Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Controllo e gruppo nel codice civile, nel codice della crisi, nel t.u.b. e nel diritto antitrust: linee evolutive in atto nell'ordinamento interno ed euro-unitario (di Vittorio Minervini, Docente a contratto, Università di Roma Tor Vergata e Luiss Business School)


Lo studio intende mostrare alcune linee evolutive, storicamente apprezzabili (sul piano normativo, di soft law, di prassi applicativa e giurisprudenziale), a livello interno ed euro-unitario, intorno alle nozioni di controllo e di gruppo, nel diritto societario comune, nel nuovo codice della crisi e dell’insolvenza, nel Testo unico bancario e nel diritto antitrust. Emerge, piuttosto nitidamente, una tendenza a dare rilievo e prevalenza a profili di tipo sostanzialistico e a-formale, al fine di verificare l’esercizio effettivo del potere di indirizzo e gestione dell’impresa di gruppo, obiettivamente ed unitariamente considerata. Non è dunque implausibile che queste linee evolutive possano contaminare il novero e l’apprezzamento degli elementi qualificabili come rilevanti ai fini dell’accertamento di una situazione di controllo e di gruppo anche per il diritto societario comune, finendo altresì per influenzare la stessa nozione di impresa.

Control and Group in the Civil Code, in the Crisis Code, in the t.u.b. and in Antitrust Law: Evolutionary Lines underway in the Internal and Euro-unitary Legal System

The essay gives an account of some historically appreciable evolutionary lines – vis-à-vis regulation, soft law, and case law – at a domestic and Euro-unitary level, regarding the notions of “control” and “group”, in common corporate law (as regulated by the Civil Code), in the new crisis and insolvency Code, in the Consolidated Banking Act (t.u.b.) and in antitrust law. Overall, a pattern stands out: the legal system tends towards a substantial and a-formal approach, aimed at reconstructing and verifying the actual exercise of the power of direction and management of the group enterprise, as objectively and collectively considered. It is not implausible that these lines could influence and to some extent contaminate the way by which common corporate law ascertains the existence of both “control” and “group”, thus suggesting a careful reflection on the concept of enterprise itself.

 

Sommario/Summary:

1. Premessa. Ambito e scopo dell’indagine. - 2. Le nozioni di "controllo" e di "gruppo" nel codice civile. - 3. Segue: controllo "esclusivo" e controllo "congiunto". - 4. Segue: controllo e attività di direzione e coordinamento. - 5. Controllo, gruppo e attività di direzione e coordinamento nel nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (cenni). - 6. Il concetto di "controllo" nel t.u.b. - 7. Segue: il "gruppo bancario" e l’interesse "di gruppo" in ambito bancario. - 8. La nozione di "controllo" nel diritto antitrust. - 9. Segue. il concetto di impresa di gruppo nel diritto antitrust. Single Economic Entity Theory, Parental Liability Presumption e principio di continuità economica e funzionale dell'impresa. - 10. Notazioni conclusive. - NOTE


1. Premessa. Ambito e scopo dell’indagine.

La presente indagine intende mettere in luce alcune direttrici lungo cui pare svolgersi, in vari plessi disciplinari (distinti ma reciprocamente interferenti), l’a­na­genesi normativa e giurisprudenziale in tema di controllo e di gruppo. Nell’evidenziare analogie e discrepanze ricorrenti nelle discipline prese in esame, l’analisi consentirà di individuare un filo conduttore comune, tendente ad accordare prevalente considerazione a profili obiettivi, di tipo a-formale e sostanzialistico. Si tratta di un orientamento nitidamente apprezzabile sul piano delle fonti primarie e di soft law nonché nella prassi applicativa e giurisprudenziale, che merita di essere segnalato, quale linea evolutiva in atto nell’or­dinamento interno e unionale, per le implicazioni ricostruttive generali e di vertice che possono derivarne, anche in ordine a una più ampia nozione “europea” di impresa. Com’è noto, il codice civile non conosceva ab origine, in via diretta, la nozione di “gruppo”, che pure è postulata in numerose disposizioni, con significati, ambiti applicativi e funzionali differenti e difficilmente riconducibili a unità [1]. Infatti, le varie discipline in cui è dato ritrovare la nozione di gruppo – o che a essa variamente fanno comunque indiretto riferimento – non muovono da una definizione normativa univoca in termini di fattispecie a monte: nel codice civile (e quindi nel diritto societario “comune” [2]), quella di “gruppo” risulta infatti nozione giuridica “di secondo grado”, ricavabile, secondo una prima tesi, dalla fattispecie tipica del “controllo” [3] (che il legislatore si cura invece di definire: art. 2359 c.c.): e ciò, evidentemente, sul presupposto empirico che in un gruppo di società sottoposto ad un unico controllo “vi è sempre direzione coesa e sottoposizione – com’è poi economicamente logico – dell’intera impresa ad un interesse unitario” [4]. In questa lettura, il dato esperienziale supporterebbe la tesi per cui è normale che chi disponga del controllo su un insieme di società le governi, in concreto, in base a un disegno unitario. Secondo una diversa tesi, che ha poi trovato indiretta conferma nella riforma del 2003, la nozione di gruppo postulerebbe invece la più intensa [...]


2. Le nozioni di "controllo" e di "gruppo" nel codice civile.

L’art. 2359 c.c. stabilisce in quali casi una “società” possa essere definita come “controllata” da un’altra; e nel fare ciò individua due forme tipiche di controllo: quello “interno” (o azionario) – che può essere di diritto (fattispecie di cui al n. 1 del primo comma) e di fatto (di cui al n. 2) – e quello c.d. “esterno” (o contrattuale, di cui al n. 3), quando si abbia la capacità di esercitare stabilmente, anche in via di fatto, una “influenza dominante” su di un’altra società [23]. La disposizione sottende (anche nella seconda fattispecie considerata, quella cioè di “collegamento” di cui al comma 3) una relazione “tra società”, destinata a determinare una serie di conseguenze sul piano della disciplina. In tutti i casi contemplati dall’art. 2359, si ha controllo solo nella misura in cui l’influenza esercitabile o esercitata sulla società controllata sia anche durevole e stabile nel tempo [24]. Ciò non significa però che la relazione di dominio debba essere irreversibile: quel che conta è che l’influenza, finché perdura, sia esercitata in via continuativa [25] (il che permette a rigore un accertamento solo ex post e non anche un giudizio prognostico ex ante). Sul piano applicativo, seguendo un’impostazione che trova precisi riscontri nel diritto anglosassone, si tende a desumere l’influenza dominante richiesta dall’art. 2359 da un “fatto tipico”, che si considera rivelatore, ossia l’effettiva capacità di nominare nel tempo la maggioranza degli amministratori della società controllata [26]. Nel controllo esterno l’influenza dominante deriva invece da “particolari vincoli contrattuali” [27], dovendosi verificare in concreto quali siano gli effetti prodotti e il contesto in cui si realizzano [28] e purché il vincolo contrattuale sia tale da creare una situazione di soggezione che consenta di orientare le decisioni assembleari con effetti equivalenti a quanto si verificherebbe in una situazione di controllo interno [29]. In aggiunta, secondo la giurisprudenza prevalente, l’effetto derivante dal rapporto contrattuale deve essere anche “particolare”, nel senso cioè che non può trattarsi del (solo) [...]


3. Segue: controllo "esclusivo" e controllo "congiunto".

Le fattispecie contemplate dall’art. 2359 c.c. suppongono il controllo nelle mani di un unico soggetto (controllo “esclusivo”, “monocratico” o “solitario”). S’è dunque posto il problema di stabilire quale trattamento riservare a quelle situazioni in cui la prerogativa dell’influenza dominante sia raggiunta solo attraverso la sinergia di due o più società indipendenti, ma stabilmente coordinate (ad esempio da un patto di sindacato [43]). Si parla, in tal caso, di controllo “congiunto” [44], situazione che comporta l’esi­genza di individuare allora il termine (e le tecniche) di imputazione del controllo così accertato (nell’esempio appena considerato, a chi possa o debba ascriversi la posizione di controllo all’interno del patto di sindacato che ne consenta l’eser­cizio [45]). Al riguardo ci si è chiesto innanzitutto se nell’ipotesi in cui il capitale sociale sia ripartito in quote egualitarie possa ravvisarsi un controllo congiunto interno di diritto [46]; e se nelle situazioni in cui due soci riescano a esercitare un’influen­za dominante solo coordinandosi [47] possa dirsi integrato il controllo interno di fatto [48]. La posizione assunta in un primo momento da dottrina [49] e giurisprudenza [50] era in sostanza restrittiva: si tendeva infatti a ritenere che la situazione del controllo “congiunto” fosse estranea alla fattispecie considerata dall’art. 2359 c.c. (per la quale avrebbero avuto rilievo le sole ipotesi di controllo esclusivo). Tale impostazione, non del tutto superata, è stata tuttavia posta in discussione a livello sia dottrinale [51] che giurisprudenziale [52], in particolare valorizzando sistematicamente l’art. 2341-bis c.c., che riconduce all’esercizio dell’influenza dominante (e disciplina, quanto a contenuti, durata, validità e pubblicità) i patti parasociali aventi “per oggetto o per effetto l’esercizio anche congiunto di un’influen­za dominante”. Più discussa, e non univocamente risolta, resta la questione relativa all’imputa­zione del controllo congiunto, specie all’interno dei patti di sindacato (e dunque a quali tra i soci sindacati debba essere ascritto il controllo congiunto e al ricorrere di quali condizioni, positive o [...]


4. Segue: controllo e attività di direzione e coordinamento.

Ai fini della riforma del diritto societario del 2003 il legislatore delegante aveva chiesto al Governo di prevedere anche “una disciplina del gruppo secondo principi di trasparenza, tale da assicurare che l’attività di direzione e coordinamento contemper[asse] adeguatamente l’interesse del gruppo, delle società controllate e dei soci di minoranza di queste ultime” [54]. Nella Relazione al decreto legislativo s’era giustificata al riguardo la scelta di aver definito in via prioritaria l’aspetto, ritenuto centrale, della “responsabilità” della controllante nei confronti dei c.d. soci “esterni” e dei creditori delle controllate, senza introdurre invece una disciplina “generale”, volta a regolare anche le modalità di formazione, di organizzazione e di funzionamento del gruppo [55]. Una tale opzione normativa – che certo lasciava aperte molte questioni [56] – rispondeva alla convinzione che il rimedio già previsto dal­l’ordinamento per chi avesse agito nella conduzione dell’at­tività sociale “in conflitto di interessi” si caricasse di elementi di eccessiva ambiguità in presenza della costellazione societaria in forma di gruppo e che fosse dunque preferibile istituire un rimedio specifico [57], al fine di garantire una tutela di carattere risarcitorio al socio esterno o al creditore che fosse stato in concreto danneggiato (e non altrimenti compensato) in ragione del non corretto esercizio dell’altrui attività di “direzione e coordinamento” [58]; e ciò al fine di lasciare invece massima flessibilità alle scelte di organizzazione del gruppo e dell’attività d’impresa ad esso sottesa, per favorire una gestione che ne massimizzasse l’effi­cienza, ma nel contesto di una cornice legale minima di garanzie [59]. Secondo la dottrina prevalente si è in tal modo riconosciuta la piena legittimità dell’attività di direzione e coordinamento dell’impresa di gruppo che si conformi ai parametri legali di correttezza formale e sostanziale [60], tanto che questa può considerarsi in alcuni casi anche “doverosa” (ad es., si vedrà, quanto all’istitu­zione di assetti organizzativi “adeguati” alla dimensione e articolazione formale [...]


5. Controllo, gruppo e attività di direzione e coordinamento nel nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (cenni).

Colmando quella che era considerata una grave lacuna dell’ordinamento concorsuale [84], il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza reca oggi una disciplina specifica sulla regolazione della crisi o insolvenza “dei gruppi di imprese” (Titolo VI, artt. 284 ss.) e sulla gestione della crisi di “imprese appartenenti ad un gruppo” (art. 289) [85]. A questi fini, esso detta anche una definizione di “gruppo” (“di imprese”: art. 2, primo comma, lett. h), ricavata da quella sottesa all’art. 2497 c.c. [86], come “insieme delle società, delle imprese e degli enti, esclusi lo Stato e gli enti territoriali, che, ai sensi degli articoli 2497 e 2545-septies del codice civile, esercitano o sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica”; con la precisazione, che richiama (con qualche differenza) quella dell’art. 2497-sexies c.c., che “si presume, salvo prova contraria, che l’attività di direzione e coordinamento delle società del gruppo sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci oppure dalla società o ente che le controlla, direttamente o indirettamente, anche nei casi di controllo congiunto”. Il nuovo codice della crisi consente pertanto (di fare oggi quello che non era possibile nel regime della vecchia legge fallimentare, ossia) di affrontare una situazione di crisi “di gruppo” con uno strumento unitario e nell’ambito di un unico procedimento di regolazione. Si richiede, a monte, una decisione (che si manifesta come esercizio dell’at­tività di direzione e coordinamento) [87] in ordine alla tempestiva individuazione dello strumento di regolazione che appaia più opportuno ai fini della conservazione della continuità aziendale [88] dell’impresa di gruppo (anche parziale, se del caso), tra i vari all’uopo predisposti [89] dal nuovo codice e di intensità variabile, quanto al rapporto tra negozialità e giurisdizione [90], ove se ne dimostri la convenienza anche nell’interesse dei creditori e dell’economicità di gestione della procedura. L’approccio del nuovo codice alla regolazione unitaria della crisi di gruppo resta in ogni caso prudente e improntato, sul piano sostanziale, al (tendenziale) [...]


6. Il concetto di "controllo" nel t.u.b.

È assai interessante verificare ora come tali relazioni siano disciplinate in ambito bancario. Pur svolgendosi ormai in regime concorrenziale, l’attività bancaria resta comunque incisivamente regolamentata, anche in virtù dei risvolti d’interesse collettivo che ne connotano l’esercizio [102]; in questo senso, uno dei tasselli della vigilanza prudenziale (cui è sottoposta l’attività) del “gruppo bancario” è che l’acqui­sizione di quote di controllo (e di collegamento) su un’impresa bancaria è soggetta a preventiva autorizzazione nell’ambito della common procedure affidata al­l’Au­torità nazionale competente (per il nostro Paese, la Banca d’Italia) e alla BCE [103]. La nozione di “controllo” rilevante ai fini della vigilanza sul gruppo bancario è costruita su quella dell’art. 2359 c.c.; esistono però rilevanti addizioni e specificità [104] da considerare. In primo luogo la norma precisa che, a differenza di quanto stabilito nell’art. 2359 c.c., il controllo sussiste anche “con riferimento a soggetti diversi dalle società” (art. 23, primo comma, t.u.b.). In secondo luogo il perimetro del rapporto di controllo è più ampio rispetto a quello codicistico: si ha qui “controllo” anche “in presenza di contratti o di clausole statutarie che abbiano per oggetto o per effetto il potere di esercitare l’at­tività di direzione e coordinamento” (art. 23, primo comma, t.u.b.), con la possibilità di costituire, su tale presupposto, gruppi bancari cooperativi (art. 37-bis t.u.b.). Ne discende una rilevante differenza rispetto al diritto societario comune (nel quale la direzione e il coordinamento non richiede che vi sia anche una relazione di controllo). Anche in questo ambito vengono indicate alcune ipotesi tipiche, al ricorrere delle quali, e salva la prova contraria, l’esistenza di una relazione di controllo viene presunta (art. 23, secondo comma, t.u.b.) [105]. Di particolare interesse appaiono, sul piano ricostruttivo, la disposizione di cui al n. 1, che presume il controllo quando anche “sulla base di accordi”, vi sia “il diritto di nominare o revocare la maggioranza degli amministratori o del consiglio di sorveglianza”; il riferimento, in particolare nella [...]


7. Segue: il "gruppo bancario" e l’interesse "di gruppo" in ambito bancario.

Il “gruppo bancario” presenta elementi di specialità rispetto al gruppo societario comune innanzitutto perché, oltre a essere oggetto di una peculiare disciplina normativa, risulta avere, a fini prudenziali, un diverso perimetro, prendendo in considerazione solo i legami (di controllo e/o collegamento) tra “imprese bancarie, finanziarie e strumentali” (art. 60, primo comma, t.u.b.) [117]. Vi sono però anche differenze di tipo “qualitativo”. La nozione di gruppo bancario costituisce infatti il presupposto per l’esercizio della “vigilanza su base consolidata”, attraverso l’individuazione di una “capogruppo”, chiamata a esercitare l’attività di direzione e coordinamento [118] e a svolgere il delicato ruolo di “cerniera” tra le autorità di vigilanza (a seconda dei casi, Banca d’Italia e/o BCE) e le imprese controllate facenti parte del gruppo bancario [119]. Anzi, ai sensi del comma 4 dell’art. 61, “la capogruppo emana disposizioni alle componenti del gruppo per assicurare il rispetto e l’esecuzione dei provvedimenti di carattere generale e particolare impartiti dalla Banca d’Italia nell’in­teresse della stabilità del gruppo. Gli amministratori delle società del gruppo sono tenuti a fornire ogni dato e informazione per l’emanazione delle disposizioni e la necessaria collaborazione per il rispetto delle norme sulla vigilanza su base consolidata” [120]. Alla doverosità (della direzione unitaria per la capogruppo) sul piano attivo corrisponde dunque l’obbligatorietà, sul piano passivo, per gli amministratori delle controllate, di rispettarne le indicazioni (per tutte le società e imprese del gruppo bancario) quando l’attività abbia ad oggetto direttive e indicazioni concernenti materie rilevanti ai fini della stabilità [121]; con la conseguenza che la mancata esecuzione delle istruzioni di gruppo legittimamente impartite integra, in questo caso, una giusta causa di revoca degli amministratori della controllata [122]. La nozione di gruppo bancario rilevante “a fini prudenziali” non assorbe però quella “ordinaria” da codice civile (né la relativa disciplina): pertanto l’istituto bancario, oltre ad avere il dovere di indirizzare le controllate dove [...]


8. La nozione di "controllo" nel diritto antitrust.

Altro ambito nel quale le nozioni di controllo e di gruppo hanno avuto una peculiare elaborazione – sul piano normativo, giurisprudenziale e di prassi applicativa – è il diritto antitrust. La nozione di controllo rilevante in questa materia è, come noto, più ampia sia di quella civilistica che di quella dettata in ambito bancario [137]. Rispetto alla definizione dell’art. 2359 c.c. la prospettiva appare anzi “rovesciata”, nel senso che è considerato rilevante il controllo non tanto “sulla società” e “della società”, quanto “sull’impresa” e “dell’impresa”, con qualunque mezzo ottenuto. Il controllo “sulla società” può essere normalmente il mezzo per acquisire il controllo “sul­l’impresa”, o parte di essa (quale ne sia l’organizzazione formale e societaria). Tuttavia questo non è necessario (né, peraltro, sufficiente): infatti, se il controllo sulla società (o della società) fa di norma presumere l’esistenza del controllo sul­l’impresa (o dell’impresa), si tratta in ogni caso di una presunzione solo relativa [138], potendo inferirsi un diverso apprezzamento del controllo sull’impresa (o dell’impresa) – elemento cui si assegna preminente rilevanza – da tutta una serie di (altri) fattori in concreto capaci di incidere sull’effettività del potere di indirizzo e gestione. Con l’ulteriore precisazione, derivante da norme unionali (vincolanti per l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato e per il giudice nazionale anche in virtù del principio di interpretazione conforme sancito dall’art. 1, comma 4, della legge antitrust interna), che dove il diritto societario comune richiede, per integrare una relazione societaria di controllo, l’esercizio “effettivo” del potere di indirizzo (in particolare quanto al controllo esterno), in questo ambito, per verificare se vi sia stato un “cambio di controllo” (fattispecie normalmente rilevante ai fini dell’applicazione della disciplina sul controllo preventivo delle concentrazioni [139]) è sufficiente la mera “possibilità” di esercitarlo [140] (ma v. anche quanto precisato infra al par. 9 in ordine alla valutazione che occorre compiere ai [...]


9. Segue. il concetto di impresa di gruppo nel diritto antitrust. Single Economic Entity Theory, Parental Liability Presumption e principio di continuità economica e funzionale dell'impresa.

In materia antitrust la nozione di controllo è, dunque, particolarmente ampia e ha natura funzionale ed effettuale, ricomprendendo qualsiasi situazione, di fatto o di diritto, che consenta a un’impresa di esercitare, da sola o congiuntamente, direttamente o indirettamente, un’influenza determinante su un’altra impresa, con qualunque mezzo (anche non contrattuale); in conseguenza, qualsiasi forma di direzione e coordinamento (effettiva o potenziale) di una società su un’altra verrà automaticamente ricondotta entro la nozione di controllo e, dunque, nel perimetro dell’impresa di gruppo rilevante a fini concorrenziali. Ne discende, quale corollario, che i concetti di controllo e di attività di direzione e coordinamento tendono qui a sovrapporsi (diversamente da quanto accade in ambito societario e in modo analogo a quanto avviene nel gruppo bancario a fini di vigilanza). E questo anche in ragione del diverso concetto di “impresa di gruppo” che il diritto antitrust ha autonomamente elaborato, secondo i princìpi della c.d. Single Economic Entity (SEE): infatti, a fini concorrenziali, entità giuridicamente (e societariamente) indipendenti possono essere considerate come “un’unica impresa” qualora agiscano nel mercato, in una prospettiva d’osservazione squisitamente empirica, funzionale ed effettuale, come una “singola unità economica” [158]. Il concetto chiave per individuare una SEE è quello della “politica commerciale unitaria” [159]. In concreto, la sussistenza di un’unica impresa (e di un’unica entità economica) può essere desunta, anche in via indiretta, dall’insieme dei vincoli economici e giuridici e organizzativi intercorrenti fra la controllante e le proprie controllate, ben potendo inferirsi l’esistenza di una strategia unitaria dalla politica aziendale comune, dalla condivisione di piani operativi particolareggiati, dalla frequenza e dal livello di dettaglio richiesti ai fini dei report periodici, dalle regole relative agli investimenti, dalla dotazione finanziaria e dalla sua gestione operativa e così via, potendo questi fattori avere (singolarmente e/o nel loro combinarsi) ripercussioni dirette o indirette sul comportamento competitivo delle società controllate e dell’intero gruppo sul mercato di riferimento. Ne consegue (salvo quanto [...]


10. Notazioni conclusive.

L’analisi svolta in tema di elaborazione normativa e giurisprudenziale delle nozioni di controllo, gruppo e attività di direzione e coordinamento, pur nelle differenze segnalate, mostra in ogni caso un progressivo spostamento verso l’im­po­stazione oggettiva, a-formalistica ed effettuale, propria del diritto della concorrenza. Tale ben individuabile linea evolutiva verso un’interpretazione maggiormente orientata alla prevalenza del profilo sostanzialistico ed effettuale, che sembra emergere anche nell’ordinamento bancario e nel nuovo codice della crisi e dell’in­solvenza [183], pone tuttavia numerose questioni interpretative, che potrebbero assumere rilievo anche per il diritto societario comune [184]. La digressione sin qui condotta permette infatti di isolare taluni profili che sembrano poter assumere rilievo in un’ottica più generale e che si cercherà dunque di tratteggiare brevemente nelle note conclusive che seguono. In primo luogo, l’evoluzione normativa in atto [185] pare confermare l’intuizione, già espressa molti lustri orsono [186], secondo cui la nozione di controllo possa e debba appuntarsi non solo sul rapporto “tra società”, al quale la disposizione cardine dell’art. 2359 c.c. (positivamente, sul piano letterale) si riferisce, ma anche (e forse più perspicuamente) alle relazioni d’impresa ad essa sottese, andando oltre il dato formale dell’organizzazione societaria. Appare infatti sempre più sentita e positivamente riconosciuta l’esigenza di indagare (anche) il fenomeno sottostante del controllo “sull’impresa” obiettivamente considerata, quale ne sia l’artico­lazio­ne sul piano formale e societario [187]; e ciò non solo quanto all’oggetto (del controllo), ma anche quanto al soggetto (o alla pluralità di imprese e soggetti) cui la fattispecie di controllo debba essere imputata. Ne viene in sostanza che, per comprenderne appieno portata e valenza delle fattispecie normative di controllo, gruppo e attività di direzione e coordinamento (e fatte salve le peculiarità di singole definizioni normative, funzionali all’applica­zione di specifiche discipline, per specifiche finalità [188]) occorrerà ragionare avendo riguardo anche all’impresa sottostante [189], considerata sul [...]


NOTE
Fascicolo 1 - 2024