L’articolo contiene una riflessione sul libro di Mario Libertini, Passato e presente del diritto commerciale, con particolare riferimento ad uno degli ambiti tematici privilegiati dall’A., e cioè i contratti d’impresa, rispetto ai quali si propone un’opera di rifondazione teorica. In particolare, vengono dibattuti i temi relativi all’impatto della giurisprudenza europea (specialmente in materia di consumatori) e nazionale, e quelli relativi alle tecniche di reazione dell’ordinamento rispetto al reticolato di prescrizioni che regolamenta l’attività d’impresa.
The article contains a review of Mario Libertini’s book, Past and present of commercial law, with particular reference to one of the thematic areas favored by the Author, namely commercial contracts, for which a work of theoretical re-foundation is proposed. In particular, the issues relating to the impact of European (especially about consumer law) and national jurisprudence are debated, as are those relating to the reaction techniques of the legal system with respect to the network of provisions that regulate business activity.
1. Premessa. - 2. La proposta interpretativa in materia di contratti d’impresa (e dei consumatori). - 3. Il flusso contraddittorio della giurisprudenza europea e di quella nazionale. - 4. Spunti per un controllo delle tendenze all’incremento della regolamentazione eteronoma dei contratti e della risposta sanzionatoria in sede civile. - 5. Conclusioni. - NOTE
Individuare in un breve intervento i profili più interessanti del volume che oggi presentiamo e provare a commentarli è disagevole per chiunque, a maggior ragione per chi – e penso di esprimere un pensiero comune a tutti i molti allievi di Mario Libertini – ha sempre avuto per il professore un senso di ammirazione che discende unicamente dalla profondità di pensiero del Maestro e dalla condivisione di fondo del metodo e delle scelte giuspolitiche di valore che vi stanno alla base [1], e che per questo motivo si rileva particolarmente forte e duraturo. La scelta di un profilo specifico del pensiero di L., sul quale soffermarsi in questa sede, non può che rivestire carattere arbitrario. Così è anche per la prima osservazione sovvenutami al termine della lettura del libro e cioè quella di una mancanza, che ho subito colmato rileggendo un saggio che rappresenta il presupposto di molte linee di pensiero sviluppate nei contributi raccolti nel volume, e cioè “Il vincolo del diritto positivo per il giurista” [2]. L’importanza di questo lavoro, che non poteva essere inserito nel volume per la scelta dell’Autore di includere unicamente scritti pubblicati dopo il 2005, è dimostrata dal fatto che esso continua a rappresentare un punto di riferimento nel dibattito contemporaneo sull’argomentazione giuridica [3]. I tratti portanti del metodo di L., sviluppati ed applicati nei più diversi ambiti del diritto commerciale, costituiscono infatti una felice attuazione di quel programma, che era stato già in parte delineato nei precedenti studi di diritto positivo su alcuni istituti del diritto commerciale [4], ma che in quell’articolo viene messo a punto sul piano della teoria generale del diritto. Ed anche se alcuni passaggi sono influenzati dalla necessità di confronto con alcune tendenze culturali oramai tramontate, come quella del c.d. “uso alternativo del diritto”, la pars costruens si rivela pienamente attuale, soprattutto nella misura in cui sviluppa ed attualizza con connotati originali il criterio ascarelliano della “continuità dell’interpretazione con i testi normativi” [5], da un lato in contrapposizione con il mito della fedeltà alla legge [6], ma dall’altro in critica anche alla tentazione di attrarre la funzione giurisprudenziale tra le fonti del [...]
Fatta questa premessa, proverei a virare sulla stretta attualità, caratterizzata dalla continua emersione di problemi interpretativi che toccano in modo diretto i nodi teorici affrontati nel volume, e in particolare quello del rapporto tra diritto commerciale e diritto civile, sia in relazione ai confini delle due materie (che L. ricostruisce nel segno della continuità e non della specialità), sia in relazione al ruolo che i due ambienti scientifici hanno rivestito negli ultimi decenni nella cultura giuridica italiana. E dovendo scegliere un terreno di confronto, uno degli ambiti che più direttamente tocca questi nodi è quello dei contratti d’impresa, in relazione ai quali si può sintetizzare come segue il pensiero dell’A. [9]. La premessa di fondo è che il c.d. metodo del diritto commerciale, inteso come attenzione alle particolarità economiche dei fenomeni disciplinati dal diritto (e pertanto alle conseguenze che derivano dalle possibili interpretazioni delle norme) [10] e come valorizzazione dei regimi speciali previsti dalle innovazioni legislative, dev’essere assunto come metodo generale nell’interpretazione dell’intero diritto privato. La disciplina generale del contratto di matrice codicistica è a sua volta inadatta a regolamentare compiutamente i contratti d’impresa [11], essendo fondata sul modello della contrattazione tra pari [12]. Compito dell’interprete dovrebbe essere allora quello di elaborare, partendo dalla miriade di discipline speciali presenti nell’ordinamento, una vera e propria pars costruens dei profili disciplinari dell’autonomia d’impresa [13], che possa essere utile a razionalizzare il sistema e guidare l’interpretazione [14], segnando un marcato distacco dai canoni codicistici [15]. In tal senso, si propone [16]: i) di ammettere un’ampia possibilità di interpretazione differenziata dei testi normativi e di applicazione analogica delle norme previste dalle discipline di settore; ii) di avallare il depotenziamento del formalismo contrattuale a favore dei doveri precontrattuali e di informazione; iii) di consentire facilmente la possibilità di una determinazione della prestazione per relationem; iv) di affermare la tendenziale rilevanza dei rapporti di fatto; v) di sostenere la necessità di un pregnante [...]
Una prospettiva di serio confronto con questo programma scientifico richiede un’opera di raccordo con il diritto vivente in materia di contratti d’impresa, che presenta oggi matrice fortemente giurisprudenziale e risulta caratterizzato da numerosi punti di frizione rispetto ad alcuni aspetti del quadro teorico sopra delineato [23], tanto da rendere plausibili anche diverse prospettive, che potrebbero definirsi di scetticismo razionale, intese a negare la possibilità di costruire categorie unificanti, capaci di leggere una realtà variegata e frammentaria [24]. L’impressione, infatti, è che si affaccino in modo incessante nuove questioni che impingono direttamente con i profili teorici indicati da L., e che non possono essere affrontate compiutamente senza confrontarsi con essi, ma al contempo che l’eterogeneità delle soluzioni giurisprudenziali dimostri una particolare forza delle spinte centripete rispetto alla desiderata prospettiva di unificazione del sistema. Il panorama giurisprudenziale è a sua volta complicato dal fenomeno del frequente interessamento da parte della Corte di Giustizia rispetto a profili interpretativi della normativa europea in materia di contratti con i consumatori, che si muovono a stretto contatto con istituti ed ambiti tradizionalmente riservati al diritto interno, entrando talora in collisione con categorie consolidate. A titolo esemplificativo, volendosi limitare ad alcune questioni emerse solamente nell’ultimo anno, basi pensare innanzitutto alla diversa prospettiva che la Corte di Giustizia e le Sezioni Unite della Cassazione hanno adottato rispetto al tema dei doveri degli intermediari finanziari in materia di concessione del credito. La sentenza delle S.U. in materia di mutuo fondiario eccedente [25] aveva infatti ribadito da un lato la classica distinzione tra regole di condotta (cui apparterrebbe la previsione di cui all’art. 38, secondo comma, t.u.b.) e regole di contenuto del contratto, e dall’altro una concezione tradizionale della nullità virtuale, limitata alle sole violazioni di norme a tutela di preminenti interessi generali e di valori fondamentali dell’ordinamento (e perciò imperative) [26], ed all’ulteriore condizione che la violazione sia apprezzabile testualmente ed oggettivamente, senza margini valutativi di natura economica. E ciò, di fronte ad una norma che, pur attenendo ad [...]
Il punto è allora come porsi complessivamente di fronte a questa evoluzione che, sia pure con alcune eccezioni, mostra una tendenza all’accentuazione della risposta sanzionatoria dell’ordinamento, a fronte di una contestuale tendenza all’aumento della regolazione eteronoma del contratto [46]. Tanto che, a livello di vertice, permane il dubbio se nell’attuale fase storica la via più adatta per orientare l’interpretazione sia quella di un rinnovamento della dogmatica del contratto o non quella (comunque inevitabile) di un’attenta ponderazione a largo raggio degli effetti delle soluzioni adottate [47] (non sempre adottata a livello giurisprudenziale) [48]. In questa sede, preme solamente formulare alcuni sintetici rilievi di sintesi e di contorno, in ottica di continuità rispetto alla proposta interpretativa di Mario Libertini. a) Il diritto dei contratti d’impresa è attualmente caratterizzato da un fermento giurisprudenziale, su questioni di rilevante carattere teorico, che non si rinviene in altri ambiti del diritto commerciale, nel senso che l’evoluzione dell’ordinamento è data in questo settore proprio dalle spinte che derivano dal contenzioso giudiziario, molto più di altri ambiti del diritto commerciale – come quello societario – in cui le linee portanti dell’evoluzione del sistema provengono da spinte di tipo diverso: da istanze organizzative della classe imprenditoriale (si pensi alla crisi del principio capitalistico dovuto alla espansione del voto plurimo[49]) a istanze politiche caratterizzate da una forte condivisione sociale (si pensi alla legislazione in materia ESG)[50]. Maggiore, pertanto, è il rischio che la disciplina venga ricostruita sulla base della patologia delle relazioni negoziali e non sulla loro fisiologia [51], a scapito delle esigenze di efficiente regolazione del mercato e delle attività d’impresa [52]. b) Nell’ambito dei contratti d’impresa è in effetti necessaria una riorganizzazione teorica ancora tutta da fondare, a partire dalla manualistica che risulta arretrata[53], essendo normalmente costruita sull’articolazione della disciplina dei contratti speciali (codicistici e non), che invece coglie oramai una parte limitata della complessiva regolazione dei contratti d’impresa. c) Il diritto dei consumi – originariamente avviato [...]
Un’ultima battuta. Nel saggio del 2020 di commento a tre recenti libri sulla storia del diritto commerciale, l’A. qualifica l’odierna dottrina giuscommercialistica come dottrina complessivamente “debole”, cui mancherebbe il pregio della stabilità di chiari punti di riferimento, e in particolare delle fonti, che è presupposto dei processi razionali di costruzione di princìpi e concetti [76]. Non è questa la sede per avvalorare o contestare questo giudizio. Ritengo tuttavia che vada certamente condivisa la strada del contrasto agli specialismi, non solamente per il fine, forse illusorio, di ricreare le basi per una teoria forte dell’impresa, caratterizzata da principi ordinanti condivisi e di agevole utilizzo interpretativo, ma soprattutto perché i nessi tra i diversi profili della disciplina dell’impresa [77] sono indispensabili anche per una più modesta attività di corretta interpretazione delle norme, visto che alla fine è per l’appunto sempre dell’impresa che si tratta, in tutte le sue forme, in tutte le sue fasi e in tutte le sue relazioni [78].