Il lavoro, nel rilevare alcune ambiguità e difetti del nuovo quadro europeo sul diritto delle cripto-attività, sollecita una riflessione in merito all’opportunità (specialmente ai modi ed ai tempi) della riforma intrapresa dalla Commissione, con riferimento soprattutto alla sua effettività.
The article aims to demonstrate that the new EU crypto-asset regulation is far from providing certainty, casting the doubt whether a bespoke regime was really needed.
1. Il nuovo framework europeo per uno sviluppo sostenibile della cripto-economia nella prospettiva internazionale. Modelli e poteri a confronto. - 2. Dal regolamento MiCA al disegno di legge federale statunitense (c.d. FIT21): primi segnali di una convergenza transatlantica UE-USA? - 3. Certezza vs flessibilità: i limiti del “sistema” europeo. - 4. Armonizzazione e territorialità. - 5. Dalla rule of law attraverso la rule of code: l’importanza dell’enforcement. - NOTE
Regolamentare! Sembrerebbe essere questa, in estrema sintesi, la parola d’ordine dell’Unione Europea di fronte al dilagante fenomeno della digitalizzazione. A cominciare dal GDPR [1], passando per il DSA [2] ed il DMA [3], per arrivare al Pilot [4] e poi al MiCA [5], fino all’AI Act [6], giusto per citare i principali, numerosi ed ampi sono stati invero i provvedimenti, meglio i regolamenti, come tali direttamente applicabili, attraverso cui il Parlamento e la Commissione stanno, passo dopo passo, tentando di indirizzare lo sviluppo delle tecnologie digitali in Europa, in un’ottica che potremmo definire di integrazione e soprattutto di sostenibilità, anzitutto economica, oltre che ambientale [7] e sociale [8]. Lasciando da parte la questione della tutela della c.d. sovranità, che perlomeno per quanto concerne il comparto finanziario a cui sono dedicate queste riflessioni, non sembra al momento soffrire alcuna minaccia [9], è chiaro che l’Europa muove da una posizione di debolezza economica rispetto ad altre realtà più avanzate, come la Cina e gli Stati Uniti [10]. Eppure, se da un lato questa condizione sembra poter giustificare l’imponente sforzo regolatorio, dal sapore quasi protezionistico, messo in campo in questi anni essenzialmente a difesa degli operatori e degli utenti europei, dall’altro viene da chiedersi se un siffatto approccio non sia eccessivo o peggio ancora, controproducente [11]. La questione non è nuova: già al tempo del GDPR, si ricorderà, una parte della dottrina si era dichiarata scettica circa la capacità conformativa del diritto unionale, paventando il rischio che le maglie (troppo) strette del regolamento potessero limitare le capacità di sviluppo e di attrattività del mercato europeo nei confronti degli operatori stranieri [12]. In realtà il risultato finale è stato l’opposto: le imprese (anche straniere) del digitale si sono adeguate [13] e piano piano, da strumento locale, il GDPR è riuscito ad affermarsi come modello globale, confermando così le aspirazioni dell’Europa all’esercizio di una sorta di “regulatory power” [14]. Le stesse aspirazioni che ora sembrano animare la nuova disciplina europea delle cripto-attività, da molti a ragione definita pionieristica [15], [...]
Torneremo più avanti (spec. infra parr. 3 e 4) ad occuparci più diffusamente dei confini oggettivi del progetto europeo, e in particolare del MiCA, stante l’importanza centrale che a questo elemento sembra doversi tributare nell’ambito di una valutazione, quale quella che ci si accinge a compiere, finalizzata a saggiare l’effettiva portata della novella. Per ora ci basti qui dire che, a dispetto delle svariate ragioni di debolezza, anche strutturali, che caratterizzano tale (complessa) riforma, non a caso lungamente dibattuta [19], dai primi dati sembrerebbe che – proprio come il GDPR – anche quest’ultimo intervento possa col tempo sperare di assurgere a modello per altri ordinamenti, anche molto significativi, come gli Stati Uniti, dove già qualche mese fa è stata presentata una proposta di legge federale (identificata dall’acronimo FIT21) dedicata proprio alle cripto-attività [20]. Va da sé che il cammino parlamentare, a maggior ragione di un provvedimento per molti aspetti complesso come il FIT21, è ancora lungo e il suo esito (a maggior ragione dopo il cambio di Presidenza) estremamente incerto [21], motivo per cui sarebbe assolutamente prematuro discorrere di un possibile “Brussels effect”. Tanto più che – come vedremo (v. infra par. 3) – il testo oggi allo studio del Congresso presenta tante e tali particolarità contenutistiche che sarebbe riduttivo e probabilmente inesatto etichettare il FIT21 come una versione a stelle e strisce del MiCA, trattandosi piuttosto di un’alternativa. Resta il fatto, ed è giustappunto da qui che ha origine la nostra riflessione, che dopo aver intrapreso e sostenuto un approccio più conservativo, essenzialmente basato sulla tecnica interpretativa del “wait-and-see”, anche il governo statunitense parrebbe ora determinato ad abbracciare la strada inaugurata dall’Unione Europea della creazione di un c.d. bespoke regime, la quale quindi sembrerebbe legittimarsi come la migliore soluzione (disponibile) [22]. Sennonché, prima di formulare giudizi di valore, c’è un dato per così dire strutturale, che merita di essere messo in evidenza, ed è che per potersi giustificare ed innestare fluidamente, un diritto speciale (quale che sia) deve fondarsi su categorie isolabili, ciò che oggettivamente non è [...]
Restando per ora al contesto europeo, il problema riguarda particolarmente il MiCA e la decisione, per vero neppure troppo convinta, del legislatore comunitario di convogliare in quell’unico provvedimento una serie di istanze e realtà solo in parte identificate e identificabili (si pensi ai token c.d. ibridi), andando così oltre quello che, a ben vedere, era il progetto a suo tempo manifestato nella c.d. Digital Finance Strategy, dalla cui (ri)lettura si evince nitidamente come l’obiettivo primario della Commissione fosse quello di internalizzare normativamente i vantaggi che la DLT è in grado di apportare nell’ambito dei servizi finanziari, degli investimenti e soprattutto dei pagamenti [24]. Quindi, di (permettere agli operatori di) costruire un sistema efficiente come quello dei bitcoin o delle allora emergenti stablecoin (Libra, ora ridenominata Diem), soltanto più sicuro anche per la conservazione della stabilità monetaria. Obiettivo poi effettivamente realizzatosi con l’emanazione del regolamento pilota per la gestione dei valori mobiliari e l’introduzione ad opera del MiCA di una disciplina dedicata agli e-money token (EMT) ed agli asset referenced token (ART), cioè con la messa in atto di due riforme entrambe indispensabili per lo sviluppo della tecnologia DLT nel settore finanziario (con accezione ampia), fra loro complementari e tendenzialmente coerenti [25]. Sappiamo però che il MiCA si occupa anche d’altro (titolo II) ed è proprio questo di più a creare una serie di problemi interpretativo-sistematici, non riuscendo facile comprendere perché il legislatore europeo abbia voluto estendere il proprio raggio d’azione anche ai token diversi da quelli appena citati (security token e stablecoin), considerato che si tratta di strumenti per definizione estranei ai comparti di cui sopra e dunque alle priorità a suo tempo stabilite. E ancora perché abbia deciso di regolarli all’interno di un framework chiaramente derivato (para-finanziario), anziché in uno separato e indipendente, non riuscendosi a trovare una valida motivazione per cui un emittente che voglia collocare un token per l’appunto non finanziario debba darne previa notizia all’Autorità nazionale di vigilanza del mercato (in Italia la CONSOB ex art. 3, secondo comma, d.lgs. n. 129/2024) e perché [...]
D’altro canto, senza che quanto si sta per dire suoni come l’ennesima critica al tentativo, comunque coraggioso, del legislatore eurounitario di ripristinare un certo ordine all’interno del sistema, bisogna riconoscere che il risultato è andato molto al di sotto le aspettative (dichiarate). Vuoi, come appena esplicitato, per la complessità intrinseca del fenomeno, vuoi anche a causa di una certa immaturità del quadro regolatorio di diritto comune pre-esistente. Si ricorderà invero che quando, ancora agli albori della token economy, l’ESMA aveva provato a saggiare la tenuta del sistema, avviando una survey nella quale si chiedeva alle autorità nazionali quale avrebbe dovuto essere a loro giudizio il trattamento da riservare in concreto ad alcune specifiche cripto-attività al tempo già operative e diffuse tra il pubblico, le risposte erano state profondamente disomogenee. Al punto che di lì a poco la Commissione aveva deciso di lanciare la proposta del Pilot e del MiCA, anche proprio allo scopo di superare queste divergenze. Sennonché, basta rileggere il report riassuntivo stilato dall’ESMA a valle della citata consultazione [29], per capire che in realtà il problema ha radici così lontane e profonde, che nessuna legge speciale sui token potrebbe superarlo. Nel senso che, sicuramente, riportare le caratteristiche dei nuovi prodotti alle categorie ordinarie richiede uno sforzo di adattamento notevole; ma proprio perché i primi sono così particolari e innovativi, bisognerebbe che almeno le seconde, cioè le nozioni a monte (quelle della MiFID, per intenderci) fossero definite in modo completo e assolutamente coerente a livello eurounitario, ciò che invece ad oggi non risulta, per due ordini di motivi (almeno) [30]. Il primo è che, anche se i token non finanziari, o forse bisognerebbe dire “diversamente finanziari”, sono ora disciplinati per regolamento (MiCA), la nozione di strumento finanziario – da cui, come è già stato evidenziato in precedenza, i primi sono derivati per sottrazione – continua ad essere affidata ad una direttiva (MiFID), cioè ad un atto per sua natura meno efficace sul piano dell’armonizzazione. Tanto è vero che una delle ragioni per cui in determinati casi le risposte qualificatorie fornite dalle autorità nazionali [...]
Arriviamo quindi all’ultimo punto di questa breve, per i temi trattati forse eccessivamente breve, riflessione sugli elementi di debolezza che sembrano affliggere il nuovo quadro europeo in materia di cripto-attività. Un quadro – come già più volte evidenziato – sostenuto da una forte ambizione: portare certezza e sicurezza nelle relazioni basate o comunque connesse alla sottoscrizione e poi al trasferimento delle cripto-attività, così da godere dei vantaggi legati ad una gestione crittografata e decentralizzata dei prodotti e dei servizi, minimizzandone i rischi. Ma a conti fatti poco efficace sotto tutti i punti di vista: di mercato, di sistema e infine anche delle garanzie. In parte, si tratta di dimensioni fra loro strettamente collegate, per cui è abbastanza logico che il risultato negativo dell’una possa comunicarsi alla/e altra/e: si pensi, ad esempio, al pregiudizio che i vizi tassonomici sopra esposti sono in grado di arrecare al sistema, in termini anzitutto di coerenza generale e poi anche di effettività, posto che dove regna l’incertezza diventa più difficile prevenire e reprimere gli abusi e oltre i comportamenti opportunistici (regulatory arbitrage). O ancora si pensi all’influenza depressiva che la percezione di un livello inadeguato di tutela è in grado di dispiegare rispetto al tasso di adoption di questi strumenti e alla conseguente crescita del settore. E veniamo proprio al tema dei presidi, forse l’unico o perlomeno uno dei pochi con riferimento al quale è dato rinvenire una reale vicinanza tra il modello europeo e quello statunitense. Anche il FIT21, infatti, come già il MiCA, si affida molto (secondo un’opinione, pure troppo) allo strumento dell’informazione, qui giustamente riferito anche agli aspetti di natura prettamente tecnica (come il protocollo di consenso della rete DLT) [34], posto che, come ci insegna l’esperienza (a cominciare dal caso The DAO per arrivare ai più recenti episodi di rug pull), anche questi possono avere un impatto determinante sulla sorte del token, sia come bene che come valore [35]. Bisogna tuttavia considerare che se – come pare – solamente una parte degli investitori può vantare la capacità di leggere i dati economici (da cui la nota diatriba in merito all’utilità dello strumento del prospetto), è [...]