Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
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Assetti organizzativi e crisi d´impresa: una sintesi (di Sabino Fortunato, Professore Emerito di diritto commerciale, Università degli Studi Roma Tre)


Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza ha modificato il Codice civile (art. 2086, secondo comma) disponendo nella disciplina dell’impresa un obbligo di istituire, con particolare riferimento a società e imprese collettive, assetti organizzativi adeguati alla natura e alle dimensioni della stessa. L’obbligo organizzativo, benché non del tutto nuovo nel diritto societario e nello stesso diritto d’impresa, solleva molteplici problemi applicativi, sia sotto il profilo dei soggetti onerati sia sotto il profilo della interpretazione della clausola di adeguatezza. L’A. indica le soluzioni ritenute più corrette, esaminando altresì la ripartizione di competenze in materia fra gli organi societari e il rapporto strumentale dell’obbligo organizzativo rispetto al controllo continuativo sull’efficienza del modello di business e sulla emersione anticipata dei segnali di crisi. La violazione dell’obbligo solleva l’interrogativo se le scelte organizzative si distinguano dalle scelte di gestione in senso stretto e se ad entrambe possa e debba comunque applicarsi la Business Judgment Rule.

Organizational structures and business crisis: a summary

The Code of Business Crisis and Insolvency has amended the Civil Code (Article 2086, paragraph 2) providing in the undertaking discipline an obligation to establish, with particular reference to companies and collective enterprises, organizational structures appropriate to the nature and to its size. The organizational obligation, although not entirely new in company law and in business law, raises multiple application problems, both from the point of view of the charged parties and from the point of view of the interpretation of the adequacy clause. The essay indicates the solutions deemed most correct, also examining the division of competences on the subject between the corporate bodies and the instrumental relationship of the organizational obligation with respect to the continuous control over the efficiency of the business model and the early emergence of crisis signals. Violation of the obligation raises the question of whether organizational choices are distinguished from management choices in the strict sense and whether the Business Judgment Rule can and should still apply to both.

Keywords: organizational structures; adequacy; business crisis; Business Judgment Rule

Sommario/Summary:

1. L’evoluzione della categoria degli “assetti organizzativi adeguati” nel diritto dell’impresa. - 2. Alcune iniziali considerazioni sistematiche. - 3. L’ambito soggettivo di applicazione dell’obbligo organizzativo. - 4. L’ambito oggettivo dell’obbligo e la clausola generale della adeguatezza. - 5. La ripartizione di competenze fra gli organi societari. - 6. Il rapporto fra obbligo organizzativo e crisi d’impresa. - 7. Violazione dell’obbligo organizzativo, sanzioni e Business Judgment Rule. - NOTE


1. L’evoluzione della categoria degli “assetti organizzativi adeguati” nel diritto dell’impresa.

L’obbligo dell’imprenditore di istituire “adeguati assetti organizzativi” ha subìto un progressivo affinamento terminologico e contenutistico, attraversando fasi di iniziale accenno normativo e di successive insistenze in ambiti specifici e settoriali con formule diversificate, sino ad approdare – con le modifiche codicistiche apportate dal Codice della crisi – ad una sua generale collocazione in sede di disciplina del diritto dell’impresa. Il vigente secondo comma dell’art. 2086 [1] c.c., novellato dall’art. 375 [2] del Codice della crisi (c.c.i.i.), dispone: «L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale». L’elemento organizzativo è già costitutivo della fattispecie imprenditoriale, poiché l’art. 2082 c.c. esige che l’attività economica, produttiva di nuova ricchezza, sia «organizzata» onde qualificare l’imprenditore e differenziarlo da altre figure di esercenti pur sempre attività economica, ma riconducibili alla categoria del lavoratore autonomo. In questo senso l’organizzazione è intesa come etero-organizzazione, come ricorso cioè ad elementi esterni alla capacità lavorativa dello stesso titolare dell’impresa, sia in termini di capitale investito (materiale e immateriale) sia in termini di apporto lavorativo altrui. Ma certo la struttura organizzativa dell’iniziativa imprenditoriale, al di là delle scarne disposizioni in materia di rapporto con i lavoratori dipendenti, nel sistema originario del codice civile restava nella piena discrezionalità dell’im­prenditore. Solo sul versante del sistema informativo contabile e limitatamente all’imprenditore commerciale medio-grande o all’imprenditore che assumesse forma societaria il legislatore imponeva la tenuta di scritture contabili, in parte nominate e in parte innominate ma [...]


2. Alcune iniziali considerazioni sistematiche.

A questo punto, ricostruito per grandi linee il quadro normativo, sembra opportuno compiere qualche iniziale osservazione sistematica. L’obbligo di adeguatezza degli assetti organizzativi dell’impresa è clausola generale che attua il principio di corretta amministrazione imprenditoriale, espressamente enunciato in varie norme soprattutto del diritto societario azionario (art. 149 t.u.f.; art. 2403 c.c.; art. 2497 c.c. – in tema di responsabilità da direzione e coordinamento dei gruppi – che peraltro utilizza l’espressione «principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale»). La sua affermazione, in termini di più compiuta definizione e di attribuzione di competenze, è certamente evoluta rispetto alle scarne disposizioni originarie del diritto d’impresa e del diritto societario, tanto che alcuni Autori vi colgono l’indice di una vera e propria «rivoluzione» sistematica e tendono a ravvisare nelle regole organizzative, che attuano il principio di corretta amministrazione, un tertium genus di regole di comportamento degli amministratori, accanto alle regole che ne disciplinano la legittimità e a quelle che investono il merito dell’attività gestoria [10]. Sul punto, peraltro, si tornerà più oltre. La citata clausola generale, inoltre, costituirebbe un «ponte sistematico» fra il diritto dell’impresa (prevalentemente impostato sulla distinzione degli statuti soggettivi), il diritto societario (che ha ad oggetto la disciplina dei rapporti associativi e interorganici) e il diritto concorsuale (vertente sulla insolvenza dell’im­prenditore), concepiti in precedenza come settori ordinamentali separati e ora unificati dal rilievo della «attività economica» e dei relativi assetti organizzativi [11]. Mi sembra tuttavia che questa corrente interpretativa finisca per sopravvalutare la portata innovativa degli obblighi organizzativi e dei principi di corretta amministrazione dell’imprenditore e che possa invece ravvisarsi una linea di continuità nella disciplina, i cui prodromi sono presenti nel codice civile del 1942 il quale già faceva ruotare la disciplina dell’imprenditore sulla nozione di attività economica organizzata, destinata a permeare di sé l’intero diritto d’impresa, con l’abbandono del precedente paradigma [...]


3. L’ambito soggettivo di applicazione dell’obbligo organizzativo.

La recente disciplina sugli assetti organizzativi solleva comunque problemi interpretativi che meritano di essere dipanati. Innanzitutto occorre definire più puntualmente l’ambito soggettivo dell’ob­bligo. Si è detto che l’art. 2086 contempla, in proposito, «l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva» e che peraltro il secondo comma del­l’art. 2086 è richiamato nei vari tipi societari regolati nel titolo V libro V del Codice civile. Dunque, mentre l’art. 2086 sembra connettere l’obbligo organizzativo alla forma societaria che integri comunque un esercizio collettivo dell’attività economica, imponendo un rapporto biunivoco fra società e impresa, il rilievo autonomo dell’obbligo nei singoli tipi societari talvolta sembra prescindere da un oggetto sociale qualificabile in termini imprenditoriali. Si tratta di un punto di dubbia interpretazione, posto che per esempio nella disciplina della s.p.a. si parla di «gestione dell’impresa» (artt. 2380-bis e 2409-novies), mentre l’espressione non è ripetuta nei tipi personalistici e nella s.r.l. (artt. 2257 e 2475) e posto che la nozione generale di società ha ad oggetto «l’esercizio in comune di un’attività economica» (art. 2247). Ma d’altro canto l’istituzione degli assetti organizzativi adeguati sembra dettato in via autonoma nei periodi successivi anche per il tipo azionario; e l’organizzazione societaria si è venuta sempre più affermando come un modello organizzativo a tutto campo, anche al di là dell’esercizio di una attività d’impresa (si veda, per esempio, le forme associative proprie del Terzo Settore). Tuttavia sarei più propenso ad accogliere una interpretazione che colleghi l’obbligo organizzativo adeguato alla presenza di una attività economica qualificabile come “impresa”, pur prescindendo dalla circostanza che si tratti di società costituita per legge o per contratto o per atto negoziale unilaterale, o di società lucrativa o che escluda lo scopo di lucro, di società mutualistica o di società consortile. Ciò che rileva, insomma è il dato oggettivo dell’esercizio dell’impresa intesa come attività economica organizzata. D’altro canto il richiamo alla [...]


4. L’ambito oggettivo dell’obbligo e la clausola generale della adeguatezza.

Quanto all’estensione oggettiva dell’obbligo, essa investe – nella formulazione letterale – tre ambiti: l’organizzazione in senso stretto, l’amministrazio­ne e il sistema contabile. L’organizzazione in senso stretto va declinata in termini di “organigramma” che definisca funzioni, poteri e deleghe di firma ovvero di «aspetti statico-strutturali dell’organizzazione dell’impresa nel senso di configurazione di funzioni e competenze (funzionigramma), poteri e responsabilità (organigram­ma)». L’assetto amministrativo identifica a sua volta l’insieme delle “procedure” dirette a garantire l’ordinato svolgimento delle attività aziendali e delle singole fasi nelle quali le stesse si articolano ovvero la «dimensione dinamico-fun­zionale dell’organizzazione, intendendosi per tale l’insieme delle procedure e dei processi atti ad assicurare il corretto e ordinato svolgimento delle attività aziendali e delle sue singole fasi». L’assetto contabile, infine, si riferisce al sistema di rilevazione dei fatti di gestione ovvero alla «parte degli assetti amministrativi volti a una corretta traduzione contabile dei fatti di gestione sia ai fini di programmazione sia ai fini di consuntivazione» [18]. Il criterio dell’adeguatezza connota poi l’obbligo degli assetti organizzativi in termini di clausola generale. Ciò significa innanzitutto che il contenuto dell’obbligo è legislativamente indeterminato, ma determinabile per effetto del contesto in cui la clausola si inserisce e del rinvio che essa comporta a modelli di comportamento anche extralegali (best practices, codici o linee guida di autodisciplina, scienze aziendalistiche; talvolta anche a normative di settore, come accade per gli intermediari finanziari e assicurativi). Insomma il contenuto non è legislativamente predeterminato secondo la tecnica della “fattispecie”, benché contesto e rinvio delimitino la scelta da compiersi da parte dell’imprenditore (nella sua articolazione organica) oltre che il potere di sindacato del Giudice [19]. La regola legale ha dunque carattere flessibile e relativo, consente uno spazio di discrezionalità che per un verso va rapportato alla specificità dell’impresa e per altro verso alle finalità per cui [...]


5. La ripartizione di competenze fra gli organi societari.

Il modello più compiuto nella ripartizione delle competenze organiche in una impresa particolarmente strutturata nella materia degli assetti organizzativi è delineato nella disciplina del modello latino/tradizionale di amministrazione e controllo della spa, secondo il combinato disposto degli artt. 2380-bis (come novellato dal decreto correttivo), 2381 e 2403 c.c. Il principio di base, come si è già sottolineato, è che la “istituzione” degli assetti «spetta esclusivamente agli amministratori» (2380-bis, primo comma, secondo periodo), senza dimenticare che nel primo periodo è sancito il principio di esclusività gestoria degli amministratori [24] e che l’art. 2380, terzo comma, precisa che, «salvo che sia diversamente stabilito, le disposizioni che fanno riferimento agli amministratori si applicano a seconda dei casi al consiglio di amministrazione e al consiglio di gestione». Ne consegue che l’art. 2381 dovrà essere interpretato in conformità al principio di esclusività nella istituzione degli assetti in capo agli amministratori, e cioè nel modello latino in capo al CdA. La “valutazione” della adeguatezza degli assetti organizzativi attribuita al CdA dall’art. 2381 va allora intesa non come semplice controllo a posteriori da parte dell’organo gestorio collegiale sull’operato degli organi delegati, ma come assunzione di responsabilità istitutiva dell’assetto. La “cura” affidata agli organi delegati, che riferiscono al CdA, investe allora il momento propositivo nella istituzione da sottoporre al CdA e la successiva implementazione e manutenzione, senza che ciò escluda evidentemente il periodico coinvolgimento del plenum dell’organo gestorio collegiale, la cui valutazione «sulla base delle informazioni ricevute», non potrà mai intendersi in termini passivi. Quella valutazione, anche successivamente alla decisione istitutiva, deve tradursi in un giudizio operativo di adeguatezza e dunque anche in direttive di eventuale correzione degli assetti come implementati dagli organi delegati. Non va trascurata la circostanza che permane a mio avviso in capo al CdA il potere di avocare a sé il compito della stessa “cura”, ove le disfunzioni rilevate in sede valutativa risultino di tale gravità da imporre un tale esito [25]. [...]


6. Il rapporto fra obbligo organizzativo e crisi d’impresa.

L’obbligo organizzativo dell’imprenditore societario e collettivo è correlato nell’art. 2086 «anche» alla «rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale», nonché e conseguenzialmente alla attivazione «senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale». Il principio è ripreso nell’art. 3, secondo comma, c.c.i.i. con riferimento all’«imprenditore collettivo», espressione evidentemente utilizzata in termini onnicomprensivi altresì della forma societaria [29]; e viene esteso dal primo comma all’imprenditore individuale, pur con terminologia più attenuata [30]. Sembra che nel citato art. 3 l’obbligo organizzativo sia correlato al solo momento patologico, ma s’è visto che la strumentalità dell’obbligo organizzativo è consustanziale alla nozione generale di imprenditore e si pone in logica e pratica continuità con il momento fisiologico dell’attività di impresa che ne rappresenta il prius e che incorpora nel modello di business il costante monitoraggio dei rischi dell’attività, ivi compreso il rischio di crisi e di insolvenza. Peraltro l’art. 3 è inquadrato fra i «principi generali» del Codice della crisi, i quali ovviamente esprimono in forma più asciutta criteri direttivi delle più specifiche norme dettate nel Codice ai soli fini regolatori della crisi d’impresa e insolvenza del debitore. Il che non esclude la più ampia strumentalità del­l’obbligo organizzativo all’esercizio fisiologico dell’attività d’impresa. Nella prospettiva del Codice della crisi, comunque, l’obbligo organizzativo – pur autonomo – deve essere assolto in maniera tale da porre in grado gli organi dell’impresa collettiva, ma anche l’imprenditore individuale, di poter rilevare tempestivamente gli indicatori e gli indici di crisi e attivare le procedure di allerta e/o la composizione assistita della crisi o altre misure idonee [31]. È quanto si ricava dalla lettura dell’art. 12, primo comma, del Codice, laddove gli «strumenti di allerta» – che [...]


7. Violazione dell’obbligo organizzativo, sanzioni e Business Judgment Rule.

E si perviene così al tema della violazione degli obblighi organizzativi e delle possibili reazioni dell’ordinamento giuridico. Non v’è dubbio che nel diritto societario, soprattutto delle società di capitali, sussistono molteplici possibilità di reazione anche interorganiche. Com’è stato posto correttamente in luce, laddove l’installazione, la manutenzione e la vigilanza dell’assetto organizzativo investa la competenza di più organi, potranno trovare applicazione nei confronti degli organi delegati che non abbiano diligentemente adempiuto al loro dovere di cura i rimedi della revoca della delega, della sostituzione ma anche – ritengo – della avocazione da parte del CdA. Parimenti l’assemblea dei soci potrà reagire nei confronti dei propri amministratori che non abbiano diligentemente valutato (o anche curato, in difetto di organo delegato, o altresì vigilato, in mancanza di un organo di controllo) sugli adeguati assetti revocandoli per giusta causa. La violazione dell’obbligo o anche il fondato sospetto di quella violazione potrà costituire oggetto di denuncia al Tribunale ex art. 2409 c.c. da parte della minoranza qualificata dei soci o da parte dell’organo interno di controllo oppure di denuncia da parte dei soci a quest’ultimo ex art. 2408 c.c., sì da indurli a convocare l’assemblea per «fatti censurabili di rilevante gravità» ai sensi dell’art. 2406, secondo comma, c.c. E ove l’organo di controllo risulti a sua volta in difetto, i soci potranno revocare per giusta causa gli stessi componenti dell’or­gano di controllo, sia pure con la garanzia dell’approvazione giudiziale prevista dall’art. 2400, secondo comma, c.c. [46]. Il tema, peraltro, più rilevante, anche ai fini di legittimare non solo rimedi risarcitori, ove si sia prodotto un danno a carico della stessa società o anche di creditori sociali e terzi causalmente connesso alla violazione dell’obbligo organizzativo, ma anche i rimedi interorganici sopraenunciati, è quello di stabilire quando possa ritenersi violato quell’obbligo. Ovvero se siamo di fronte ad un obbligo sostanzialmente gestorio, cui possa e debba trovare applicazione il principio della Business Judgment Rule, formulazione anglosassone della più tradizionale distinzione continentale fra giudizio [...]


NOTE