L’articolo si sofferma sul problema, sollevato da un noto caso giudiziario e negativamente risolto dalla Cassazione, della necessità che una clausola di roulette russa, contenuta in un patto parasociale, vincoli colui che formula il prezzo, rimettendo all’altra parte di decidere se acquistare le altrui partecipazioni o vendere le proprie, a determinarlo in misura almeno pari ad una certa soglia, corrispondente al valore patrimoniale delle partecipazioni, aumentato in ragione delle prospettive reddituali e dell’eventuale valore di mercato. L’a. argomenta la soluzione negativa, partendo da argomenti fondati dal diritto comune dei privati e quindi confortando la medesima soluzione alla luce del diritto societario, giungendo alla conclusione che l’equa valorizzazione delle partecipazioni non è richiesta neppure quando le clausole di roulette russa sono collocate nello statuto della società.
The article focuses on the problem, raised by a well-known judicial case and negatively resolved by the Court of Cassation, of the need for a Russian roulette clause, contained in a shareholders’ agreement, to bind the person who formulates the price, leaving it up to the other party to decide whether to purchase the other member’s shareholdings or to sell one’s own, to determine it to an extent at least equal to a certain threshold, corresponding to the asset value of the shareholdings, increased based on the income prospects and any market value. The A. stands for the negative solution, starting from arguments based on the common law of private individuals and then supporting the same solution in the light of company law, reaching the conclusion that an offer equal to the fair value of shareholdings is not required even when the Russian roulette clause is placed in the articles of association of the company.
1. La roulette russa come soluzione privatistica. - 2. Segue. Beni indivisibili, beni funzionalmente collegati, partecipazioni sociali. - 3. La roulette russa tra sociale e parasociale: equivoci e preconcetti. - 4. Quale tutela per il caso di abuso di una clausola di roulette russa? - NOTE
Il nostro codice civile [ad es., artt. 560, 720, 846 (abrogato), 1111, 1112, 1114] si occupa della divisione di beni indivisibili o non comodamente divisibili, assegnando prevalenza alla richiesta di assegnazione in natura di taluno dei condividenti e assicurando agli altri il diritto di ottenere una compensazione in danaro. La richiesta di assegnazione in natura prevale sulla vendita all’incanto a terzi. Il codice così chiarisce che l’obiettivo della divisione – e quindi l’interesse dei condividenti che l’ordinamento protegge – non è la massimizzazione del valore attraverso la vendita al migliore offerente, ma la realizzazione di un interesse anche affettivo, idiosincratico, dei condividenti. Non potendosi tale interesse soddisfare in capo a tutti e ciascuno, ne deve prevalere uno: il Giudice ha ampia discrezionalità nei criteri di scelta, ma di solito dovrà far prevalere il condividente (o i condividenti riuniti) con la quota maggiore. Al contrario, come ha confermato Cass. civ., sez. VI, 20 marzo 2019, n. 7869, non può essere preferito il condividente che offra di più degli altri (dunque, agli altri): e ciò proprio perché l’interesse che l’ordinamento protegge non è quello di massimizzare il ricavato dalla vendita. Se così non fosse, si dovrebbe sempre procedere con la vendita all’incanto.
La medesima pronuncia della Suprema Corte ha tuttavia utilmente sottolineato come il fatto che non possa essere assegnata preferenza al migliore offerente dipende dagli interessi che la legge intende tutelare in assenza di un accordo. La legge, tuttavia, non vieta che i condividenti possano stipulare tra loro un accordo per assegnare prevalenza al migliore offerente, e cioè istituire un’asta. Di qui si pone l’interrogativo se, anziché un’asta al migliore offerente, le parti – soprattutto se solo due – possano anche stipulare un patto del tipo della roulette russa, assegnando a una di esse, in particolare, o a quella che decida per prima di agire, il potere di fissare il prezzo, rimettendo all’altra parte il potere di scegliere se acquistare (la quota altrui del bene indiviso) o vendere (la propria).
La soluzione positiva a questo quesito necessita di alcuni passaggi.
Anzitutto, occorre chiedersi e positivamente risolvere il dubbio se sia possibile assegnare ad una parte preindividuata di un rapporto giuridico (che si innesta su una situazione di fatto: la comunione) o a chi per primo agisca un potere tale da porre l’altra parte nella situazione di dovere compiere una scelta per non subire quella altrui. La soluzione è affermativa e non sembrano fruttuosi i tentativi di affermare che tale situazione crei una condizione meramente potestativa, come tale invalida (art. 1355 c.c.) [1]. In realtà, l’ordinamento conosce vari casi in cui una parte si assoggetta per patto a una scelta dell’altra, talvolta senza neppure riservarsi il diritto di scegliere a sua volta tra due opzioni: così è per le obbligazioni con facoltà alternativa (art. 1286 c.c.), per la vendita con riserva di gradimento (art. 1520 c.c.), per il contratto estimatorio (art. 1556); e si può aggiungere, per i contratti di finanziamento verso consumatori, rispetto al recesso anticipato, e così via. In altre parole, l’ordinamento consente che da un contratto liberamente concluso tra certe parti sorgano situazioni in capo a una di esse qualificabili nella categoria del diritto potestativo e, correlativamente, della soggezione.
In secondo luogo, occorre chiedersi e positivamente risolvere il dubbio se tra i diritti potestativi che possono essere assegnati a una parte vi sia anche quello di determinare il prezzo di un diverso contratto, alla cui conclusione le parti si assoggettano. Ancora una volta la soluzione pare potere essere affermativa [2], sul rilievo che le parti possono rimettere la determinazione del prezzo di una vendita cui abbiano consentito a un arbitratore e, secondo le indicazioni della più recente letteratura [3], questi può essere anche una delle parti. Su questo approdo si innesta un ulteriore dubbio: se le parti possano deferire l’arbitraggio a una di esse anche con mero arbitrio, come prevede l’art. 1349 c.c., o se sia indefettibile che la stessa si pronunci con equo apprezzamento, cioè sulla base di criteri obiettivi. A prescindere dalla soluzione che debba darsi sull’ammissibilità di un arbitraggio di una parte con mero arbitrio [4], la soluzione al quesito specifico sulla validità del patto di roulette russa sembra comunque affermativa: e, infatti, la possibilità di scelta tra acquisto e vendita da parte di chi riceve la formulazione del prezzo fa sì che quest’ultimo si possa sottrarre alle conseguenze che potrebbero discendere da un prezzo arbitrario, esagerato o vile, unilateralmente imposto [5]. Possibilità che, di norma, non spetta a chi si affida a un arbitraggio, sia esso con mero arbitrio o con equo apprezzamento. Con la conseguenza che non solo, di regola, il prezzo dovrà essere formulato con equo apprezzamento, affinché chi lo propone non ne abbia nocumento, ma può senz’altro affermarsi che se il prezzo formulato da una delle parti non rispondesse a equo apprezzamento, perché esagerato o vile, l’altra parte potrebbe approfittarne, acquistando o vendendo [6]. Va da sé che la parte pregiudicata dalla condizione di prezzo iniqua non potrebbe dolersene, essendo la causa stessa del danno che lamenta.
In terzo luogo, qualora, in casi estremi, una parte non potesse approfittare della formulazione di un prezzo esagerato o vile, la stessa non sarebbe priva di tutele, le quali tuttavia agirebbero non sulla validità del patto, ma solo sulla corretta esecuzione dello stesso, se del caso compromettendo la validità o efficacia della vendita che si realizza in forza del patto. Da una parte, infatti, non va dimenticato che è ben possibile contestare l’equo apprezzamento dell’arbitratore, se tale non sia, solo dimostrando che il contratto, una volta concluso, presenterebbe i connotati del contratto rescindibile per lesione (Cass. civ., sez. II, 30 dicembre 2004, n. 24183). Dall’altra parte, anche ammettendo che la determinazione del prezzo affidata ad una parte (preindividuata o non) darebbe corso a mero arbitrio, l’altra parte potrebbe avere tutela dimostrando la mala fede dell’arbitratore. Nell’uno e nell’altro caso, come è di tutta evidenza, la tutela della parte che si afferma pregiudicata non attiene alla validità della pattuizione che deferisce a una parte la formulazione del prezzo, ma alla corretta esecuzione della stessa: l’accoglimento della censura porta all’annullamento della vendita (per mala fede o per rescissione), ma la clausola resta in sé valida [7].
Il ragionamento del paragrafo precedente conduce ad affermare che, se i due proprietari di un bene indivisibile – un dipinto, una statua, un gioiello – desiderano regolare ex ante come porre termine in futuro alla comunione, senza che il bene debba essere venduto all’incanto, possono convenire una clausola della roulette russa, attivabile al ricorrere di determinati eventi, tra cui il dissidio sull’uso turnario del bene, od oltre un certo termine, facendo sì che uno in particolare tra loro, o chi per primo assuma l’iniziativa, formuli un prezzo al quale è interessato ad acquistare l’altrui quota di comproprietà ed è al contempo disponibile a vendere la propria. Tale dichiarazione imporrà all’altro comunista di accettare la proposta di vendita o di formulare a sua volta proposta di acquisto alle medesime condizioni sulla quota del proponente, alla quale quest’ultimo avrà già prestato consenso nel momento in cui si è avvalso della facoltà attribuita dal patto. Il prezzo offerto non dovrà essere in alcun modo correlato a un valore oggettivo del bene, ma potrà tenere conto di qualunque elemento soggettivo – affettivo, idiosincratico – che dà valore a quel bene, e cioè essere anche del tutto arbitrario. Ciò è perfettamente lecito perché, tanto del maggiore quanto del minor prezzo, potrà approfittarne la parte a cui l’offerta è rivolta. E qualora, in casi eccezionali, detta parte non possa approfittare del prezzo reputato conveniente, o addirittura esagerato o vile, sussistendone i presupposti, potrà agire per l’accertamento che l’arbitraggio è stato fatto in modo non corretto, in quanto conduce a un prezzo, tanto iniquo da legittimare all’azione di rescissione, o è tale solo per la mala fede dell’arbitratore medesimo.
In nessun caso, potrà sostenersi che il prezzo deve corrispondere al valore obiettivo della cosa comune onde ottenere una riquantificazione giudiziale del prezzo (una sorta di appraisal right) o, il che è sostanzialmente lo stesso, un risarcimento del danno pari alla differenza sperata (sul punto si tornerà in chiusura).
Se così è per il diritto dei privati in materia di beni unici indivisibili, è ragionevole affermare che così debba essere anche per quei beni che non sono unici e indivisibili, ma che acquistano un valore maggiore quando abbinati. Si pensi ai piani di un edificio destinato ad albergo di proprietà di diversi soggetti, ma destinati di comune accordo tra i proprietari a essere conformati per essere locati a un terzo albergatore, con separati seppur convergenti contratti. Alla scadenza dei contratti di locazione, qualora uno dei proprietari ritenesse di non volere più locare i propri beni al terzo albergatore, attuerebbe una scelta che si riverbera anche sull’altro proprietario. È tutt’altro che fantasioso, allora, immaginare un patto tra i due, volto a far sì che ciascuno di essi – in una situazione di dissidio sulla destinazione degli immobili – possa offrire di comprare l’altrui o vendere il proprio immobile, onde perseguire la strategia di impiego degli immobili ritenuta più profittevole. Anche in questo caso la fissazione del prezzo di acquisto o di vendita può essere liberamente rimessa a chi offre, il quale ben sa di esporsi a dover vendere se offrirà un prezzo basso, e invece di avere maggiori chances di acquisto se offrirà un prezzo più alto. Il prezzo, qui, non è verosimilmente dettato da elementi soggettivi condizionati dall’affezione, ma prevalentemente da scelte di tipo economico: anche queste possono peraltro essere soggettive – lo sfruttamento di opportunità commerciali, la maggiore disponibilità economica, e così via – e discendere da fattori che non sono parimenti rilevanti per chi intende acquistare o vendere.
Breve è il passo per giungere al tema delle partecipazioni sociali. Basta appunto immaginare che l’edificio destinato ad albergo sia complessivamente conferito a una società posseduta pariteticamente dai due soci, i quali potranno quindi stipulare il patto di roulette russa per riunire nelle mani di uno dei due l’intera partecipazione nella società immobiliare e così, attraverso la nomina degli amministratori, determinarne la strategia reputata migliore. È esattamente a questo punto che si innesta il dubbio se l’inserimento del patto a livello dei documenti costitutivi della società, atto costitutivo e statuto, muti e in che misura la regola di validità e le condizioni di esercizio di un patto che, viceversa, a livello parasociale è pacificamente retto dalle stesse regole di diritto privato che valgono per i beni unici indivisibili o per quelli che assumono maggior valore se abbinati.
Come è noto, in materia di azioni riscattabili, è prevista la regola di equa valorizzazione a vantaggio del socio costretto a cedere le proprie partecipazioni. Questa regola si trae dall’applicazione al riscatto delle disposizioni in materia di recesso, «in quanto compatibili» (art. 2437-sexies c.c.). Tra le regole richiamate vi è quella dell’art. 2437-ter c.c., la quale – in sostanza – afferma che il valore di recesso, e dunque il prezzo di riscatto, deve tenere conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell’eventuale valore di mercato delle azioni. Ragionamenti non dissimili possono farsi anche per le partecipazioni di s.r.l., a partire dalle regole sulla valorizzazione della quota in caso di esclusione (art. 2473-bis c.c.).
Si è posto il dubbio se la regola di equa valorizzazione non debba considerarsi inapplicabile nei casi in cui il soggetto le cui azioni sono oggetto del riscatto possa a esso sottrarsi esercitando a sua volta un diritto di acquisto. Quest’ultimo problema è stato affrontato, e negativamente risolto, da parte del ceto notarile [8] a proposito delle clausole di drag-along e, successivamente, a proposito delle clausole di roulette russa [9]: questione sulla quale però altra parte dei notai ha assunto posizione diversa [10]. La giurisprudenza, dopo un primo tentennamento [11], ha confermato che non occorre applicare la regola di equa valorizzazione nel caso del drag-along [12], qualora all’oblato sia dato modo di liberarsi dalla soggezione alla vendita attraverso una prelazione a parità di condizioni: il che è scontato nella clausola della roulette russa che ha indefettibilmente tale struttura [13].
Più precisamente, il Consiglio Notarile di Milano, mentre afferma la necessità dell’equa valorizzazione in caso di drag-along, senza distinguere tra clausole sociali e clausole parasociali (questione che, tuttavia, singolarmente non è stata posta per il riscatto convenzionale), l’ha invece differenziata in materia di clausole di roulette russa, reputando che l’equa valorizzazione si imponga solo per quelle statutarie. Di contro, il Consiglio Notarile di Firenze afferma l’inapplicabilità della regola di equa valorizzazione a qualunque livello.
Per quanto abbiamo visto finora, è sicuramente corretto escludere che le clausole di roulette russa convenute fuori dall’atto costitutivo siano soggette a equa valorizzazione. Ciò in quanto le stesse costituiscono espressione di autonomia privata, sul punto non limitata dall’ordinamento civilistico, se non nei casi di squilibrio tanto manifesto da dare corso a un contratto rescindibile. Ma anche per quanto attiene alle clausole statutarie, appare preferibile la posizione dei notai fiorentini, per una serie di ragioni.
È opportuno anzitutto ricordare che la ragione della collocazione statutaria di una clausola come quelle in discussione non è quella di attribuire loro un rilievo organizzativo che non avrebbero se estranee all’atto costitutivo, ma quella di conferire rilievo reale, cioè l’idoneità a essere opposte a chiunque aspiri a divenire socio, non solo a chi abbia direttamente concorso alla sua approvazione o introduzione. Nello stesso senso, infatti, rileva la collocazione statutaria o parasociale di clausole di intrasferibilità, di prelazione, o di gradimento, nelle quali si può pur riconoscere anche una, più o meno accentuata, valenza organizzativa. Pertanto, se la regola di equa valorizzazione si giustifica nel recesso e nel riscatto o nell’esclusione, quando è in gioco l’esistenza della partecipazione nei rapporti tra socio e società, e cioè perché l’esercizio di tali diritti ha rilievo organizzativo, la stessa non ha viceversa ragione di imporsi quando la clausola riguarda solo i rapporti tra soci o tra soci e terzi, e cioè la circolazione delle partecipazioni stesse. Il che potrebbe anche suggerire una certa lettura dell’art. 2437-sexies c.c., nel senso che le regole del recesso, e in specie quella di equa valorizzazione, si applicano solo quando a esercitare il riscatto è la società (al pari dell’esclusione), perché è ciò che determina la necessità di correlarle, in quanto compatibili, con la disciplina del recesso.
Non è ultroneo aggiungere, peraltro, che la tesi secondo cui la clausola statutaria di roulette russa sarebbe valida solo se il prezzo offerto dal socio sia almeno pari all’equa valorizzazione presenta tratti di contraddittorietà. Ed infatti, la stessa merita di essere esaminata anche alla luce delle indicazioni che il medesimo Consiglio Notarile di Milano ha dato in materia di clausole statutarie di prelazione impropria [14]. A tal riguardo, sostengono i notai milanesi che le clausole in parola siano senz’altro legittime, anche quando il prezzo al quale la prelazione può essere esercitata sia inferiore a quello offerto dal terzo. In questo caso, tuttavia, si ritiene che, ove mai il prezzo sia inferiore all’equa valorizzazione, la validità della clausola sia condizionata alla possibilità che al socio sia permesso di esercitare il recesso (il che esige de plano l’equa valorizzazione). L’indicazione che si trae da queste massime, allora, non è quella che occorre “subordinare” la formulazione del prezzo di esercizio della prelazione all’equa valorizzazione, né che occorre “correggere” il prezzo offerto affinché l’esercizio della prelazione possa considerarsi valido ed efficace; la prelazione è comunque correttamente esercitata e vincola l’alienante, ma a quest’ultimo deve spettare un “rimedio” per sottrarsi alla soggezione, peraltro non necessariamente equivalente alla vendita al terzo (il terzo potrebbe ben avere offerto un prezzo superiore al valore di recesso), e cioè il recesso.
Ebbene, chi sostiene questa tesi in materia di prelazione impropria dovrebbe per coerenza applicarla con gli opportuni correttivi anche in materia di clausole statutarie di trascinamento o della roulette russa. Il che darebbe corso a massime ben diverse da quelle invece a esse dedicate. Si dovrebbe infatti ritenere che la validità delle clausole di trascinamento o di roulette russa è subordinata non già a che il terzo o il socio formuli un’offerta almeno pari all’equa valorizzazione (soluzione esclusa in materia di prelazione impropria), ma a che, in caso di offerta a essa inferiore, sia consentito al socio trascinato o a quello cui è rivolta l’offerta di acquisto di sottrarsi a essa recedendo. Il che altro non sarebbe se non una forma di liberazione dalla soggezione, utile là dove la clausola di trascinamento non sia abbinata alla prelazione, ma fondamentalmente inutile (e probabilmente dannosa nell’articolazione del meccanismo di formazione del prezzo), là dove al socio è permessa altra soluzione per liberarsi dalla soggezione: e cioè il potere di acquistare al prezzo inferiore all’equa valorizzazione, quindi per definizione economicamente vantaggioso, onde non dover vendere.
In definitiva, quanto osservato porta a concludere che la collocazione sociale o parasociale delle clausole di roulette russa non richiede alcun mutamento di prospettiva: l’equa valorizzazione non è necessaria né a livello parasociale, né a livello statutario, perché altra è la salvaguardia – eguale nell’uno e nell’altro caso – prevista a tutela dell’oblato. Non entrano in gioco interessi ulteriori rispetto a quelli dei soci perché si tratta di clausole che attengono ai rapporti tra essi – anche se per ipotesi rispondenti a un astratto interesse della società a non dover essere liquidata (ove mai la società abbia un interesse alla propria sopravvivenza: interesse di cui fortemente si dubita) – la cui collocazione nell’atto costitutivo trova ragione nell’efficacia reale che tale collocamento consente, non nella volontà di conferire alle medesime un rilievo organizzativo che non avrebbero in un patto parasociale.
L’approdo del precedente paragrafo impone di chiedersi quale tutela possa invocare colui che, pur posto di fronte a un’alternativa che consente una scelta vantaggiosa, non può approfittarne. Non può farlo perché l’altro socio, maliziosamente, ha approfittato di una situazione di fatto nella quale colui che avrebbe astrattamente una facoltà di scelta, non può esercitarla.
Proviamo a immaginare una circostanza del genere, che peraltro appare l’unica prospettiva coltivata da chi si schiera a favore della regola di equa valorizzazione. Supponiamo che il socio che formula il prezzo sia perfettamente consapevole che l’altro socio ha subìto un incendio nella propria casa di abitazione, non assicurata, e non avendo risorse liquide disponibili, ha contratto un mutuo, per onorare il quale deve destinare una parte consistente del proprio reddito, per il resto necessario per mantenere la famiglia. Chi aziona il grilletto è quindi sicuro che, anche proponendo un prezzo vile, l’altro socio, oberato dal mutuo, e senza ulteriore merito di credito, e da spese esistenziali non evitabili, non sarà in grado di acquistare, ma dovrà vendere.
Per quanto l’esempio possa suggerire sentimenti di solidarietà [15], non sembra potersi revocare in dubbio che anche in questo caso la clausola di roulette russa è e resta in sé valida. Si trae però l’ovvia conseguenza che si può abusare proprio di ciò che è lecito. L’abuso del diritto è un fatto giuridico rilevante, ma attrae altri rimedi. È riconosciuto pressoché unanimemente che, dimostrato l’animus nocendi quale movente unico o prevalente dell’esercizio del diritto, lo stesso può essere paralizzato con l’exceptio doli. È un rimedio, questo, che si connota per evitare un danno ingiusto, anziché ripararlo. Non è detto peraltro che tale rimedio possa essere esperito per tempo o che ne sussistano i presupposti. Non tutte le violazioni della buona fede, infatti, si connotano per l’animus nocendi di chi agisce. E poiché l’esercizio del diritto, nel caso delle clausole di roulette russa, ma non diversamente nelle clausole di trascinamento, conduce alla conclusione di un ulteriore contratto, l’acquisto o la vendita delle azioni, occorre comprendere come l’abuso – una volta dimostrato – si rifletta su tale diverso negozio. L’ordinamento appresta una tutela nei casi estremi, in cui l’abuso ha dato luogo a un negozio i cui termini sono talmente sbilanciati, da far sì che la controprestazione pecuniaria valga meno della metà di quella in natura (le azioni acquistate). In tal caso – e si badi, solo in questo – l’ordinamento interviene per indurre le parti a un riequilibrio economico. Induce le parti, ma non impone loro il riequilibrio: come noto, il contratto rescindibile per lesione è annullabile, ma chi ha approfittato dell’altrui bisogno o necessità può offrire la riconduzione a equità.
Questo rilievo porta a rifiutare la tesi secondo cui, dimostrata la violazione della correttezza e buona fede – viola la correttezza e la buona fede anche chi, pur non mosso da animus nocendi, dia però corso a un’azione che pregiudica altrui interessi, senza apprezzabile sacrificio dei propri – il socio costretto a vendere potrebbe pretendere un risarcimento del danno pari alla differenza tra il prezzo pagato, reputato vile, e quello “equo”: è evidente che l’equa valorizzazione, come non condiziona la validità del patto o quella della vendita, così non può attribuire una pretesa ad un certo prezzo, in forma di risarcimento. Il risarcimento, infatti, non può attenere ad altro che al danno conseguente alla pretesa, invero più morale che patrimoniale, alla considerazione di propri interessi [16].
In definitiva, chi stipula un patto di roulette russa deve essere consapevole che l’altra parte potrebbe anche approfittarne e deve preoccuparsi, nel momento in cui ha la forza negoziale per conformare il contratto alla tutela dei propri interessi anche futuri, di disciplinare tale possibile scenario. Se non lo fa, non potrà pretendere che un giudice riscriva i termini del contratto che egli stesso non ha reputato di negoziare meglio (potere che il giudice non ha neppure di fronte ad un contratto rescindibile), ma solo chiedere di essere risarcito per la delusione dei propri interessi scorrettamente non considerati: per quel che valgono.
[1] Da ultimo, coltiva questa prospettiva, G. Cotillo, Russian roulette clause e arbitraggio della parte: profili di validità e suo (lecito) esercizio, in Contr. impr., 2023, 309, ivi a 312 ss.
[2] Mentre, per le ragioni esposte nel testo, non possono essere condivisi gli opposti argomenti svolti da G. Cotillo, (nt. 1), 313 ss.
[3] E v. F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli, Jovene, 1996, 189 ss.; A. Barenghi, Note sull’arbitramento della parte, in Studi in onore di Pietro Rescigno, Milano, Giuffrè, 1998, 71 ss.; Id., Determinabilità e determinazione unilaterale nel contratto, Napoli, Jovene, 2005, 152. Nella trattatistica v., inoltre, F. Galgano, Trattato di diritto civile, I, Padova, Cedam, 2009, 237; E. Gabrielli, I contratti in generale, I, in Trattato dei contratti, diretto da P. Rescigno, Torino, Utet, 2004, 864; C.M. Bianca, Diritto civile, 3, Il contratto, Milano, Giuffrè, 2000, 338; R. Sacco, Il contenuto (l’autonomia), in Trattato di diritto privato, diretto da P. Rescigno, 10, Obbligazioni e contratti, II, Torino, Utet, 2002, 420 s.; R. Scognamiglio, Contratti in generale, in Commentario Scialoja-Branca, Roma-Bologna, Zanichelli-Il Foro italiano, 1970, 362; P. Greco, G. Cottino, Della vendita, in Trattato di diritto civile, diretto da R. Sacco, Torino, Utet, 2006, 296.
[4] La dottrina citata alla nota precedente propende per la soluzione secondo cui l’arbitraggio della parte deve essere vincolato a criteri obiettivi di determinazione che restringano l’arbitrio del contraente nel cui interesse la clausola è posta (in questi termini, ad es., F. Macario, (nt. 3), 190).
[5] Per questa ragione, non colgono nel segno le osservazioni di G. Cotillo, (nt. 1), 318 ss.
[6] Celeberrimo al proposito il passaggio della sentenza Valinote v. Ballis (295 F.3d 666, 667, 7th Cir. 2000), nella cui motivazione il Giudice Easterbrook sottolinea come nella clausola di roulette russa, «the possibility that the person naming the price can be forced either to buy or to sell keeps the first mover honest».
[7] I rimedi all’arbitraggio sono da ultimo riesaminati anche da G. Cotillo, (nt. 1), 335 ss. il quale, tuttavia, trascura che l’intervento del giudice, anche quando ammesso a prescindere dalla mala fede dell’arbitratore, presuppone situazioni di squilibrio notevole, non semplice discordia tra le parti sul prezzo da reputarsi equo.
[8] Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 88/2005, Clausole statutarie disciplinanti il diritto e l’obbligo di “covendita” delle partecipazioni (artt. 2355-bis e 2469 c.c.) (22 novembre 2005).
[9] Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 181/2019, Clausola «anti-stallo» di riscatto o di acquisto forzato di partecipazioni sociali (c.d. clausola della «roulette russa» o clausola del «cowboy») (artt. 2437-sexies, 2473-bis c.c.) (9 luglio 2019). Nello stesso senso, anche a titolo personale, G.A. Rescio, Stalli decisionali e roulette russa, in Patrimonio sociale e governo dell’impresa. Dialogo tra giurisprudenza, dottrina e prassi in ricordo di G.E. Colombo, a cura di G.A. Rescio, M. Speranzin, Torino, Giappichelli, 2020, 355, ivi a 377 ss. e M. Notari, Exit forzato ed equa valorizzazione: un binomio indissolubile?, in AGE, 2021, 383, ivi a 401 ss. Per una replica v., tuttavia, N. de Luca, Una rivoltella puntata alla tempia (a proposito di clausole della roulette russa), in Riv. dir. civ., 2022, 863, ivi a 881, nt. 40.
[10] Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, Massima n. 73/2020, La clausola “russian roulette”: rilevanza organizzativa e autonomia statutaria, secondo cui la clausola è valida a prescindere dal fatto che venga fissato un corrispettivo di liquidazione nei termini del valore di recesso di cui agli artt. 2437-ter e 2473 c.c., ma, altresì, è valida a prescindere dall’indicazione di qualsiasi criterio per la determinazione del prezzo.
[11] Trib. Milano, 31 marzo 2008, in Società, 2008, 1373.
[12] Lodo Arb., 29 luglio 2008 (Arb. Un. Mazzoni), in Banca borsa tit. cred., 2009, II, 493, con nota sostanzialmente adesiva di C.F. Giampaolino, Clausola di co-vendita (dragalong) ed «equa» valorizzazione dell’azione.
[13] Lo conferma la giurisprudenza: Trib. Roma, 19 ottobre 2017, (tra l’altro) in Giur. it., 2018, 1136, con nota di M. Tabellini, La clausola parasociale della roulette russa al vaglio della giurisprudenza; e a App. Roma, 3 febbraio 2020, (tra l’altro in) Foro it., 2020, I, 1383, con nota di A. Capizzi; Cass. civ., sez. I, 25 luglio 2023, n. 22375, in Foro it., 2023, I, 3515, con ricche note di A. Capizzi, Patti parasociali di russian roulette e R. Grimaldi, La validità della russian roulette e il problema dell’equa valorizzazione: si può fare di più. Su queste pronunce si annoverano molti commenti. Sulla sentenza di primo grado, v. R. Rosapepe, La clausola c.d. russian roulette al vaglio della giurisprudenza, in ilSocietario.it, 2017; P. Divizia, Patto parasociale di russian roulette, in Società, 2018, 434; E. Mazzoletti, Valida la russian roulette clause, in Notariato, 2018, 301; A. Bernardi, La validità della clausola antistallo del tipo roulette russa, in Riv. dir. soc., 2018, 617; A. Leto, La validità della clausola della roulette russa, in Riv. not., 2018, 86; nonché B. Sciannaca, Russian roulette clause, in Giur. comm., 2019, II, 861; in relazione alla sentenza di secondo grado, v. E. Doria, L’ammissibilità della clausola “russian roulette” ed il suo perimetro negoziale nuovamente al vaglio della giurisprudenza, in Società, 2021, 144; C. Pasquariello, La clausola di roulette russa tra meritevolezza e validità, in Società, 2021, 154; E. Cicatelli, Partecipazioni paritetiche e stalli decisionali: atipicità e meritevolezza della russian roulette clause e F. Perreca, La clausola di russian roulette e il superamento dello stallo decisionale (deadlock), entrambe in Banca borsa tit. cred., 2020, II, 896, 939. Sebbene pubblicati come articoli, fanno ampio riferimento alle citate sentenze, anche F. Caselli, A.F.F. Sciortino, Clausola di roulette russa ed equa valorizzazione delle partecipazioni obbligatoriamente dismesse, in Contr., 2021, 311; G. Cotillo, (nt. 1), 309; C. Limatola, Clausole antistallo e tutela dell’azionista, in Banca borsa tit. cred., 2022, I, 88; S. Mazzamuto, Clausola di roulette russa, in Clausole Negoziali. Profili teorici ed applicativi di clausole tipiche ed atipiche, II, a cura di M. Confortini, Torino, Utet, 2019, 1205.
[14] Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 85/2005, Limiti di efficacia della clausola di prelazione c.d. “impropria” negli statuti di s.p.a. (art. 2355-bis c.c.) (15 novembre 2005) e Massima n. 86/2005, Clausola di prelazione c.d. “impropria” negli atti costitutivi di s.r.l. (art. 2469 c.c.) (15 novembre 2005).
[15] Che alle volte, tuttavia, conducono a fare affermazioni palesemente contrastanti con gli accertamenti giudiziali: in questo senso, ad es., G. Cotillo, (nt. 1), 310 s., il quale pur dimostra di conoscere i dettagli del caso Fintecna.
[16] È la tesi che ho compiutamente esposto in N. de Luca, (nt. 9), 883 ss.