<p>Il giudizio civile di Cassazione di Ricci Albergotti Gian Franco</p>
Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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I mercati digitali tra regolazione e concorrenza (di Chiara Brunetti, Giurista d'impresa, area antitrust e regolazione)


La difficoltà a competere e l’assenza di regole nei mercati digitali hanno portato le autorità nazionali a intervenire sempre più frequentemente con riferimento sia al diritto della concorrenza che alla tutela del consumatore. Tuttavia, gli esiti di alcuni precedenti hanno sollevato dubbi sull’adeguatezza degli strumenti di enforcement antitrust a intercettare con tempestività ed efficacia le strategie anticoncorrenziali delle piattaforme digitali. È sorta così la necessità di intervenire – sotto diversi profili – a livello nazionale ed europeo per affrontare le nuove sfide poste dai mercati digitali e in particolare di avere una disciplina, come il Digital Markets Act (DMA), in grado di regolare in maniera uniforme ed “ex ante” specifiche condotte. Il presente contributo illustra dunque le diverse questioni pratiche, sostanziali e di diritto sollevate, soprattutto in termini di (i) rapporto tra il regolamento e le norme di concorrenza, (ii) coordinamento tra Commissione europea e Autorità nazionali e (iii) di applicazione del principio di ne bis in idem. Si esamina anche l’effettiva applicazione del DMA da parte della Commissione per comprendere meglio la sua efficacia rispetto alle aspettative nonché le differenze e le analogie tra il regolamento e il tradizionale diritto della concorrenza.

Digital markets: competition vs regulation

The difficulty in competing and the absence of rules in digital markets have led national authorities to intervene more and more frequently in the context of competition law and consumer protection. However, the results of some precedents have raised doubts about the adequacy of antitrust enforcement tools to promptly and effectively intercept the anti-competitive strategies of digital platforms. This has led to the need for an intervention – in various ways – at national and european level to face the new challenges in digital markets, such as the Digital Markets Act (DMA), capable of regulating uniformly and “ex ante” specific conduct. This article describes the various practical, substantial and legal issues raised, especially in terms of: (i) relationship between the regulation and the competition rules; (ii) coordination between the European Commission and national authorities; (iii) application of the principle of ne bis in idem. The article also focuses on the effective application of the DMA by the Commission to better understand its effectiveness compared to expectations and the differences and similarities between the DMA and the traditional competition law.

Sommario/Summary:

1. Introduzione. - 2. I primi interventi delle autorità antitrust nei mercati digitali e i dubbi sull’adeguatezza dei quadri giuridici esistenti. - 3. Gli interventi legislativi nei mercati digitali e il nuovo modello di enforcement adottato dal DMA. - 4. La relazione tra DMA e norme antitrust. - 5. Regolazione e concorrenza: il DMA costituisce una regolazione settoriale ex ante? - 6. DMA e norme antitrust: sussiste un rapporto di specialità oppure finalità e tutela di interessi sono differenti? - 7. L’enforcement centralizzato del DMA e il rapporto tra Commissione e Autorità nazionali. - 8. L’applicazione del principio di ne bis in idem e i potenziali conflitti di competenza. - 9. I primi interventi applicativi del DMA. - 10. Considerazioni finali sulle possibili evoluzioni del rapporto tra DMA e norme antitrust. - NOTE


1. Introduzione.

Il presente contributo intende trattare il rapporto tra concorrenza e regolazione nel settore digitale, nonché i possibili risvolti applicativi in termini di coesistenza e di coordinamento tra le nuove previsioni del Digital Markets Act e le vigenti norme poste a tutela della concorrenza. Il valore economico e la forza competitiva del dato si sono infatti manifestati in maniera sempre più esponenziale nel corso degli anni e l’innovazione tecnologica ha fatto emergere un nuovo ruolo e un nuovo valore del dato, che non può più ritenersi isolato, ma parte integrante di processi digitali, dinamici e interattivi. La massiccia quantità di dati e di informazioni divulgate attraverso le piattaforme digitali è diventata la nuova energia dell’economia, in grado di comprendere l’andamento dei mercati e le esigenze degli utenti e consentire di orientare in maniera più efficace le offerte. Tuttavia, se da una parte non si può negare l’incremento di tale efficienza e delle opportunità profittevoli per le imprese, dall’altra rilevano i rischi determinati dallo sviluppo dei mercati digitali anche sotto il profilo della concorrenza. In particolare, la capacità di analisi e di valorizzazione ed elaborazione dei dati, da parte dei grandi operatori digitali, ha dato spesso origine a nuove forme di sfruttamento economico del dato e della sua valorizzazione, generando nuove concentrazioni di potere. Tale accumulo di potere di mercato per diverso tempo è stato, a ogni modo, considerato come volto a massimizzare il benessere del consumatore e dunque idoneo a innovare, tanto da rendere marginale l’intervento antitrust in virtù di una valorizzazione dei benefici. Nel corso degli anni, però, nel contesto di mercato che si è andato delineando si è palesata la difficoltà a competere e l’assenza di regole appositamente predisposte per i servizi digitali e per le piattaforme ha fatto sì che si cercassero alcune soluzioni sotto diversi profili: privacy, antitrust e di tutela del consumatore. Le autorità di concorrenza, infatti, pur evolvendo nel tipo di analisi svolta, hanno applicato gli strumenti propri del diritto antitrust, ma gli esiti di alcuni precedenti in materia hanno anche solo implicitamente chiamato in causa la regolazione, tramite la quale negli ultimi tempi è stato predisposto un nuovo assetto [...]


2. I primi interventi delle autorità antitrust nei mercati digitali e i dubbi sull’adeguatezza dei quadri giuridici esistenti.

L’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) si è mostrata pronta a intercettare quanto prima le condotte illecite del settore digitale, tanto da chiudere, nel maggio 2017, due istruttorie sulle pratiche realizzate da Whatsapp relative alla condivisione di dati personali con Facebook e all’imposizione di clausole vessatorie [1]. Nell’ambito del primo procedimento (PS10601), l’Autorità ha accertato la condotta di Whatsapp consistente nell’aver indotto gli utenti di Whatsapp Messenger ad accettare integralmente i nuovi termini di utilizzo dell’applicazione, in particolare la condivisione dei propri dati con Facebook, facendo loro credere che sarebbe stato, altrimenti, impossibile proseguire nell’uso dell’applicazione. Coloro che erano già utenti alla data della modifica dei termini avrebbero avuto, invece, la possibilità di accettarne “parzialmente” i contenuti, potendo decidere di non fornire l’assenso a condividere le informazioni del proprio account Whatsapp con Facebook e continuare, comunque, a utilizzare l’app. Si sono riscontrate in particolare un’inadeguata evidenziazione della possibilità di negare il consenso alla condivisione dei dati con Facebook con una preselezione dell’opzione (opt-in) e una difficoltà di poter esercitare concretamente tale opzione una volta accettati integralmente i termini. L’attività di condivisione, che avrebbe migliorato l’attività di advertising del professionista e avrebbe generato ricavi direttamente a Facebook, sarebbe stata aggressiva in quanto idonea – mediante indebito condizionamento – a far assumere una decisione di natura commerciale che l’utente non avrebbe altrimenti preso. Ci sarebbe stato, infatti, un condizionamento a prestare il consenso proprio a causa dell’elevata diffusione e del generalizzato utilizzo delle app di comunicazione sociale, quali appunto Whatsapp e Facebook e, per tali ragioni, l’Autorità ha sanzionato Whatsapp per pratica commerciale scorretta ai sensi degli artt. 20, 24 e 25 del cod. cons.. Il secondo procedimento (CV154) ha riguardato sempre Whatsapp, ma questa volta per la presunta vessatorietà di alcune clausole inserite nei termini di utilizzo dell’applicazione che sarebbero state accettate dai consumatori per usufruire dell’applicazione Whatsapp [...]


3. Gli interventi legislativi nei mercati digitali e il nuovo modello di enforcement adottato dal DMA.

Un importante aggiornamento degli strumenti impiegati nell’ambito di applicazione del diritto antitrust ha sicuramente riguardato la Comunicazione sulla definizione del mercato rilevante, adottata lo scorso 8 febbraio [20]. Le principali novità rispetto alla precedente versione del 1997 riguardano proprio i mercati digitali, dando maggiore enfasi ai parametri di valutazione delle condotte diversi dal prezzo, come il grado di innovazione del prodotto o del servizio, la sua sostenibilità, l’efficienza delle risorse, la possibilità di integrazione con altri prodotti o servizi, l’immagine trasmessa o la sicurezza e la protezione della privacy, e ponendo particolare attenzione ai principi applicabili agli ecosistemi digitali e alle piattaforme multi-versante. Ulteriori interventi hanno riguardato le operazioni di concentrazione cc.dd. “sottosoglia”, alla luce di quell’enforcement gap di cui si è scritto in precedenza. In tal senso, nel nostro ordinamento nazionale è ora previsto l’art. 16, primo comma-bis, l. n. 287/1990, introdotto dall’art. 32 della Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 (l. 5 agosto 2022, n. 118), che attribuisce all’AGCM il potere di richiedere, al ricorrere di determinate condizioni, la notifica di operazioni di concentrazione sottosoglia, che non soddisfano i requisiti – espressi in termini di soglie di fatturato delle imprese interessate – in presenza dei quali si prevede una comunicazione preventiva all’Autorità. La modifica normativa ha consentito così di adeguare lo strumento del controllo sulle operazioni di concentrazione anche alle sfide dell’economia digitale [21]. Sempre con la stessa Legge è stata introdotta un’ulteriore modifica relativa alla disciplina sull’abuso di dipendenza economica con riferimento al settore digitale. Infatti, sono stati introdotti all’interno dell’art. 9 della l. n. 192/98, (i) una presunzione relativa della dipendenza economica di una piattaforma digitale che offre servizi di intermediazione con un ruolo determinante per raggiungere gli utenti finali/fornitori (primo comma dell’art. 9) e (ii) un elenco non tassativo delle pratiche abusive delle piattaforme digitali (ultima parte del secondo comma dell’art. 9). Con la riforma sull’abuso di dipendenza economica a livello nazionale, si è manifestata in [...]


4. La relazione tra DMA e norme antitrust.

L’entrata in vigore del DMA ha sollevato interrogativi urgenti in merito alla sua applicazione, soprattutto in considerazione dei potenziali conflitti con altre norme e, dunque, dell’importanza di garantire, da un lato, la certezza del diritto e, dall’altro, la piena efficacia della normativa che disciplina le condotte dannose delle piattaforme digitali. In origine, la proposta non affrontava espressamente la questione relativa al rapporto tra le diverse norme, ma successivamente sono state date alcune risposte alle perplessità sollevate in merito alla relazione tra DMA e diritto della concorrenza, in considerazione di diverse previsioni contenute nel regolamento che richiamano – e in alcuni casi sono proprio modellate su – condotte rilevanti sotto il profilo antitrust, soprattutto con riferimento all’abuso di posizione dominante. In effetti, gran parte degli obblighi stabiliti nel DMA riflettono alcuni precedenti antitrust. Per esempio, può dirsi ispirato al c.d. self-preferencing trattato nel caso Google Shopping [39] il divieto di garantire un trattamento più favorevole, in termini di posizionamento e relativi indicizzazione e crawling, ai propri servizi e prodotti rispetto a quelli analoghi di soggetti terzi e il corrispondente obbligo di applicare condizioni trasparenti, eque e non discriminatorie a tale posizionamento [40]. Sembra inoltre richiamare il caso Amazon Marketplace [41] il divieto imposto ai gatekeeper di utilizzare, in concorrenza con gli utenti commerciali, dati non accessibili al pubblico da questi generati o forniti [42]. Emerge poi il riferimento al caso Apple Pay [43] nell’ambito dell’obbligo di consentire, a titolo gratuito, ai fornitori di servizi e ai fornitori di hardware, così come agli utenti commerciali e ai fornitori alternativi di servizi forniti contestualmente o in ausilio ai servizi di piattaforma di base, l’effettiva interoperabilità e l’accesso a tal fine, con le stesse componenti hardware e software che sono disponibili per i servizi o l’hardware forniti dal gatekeeper [44]. Anche i casi nazionali Booking.com ed Expedia [45], oltre a quello dell’indagine della Commissione sugli e-books nei confronti di Amazon [46] si presentano come fonte di ispirazione per il divieto di impedire agli utenti commerciali di offrire gli stessi prodotti o servizi agli utenti finali [...]


5. Regolazione e concorrenza: il DMA costituisce una regolazione settoriale ex ante?

In primo luogo, rileva sicuramente l’annoso tema della relazione tra regolazione settoriale e diritto generale della concorrenza, oggetto di ampio dibattito in merito a una loro complementarità e non alternatività. Infatti, sin dalla sua formulazione iniziale, ci si è chiesti se il DMA potesse considerarsi uno strumento di regolamentazione settoriale e, se sì, quale fosse il rapporto con le norme poste a tutela della concorrenza. Il rischio paventato da molti consisterebbe in un impatto considerevole del DMA sul quadro giuridico esistente con conseguenti sovrapposizioni con l’applicazione del diritto della concorrenza. Come noto, nel contesto europeo la prassi e la giurisprudenza appaiono concordi nel riconoscere un rapporto di complementarità tra gli strumenti di regolazione, che opererebbero ex ante, in senso prescrittivo, tramite l’imposizione di obblighi positivi agli attori e il controllo su fattori determinanti del settore in questione (quali per esempio l’accesso al mercato e il prezzo) e il diritto della concorrenza, che si applica a tutti i mercati e dunque ha una portata generale e opera ex post, laddove si verifichino condotte anticoncorrenziali. La scelta di una regolazione ex ante per i mercati digitali porrebbe comunque il problema di garantire un bilanciamento tra certezza e flessibilità. In particolare, la previsione di obblighi dettagliati si contrappone a un approccio flessibile maggiormente idoneo a una più ampia interpretazione e valutazione delle condotte e a un più agevole adattamento a evoluzioni future, in considerazione del fatto che si tratta di mercati dinamici e in rapido e continuo sviluppo. Inoltre, ove la formulazione di tali obblighi non risulti sufficientemente chiara, nella pratica questo potrebbe minare l’efficacia applicativa del DMA e aprire la strada a controversie giudiziali. Tenuto conto però degli altri settori sottoposti a regolamentazione, nel DMA appare assente un obiettivo propriamente settoriale, essendo focalizzato su una tipologia di servizi e di operatori piuttosto che su un vero e proprio settore economico. Inoltre, a differenza di quanto avviene tipicamente nel modello di regolazione settoriale, l’implementazione e l’applicazione del DMA sono concentrate a livello dell’Unione e non in ambito nazionale. Non si può poi tralasciare quanto già analizzato, ossia che nella sostanza [...]


6. DMA e norme antitrust: sussiste un rapporto di specialità oppure finalità e tutela di interessi sono differenti?

Alla luce di quanto rappresentato sino ad ora, rileverebbe ancor di più la questione relativa al rapporto tra DMA e norme di concorrenza, provando per esempio a qualificarlo in termini di specialità. Questa ipotesi, in effetti, potrebbe trovare la sua ragion d’essere in alcune previsioni contenute nello stesso regolamento. Si fa riferimento in particolare al considerando 78, che fa salvo il potere della Commissione di aprire procedimenti ai sensi degli artt. 101 o 102 T.F.U.E. «per quanto concerne il comportamento dei gatekeeper che non è contemplato dagli obblighi di cui al presente Regolamento». Sembrerebbe così che la presenza di previsioni espresse del DMA escluderebbe l’applicazione delle norme di concorrenza rispetto alla medesima fattispecie [54]. Per molti la risposta alla coesistenza tra DMA e diritto antitrust sarebbe invece rintracciata nelle dichiarazioni contenute nel regolamento in merito al perseguimento di obiettivi complementari, ma differenti e alla tutela di interessi diversi rispetto alle norme di concorrenza. Il contenuto del considerando 11 ben si salderebbe peraltro con la disposizione contenuta nell’art. 1, par. 6, reg., che non pregiudicherebbe l’applicazione degli artt. 101 e 102 T.F.U.E.; sarebbe dunque esclusa la sussistenza di un rapporto di specialità. D’altro canto, la finalità dichiarata del DMA è quella di «contribuire al corretto funzionamento del mercato interno stabilendo norme volte a garantire la contendibilità e l’equità per i mercati nel settore digitale in generale e per gli utenti commerciali e gli utenti finali dei servizi di piattaforma di base forniti dai gatekeeper in particolare» (considerando 7) [55]. Più esplicitamente, il regolamento persegue «un obiettivo complementare, ma diverso, alla protezione della concorrenza non falsata su un dato mercato», che «consiste nel garantire che i mercati in cui sono presenti gatekeeper siano e rimangano equi e contendibili» (considerando 11) [56]. Le nozioni di contendibilità e di equità, che costituirebbero gli obiettivi del DMA, non sono tuttavia ulteriormente definite nel testo del regolamento e vengono riprese nell’art. 1, par. 1, che esplicita il fine di assicurare «per tutte le imprese che i mercati nel settore digitale nei quali sono presenti gatekeeper siano equi e [...]


7. L’enforcement centralizzato del DMA e il rapporto tra Commissione e Autorità nazionali.

Un ulteriore interrogativo si è posto sull’enforcement “centralizzato” del DMA da parte della Commissione europea che sembra differenziarsi dall’approccio decentralizzato impiegato mediante altri interventi, come il DSA e gli Artificial Intelligence Act e Data Act, ma che appare in linea con l’obiettivo di promuovere il Mercato Unico Digitale attraverso l’armonizzazione. Coerentemente con tale approccio, è fatto divieto agli Stati membri di imporre ulteriori obblighi ai gatekeeper nell’ambito di applicazione del regolamento e alle autorità nazionali di adottare provvedimenti in contrasto con una decisione assunta dalla Commissione in base alle sue norme (art. 1, par. 7, DMA). Adottando una sorta di soluzione di compromesso tra l’approccio accentratore sulla Commissione e le istanze degli Stati reclamanti uno spazio maggiore per le autorità nazionali, il rapporto tra Commissione e autorità di concorrenza è definito in termini di cooperazione e coordinamento dal regolamento, secondo cui, per evitare sovrapposizioni, alle stesse è richiesto di collaborare e scambiare informazioni sulle rispettive azioni di esecuzione attraverso la rete europea della concorrenza (European Competition Network, ECN), senza però chiarire dettagliatamente in cosa si concretizzi tale coordinamento. All’art. 40, par. 5, si prevede l’istituzione di un gruppo ad alto livello di regolatori digitali, il cui scopo è quello di fungere da forum per la discussione di «questioni di cooperazione e coordinamento reciproci tra la Commissione e gli Stati membri nelle loro azioni di applicazione della legge». La Commissione è l’unica autorità cui è conferito il potere di applicare il DMA e le autorità nazionali di concorrenza possono, di propria iniziativa, svolgere nel loro territorio un’indagine su un caso di possibile non conformità agli artt. 5, 6 e 7, previa informativa scritta alla Commissione: in tal caso, ove la Commissione apra un suo procedimento ex art. 20, l’azione delle autorità nazionali è preclusa (art. 1, par. 7, artt. 37 e 38 DMA) [58]. Tra le ragioni che avrebbero portato a tale centralizzazione di competenze ci sarebbe il fatto che i soggetti coinvolti sono caratterizzati da dimensioni rilevanti con un’operatività transfrontaliera che determina [...]


8. L’applicazione del principio di ne bis in idem e i potenziali conflitti di competenza.

Quando si considera la natura complementare del DMA e delle norme antitrust, rileva inevitabilmente il principio di ne bis in idem, perché potrebbe configurarsi l’ipotesi di più procedimenti instaurati relativamente a un determinato soggetto e a una specifica condotta. Il ne bis in idem costituisce un principio fondamentale del diritto del­l’Unione [61], ormai sancito dall’art. 50 Carta dei diritti fondamentali dell’UE che stabilisce che «[n]essuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge». Il principio di ne bis in idem vieta quindi un cumulo tanto di procedimenti quanto di sanzioni con natura penale ai sensi del menzionato articolo per gli stessi fatti e nei confronti di una stessa persona. Tale disposizione contiene un diritto corrispondente a quello previsto all’art. 4 del protocollo n. 7 alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. In tal senso, nei limiti in cui la Carta contiene diritti corrispondenti a diritti garantiti da tale Convenzione, l’art. 52, par. 3, Carta prevede che il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla Convenzione. Si deve quindi tener conto del­l’art. 4 del protocollo n. 7 della Convenzione ai fini dell’interpretazione dell’art. 50 della Carta, senza che ciò pregiudichi l’autonomia del diritto dell’Unione e della Corte di giustizia dell’Unione europea [62]. Come noto, l’applicazione dell’art. 50 della Carta non si limita unicamente ai procedimenti e alle sanzioni qualificati come “penali” dal diritto nazionale, bensì comprende – prescindendo da una siffatta qualificazione in diritto interno – procedimenti e sanzioni che devono essere ritenuti dotati di natura penale sul fondamento di determinati criteri (qualificazione giuridica dell’illecito nel diritto nazionale, natura dell’illecito e grado di severità della sanzione). In considerazione, dunque, del fatto che i procedimenti antitrust e quelli delle autorità di regolazione sono volti all’irrogazione di sanzioni amministrative aventi carattere afflittivo, è inevitabile una loro [...]


9. I primi interventi applicativi del DMA.

Una volta analizzati i principali profili sollevati con l’entrata in vigore del DMA, può essere utile esaminare i primi interventi della Commissione in tale contesto al fine di comprendere meglio l’effettiva applicazione del regolamento e la rispondenza dei risultati conseguiti rispetto alle aspettative. La prima fase di designazione sulla base del DMA è stata sostanzialmente completata e, presumibilmente, nei prossimi anni l’elenco dei gatekeeper dovrebbe rimanere stabile. In particolare, la Commissione ha completato una prima serie di designazioni nel settembre 2023 nei confronti di Alphabet, Amazon, Apple, ByteDance (nota con TikTok), Meta, Microsoft, individuando 22 servizi da questi forniti come core platform services (di seguito anche “servizi di piattaforma di base” o “SPB”), per poi dichiarare, nell’aprile 2024, come gatekeeper Apple in un ulteriore SPB (iPadOS) e designare, nel maggio 2024, come settimo gatekeeper Booking. Le imprese interessate hanno peraltro potuto presentare argomentazioni per dimostrare che non avrebbero dovuto essere designate come gatekeeper ai sensi dell’art. 3, par. 5, DMA. Delle dieci confutazioni ricevute [76] nell’ambito della prima fase di notifiche, la Commissione ne ha accettate tre [77], respinte altre tre [78] e ha ritenuto che quattro confutazioni fossero sufficientemente fondate da indurla ad avviare indagini di mercato per valutare ulteriormente le argomentazioni in esse contenute [79]. Sin da subito non sono mancate pronunce delle Corti europee sull’applicazione del DMA. Ne è un esempio l’ordinanza del Tribunale del 9 febbraio 2024 con cui è stata respinta la richiesta di ByteDance di sospendere l’esecuzione della decisione con cui la Commissione l’ha designata come gatekeeper, riconducendo il servizio di piattaforma di base nella categoria di “servizi di social network online” e rilevando il raggiungimento delle soglie di cui all’art. 3 DMA. Infatti, nel novembre 2023, Bytedance ha presentato ricorso per l’annullamento della decisione davanti al Tribunale, con una istanza urgente di adozione di misure cautelari al fine di sospenderne l’esecuzione, con particolare riferimento agli obblighi di cui agli artt. 5, 6 e 15 DMA. Il Tribunale è successivamente intervenuto anche in merito al giudizio principale, rigettando il ricorso di ByteDance con [...]


10. Considerazioni finali sulle possibili evoluzioni del rapporto tra DMA e norme antitrust.

Sono state ripercorse le tappe che hanno portato all’intervento regolatore nel settore digitale, partendo dal decennio precedente in cui le autorità si sono attivate in via residuale per valutare determinate condotte adottate sul mercato in questione, non tanto per il fatto che le norme a tutela della concorrenza sarebbero state limitate a specifici mercati e a specifiche pratiche (considerando 5 del DMA), quanto per la scelta di non intervenire nella convinzione della piena apertura dei mercati digitali (“competiton is a click away”). In sostanza, è stato per diverso tempo apprezzato il dinamismo concorrenziale introdotto dalla crescita dei grandi operatori digitali come un successo dell’economia di mercato, meritevole come tale di assecondamento. Inoltre, in USA e Cina sono state implementate politiche di self-restraint con l’obiettivo di non ostacolare i grandi operatori. Negli ultimi tempi, però, in Europa è emerso un atteggiamento di interventismo tutt’altro che marginale, sicuramente con riferimento ai mercati digitali, ma in generale nei diversi settori dell’economia. Ne è un esempio anche la consultazione che era stata avviata nel 2020 dalla Commissione europea sull’introduzione di un New Competition Tool, un nuovo strumento – appunto – che avrebbe consentito di avviare indagini approfondite a fronte di rilevanti criticità per il processo concorrenziale con la possibilità di imporre, al termine di apposite indagini, rimedi di natura comportamentale o addirittura strutturale nei confronti delle imprese [89]. Nell’am­bito di tale consultazione era stato però messo in discussione un potere così invasivo e di portata generale in capo alla Commissione a tal punto da portare quest’ultima ad abbandonare l’iniziativa e a prevedere diverse proposte legislative, come quelle menzionate e trattate nel presente contributo. Se, però, a livello UE il processo di introduzione di poteri dalla portata generale è stato arrestato, in diversi Paesi è avvenuto il contrario. Ne sono un esempio i new competition tools previsti nel Regno Unito [90], in Germania [91] e da ultimo in Italia. Infatti, con parere del 29 gennaio 2024, n. 61, il Consiglio di Stato si è espresso sull’art. 1, quinto comma, d.l. n. 104/2023, come convertito dalla l. n. 136/2023 (“Decreto [...]


NOTE