Il lavoro valorizza le norme del regolamento MiCA per ricostruire una nozione di finanziarietà diversa da quella accolta nel pensiero tradizionale, e ad un tempo idonea a giustificare l’estraneità dei token disciplinati dal MiCAR alla categoria degli strumenti finanziari disciplinati dal sistema MiFID / Pilot. Il lavoro sostiene che la funzione monetaria o utilitaria dei token MiCAR ne rende irrilevante la negoziabilità su mercati secondari. L’interesse a speculare sull’andamento delle quotazioni su questi mercati non può riflettere aspettative sul valore attuale di (inesistenti) rendimenti di natura finanziaria, e non vale perciò a connotare i token di caratteristiche di finanziarietà. In particolare i token emessi nell’ambito di initial coin offerings possono assumere carattere finanziario solo quando attribuiscono diritti di remunerazione in moneta legale. Al di fuori di questa ipotesi (probabilmente non frequente) l’emissione dei token può causalmente giustificarsi per il perseguimento di una funzione (non finanziaria, ma) monetaria o di utilità. In questa prospettiva il lavoro riconduce la funzione monetaria dei token all’interesse a definire aree valutarie alternative a quella legale, attraverso l’elaborazione di regole di emissione della moneta meglio adeguate alle esigenze di particolari comunità di scambi. La funzione monetaria caratterizza così fra l’altro i bitcoin e i token emessi nell’ambito di operazioni di finanza decentralizzata, ivi comprese le DAO. Corrispondentemente, la negoziazione dei token su un mercato secondario è riconosciuta e legislativamente protetta per l’interesse monetario ad entrare e uscire da un’area valutaria e a partecipare ai relativi scambi.
The article argues that MiCAR rules force a new approach to the concept of financial instruments, explaining why MiCAR tokens stay outside the scope of the MiFID / Pilot system. The article suggests that the monetary or utility function of MiCAR tokens rules out any financial aspect, and that the tokens’ tradability on secondary markets is irrelevant from this perspective. The interest in capital gains on secondary markets has no financial significance in the absence of expectations regarding the value of (non-existent) legal tender cash flows. Tokens issued in the context of initial coin offerings may assume a financial character only to the extent they are rewarded in legal tender. Apart from this (probably infrequent) case, tokens find legal protection as they perform a monetary function or provide access to goods or services. According to this view, the article suggests that tokens develop rules for issuing and assigning money to create alternative currency areas that are more suitable for the financing and exchange needs of a trading community. A monetary function is namely typical of bitcoins and tokens issued in the context of decentralized finance, including DAOs. The trading of tokens on a secondary market is therefore legally protected due to the interest in entering and exiting a digital currency area and the related transactions.
1. Le molteplici tipologie di criptoattività e la necessità di ripensarne la natura finanziaria alla luce del MiCAR. - 2. Le caratteristiche fondamentali degli ART e della loro negoziazione sui mercati secondari. - 3. Le apparenti caratteristiche finanziarie degli ART e il problema dell’inapplicabilità della disciplina degli strumenti finanziari. - 4. Gli ART perseguono una funzione monetaria e definiscono una corrispondente area valutaria. - 5. Analogie e differenze fra le caratteristiche dell’area valutaria definita dagli ART e rispettivamente dalla moneta legale. - 6. Primi corollari: la funzione monetaria degli ART ne esclude la funzione finanziaria. - 7. I token diversi e il loro tradizionale accostamento agli strumenti finanziari di raccolta di capitale. Prima critica: il capitale raccolto non può offrire un rendimento finanziario rappresentato dall’attribuzione di utilità. - 8. Seconda critica: il rendimento finanziario non può essere rappresentato dall’attribuzione di nuovi token. - 9. Terza critica: il rendimento finanziario non può essere rappresentato dai corrispettivi ricavabili dalla negoziazione del token sul mercato secondario. - 10. I token diversi possono ben svolgere una funzione monetaria e definire attraverso le loro regole di emissione una corrispondente area valutaria. - 11. La natura finanziaria può essere riconosciuta limitatamente ai token: A) remunerati in moneta legale; B) che attribuiscono un diritto di assegnazione di strumenti finanziari remunerati in moneta legale; C) che attribuiscono un diritto di assegnazione di token convertibili in moneta legale (per chi ritenga questa tipologia di token compatibile con la disciplina di ART e EMT). - 12. Il (falso) problema dei token “ibridi”. - 13. La possibile natura finanziaria di token “derivati” (anche da sottostanti token monetari o di utilità) e la problematica individuazione di questa categoria, che giustifica l’elaborazione di orientamenti ESMA. - NOTE
La tecnologia a registro distribuito (Distributed Ledger Technology e per brevità DLT) è presa in considerazione dal legislatore per la sua capacità di «rappresentare digitalmente» un «valore o un diritto che può essere trasferito e memorizzato elettronicamente»: come si desume dalla correlata definizione di criptoattività dell’art. 3.1, n. 5, reg. 2023/114/UE (Markets in Crypto-Assets Regulation e per brevità MiCAR). I valori e diritti così digitalmente rappresentati si distinguono in differenti tipologie, disciplinate da norme corrispondentemente diverse. Ai fini del presente lavoro assumono in particolare rilievo: a) le norme sulla disciplina degli strumenti finanziari contenute nella direttiva 2014/65/UE (Markets in Financial Instruments Directive e per brevità MiFID), recentemente novellata per ricomprendere anche gli “strumenti finanziari emessi mediante tecnologia a registro distribuito” (art. 4.1, n. 15, MiFID); b) le norme del reg. 2022/858/UE (regime pilota per le infrastrutture di mercato su tecnologia a registro distribuito, per brevità Pilot) che entro certi limiti consentono la negoziazione degli strumenti finanziari mediante tecnologie a registro distribuito, riadattando a questo contesto la disciplina delle relative infrastrutture di mercato; c) le norme MiCAR che disciplinano l’offerta e la negoziazione di rappresentazioni digitali di valore (criptoattività) a loro volta ulteriormente classificate nelle tipologie dei token collegati ad attività (asset referenced tokens e per brevità ART, art. 3.1, n. 6, MiCAR), dei token di moneta elettronica (electronic money tokens e per brevità EMT, art. 3.1, n. 7, MiCAR) e delle criptoattività diverse dalle precedenti (artt. 4 ss. MiCAR). Secondo la visione del MiCAR le criptoattività diverse ricomprendono poi i token di utilità (utility token, art. 3,1, n. 8, MiCAR) ma non si esauriscono in essi (gli artt. 4 ss. MiCAR non sono specificamente riferiti soltanto ai token di utilità), rendendo ulteriormente problematica la ricostruzione della logica sottostante a questa classificazione. In via generale, è comunque subito evidente la volontà del legislatore di attribuire giuridicamente rilievo alla DLT non in quanto tale, ma per la sua capacità di rappresentare diritti e interessi diversificati, assoggettati a [...]
Le argomentazioni che intendo svolgere possono utilmente partire dalla disciplina degli ART. Gli ART sono una tipologia di criptoattività che «mira a mantenere un valore stabile facendo riferimento a un altro valore o diritto o a una combinazione dei due, comprese una o più valute ufficiali» (art. 3.1, n. 6, MiCAR). L’interesse a questa stabilità è perseguito dal legislatore attraverso una disciplina estremamente complessa, che tuttavia ai fini del presente lavoro può essere schematizzata ricostruendo alcuni princìpi di fondo. Un primo principio è rappresentato dalla previsione di un diritto al rimborso vantato dal titolare nei confronti dell’emittente dell’ART (art. 39 MiCAR). Il rimborso deve avvenire in fondi diversi dalla moneta elettronica, ed è quantificato in relazione al «valore di mercato delle attività collegate» (id est le attività rispetto a cui l’ART mira a mantenere un valore stabile): che costituisce quindi l’indice di riferimento dell’ART. Un secondo e correlato principio è costituito dall’obbligo dell’emittente di formare una riserva di attività almeno pari al valore delle possibili richieste di rimborso dei titolari del token. La riserva forma un patrimonio separato, e in caso di rischi di insolvenza (o in generale di inadempimento) può essere liquidata secondo un piano di rimborso previamente elaborato dall’emittente «per assicurare che i possessori di token collegati ad attività siano pagati tempestivamente con i proventi della vendita delle restanti attività di riserva» (art. 47.2, secondo comma, MiCAR). È comunque evidente che, anche al di fuori delle ipotesi patologiche di attivazione di un piano di rimborso, la riserva di attività è destinata ad essere fisiologicamente movimentata per ottenere la liquidità necessaria a soddisfare le richieste di conversione dei token in moneta legale; e ad un tempo per investire la moneta legale raccolta dai sottoscrittori dei token [4]. In questo contesto la corretta formazione e movimentazione della riserva rappresenta uno strumento di garanzia della stabilità del valore dell’ART. Certamente gli ART costituiscono criptoattività ammissibili a negoziazioni regolamentate (dagli artt. 59 ss. e specificamente dall’art. 76 MiCAR) cui fa espresso [...]
Le caratteristiche così sommariamente descritte della disciplina degli ART sembrerebbero a prima vista univocamente ricondurre la criptoattività alla categoria degli strumenti finanziari. Il profilo di finanziarietà più evidente è dato dall’assunzione di un rischio di rimborso correlato al valore dell’indice. Già questa caratteristica parrebbe consentire di inquadrare l’ART nella categoria dei “valori mobiliari” che comportano un «regolamento a pronti determinato con riferimento a valori mobiliari, valute, tassi di interesse o rendimenti, merci o altri indici o misure» (art. 4.1, n. 44, lett. c, MiFID). Il riferimento a «un altro valore o diritto» contenuto nella definizione degli ART sembra coincidere con quello agli «indici e misure» della MiFID: e perciò ad un “valore sottostante” che costituisce il minimo comune denominatore degli strumenti finanziari derivati [7]. L’ulteriore ampliamento della categoria degli strumenti finanziari operato dall’elencazione dei contratti derivati dell’allegato I, sez. C, nn. 4-10, MiFID parrebbe rafforzare questa conclusione, peraltro forse ad abundantiam [8]. Sono inoltre presenti negli ART ulteriori caratteristiche che la dottrina ha valorizzato nella ricostruzione degli indici di finanziarietà: quali l’esistenza di una relazione intersoggettiva (costituita nella specie dall’obbligo di rimborso dell’emittente) e non di mera appartenenza del token (appartenenza che secondo alcuni caratterizzerebbe i token di moneta rispetto a quelli finanziari) [9]; così come fisiologicamente contemplata è la negoziabilità del token in apposite sedi [10]. Ad un tempo univoca è tuttavia la volontà del legislatore di assoggettare sempre e comunque gli ART alla disciplina MiCAR, reciprocamente sottraendoli alla categoria degli strumenti finanziari. Questa volontà deve dunque trovare una giustificazione sistematica, da ricercare a mio avviso nella funzione monetaria degli ART, che li attrae nella categoria degli «strumenti di pagamento» [11], e reciprocamente li esclude dalla categoria dei «valori mobiliari», secondo quanto espressamente prevede l’art. 4.1, n. 44, MiFID.
La funzione monetaria degli ART va ora ulteriormente approfondita. In via generale, da un punto di vista economico sociale, assolvono una funzione monetaria i titoli rappresentativi di unità di misura di valore [12] accettati come mezzo di scambio sulla base della fiducia riposta in una corrispondente accettazione da parte dei membri di una comunità [13]. L’accettazione su base fiduciaria presupposta dalla funzione della moneta deve in particolare prescindere dall’intrinseco valore d’uso (di consumo o produttivo) del supporto (metallico, cartaceo, contabile, informatico) che la incorpora [14]. La comunità disposta ad accettare una determinata moneta può essere, in termini più moderni e aderenti al linguaggio degli economisti, qualificata come “area monetaria” o “area valutaria” [15]. Il successo economico di un’area monetaria dipende essenzialmente dalla sua capacità di realizzare effetti di rete: e perciò di attrarre una comunità sufficientemente ampia da potere soddisfare attraverso l’uso di una moneta unica le proprie esigenze di scambio e finanziamento. Questa attrattività dipende a sua volta dalla capacità dell’area valutaria di dare una soddisfacente soluzione a due fondamentali problemi: e precisamente da un lato il problema di determinare la quantità di moneta da immettere in circolazione; dall’altro il problema di decidere a chi destinare la moneta al momento della sua emissione. Nei momenti (logicamente e temporalmente) successivi a questa emissione, il problema della distribuzione della moneta può infatti essere risolto dal libero gioco degli scambi sul mercato. La determinazione dei primi destinatari di titoli rappresentativi di valore monetario richiede invece una scelta “politica”, che la comunità deve operare in relazione ai propri interessi di scambio e finanziamento. La funzione monetaria assolta sul piano socioeconomico da titoli rappresentativi di unità di misura di valore assume rilievo giuridico se ed in quanto giudicata meritevole di protezione e perciò riconosciuta dal legislatore [16]. Alla luce delle precedenti considerazioni, mi sembra che questo giudizio dipenda essenzialmente dai criteri elaborati dall’area valutaria per determinare i destinatari e la quantità di moneta da emettere. Il legislatore riconosce [...]
L’emissione di ART determina la nascita di un’area monetaria definita dall’iniziativa privata, in risposta alla “subottimalità” delle aree monetarie legali rispetto agli interessi di scambio dei membri di una comunità d’affari. In particolare mi sembra che l’interesse degli stati a definire aree valutarie “ottimali” per i propri obiettivi di politica economica possa non coincidere con esigenze di scambio private, e che in queste ipotesi i privati ben possano avere un diverso interesse a formare aree valutarie alternative funzionali a queste loro esigenze [33]. L’esempio più semplice di questa situazione ricorre quando i membri di una comunità di scambio risiedono in diversi stati e perciò operano in diverse aree valutarie legali. Qui fisiologicamente è immaginabile che ciascun membro della comunità sia interessato a scambiare nella valuta del proprio paese di appartenenza, peraltro non coincidente con quello di altri membri della comunità. L’inesistenza di un’area valutaria legale ottimale rispetto agli interessi di tutti i membri della comunità può dunque spingere alla formazione di un’area valutaria privata, che contemperi le diverse esigenze dei partecipanti: ad esempio, e tipicamente, attraverso la definizione di una valuta “paniere” dei valori delle diverse monete statali. Proprio questa ipotesi è infatti contemplata dalla disciplina degli ART, che espressamente menziona la possibilità di mantenere il valore del token stabile rispetto a «più valute ufficiali» [34]. Così pure è pensabile che i membri della comunità siano interessati ad investire in determinati settori finanziari o merceologici, e perciò ad ancorare le loro transazioni all’andamento di questi valori: e anche questo interesse può essere perseguito attraverso la definizione di un ART stabile rispetto a indici comunque definiti. La subottimalità di un’area valutaria può derivare tuttavia anche da ragioni più sofisticate, e ad esempio dall’interesse a scambiare monete su piattaforme DLT e a regolarvi i relativi pagamenti. Questo interesse può ricorrere anche quando il valore del token sia stabilizzato rispetto ad una sola valuta ufficiale, ed assuma le caratteristiche di EMT [35]: qui in [...]
Le precedenti considerazioni consentono sotto diversi profili di trarre ora alcuni primi corollari utili per la ricostruzione della categoria dei cc.dd. token diversi. Sotto un primo profilo, le norme su emissione e rimborso degli ART possono ben essere lette come norme che impongono la formazione di un’area valutaria caratterizzata da un’offerta di moneta “endogena”: in quanto adeguata alle dimensioni della relativa domanda. Questa domanda a sua volta riflette l’interesse alla partecipazione agli scambi sull’area valutaria: interesse suscettibile di esprimersi non solo al momento della richiesta di sottoscrizione o rimborso dei token, ma più in generale anche in sede di contrattazione sul mercato secondario. Le negoziazioni sul mercato secondario, infatti, se da un lato non determinano ampliamenti o contrazioni dell’area valutaria, dall’altro comportano una modificazione dei soggetti che vi partecipano, e dunque riflettono pur sempre l’interesse ad entrare e rispettivamente uscire da quest’area. In questo contesto, il MiCAR esclude gli ART dalla categoria degli strumenti finanziari: e con ciò dimostra di volere prendere in considerazione la funzione e gli interessi puramente monetari, non finanziari, sottostanti alle operazioni di emissione, rimborso e negoziazione. Certo è ben possibile, e forse addirittura fisiologico, che nell’intenzione soggettiva di uno od altro contraente (o di entrambi) queste operazioni avvengano per finalità essenzialmente speculative collegate all’andamento dell’indice sottostante, e non per finalità di utilizzazione dell’ART come moneta di scambio in un’area valutaria. Indubbiamente di fatto in questo caso l’interesse soggettivamente perseguito può assumere caratteri di finanziarietà sostanzialmente corrispondenti a quelli propri della negoziazione di strumenti derivati. La volontà del legislatore di escludere il carattere finanziario degli ART riflette tuttavia l’irrilevanza di questo interesse sul piano giuridico. Così come il trading su valute legali di differenti paesi non ha ad oggetto strumenti finanziari, quand’anche sottenda valutazioni speculative sull’andamento dei corsi, analogamente estranee alla disciplina degli strumenti finanziari sono le operazioni sugli ART che pure sottendano valutazioni speculative sull’andamento del [...]
lla luce delle precedenti considerazioni, occorre ora affrontare il problema della finanziarietà dei token diversi (dagli ART ed EMT). È innegabile che le giustificazioni addotte per argomentare la causa monetaria degli ART non possono essere trasposte de plano ai token diversi. Qui già si è visto che le somme raccolte attraverso l’emissione di ART devono essere necessariamente destinate a riserva per tutelare le aspettative di rimborso dei relativi titolari. Gli ART non possono quindi costituire tecniche di raccolta di capitali, o più precisamente non consentono di raccogliere capitali destinati a finanziare i progetti imprenditoriali dell’emittente [49]. All’opposto, l’emissione di token diversi è fisiologicamente funzionale a raccogliere capitali da investire in un progetto imprenditoriale e a sollecitare il risparmio degli investitori: tipicamente per finanziare la realizzazione della piattaforma su cui la criptoattività è destinata a circolare. Di qui la diffusa utilizzazione dell’espressione initial coin offerings, e del corrispondente acronimo ICO, per descrivere il fenomeno sulla falsariga delle tecniche di raccolta di capitali attraverso initial public offerings (IPO) [50]. In realtà l’istituzione di questo parallelismo rischia di disorientare già sul piano terminologico. Parlare di “coin offerings” significa letteralmente fare riferimento a un fenomeno monetario, non finanziario; mentre all’opposto il parallelismo con le IPO sembra rinviare al fenomeno tipicamente finanziario dell’appello al pubblico risparmio. Questa ambiguità sembra in effetti voluta dalle impostazioni tradizionali, per le quali le ICO non potrebbero essere ricostruite unitariamente, ma presenterebbero caratteristiche talvolta monetarie, talvolta finanziarie, talvolta ancora diverse, con possibili contaminazioni e sovrapposizioni reciproche. Di qui la frequente categorizzazione dei token in security (o investment) tokens, caratterizzati da una causa finanziaria; currency tokens, caratterizzati da una causa monetaria; utility tokens, caratterizzati da una causa meno sicuramente riconducibile a quella finanziaria, ma comunque diversa da quella monetaria [51]. Di qui inoltre la possibilità che queste diverse cause possano talora sovrapporsi, dando luogo alla figura dei cc.dd. token “ibridi” [52]. Le [...]
Un diverso possibile profilo di rendimento del capitale investito nei token, pretesamente caratterizzante la loro finanziarietà, è stato individuato nelle prospettive di remunerazione monetaria che essi frequentemente offrono, spesso correlate al successo della piattaforma. Qui, tuttavia, occorre distinguere l’eventualità che l’emittente prometta una remunerazione in moneta legale, da quella fisiologica e più frequente di remunerazione in forma di attribuzione di altri token (siano essi omogenei a quelli originariamente sottoscritti o assumano diverse caratteristiche tecnologiche) [59]. Il presente paragrafo si concentra precisamente su questa seconda eventualità; mentre la remunerazione in moneta legale verrà presa in considerazione separatamente al seguente paragrafo 11. L’idea che la remunerazione in forma di attribuzione di nuovi token costituisca un rendimento del capitale investito [60], sostanzialmente omogeneo al rendimento in moneta legale, presenta anzitutto un profilo di contraddittorietà. L’equivalenza del rendimento in token e in moneta legale assume infatti a ben vedere una equivalenza giuridico-funzionale delle due remunerazioni: e precisamente assume che la remunerazione in token abbia caratteristiche monetarie corrispondenti a quelle della remunerazione in moneta legale. Se tuttavia i token emessi a titolo di remunerazione sono moneta, occorre spiegare perché invece non lo siano i token originariamente sottoscritti e così remunerati [61]: e in particolare occorre dimostrare che l’emissione dei token può assumere una causa finanziaria quando avviene a fronte di apporti di capitale, e una causa monetaria quando avviene a titolo di remunerazione di questi apporti. In effetti l’idea di una possibile coesistenza di differenti cause giustificative di emissione del token è diffusa: ed appare spesso correlata ai vari momenti temporali di circolazione della criptoattività. È stata cioè prospettata la tesi che in un momento iniziale (fase 1) la sottoscrizione del token abbia una causa di finanziamento della piattaforma, e si esponga al rischio tecnologico di mancata realizzazione o malfunzionamento dell’infrastruttura finanziata. Solo successivamente al completamento di questa infrastruttura (fase 2) i token da essa supportati potrebbero acquisire una funzione monetaria o di utilità, [...]
Le ricostruzioni precedentemente criticate riflettono probabilmente una concezione più generale, che pone al centro del fenomeno finanziario la predisposizione di meccanismi di negoziazione dei relativi strumenti sui mercati secondari [63]. In questa prospettiva la possibilità di negoziare lo strumento finanziario, ed ora anche il token, in apposite sedi di contrattazione consente di monetizzarne il valore di mercato. La monetizzazione del valore del token per effetto della negoziazione in apposite sedi (siano esse organizzate sulla stessa piattaforma dell’emittente o su piattaforme interoperabili di terzi) costituirebbe quindi una forma di rendimento assoggettato al rischio, tipicamente finanziario, di andamento delle quotazioni. Questa ipotesi di ricostruzione è tuttavia a mio avviso da respingere anzitutto sulla base di considerazioni di carattere generale, che nel MiCAR trovano puntuale conferma. Il prezzo di uno strumento finanziario conseguibile sul mercato secondario deve razionalmente stimare la capitalizzazione dei flussi di cassa attesi, ponderata per il relativo rischio [64]. Anche la negoziazione di strumenti finanziari derivati dovrebbe pur sempre capitalizzare il valore di esposizione al rischio di (mancata) produzione di flussi reddituali dovuti a esterne vicende economiche sottostanti [65]. Nulla autorizza ad estendere il concetto di rendimento finanziario alle ipotesi in cui l’asset tokenizzato non produce flussi reddituali, e ad un tempo il token non fa riferimento ad alcun “sottostante” caratterizzato da profili di rischio relativo a questi flussi [66]. Non varrebbe qui in particolare estendere il concetto di “sottostante” al punto da ricomprendervi il valore del “bene o servizio” incorporato in un token di utilità. Così, ad esempio, la negoziazione del token che attribuisce un diritto di parcheggio (in un’area realizzata attraverso gli investimenti finanziati dai sottoscrittori) è negoziazione del valore del diritto di parcheggio, non è un derivato di un “sottostante” esterno costituito dal diritto di parcheggio [67]. Il diritto di parcheggio non esiste e non può essere oggetto di contrattazione al di fuori del token [68], non offre prospettive reddituali autonome e non può essere considerato un sottostante esterno. Considerazioni analoghe valgono a fortiori per i token di [...]
Le precedenti considerazioni critiche portano dunque a ripensare la tradizionale categorizzazione: per concludere che i token non possono mai assumere una funzione finanziaria in assenza di un rendimento dovuto dall’emittente; e che questo rendimento non può comunque essere rappresentato né da utilità di accesso a beni o servizi, né dall’assegnazione di nuovi token, né dal loro prezzo di vendita sui mercati secondari [76]. In assenza di un rendimento, l’assegnazione di token diversi può trovare una causa giustificatrice giuridicamente rilevante solo in interessi non finanziari ad ottenere «l’accesso a un bene o a un servizio prestato dal suo emittente», o a partecipare a un’area valutaria. La possibilità di ricondurre anche i token diversi ad una funzione monetaria di partecipazione a un’area valutaria è stata già in realtà perspicuamente evidenziata da chi ha paragonato il funzionamento della piattaforma di circolazione dei token ad un sistema monetario [77]. Una parte del pensiero dottrinale ha poi ulteriormente sostenuto che la predisposizione di questo sistema può ben essere considerata come prestazione di utilità di accesso ad un servizio; e ha concluso che un servizio del genere assume valenza finanziaria, con conseguente irragionevolezza della distinzione fra token di utilità e token finanziari [78]. Questa opinione risale tuttavia ad un momento storico anteriore all’approvazione del MiCAR. L’attuale disciplina a mio avviso dimostra invece univocamente la volontà di sottrarre dall’ambito finanziario tanto la funzione utilitaria, quanto quella monetaria dei token. Pienamente condivisibile rimane tuttavia la riconduzione della piattaforma di scambio di token ad un sistema monetario [79]. Ed in realtà a ben vedere tutte le diverse possibili caratteristiche di emissione e negoziazione dei token sono tranquillamente riconducibili ai meccanismi di funzionamento di una corrispondente area valutaria [80]. Così anzitutto in via generale la sottoscrizione di token sottintende l’interesse ad utilizzare la criptoattività (se non come titolo per la prestazione di beni e servizi nei rapporti con l’emittente, almeno) come mezzo di scambio nel sistema di rapporti e negoziazioni all’interno della piattaforma: secondo la funzione propria di [...]
Le precedenti considerazioni portano dunque a restringere la categoria dei token finanziari alle ipotesi in cui essi prevedono: a) un rendimento dovuto dall’emittente e regolato in moneta legale [89]; b) un rendimento costituito dall’attribuzione di strumenti finanziari remunerati in moneta legale, secondo criteri predeterminati ex ante; e forse anche c) un rendimento in token che l’emittente si obbliga a convertire in moneta legale, secondo un rapporto di cambio predeterminato ex ante. A. L’ipotesi di token remunerati in moneta legale è quella strutturalmente più semplice, e sostanzialmente coincide con il fenomeno della tokenizzazione degli strumenti finanziari emessi conformemente alle regole generali del diritto societario. Il presente lavoro evidentemente non affronta il problema dei limiti di ammissibilità di questa tokenizzazione, che può presentare profili delicati, ad esempio per quanto riguarda (almeno nel nostro sistema) la tokenizzazione delle quote e degli strumenti finanziari delle s.r.l. Le considerazioni qui svolte si limitano a constatare il carattere finanziario degli strumenti tokenizzati di finanziamento di società in quanto ammissibili e in quanto remunerati in moneta legale. L’interesse alla remunerazione in moneta legale per definizione di ipotesi non attiene alla partecipazione ad un’area valutaria alternativa; ed è un interesse che le regole di funzionamento dell’area monetaria legale proteggono secondo la disciplina degli strumenti finanziari. Corrispondentemente, le possibilità di remunerazione consentite dalla vendita del token sul mercato secondario riflettono il valore atteso dei flussi di cassa dei rendimenti in moneta legale, non il valore monetario di scambio del token con beni e servizi all’interno della relativa area valutaria. Nella situazione qui considerata non rileva che la remunerazione regolata in moneta legale sia dovuta in misura fissa e indipendente dal successo economico dell’iniziativa (secondo uno schema analogo a quello della promessa di un tasso di interesse); oppure sia parametrata ad indici relativi al successo economico della piattaforma. D’altro canto non è essenziale che l’emittente si obblighi a restituire in moneta legale il capitale apportato a fronte dell’emissione del token, secondo uno schema sostanzialmente corrispondente (almeno nell’ipotesi [...]
Le considerazioni svolte portano a ridimensionare fortemente il problema della natura finanziaria dei cc.dd. “token ibridi”, che sembrano perseguire una pluralità di funzioni. Al riguardo è utile distinguere differenti possibili tipologie di ibridazione. A. Una prima forma di ibridazione è stata immaginata quando il token è emesso per finanziare la costruzione di una piattaforma (fase 1) e solo successivamente a questa costruzione (fase 2) può assumere una funzione monetaria di scambio o utilitaria di accesso a beni o servizi sull’infrastruttura tecnologica. Qui è stato allora ipotizzato un possibile mutamento di funzione: originariamente di tipo finanziario, da assoggettare alle regole MiFID/Pilot, e successivamente di tipo monetario o di utilità, da assoggettare alle regole MiCAR[93]. Già si è visto tuttavia che questa ricostruzione non convince, e che in realtà la funzione del token deve essere ricostruita in chiave unitaria in tutte le sue fasi, tenendo conto dell’interesse finale perseguito dal sottoscrittore. Questo interesse fin dall’inizio è rivolto all’accesso ad un’area monetaria o al conseguimento di utilità di piattaforma, così escludendo profili di finanziarietà. B. Una seconda forma di ibridazione è stata immaginata nell’eventualità che il token, successivamente all’emissione, venga ammesso ad una piattaforma di negoziazione. In questa prospettiva la negoziazione del token varrebbe a caratterizzarlo per una causa finanziaria, che si sovrapporrebbe alla funzione originaria (di utilità o monetaria) sottostante all’emissione[94]. Anche a questo proposito tuttavia già si è visto che la destinazione a una sede di negoziazione è elemento “neutro” rispetto alla finanziarietà, e non vale dunque a ipotizzare una ibridazione del token che combini funzioni monetarie o di utilità a una funzione propriamente finanziaria. C. Una terza forma di ibridazione è stata immaginata quando il token combina funzioni monetarie o finanziarie a funzioni di utilità. Qui tuttavia già si è visto che la funzione finanziaria presuppone una prospettiva di rendimento (diretta o indiretta, ad esempio attraverso l’assegnazione di strumenti finanziari) in moneta legale. Ove questa prospettiva non vi sia, è [...]
Le considerazioni precedentemente svolte portano dunque in conclusione a ricostruire la natura finanziaria dei token sulla base di un parametro tendenzialmente rigido (rule), costituito da prospettive di rendimento in moneta legale, anche eventualmente per effetto dall’assegnazione di strumenti finanziari a loro volta remunerati in moneta legale. Reciprocamente le medesime considerazioni portano a respingere la diffusa opinione secondo cui la finanziarietà del token dovrebbe essere accertata caso per caso in base alle possibilità di negoziazione su un mercato secondario e di realizzazione di plusvalenze di trading [100]. La soluzione qui suggerita presenta in effetti profili di “tensione” con l’art. 5.2 MiCAR, che attribuisce all’ESMA il potere di elaborare «orientamenti […] sulle condizioni e sui criteri per la qualificazione delle cripto-attività come strumenti finanziari». Quest’ultima norma sembra infatti attribuire all’ESMA un certo spazio di discrezionalità amministrativa di riconoscimento della natura finanziaria dei token, secondo una valutazione caso per caso. Il dato ricavabile dall’art. 5.2 MiCAR non mi pare comunque decisivo. Anzitutto l’esercizio di un potere amministrativo deve comunque rispettare la gerarchia delle fonti e non può dunque contraddire criteri rigidi di esclusione della natura finanziaria elaborati sulla base di un’interpretazione sistematica delle norme primarie. D’altro canto le precedenti considerazioni hanno volutamente omesso di trattare un problema che non può essere risolto attraverso una concettualizzazione altrettanto rigida, e che in effetti può richiedere una valutazione caso per caso del funzionamento delle sedi di negoziazione. Mi riferisco precisamente all’eventualità che i token possano essere strutturati per incorporare diritti parametrati all’andamento economico di un “sottostante”: e con ciò assumere le caratteristiche di strumenti finanziari derivati. Al riguardo, già si è visto che il token non può assumere natura derivata sulla base del riferimento ad un preteso “sottostante” costituito dalle utilità promesse dall’emittente o dalle possibilità di scambio offerte dalla piattaforma. Utilità e possibilità di scambio non sono un “sottostante” [...]