<p>Il giudizio civile di Cassazione di Ricci Albergotti Gian Franco</p>
Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeCC BY-NC-SA Commercial Licence ISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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La riforma della disciplina delle invenzioni accademiche e del settore pubblico: dal professor's privilege alla titolarità istituzionale con un passo del Pnrr (di Francesca Vessia, Professoressa ordinaria di diritto commerciale e diritto industriale, Università degli Studi di Bari Aldo Moro)


Il lavoro analizza le innovazioni apportate all’art. 65 c.p.i. dalla l. n. 102/2023 in tema di invenzioni accademiche e del settore pubblico, con particolare riguardo alla scelta di titolarità istituzionale, partendo dalla prospettiva comparatistica e di analisi del precedente sistema di titolarità individuale e tratteggiando il quadro complessivo delle attività di trasferimento tecnologico nel quale essa si inserisce. La ricerca si concentra successivamente sulla nuova disciplina ed esamina insieme ai problemi esegetici anche alcuni regolamenti universitari (su brevetti e proprietà intellettuale), nel tentativo di dare risposte alle questioni lasciate aperte dalle lacune e di orientare gli atenei nell’aggiornamento dei propri atti interni. Viene prospettata una connessione e circolarità tra i regolamenti sulla proprietà intellettuale, sul conto terzi e sulle società spin off, e si segnalano i punti di attenzione dei nuovi contratti di ricerca (collaborativa e in conto terzi), con i principi per la loro redazione contenuti nelle Linee Guida del Mimit.

The reform of the regulation of academic and public sector inventions: from professor's privilege to institutional ownership with a step of the Pnrr

The paper aims at investigating the innovations brought by the reform of article 65 of the Industrial Property Code by Law no. 102/2023 on academic and public sector inventions, examining in dept the choice of institutional ownership, starting from the comparative perspective and analysing the previous system based on the professor’s privilege, to then depict the scenario of technology transfer activities within it. Thereafter, the research focuses on the new discipline by examining both some legal issues and some internal academic regulations (on patents and IPRs), attempting to answer the questions opened by the legal blanks and to guide universities in the implementation of this reform at the internal regulatory level. Connections and circularities between internal regulations of intellectual property, third-party research and spin-offs are explored, and points of attention of new research contracts (collaborative and in the interest of third parties) related to dedicated principles included in the Mimit Guidelines are highlighted.

Sommario/Summary:

1. Il contesto italiano della riforma 2023. - 2. Il quadro degli interessi e la comparazione sulle scelte di titolarità delle invenzioni accademiche. - 3. Invention-for-hire doctrine v. professor’s privilege: questioni esegetiche del previgente regime. - 4. Ambito oggettivo e soggettivo di applicazione e il problema delle lacune. - 5. Ulteriori questioni legate all’ambito soggettivo di applicazione della regola di titolarità istituzionale e le possibili soluzioni alle lacune: approcci regolatori e spunti dalle prime esperienze applicative dei regolamenti di Ateneo. - 6. Aspetti procedimentali: obbligo di comunicazione (e termini), pre-screening, procedimento deliberativo e premialità. - 7. I contratti di ricerca: principi delle Linee Guida Mimit e circolarità dei regolamenti di Ateneo su P.I., conto terzi e società spin off. - 8. Successione nel tempo di leggi (e regolamenti) e riflessioni conclusive. - NOTE


1. Il contesto italiano della riforma 2023.

Il parlamento italiano ha cancellato il c.d. privilegio del professore a luglio 2023 (con l’art. 3 della l. 24 luglio 2023, n. 102 entrato in vigore il 23 agosto 2023) nel quadro delle riforme rientranti nel piano per la ripresa e la resilienza, precisamente nella Missione 1 Componente 2 (M1C2) del PNRR [1]. Tra gli obiettivi da realizzare con i fondi europei post Covid, infatti, era stato programmato un intervento normativo (già nell’estate del 2021) al fine di garantire «che il potenziale di innovazione contribuis[se] efficacemente alla ripresa e alla resilienza del Paese», nonché per «incentivare l’uso e la diffusione della proprietà industriale (…) facilitare l’accesso ai beni immateriali e la loro condivisione, garantendo nel contempo un equo rendimento degli investimenti» [2]. Nel piano di ripresa e resilienza approvato dal Consiglio dell’Unione Europea, tuttavia, non era presente ancora in forma dettagliata la modifica dell’art. 65 c.p.i., che invece compare nel (quasi coevo) documento elaborato, durante il governo Draghi, dal Ministero dello Sviluppo Economico – attraverso la Direzione Generale per la tutela della proprietà industriale dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) – recante Linee di Intervento Strategiche sulla Proprietà Industriale per il triennio 2021-2023, dove per la prima volta si palesa come possibile un “ribaltamento” di approccio rispetto alla titolarità delle invenzioni accademiche in capo ai ricercatori. Tale proposta viene avanzata, si legge in quel documento, «per allineare la normativa italiana a quella degli altri Paesi europei, trasferendo la titolarità delle invenzioni realizzate dai ricercatori alla struttura di appartenenza» [3], con il dichiarato scopo di «valorizzare gli esiti della ricerca pubblica promuovendone i brevetti», nella consapevolezza che «la ricerca pubblica italiana contribuisce allo sviluppo di nuove tecnologie in maniera rilevante ma, frequentemente, il suo patrimonio di invenzioni non viene valorizzato per una evidente carenza di risorse dedicate a questa funzione che non consente di veicolare efficacemente l’infor­mazione necessaria verso le imprese» [4]. Poi cade il governo Draghi e il lavoro fatto fino ad allora, che sembrava perduto, viene ripreso con vigore e (finanche) [...]


2. Il quadro degli interessi e la comparazione sulle scelte di titolarità delle invenzioni accademiche.

Occorre prendere le mosse da una breve analisi di contesto e comparativa, per comprendere quali siano i diversi approcci culturali e ideologici sottostanti alle scelte sulla titolarità delle invenzioni accademiche. Come noto, la regola del privilegio accademico è stata introdotta in Germania (prima in Europa), per via giurisprudenziale a fine ’800 e poi nel 1957 mediante disposizione di legge [16], a presidio della libertà di insegnamento e ricerca (tale collegamento è presente anche dall’art. 33 Cost. italiana), in un contesto in cui l’Hochschullehrerprivileg risultava strumentale alla concezione (all’epoca dominante nel mondo e tutt’ora molto radicata nella cultura occidentale) della ricerca pubblica in funzione della produzione di conoscenza pubblica, libera e a servizio della collettività [17]. Lontane erano le idee sia di università-imprese concorrenti tra loro (per l’aggiudicazione di risorse finanziarie e degli studenti) sia di uno sfruttamento degli assets immateriali secondo logiche aziendalistiche e lucrative: mancava la cultura della proprietà intellettuale nelle università europee nel dopo guerra, e mancavano le risorse, umane e finanziarie, insieme alle competenze sulla proprietà intellettuale e sul knowledge transfer, necessarie alla valorizzazione dei risultati della ricerca. Tradizionalmente la ricerca finanziata con (scarse) risorse pubbliche doveva esitare in pubblicazioni scientifiche, funzionali alla progressione di carriera dei ricercatori e docenti, e alla crescita della scienza [18]; di conseguenza, le invenzioni che si brevettavano erano poche e per lo più destinate a restare inutilizzate sul piano commerciale. Un quadro completamente diverso si presentava nel secondo dopoguerra al di là dell’Atlantico, dove si registrava, per un verso, un incremento significativo degli investimenti federali alla ricerca scientifica accademica, sebbene ciò non avesse prodotto quella (sperata) accelerazione dei processi di trasferimento tecnologico, grazie ai quali i risultati delle ricerche universitarie avrebbero dovuto raggiungere le industrie e trovare sbocco sul mercato: solo il 5% dei brevetti accademici veniva licenziato all’industria [19]. In questa cornice, il varo del c.d. Bayh-Dole Act nel 1982 (Patent and Trademark Law Amendments Act) [20] ha rappresentato il volano per la [...]


3. Invention-for-hire doctrine v. professor’s privilege: questioni esegetiche del previgente regime.

Per meglio orientarsi nell’analisi del novellato art. 65, è opportuno brevemente richiamare i problemi sollevati dalla disciplina previgente. In primo luogo, il privilegio del professore era stato introdotto con la l. 18 ottobre 2001 n. 383 (contente Primi interventi per il rilancio dell’economia) in attuazione del c.d. “pacchetto Tremonti” o “pacchetto dei cento giorni” in sostituzione dell’art. 34 t.u. sulle disposizioni concernenti lo Statuto degli impiegati civili dello Stato (d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3), che recava disposizioni del tutto simili a quelle previste dalla Legge sulle Invenzioni (r.d. 29 giugno 1939, n. 1127), in specie dagli artt. 23 e 24 sulle invenzioni dei dipendenti privati, già all’epoca classificate nella attuale tripartizione: invenzioni di servizio, d’azienda e occasionali. La scelta serviva a rilanciare un sistema ritenuto inefficiente, a causa del­l’inerzia e della strutturale inadeguatezza delle università nel tutelare e sfruttare le invenzioni [33], che tuttavia era imputabile non al disinteresse delle istituzioni accademiche bensì alle carenze organizzative e finanziarie (come emerso successivamente dalle analisi condotte da ricercatori Netval) [34] e alla farraginosità della normativa. Difatti, erano ancora pochi e male organizzati negli atenei italiani gli Uffici per il Trasferimento Tecnologico (UTT o Technology Transfer Office – TTO), come anche scarse le competenze e la specializzazione sulla proprietà intellettuale [35]; inoltre, il processo di brevettazione appariva complicato in ragione delle difficoltà di qualificazione delle fattispecie inventive del settore pubblico secondo la tripartizione tipicamente privatistica (invenzioni di servizio, aziendali e occasionali) che mal si attagliava al sistema della ricerca accademica [36], articolato piuttosto in ricerca autonoma, collaborativa o su commissione. Per contro, l’attribuzione della titolarità individuale delle invenzioni fu reputata una scelta di responsabilizzazione degli autori/inventori, che avrebbe creato un incentivo forte alla brevettazione muovendo dall’interesse personalistico di ciascun ricercatore ad ottenere un ritorno economico diretto e immediato [37]. L’idea, però, si scontrava con una pluralità di problemi sia giuridici sia applicativi ed è stata smentita nei [...]


4. Ambito oggettivo e soggettivo di applicazione e il problema delle lacune.

Passando al nuovo art. 65 [60], in relazione all’ambito di applicazione la disposizione recita: «In deroga all’articolo 64, quando l’invenzione industriale è fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o di un rapporto di lavoro o di impiego, anche se a tempo determinato, con una università, anche non statale legalmente riconosciuta, un ente pubblico di ricerca o un istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), nonché nel quadro di una convenzione tra i medesimi soggetti, i diritti nascenti dall’invenzione spettano alla struttura di appartenenza dell’inventore, salvo il diritto spettante all’inventore di esserne riconosciuto autore, nei termini di cui al presente articolo». Innanzitutto, l’incipit della norma evidenzia il rapporto di “deroga” rispetto all’art. 64, che si riferisce alla tripartizione delle invenzioni del settore privato (di servizio, d’azienda e occasionali), non riproposta nell’art. 65 (sebbene non si possa escludere che venga adottata per via regolamentare dai singoli enti di ricerca) [61], visti i dubbi suscitati nel previgente regime [62], sebbene ciò non faccia cadere le discussioni sull’ambito oggettivo e soggettivo di applicazione della norma. Invece, sembra esserci continuità tra le due norme in relazione agli interessi tutelati e alla logica sottesa alle due disposizioni, la work-for-hire doctrine. Ulteriore somiglianza tra le discipline si segnala in relazione all’art. 64, sesto comma, sull’arco temporale di sottoposizione delle invenzioni alla regola di titolarità istituzionale, destinata a esaurirsi soltanto dopo il decorso di un anno dalla cessazione del rapporto di lavoro o di impiego; regola che si giustifica, tanto per il lavoro privato quanto per quello pubblico, in forza degli effetti normalmente differiti dei risultati inventivi rispetto all’attività sperimentale che si è svolta nei dodici mesi anteriori mediante l’utilizzo di attrezzature, risorse umane e finanziarie del precedente datore di lavoro. Sembra, invece, che i dubbi emersi in passato sulla qualificazione del rapporto di lavoro che lega i ricercatori ai propri enti di appartenenza, in termini di “contratto di ricerca” ovvero di “contratto inventivo” [63], siano destinati a cadere alla luce della previsione [...]


5. Ulteriori questioni legate all’ambito soggettivo di applicazione della regola di titolarità istituzionale e le possibili soluzioni alle lacune: approcci regolatori e spunti dalle prime esperienze applicative dei regolamenti di Ateneo.

La disposizione dell’art. 65 si riferisce espressamente al personale strutturato che intrattenga, con gli enti pubblici di ricerca, le università o gli IRCCS, un rapporto di lavoro o di impiego; si riferisce altresì anche al personale legato da un generico contratto con tali soggetti o da una convenzione con gli stessi, sicché sembrano essere inclusi il personale strutturato assunto a tempo determinato e indeterminato nonché il personale non strutturato ma legato da contratti o convenzioni anche a tempo determinato e breve. In questa così ampia nozione, quindi, è ragionevole considerare inclusi i contratti di ricerca stipulati con assegnisti, dottorandi, specializzandi, borsisti etc. Il comma quarto dispone, altresì, che le università, gli enti pubblici di ricerca e gli IRCCS nell’ambito della propria autonomia, disciplinano: «a) le modalità di applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo ai soggetti che hanno titolo a partecipare alle attività di ricerca, compresi gli studenti dei corsi di laurea per i risultati inventivi conseguiti nell’ambito delle attività di laboratorio ovvero nei percorsi di laurea». Questa previsione, che rimette all’autonomia regolamentare la scelta di ampliamento dell’ambito soggettivo di applicazione delle invenzioni accademiche a tutti coloro che prendono parte alle attività di ricerca, con espressa menzione degli studenti, sembra confermare la soluzione già desunta dal tenore letterale, per la quale i soggetti già sottoposti a formali rapporti contrattuali (come assegnisti, dottorandi e specializzandi) siano già inclusi nella previsione del primo. Dunque, si desume che non vi sia una libertà di scelta, e che la titolarità istituzionale non possa essere derogata in questi casi, trattandosi di soggetti equiparati ex lege al personale dipendente [86]. L’espressa menzione degli studenti, probabilmente, può essere spiegata immaginando che il legislatore (rectius i consulenti legali che hanno contribuito alla stesura del testo di legge novellato), conoscesse(ro) il caso che rappresenta l’unico precedente giurisprudenziale nazionale (noto ed edito) [87] degli studenti del Politecnico di Bari, deciso dalla Sezione specializzata per le imprese del Tribunale di Bari nel 2023. Si trattava di un caso complicato a causa di una [...]


6. Aspetti procedimentali: obbligo di comunicazione (e termini), pre-screening, procedimento deliberativo e premialità.

Con riguardo agli aspetti procedimentali, la novità più significativa è rappresentata dall’affermazione di un obbligo formale di comunicazione dell’invenzione all’ente di appartenenza, gravante in capo all’inventore. La sua rilevanza è correlata all’idea, che aveva fatto discutere in passato, che potesse esserci una assoluta libertà dell’inventore di disporre dei propri diritti (senza alcun obbligo di dover fare la disclosure delle proprie invenzioni) a fronte di un evidente interesse sancito dalla legge in capo alle università ad appropriarsi di una quota dei compensi (canoni e proventi) relativi alle licenze e a regolamentare i rapporti tra inventore, istituzione e terzi. Tale considerazione aveva fatto propendere per l’esistenza di un implicito dovere di comunicazione, sebbene totalmente pretermesso dalla legge [102]. Finalmente la novella ha sciolto questi dubbi stabilendo, non soltanto, che «l’inventore deve comunicare l’oggetto dell’invenzione alla struttura di appartenenza con onere a carico di entrambe le parti di salvaguardare la novità della stessa»; altresì, ha previsto gli effetti della mancata comunicazione, ossia che «l’in­ventore non può depositare a proprio nome la domanda di brevetto, ai sensi del comma 3, fermi restando la possibilità di rivendica ai sensi dell’art. 118 e quanto previsto dagli obblighi contrattuali». Va da sé, altresì, che l’omissione della comunicazione avrà l’effetto di non consentire l’operatività del terzo comma, sul procedimento deliberativo e l’effetto decadenziale in caso di superamento del termine semestrale per il deposito del brevetto, né probabilmente il ricercatore inadempiente potrà opporre all’ente il suo eventuale inadempimento esercitando il suo diritto di ripresa [103], in base al principio dell’eccezione d’inadempimento (inadimpleti non est adimplendum, art. 1460 c.c.). Dunque, il legislatore si è spinto fino a configurare, in termini chiari, quali possano essere sia le conseguenze dell’inosservanza dell’obbligo di comunicazione, cioè il divieto di brevettazione in proprio, sia gli effetti dell’inosservanza di quest’ultimo divieto, e lo ha fatto richiamando tanto l’azione di rivendica (disciplinata [...]


7. I contratti di ricerca: principi delle Linee Guida Mimit e circolarità dei regolamenti di Ateneo su P.I., conto terzi e società spin off.

Meritano attenzione anche i princìpi elaborati all’interno delle Linee Guida del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (adottate con decreto interministeriale il 26 settembre 2023, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale il 28 settembre 2023), per i contratti di ricerca con soggetti esterni finanziatori o co-finanziatori, emanate in attuazione dell’art. 65, commi quarto e quinto, c.p.i. [122], sebbene la loro portata vaga e non innovativa né precettiva, sia stata oggetto di critiche [123]. Il Ministero ha, innanzitutto, raccomandato di elaborare gli accordi con i soggetti finanziatori assicurando una composizione equilibrata dei diversi interessi in gioco tra le parti, indicando come interesse che le università, gli EPR e gli IRCCS devono perseguire quello della visibilità per la propria attività inventiva, laddove, per contro, le imprese perseguono la disponibilità piena, libera e immediata dei diritti di proprietà intellettuale sui risultati della ricerca commissionata. Utile, sebbene ripetitivo della prassi contrattuale già nota, risulta essere la classificazione delle attività in conto terzi contenuta nell’art. 5 delle Linee Guida in tre diverse categorie: 1) le “attività di servizio”, consistenti in studi applicativi, verifiche, misurazioni ed altre attività routinarie, «per l[e] qual[i] occorre una strumentazione non in dotazione al soggetto finanziatore» (art. 5.1), che normalmente non conducono a risultati inventivi e diritti di P.I. da proteggere; 2) le “attività di sviluppo”, che consistono in attività di ricerca applicativa su progetti «già in fase di sviluppo presso lo stesso soggetto finanziatore, che normalmente dispone di conoscenze pregresse di natura proprietaria e talvolta anche già protette da forme di privativa», chiedendo «all’Università, all’EPR o all’IRCCS un intervento qualificato volto all’ottimizzazione, validazione, raffinamento o completamento dell’idea/tecnologia» (art. 5.2); 3) e le “attività di ricerca innovativa”, quali possono essere «ricerche che portino alla soluzione di un problema tecnico o ad un nuovo prodotto o nuovo uso di un prodotto/applicazione del soggetto finanziatore» in cui «la generazione di nuova proprietà industriale è [...]


8. Successione nel tempo di leggi (e regolamenti) e riflessioni conclusive.

Tra i problemi del tutto dimenticati dalla nuova disciplina si segnala quello della successione nel tempo della legge e dei regolamenti, mancando nella novella le regole di diritto transitorio, specie con riguardo alla sorte dei regolamenti universitari anteriori al 2023 [132], in considerazione dei tempi non veloci per l’adegua­mento normativo da parte di ciascun ente. Certamente, a partire dal 23 agosto 2023 (data di entrata in vigore della l. n. 102/2023), tutte le domande di brevetto per invenzione presentate dai ricercatori saranno soggette al nuovo art. 65, dovendosi presumere il concepimento del­l’invenzione in data successiva all’entrata in vigore della riforma, salva la diversa prova fornita dagli inventori [133] e salve le disposizioni transitorie eventualmente introdotte dai singoli regolamenti [134]. Da ciò ne consegue che le disposizioni dei regolamenti anteriori alla riforma, che siano ancora in vigore dopo il 23 agosto 2023 – ricorrenza non implausibile ed anzi altamente probabile, riscontrandosi a distanza di un anno dalla promulgazione un tasso molto basso di adeguamenti tra le sole università (mentre nessun adeguamento consta per gli EPR e gli IRCCS) – e che risultino incompatibili con il nuovo regime, si dovranno considerare implicitamente abrogate. Invece, per la disciplina delle premialità e di altri aspetti diversi, rimessi all’au­tonomia regolamentare e non contrastanti con la novella, non potranno che continuare ad applicarsi le regole contenute nei regolamenti anteriori alla riforma fino all’introduzione dei nuovi, con salvezza anche di tutti i contratti di ricerca o le convenzioni medio tempore conclusi, salvo che non si voglia sostenere come avanzato in dottrina da alcuno [135], che in via residuale si debba ritenere applicabile il meccanismo di calcolo dell’equo premio ai sensi dell’art. 64, secondo comma, c.p.i. Non si poteva certo sperare che una così radicale riforma, implicante l’ado­zione di nuove soluzioni politiche per le strategie di ricerca e trasferimento tecnologico degli enti pubblici, potesse condurre ad un processo di adeguamento tempestivo della disciplina interna, senza una doverosa riflessione e confronto tra gli organi politici di ciascun ateneo e tra i diversi atenei (come è stato fatto nel corso di quest’anno e mezzo dalla riforma attraverso plurime iniziative). Se si [...]


NOTE