè, 2011, 579 ss. e in Riv. dir. priv., 2011, 517 ss. (da cui si cita). V. inoltre gli autorevoli interventi a Una tavola rotonda sui vantaggi compensativi nei gruppi, in Giur. comm., 2002, I, 613 ss.

[5] La teoria fu accolta dalla giurisprudenza, dapprima di merito e poi di legittimità, che, pur nel rispetto del divieto di citazione di autori giuridici previsto dall’art. 118 disp. att. c.p.c., ha spesso fatto riferimento in modo anonimo alle «sollecitazioni della dottrina» o a «tesi espresse in letteratura», ricalcando verbatim i contributi dottrinali citati alla nota 3. Cfr. P. Montalenti, Operazioni intragruppo e vantaggi compensativi: l’evoluzione giurisprudenziale, in Giur. it., 1999, 2319 ss.; S. Cerrato, Osservazioni in tema di operazioni infragruppo e di vantaggi compensativi, ivi, 2001, 1675 ss.; F. Galgano, G. Sbisà, Direzione e coordinamento di società2, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna, Zanichelli, 2014, 151 ss.

[6] P. Montalenti, Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, (nt. 3), 731.

[7] P. Montalenti, Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, (nt. 3), 733.

[8] Il rilievo è di G. Cottino, Divagazioni in tema di conflitto di interessi nei gruppi, in Aa.Vv., I gruppi di società. Atti del Convengo internazionale di Studi, organizzato dalla Rivista delle società, Venezia 16-17-18 novembre 1995, vol. II, Milano, Giuffrè, 1996, 1078 s., che tuttavia riconosce alla teoria dei vantaggi compensativi «il pregio di prefigurare una soluzione diversa da quella, per certi versi affine, dell’indennizzo».

[9] R. Sacchi, Conclusioni, in Aa.Vv., Una tavola rotonda sui vantaggi compensativi nei gruppi, (nt. 4), 634, confessa di non aver compreso «come mai Paolo Montalenti, a cui si deve il merito della più compiuta formulazione della teoria dei c.d. vantaggi compensativi, abbia deciso di chiamare così una costruzione teorica che in realtà trova la sua specificità e la sua più marcata caratteristica con riferimento ai casi in cui non si sa se i vantaggi derivanti dall’ope­ratività infragruppo siano veramente compensativi (ossia compensativi in senso aritmetico). Anzi, nell’applicazione che di tale teoria è stata fatta con la riforma del diritto penale societario (d. lgs. 11 aprile 2002, n. 61) a rigore vengono in considerazione solo ipotesi in cui, per definizione, i vantaggi certamente non sono compensativi (in senso aritmetico)». Ad avviso dell’A. sarebbe dunque più corretto parlare di «teoria dei vantaggi (che non si sa se siano) compensativi».

[10] Invero, sarebbe riduttivo considerare la teoria in esame una mera applicazione della compensatio lucri cum damno giacché ai fini dell’esimente di cui all’art. 2497, primo comma, seconda parte, c.c., l’unicità causale deve riguardare l’attività (di direzione e coordinamento) e non un singolo atto. Per una sintesi delle differenze tra le due teorie v. M. Rossi, Responsabilità e organizzazione dell’esercizio dell’impresa di gruppo, in Riv. dir. comm., 2007, I, 622 ss. Per ulteriori approfondimenti sulla compensatio lucri cum damno v. per tutti L. Regazzoni, La compensatio lucri cum damno tra causa e funzione del beneficio, in Riv. dir. civ., 2021, 279 ss.; M. Ferrari, La compensatio lucri cum damno come utile strumento di equa riparazione del danno, Milano, Giuffrè, 2008; R. Scognamiglio, In tema di “compensatio lucri cum damno”, in Scritti giuridici, 1, Scritti di diritto civile, Padova, Cedam, 1996, 571 ss.

[11] Così R. Weigmann, Nota riguardante il modo in cui l’interesse di una società inserita in un gruppo può essere contemperato con quello delle altre unità che lo compongono, in Giur. it., 2005, 69, dal quale sono estrapolate le critiche all’art. 2497 c.c. riportate nel testo. V. anche Id., I gruppi di società, in La riforma del diritto societario. Atti del Convegno di Courmayeur, 27-28 settembre 2002, Milano, Giuffrè, 2003, 201 ss.

[12] Norma definita «monca» perché taceva sulla responsabilità da esercizio dell’attività di direzione e coordinamento: così P. Montalenti, Gruppi e conflitto di interessi nella legge delega per la riforma del diritto societario, in Associazione Disiano Preite, Verso un nuovo diritto societario. Contributi per un dibattito, a cura di P. Benazzo, F. Ghezzi, S. Patriarca, Bologna, Il Mulino, 2002, 242 e, con riferimento all’art. 2497 c.c., Id., Gruppi e conflitto di interessi nella riforma del diritto societario, in Giur. comm., 2002, I, 624 ss.

[13] Nell’impossibilità di dare conto della sconfinata letteratura giuridica sui gruppi, ci si limita a ricordare le opere monografiche di L. Benedetti, La responsabilità «aggiuntiva» ex art. 2497, 2° comma c.c., Milano, Giuffrè, 2014; A. Valzer, La responsabilità da direzione e coordinamento di società, Torino, Giappichelli, 2010; U. Tombari, Diritto dei gruppi di imprese, Milano, Giuffrè, 2010; E. Marchisio, Usi alternativi del gruppo di società, Napoli, Jovene, 2009; S. Giovannini, La responsabilità per attività di direzione e coordinamento nei gruppi di società, Milano, Giuffrè, 2007; R. Santagata, Il gruppo paritetico, Torino, Giappichelli, 2001; N. Rondinone, I gruppi di imprese fra diritto comune e diritto speciale, Milano, Giuffrè, 1999. Per i Commentari v. ex multis, A. Badini Confalonieri, R. Ventura, sub art. 2497, in Il nuovo diritto societario. Commentario, diretto da G. Cottino, G. Bonfante, O. Cagnasso, P. Montalenti, Bologna, Zanichelli, 2004, 2150 ss.; G. Sbisà (a cura di), Direzione e coordinamento di società, in Commentario alla riforma del diritto societario, diretto da P. Marchetti, L.A. Bianchi, F. Ghezzi, M. Notari, Milano, Egea, 2012; F. Galgano, Direzione e coordinamento di società, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna, Zanichelli, 2005, 137 ss. il cui pensiero (essendo stato membro della Commissione che ha redatto le norme del Capo IX del Titolo V del Libro V del c.c.), può considerarsi una sorta di interpretazione autentica.

[14] Cass., 5 dicembre 2017, n. 29139, in Giur. it., 2018, 1920, con nota di F. Riganti, Responsabilità della capogruppo e beneficium excussionis.

[15] Donde l’avvenuta soddisfazione di soci e creditori, (ri)qualificando in termini di liceità la direttiva programmaticamente dannosa, precluderebbe, per ciò solo, la possibilità di ricorrere a tutti i rimedi che invece presuppongono l’illiceità dell’agire gestorio (quali la revoca dell’am­ministratore per giusta causa ex art. 2383, terzo comma, c.c.; la domanda di risarcimento del danno ex artt. 2393 e 2393-bis c.c.; la denuncia ex artt. 2408 e 2409 c.c.: così E. Marchisio, Brevi note sulla disposizione, “singolarmente oscura” , dell’art. 2497, terzo comma, c.c., in Giur. comm., 2019, II, 350 ss.; Id., La “corretta gestione” della società eterodiretta e il recepimento di direttive (programmaticamente o solo accidentalmente) dannose, ivi, 2011, I, 949 e Id., Note sulle azioni di responsabilità ex art. 2497 c.c., in Riv. dir. comm., 2008, II, 225.

[16] Tra i primi Autori a rilevare l’improprietà lessicale v. N. Abriani, Gruppi di società e criterio dei vantaggi compensativi nella riforma del diritto societario, in Aa.Vv., Una tavola rotonda sui vantaggi compensativi nei gruppi, (nt. 4), 618. Inoltre, la norma non richiede una proporzione fra danno e vantaggio (che tuttavia non potrà essere manifestamente irrisorio stante l’impiego del termi­ne «compensato», evocativo di un rapporto fra quantità fra loro paragonabili) e non specifica a chi spetterebbe il vantaggio (destinatario che sarebbe opportuno individuare nella società danneggiata).

[17] E segnatamente alcuni passi contenuti nella Relazione di accompagnamento al Progetto Mirone (in Giur. comm., 2000, I, 316 ss.) dal quale, in materia di gruppi, la l. n. 366/2001 non si è discostata.

[18] Per un confronto tra norma civile e penale v. F. Mucciarelli, Il ruolo dei “vantaggi compensativi” nell’economia del delitto di infedeltà patrimoniale degli amministratori, in Aa.Vv., Una tavola rotonda sui vantaggi compensativi nei gruppi, (nt. 4), 632, il quale sottolinea che l’uso del participio passato depone nel senso che la compensazione non si esaurisca in un calcolo aritmetico. Sul rapporto tra le due norme v. anche C. Benussi, Vantaggi compensativi e infedeltà patrimoniale nei gruppi di società: limite scriminante o esegetico?, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E. Dolcini, C.E. Paliero, Milano, Giuffrè, 2006, vol. 3, 2157 ss. e U. Tombari, Riforma del diritto societario e gruppo di imprese, in Giur. comm., 2003, I, 70 ss.

[19] Come osserva R. Sacchi, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, in Giur. comm., 2003, I, 674, non stupisce il «fatto che in tema di vantaggi compensativi la soglia di legalità in sede civilistica sia più alta che in sede penalistica, dato il carattere di rimedio estremo proprio della repressione penale».

[20] La necessità di un intervento di affinamento della disciplina e di armonizzazione tra i due precetti è ben sottolineata da P. Montalenti, Il diritto societario a dieci anni dalla riforma: proposte di restyling, in NDS, 2014, n. 11, 7 ss.; Id., Interesse sociale, interesse di gruppo e gestione dell’impresa nei gruppi di società, in Aa.Vv., La riforma del diritto societario dieci anni dopo. Per i quarant’anni di Giurisprudenza commerciale, Milano, Giuffrè, 2015, 171 ss., poi ripubblicato in Id., Impresa, società di capitali, mercati finanziari, Torino, Giappichelli, 2017, 215 ss.

[21] Dà atto della tendenza ad attribuire all’avverbio «fondatamente» che affianca l’aggettivo «prevedibili» un significato di sostanziale certezza, tra gli altri, F. Lamanna, La “crisi” nel gruppo d’imprese: breve report sull’attuale stato dell’arte, in ilFallimentarista, Focus del 31 luglio 2012. Emblematica la prima pronuncia successiva all’entrata in vigore dell’art. 2634 c.c.: Cass. pen., 23 giugno 2003, n. 38110, in Giur. comm., 2004, II, 599, con nota di E. Codazzi, cui adde Cass. pen., 18 novembre 2004, n. 10688, in Dir. prat. soc., 2005, 16, 88, e, più di recente, Cass. pen., 12 febbraio 2020, n. 15660, in Pluris.

[22] Per un’efficace sintesi delle varie formulazioni della tesi v. S. Rossi, Relazione introduttiva, in Aa.Vv., Una tavola rotonda sui vantaggi compensativi nei gruppi, (nt. 4), 613 ss.

[23] P. Montalenti, Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, (nt. 3), 731 ss.

[24] R. Emmerich, M. Habersack, Aktien-und GmbH-Konzernrecht, Kommentar7, München, Beck, 2013, 678 ss.; K. Hüffer, Aktiengesetz10, München, Beck, 2012, 1705 ss. Per ulteriori riferimenti alla dottrina tedesca si rinvia a U. Tombari, «Il diritto dei gruppi»: primi bilanci e prospettive per il legislatore comunitario, in Riv. dir. comm., 2015, I, 67 ss., e ivi nt. 17. Per un quadro comparatistico v. V. Cariello, Sensibilità comuni, uso della comparazione e convergenze interpretative: per una Methodenlehre unitaria nella riflessione europea sul diritto dei gruppi di società, in Riv. dir. soc., 2012, 255 ss.

[25] Il riferimento è a Cass., 24 agosto 2004, n. 16707, pubblicata in numerose Riviste, tra cui in Giur. it., 2005, 69, con nota di R. Weigmann; in Foro it., 2005, I, 1844, con nota di L. Nazzicone; in Banca, borsa, tit. cred., 2005, II, 373, con nota di V. Cariello; in Società, 2005, 164, con nota di G. Ciampoli e in Giur. comm., 2005, II, 255, con nota di F. Salinas e ivi, 2005, II, 405, con nota di D. Monaci.

[26] F. Denozza, «Rules vs. Standards» nella disciplina dei gruppi: l’inefficienza delle compensazioni “virtuali”, in Giur. comm., 2000, I, 327 ss., muovendo dalla riconduzione della teoria delle compensazioni effettive allo schema paretiano e di quella che reputa sufficienti le compensazioni eventuali/virtuali allo schema di Kaldor-Hicks, non nasconde di ritenere più efficiente «una regola precisa che imponga di compensare la società svantaggiata in maniera specifica comprensiva anche degli eventuali rischi che la politica di gruppo la costringe a correre». V. anche N. Rondinone, (nt. 13), 576 ss. e L. Enriques, Vaghezza e furore. Ancora sul conflitto d’interessi nei gruppi di società in vista dell’attuazione della delega per la riforma del diritto societario, in Associazione Disiano Preite, Verso un nuovo diritto societario, (nt. 12), 250 ss.; Id., Il conflitto di interessi di amministratori di società per azioni, Milano, Giuffrè, 2000, 285 ss.; Id., Gruppi piramidali, operazioni intragruppo e tutela degli azionisti esterni: appunti per un’analisi economica, in Giur. comm., 1997, I, 728 ss.

[27] Condivisa, tra gli altri, da M. Ventoruzzo, Responsabilità da direzione e coordinamento e vantaggi compensativi futuri, in Riv. soc., 2016, 363 ss.; P. Ferro Luzzi, Riflessioni sul gruppo (non creditizio), in Riv. dir. comm., 2001, I, 14 ss.; C. Angelici, La riforma delle società di capitali. Lezioni di diritto commerciale, Padova, Cedam, 2003, 197; M. Spiotta, Continuità aziendale e doveri degli organi sociali, Milano, Giuffrè, 2017, 153 ss.

[28] Con la conseguenza che la seconda esimente potrebbe applicarsi anche qualora a posteriori i vantaggi compensativi fondatamente conseguibili non risultino realizzati: sul rapporto di sussidiarietà tra le due fattispecie v., tra i contributi più recenti, A. Mambriani, (G. Racugno,) Bilancio e libri sociali. Gruppi di società, Milano, Giuffrè, 2019, 502 ss.

[29] Come posto in rilievo da S. Giovannini, (nt. 13), 161, il termine «mancante» lascia aperta la possibilità che il risultato complessivo, idoneo ad elidere il danno, sia valutato come un dato del futuro, mentre il termine «eliminato» implica che le specifiche operazioni dirette a rimuovere il danno siano già state compiute e siano, pertanto, un dato del passato.

[30] R. Santagata, Il gruppo paritetico, (nt. 13), 179.

[31] O. Cagnasso, Il controllo sulla gestione e il tempo, in NDS, 2017, n. 5, 349 ss.

[32] Cfr. P. Montalenti, L’abuso del diritto nel diritto commerciale, in Riv. dir. civ., 2018, 895 s.

[33] Come scrive P. Montalenti, Operazioni intragruppo e vantaggi compensativi: l’evoluzione giurisprudenziale, (nt. 5), 2320, «coerentemente con la regola secondo cui le scelte gestionali non sono sindacabili dal giudice, salva l’ipotesi di manifesta irragionevolezza, il giudizio sulla sussistenza di un vantaggio compensativo non può che essere se non un giudizio, certamente ancorato a parametri oggettivi, di ragionevole probabilità di un ristoro (anche futuro, anche su di un diverso piano economico, anche non rigidamente proporzionale) del pregiudizio subito. Il che non conduce a legittimare qualsiasi operazione intragruppo pregiudizievole, bensì a tracciare un confine più preciso tra fisiologia e patologia». Viceversa R. Sacchi, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, (nt. 19), 662 s., non reputa «irragionevole che la business judgement rule non operi in presenza di rapporti infragruppo, quando, dato il maggiore rischio di comportamenti opportunistici, si tratta di verificare il rispetto del duty of loyalty (e non semplicemente del duty of care)».

[34] «Non è il risultato complessivo dell’attività che può essere, di per sé, addotto a compensazione, ma il risultato complessivo in quanto giovi o abbia giovato pro quota alla singola controllata e valga appunto a riequilibrare, nel suo patrimonio, la lesione inferta dalla attività di direzione e coordinamento della capogruppo»: così G. Scognamiglio, I gruppi e la riforma del diritto societario: prime riflessioni, in Rass. giur. en. elettr., 2003, 167 e nota 8; Id., Poteri e doveri degli amministratori nei gruppi di società dopo la riforma del 2003, in Profili e problemi dell’amministrazione nella riforma delle società, a cura di G. Scognamiglio, Milano, Giuffrè, 2003, 197 ss.

[35] Come scrive F. Nieddu Arrica, I principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale nella prospettiva nella tutela dei creditori, Torino, Giappichelli, 2016, 126 ss., in molti casi l’attribuzione di vantaggi attesi o programmati in conseguenza della natura rischiosa e dinamica dell’attività di direzione e coordinamento non potrebbe essere oggetto di un’obbli­gazione assunta dalla capogruppo (arg. desunto dagli artt. 1174, 1325 e 1346 c.c.).

[36] Il par. 311 AktG richiede che la compensazione avvenga al più tardi entro la fine dell’esercizio sociale in cui si è verificata l’operazione pregiudizievole, norma criticata dalla dottrina tedesca per la sua rigidità: cfr. R. Emmerich, M. Habersack, Konzernrecht10, München, Beck, 2013, 381.

[37] Con la conseguenza che l’effetto preclusivo dell’azione risarcitoria potrebbe realizzarsi dopo l’inizio del processo, provocando la cessazione della materia del contendere e rendendo inutile ogni pronuncia sul merito (salva la valutazione della c.d. soccombenza virtuale ai fini della condanna al rimborso delle spese di lite): cfr. R. Rordorf, I gruppi nella recente riforma del diritto societario, in Società, 2004, 543. Sposta ancora più avanti il dies ad quem P. Dal Soglio, sub art. 2497, in Il nuovo diritto delle società, a cura di A. Maffei Alberti, Padova, Cedam, 2005, 2352, secondo il quale «il giudice potrebbe fondatamente essere chiamato a compiere una valutazione prognostica, ex ante, diretta a bilanciare quelli che sono i pregiudizi attuali, lamentati dall’attore al momento della proposizione della domanda giudiziale, con il futuro risultato delle operazioni economiche in cui sia coinvolta la società attualmente “sacrificata”». Anche ad avviso di A. Mambriani, (G. Racugno,) (nt. 28), 519 ss., il Giudice potrebbe essere «chiamato a validare la valutazione effettuata dagli amministratori trovandosi in una posizione non dissimile a quella degli stessi amministratori, cioè necessariamente ex ante rispetto al conseguimento dell’effetto compensativo».

[38] Vi è chi fa coincidere il termine finale con il completamento dell’operazione (ad esempio, con la realizzazione della commessa); chi assume come parametro la chiusura dell’eserci­zio sociale in cui è stato compiuto il singolo atto, in sé dannoso, se isolatamente considerato e chi propone d’individuare come riferimento temporale l’(eventuale) uscita della società controllata dal gruppo (riferimento incerto anche nell’an): per una rassegna delle diverse opinioni v. G. Sbisà, Responsabilità della capogruppo e vantaggi compensativi, in Contr. impr., 2003, 604.

[39] Tra i due estremi vi è una tesi intermedia che qualifica diversamente la responsabilità della holding a seconda che sia fatta valere dai soci (nel qual caso sarebbe contrattuale) o dai creditori (in relazione ai quali, mancando un rapporto diretto con la capogruppo, verrebbe in considerazione la qualificazione in chiave di responsabilità extracontrattuale). Per una sintesi del dibattito si rinvia a G. Sbisà, Sulla natura della responsabilità da direzione e coordinamento di società, in Contr. impr., 2009, 807 ss. e O. Cagnasso, La qualificazione della responsabilità per la violazione dei principi di corretta gestione nei confronti dei creditori della società eterodiretta, in Fallimento, 2008, 1438 ss.

[40] Come rileva I. Fava, I gruppi di società e la responsabilità da direzione unitaria, in Società, 2003, 1202, «le regole operative potrebbero risultare pressoché identiche». Infatti, anche qualora si sostenesse la tesi della responsabilità contrattuale, «la presenza di clausole generali di correttezza e diligenza quali parametri per accertare l’eventuale inadempimento dell’obbli­gazione pone il (preteso) creditore in una posizione sostanzialmente non dissimile da quella di chi agisce a titolo di illecito, come sempre accade nel caso di violazione di obbligazioni aventi ad oggetto non già un risultato da conseguire, bensì una condotta, nelle quali, come noto, la “diligenza” svolge il duplice ruolo di determinazione della prestazione dovuta e di criterio di responsabilità».

[41] Ragionando diversamente, ossia ponendo l’onere probatorio a carico dell’attore, si finirebbe per contraddire il brocardo negativa non sunt probanda. Per approfondimenti su quest’aspetto processuale v. S. Giovannini, Responsabilità della capogruppo, vantaggi compensativi e onere della prova, in Riv. dir. impr., 2009, 276 ss. Si ricorda, incidentalmente, che secondo una recente pronuncia di legittimità (Cass., 30 ottobre 2020, n. 24177, in www.ilcaso.it) la compensatio lucri cum damno sarebbe un’eccezione in senso lato, rilevabile anche d’ufficio dal giudice.

[42] Cfr. Trib. Milano, 27 febbraio 2012, in Giur. it., 2012, 2585, con nota di O. Cagnasso. Tuttavia, quantomeno nelle ipotesi di controllo interno ex art. 2359, primo comma, nn. 1 e 2 c.c., la conclusione è tutt’altro che scontata, poiché in senso contrario parrebbe deporre sia l’in­terpretazione storica (una prima bozza del terzo comma dell’art. 2497 c.c. prevedeva espressamente che l’azione «di cui ai precedenti commi non pregiudica il diritto della società al risarcimento del danno ad essa cagionato», e che la medesima azione «non è pregiudicata dalla rinuncia o transazione da parte della società» eterodiretta) che il tenore dell’art. 1227 c.c. (di regola, la direttiva della capogruppo pregiudizievole per la società controllata non può prescindere dalla cooperazione volontaria dell’organo amministrativo di quest’ultima). La dottrina è divisa: vi è chi afferma la legittimazione attiva della società eterodiretta (v. per tutti E. La Marca, Il diritto dei gruppi: unicorno o rinoceronte? Linee di desistenza del diritto comune, in Riv. dir. comm., 2019, I, 249 ss.) e chi, viceversa, la nega (tra gli altri R. Pennisi, La legittimazione della società diretta all’azione di responsabilità per abuso di attività di direzione e coordinamento, in Liber amicorum Pietro Abbadessa, diretto da M. Campobasso, V. Cariello, V. Di Cataldo, F. Guerrera, A. Sciarrone Alibrandi, vol. II, Torino, Utet Giuridica, 2014, 1633).

[43] Per un’attenta casistica si rinvia a P. Montalenti, L’attività di direzione e coordinamento: dottrina, prassi, giurisprudenza, in Giur. comm., 2016, I, 111 ss. e in Id., Impresa, società di capitali, mercati finanziari, (nt. 20), 227 ss. V. anche le rassegne giurisprudenziali curate da L. Benedetti, in Riv. dir. impr., 2015, 127 ss. e da S. Maddaluno, Dieci anni di giurisprudenza sulla «direzione e coordinamento» di società, in Giur. comm., 2013, II, 743 ss.

[44] Cass., sez. un., 18 marzo 2010, n. 6538, in Giur. comm., 2011, II, 585, con nota di L. Benedetti. Tra le sentenze di merito v. Trib. Rovigo, 31 gennaio 2005, in Dir. fall., 2008, II, 98.

[45] Il parallelismo è ben evidenziato da Cass., 11 dicembre 2006, n. 26325 (in Giur. comm., 2008, II, 811, con nota di M. De Luca di Roseto; in Fallimento, 2007, 1301, con nota di B. Meoli e in Società, 2007, 1362, con nota di M.M. Gaeta), ove si legge che, rispetto a quanto osservato dalla giurisprudenza in materia di vantaggi compensativi ai fini della responsabilità risarcitoria degli amministratori, «il discorso non è in sostanza diverso con riguardo al tema» dell’estraneità all’oggetto sociale dell’atto infragruppo. Sui profili d’interferenza v.  G. Cottino, Delibere illegittime degli amministratori, oggetto sociale e interesse di gruppo: divagazioni sul tema, in Giur. it., 1999, 1882 ss.; A. Daccò, Alcune osservazioni in tema di estraneità all’oggetto sociale nei gruppi di società, in Banca, borsa, tit. cred., 2002, II, 80 ss.; M. Delucchi, Atti rientranti nell’oggetto sociale e logica di gruppo, in Società, 2003, 1120 ss.

[46] V. Trib. Roma, 5 febbraio 2008, in Giur. it., 2009, 109, con nota di R. Weigmann e in Società, 2009, 491, con commento di V. Scognamiglio.

[47] Cfr. App. Milano, 11 luglio 1991, in Giur. it., 1992, I, 2, 15, con nota di R. Weigmann. V. anche A. Valzer, Attività di direzione e coordinamento di società e denunzia al tribunale ex art. 2409 c.c., in Riv. dir. soc., 2011, 128 ss.

[48] L. Benedetti, I vantaggi compensativi nella giurisprudenza, (nt. 43), 140.

[49] Lo stesso art. 2, lett. h) del d. lgs. n. 14/2019 definisce il «gruppo di imprese» e non «l’impresa di gruppo».

[50] Come scrive R. Sacchi, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, (nt. 19), 663 s., «l’interesse del gruppo è formula vuota e pericolosa, in quanto, a meno che non si voglia ricorrere ad un’anacronistica concezione istituzionalistica […], l’interesse di gruppo non esiste e il riferimento ad esso consente di mascherare la protezione dell’interesse della capogruppo e dei suoi soci di controllo».

[51] V. la definizione fornita da Cass., 5 dicembre 1998, n. 12325, in Giur. it., 1999, 2317, con nota di P. Montalenti, Operazioni intragruppo e vantaggi compensativi: l’evoluzione giurisprudenziale, ove un’accurata ricostruzione delle diverse correnti di pensiero. L’A., già prima dell’entrata in vigore della riforma societaria, aveva messo in risalto la seguente contraddizione in termini: «affermare che l’interesse di gruppo in tanto può essere perseguito in quanto non incida sull’interesse delle singole società, che esso deve essere “ulteriore” ma “non confliggente”, rispetto all’interesse delle controllate, significa in realtà asserire l’irrilevanza dell’interesse di gruppo nell’ambito del diritto societario vigente»: così P. Montalenti, Persona giuridica, gruppi di società, corporate governance, (nt. 3), 98. Viceversa, ammettere la rilevanza dell’interesse di gruppo, implica, capovolgendo la prospettiva, riconoscere che l’inte­resse sociale possa essere «a sovranità limitata»: v. già A. Mignoli, Interesse di gruppo e società a sovranità limitata, (nt. 2), 729 ss. Il tema resta però delicato: cfr. F. d’Alessandro, Il dilemma del conflitto d’interessi nei gruppi di società, in Aa.Vv., I gruppi di società, (nt. 3), 1085 ss.

[52] P. Montalenti, L’attività di direzione e coordinamento: dottrina, prassi, giurisprudenza, (nt. 43), 111, richiamando l’incisiva espressione di Giuseppe Ferri, parla di «unità dei distinti».

[53] P. Montalenti, Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, (nt. 3), 716 s.

[54] Sull’argomento v. amplius G. Scognamiglio, Sull’estensione al gruppo del diritto di informazione ed ispezione del socio di s.r.l., in Aa.Vv., La società a responsabilità limitata: un modello transtipico alla prova del Codice della Crisi. Studi in onore di Oreste Cagnasso, a cura di M. Irrera, Torino, Giappichelli, 2020, 1030 ss. e in Riv. dir. comm., 2020, I, 1 ss.

[55] Propende, in presenza di un’organizzazione definibile come «gruppo», per la disapplicazione dell’art. 2476, settimo comma (oggi ottavo comma), c.c. V. Meli, La responsabilità dei soci nella s.r.l., in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, vol. III, Torino, Utet Giuridica, 2007, 686.

[56] Cass., 7 dicembre 2011, n. 26362, in Società, 2012, 1137, con commento di V. Scognamiglio, Mala gestio, rinuncia dell’amministratore al compenso e non invocabilità dei vantaggi compensativi. La decisione è corretta in quanto, secondo i principi generali, la gratuità della carica comporta solo un minor rigore nell’accertamento della responsabilità (arg. desunto dagli artt. 709, 1130, 1710 e 1768 c.c.).

[57] Trib. Catanzaro, sez. impresa, 19 novembre 2020, inedita.

[58] Il riferimento è al consolidato fiscale: art. 118, quarto comma, t.u.i.r. Cfr. Cass., 14 novembre 2018, n. 29302, in Dir. e prat. trib., 2019, 2517, con nota di T. Ventrella, Vantaggi (tributari) compensativi tra autonomia negoziale e neutralità fiscale: il fragile equilibrio degli accordi di consolidamento.

[59] Tra le opere interamente dedicate all’approfondimento di questa disciplina v. E. Ricciardiello, La crisi dell’impresa di gruppo tra strumenti di prevenzione e di gestione, Milano, Giuffrè, 2020; Aa.Vv., I gruppi nel Codice della crisi, a cura di D. Vattermoli, Pisa, Pacini Giuridica, 2020. Ante riforma resta imprescindibile la monografia di B. Libonati, Il gruppo insolvente, Firenze, Nardini, 1981.

[60] Cfr. S. Poli, Il concordato di gruppo: ii) verifica critica degli approdi giurisprudenziali con tentativo di ricavare dal sistema le chiavi per un parziale superamento del dogma della separazione delle masse (attive) (Parte II), in Contr. impr., 2015, 119.

[61] Cfr. R. Santagata, Concordato preventivo “di gruppo” e “teoria dei vantaggi compensativi”, in Riv. dir. impr., 2015, 244 ss.

[62] Come rileva G. Scognamiglio, La crisi e l’insolvenza dei gruppi di società: prime considerazioni critiche sulla nuova disciplina, in questa Rivista, 2019, 706, nota 45, si fa riferimento ai soli creditori (quasi a voler rappresentare l’irrilevanza della posizione dei soci al momento della stima dei benefici dell’azione concordataria di gruppo) e si ha riguardo a vantaggi, tanto puntualmente determinati perché già assegnati o conseguiti, quanto fondatamente prevedibili in un futuro più o meno ravvicinato.

[63] Come scrive A. Farolfi, La crisi dei gruppi alla luce del nuovo Codice della crisi e del­l’insolvenza, in ilFallimentarista, Focus del 22 maggio 2019, la norma «compie un esplicito omaggio alla teoria dei “vantaggi compensativi”».

[64] L. Boggio, proposta n. 27, in Osservazioni e proposte di modifica al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (coord. da M. Irrera, S.A. Cerrato), documento 8 luglio 2019 del Centro CRISI di Torino (centrocrisi.it).

[65] Così A. Nigro, I gruppi nel codice della crisi di impresa e dell’insolvenza: notazioni generali, in www.ilcaso.it, 23 gennaio 2020, 20 e in Aa.Vv., I gruppi nel Codice della crisi, a cura di D. Vattermoli, (nt. 59), 34, il quale sottolinea che la dimostrazione del migliore soddisfacimento derivante ai creditori dalla scelta di presentare un piano unitario o piani tra loro collegati/interferenti anziché piani autonomi implica necessariamente una qualche specificazione di ordine quantitativo.

[66] Come rileva O. Cagnasso, La domanda di accesso al concordato preventivo di gruppo in continuità, in NDS, 2020, n. 2, 146, non si tratta di vantaggi compensativi in senso proprio, diretti a controbilanciare un pregiudizio, ma piuttosto di sinergie derivanti dall’appartenenza al gruppo. Critici sono anche F. Lamanna e D. Galletti, Il primo correttivo al codice della crisi e dell’insolvenza, Milano, Giuffrè, 2020, 205 s., i quali sottolineano il «contesto completamente diverso» in cui il Codice della crisi trapianta la regola dei vantaggi compensativi. A tale rilievo C.B. Vanetti, Il concordato di gruppo nel codice della crisi di impresa: una sintesi e alcune osservazioni, in Patrimonio sociale e governo dell’impresa. Dialogo tra giurisprudenza, dottrina e prassi in ricordo di G.E. Colombo, Torino, Giappichelli, 2020, 26, «aggiunge un argomento di buon senso […]: la irrealizzabilità di vantaggi compensativi, se allineati alla normale lettura “corrispettiva” (do ut des) dell’art. 2497 c.c.». Ad avviso dell’A. sarebbe dunque preferibile parlare di «“non svantaggi” compensativi».

[67] V. l’art. 289 della bozza del dicembre 2017.

[68] L. Boggio, D. Latella, proposta n. 28, in www.centrocrisi.it.

[69] M. Fabiani, Di un ordinato ma timido disegno di legge delega sulla crisi d’impresa, in Fallimento, 2016, 268, con riferimento al d.d.l. Rordorf, aveva qualificato la divisione delle masse attive e passive «un criterio forse invalicabile», che «avrebbe potuto essere almeno in parte attenuato con il rinvio alla teoria dei vantaggi compensativi». Il suggerimento non è rimasto inascoltato, anche se è stato accolto dal legislatore delegato, anziché dal delegante (il citato criterio direttivo non parlava di trasferimenti di risorse infragruppo). Il dubbio che la disposizione possa ritenersi viziata da eccesso di delega è sollevato da (A. Nigro,) D. Vattermoli, Il diritto societario della crisi nello schema di riforma delle procedure concorsuali: osservazioni critiche “ad adiuvandum, in Giustizia civile.com, 2018, n. 8, 12. Sull’originario d.d.l. delega si rinvia a L. Rovelli, Gruppi e insolvenza: alcune riflessioni sul disegno di legge delega per la riforma organica della crisi di impresa e dell’insolvenza, in Le proposte per una riforma della legge fallimentare. Un dibattito dedicato a Franco Bonelli, a cura di M. Arato, G. Domenichini, Milano, Giuffrè, 2017, 9 ss. e G. Scognamiglio, La disciplina del gruppo societario in crisi o insolvente. Prime riflessioni a valle del recente disegno di legge delega per la riforma organica della legge fallimentare, ivi, 21 ss.

[70] La dottrina è divisa. Per G. Meo e L. Panzani, Procedure unitarie “di gruppo” nel codice della crisi. Un “contrappunto”, in www.ilcaso.it, 20 dicembre 2019, 48 e 52, si tratterebbe di trasferimenti definitivi, assimilabili a distribuzioni, in quanto quelli temporanei dovrebbero ricondursi all’art. 292 c.c.i.i. Viceversa, per G. Ferri jr., Autonomia delle masse e trasferimenti di risorse nel concordato preventivo di gruppo, in Corr. giur., 2020, 293 ss.; Id., Il concordato preventivo di gruppo: profili sostanziali, in Aa.Vv., I gruppi nel Codice della crisi, a cura di D. Vattermoli, (nt. 59), 49, si tratterebbe di trasferimenti temporanei, assimilabili a finanziamenti, stante la sostanziale coincidenza dei presupposti richiesti dagli artt. 285 e 99, commi 1 e 3, c.c.i.i.

[71] Come sottolinea G. D’Attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in Fallimento, 2019, 288, «dal lato attivo, la regola dell’autonomia delle masse attive trova un contemperamento, potendo essere derogata attraverso i trasferimenti infragruppo».

[72] Questa specifica attestazione rievoca l’obbligo di motivazione di cui all’art. 2497 ter c.c., che deve dare conto dei vantaggi compensativi, disclosure che implica un divieto di direttive “strettamente confidenziali”: cfr. v. R. Pennisi, La disciplina delle società soggette a direzione unitaria ed il recesso nei gruppi, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, (nt. 55), 906; L. Marchegiani, La motivazione delle deliberazioni consiliari nelle società per azioni, Milano, Giuffrè, 2018, 161.

[73] La formulazione di questa prima condizione si presta a una lettura estensiva, legittimando i trasferimenti anche in favore d’imprese per le quali sia prevista la liquidazione, purché funzionali a consentire la continuità aziendale di altre imprese del gruppo: cfr. G. D’Attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, (nt. 71), 289.

[74] Ne consegue che dell’impresa trasferente e ricevente dovrebbe essere prevista la continuazione, giacche la loro liquidazione impedirebbe il “ritorno di valore” presupposto dalla legge: così G. Ferri jr., Autonomia delle masse e trasferimenti di risorse nel concordato preventivo di gruppo, (nt. 70), 292 s.; Id., Il concordato preventivo di gruppo: profili sostanziali, in Aa.Vv., I gruppi nel Codice della crisi, a cura di D. Vattermoli, (nt. 59), 48. Probabilmente il legislatore plus dıxit quam voluit, poiché dovrebbe essere sufficiente che «l’operazione migliori il soddisfacimento dei creditori di una o più imprese senza pregiudicare quello dei creditori delle altre imprese, assicurando il c.d. ‘ottimo paretiano’»: così D’Attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, (nt. 71), 289.

[75] G. Guerrieri, Il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza (d. lgs. 12 gennaio 2019, n. 14), in Nuove leggi civ. comm., 2019, 849, nota 159.

[76] G. D’Attorre, I concordati di gruppo nel codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, (nt. 71), 290. Anche secondo O. Cagnasso, La domanda di accesso al concordato preventivo di gruppo in continuità, (nt. 66), 151, la regola dei vantaggi compensativi, sebbene dettata espressamente solo con riferimento ai soci, deve ritenersi un principio di portata generale, applicabile anche all’opposizione dei creditori.

[77] Trapianto che, prima del d. lgs. n. 14/2019, non era ritenuto possibile. Lo avevano espressamente escluso, in giurisprudenza, Trib. Roma, 25 luglio 2012, in ilFallimentarista, 21 settembre 2012, con nota di D. Galletti e in Fallimento, 2013, 748, con nota di C. Trentini. In dottrina R. Brogi, Il concordato preventivo di gruppo e la fusione, in www.osservatorio-oci.org, 2014, 8, rimarca che l’art. 2497 c.c. detta una regola di responsabilità per abuso del­l’attività di direzione e coordinamento e non di realizzo della responsabilità patrimoniale, con la conseguenza che una deroga all’art. 2740 c.c. non può essere ricavata in via d’interpre­tazione analogica mancando l’eadem ratio e la similarità dei casi da regolare.

[78] G. Scognamiglio, I gruppi di imprese nel CCII: fra unità e pluralità, in Società, 2019, 428; Id., La crisi e l’insolvenza dei gruppi di società: prime considerazioni critiche sulla nuova disciplina, (nt. 62), 705. Sull’individuazione dei vantaggi compensativi in contesti di crisi v. amplius M. Miola, Attività di direzione e coordinamento e crisi di impresa nei gruppi di società, in Liber amicorum Pietro Abbadessa, vol. III, Torino, Utet Giuridica, 2014, 2755 ss.

[79] Così A.M. Azzaro, P. Bastia, La regolazione della crisi e dell’insolvenza dei gruppi aziendali, in www.osservatorio-oci.org, dicembre 2020, 9 ss. i quali fanno l’esempio di una società commerciale che, in presenza di una valorizzazione delle vendite on line, sviluppi maggiormente le società di servizi logistici del gruppo, mantenendo comunque un canale di vendita tradizionale, che conserverebbe un ruolo, ma ridimensionato, nelle nuove strategie, rispondenti alle mutate esigenze del mercato.

[80] Così S. Morri, Commento breve agli articoli 284, 285 e 286 del Codice della Crisi sulla regolazione della crisi di gruppo con qualche spunto e i non pochi dubbi interpretativi, in ilFallimentarista, Focus del 3 giugno 2020, a cui avviso il rimedio potrebbe consistere nella stessa regolazione di gruppo: «il che accadrà ogni volta che da sola l’entità non potrebbe salvarsi dalla liquidazione giudiziale, con grave distruzione di valore, mentre insieme alle altre società del gruppo e nel contesto di una unica procedura essa potrebbe assicurare maggiori ritorni per il ceto creditorio».

[81] Per A. Farolfi, (nt. 63), il pregiudizio può non essere immediatamente eliso, purché il vantaggio compensativo, seppure futuro, non sia del tutto eventuale, ma possa ritenersi ragionevolmente certo e tale da poter essere oggetto della specifica attestazione richiesta dall’art. 285 c.c.i.i.

[82] Così G. Ferri jr., Autonomia delle masse e trasferimenti di risorse nel concordato preventivo di gruppo, (nt. 70), 293.

[83] Un sistema tendenzialmente autonomo che comprende una serie di regole le quali, a prescindere dalla loro collocazione nel codice civile o della crisi, perseguono finalità ulteriori rispetto a quelle sottese al diritto societario comune, che è «diritto dell’organizzazione dell’impresa in espansione o in equilibrio»: la definizione è, more solito, stata elaborata da P. Montalenti, La gestione dell’impresa di fronte alla crisi tra diritto societario e diritto concorsuale, in Riv. dir. soc., 2011, 821; Id., Diritto dell’impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi: appunti, in Giur. comm., 2018, I, 62 ss. Su questo emergente S.S.D. v. per tutti U. Tombari, Principi e problemi di “diritto societario della crisi”, in Riv. soc., 2013, 1138 ss.

[84] F. Guerrera, La regolazione negoziale della crisi e dell’insolvenza dei gruppi di imprese nel nuovo CCII, in Dir. fall., 2019, I, 1333; Id., Atti, contratti, operazioni infragruppo e “trasferimento di risorse” nei concordati e negli accordi di ristrutturazione e di risanamento di gruppo, in Riv. dir. comm., 2021, I, 89 ss. V. anche M. Miola, Riflessioni su responsabilità per eterodirezione dell’impresa e procedure concorsuali, in Studi in onore di Giorgio De Nova, a cura di G. Gitti, F. Delfini, D. Maffeis, A. Dalmartello, C. Ferrari, vol. 3, Milano, Giuffrè, 2015, 2095 ss. e in questa Rivista, 2015, n. 1.

[85] Come scrive G. Racugno, I gruppi di imprese nella regolazione della crisi e dell’in­solvenza. Appunti, in Dir. fall., 2020, I, 1280, non andrebbe trascurato «il rilievo del maggior valore destinato ad assumere, anche, per l’economia generale, il gruppo risanato per tutti gli stakeholders delle imprese in crisi mediante il salvataggio delle società ed il rientro nel mercato».

[86] Così L. Panzani, Il concordato di gruppo, in Fallimento, 2020, 1353.

[87] Come spiega V. Caridi, La revocatoria degli atti infragruppo nel CCI, in Dir. fall., 2020, I, 661, nota 79; Id., Il sistema revocatorio degli atti infragruppo, in Aa.Vv., I gruppi nel Codice della crisi, a cura di D. Vattermoli, (nt. 59), 147, nota 79, il richiamo tout court al­l’art. 2497, primo comma, c.c. contenuto nell’art. 290, primo comma, ultimo periodo, c.c.i.i. è errato sia per eccesso (poiché riferito in via immediata e diretta all’azione di responsabilità per abusiva attività di etero-direzione) che per difetto (il rimando al meccanismo dei vantaggi compensativi è solo mediato ed indiretto). Anche qualora, forzando il dato testuale, il rinvio fosse inteso alla sola ultima parte del comma in questione, resta il fatto che detta proposizione contempla due diverse esimenti, delle quali solo la prima può ritenersi prevista in accoglimento della teoria dei vantaggi compensativi. Più precisa era la formulazione dell’art. 293 ter del­l’originario progetto Rordorf che subordinava expressis verbis l’esperibilità dell’azione revocatoria alla mancata integrale compensazione della lesione inferta ai creditori dell’impresa che effettua l’atto di disposizione, realizzata con «l’attribuzione di un corrispondente vantaggio ai sensi dell’art. 2497 c.c.».

[88] Il condizionale è d’obbligo giacché il legislatore continua ad offrire indicazioni contrastanti. Da un lato, dall’uso del plurale (enfatizzato dalla Relazione di accompagnamento) si potrebbe inferire il passaggio al curatore, oltre che dell’azione spettante ai creditori sociali (sicuramente di massa al pari di quella ex art. 2394 c.c.), anche dell’azione spettante ai soci di minoranza delle società eterodirette (anche l’art. 307 c.c.i.i. attribuisce al commissario liquidatore della l.c.a. l’azione di responsabilità ex art. 2497 c.c., senza specificare i commi richiamati). Dall’altro lato, l’art. 255, lett. d), c.c.i.i., nell’elencare le azioni esperibili dal curatore, continua a menzionare solo l’azione spettante ai creditori, mentre il decreto correttivo n. 147/2020 ha soppresso l’art. 382, terzo comma, c.c.i.i. che prevedeva un mero adeguamento lessicale (ossia la sostituzione del termine «fallimento» con l’espressione «liquidazione giudiziale») del quarto comma dell’art. 2497 c.c. Il tema resta dunque aperto: v. D.U. Santosuosso, Abuso dell’eterodirezione e poteri del curatore, in Dir. fall., 2020, I, 1255 e in Aa.Vv., I gruppi nel Codice della crisi, a cura di D. Vattermoli, (nt. 59), 161 ss., cui adde R. Agostinelli, Appunti sulla legittimazione attiva nell’azione ex art. 2497, comma 4, c.c., in ilFallimentarista, Focus del 19 gennaio 2021. Sulla natura del danno subito dai soci v. la recente monografia di F. Sudiero, La tutela risarcitoria del socio tra danno diretto e danno riflesso, Torino, Giappichelli, 2020, in particolare 158 ss.

[89] La cui formulazione non chiarisce se i soci uti singuli conservino la legittimazione ad agire autonomamente anche in caso di sottoposizione della società figlia ad una procedura concorsuale: v. per tutti A. Jorio, I gruppi, in La riforma delle società. Profili della nuova disciplina, a cura di S. Ambrosini, Bologna, Zanichelli, 2003, 201 ss.

[90] Viceversa in base all’art. 2409 c.c. «soggetto passivo della procedura è, e resta, sempre e soltanto l’organo gestorio (o il collegio sindacale) della controllante»: cfr. App. Milano, 12 marzo 2005, in Giur. it., 2005, 2342, con nota di E. Dalmotto. Tra i contributi più recenti v. G. Doria, Ancora sul controllo giudiziario di gruppo, in Riv. dir. comm., 2021, I, 157 ss.

[91] Detta condizione implicita, non prevista dagli artt. 2497 quinquies c.c. e 292 c.c.i.i., è ricavata, in via interpretativa, da M. Miola, Crisi dei gruppi e finanziamenti infragruppo nel Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, in La nuova disciplina delle procedure concorsuali. In ricordo di Michele Sandulli, Torino, Giappichelli, 2019, 459 e in Riv. soc., 2019, 332; Id., La postergazione dei crediti infragruppo, in Aa.Vv., I gruppi nel Codice della crisi, a cura di D. Vattermoli, (nt. 59), 213.

[92] Per uno spunto v. L. Della Tommasina, Le azioni revocatorie nella liquidazione controllata dell’impresa agricola, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, n. 3, 1037 ss.

[93] Cfr. Cass., 30 luglio 2020, n. 16263, in Fallimento, 2021, 38, con nota di M. Spiotta.

[94] Così l’art. 12, quarto comma, c.c.i.i. Sotto tale profilo sarà tuttavia necessario integrare il d. lgs. n. 14/2019 che, oltre a non contenere norme ad hoc sul funzionamento dell’allerta nei gruppi, esclude quelli di rilevante dimensione, mentre in base al Considerando n. 22 della Direttiva Insolvency «gli Stati membri dovrebbero essere in grado di […] stabilire specifiche disposizioni in materia di strumenti di allerta precoce per le imprese e i gruppi di grandi dimensioni, tenendo conto delle loro peculiarità».

[95] L’espressione è di D. Vidal, G.C. Giorgini, Cours de droit des entreprises en difficulté, Issy-les-Moulineaux, 2016, 62.

[96] V. amplius R. Russo, Collegio sindacale e impresa in crisi, Milano, Giuffrè, 2021, 201. Sull’argomento v. anche P. Montalenti, Gestione dell’impresa, assetti organizzativi e procedure di allerta, in La nuova disciplina delle procedure concorsuali. In ricordo di Michele Sandulli, Torino, Giappichelli, 2019, 487 ss.

[97] Così M. Vitiello, Il concordato preventivo “di gruppo”, in ilFallimentarista, Focus del 31 luglio 2012.

[98] In argomento C. Santoriello, Gruppi di società e sistema sanzionatorio del d.lgs. 231/2001, in La Responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2007, n. 4, 41 ss.

[99] V. in particolare U. Tombari, Crisi di impresa e doveri di “corretta gestione societaria e imprenditoriale” della società capogruppo. Prime considerazioni, in Riv. dir. comm., 2011, I, 631 ss. Già in sede di primo commento all’art. 2497 c.c., A. Irace, sub art. 2497, in La riforma delle società, a cura di M. Sandulli, V. Santoro, Torino, Giappichelli, 2003, 317, aveva ipotizzato, quale violazione dei «principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale» delle eterodirette, il non aver provveduto, in presenza di una situazione di “crisi iniziale” della società dipendente, al suo risanamento o, in alternativa, a disporre la sua liquidazione in forma ordinata».

[100] Sulla configurabilità di un dovere della holding di finanziare le società eterodirette per evitare la propagazione della crisi v. per tutti M. Miola, Profili del finanziamento dell’impresa in crisi tra finalità di risanamento e doveri gestori, in Impresa e mercato. Studi dedicati a Mario Libertini, III, Milano, Giuffrè, 2015, 1424 ss. Sulla normativa di settore v. E. Ricciardiello, Gli accordi di sostegno finanziario infragruppo nella crisi dei gruppi bancari, in Dir. banca merc. fin., 2016, 683 ss.; Id., Gli strumenti di prevenzione della crisi dei gruppi tra principi generali e discipline speciali, in Banca, impr., soc., 2018, 333 ss.; M. Lamandini, Il gruppo bancario alla luce delle recenti riforme, in Banca, borsa, tit. cred., 2016, I, 672 ss.; G. Marra, Gli accordi di sostegno finanziario di gruppo ex artt. 69-duodecies ss. TUB: spunti critici e questioni aperte, in questa Rivista, 2020, 231 ss. V. inoltre A. Sacco Ginevri, La nuova regolazione del gruppo bancario. Profili sistematici e interessi tutelati, Torino, Utet Giuridica, 2017, 169 ss.

[101] Secondo L.G. Rossi, Il ruolo della controllata e la tutela del socio esterno nella nuova disciplina dei gruppi, in Giur. comm., 2014, I, 987, il precipitato dei principi di corretta gestione sarebbe costituito dal divieto di pregiudicare la capacità economico-produttiva della controllata. Contra E. La Marca, Il diritto dei gruppi: unicorno o rinoceronte? Linee di desistenza del diritto comune, in Riv. dir. comm., 2019, I, 249 ss. (spec. p. 34 del PDF e nota 33), a cui avviso il legislatore avrebbe posto l’asticella ad un livello più elevato essendo necessario salvaguardare l’integrità del patrimonio sociale per i creditori e il valore/redditività della partecipazione per i soci di minoranza. In giurisprudenza già Trib. Milano, 3 aprile 2015, in www.giurisprudenzadelleimprese.it aveva considerato un abuso di direzione e coordinamento l’imposizione alla società eterodiretta di un’operazione di cessione di crediti che ebbe a determinare un danno (non patrimoniale, ma) finanziario che, privando la società della necessaria liquidità in un momento di grave difficoltà, mise a rischio la continuità aziendale. Più di recente v. Trib. Milano, 21 maggio 2020, in www.giurisprudenzadelleimprese.it. Anche per Cass., 29 gennaio 2008, n. 4410, in Giur. comm., 2008, II, 764, «quando il trasferimento di beni avvenga da una società in stato di insolvenza ad una società in difficoltà economica» «nessuna prognosi positiva, […] è possibile e, quindi, l’operazione di trasferimento di risorse non potrà che essere considerata distruttiva».

[102] Sulla possibilità di un “piano di gruppo senza gruppo” proposto da più imprese indipendenti in crisi che si aggreghino ad hoc si sofferma C.B. Vanetti, (nt. 66), 34 ss., il quale non ritiene ostativo l’art. 28 c.c.i.i. (art. 9, comma 2, l. fall.) non essendo una manovra di censurabile forum shopping .

[103] Sull’incidenza dell’ingresso in procedura di una delle imprese appartenenti al gruppo v. N. Abriani, Holding e continuità aziendale nelle procedure di regolazione della crisi dei gruppi, in www.dirittodellacrisi.it, 25 marzo 2021.

[104] Se ben si riflette, appigli normativi in tal senso sono già offerti dagli artt. 2381, quinto comma, e 2403 bis, secondo comma, che, prevedendo la facoltà per il collegio sindacale di scambiare informazioni con i corrispondenti organi delle società controllate, finisce per disapplicare l’art. 2407, primo comma, c.c. sul dovere di segretezza: cfr. U. Tombari, Il controllo sindacale sugli amministratori in una società per azioni dominante e dipendente (Contributo ad uno studio dei sindaci in una prospettiva “di gruppo”), in Riv. soc., 1997, 938 ss. e in particolare 958 ss. Riprendendo tale studio, si potrebbe ragionare sul dovere d’intervento dei sindaci alle riunioni assembleari/consiliari di altra società del gruppo e via dicendo. Sulla questione v. F. Sudiero, Il collegio sindacale “di gruppo” e continuità aziendale: tra «fondati indizi della crisi» e vantaggi compensativi «fondatamente prevedibili», in Aa.Vv., Impresa e rischio. Profili giuridici del risk management, a cura di S.A. Cerrato, Torino, Giappichelli, 2019, 128 ss. Cfr. Cass., 5 gennaio 2021, n. 156, segnalata da M. Meoli, La pluralità di ruoli infragruppo incastra i sindaci, in Eutekne.Info, 6 gennaio 2021.

[105] P. Montalenti, Assetti organizzativi e organizzazione dell’impresa tra principi di corretta amministrazione e business judgment rule: una questione di sistema, in NDS, 2021, n. 1, 11 ss.

[106] Cfr. O. Cagnasso, Scelte degli amministratori, attività preparatoria e istruttoria e assetti adeguati, in Giur. it., 2021, 115. Sul tema v. di recente E. Barcellona, Business judgment rule e interesse sociale nella “crisi”. L’adeguatezza degli assetti organizzativi alla luce della riforma del diritto concorsuale, Milano, Giuffrè, 2020, passim.

[107] In tal senso v. già Cour de Cassation, 4 febbraio 1985, sull’affaire Rozenblum, pubblicata in Gaz. Pal., 1985, 1, 377; in Dalloz-Sirey, 1985, II, 479; in Rev. soc., 1985, 648; in J.C.P., 1985, 2, 14613. Anche la giurisprudenza italiana sembra muoversi nella stessa direzione: cfr. Trib. Milano, 18 dicembre 2015, in www.giurisprudenzadelleimprese.it: «La decisione della capogruppo di stornare il core business di una controllata e di cessare ex abrupto ogni forma di assistenza finanziaria, determinando l’annichilimento imprenditoriale della società e l’annulla­mento del valore in essa delle partecipazioni dei soci esterni al controllo, viola i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale e comporta la responsabilità della capogruppo e, in solido, dell’amministratore e del socio di controllo, senza alcun beneficio di preventiva escussione» e – si potrebbe aggiungere – senza possibilità d’invocare la teoria dei vantaggi compensativi, ontologicamente incompatibile con la decretata fine dell’impresa.

[108] Senza scendere ad un esame dettagliato della bozza di documento elaborata dal CNDCEC in adempimento alla delega contenuta nell’art. 13, secondo comma, c.c.i.i. e diffusa nell’ottobre del 2019, preme qui rilevare la mancanza di indici ad hoc, in un certo senso “consolidati”, per i gruppi. Su questa carenza v. G. Racugno, Gli indicatori della crisi d’impresa nel passaggio dal bilancio d’esercizio al bilancio consolidato, in Dir. fall., 2020, I, 324 ss.; M.L. Vitali, Sistemi di allerta e crisi di gruppo nel nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza: prime riflessioni (anche) alla luce delle recenti tendenze europee, ivi, 2019, I, 555 ss.

[109] M. Rescigno, Il concordato di gruppo: considerazioni sparse fra fisiologia e patologia dell’istituto, in Aa.Vv., La riforma delle procedure concorsuali. Scritti in ricordo di V. Buonocore, Milano, Giuffrè, 2021, 272.

[110] Come scrive M. Sciuto, Le ragioni della liquidazione giudiziale di gruppo, in Aa.Vv., I gruppi nel Codice della crisi, a cura di D. Vattermoli, (nt. 59), 58 s., «la domanda che provenga dalla capogruppo, in questo senso, suona come un cupio dissolvi» giacché sarebbe una forzatura descrivere la liquidazione degli attivi delle diverse imprese come un «mero avvicendamento nell’attività di direzione e di coordinamento (come se il curatore, cioè, divenisse «un anomalo “capogruppo”)».

[111] In caso di apertura di una pluralità di procedure, l’art. 56, par. 2, Reg. n. 848/2015 ammette espressamente la possibilità di nominare un curatore con il ruolo di coordinatore, abilitato a ricorrere a forme di prosecuzione dell’attività d’impresa (esercizio provvisorio o affitto) strumentali ad una migliore liquidazione.

[112] Tra i limiti al potere di eterodirezione potrebbe essere ricompreso anche il divieto d’imporre alla società controllata l’assunzione di obbligazioni sproporzionate alle sue capacità patrimoniali: in tal senso, valorizzando l’art. 4 della bozza di Codice della crisi del dicembre 2017 (non riproposto nell’art. 3 del d. lgs. n. 14/2019) v. O. Cagnasso, Assunzione di obbligazioni e riforma delle procedure concorsuali, in Giur. comm., 2020, I, 452 ss.

[113] Tra le pronunce che sembrerebbero riconoscere natura “transtipica” alla norma che codifica gli assiomi della teoria dei vantaggi compensativi v. Cass. pen., 6 giugno 2019, n. 38715 in www.dirittobancario.it; Cass. pen., 27 febbraio 2020, n. 13284, in Guida al diritto, 2020, 34-35, 83. In argomento v. per tutti E. Codazzi, Bancarotta fraudolenta e vantaggi compensativi: alcune riflessioni sul concetto di distrazione nei gruppi, in Giur. comm., 2008, I, 765; M.M. Scoletta, Bancarotta fraudolenta e rilevanza dei vantaggi compensativi infragruppo, in Società, 2012, 841. Ma la cautela è d’obbligo: cfr. D. Zingales, La Cassazione sul Crac Cirio: ancora cautela nell’interpretazione della clausola sui vantaggi compensativi applicata ai reati fallimentari che coinvolgono gruppi di società, in Cass. pen., 2018, 2427 ss.; G.G. Sandrelli, Fallimento e vantaggi compensativi: due termini difficilmente compatibili, Fallimento, 2009, 315 ss.

[114] Cfr. G. Guizzi, Riflessioni su alcuni problemi irrisolti nella disciplina del gruppo (Fantasia para un Gentilhombre), in ODCC, 2015, n. 1, 3 ss.

[115] Per uno spunto v. M. Arato, Regolazione della crisi e dell’insolvenza dei gruppi di imprese, in www.ilcaso.it, 10 aprile 2018, 7. V. anche M. Greggio, La holding occulta e la responsabilità da direzione e coordinamento: una “nuova” frontiera dell’attività recuperatoria nel fallimento, in www.ilcaso.it, 3 novembre 2017.

[116] Il riferimento è a G. Scognamiglio, La crisi e l’insolvenza dei gruppi di società: prime considerazioni critiche sulla nuova disciplina, (nt. 62), 710; Id., I gruppi di imprese nel CCII: fra unità e pluralità, (nt. 78), 429, dalla quale sono tratte le parole riportate tra virgolette.

[117] La mente corre alla nota vicenda Caltagirone: cfr. Cass., 26 febbraio 1990, n. 1439, pubblicata in numerose Riviste, tra cui in Giur. it., 1990, I, 1, 713, con nota di Weigmann e in Riv. dir. impr., 1991, 315, con commento di A. Jorio, Gruppo di imprese, holding e socio tiranno, il quale aveva sottolineato la «singolare resistenza» che la nota teoria bigiaviana del socio tiranno «continua a incontrare presso i giudici (ed una parte della dottrina)». Si ricorda, come memoria storica, che la teoria dell’imprenditore occulto (sviluppata da W. Bigiavi, L’imprenditore occulto, Padova, Cedam, 1957) era invece stata accolta dall’art. 5, primo comma, lett. c), dello schema di d.d.l. delega nel testo approvato a maggioranza dalla prima Commissione Trevisanato e dall’art. 37 dello schema del d.d.l. di riforma redatto dalla Commissione Trevisanato bis: entrambi sono pubblicati in La riforma delle procedure concorsuali. I progetti, a cura di A. Jorio, S. Fortunato, Milano, Giuffrè, 2004. Sull’argomento v. per tutti P. Montalenti, Abuso della personalità giuridica, socio tiranno, responsabilità di gruppo, in Crisi d’impresa e procedure concorsuali, diretto da O. Cagnasso, L. Panzani, Torino, Utet Giuridica, 2016, 2982 ss.

[118] Su questo tema v. A. Dell’Osso, Periclitanti discrimina: tra società di fatto (tra società di capitali e persone fisiche), società apparente ed holding individuale, in Banca, borsa, tit. cred., 2013, II, 473 ss. e R. Guercio, La supersocietà di fatto e la holding: profili di differenza, in Giur. it., 2020, 1693 ss.

[119] Inizialmente rinviata al 1° settembre 2021 (art. 5 del d.l. n. 23/2020, c.d. decreto Liquidità) e ora al 16 maggio 2022 e, per le procedure di allerta, al 2024 (art. 1 del d.l. n. 118/2021).

[120] L’art. 1 della l. delega n. 20/2019 concede due anni di tempo dalla data di entrata in vigore del d. lgs. n. 14/2019.

[121] L’Italia, avendo incontrato particolari difficoltà nell’attuazione della Direttiva, ha chiesto di potersi avvalere della proroga di un anno rispetto alla scadenza del 17 luglio 2021 (v. l’art. 34, par. 2).

[122] La Direttiva [v. l’art. 11, par. 1, lett. c) e par. 2, nonché i Considerando 55 e 56] prevede come regola di default quella della R.P.R. che consente di attribuire ai creditori di grado inferiore o postergati (come i soci), un trattamento positivo, purché non più favorevole di quello previsto per la classe poziore. Il nostro codice segue invece l’opposta regola dell’A.P.R. che vieta di attribuire alcunché ai creditori di grado inferiore sino a quando i creditori poziori non siano stati integralmente soddisfatti. La prima soluzione [per R. Sacchi, Sui trasferimenti di risorse nell’ambito del concordato di gruppo nel c.c.i.i., in Aa.Vv., La riforma delle procedure concorsuali. Scritti in ricordo di V. Buonocore, (nt. 109), 294 e in Nuove leggi civ. comm., 2021, n. 2, 311 ss.] potrebbe trovare un appiglio nell’art. 285 c.c.i.i., ma è fortemente avversata da quella parte della giurisprudenza e della dottrina che interpreta l’art. 2740 c.c. in termini rigidi (v. infra). Sulla posizione del Tribunale di Milano v. M. Pezzetta, Absolute priority rule derogabile in concordato in continuità diretta e cram down, in Eutekne.Info, del 14 aprile 2021.

[123] La proposta di IX Direttiva del dicembre 1984, poi abbandonata, è pubblicata in Giur. comm., 1985, I, 528. Per aggiornamenti sull’evoluzione del processo di armonizzazione del diritto comunitario (con particolare attenzione al tema dei gruppi) si rinvia a S. Covino, Tutela dei soci di minoranza e dovere di “resistenza” degli amministratori di s.p.a. eterodirette (alla luce dell’European Model Companies Act), in Giur. comm., 2020, I, 1301 ss.; F. Chiappetta, U. Tombari, Perspectives on Group Corporate Governance and European Company Law, in ECFR, 2012, 261 ss.; M. Callegari, Gruppi di società e forme di aggregazione di imprese nel processo di armonizzazione del diritto comunitario, in NDS, 2019, n. 5, 607 ss. V. anche P. Montalenti, Il diritto societario europeo tra armonizzazione e concorrenza regolatoria, in Unione europea: concorrenza tra imprese e concorrenza tra Stati, relazione al Convegno di Courmayeur del 19-20 settembre 2014, Milano, Giuffrè, 2016, 91 ss. e in particolare p. 99.

[124] Cfr. Corporate Group Law for Europe, Stockholm, 2000, tradotto in lingua italiana come Un diritto dei gruppi di società per l’Europa, in Riv. soc., 2001, 340 ss.

[125] P. Fasciani, Groups of companies: The Italian Approach, in ECFR, 2007, n. 4, 195 ss.

[126] Cfr. Trib. Cagliari, 14 aprile 2011, in Giur. comm., 2013, II, 687, con nota di R. Rivaro, Revoca per giusta causa dell’amministratore per mancata ottemperanza delle direttive di gruppo. Questa pronuncia ha aderito al ragionamento di P. Montalenti, Direzione e coordinamento nei gruppi societari: principi e problemi, (nt. 3), 328, secondo cui al «dovere di (esercizio di una corretta) direzione» corrisponde un correlativo obbligo (sebbene non coercibile) di osservanza delle (purché legittime) direttive.

[127] Forse, per creare un circolo virtuoso, si potrebbe fare e pretendere di più: ad esempio, che le imprese target dell’azione statale s’impegnino per generare esternalità positive e/o produrre/gestire beni pubblici in proporzione agli utili che realizzeranno nei prossimi anni.

[128] Nonostante la riformulazione della norma, non pare che l’esclusione degli enti territoriali dalla nozione di gruppo costituisca un argomento sufficiente ad escluderli, qualora svolgano un ruolo di holding, dalla soggezione alla disciplina di cui artt. 2497 ss. c.c. in quanto: a) la definizione ha carattere settoriale (serve a precisare l’ambito applicativo del Codice della crisi) e b) una diversa interpretazione eccederebbe le previsioni della legge delega: così E. Codazzi, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento dell’ente pubblico holding, Nota a Trib. Roma, 18 febbraio 2021, in Società, 2021, 834.

[129] La differenza che intercorre tra “controllo analogo” ed attività di direzione e coordinamento è chiaramente tracciata da Trib. Milano, 6 agosto 2018, in GiustiziaCivile.com, 24 aprile 2019, con nota di V. Guerrieri. Per uno spunto a favore dell’applicabilità della teoria dei vantaggi compensativi per escludere il danno erariale v. Corte Conti, (Liguria), 14 giugno 2011, n. 153, in De Jure: «Sussiste la responsabilità di amministratori comunali e amministratori di s.p.a. partecipata per danno erariale all’ente locale (unico azionista) derivante da illegittime e ingiustificate modifiche apportate a contratti definiti in sede di gara e già stipulati: invero, l’avere assunto la scelta dannosa, senza nessuna seria verifica e senza alcuna allegazione in ordine agli ipotizzati vantaggi compensativi deve essere ascritto a colpa grave degli amministratori che quella scelta hanno adottato». In dottrina v. M. Antonioli, L’In House Providing tra Funzione e Struttura: Controllo Analogo Congiunto, Partecipazione «Pulviscolare» ed Eterodirezione della Società, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2020, n. 5, 599 ss. Tra i contributi più recenti v. C. Garilli, Le società in house nel quadro della nozione europea e nazionale di impresa di gruppo, in Riv. dir. soc., 2020, 879 ss.; A. Valzer, Controllo analogo, governance e responsabilità nelle società in house, in Riv. soc., 2020, 1027 ss. e P. Pettiti, Direzione e coordinamento, interesse e controllo analogo, ivi, 1082 ss.

[130] Come aveva già scritto P. Montalenti, Il gruppo di società a partecipazione pubblica, in Le imprese a partecipazione pubblica, a cura di G. Presti, M. Renna, Milano, Giuffrè, 2018, 45 ss., la società dovrà perseguire, contemperandole con i normali obiettivi di efficienza aziendale e di economicità, anche finalità sociali espressamente imposte dal legislatore in termini di accessibilità, continuità, qualità, sicurezza, etc. In quest’ultima prospettiva, anche la valutazione dei vantaggi compensativi dovrebbe fondarsi su un ponderato apprezzamento della duplicità, se non pluralità, di interessi coinvolti. Anche per Cass., 1° giugno 2021, n. 15276, in Diritto & Giustizia, 3 giugno 2021, con nota di G. Satta, Società controllata dallo Stato: nessun abuso di attività di direzione e coordinamento, a prescindere dalla questione inerente l’efficacia retroattiva della sopra citata norma d’interpretazione autentica dell’art. 2497 c.c., ai fini di valutare la sussistenza di una responsabilità ex art. 2497 c.c. occorre «tenere conto di tutti gli eventuali interventi – anche esterni – volti a prevedere e determinare “misure compensative” idonee a ridimensionare od annullare gli effetti pregiudizievoli della scelta operativa imposta dal socio pubblico di maggioranza».

[131] Sulla configurabilità di una responsabilità deliberativa del socio anche nella s.p.a. v. per tutti F. Guerrera, La responsabilità «deliberativa» nelle società di capitali, Torino, Giappichelli, 2004; I. Kutufà, Gestione strategica e responsabilità deliberativa nelle società “pubbliche”: statuto singolare o portata espansiva della disciplina speciale, in Nuove leggi civ. comm., 2019, n. 2, 430 ss.

[132] La suggestione interpretativa è tratta da G. D’Attorre, La crisi d’impresa nelle società a partecipazione pubblica, in Le società pubbliche, a cura di F. Fimmanò, A. Catricalà, Roma, Giapeto Editore, 2016, 685.

[133] Arg. desunto dall’art. 7 del d.l. n. 23/2020 (c.d. decreto Liquidità), poi sostituito dall’art. 38 quater del d.l. n. 34/2020 (c.d. decreto Rilancio).

[134] Misura originariamente prevista dall’art. 6 del d.l. n. 23/2020 fino al 31 dicembre 2020 e poi prorogata dall’art. 1, duecentosessantaseiesimo comma, della l. n. 178/2020.

[135] Per quest’ipotesi di studio v. D. Latella, L’eclissi del capitale sociale ai tempi del Covid-19, in Aa.Vv., Oltre la pandemia. Società, salute, economia e regole nell’era del post Covid, a cura di G. Palmieri, Napoli, Editoriale Scientifica, 2020, 357 ss.; Id., Legislazione “Covid” e finanziamento delle società: quale ruolo per il capitale legale?, in Questioni di diritto civile all’epoca del coronavirus, a cura di E. Gabrielli, G. Sicchiero, in Giur. it., 2020, 2337 ss.

[136] Per uno spunto a favore della possibilità di tener conto della “storia del gruppo” v. S. Poli, Ammissibilità e tecniche di proposizione del “concordato di gruppo” dopo l’intervento della S.C., in Fallimento, 2016, 157, nota 63; Id., Il concordato di gruppo: ii) verifica critica degli approdi giurisprudenziali con tentativo di ricavare dal sistema le chiavi per un parziale superamento del dogma della separazione delle masse (attive) (Parte II), (nt. 60), 126. Contra G. Oppo, Le grandi opzioni della riforma e la società per azioni, in Riv. dir. civ., 2003, I, 471 ss., a cui avviso gli esiti (colpevolmente) dannosi non dovrebbero compensarsi con quelli vantaggiosi, se questi ultimi sono dovuti ad un’attività di corretta gestione. «Diversamente, si arriverebbe a dire che il gestore che abbia operato bene in passato (senza limiti di tempo?) può esimersi da responsabilità per comportamenti dannosi, invocando i risultati utili della sua precedente attività». Un’obiezione degna della massima attenzione, anche se l’espressione «mancante» (utilizzata dall’art. 2497 c.c.) sembra priva di una coloritura temporale, nel senso che dovrebbe lasciare aperta la possibilità di valutare il risultato complessivo sia nella logica del forward looking che in un’ottica retrospettiva.

[137] “Assicurare” il realizzarsi di vantaggi compensativi o, mutatis mutandis, una certa percentuale di soddisfacimento dei creditori chirografari in modo da paralizzare la presentazione di proposte concordatarie concorrenti o la maggiore convenienza dell’a.d.r. o del c.p. rispetto all’alternativa liquidatoria ai fini del giudizio di cram down fiscale e previdenziale (tutte ipotesi accomunate dalla previa richiesta di un’attestazione di un professionista) non significa “garantire” il raggiungimento del risultato, ma fare in modo che la polizza assicurativa possa coprire gli ineliminabili rischi connessi, per definizione, alla prospettazione dell’evolu­zione futura della situazione aziendale.

[138] M. Pezzetta, Piani di risanamento della crisi d’impresa oltre i cinque anni. La circ. n. 34/2020 delle Entrate esclude schemi generalizzati e propende per tempistiche basate sul caso concreto, in Eutekne.Info, 22 febbraio 2021; M. Rubino, A. Turchi, L’orizzonte temporale del piano alla luce dei nuovi principi di attestazione e della circolare 34/E dell’Agenzia delle Entrate, in www.ilcaso.it, 15 gennaio 2021.

[139] L. Stanghellini, La legislazione d’emergenza in materia di crisi d’impresa, in Riv. soc., 2020, 362.

[140] V. la proposta avanzata da N. Abriani, Serve un diritto dell’economia aperto all’inno­vazione, in Il Sole-24 Ore del 24 giugno 2020 e le riflessioni di S. Cerrato, Pericoli ed opportunità di un «nuovo diritto per l’economia». Riflessioni a margine di un intervento di Niccolò Abriani, in Giustizia civile.com, Editoriale del 7 settembre 2020.

[141] Il discrimen fra fisiologia e patologia che P. Montalenti, Conflitto di interesse nei gruppi di società e teoria dei vantaggi compensativi, (nt. 3), 732, aveva individuato nella causazione del dissesto della società, oggi andrebbe anticipato e fatto coincidere con lo squilibrio economico-finanziario e la perdita della continuità aziendale.

[142] Il Principio 1 dispone che «L’organo di amministrazione guida la società perseguendone il successo sostenibile» definito come l’«obiettivo […] che si sostanzia nella creazione di valore nel lungo termine a beneficio degli azionisti, tenendo conto degli interessi degli altri stakeholder rilevanti per la società».

[143] V. per la dottrina civilistica L. Barbiera, Responsabilità patrimoniale. Disposizioni generali, in Il codice civile. Commentario, fondato da P. Schlesinger e diretto da F.D. Busnelli, Milano, Giuffrè, 2010, 28 ss. e per la dottrina commercialistica M. Fabiani, La rimodulazione del dogma della responsabilità patrimoniale e la de-concorsualizzazione del concordato preventivo, in www.ilcaso.it, 9 dicembre 2016.

[144] Ad esempio, per L. Boggio, Concordato preventivo – separazione di masse, contribuzioni, consolidazione e concordato di gruppo: quo vadis?, in Giur. it., 2019, 1377, «se la continuità aziendale già oggi può giustificare soluzioni di rischio per la conservazione del patrimonio concorsuale ed il ricorrere della direzione e coordinamento su una società consente di imporle condotte pregiudizievoli a condizione che le stesse siano preordinate ad ottenere vantaggi compensativi, allora il passo è breve ad ammettere che una società del gruppo possa già oggi compiere anche singoli atti suscettibili di incidere negativamente sulla propria consistenza patrimoniale a patto di ottenere un beneficio futuro maggiore dello svantaggio attuale». In quest’ordine di idee è anche la letteratura straniera: v. I. Mevorach, Insolvency within Multinational Enterprise Groups, Oxford, 2009, 245 ss., la quale afferma che «fair system for MEGs’ insolvency should allow consideration of profitable solutions for the group as a whole where it is “business integrated” group and where it will not significantly harm particular entities». Sui termini della questione si rinvia a L. Benedetti, Il concordato con cessione parziale dei beni nell’ambito del gruppo in crisi fra passato e futuro, in Fallimento, 2019, 491 ss.; M. Di Fabio, Sull’ammissibilità della domanda di concordato preventivo “di gruppo” con cessione parziale dei beni, in Dir. fall., 2019, II, 1437 ss. e, prima ancora, a G. D’Attorre, Concordato preventivo e responsabilità patrimoniale del debitore, in Riv. dir. comm., 2014, I, 386.

[145] Per la prospettazione della regola, più permissiva per l’agente, «puoi danneggiare a condizione che il danno sia aliunde compensato» v. G. Scognamiglio, “Clausole generali”, principi di diritto e disciplina dei gruppi di società, (nt. 4), 534. Ha aderito a tale suggestiva ricostruzione anche M. Maugeri, Interesse sociale, interesse dei soci e interesse del gruppo, in Giur. comm., 2012, I, 66 ss., il quale definisce un vero «privilegio» quello degli amministratori della società diretta e coordinata di eseguire operazioni per essa svantaggiose ove la controllante assicuri una valoristicamente adeguata prestazione compensativa. Per approfondimenti si rinvia a v. G. Salatino, La responsabilità della holding nel nuovo art. 2497 c.c.: davvero una “nuova frontiera” della responsabilità civile?, in Resp. civ., 2010, 304 ss.

[146] La giurisprudenza non pare ancora pronta a compiere questo passo. Per Trib. Roma, 25 luglio 2012, in www.ilcaso.it, «viola la regola di ordine pubblico posta dall’art. 2740 c.c., […], la proposta di concordato che preveda una cessione soltanto parziale dei beni e ciò nonostante prospetti determinati vantaggi compensativi per i creditori». Più permissivo pare Trib. Ravenna, 29 ottobre 2015, in Giur. comm., 2016, II, 1259, con nota di S. Lovisatti: «L’operazione di scissione parziale proporzionale, caratterizzata dalla continuazione dell’attività sociale in capo alla scissa e avente come beneficiaria una società di nuova creazione destinata esclusivamente al soddisfacimento dei creditori, rappresenta un’evidente deroga all’art. 2740 c.c. che richiede la sussistenza di concreti e monetizzabili vantaggi compensativi». Per la giurisprudenza di legittimità v. Cass., 17 ottobre 2018, n. 26005, in Giur. comm., 2019, II, 1036, con nota di M. Sabbioni.

[147] Una piccola apertura in questa direzione potrebbe leggersi tra le righe di Trib. Roma, 5 febbraio 2008, (nt. 46), che, dopo aver ribadito che l’esistenza di collegamenti di gruppo, per quanto intensi, non elimina la distinta soggettività delle società controllate e non può quindi legittimare il sacrificio degli interessi dei quali tali società sono portatrici, aggiunge: «tanto più quando una parte non irrilevante (il 30% circa) del capitale della società danneggiata sia sottoscritta da soggetti estranei al gruppo di controllo che, appunto perché tali, non hanno la possibilità di partecipare ai vantaggi conseguiti da altre società del gruppo a danno di quella di cui essi sono soci».

[148] Cfr. A.M. Benedetti, R. Natoli, Coronavirus, emergenza sanitaria e diritto dei contratti: spunti per un dibattito, in www.dirittobancario.it, marzo 2020. L’art. 9 della l. sulla subfornitura è stato applicato anche in tema di gruppi da Trib. Milano, 21 luglio 2020, in www.giurisprudenzadelleimprese.it secondo cui «l’improvviso ed ingiustificato esercizio del diritto di recesso, seppur nei termini contrattualmente previsti, dal contratto che legava la società esercente attività di direzione e coordinamento a quella soggetta (ed in forza del quale si attuava il controllo esterno della prima sulla seconda ex art. 2359, primo comma, n. 3), c.c.) può essere fonte di responsabilità da esercizio abusivo di attività di direzione e coordinamento oltre che da abuso di dipendenza economica».

[149] Si pensi all’interferenza con le operazioni con parti correlate (cfr. art. 14, primo comma, del Reg. Consob n. 17221/2010, aggiornato con le modifiche apportate nel 2020), altro tema caro allo Studioso cui è dedicato questo saggio. Ma la teoria in esame potrebbe applicarsi anche ad altre fattispecie di responsabilità (ad es. per abuso della maggioranza); consentire di reinterpretare l’elemento del danno potenziale richiesto ai fini dell’impugnazione della delibera assembleare adottata con il voto determinante del socio in conflitto di interessi, nonché del­l’azione risarcitoria prevista dal terzo comma dell’art. 2377 c.c.; ripercuotersi sulla controversa ammissibilità dei sindacati di amministrazione/gestione e dei contratti/clausole statutarie di dominazione e ne andrebbe verificata l’esportabilità ai patrimoni separati o alle azioni correlate, istituti in cui i conflitti sono interni alla medesima società.

[150] Cfr. Trib. Bologna, 8 ottobre 2009, decr. inedito, ma citato da S. Poli, Il “concordato di gruppo”: i) profili problematici, agnosticismo del legislatore e supplenza giurisprudenziale, in Contr. impr., 2014, 1369.

[151] Nel settore della giustizia amministrativa v. Cons. St., 23 ottobre 2019, n. 7207: «Il divieto di utilizzo abusivo dei mezzi processuali è una regola di condotta che impone ad ogni soggetto processuale, […], di non esercitare un’azione o una facoltà di rito con modalità tali da aggravare la sfera della controparte senza ricavarne un vantaggio compensativo di analogo peso e meritevole di tutela». In ambito tributario v. Cass., 6 maggio 2016, n. 9154: «la condotta antieconomica della società può costituire […] in mancanza di deduzione e prova del vantaggio compensativo derivante da operazioni in perdita, presupposto di una condotta abusiva». In materia condominiale Cass., 8 ottobre 2010, n. 20902, ha escluso la violazione dell’art. 1120, secondo comma, c.c. ove risulti che dall’innovazione non derivi, sotto il profilo del minor godimento della cosa comune, alcun pregiudizio, non essendo necessariamente richiesto per il condomino dissenziente un vantaggio compensativo. In senso conforme v. Cass., 4 luglio 2001, n. 9033 e Trib. Salerno, 1° marzo 2014, tutte pubblicate in Pluris.

[152] Sul tema restano imprescindibili le pagine di N. Irti, Rilevanza giuridica, in Noviss. Dig. Ital., vol. XV, Torino, Utet, 1976, 1094 ss.

[153] Ad avviso di R. Sacchi, Conclusioni, in AA.VV., Una tavola rotonda sui vantaggi compensativi nei gruppi, (nt. 4), 634, sarebbe più corretto parlare di «teoria dei vantaggi (che non si sa se siano) compensativi».

[154] Espressione coniata da C.B. Vanetti, (nt. 66), 27.

[155] I virgolettati sono tratti da V. Di Cataldo, A proposito del libro di Paolo Montalenti, Impresa, Società di capitali, Mercati finanziari, in Giur. comm., 2020, I, 451.

[156] Così, con riferimento alla relazione sulla gestione, R. Sacchi, Sulla responsabilità da direzione e coordinamento nella riforma delle società di capitali, (nt. 19), 674 ss.