Il contributo approfondisce il dovere di bilanciamento degli amministratori nel modello società benefit al fine di identificare dei canoni che possano orientarne l’esercizio. A tale scopo e attraverso una comparazione con l’esperienza statunitense, l’analisi muove dalle peculiarità che caratterizzano l’oggetto della società benefit per poi focalizzarsi sia sul rapporto dialettico tra scopo lucrativo e benefico, sia sulla delicata questione di quali società possano (o debbano, almeno intrinsecamente) qualificarsi come benefit. Gli esiti di tali approfondimenti consentono quindi di prospettare alcuni canoni, di tipo qualitativo e procedimentale, idonei ad orientare il dovere di bilanciamento degli amministratori. Tali canoni si fondano sulla necessaria inerenza dello scopo benefico all’attività sociale, sulla tendenziale priorità dello scopo lucrativo rispetto a quello benefico e sulle differenze tra “beneficio specifico” definito in statuto e “beneficio generico” verso i portatori di interesse previsto dalla legge. Se infatti il “beneficio specifico” si caratterizza in termini necessariamente “propositivi”, essendo una finalità verso cui l’attività lucrativa della società deve orientarsi, il “beneficio generico” è piuttosto concepibile in termini “difensivi”, cioè come una serie di interessi a cui tale attività dovrebbe arrecare il minor pregiudizio possibile.
The paper deepens the directors’ balancing obligation in the benefit corporation model to identify canons that may orient its exercise. For such purposes and through a comparison with the US experience, the analysis starts from the peculiarities characterizing the scope of the benefit corporation. Eventually, it focuses both on the dialectical relationship between profit-making and charitable purposes and on the thorny issue of which companies can (or should, at least intrinsically) qualify as benefit corporations. The outcomes of such analysis lead to identifying certain canons, both of qualitative and procedural nature, that could orient the directors’ balancing duty. Such canons are based on the necessarily inherent nature of the charitable purpose to the company’s course of business, on the general priority of the profit-making purpose over the charitable purpose and on the differences between the “specific benefit” set forth under the by-laws and the “generic benefit” towards the stakeholders provided under the law. Indeed, if the “specific benefit” is characterized by “proactive” features, being a purpose towards which the company’s profit-making activity should orient, the “generic benefit” is rather conceivable in “defensive” terms, so as a cluster of interests to which such activity should create as little harm as possible.
1. Premessa. - 2. La genesi del modello benefit in Italia e i suoi tratti essenziali. - 3. Scopo ed oggetto della società benefit. - 4. Il dovere di bilanciamento degli amministratori. - 5. «Assetti organizzativi adeguati», obblighi di reportistica e responsabile di funzioni (Cenni). - 6. Riflessioni Conclusive. - NOTE
Sin dal momento della sua introduzione con l. 28 dicembre 2015, n. 208 [1], il “modello” società benefit (di seguito anche “SB”) ha attirato grande attenzione da parte della dottrina, la quale si è concentrata sia sulla scarna disciplina prevista dall’art. 1, commi 376-384, della citata legge, sia sui potenziali effetti di tale disciplina rispetto ai tradizionali modelli societari “for profit” [2]. Tale novella legislativa ha proposto un ulteriore tema di indagine all’ampia discussione relativa al corporate purpose [3] e all’efficacia delle politiche legislative volte a favorire un modello di sviluppo più sostenibile non tramite disposizioni di divieto (e.g. in materia ambientale) ma, quale incentivo indiretto per il conseguimento del medesimo fine, attraverso l’introduzione di specifichi obblighi di disclosure oppure con la predisposizione di modelli accessibili su base volontaria [4]. A sostegno di tali politiche militano anche argomentazioni di natura economica per cui – sebbene il punto non sia pacifico – un modello di business maggiormente sostenibile avrebbe effetti positivi tanto in termini di redditività, anche in ragione di un vantaggio da un punto di vista reputazionale [5], quanto in termini di solidità in situazioni economicamente avverse o di stress finanziario [6]. Tra queste coordinate generali si inserisce il modello SB, che dovrebbe costituire uno strumento per valorizzare anche gli interessi degli stakeholders secondo una cornice definita per legge. Alla base di tale valorizzazione si trova un duplice interesse di tipo “pubblico” o “generalizzato”, costituito sia dalla esigenza di tutela dei terzi sui quali l’attività di impresa può avere un impatto, sia dalla necessità di evitare che le imprese ingenerino ingannevolmente nel pubblico una percezione positiva del proprio operato sotto il profilo ambientale (c.d. greenwashing) e, più in generale, sul piano della sostenibilità. Chiarito l’interesse “pubblico” a base del modello, risulta però necessario chiedersi quale sia l’interesse “privato” dei soci che può condurre alla sua adozione. Oltre alle motivazioni di carattere etico, assumono qui certamente importanza le giustificazioni di carattere economico sopra descritte: così, i soci [...]
2.1. Le benefit corporations negli Stati Uniti: modelli a “beneficio generico” vs. modelli “a beneficio specifico”. Come noto, il legislatore italiano ha introdotto il modello SB prendendo spunto diretto dalle benefit corporations di matrice statunitense [10], previste dapprima nello stato del Maryland nel 2010 e attualmente disciplinate, secondo conformazioni diverse, da 41 stati e dal District of Columbia [11]. Negli Stati Uniti l’introduzione di tale modello è stata accolta come un tentativo di contemperamento della “shareholders’ whealth maximisation” [12], specialmente dopo il dibattito suscitato dalla sentenza eBay Domestic Holdings del 2010 dalla Court of Chancery dello stato del Delaware, che aveva dichiarato illegittima la condotta degli amministratori volta a subordinare gli interessi dei soci rispetto ad altri interessi [13]. Al di là di una comune ispirazione di fondo, tuttavia, nel contesto statunitense le differenze tra le varie legislazioni sono molto marcate, potendosi distinguere da un lato quelle legislazioni sostanzialmente basate sulla Model Benefit Corporation Legislation e quelle che, viceversa, si discostano radicalmente da essa (prima fra tutte, in termini di importanza, quella prevista dalla General Corporation Law dello stato del Delaware) [14]. La Model Benefit Corporation Legislation è frutto delle iniziative di B Lab, organizzazione no-profit attiva nella certificazione della sostenibilità delle attività imprenditoriali (Certified B Corporations) [15], che tramite l’ausilio di consulenti esterni ha predisposto la bozza di un testo normativo standard e l’ha successivamente proposta presso i legislatori dei vari stati perché potesse fungere da base legislativa in materia di benefit corporations [16]. Gli elementi sostanzialmente comuni delle leggi statali ispirate alla Model Benefit Corporation Legislation sono l’enunciazione del dovere di perseguire il “general public benefit”, definito quale impatto positivo (o riduzione di effetti negativi) sulla comunità e sull’ambiente intesi nella loro interezza [17], nonché l’evidenziazione dei risultati raggiunti in un report (da prepararsi nella maggior parte degli stati su base annuale) nel quale impiegare un “third-party standard”, ovvero uno standard di valutazione predisposto da [...]
3.1. Beneficio comune ed etero-destinazione degli utili. Elementi essenziali della società benefit sono quindi il perseguimento di finalità di beneficio comune (rectius: specifiche finalità di beneficio comune) e l’operare in modo responsabile, sostenibile e trasparente. Se nelle tradizionali società a scopo lucrativo produzione e divisione degli utili costituiscono lo scopo-fine della società verso cui è orientata l’attuazione dell’oggetto sociale, nel modello benefit coesistono due scopi-fine, ovvero la produzione e divisione degli utili, che è un qualcosa di sottratto alla disponibilità dei soci poiché discende imperativamente dalla scelta di un modello societario lucrativo, e il beneficio comune, la cui individuazione è, invece, rimessa nella disponibilità di questi [25]. Di fronte a tale duplicità di fini, bisogna anzitutto chiedersi se il beneficio comune possa essere perseguito anche solo tramite una etero-destinazione di utili a fini benefici (cioè si atteggi quale mero scopo-fine) oppure se, al contrario, tale beneficio debba necessariamente inerire all’attività della società (cioè debba caratterizzare lo scopo-mezzo della società). Al fine di rispondere a tale interrogativo, bisogna preliminarmente stabilire se la società benefit possa compiere o meno atti anti-economici tra i quali, in ipotesi, ricadrebbe una devoluzione di utili a fini benefici [26]. In termini generali (e ben prima della introduzione del modello SB), dottrina e giurisprudenza si sono interrogate sulla compatibilità tra attività di impresa e atti antieconomici, vuoi di natura gratuita o liberale [27], giungendo a riconosce la tendenziale ammissibilità di tali atti da parte dell’impresa, nella misura in cui gli stessi siano in posizione strumentale ai fattori produttivi, ai fini dell’efficientamento di questi ultimi (e.g. mensa gratuita per dipendenti), oppure siano collegati al ciclo produttivo per i quali l’impresa abbia comunque un interesse economico (e.g. donazioni a fini di beneficenza aventi come scopo il ritorno di immagine) [28]. Analogamente, era pacifica l’opinione anche prima della introduzione delle società benefit per cui anche le società con tradizionale scopo lucrativo potessero: (i) compiere attività diverse non [...]
Le considerazioni che precedono sugli elementi essenziali della società benefit sono propedeutiche all’interpretazione delle disposizioni della l. n. 208/2015 che disciplinano il dovere di bilanciamento degli amministratori [66]. In proposito, il comma 377 prevede che le finalità di beneficio comune: «sono perseguite mediante una gestione volta al bilanciamento con l’interesse dei soci e con l’interesse di coloro sui quali l’attività sociale possa avere un impatto», mentre il comma 380 prescrive che: «la società benefit è amministrata in modo da bilanciare l’interesse dei soci, il perseguimento delle finalità di beneficio comune e gli interessi delle categorie indicate nel comma 376, conformemente a quanto previsto dallo statuto». Tali disposizioni sono state già oggetto di vari studi che hanno sottolineato sia la maggior discrezionalità di cui godono gli amministratori nel modello benefit, sia l’importanza dello statuto nel limitarla o procedimentalizzarne l’esercizio [67]. In particolare, le questioni derivanti dall’ampliamento della discrezionalità si rivelano particolarmente complesse qualora il perseguimento delle finalità di beneficio comune confligga con lo scopo lucrativo e viceversa (c.d. “two masters problem” [68]), oppure nei casi in cui un’iniziativa possa produrre effetti positivi verso una determinata categorie di portatori di interessi come i lavoratori, ma abbia al contempo effetti potenzialmente negativi su un’altra categoria come l’ambiente. Poiché in tali circostanze l’esercizio del potere gestorio ha natura complessa per la molteplicità e potenziale conflittualità degli interessi che gli amministratori sono chiamati a considerare (fase cognitiva) e perseguire (fase deliberativa), è utile indagare se e quali criteri possano essere funzionali a orientare tale potere, specie nei casi in cui lo statuto nulla preveda a riguardo. Ricercare tali criteri, in ogni caso, non significa concentrarsi unicamente su possibili canoni di tipo “qualitativo” volti a fissare un ordine di priorità tra i vari interessi in gioco, ma vuol dire anche focalizzarsi su canoni di tipo procedimentale che, prevedendo l’analisi gradata dei distinti interessi in fase cognitiva, ne permettano una più agevole [...]
Il dovere di perseguire finalità di beneficio comune unito alla considerazione degli interessi degli stakeholders secondo quando esposto nel precedente paragrafo ha importanti ricadute anche sulla dimensione organizzativa e informativa del modello in esame. In particolare, la struttura organizzativa dovrà essere adattata sia alla luce delle specifiche disposizioni della l. n. 208/2015 sia, più in generale, alla luce dell’obbligo di istituire «un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni» dell’impresa, come previsto dal novellato articolo 2086 c.c. Poiché l’adeguatezza di tali assetti e, specialmente, di quello organizzativo, “si misurano” anche nella loro idoneità a consentire l’efficace perseguimento dell’oggetto sociale [95], emerge con evidenza la peculiarità che tali assetti devono assumere in un modello societario come quello in esame, dove convivono fine lucrativo e finalità di beneficio comune. Così, l’assetto amministrativo (inteso come insieme di processi e strumenti per controllare, in termini prospettici e consuntivi, i fenomeni aziendali), l’assetto organizzativo (ovvero la definizione dei processi, dei ruoli, delle mansioni, delle deleghe, delle funzioni aziendali, dello scambio di informazioni, e i relativi controlli), nonché l’assetto contabile (cioè l’insieme dei processi e degli strumenti per la rilevazione contabile dei fatti aziendali [96]) dovranno essere resi idonei per il perseguimento del beneficio comune e per il bilanciamento dei vari interessi [97] onde assicurare, inter alia: a) l’individuazione e la selezione delle migliori iniziative per il perseguimento del beneficio specifico, con ciò includendo anche un’analisi dei costi e dei benefici delle varie alternative; e b) la corretta e tempestiva identificazione degli stakeholders interessati dalle iniziative della società e degli effetti che l’azione della stessa produce o può produrre nei loro confronti. Venendo invece alle specifiche disposizioni della l. n. 208/2015, essa prevede che la società benefit: (i) individui il soggetto o i soggetti responsabili a cui affidare funzioni e compiti volti al perseguimento delle finalità di beneficio comune; e (ii) rediga annualmente una relazione da allegare al bilancio [...]
La ratio dell’introduzione della società benefit in Italia si compendia nella proposta per le società, specie di capitali, di volontaria adozione di un modello “adattivo” alle sfide ed ai rischi verso la auspicata meta dell’“economia sostenibile”. Lo sforzo di attivare e attuare uno scambio, quindi con un atto volontario, di mutuo vantaggio fra gli interessi della collettività o di parte di essa (beneficio generico e specifico) e l’obiettivo di massimizzare la funzione di utilità dei soci sollevano problemi di grande difficoltà, per la cui soluzione risulta indispensabile una lettura del modello in esame attenta ai diversi interessi che lo ispirano al fine di dotarlo di quanto necessario per un funzionamento non solo coerente alla dichiarata ratio legislativa, ma anche adeguato alla difficile mission ad esso affidata. Poiché la nozione di SB si “invera”, cioè si presenta come fenomeno genuino e produttivo degli effetti sperati solo attraverso la gestione dell’attività, il presente studio si è concentrato sul citato scambio di mutuo vantaggio, in altri termini il bilanciamento, che costituisce l’elemento discretivo della SB unitamente alla public disclosure dei risultati e dei mezzi impiegati per il loro raggiungimento, tentando di proporre alcuni canoni per orientare tale bilanciamento secondo un approccio interpretativo coerente con la business judgment rule. Tali canoni, identificati valorizzando le differenze tra modelli legislativi a beneficio generico e modelli a beneficio specifico, comprendono la facoltà di perseguire il beneficio specifico per meri fini di utilità sociale, l’affermazione di una tendenziale priorità dello scopo lucrativo e l’obbligo di perseguimento del beneficio specifico definito in statuto in termini “propositivi”, opposto alla natura “difensiva” che caratterizza le posizioni degli altri portatori di interesse. Tali canoni rischiano tuttavia di perdere di utilità di fronte alla possibile tendenza delle imprese – volutamente trascurata nel presente scritto – all’identificazione in statuto di finalità di beneficio comune del tutto indeterminate, assolutamente non verificabili o palesemente irrealizzabili, in netto contrasto con la previsione legislativa che richiede l’identificazione specifica delle [...]