Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Venture capital, preferenze di liquidazione e conflitti tra soci (di Marco Maugeri, Professore ordinario di diritto commerciale, Università Europea di Roma)


Il contributo, dopo una panoramica delle tipologie di clausole attributive di liquidation preferences più diffuse nella prassi del venture capital ed esaminati gli obietti negoziali di queste, si sofferma sui conflitti fra soci “ordinari” e soci “finanziatori” che tali clausole determinano. In particolare, sul versante dei conflitti generati dalla diversa distribuzione dei diritti patrimoniali fra soci, l’Autore evidenzia gli argomenti che potrebbero portare a superare le obiezioni mosse alla compatibilità di tali clausole con la causa lucrativa e con il divieto di patto leonino. L’Autore propone invece l’utilizzo di un criterio “concorsuale” (basato, cioè, sul raffronto fra il valore di funzionamento dell’impresa e il valore di liquidazione) per la soluzione dei conflitti che si manifestano ogniqualvolta si tratti di decidere se attuare una operazione idonea a integrare un evento di liquidità oppure proseguire nell’esercizio dell’impresa su base stand-alone

Venture capital, preferenze di liquidazione e conflitti tra soci

The article, after an overview of the types of liquidation preferences clauses most popular in venture capital practice and examining the business purposes of these clauses, dwells on the conflicts between “ordinary” and “financing” shareholders that such clauses give rise to. In particular, with respect to the conflicts arising from the different distribution of property rights among shareholders, the Author highlights those arguments that could lead to overcome the objections raised to the compliance of such clauses with the lucrative cause and the prohibition of leonine stipulation (divieto di patto leonino). The Author then suggests the use of a “bankruptcy” principle (i.e., one based on a comparison between the firm’s going-concern value and the liquidation value), for settling the conflicts that arise whenever a decision is to be made as to whether to implement a transaction which incorporates a liquidity event or to continue operating the firm on a stand-alone basis.

Sommario/Summary:

1. Liquidation preferences: la terminologia. - 2. Segue: la tipologia. - 3. Segue: gli obiettivi. - 4. Segue: la specificità «funzionale». - 5. Segue: la specificità «organizzativa». - 6. Verso una nuova figura di conflitto tra soci? - NOTE


1. Liquidation preferences: la terminologia.

Un aspetto centrale dell’investimento dei fondi di venture capital in società di recente costituzione è rappresentato dalle c.d. “liquidation preferences” (o “preferenze di liquidazione”), vale a dire clausole che attribuiscono al fondo il diritto ad esser preferito in sede di distribuzione della liquidità derivante dal perfezionamento di determinate operazioni (c.d. «eventi di liquidità» o «eventi di riparto»). L’utilizzo del termine “liquidation preferences” va peraltro precisato sotto un duplice profilo. In primo luogo, il riferimento al concetto di «liquidazione» deve essere inteso in senso a-tecnico, ossia non solo come diritto che sorge in occasione di una operazione di disinvestimento collettivo a seguito dello scioglimento della società [1], ma, più ampiamente, come vicenda che dà luogo a una monetizzazione integrale o parziale dell’attivo della società [2] (c.d. “asset deal”) o a una monetizzazione integrale o parziale dell’investimento del fondo di VC (c.d. “share deal”) [3]. In secondo luogo, l’esito dell’attribuzione al socio venture capitalist di una posizione preferenziale può essere raggiunto sia riconoscendogli, appunto, una preferenza “positiva”, e cioè un privilegio patrimoniale nelle forme peculiari di cui si dirà fra breve, sia assegnando al socio fondatore/imprenditore partecipazioni connotate da una preferenza “negativa”. È questo il caso delle c.d. “growth shares” le quali attribuiscono al possessore il diritto di partecipare alla distribuzione di utili e altri proventi sociali solo a partire dal momento in cui, e sempre che, il valore dell’impresa sia superiore a quello che essa aveva al momento dell’ingresso del fondo di venture capital nella compagine sociale. Si tratta, in sintesi, di un fascio di regole di subordinazione che operano con riguardo alla distribuzione degli utili, dell’avanzo di liquidazione e dei ricavi derivanti dalla alienazione a terzi del controllo della società [4]. Scopo di questa peculiare configurazione contrattuale è quello di allineare gli incentivi del top management alla posizione di interesse del socio finanziatore, secondo un meccanismo analogo ai sistemi di compensi degli amministratori esecutivi che [...]


2. Segue: la tipologia.

Nella prassi negoziale delle operazioni di venture capital le clausole recanti preferenze di liquidazione per il fondo possono essere raggruppate, con una forte (ma necessaria) dose di semplificazione, in due tipologie principali: le c.d. “non-participating liquidation preferences” e le c.d. “participating liquidations preferences” [5]. Nel primo caso (“non-participating liquidation preferences”) il privilegio patrimoniale del fondo si traduce nel diritto di ricevere, al verificarsi di un evento di liquidazione e in via preferenziale rispetto al socio fondatore (o, più in generale, rispetto agli altri soci non egualmente privilegiati), il maggior valore tra l’importo originariamente investito (eventualmente aumentato di un multiplo o di un rendimento minimo, definito “hurdle rate” e il più delle volte compreso tra il 5% e il 12% dell’ammontare dell’investimento iniziale) e quanto il socio privilegiato riceverebbe nel caso di una distribuzione dei proventi proporzionale alla quota di partecipazione al capitale sociale detenuta dal fondo (c.d. “distribuzione pari passu”). Una variante di tale conformazione consiste nel costruire il privilegio patrimoniale come diritto di ricevere un importo predefinito (sempre al verificarsi di eventi di riparto) ma con la facoltà del fondo di convertire la partecipazione privilegiata in una partecipazione “ordinaria”; una opzione, questa, che verrà esercitata dal fondo ogniqualvolta il ritorno sull’investimento conseguibile partecipando pro-quota (cioè in misura proporzionale e quindi subendo il concorso degli altri soci) al plusvalore generato dall’operazione alla base dell’evento di riparto sia superiore all’ammontare del proprio investimento originario (eventualmente aumentato di un multiplo) [6]. È possibile però anche che il socio fondatore si protegga pretendendo una conversione «automatica» della quota privilegiata del fondo in una quota ordinaria al conseguimento di determinati obiettivi reddituali, al fine di prevenire comportamenti opportunistici del fondo [7]. Nell’ipotesi di «participating liquidations preferences», per contro, il venture capitalist ha non solo il diritto di ricevere in via preferenziale l’intero importo investito (aumentato eventualmente di un multiplo o dell’hurdle rate) ma [...]


3. Segue: gli obiettivi.

Obiettivo negoziale delle liquidation preferences è quello di minimizzare i «costi di agenzia» del socio finanziatore, dipendenti sia dall’asimmetria informativa che affligge la decisione di investimento del venture capitalist (asimmetria particolarmente accentuata nel caso di start-up i cui redditi futuri sono di solito assai difficili da stimare prospetticamente in modo affidabile), sia dal rischio che, una volta effettuato l’investimento, il socio fondatore assuma comportamenti opportunistici finalizzati a estrarre benefici privati in danno del patrimonio sociale e quindi del valore della partecipazione detenuta dal venture capitalist [10]. Il privilegio da “liquidazione” contribuisce a ridurre entrambe le tipologie di costi. Da un lato, esso offre una risposta al tradizionale problema della «selezione avversa» generato, appunto, dall’asimmetria informativa tra il “produttore” (nel caso in esame: il socio fondatore) e il “consumatore” (il fondo di venture capital) di un determinato bene (il valore della partecipazione sociale) in quanto consente al fondatore di segnalare al mercato “privato” dei capitali la serietà dell’iniziativa e il proprio convincimento che il valore della società sia superiore a quello delle preferenze di liquidazione accordate al VC [11]. Emerge, sotto questo profilo, una marcata analogia con altre regole del diritto societario la cui osservanza, comportando un costo per gli insiders (soci di controllo e amministratori), è idonea a svolgere una funzione segnaletica nei confronti degli outsiders, i quali saranno indotti a finanziare il progetto imprenditoriale dei fondatori in misura tanto maggiore quanto più intenso è il vincolo che gli insiders si auto-impongono attraverso quelle regole [12]. Dall’altro lato, l’introduzione di clausole aventi a oggetto liquidation preferences favorisce l’allineamento di interessi tra venture capitalist e fondatore in quanto contribuisce a mitigare il rischio di comportamenti strategici da parte del socio di controllo; quest’ultimo, infatti, sarà incentivato a massimizzare il valore dell’impresa al fine di assicurarsi la possibilità di un ritorno sull’in­vestimento dopo aver soddisfatto il privilegio da liquidazione spettante al socio VC.


4. Segue: la specificità «funzionale».

Al pari di ogni clausola che alloca diritti “proprietari” tra i soci, anche quella concernente le liquidation preferences determina un potenziale conflitto di interessi tra il socio beneficiario del privilegio e il socio “ordinario”. Se valutato nella cornice teorica dei rapporti di agenzia [13], questo conflitto presenta, peraltro, alcune caratteristiche che ne rivelano la specificità. In primo luogo, si può osservare che la previsione di liquidation preferences aggiunge alla dimensione tradizionale del conflitto tra soci – indotto, sia in una società «chiusa» sia in una società «aperta» [14], dalla differente allocazione dei diritti amministrativi – una nuova dimensione derivante, questa volta, dalla diversa distribuzione dei diritti patrimoniali. Si tratta di un conflitto la cui rilevanza giuridica si percepisce, di solito, quando si è di fronte a un problema di determinazione del valore delle singole partecipazioni [15]; nel contesto delle società finanziate da fondi di VC, tuttavia, quel conflitto si proietta oltre il momento statico della valutazione economica per influenzare dinamicamente le scelte inerenti alla gestione dell’impresa. La specificità del conflitto tra socio VC e socio imprenditore si coglie, in secondo luogo, sul piano della collocazione sistematica del problema sollevato dalla previsione di una liquidation preference. Nel dibattito interno, i limiti alla legittimità di privilegi patrimoniali in favore del VC sono tradizionalmente inquadrati in una prospettiva «funzionale» e cioè in termini di coerenza con principi fondanti del diritto societario quali la causa lucrativa e il divieto di patto leonino. Questo modo di impostare il problema si giustifica, effettivamente, soprattutto nel caso delle “participating liquidation preferences” le quali, come ricordato in precedenza, attribuiscono al VC non solo il diritto di recuperare un importo fisso pari all’investimento inizialmente effettuato ma garantiscono in via aggiuntiva anche un ammontare variabile in ragione della consistenza del profitto realizzato a seguito del verificarsi di un evento di liquidità. Tuttavia, non mancano indicazioni che potrebbero attenuare la rilevanza di una tale prospettiva. La prima considerazione da svolgere al riguardo è che sussiste una indubbia esigenza della prassi [...]


5. Segue: la specificità «organizzativa».

Un diverso modo di impostare il problema dell’inquadramento giuridico delle liquidation preferences consiste nell’adottare una prospettiva non più funzionale ma «organizzativa», guardando cioè alla posizione fiduciaria degli amministratori come soggetti obbligati a massimizzare il valore del patrimonio sociale nell’in­teresse comune dei soci. Questo filone di pensiero è diffuso negli Stati Uniti, anche grazie a un consolidato orientamento giurisprudenziale che tende ad assimilare la posizione del fondo di VC a quella di un quasi-creditore della società [25] e a ricostruire i doveri fiduciari degli amministratori come rivolti soltanto ai possessori di azioni ordinarie, cioè della classe di soggetti che ha espresso la maggioranza consiliare (c.d. «contingent-control approach») [26]. In un sistema come quello domestico (e, più in generale, nei principali ordinamenti dell’Europa continentale) gli amministratori sono invece chiamati a massimizzare il valore aggregato delle azioni (ordinarie e privilegiate), indipendentemente dalla “provenienza” della nomina; essi sono tenuti, dunque, a ponderare i diversi interessi dei soci ordinari e dei soci privilegiati e a resistere sia a comportamenti opportunistici del socio fondatore sia a comportamenti opportunistici del socio VC [27]. Ciò non esclude tuttavia (ma, al contrario, enfatizza) la necessità di individuare un criterio di soluzione del «conflitto» che si manifesta tra l’interesse dei soci ordinari e l’interesse dei fondi di VC ogniqualvolta si tratti di decidere se attuare una operazione (di competenza assembleare o consiliare) idonea a integrare un evento di liquidità (realizzando così l’interesse del socio investitore) oppure proseguire nell’esercizio dell’impresa su base stand-alone (realizzando così l’inte­resse del socio imprenditore). La difficoltà di rintracciare un criterio affidabile al riguardo è accentuata dalla peculiare posizione nella quale si trova il fondo di VC, il cui interesse non si orienta alla massimizzazione del valore della singola partecipazione bensì al disinvestimento entro un orizzonte temporale definito per reinvestire il ricavato in altre imprese che presentino prospettive reddituali più favorevoli. In altri termini, il socio VC avrà [...]


6. Verso una nuova figura di conflitto tra soci?

Le riflessioni formulate inducono a una conclusione provvisoria ma forse utile come punto di partenza per indagini supplementari: il problema dell’allocazione dei «diritti patrimoniali» tra socio fondatore e socio VC costituisce il momento di emersione di un nuovo costo di agenzia che sembra caratterizzare non solo le società aperte ma, più in generale, qualsiasi iniziativa economica collettiva che veda la partecipazione di un investitore «diversificato» (tipicamente: un fondo comune di investimento, aperto o chiuso o comunque “specializzato”). Si tratta, infatti, di un conflitto la cui soluzione impone un delicato bilanciamento di interessi e, prima ancora, una scelta metodologica di vertice in ordine agli strumenti concettuali con i quali procedere al suo inquadramento (art. 2373 c.c., abuso di maggioranza, principio dell’«assenza di pregiudizio»). Più in generale, la sensazione è che, in presenza di investitori diversificati, il diritto societario moderno sia chiamato a chiedersi se siano ancora attuali contrapposizioni “classiche” come quelle tra maggioranza e minoranza o tra possessori di diverse categorie di azioni o se sia piuttosto necessario andare oltre per elaborare criteri autonomi di valutazione normativa del conflitto che tengano conto della reale natura dei soggetti coinvolti: da un lato, soci che hanno effettuato un investimento firm-specific e che sono, pertanto, portatori di un interesse alla redditività e al valore di una singola partecipazione [37]; dall’altro, soci «diversificati» i quali, proprio in quanto agenti in una logica di portafoglio, risultano invece portatori di un interesse alla redditività e al valore di un insieme di partecipazioni [38].


NOTE
Fascicolo 1 - 2024