L’articolo si sofferma sul problema, sollevato da un noto caso giudiziario e negativamente risolto dalla Cassazione, della necessità che una clausola di roulette russa, contenuta in un patto parasociale, vincoli colui che formula il prezzo, rimettendo all’altra parte di decidere se acquistare le altrui partecipazioni o vendere le proprie, a determinarlo in misura almeno pari ad una certa soglia, corrispondente al valore patrimoniale delle partecipazioni, aumentato in ragione delle prospettive reddituali e dell’eventuale valore di mercato. L’a. argomenta la soluzione negativa, partendo da argomenti fondati dal diritto comune dei privati e quindi confortando la medesima soluzione alla luce del diritto societario, giungendo alla conclusione che l’equa valorizzazione delle partecipazioni non è richiesta neppure quando le clausole di roulette russa sono collocate nello statuto della società.
The article focuses on the problem, raised by a well-known judicial case and negatively resolved by the Court of Cassation, of the need for a Russian roulette clause, contained in a shareholders’ agreement, to bind the person who formulates the price, leaving it up to the other party to decide whether to purchase the other member’s shareholdings or to sell one’s own, to determine it to an extent at least equal to a certain threshold, corresponding to the asset value of the shareholdings, increased based on the income prospects and any market value. The A. stands for the negative solution, starting from arguments based on the common law of private individuals and then supporting the same solution in the light of company law, reaching the conclusion that an offer equal to the fair value of shareholdings is not required even when the Russian roulette clause is placed in the articles of association of the company.
1. La roulette russa come soluzione privatistica. - 2. Segue. Beni indivisibili, beni funzionalmente collegati, partecipazioni sociali. - 3. La roulette russa tra sociale e parasociale: equivoci e preconcetti. - 4. Quale tutela per il caso di abuso di una clausola di roulette russa? - NOTE
Il nostro codice civile [ad es., artt. 560, 720, 846 (abrogato), 1111, 1112, 1114] si occupa della divisione di beni indivisibili o non comodamente divisibili, assegnando prevalenza alla richiesta di assegnazione in natura di taluno dei condividenti e assicurando agli altri il diritto di ottenere una compensazione in danaro. La richiesta di assegnazione in natura prevale sulla vendita all’incanto a terzi. Il codice così chiarisce che l’obiettivo della divisione – e quindi l’interesse dei condividenti che l’ordinamento protegge – non è la massimizzazione del valore attraverso la vendita al migliore offerente, ma la realizzazione di un interesse anche affettivo, idiosincratico, dei condividenti. Non potendosi tale interesse soddisfare in capo a tutti e ciascuno, ne deve prevalere uno: il Giudice ha ampia discrezionalità nei criteri di scelta, ma di solito dovrà far prevalere il condividente (o i condividenti riuniti) con la quota maggiore. Al contrario, come ha confermato Cass. civ., sez. VI, 20 marzo 2019, n. 7869, non può essere preferito il condividente che offra di più degli altri (dunque, agli altri): e ciò proprio perché l’interesse che l’ordinamento protegge non è quello di massimizzare il ricavato dalla vendita. Se così non fosse, si dovrebbe sempre procedere con la vendita all’incanto. La medesima pronuncia della Suprema Corte ha tuttavia utilmente sottolineato come il fatto che non possa essere assegnata preferenza al migliore offerente dipende dagli interessi che la legge intende tutelare in assenza di un accordo. La legge, tuttavia, non vieta che i condividenti possano stipulare tra loro un accordo per assegnare prevalenza al migliore offerente, e cioè istituire un’asta. Di qui si pone l’interrogativo se, anziché un’asta al migliore offerente, le parti – soprattutto se solo due – possano anche stipulare un patto del tipo della roulette russa, assegnando a una di esse, in particolare, o a quella che decida per prima di agire, il potere di fissare il prezzo, rimettendo all’altra parte il potere di scegliere se acquistare (la quota altrui del bene indiviso) o vendere (la propria). La soluzione positiva a questo quesito necessita di alcuni passaggi. Anzitutto, occorre chiedersi e positivamente risolvere il dubbio se sia possibile assegnare ad una parte preindividuata di un [...]
Il ragionamento del paragrafo precedente conduce ad affermare che, se i due proprietari di un bene indivisibile – un dipinto, una statua, un gioiello – desiderano regolare ex ante come porre termine in futuro alla comunione, senza che il bene debba essere venduto all’incanto, possono convenire una clausola della roulette russa, attivabile al ricorrere di determinati eventi, tra cui il dissidio sull’uso turnario del bene, od oltre un certo termine, facendo sì che uno in particolare tra loro, o chi per primo assuma l’iniziativa, formuli un prezzo al quale è interessato ad acquistare l’altrui quota di comproprietà ed è al contempo disponibile a vendere la propria. Tale dichiarazione imporrà all’altro comunista di accettare la proposta di vendita o di formulare a sua volta proposta di acquisto alle medesime condizioni sulla quota del proponente, alla quale quest’ultimo avrà già prestato consenso nel momento in cui si è avvalso della facoltà attribuita dal patto. Il prezzo offerto non dovrà essere in alcun modo correlato a un valore oggettivo del bene, ma potrà tenere conto di qualunque elemento soggettivo – affettivo, idiosincratico – che dà valore a quel bene, e cioè essere anche del tutto arbitrario. Ciò è perfettamente lecito perché, tanto del maggiore quanto del minor prezzo, potrà approfittarne la parte a cui l’offerta è rivolta. E qualora, in casi eccezionali, detta parte non possa approfittare del prezzo reputato conveniente, o addirittura esagerato o vile, sussistendone i presupposti, potrà agire per l’accertamento che l’arbitraggio è stato fatto in modo non corretto, in quanto conduce a un prezzo, tanto iniquo da legittimare all’azione di rescissione, o è tale solo per la mala fede dell’arbitratore medesimo. In nessun caso, potrà sostenersi che il prezzo deve corrispondere al valore obiettivo della cosa comune onde ottenere una riquantificazione giudiziale del prezzo (una sorta di appraisal right) o, il che è sostanzialmente lo stesso, un risarcimento del danno pari alla differenza sperata (sul punto si tornerà in chiusura). Se così è per il diritto dei privati in materia di beni unici indivisibili, è ragionevole affermare che così debba essere anche per quei beni che [...]
Come è noto, in materia di azioni riscattabili, è prevista la regola di equa valorizzazione a vantaggio del socio costretto a cedere le proprie partecipazioni. Questa regola si trae dall’applicazione al riscatto delle disposizioni in materia di recesso, «in quanto compatibili» (art. 2437-sexies c.c.). Tra le regole richiamate vi è quella dell’art. 2437-ter c.c., la quale – in sostanza – afferma che il valore di recesso, e dunque il prezzo di riscatto, deve tenere conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni. Ragionamenti non dissimili possono farsi anche per le partecipazioni di s.r.l., a partire dalle regole sulla valorizzazione della quota in caso di esclusione (art. 2473-bis c.c.). Si è posto il dubbio se la regola di equa valorizzazione non debba considerarsi inapplicabile nei casi in cui il soggetto le cui azioni sono oggetto del riscatto possa a esso sottrarsi esercitando a sua volta un diritto di acquisto. Quest’ultimo problema è stato affrontato, e negativamente risolto, da parte del ceto notarile [8] a proposito delle clausole di drag-along e, successivamente, a proposito delle clausole di roulette russa [9]: questione sulla quale però altra parte dei notai ha assunto posizione diversa [10]. La giurisprudenza, dopo un primo tentennamento [11], ha confermato che non occorre applicare la regola di equa valorizzazione nel caso del drag-along [12], qualora all’oblato sia dato modo di liberarsi dalla soggezione alla vendita attraverso una prelazione a parità di condizioni: il che è scontato nella clausola della roulette russa che ha indefettibilmente tale struttura [13]. Più precisamente, il Consiglio Notarile di Milano, mentre afferma la necessità dell’equa valorizzazione in caso di drag-along, senza distinguere tra clausole sociali e clausole parasociali (questione che, tuttavia, singolarmente non è stata posta per il riscatto convenzionale), l’ha invece differenziata in materia di clausole di roulette russa, reputando che l’equa valorizzazione si imponga solo per quelle statutarie. Di contro, il Consiglio Notarile di Firenze afferma l’inapplicabilità della regola di equa valorizzazione a qualunque livello. Per quanto abbiamo visto finora, è [...]
L’approdo del precedente paragrafo impone di chiedersi quale tutela possa invocare colui che, pur posto di fronte a un’alternativa che consente una scelta vantaggiosa, non può approfittarne. Non può farlo perché l’altro socio, maliziosamente, ha approfittato di una situazione di fatto nella quale colui che avrebbe astrattamente una facoltà di scelta, non può esercitarla. Proviamo a immaginare una circostanza del genere, che peraltro appare l’unica prospettiva coltivata da chi si schiera a favore della regola di equa valorizzazione. Supponiamo che il socio che formula il prezzo sia perfettamente consapevole che l’altro socio ha subìto un incendio nella propria casa di abitazione, non assicurata, e non avendo risorse liquide disponibili, ha contratto un mutuo, per onorare il quale deve destinare una parte consistente del proprio reddito, per il resto necessario per mantenere la famiglia. Chi aziona il grilletto è quindi sicuro che, anche proponendo un prezzo vile, l’altro socio, oberato dal mutuo, e senza ulteriore merito di credito, e da spese esistenziali non evitabili, non sarà in grado di acquistare, ma dovrà vendere. Per quanto l’esempio possa suggerire sentimenti di solidarietà [15], non sembra potersi revocare in dubbio che anche in questo caso la clausola di roulette russa è e resta in sé valida. Si trae però l’ovvia conseguenza che si può abusare proprio di ciò che è lecito. L’abuso del diritto è un fatto giuridico rilevante, ma attrae altri rimedi. È riconosciuto pressoché unanimemente che, dimostrato l’animus nocendi quale movente unico o prevalente dell’esercizio del diritto, lo stesso può essere paralizzato con l’exceptio doli. È un rimedio, questo, che si connota per evitare un danno ingiusto, anziché ripararlo. Non è detto peraltro che tale rimedio possa essere esperito per tempo o che ne sussistano i presupposti. Non tutte le violazioni della buona fede, infatti, si connotano per l’animus nocendi di chi agisce. E poiché l’esercizio del diritto, nel caso delle clausole di roulette russa, ma non diversamente nelle clausole di trascinamento, conduce alla conclusione di un ulteriore contratto, l’acquisto o la vendita delle azioni, occorre comprendere come l’abuso – una [...]