Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
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High Frequency Trading e informazioni privilegiate: Insider Trading "strutturale" o lecita superiorità informativa? (di Federico Raffaele, Professore straordinario di diritto commerciale, Università Telematica Internazionale UNINETTUNO e Mario Manna, Dottorando di ricerca, LUISS Guido Carli)


L’articolo si propone di analizzare le implicazioni della negoziazione algoritmica, in particolare dell’High Frequency Trading (HFT), rispetto alla disciplina dell’insider trading negli Stati Uniti e nell’Unione Europea, al fine di verificare se i meccanismi operativi degli HFT e i conseguenti vantaggi informativi di cui godono tali trader possano rientrare nel vigente divieto di insider trading in entrambi gli ordinamenti. Dopo aver descritto come gli HFT ottengano in pratica vantaggi informativi grazie alla co-ubicazione e ai feed privati rispetto ad altri HFT e ai cosiddetti slow traders, l’articolo confronta la disciplina sull’in­sider trading nell’UE e negli Stati Uniti, evidenziandone l’evoluzione e le principali differenze. La conclusione è che gli HFT possono essere considerati insider traders nell’UE, ma non negli Stati Uniti. A questo proposito, è più probabile che l’approccio della parità di informazioni adottato nell’ordinamento europeo (rispetto a quello statunitense) porti a sanzionare l’asimmetria tra operatori HFT e non HFT come una forma di insider trading. Ciò, a sua volta, pone alcuni interrogativi sul reale significato e sulla portata degli obblighi informativi gravanti in capo agli emittenti a beneficio dell’integrità dei mercati finanziari.

High Frequency Trading and insider information: "structural" insider trading or legitimate information superiority?

This article aims to analyze the implications of algorithmic trading, specifically of High Frequency Trading (HFT), with respect to the regulation of insider trading in the United States and in the European Union, in order to verify whether the operational mechanisms of HFTs and the resulting informational benefits enjoyed by such traders may fall under the current ban on insider trading in both jurisdictions. After describing how HFTs practically gain informational advantages due to co-location and private feeds over other HFTs and the so-called slow traders, the article compares the insider trading disciplines in EU and in the US, tracing their respective evolution and the main differences between them. The conclusion is that HFTs may be considered as insider traders in EU, but not in the US. In this respect, the parity of information approach adopted in the European legislation is more likely (than the US approach) to lead to sanction the asymmetry between HFT and non-HFT traders as a form of insider trading. This, in turn, poses some questions on the real meaning and scope of disclosure obligations imposed to issuers for the benefit of financial markets integrity.

Sommario/Summary:

1. Introduzione. - 2. HFT: analisi del fenomeno. - 2.1. Co-ubicazione. - 2.2. Accesso alle informazioni: flusso diretto dei dati. - 3. Il "vantaggio strutturale" degli HFT rispetto agli slow trader e il "vantaggio contingente" degli HFT destinatari dei flussi diretti di dati rispetto agli altri HFT. - 4. Insider trading: l’esperienza statunitense - 4.1. Dalla disclose or abstain rule alle classical e misappropriation theory. - 4.2. I recenti tentativi di "codificazione" dell’insider trading. - 5. La disciplina europea dell’insider trading: dalle origini degli anni Ottanta (del secolo scorso) fino al Market Abuse Regulation. - 5.1. La centralità della nozione di informazione privilegiata nella legislazione europea. - 5.2. I caratteri distintivi dell’informazione privilegiata. - 6. HFT e insider trading: una (tollerabile) breccia nel paradigma della parità informativa. - 7. Conclusioni. - NOTE


1. Introduzione.

Sono passati dieci anni dall’avvento (ma meno dalla sua effettiva vigenza) del regolamento (UE) n. 596/2014, relativo agli abusi di mercato (c.d. MAR) e da più parti – non solo in dottrina [1], ma anche, e soprattutto, a livello di istituzioni [2] – se ne raccomanda una sorta di “tagliando”, tra le altre cose anche per rispondere agli interrogativi sulla tenuta del quadro normativo e sull’imputazione (ma ancor prima sulla stessa configurabilità) degli illeciti finanziari in questione compiuti mediante (o con l’ausilio di) sistemi di intelligenza artificiale [3]. Ciò trova emblematica esemplificazione – in un contesto finanziario nel quale va consolidandosi negli ultimi anni un radicale cambio di paradigma operativo, che rende sempre più difficile distinguere l’azione umana da quella dei computer e dei programmi informatici, i quali investono sul mercato in maniera pressoché indipendente rispetto alle istruzioni impartite dagli operatori “persone fisiche” – nell’utilizzo sempre più frequente dei cosiddetti algoritmi di high-frequency trading (di seguito “HFT”) [4], caratterizzati dalla velocità di acquisizione ed elaborazione delle informazioni di mercato e di reazione a tali informazioni, nonché da una certa “autonomia decisionale” [5]. I trader HFT, grazie alla superiorità cognitiva (alimentata, ed è qui il cuore del problema, dai servizi offerti – a pagamento – dalle sedi di negoziazione), riescono a processare le informazioni di mercato “meglio” e prima dei c.d. “slow trader”, ottenendo comparativamente maggiori profitti. Si configura, quindi, una situazione di strutturale asimmetria tra categorie di investitori in termini di condizioni di accesso alle informazioni che, dalla prospettiva della disciplina dell’insider trading – tralasciando, invece, i numerosi temi che il trading ad alta frequenza pone in termini di efficienza, specie allocativa, dei mercati (peraltro già abbondantemente affrontati in dottrina [6]) –, occorre valutare se possa qualificarsi come indebita, sì da poter integrare eventualmente gli estremi dell’illecito di abuso di informazioni privilegiate. In effetti, benché, anche con specifico riferimento al profilo degli abusi di mercato, gran parte [...]


2. HFT: analisi del fenomeno.

Per descrivere da un punto di vista strutturale ed operativo l’HFT, si può utilmente partire dalla ricognizione normativa europea del fenomeno che, nella MiFID II [18], definisce il trading algoritmico come una tecnica di «negoziazione di strumenti finanziari in cui un algoritmo informatizzato determina automaticamente i parametri individuali degli ordini, come ad esempio se avviare l’or­dine, i tempi, il prezzo o la quantità dell’ordine o come gestire l’ordine dopo la sua presentazione, con intervento umano minimo o nullo e non comprende i sistemi utilizzati unicamente per trasmettere ordini a una o più sedi di negoziazione, per trattare ordini che non comportano la determinazione di parametri di trading, per confermare ordini o per eseguire il trattamento post-negoziazione delle operazioni eseguite». Quanto all’HFT – che viene concepito in rapporto di species a genus rispetto al trading algoritmico – la medesima disciplina lo definisce come «qualsiasi tecnica di negoziazione algoritmica caratterizzata da: a) infrastrutture volte a ridurre al minimo le latenze di rete e di altro genere, compresa almeno una delle strutture per l’inserimento algoritmico dell’ordine: co-ubicazione, hosting di prossimità o accesso elettronico diretto a velocità elevata; b) determinazione da parte del sistema dell’inizializzazione, generazione, trasmissione o esecuzione dell’ordine senza intervento umano per il singolo ordine o negoziazione; c) elevato traffico infragiornaliero di messaggi consistenti in ordini, quotazioni o cancellazioni». Se, dunque, la negoziazione algoritmica si qualifica come una tecnica che garantisce un aumento di liquidità, una simultanea partecipazione a diverse sedi di negoziazione e una più efficiente gestione degli ordini dei clienti, l’HFT si caratterizza, più specificamente, per l’impiego degli algoritmi, nella fase di esecuzione delle operazioni nonché in quella, antecedente, di ideazione o decisione di compierle; fase quest’ultima che, a sua volta, non è più (necessariamente) appannaggio della determinazione dei soggetti-persone fisiche, bensì dei calcoli matematici elaborati dagli stessi sistemi algoritmici, ora in grado di prendere decisioni autonome [19]. Segnatamente, gli HFT sono in grado, in pochi millisecondi, di portare a termine [...]


2.1. Co-ubicazione.

Concentrandoci sui primi due elementi qualificanti summenzionati, per quel che concerne la co-ubicazione, si può dire che la stessa definisce la capacità dei trader di posizionare fisicamente i propri server accanto a quelli di una sede di negoziazione [24]. Poiché la velocità è essenziale, l’HFT è in sostanza vincolato dalla geografia. Se gli ordini di un operatore devono percorrere lunghe distanze per raggiungere una sede di negoziazione, si pone un problema competitivo rispetto ai concorrenti situati in una posizione più prossima alle sedi di negoziazione. Le distanze ritardano l’arrivo degli ordini di un trader, aumentando altresì il tempo necessario allo stesso per ricevere informazioni dalla medesima sede di negoziazione. In siffatto contesto, la co-ubicazione è divenuta un vero e proprio servizio che le sedi di negoziazione offrono agli operatori, garantendo la vicinanza fisica ai server da cui transitano gli ordini di scambio. Tale vicinanza comporta, infatti, significativi vantaggi competitivi: un trader può acquisire in tal modo il miglior prezzo di offerta disponibile per un titolo quotato dal momento che il suo ordine arriva ai motori di abbinamento dello scambio più velocemente di quelli di un concorrente più “distante” [25]. La co-ubicazione rappresenta anche un beneficio per le sedi di negoziazione, dal momento che consente loro di conseguire vantaggi economici e reputazionali nella misura in cui contribuisce ad aumentare la redditività degli scambi. Le principali sedi di negoziazione, infatti, addebitano commissioni di co-ubicazione agli operatori che vogliono avvalersi del servizio [26]. Dal punto di vista normativo, in Europa, la MiFID II disciplina la co-u­bicazione mirando a garantire che le norme sul punto siano «trasparenti, eque e non discriminatorie». A tal fine, l’art. 48, par. 12, lett. d), MiFID II richiede alle sedi di negoziazione di offrire tali servizi su base non discriminatoria, equa e trasparente e di garantire che le strutture tariffarie non creino incentivi per condizioni commerciali o abusi di mercato [27]. Al fine di considerare come “equo” e “non discriminatorio” il servizio di co-ubicazione offerto da una sede di negoziazione, è necessario che, sulla base di criteri oggettivi, lo stesso sia fornito a tutti gli utenti alle [...]


2.2. Accesso alle informazioni: flusso diretto dei dati.

Anche per quanto concerne il secondo elemento sopra menzionato, i flussi diretti di dati, l’attuale regolamentazione nei due ordinamenti considerati consente agli HFT di ricevere tali flussi direttamente dalle sedi di negoziazione [31]. Tuttavia, come già anticipato, le possibili disparità informative connesse ai flussi diretti di dati hanno fatto discutere sia negli Stati Uniti che nell’Unione europea. Partendo stavolta dagli Stati Uniti, giova ricordare che, in tale ordinamento, è ritenuto d’interesse del legislatore che le diverse sedi di negoziazione competano tra loro per offrire il miglior prezzo per i titoli quotati e far sì che questo prezzo venga visualizzato pubblicamente. L’obiettivo di politica legislativa perseguito è semplice: gli investitori devono essere in grado di negoziare al miglior prezzo visualizzato nel National Market System (NMS) [32]. Per ottenere questo prezzo, detto National Best Bid Offer (NBBO), per qualsiasi titolo, le sedi di negoziazione devono inviare regolarmente le loro migliori quotazioni presso un repository: il Security Information Processor (SIP), progettato per consolidare queste informazioni, aggregare le varie quotazioni e fornire l’NBBO per il mercato. Il SIP garantisce che l’NMS generi continuamente l’NBBO per gli investitori e mantenga un benchmark chiaro per salvaguardare gli investitori da eventuali speculazioni [33]. Sebbene le finalità connesse al suddetto meccanismo siano volte a garantire la parità di informazione tra gli investitori, il processo di generazione dell’NBBO crea anche deficit informativi e costi di elaborazione. In primo luogo, crea un ritardo nel sistema. Le informazioni devono essere presentate al SIP, che consolida tutti i dati e genera l’NBBO per il mercato. Chiaramente, questo processo, per quanto celere possa essere, richiede comunque un certo margine di tempo. Nei millisecondi necessari al SIP per fornire il prezzo visualizzato, gli HFT, grazie alle informazioni ricevute “individualmente” tramite i flussi diretti di dati, potrebbero compiere (e in effetti compiono) le prime operazioni e i prezzi ne risentirebbero (e in effetti ne risentono). Pertanto, nel momento in cui il SIP trasmetta un prezzo, questo dato rischia di essere, di fatto, già obsoleto [34]. In secondo luogo, le informazioni che le sedi di negoziazione devono fornire per [...]


3. Il "vantaggio strutturale" degli HFT rispetto agli slow trader e il "vantaggio contingente" degli HFT destinatari dei flussi diretti di dati rispetto agli altri HFT.

Dunque, è indubbio che, tramite la co-ubicazione e, soprattutto, i flussi diretti di dati, gli HFT hanno accesso alle informazioni di mercato prima degli slow trader. Inoltre, grazie alla programmazione algoritmica, essi possono processare tali informazioni e fare trading sulla base delle stesse in tempi estremamente ridotti. In questo modo, gli HFT godono del primo accesso alle informazioni di trading, circostanza che consente loro di operare in anticipo rispetto alla gran parte degli operatori di mercato, “incidendo” sui prezzi dei titoli “sottostanti” a spese di detti operatori, prima che le informazioni raggiungano questi ultimi. Pertanto, come è stato (suggestivamente) prospettato [43], gli HFT potrebbero rappresentare una classe di insider trader “strutturali”, con un accesso prioritario alle informazioni e una capacità smisurata di influenzare la formazione dei prezzi sui mercati. Eppure, allo stato, come già rilevato, né la disciplina positiva in ambito europeo né tantomeno quella statunitense qualificano in alcun modo come illegittima l’asimmetria informativa che nei fatti si verifica tra gli HFT e gli altri operatori del mercato. Tuttavia, i casi sopra menzionati, riguardanti Euronext Amsterdam e l’inizia­tiva regolamentare della SEC, hanno attirato l’attenzione sulla possibile disparità informativa, ascrivibile alla ricezione dei flussi diretti di dati, che sussisterebbe, non tanto tra trader HFT e slow trader, bensì tra i trader HFT destinatari degli stessi e gli altri HFT. Per comprendere meglio il punto oggetto di analisi, è bene, tuttavia, essere ancor più granulari, dal punto di vista tecnico, in merito all’effetto combinato di co-ubicazione e flusso diretto di dati. Se, come è noto, la negoziazione di strumenti finanziari al giorno d’oggi avviene quasi interamente in modalità elettronica, le moderne sedi di negoziazione operano, nei fatti, come meccanismi di abbinamento di ordini degli strumenti ivi ammessi alle negoziazioni (che, a livello algoritmico, prevedono l’acquisto o la vendita di una quantità prestabilita di titoli al raggiungimento di un prezzo prestabilito per strumento finanziario) ricevuti mediante un sistema (o portale) centralizzato di raccolta di tali ordini. Dall’associazione di ordini abbinabili di segno opposto derivano le operazioni di [...]


4. Insider trading: l’esperienza statunitense

Cominciando l’analisi dagli Stati Uniti, peraltro il primo ordinamento in assoluto ad adottare una normativa che vietasse l’insider trading [47], merita ricordare che l’unica disposizione del Securities Exchange Act del 1934 a regolare direttamente la materia era la Section 16, che proibiva, tra l’altro, i c.d. short-swing profits [48]. Tuttavia, la previsione legislativa su cui si sarebbe poi imperniato il successivo sviluppo della disciplina in questione era (ed è tuttora, salvo quanto si dirà infra sui tentativi di “codificazione” in essere negli Stati Uniti) la Section 10(b), la quale non solo, curiosamente, non cita affatto i termini “insider trading”, ma, in concreto, si limita a rimettere alla normativa secondaria, emanata dalla SEC, la definizione del perimetro della fattispecie [49]. Eppure, nemmeno la regolamentazione di dettaglio della SEC del 1942, contenuta nella Rule 10b-5, menziona, né tantomeno definisce, l’illecito di insider trading [50]; essa, piuttosto, rimane una “general anti-fraud provision”. A definire i contorni e gli elementi caratteristici dell’insider trading è stata, dunque, la giurisprudenza successiva all’introduzione delle disposizioni summenzionate [51], la cui diacronia, però, si è estrinsecata in un processo evolutivo tipico delle corti di common law (come tale non necessariamente lineare o sistematico, ma a volte persino contraddittorio) piuttosto che in una ordinata esegesi testuale del dettato normativo codificato [52]. Non può essere questa la sede per descrivere in dettaglio l’evoluzione della disciplina statunitense in materia di insider trading, ma si può comunque affermare che, dei vari elementi costitutivi dell’illecito in questione (ossia, tra gli altri, (i) l’esistenza di un’informazione “privilegiata” o, appunto, negli Stati Uniti, «material» [53] e «non-public» [54], (ii) lo stato psicologico o soggettivo dell’autore del­l’il­lecito [55], (iii) il compimento di un’operazione di mercato “sulla base” [56] dell’in­formazione material e non-public), quello che ha suscitato il maggior interesse degli operatori e, quindi, in sostanza, della giurisprudenza è stato quello relativo (iv) all’individuazione di un [...]


4.1. Dalla disclose or abstain rule alle classical e misappropriation theory.

Sul punto, premesso che, nonostante l’introduzione legislativa di rango primario e la successiva regolamentazione della SEC (di rango secondario), la repressione dell’insider trading a livello federale rimase in principio pressoché lettera morta per oltre 25 anni [58] e soltanto a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso la SEC ha cominciato ad “avvalersi” della Rule 10b-5 per sanzionare tali condotte, è opportuno ricordare che l’ultimo degli elementi costitutivi sopra menzionati è stato per un breve periodo individuato nella mancata comunicazione (del possesso) di un’informazione material e non-public in occasione dell’effettua­zione di un’operazione su titoli di un emittente quotato, a sua volta dovuto in base ad un principio di parità di accesso alle informazioni di tutti gli operatori di mercato. In altri termini, lo sfruttamento dell’asimmetria informativa rendeva fraudulent il comportamento sì da, per un verso, renderlo compatibile con la “copertura” legislativa della Section 10(b) (e della Rule 10b-5) e, per altro verso, dar luogo ad un’opzione ordinamentale binaria, poi tradizionalmente nota come “disclose or abstain rule” (secondo cui, appunto, o l’informazione privilegiata viene comunicata al mercato, ripristinando quella situazione – fisiologica – di parità informativa, che fa in principio venir meno ogni profilo di approfittamento di una parte a danno di un’altra, oppure è fatto divieto di utilizzarla per compravendere titoli quotati). In tal senso, il leading case – che poi non fu neppure un caso giudiziario – fu appunto un procedimento amministrativo avviato dalla SEC e risalente al 1961 [59] – In re Cady, Roberts & Co [60]. La vicenda riguardava la condotta di tipping, ossia, come noto, la rivelazione di un’informazione material e non-public concernente un emittente da parte di un insider, che non opera sul mercato sulla base di tale informazione, ma appunto la veicola ad un terzo, il quale, invece, se ne avvale per compravendere titoli quotati. L’Autorità, riconoscendo che, nell’interpretare «[the] elements [of Section 10(b)] under the broad language of the anti-fraud provisions, we are not to be circumscribed by fine distinctions and rigid classifications» [61], ritenne che la norma in questione [...]


4.2. I recenti tentativi di "codificazione" dell’insider trading.

Al di là delle incongruenze che l’impostazione adottata con riguardo al fenomeno dell’insider trading pone rispetto alla consolidata giurisprudenza statunitense in materia di violazione della Rule 10b-5, appunto al di fuori dell’ambito dell’insider trading, che prescinde sistematicamente dai principi fiduciari [78], e dei tentativi di individuazione di ulteriori fonti normative a fondamento del divieto in questione [79], ciò che emerge plasticamente è che la disciplina dell’abuso di informazioni privilegiate negli Stati Uniti è di matrice sostanzialmente giurisprudenziale, con tutte le difficoltà che questo approccio comporta in termini sia dogmatici (posto che è quantomeno inappagante il deficit di tassatività che ne deriva), sia, soprattutto, operativi (dal punto di vista, ad es., della ricostruzione dell’esatto perimetro della fattispecie nonché della corretta ripartizione dell’onus probandi delle parti in causa). Pertanto, non sono mancate, anche di recente, le voci critiche nei confronti di tale situazione di policy, che invocano un intervento legislativo federale che definitivamente “positivizzi” o, comunque, “codifichi” l’illecito di insider trading. Tali istanze si sono coagulate, da ultimo [80], attorno al c.d. Insider Trading Prohibition Act (ITPA), che la Camera statunitense ha approvato il 18 maggio 2021, ma che è rimasto, forse non a caso, dormiente fino ad ora presso il Senato. Segnatamente, l’ITPA vieterebbe la compravendita di titoli quotati, laddove l’a­gente sia «aware of material, nonpublic information relating to such security […] or any nonpublic information, from whatever source, that has, or would reasonably be expected to have, a material effect on the market price of any such security […], if such person knows, or recklessly disregards, that such information has been obtained wrongfully, or that such purchase or sale would constitute a wrongful use of such information» [81]. Tale provvedimento legislativo, benché concepito come una mera ricognizione (o appunto “codificazione”) dell’esistente giurisprudenza in subiecta materia, comporta comunque degli elementi di novità, dovuti se non altro all’inevitabile grado di generalità ed astrattezza che il ricorso allo strumento legislativo comporta [...]


5. La disciplina europea dell’insider trading: dalle origini degli anni Ottanta (del secolo scorso) fino al Market Abuse Regulation.

Nell’Unione europea la normativa in materia di insider trading non è soltanto molto più recente rispetto all’ordinamento statunitense, ma è altresì fondata su ben altri presupposti (seppur, come si è visto, non del tutto allo stesso sconosciuti, benché comunque scientemente rigettati). Se, invero, i primi spunti in materia di “gestione” di informazioni privilegiate si rinvengono già in iniziative legislative risalenti alla fine degli anni Settanta (del secolo scorso) [84], la prima compiuta disciplina del fenomeno risale soltanto alla fine del decennio successivo: si tratta della direttiva 89/592/CE [85] sul coordinamento delle normative concernenti le operazioni effettuate da persone in possesso di informazioni privilegiate (di seguito anche “direttiva Insider Trading”). Tale provvedimento – a differenza dei successivi interventi legislativi, che hanno contemplato anche altre fattispecie di illecito, quali, ad es., la manipolazione del mercato – si concentrava esclusivamente sull’insider trading e conteneva in nuce gran parte dei concetti fondanti la seguente disciplina europea: in particolare, la definizione di informazione privilegiata [86] e il divieto, per coloro che detenessero tale informazione privilegiata in ragione della peculiare situazione soggettiva di “legame” con un determinato emittente, di compravendere titoli quotati proprio di siffatto emittente [87]. Ci sono, poi, voluti altri quindici anni per (provare a) definire un “quadro giuridico armonizzato in materia di abusi di mercato” [88] attraverso l’emanazione della direttiva 2003/6/CE [89] (c.d. Market Abuse Directive o MAD). Il tentativo, però, rimase tale: infatti, nonostante l’ambito di regolazione della MAD fosse molto più ampio rispetto ai precedenti interventi normativi (posto che, oltre a disciplinare insider trading [90] e manipolazione del mercato, poneva in capo agli emittenti l’obbligo di rendere pubbliche nel minor tempo possibile le informazioni a loro afferenti), la trasposizione delle norme negli ordinamenti nazionali aveva di fatto dato luogo a grandi disparità tra la regolamentazione vigente nei singoli Stati membri. L’assenza di uniformità tra le leggi vigenti nel territorio dell’Unione, unitamente ad una serie di ulteriori ragioni, riconducibili in [...]


5.1. La centralità della nozione di informazione privilegiata nella legislazione europea.

In ogni caso, al netto delle varie declinazioni della disciplina positiva nel corso degli anni e della discussa natura assiologicamente non equiordinata dei sottostanti principi ispiratori (anch’essi, se per questo, polimorfi) delle rilevanti disposizioni legislative [93], il fil rouge che lega la normativa europea in subiecta materia è l’ancoraggio alla nozione di informazione privilegiata tanto del dovere di informazione continua quanto del divieto di abuso di informazioni privilegiate, nella convinzione che la (tempestiva) comunicazione al pubblico delle informazioni rilevanti assicuri la parità di accesso a tutti gli investitori, a sua volta garanzia di integrità dei mercati [94]. Dal punto di vista della ricostruzione dell’“istituto” dell’insider trading, secondo quanto si osserverà subito appresso, l’enfasi sul principio della parità di accesso alle informazioni [95], vieppiù amplificata dalla (presunta) nomofilachia della Corte di Giustizia [96], ha finito per comportare (a differenza, in ottica comparata, dell’approccio statunitense) una tendenziale svalutazione dell’(analisi dell’)ele­mento oggettivo della condotta in favore di una più granulare indagine in merito al presupposto materiale di detta condotta, cioè, appunto, la nozione di informazione privilegiata [97]. Più specificamente, ai sensi dell’art. 8, primo paragrafo, MAR, si ha abuso di informazioni privilegiate «quando una persona in possesso di informazioni privilegiate utilizza tali informazioni acquisendo o cedendo, per conto proprio o per conto di terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui tali informazioni si riferiscono […]» [98]. Gli elementi costitutivi dell’illecito sono, dunque, due: il possesso dell’informazione privilegiata e l’uso della medesima [99]. Sul requisito del «possesso» la Corte di Giustizia è intervenuta nel caso Georgakis [100], deciso nel 2007 sulla base della normativa in materia di insider trading (applicabile ratione temporis) di cui alla direttiva Insider Trading. Argomentando a partire dal principio fondante del divieto, che è appunto la parità di accesso, la Corte ha rilevato che il possesso “rilevante” è quello che pone l’insider in una condizione di effettivo [...]


5.2. I caratteri distintivi dell’informazione privilegiata.

Se, dunque, la ricorrenza (o meno) di episodi di insider trading viene a dipendere, in larga parte, dalla sussistenza (o meno) di un’informazione privilegiata, è opportuno richiamare – sia pur brevemente, non essendo questa la sede per un’analisi di dettaglio degli elementi costitutivi della relativa nozione – le condizioni alle quali un’informazione possa effettivamente essere qualificata come privilegiata. Come anticipato, con singolare continuità rispetto alla direttiva Insider Trading, l’art. 7 MAR la definisce tale allorquando la stessa (a) abbia carattere preciso; (b) non sia stata resa pubblica; (c) concerna uno o più emittenti o uno o più strumenti finanziari; e (d) qualora venisse resa pubblica, potrebbe avere un effetto significativo sul prezzo degli strumenti finanziari cui si riferisce (o sui derivati ad essi collegati). Il primo elemento distintivo della nozione di informazione privilegiata è quello della “precisione”. Tale attributo trova la sua giustificazione nella ratio che informa la normativa europea in materia di abusi di mercato: laddove, infatti, le informazioni non abbiano un carattere preciso, il loro utilizzo prima di una loro pubblicazione non dovrebbe provocare alcun detrimento per gli altri investitori, dal momento che un’informazione carente di precisione non consente di trarre alcun indebito vantaggio nel compimento di operazioni su titoli, non ledendo dunque né il generale principio della trasparenza del mercato né tantomeno la parità di accesso alle informazioni [105]. Peraltro, l’art. 7, secondo paragrafo, MAR chiarisce espressamente in cosa si sostanzia il requisito della precisione, tenuto conto che essa deve, per un verso, fare «riferimento a una serie di circostanze esistenti o che si può ragionevolmente ritenere che vengano a prodursi o a un evento che si è verificato o del quale si può ragionevolmente ritenere che si verificherà» e, per altro verso, «permettere di trarre conclusioni sul possibile effetto di detto complesso di circostanze o di detto evento sui prezzi degli strumenti finanziari». Oltre a predicare che l’informazione precisa deve far riferimento ad un evento o ad un insieme di circostanze fattuali, in grado, pertanto, di supportare la valutazione predittiva, la norma distingue gli eventi e le circostanze già [...]


6. HFT e insider trading: una (tollerabile) breccia nel paradigma della parità informativa.

A valle dell’analisi normativa compiuta, appare opportuno verificare se, e in che modo, le condotte degli HFT possano essere sussumibili nel divieto di insider trading, rispettivamente negli Stati Uniti e nell’UE. Sul punto, come anticipato, merita ricordare che, grazie al binomio co-u­bicazione e flusso diretto dei dati, gli HFT possono godere di un vantaggio informativo sia rispetto al pubblico dei c.d. slow trader sia, allorquando destinatari di private feed, anche nei confronti degli altri trader HFT che non abbiano preso parte alla medesima determinata operazione. Questa condizione degli HFT non integra certamente gli estremi dell’insider trading negli Stati Uniti – ancor prima di analizzare l’“oggetto” del loro presunto “abuso”, ossia di verificare se le informazioni che gli HFT utilizzano siano sussumibili entro la categoria delle informazioni privilegiate (o material e non-public, secondo la terminologia statunitense): come si è visto, infatti, nell’or­dinamento statunitense la disciplina in materia di insider trading è imperniata attorno al compimento di atti lato sensu fraudolenti, laddove appare necessaria la violazione, tramite il compimento dell’operazione di mercato, di un dovere, più o meno fiduciario, che l’agente ha nei confronti dell’emittente o dei suoi soci (classical theory) o di un terzo-fonte dell’informazione (misappropriation theory). Gli HFT, però, non intrattengono alcun rapporto fiduciario con gli emittenti né violano alcun dovere di riservatezza verso la fonte delle informazioni e, in ogni caso, le modalità di acquisizione dell’informazione non sono affatto fraudolente o, comunque, illecite. Nell’Unione europea, invece, la soluzione alla domanda di ricerca non può essere così tranchant. Appare, infatti, necessario interrogarsi sulla natura privilegiata (o meno) delle informazioni utilizzate dagli HFT, atteso che, a differenza degli Stati Uniti, sono tendenzialmente considerate illecite le ipotesi in cui un soggetto venga a conseguire «un vantaggio a scapito di terzi che non sono a conoscenza di […] informazioni [privilegiate], mettendo così a repentaglio l’integrità dei mercati finanziari e la fiducia degli investitori» [113], a prescindere dal carattere fraudolento della modalità con cui le abbia acquisite e dai [...]


7. Conclusioni.

In definitiva, si è osservato che, specie rispetto ai c.d. slow trader, da un punto di vista fenomenico, grazie al binomio co-ubicazione e public feed, i trader HFT riescono a processare le informazioni in via prioritaria “prima” di ogni altro operatore del mercato. Tuttavia, sebbene vi sia una frazione temporale in cui essi siano gli unici a saper utilizzare tali notizie, questa superiorità informativa difficilmente può essere, allo stato, considerata illecita: ciò poiché, a tacer d’altro, il modus operandi con cui tale superiorità viene conseguita appare perfettamente legale (essendo peraltro, negli ordinamenti considerati, co-ubicazione e flusso diretto di dati istituti appositamente disciplinati). È bene, dunque, evitare che, specialmente nell’ordinamento europeo, fondato in parte qua sul principio della parità di accesso alle informazioni, e dunque, in ipotesi, più incline a sanzionare il mero squilibrio informativo, si acceda ad un’interpretazione lata di informazione privilegiata, tale da attrarre all’alveo dell’insider trading l’operato degli HFT rispetto agli slow trader. Di diverso tenore appare invece il vantaggio per effetto del private feed di cui paiono godere gli HFT parti di una determinata operazione rispetto ad altri HFT che non siano parte di quella medesima operazione. Questa seconda asimmetria, per un verso, nell’ordinamento statunitense, appare non sussumibile nell’illecito di insider trading, stante l’assenza di qualsivoglia atto lato sensu fraudolento a­scrivibile agli HFT, mentre, per altro verso, nel contesto eurounitario, l’utilizzo di un’informazione che, seppur per un breve lasso di tempo, non può essere considerata ancora pubblica, potrebbe condurre a ritenere che si integrino gli estremi del­l’illecito in questione. Per coerenza sistematica, sarebbe forse bene intervenire e­spressamente con un’apposita causa di giustificazione che schermi il loro operato dai rischi di incriminazione per insider trading, anche al fine di scongiurare possibili tendenze repressive che scoraggino l’avanzamento tecnologico dei mercati. Ciò, però, solo a patto che future evidenze empiriche non dimostrino la sussistenza di ulteriori (rispetto a quelle esistenti) ed inammissibili esternalità negative, connesse all’operatività degli HFT, [...]


NOTE
Fascicolo 1 - 2024