Le comunità energetiche rinnovabili (CER) sono state introdotte dalla direttiva n. 2001/2018 dell’UE, recepita in Italia con il d.lgs. n. 199/2021. Dopo un’illustrazione per cenni del loro funzionamento, il lavoro si focalizza sui profili più rilevanti per il diritto commerciale: (i) oggetto, (ii) scopo, (iii) requisiti per partecipazione e controllo, (iv) diritti dei membri. Si argomenta che il modello ideale per le CER (una mera qualifica e non un nuovo tipo di ente collettivo) siano le società cooperative e, secondariamente, le associazioni; al contrario, non pare ammissibile il ricorso a società lucrative. Per verificare la corrispondenza o meno di quanto emerso dall’analisi normativa con la prassi, si esaminano gli statuti delle prime CER costituite in Italia (inclusa una breve parentesi sui loro “antenati”, i.e. le cooperative elettriche storiche). Infine, rispondendo alla domanda di fondo, si conclude che le CER costituiscono una possibile “officina” per il diritto commerciale. Ciò al fine di affrontare le sfide legate alla sostenibilità: in tema, ad esempio, di bilanciamento tra multipli scopi (economici, ambientali, sociali) e di multi-stakeholders corporate governance.
Renewable energy communities (RECs) were introduced by directive no. 2001/2018 of the EU, implemented in Italy by means of legislative decree no. 199/2021. After a brief illustration of their functioning, the paper focuses on the most significant aspects for business law: (i) object, (ii) purpose, (iii) requirements for membership and control, (iv) members’ rights. It argues that the ideal model for RECs (a mere label and not a new type of entity) are cooperatives and, secondarily, associations; on the contrary, the use of corporations seems not allowed. To the aim of verifying whether or not such regulatory analysis is consistent with practice, the paper examines the by-laws of the first RECs established in Italy (including a brief analysis of their “ancestors”, i.e. the historical electric cooperatives). Finally, answering to the underlying broader question, the paper concludes that RECs represent a potential “laboratory” for business law, in order to address the challenges related to sustainability. For example, in terms of multiple purposes to be balanced (economic, environmental, social) and multi-stakeholders corporate governance.
1. Introduzione: obiettivo, indice e questioni giuridiche. - 2. Le comunità energetiche rinnovabili (CER): cenni su funzionamento e sussidi pubblici. - 3. Profili rilevanti (e problematici) per il diritto commerciale. - 4. Indagine empirica: gli statuti delle prime CER. - 5. Gli “antenati” delle CER: le cooperative elettriche storiche. - 6. Conclusioni: una possibile “officina” (non solo energetica, ma anche) giuridica. – Alle-gato: dati delle CER analizzate. - NOTE
Il presente lavoro ha ad oggetto le comunità energetiche rinnovabili (CER), introdotte per la prima volta nell’ordinamento dell’UE con la direttiva n. 2001/2018 (c.d. Renewable Energy Directive II, anche nota con l’acronimo RED II) [1]. Quest’ultima è stata inizialmente recepita in Italia, in via transitoria, dall’art. 42-bis del d.l. n. 162/2019 (c.d. Milleproroghe, come convertito in l. n. 8/2020). È poi intervenuto il d.lgs. n. 199/2021 col recepimento in via definitiva (di seguito, d.lgs. CER). L’obiettivo di fondo del presente lavoro è valutare se le CER possano offrire un contributo alle nuove sfide che il diritto commerciale si trova a fronteggiare con riferimento alla sostenibilità. A tal fine, esso è strutturato come segue. Nel secondo paragrafo si illustrano, in breve, il funzionamento delle CER ed i sussidi pubblici apprestati dal legislatore italiano. Queste premesse sono necessarie per inquadrare la fattispecie. Il terzo paragrafo, entrando nel nucleo della trattazione, verte sui profili di maggior interesse per il diritto commerciale [2]. Il punto di partenza è che le CER devono essere ex lege enti collettivi. Tuttavia, esse non rappresentano un nuovo tipo di ente collettivo, bensì una qualifica che si aggiunge a quello prescelto (società, associazione, fondazione, etc.). Nel silenzio normativo, la domanda a cui rispondere è se qualsiasi tipo di ente collettivo sia compatibile con le CER (tutti utilizzabili) o se ve ne siano alcuni incompatibili (dunque, non utilizzabili). Al termine dell’analisi, si argomenta che le società cooperative sembrino costituire lo strumento ideale per le CER [3]. Secondariamente, le associazioni offrono un’alternativa. Non pare invece ammissibile il ricorso a società lucrative. Nel quarto paragrafo si passa dall’analisi, de iure condito, della normativa alla prassi, ancora ridotta e magmatica data la recente introduzione. Si effettua pertanto un’indagine empirica, seppure con campione ridotto, esaminando gli statuti di alcune delle prime CER costituite in Italia (i cui dati sono riportati nell’allegato in fondo al presente lavoro). All’esito della verifica, si rileva che quasi l’unanimità delle CER è stata costituita come associazione, anziché come società cooperativa (ipotizzata supra come tipo ideale). [...]
La direttiva RED II promuove lo sviluppo dell’energia rinnovabile mediante la partecipazione attiva dei consumatori, che divengono così prosumers [5]. Tale partecipazione può esplicarsi in maniera individuale o aggregata. Il presente lavoro verte sulle forme aggregate, che possono dare origine a enti collettivi, omettendo l’analisi di iniziative individuali (come sarebbe, ad esempio, l’installazione di pannelli fotovoltaici sul tetto di un’abitazione, che resti però volta a soddisfare soltanto i consumi di quella famiglia). Tra le forme aggregate, si affrontano qui esclusivamente le CER [6]. In via di prima approssimazione, una CER può definirsi come un ente collettivo partecipato da più membri (una “comunità”), che produce energia attraverso impianti alimentati da fonti rinnovabili (“energetica rinnovabile”) [7]. Sorge naturale una domanda: perché si dovrebbe divenire membri di una CER, quali sono i vantaggi? Semplificando, tralasciando per adesso i benefici ambientali e sociali, dalla partecipazione in una CER si può ottenere un vantaggio economico: risparmiare sulle bollette energetiche [8]. Come anticipato, in Italia il recepimento della direttiva RED II è avvenuto in due fasi: transitoria nel 2019-2020, definitiva nel 2021. Nella fase transitoria, il legislatore italiano imponeva degli stretti requisiti alle CER, limitandone dimensioni degli impianti e loro copertura geografica [9]. Con normativa secondaria, anch’essa transitoria, si riconoscevano dei sussidi pubblici [10]. La ratio del recepimento transitorio era far partire subito i primi progetti “pilota” di CER in Italia [11]. L’incertezza normativa, sulle revisioni che sarebbero state apportate col recepimento definitivo, ha però reso vano lo sforzo. Infatti, molti “cantieri” di embrionali CER sono rimasti in attesa di conoscere requisiti e sussidi definitivi, cruciali rispettivamente per valutare come realizzare gli impianti e per saggiarne la fattibilità economica. In effetti, nella fase definitiva, il legislatore italiano ha poi introdotto delle novità, modificando sia requisiti che sussidi. In relazione ai requisiti, la riforma ha dato maggiore flessibilità, consentendo la costruzione di impianti più grandi e la copertura di aree più estese [12]. Le CER sono [...]
Finora, si sono affrontati i requisiti afferenti alle caratteristiche fisiche degli impianti. Sempre al fine dell’ottenimento dei sussidi, la normativa impone alle CER il rispetto di ulteriori requisiti, più rilevanti (e problematici) per il diritto commerciale. Innanzitutto, come già evidenziato, le CER devono essere ex lege un ente collettivo, con soggettività giuridica distinta rispetto ai loro membri [18]. Tuttavia, il legislatore europeo non indica quali tipi di ente collettivo siano ammissibili (e quali non). Anziché rincorrere un’armonizzazione massima, l’UE si limita a stabilire dei “paletti” minimi. Segue che, nel recepimento a livello nazionale, ciascuno Stato membro ha essenzialmente tre opzioni: (i) riprodurre i “paletti”, letteralmente o con qualche modifica nei margini di libertà concessi; (ii) identificare, secondo il proprio ordinamento, un elenco chiuso di tipi di ente collettivo ammissibili; oppure (iii) elaborare un nuovo tipo di ente collettivo ad hoc [19]. Il legislatore italiano, in entrambe le fasi (transitoria e definitiva), ha preferito la prima opzione. Pertanto, come anticipato, in Italia le CER sono una qualifica che si aggiunge al tipo di ente collettivo prescelto (e.g. società, associazione, fondazione). La domanda a cui rispondere è: il “ventaglio”, entro cui le CER possono scegliere, include tutti i tipi di ente collettivo oppure soltanto alcuni (essendovene altri incompatibili)? La risposta è inevitabilmente legata all’esame dei “paletti” imposti alle CER dal legislatore italiano, che ha riprodotto con alcune differenze quelli fissati dall’UE. Per facilitarne la trattazione, sebbene non siano espressamente così suddivisi nella normativa, questi “paletti” potrebbero raggrupparsi in quattro categorie, afferenti a: (i) oggetto sociale, (ii) scopo sociale, (iii) requisiti per divenire membri e per esercitare un potere di controllo, (iv) diritti dei membri. Si esamina ora nell’ordine ciascuna categoria (rispettivamente, sotto-parr. da 3.1 a 3.4 infra), traendo poi delle considerazioni complessive (sotto-par. 3.5 infra) [20]. 3.1. L’oggetto sociale. Ai sensi dell’art. 22, secondo comma, direttiva RED II, gli Stati membri devono assicurare che le CER «abbiano il diritto di (…) produrre, consumare, immagazzinare e vendere [...]
Non vi sono numeri ufficiali sul numero di CER ad oggi presenti in Italia. Secondo alcune stime, al 2022 le CER erano circa una ventina [67] o trentina [68]. Vi sono però dei dati precisi sulle CER (o configurazioni) accreditate al GSE per la ricezione dei sussidi pubblici (cfr. testo e nt. 16-17 supra). Secondo l’ultimo report del GSE, riportato nel grafico sotto, al giugno 2023 vi erano 35 CER accreditate. A fronte di questo numero ridotto, ora che è stata finalmente dissipata l’incertezza normativa (par. 2 supra), le CER in corso di progettazione e d’avvio sono invece centinaia. Grafico. – Fonte: Gse, Energia e clima in Italia: rapporto periodico (S1/2023), 60, reperibile in www.gse.it. L’andamento nel tempo delle CER accreditate è raffigurato in giallo. In blu, sono invece riportati i dati dei GAC accreditati (nt. 6 supra). Il numero maggiore di GAC rispetto alle CER potrebbe spiegarsi così: laddove tutti i consumatori si trovino nel medesimo edificio o condominio (condizione necessaria per un GAC), è più conveniente dare vita ad un GAC che ad una CER. Infatti, i sussidi pubblici per le due forme sono sostanzialmente equivalenti, mentre creare un GAC (in forza di un semplice contratto, non associativo) è ben più agevole di costituire una CER (come ente collettivo distinto); cfr. E. Giarmanà, (nt. 2), par. 4. Seguendo la ricostruzione della normativa, di cui al paragrafo precedente, le CER: (i) essendo imprenditori commerciali non piccoli, devono essere iscritte al registro delle imprese; possono svolgere anche attività non connesse all’energia (sotto-par. 3.1 supra); (ii) devono perseguire uno scopo mutualistico o altruistico, ma non lucrativo (sotto-par. 3.2 supra); (iii) possono essere partecipate da chiunque, ad eccezione di imprese energetiche e ESCo; non è certo se sia ammissibile la partecipazione, senza controllo, di grandi imprese (sotto-par. 3.3 supra); (iv) devono avere natura aperta, volontaria e democratica (nei sensi indicati al sotto-par. 3.4 supra); (v) sulla base di tali caratteristiche, il tipo ideale è la società cooperativa, secondariamente l’associazione, la fondazione “di partecipazione” o l’impresa sociale (sotto-par. 3.5 supra). Al fine di verificare quanto ipotizzato, si è effettuata un’indagine empirica, analizzando gli statuti di 15 CER (la ragione del [...]
Alcune cooperative, sorte tra fine 1800 e inizio 1900 per sfruttare le risorse idroelettriche dell’arco alpino, sopravvissero alla nazionalizzazione dell’energia elettrica (cfr. l. n. 1643/1962) [79]. In genere, tali cooperative avevano già costruito autonomamente le proprie reti di distribuzione, fornendo così elettricità in remote aree montane che altrimenti sarebbero rimaste isolate. La normativa ad esse applicabile (un regime di favore, volto a beneficiarle) è contenuta nel d.lgs. n. 79/1999, razionalizzato nel 2012 con la delibera n. 46 dell’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas. Quest’ultima ha distinto le predette cooperative elettriche (definite come “storiche”, in quanto pre-esistenti alla nazionalizzazione del 1962 e al d.lgs. n. 79/1999) da quelle nuove. Sulla base del più recente censimento, aggiornato nel 2020 con la delibera n. 233 di ARERA (che ha sostituito il precedente regolatore), le cooperative elettriche storiche sono 28 [80]. Queste cooperative si distinguono dalle CER per una pluralità di ragioni: al netto di altre differenze [81], si tratta di fattori temporali (gli impianti delle prime sono ben più risalenti rispetto a quelli delle seconde, che per legge devono essere tendenzialmente nuovi; nt. 12(i) supra), dimensionali (gli impianti delle prime possono superare 1 MW di potenza, che è invece la soglia massima prevista per gli impianti delle seconde; nt. 12(ii) supra) e geografici (l’area di operatività delle prime è slegata da quanto richiesto per le seconde; nt. 12(iii) supra, in relazione alle cabine primarie). Segue che le cooperative elettriche storiche non possono essere qualificate come CER. Inoltre, rientrando tra le imprese energetiche, esse non possono nemmeno divenire membri di CER. Ciò non toglie che, come le altre imprese energetiche, esse possano interagire contrattualmente con le CER (cfr. sotto-par. 3.3 supra) [82]. Nonostante quanto appena esposto, le cooperative elettriche storiche possono rappresentare una fonte d’ispirazione per le CER che intendano adottare la forma cooperativa. In proposito, sembra interessante soffermarsi sulla Società Elettrica Cooperativa Alto But (SECAB), in quanto è stato ricostruito il processo decisionale che condusse alla scelta della forma cooperativa [83]. Un processo dunque simile a quello in cui [...]
Le CER presentano eterogenei benefici, afferenti a tutti i pilastri della sostenibilità: economico, ambientale e sociale [86]. Purtroppo, attualmente, l’Italia ne ha approfittato solo in minima parte (cfr. grafico al par. 4 supra). Per accelerare la diffusione delle CER in Italia [87], serve un cambio di marcia. Una volta chiariti i punti incerti che frenavano i tanti progetti di CER (come l’entità dei sussidi pubblici; par. 2 supra), può adesso ipotizzarsi che tale cambio di marcia avvenga. Evidentemente, un ruolo cardine spetterà anche a giurisprudenza, dottrina e operatori, a cui competerà la risoluzione in via interpretativa o per prassi delle questioni che saranno inevitabilmente lasciate irrisolte dal legislatore (e dai regolatori: MASE e ARERA). Si potrà così raggiungere una distribuzione capillare, con le migliaia di CER previste nel 2027 [88], progredendo nella transizione energetica. Il presente lavoro cerca di offrire un contributo in questa direzione, sperando che possa avere una qualche, seppure ridotta, utilità sistematica (per giurisprudenza e dottrina) e pratica (per gli operatori). In questa sede, la prospettiva è limitata al diritto commerciale, di cui come esposto le CER toccano diversi temi: e.g. nozione di imprenditore e relativo “statuto”, oggetto e scopo sociale, potere di controllo, direzione e coordinamento, allocazione di diritti tra soci o membri. Non si affrontano qui altri temi, come quelli di diritto tributario [89], che possono altrettanto (e forse di più) incidere sulla scelta del “veicolo” giuridico da adottare. Del resto ogni fattispecie giuridica nuova, come le CER, tende a porre questioni trasversali [90]. Nei paragrafi precedenti, si è tentato di dimostrare che la forma ideale per le CER sia la società cooperativa. In via secondaria, può utilizzarsi la forma associativa o quella ibrida delle fondazioni “di partecipazione”. Non può invece adottarsi la forma di società lucrativa (salve le imprese sociali), in quanto il perseguimento di meri «profitti finanziari» confligge con la normativa sulle CER. Nella prassi, sembra che quasi tutte le CER siano associazioni. Tuttavia, con l’incremento delle soglie dimensionali e geografiche di cui alla normativa definitiva, si può ipotizzare che sempre più CER saranno [...]