Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
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Clausole di trascinamento (c.d. drag-along): equa determinazione del valore vs equa valorizzazione (di Carlo Felice Giampaolino, Professore ordinario di diritto commerciale, Università degli Studi di Roma Tor Vergata)


L’articolo affronta il dibattito sulla necessità da parte delle clausole statutarie di drag-along di un rinvio obbligatorio al valore di recesso e riscatto e indaga sull’applicazione analogica delle disposizioni sulla “equa valorizzazione”. L’autore mette in discussione la fondatezza di tale analogia e argomenta che, nella clausola di trascinamento, la mancanza di un valore minimo “floor” può essere giustificata. L’esame si concentra su questioni procedurali, economiche e di autonomia statutaria, e sostiene che la equità nel procedimento di determinazione possa sostituire il rinvio al procedimento di valorizzazione usato per le ipotesi di recesso e riscatto.

Drag-along clauses and fair value

The article delves into the debate – in the context of drag-along clauses provided in the bylaws –, surrounding the necessity of mandatory reference to the fair value in withdrawal and buyout scenarios, while exploring the analogical application of the provisions regarding “fair valuation”. The author questions the coherence of such an analogy and argues that, in the drag-along clause, the absence of a minimum “floor” value can be justified. The analysis focuses on procedural, economic, and autonomy issues, contending that fairness in the determination process may replace the reference to the valuation process used in withdrawal and buyout scenarios.

Sommario/Summary:

1. Il problema - 2. Le ragioni per l'applicazione analogica della disciplina del recesso e del riscatto. - 3. Critica del ricorso all’analogia. L'equa determinazione sostituisce l'equa valorizzazione. - 4. Il controllo in sede di omologazione per il caso di unanimità. - NOTE


1. Il problema

È diffusa – e direi prevalente – la tesi per la quale la clausola di trascinamento statutaria per essere valida deve rinviare ai criteri del recesso, quale c.d. floor o valore minimo per la sua validità [1], oppure non deve contenere disposizioni che si pongano in contrasto con le norme sulla liquidazione delle azioni in caso di recesso e riscatto (oppure le escludano). Nel caso del trasferimento di azioni da parte di un Venture Capitalist, questa tesi è contraria agli interessi economici dell’investitore che non potrebbe trascinare l’altro socio sulla base della sola offerta del terzo [2]. Sempre sul piano economico, l’interesse dell’acquirente si rivolge all’intero capitale emesso e la proprietà delle partecipazioni spetta a soggetti diversamente interessati a rimanere soci (alcuni ad es. ricoprono incarichi o lavorano per la società e col nuovo socio sarebbero allontanati) [3]. Il «diritto del Patrimonio Destinato di ottenere la vendita della partecipazione da parte dei soci di maggioranza in caso sia opportuna la cessione del controllo sulla società» è anche previsto per il disinvestimento della Cassa Depositi e Prestiti ex art. 13, terzo comma, lett. b, n. 3, d.m. 3 febbraio 2021, n. 26, regolamento concernente i requisiti di accesso, le condizioni, i criteri e le modalità degli investimenti del Patrimonio Destinato. Sul piano giuridico, le clausole di accordi parasociali e, ove possibile, dello statuto intendono riunificare in uscita la compagine e sostituirla con una nuova. Nei contratti di investimento, l’uscita del Venture Capitalist è tipicamente trattata nella documentazione accessoria all’investimento: come risultato di una OPV oppure come risultato di un trasferimento di azioni, inclusa la fusione, o dell’azienda o di una parte sostanziale dei beni. Ciò ha portato alla considerazione che la nostra disciplina avrebbe bisogno di un intervento normativo per superare alcuni ostacoli [4]. La differenza emerge in modo vistoso anche se si tiene conto di una recente decisione della Corte del Delaware. Nel contesto di una motion to dismiss, il giudice ha valutato non invalido, prima facie, un accordo contrattuale tra un Venture Capitalist e i suoi soci. In tale accordo, gli altri soci, anche una persona fisica amministratore, avevano il diritto di trascinare il VC e ottenere la vendita [...]


2. Le ragioni per l'applicazione analogica della disciplina del recesso e del riscatto.

Secondo la tesi più rigorosa, il meccanismo sotteso alla clausola di c.d. co-vendita forzosa (drag-along) impone il compimento di un atto di trasferimento azionario a prescindere da un effettivo consenso attuale dell’interessato nella stessa direzione e quindi replica precisamente i tratti di “forzosità” propri delle clausole di riscatto azionario, la cui disciplina a sua volta rinvia al recesso (ex art. 2437-sexies c.c.) [9]. Secondo questa tesi, la clausola di co-vendita non può che suscitare le stesse esigenze di tutela (nei confronti del soggetto passivo del meccanismo forzoso) evidenziate e risolte in termini di disciplina nel caso del riscatto azionario. Ogni diversa soluzione condurrebbe, di necessità, a forme di disparità del tutto arbitrarie quindi illegittime. Quando la clausola di trascinamento individua il corrispettivo spettante al socio di minoranza (forzato) alienante mediante rinvio, puro e semplice, alla cifra offerta dall’aspirante acquirente al socio di maggioranza, la formazione dell’im­porto di detto corrispettivo non è ancorata ad alcun criterio volto ad assicurarne in modo obiettivo e controllabile la corrispondenza a parametri di mercato. Secondo questa tesi, la scelta rigorosa imposta per le azioni riscattabili dall’art. 2437-sexies c.c. non ha carattere isolato e costituisce un punto di emersione di un più ampio principio (che taglia trasversalmente il campo societario e finanziario) teso, sempre e inderogabilmente, a garantire la tutela degli investitori che subiscano (nelle ipotesi eccezionalmente previste dalla legge) lo “smobilizzo” e il trasferimento forzoso dei loro valori. Si può riferire ad esempio: art. 2506-bis, sesto comma, c.c., in base al quale il progetto di scissione, ove preveda una «ripartizione non proporzionale» tra i soci delle partecipazioni nelle società beneficiarie, «deve prevedere il diritto dei soci che non approvino la scissione di far acquistare le proprie partecipazioni per un corrispettivo determinato alla stregua dei criteri previsti per il recesso…»; l’art. 108, commi terzo, quarto e quinto e l’art. 111, secondo comma, t.u.f., che – in relazione all’obbligo e al diritto di acquisto spettanti a chi, a seguito di un offerta pubblica di acquisto, venga a detenere la gran parte del capitale di un emittente – disciplinano [...]


3. Critica del ricorso all’analogia. L'equa determinazione sostituisce l'equa valorizzazione.

Si è detto che il rinvio ai precetti della equa valorizzazione contenuti nei commi primo, secondo, terzo, quarto e sesto dell’art. 2437-ter c.c., operato dall’art. 2437-sexies c.c., sarebbe suscettibile di applicazione analogica nei confronti di tutte le ipotesi “atipiche” di exit forzato, caratterizzate dall’assoggettamento al potere della società o di altri soci di rendersi acquirenti delle azioni a fronte di una liquidazione in denaro. Ciò determina, secondo questa tesi, la nullità – parziale [11] – di ogni criterio che sia diverso da quello del recesso, fissato anche per il riscatto. Tale inderogabilità determinerebbe la nullità anche di una clausola che rinvia all’offerta del terzo e non al recesso/riscatto come clausola a tempo (per es. per i primi 8 anni, coerenti con i tempi dei fondi di investimento) o condizionata a certi eventi (il mancato avvio di una OPV), perché ciò che è nullo per contrasto con un preteso principio inderogabile non potrebbe diventare valido per un certo periodo di tempo. E tale conseguenza radicale deve essere tenuta in considerazione. In ogni caso, è mia opinione che la tesi della nullità della clausola di drag-along che non si riferisca al valore di recesso o riscatto nella determinazione del prezzo o che non preveda la revisione in caso di prezzo inferiore, per effetto dell’applicazione della disciplina del recesso e del riscatto alla fattispecie del diritto al trascinamento statutario, non sia pienamente fondata. In primo luogo, sul piano delle fonti del rapporto, per privare di efficacia la determinazione del prezzo per relationem al contratto tra trascinante ed acquirente, occorre applicare le due specifiche disposizioni che prevedono la nullità di clausole di recesso/riscatto (2437-ter, c.c., 2437-sexies, c.c.) e dimostrare che siano applicabili anche se sono previste per altra fattispecie tipica. La prima disposizione è quella norma di chiusura sul recesso che sancisce la nullità delle diverse previsioni che lo rendano più gravoso (2437, sesto comma, c.c.). Occorre poi ritenere che la disposizione dell’art. 2347-ter sui criteri di valutazione sia inderogabile in tutti i casi, e quindi che la clausola di trascinamento senza floor sia nulla per nullità virtuale. A me pare che, sul piano delle fonti, la conclusione che applica le [...]


4. Il controllo in sede di omologazione per il caso di unanimità.

Una ulteriore ragione a favore della clausola senza fissazione del c.d. floor nel valore di riscatto è nello spazio di potere di controllo dell’autonomia privata sullo statuto. Se si tiene conto del giudizio del tribunale e di quello sull’omologazione rifiutata dal notaio, esso deve essere costante in sede di costituzione come in sede di modifica. La tesi c.d. restrittiva (o paternalistica [20]) finisce per dover dimostrare che i soci in sede di costituzione, e cioè all’unanimità, non possano inserire una clausola sulla quale sono tutti d’accordo in quanto essa è illegittima per asserita contrarietà ad un principio inderogabile generale per la tutela dei soci futuri, e non possano accettare un diverso regolamento di interessi che rispetta sostanzialmente l’art. 1349 c.c. Al riguardo, i provvedimenti del Tribunale di Milano in sede di omologazione ampiamente negativi sembrano ispirati a diffidenza verso l'accordo tra socio e terzo, e in qualche modo contraddittori. Il primo – del 2011 – sembra escludere la introduzione a maggioranza (ritenendo necessario il consenso), ma esclude al tempo stesso il recesso, come strumento di tutela. Come a dire, visto che non c’è il recesso non si può introdurre, se non all’unanimità. Il che – si rileva sommessamente – inverte l’ordine problema-soluzione, e aderisce alla posizione delle socie controricorrenti contro l’omologa rifiutata dal notaio, che sostenevano appunto la necessità dell’unanimità [21]. Il secondo provvedimento [22] affronta una deliberazione di modifica, presa questa volta all’unanimità, ma, con ampia analisi ed argomenti sistematici, non ammette la clausola in quanto sostiene l’applicazione analogica delle norme sul recesso per «contemperare l’accresciuto potere attribuito alla maggioranza assembleare», riferendosi all’ipotesi di vendita della maggioranza. Nella specie mancava tale rinvio e quindi si rigettava l’iscrizione. A me pare che sia il tribunale, sia il notaio abbiano a che fare con una clausola che abbia un oggetto non illegittimo nel suo contenuto astratto, perché l’unani­mità dei soci ha quello spazio di autonomia per rinviare anche in caso di statuto a quanto si potrebbe pattuire per l’acquisto o vendita di un altro bene, né mi pare che [...]


NOTE
Fascicolo 1 - 2024