L’articolo ripercorre la biografia del giurista Benvenuto Stracca (1509-1578), noto alla comunità scientifica internazionale come il “padre della scienza commercialistica” per aver pubblicato, nel 1553, il Tractatus de mercatura seu mercatore, la prima opera dedicata al diritto commerciale come disciplina autonoma.
Il profilo del celebre giurista anconetano viene tracciato attraverso una disamina dei diversi contributi che, nel corso di più di centotrentacinque anni, hanno analizzato la vita e le opere dello Stracca, incluse recentissime ricerche d’archivio che hanno riportato alla luce documenti a lungo ritenuti persi.
Ne emerge la figura di un giurista straordinariamente innovativo nella scelta di dare dignità scientifica ad una branca del diritto fino ad allora relegata ai margini del diritto civile ma al contempo ancora profondamente legato alla tradizione del diritto comune romano-canonico.
This article traces the biography of jurist Benvenuto Stracca (1509-1578), known to the international scientific community as the “father of commercial law doctrine” for having published, in 1553, the Tractatus de mercatura seu mercatore, the first work devoted to commercial law as an autonomous discipline.
The profile of the famous jurist from Ancona is traced through an examination of the various contributions that, over the course of more than one hundred and thirty-five years, have analysed Stracca’s life and works, including very recent archive research that has brought to light documents long believed to be lost.
What emerges is the figure of a jurist who was extraordinarily innovative in his decision to give scientific dignity to a branch of law that, until then, had been relegated to the margins of civil law, but was, at the same time, still profoundly linked to the tradition of the Roman-Canon ius commune.
1. Introduzione: un “vivido raggio”? - 2. L’uomo. - 3. Il giurista. - 4. Conclusione: un uomo e un giurista del suo tempo. - NOTE
Punto di partenza imprescindibile per qualunque studio sulla vita di Benvenuto Stracca è ancora, dopo più di centotrentacinque anni, il volume a lui dedicato da Luigi Franchi, all’epoca professore di diritto commerciale presso l’Università di Macerata, il quale si stupiva del fatto che nessuno fino a quel momento si fosse curato di evocare la «bellissima [figura] di Benvenuto Stracca, al quale il diritto commerciale riconosce indubbiamente la propria paternità scientifica» [1]. Non sorprende quindi che i numerosi contributi che hanno ripercorso la biografia del giurista anconetano, molti dei quali di taglio enciclopedico, citino Franchi senza eccezione [2]. Il professore non dissimulava il suo entusiasmo. Stracca era per lui un «uomo geniale», un «vivido raggio», un erudito che «con ispirazione degna del meraviglioso cinquecento in cui visse, riunì e compose insieme, dietro perfette linee sistematiche, un corpo di dottrina fino a lui sparsa in innumerevoli volumi di commentaria e consilia» [3], un giurista che «per lo spazio di quasi quarant’anni [fu] uno dei più segnalati, se non forse il più segnalato, fra i cittadini della sua patria» [4]. La grande mole di informazioni raccolte da Franchi negli archivi di Ancona, sia notarile che comunale, sembra avere per molto tempo scoraggiato ulteriori approfondimenti. Chi si è cimentato nell’impresa di avvicinare “il padre della scienza commercialistica” lo ha fatto solitamente per commentare la sua opera più importante, il celebre trattato De mercatura seu mercatore, pubblicato per la prima volta a Venezia nel 1553, talvolta ribaltandone completamente l’immagine luminosa diffusa dalla storiografia più risalente (prevalentemente italiana).
Così, ad esempio, nel 2005, Charles Donahue Jr., storico del diritto della Harvard Law School, si interrogava sull’esistenza di una lex mercatoria, ovvero di un diritto consuetudinario proprio dei mercanti, transnazionale e uniforme, utilizzando proprio il più fortunato dei trattati di Stracca [5]. Nell’analizzare l’opera in modo molto approfondito, ne rivelava la complessità, smontando uno degli assunti più diffusi sul De mercatura. Che si tratti, cioè, della prima opera “sistematica” dedicata al diritto commerciale. Di sistematico, in effetti, secondo Donahue, c’era ben poco, dal momento che il trattato appariva piuttosto il risultato dell’unione di più opere brevi relative al diritto applicabile ai mercanti [6]. Né lo stile si poteva definire limpido. O meglio, per comprendere Stracca, scriveva Donahue, sarebbe necessario avere a disposizione un’eccellente biblioteca di diritto comune perché le citazioni e i riferimenti incrociati sono tali e tanti che senza leggere le fonti a cui l’Autore si riferiva, secondo un sistema di citazioni tipico di un giurista del XVI secolo, l’opera risulta assolutamente incomprensibile. Si interrogava dunque sul suo successo. Nonostante Stracca avesse aggiunto un tocco umanistico al suo trattato (some humanist overlay), il De mercatura si basava su una consolidata tradizione di mos italicus, il sistema cioè del diritto comune romano-canonico, limitandosi a raccogliere materiale “trito e ritrito” (well-worn) e arrivando a conclusioni anch’esse “trite e ritrite” [7]. Per non parlare degli errori che non si sapeva se attribuire all’Autore o allo stampatore (o a entrambi). Donahue arrivava dunque alla conclusione che il successo dell’opera doveva ricondursi ad una caratteristica già annoverata tra i suoi difetti, ovvero il grande numero di fonti citate. Il trattato costituiva infatti un vademecum nell’esorbitante mole delle fonti giuridiche dell’epoca per coloro che erano interessati agli affari dei mercanti. E da questo punto di vista era un’opera utile, che rispondeva alle esigenze dei suoi acquirenti: a guide to the sources from the point of view of merchants’cases and mercantile courts [8]. Quanto alla questione di un qualche riferimento, nell’opera di Stracca, ad una supposta lex mercatoria, la conclusione era che non ve n’era alcuno, essendo Stracca in tutto e per tutto un giurista di diritto comune.
Qualche anno più tardi, Vito Piergiovanni, che allo studio della storia del diritto commerciale ha consacrato la sua intera carriera accademica, proponeva, all’interno di un volume sulle relazioni tra ius commune e diritto inglese [9], un interessante paragone tra due delle più celebri opere dedicate alla mercatura in età moderna, affiancando al trattato di Stracca il Consuetudo, vel, Lex Mercatoria: or, the Ancient Law-Merchant (London, 1622) del mercante Gerard Malynes, di origine fiamminga ma attivo nella Londra elisabettiana e giacobina [10]. Piergiovanni individuava l’elemento comune nel voler sottolineare il ruolo e l’importanza dei mercanti nella società e, più precisamente, nel riconoscere l’emergere di una nuova classe sociale. Era inoltre evidente in entrambi la convinzione che le cause mercantili dovessero essere decise velocemente, sulla base dell’equità, evitando le lungaggini e le sottigliezze dei processi ordinari. Molte però le differenze: da un lato un mercante, dall’altro un giurista; da un lato il contesto giuridico del common law basato sul precedente giurisprudenziale, dall’altro un sistema di ius commune romano-canonico fortemente radicato ma al contempo messo alla prova dall’analisi storico-filologica delle fonti tipica della cultura umanistica (un fenomeno certamente estraneo alla sensibilità di Malynes); da un lato un’insistenza quasi ossessiva sull’importanza delle consuetudini mercantili, definite da Malynes universali, eterne e immutabili, dall’altra un’interpretazione del diritto dei mercanti in cui le consuetudini giocavano un ruolo decisamente residuale. Il tutto in contesti politico-giuridico-economici completamente diversi.
In sintesi: molto è stato scritto sull’opera di Stracca (solitamente a favore, qualche volta contro), ma solo recentemente, grazie alla scoperta, nell’Archivio di Stato di Bologna, dei verbali dell’esame di laurea in utroque iure sostenuto da Stracca presso l’Alma Mater Studiorum [11], è stato finalmente possibile, dopo più di cento anni, attingere ad informazioni inedite sia sulla vita dell’uomo che sul profilo del giurista.
Benvenuto Stracca nacque nel 1509 ad Ancona, in una famiglia di recente nobiltà, arricchitasi grazie all’attività mercantile e al notariato. Una nobiltà che il nostro Autore non mancò di ribadire nei titoli delle sue opere, dove compare sempre l’appellativo di Patritius anconitanus.
La prima menzione di uno Stracca nei documenti anconetani risale al 1391, da cui risulta una provenienza da Foligno e nessun richiamo alla nobiltà [12]. Questa dovette essere acquisita dal nonno, se non addirittura dal padre Anton Giacomo Stracca [13] che, con la moglie Fiordalisa (della quale conosciamo solo il nome di battesimo) ebbe altri quattro figli dopo Benvenuto, dei quali uno solo, Girolamo, divenne notaio come il padre. Nicolò fu invece procuratore, Giovanni mercante e Bernardino ecclesiastico [14]. Benvenuto per primo venne indirizzato agli studi giuridici ma non prima di avergli assicurato una buona formazione umanistica.
Siamo negli anni del pieno sviluppo dell’umanesimo giuridico, quando ormai da diversi decenni il metodo dei commentatori, basato sulla ricerca della ratio della norma e sull’uso dell’argumentum ab auctoritate per porre un argine alle derive del ragionamento analogico, era stato messo in discussione dagli umanisti. L’umanesimo, infatti, con il suo approccio storico-filologico alle fonti, finì col travolgere anche il campo del diritto, mettendo in discussione testi o, spesso, singole parole su cui generazioni di giuristi si erano arrovellate fin dalla fondazione della Scuola di Bologna. Essendo proprio gli umanisti, nel XV e XVI secolo, a formare i rampolli delle famiglie notabili destinati agli studi giuridici, molti giuristi furono umanisti essi stessi. Il metodo però non fiorì in Italia, dove pure nacquero alcuni dei suoi più celebri fautori, bensì in Francia (mos gallicus iura docendi). L’Italia rimase tenacemente ancorata al metodo sviluppato dai commentatori, il cosiddetto mos italicus iura docendi. Stracca, lo vedremo, fu senza dubbio un conservatore, fedele al “bartolismo”, ma l’influenza del suo istitutore, l’umanista Ambrogio Nicandro, lasciò delle tracce importanti nella sua opera. Certamente una sensibilità per la cultura classica e per la storia ma forse anche (azzardiamo) un’apertura mentale che lo portò a sperimentare la trattazione di un ambito del diritto fondamentalmente “snobbato” dai civilisti: il diritto dei mercanti.
A istruirlo fu dunque Ambrogio Nicandro, latinista di fama, originario di Toledo ma giunto giovane a Firenze (dove ricevette da Lorenzo de’ Medici l’incarico di insegnare pubblicamente le “umane lettere” [15]) che, perso ogni avere nel sacco di Roma del 1527, finì ad Ancona dove si mantenne, suo malgrado, facendo l’insegnante. Ma se il ruolo di istitutore gli andava forse stretto, certo è che con Benvenuto, allora diciottenne, si instaurò una solida amicizia destinata a durare nel tempo. L’impronta umanistica lasciata da Nicandro risulta piuttosto evidente nell’opera di Stracca, il quale citava con disinvoltura gli autori classici, in particolare Cicerone e Virgilio, ma anche i giuristi-umanisti della sua generazione e di quella immediatamente precedente [16]. E fu Stracca stesso che, nel 1532, pubblicò i carmi latini del maestro.
Nello stesso anno la sua vita venne stravolta, insieme a quella della sua città. Tra il 19 e il 20 settembre 1532, infatti, Ancona fu invasa dalle truppe di Clemente VII e assoggettata al potere pontificio. La città perse ogni autonomia, il palazzo comunale venne spogliato, l’archivio pubblico distrutto. Cinque nobili cittadini trovarono la morte, altri settanta circa vennero esiliati nei luoghi più disparati: a Bologna, Venezia, Piombino, Norcia, altri luoghi della Marca e (pare) addirittura a Costantinopoli. Tra tali nobili c’erano anche Anton Giacomo e suo figlio Benvenuto, i quali furono con altri esiliati a Bologna. Gli esuli furono riammessi in città in tempi piuttosto brevi ma il nostro Autore, come vedremo, si fermò a Bologna, dove si addottorò in diritto civile e canonico per poi intraprendere, ormai quasi trentenne, una carriera politico-amministrativa inarrestabile.
Come era consuetudine per i nobili gentiluomini addottorati in legge, si orientò inizialmente verso la carriera podestarile. Nel 1539-40 svolse infatti la funzione di podestà (o meglio vicepotestas) ad Ascoli, ma tornò poi subito ad Ancona, dove presto cominciò ad alternare agli incarichi pubblici l’attività di avvocato. Proprio nel 1539 Paolo III concesse (almeno formalmente) al Comune di Ancona la reintegrazione in tutti i suoi diritti [17]. Alla morte del padre (maggio 1542), Benvenuto venne quindi ammesso al Consilium generale della città, anche se non era coniugato, come era richiesto dai capitoli papali che riprendevano in questo il vecchio statuto (si sposò solo nel 1544, con Minerva Migliorati, dalla quale non ebbe figli). L’ostacolo venne superato grazie all’intervento in suo favore del cardinale Rodolfo Pio da Carpi e anzi Benvenuto venne ammesso non solo al Consiglio generale, ma anche all’Anzianato del bossolo maggiore e alla Regolaría, sebbene non avesse ancora l’età richiesta [18]. A trentatré anni, dunque, il nostro Autore cominciò davvero la sua carriera nell’amministrazione cittadina, alla quale partecipò attivamente fino alla morte, che lo colse ad Ancona nel 1578. Svolse missioni diplomatiche e diventò, tra le altre cose, sindacatore, “avocato de la comunità”, advocatus carceratorum e priore del Collegio dei Dottori (dal 1562).
Queste attività non gli impedirono, come sappiamo, di dedicarsi alla scrittura: nel 1553 vide la luce, come già detto, il De mercatura. Seguirono il De proxenetis, et proxeneticis tractatus (1558), sui sensali, il De assecurationibus e il De adiecto tractatus (entrambi del 1569), incentrato il primo su una polizza usata dai mercanti di Ancona e il secondo sul tema del soggetto legittimato a ricevere il pagamento per conto del creditore, e infine le Annotationes in Responsa Cravettae (forse del 1575 ma pubblicato nel 1580), che esula dal tema dello ius mercatorum.
Volendo tentare di descrivere l’indole del nostro Autore, la si può definire moderata e conservatrice, come risulta evidente dai suoi rapporti con il potere pontificio, così descritti da Franchi: «(…) doveva vedere la necessità storica di una simile intera soggezione, in quel tempo di continue incursioni turchesche, e d’ingrandimento degli stati maggiori a danno dei piccoli, per cui sembrava difficile resistere efficacemente a una repubblica non potentissima, com’era l’anconitana, e più conveniente cedere colle buone e assicurarsi benignità e privilegi, di quel che resistere armati (…) e incorrer nell’ira e nella vendetta del papa» [19].
La scoperta, nell’Archivio di Stato di Bologna, dei verbali dell’esame di laurea in diritto civile e canonico di Benvenuto Stracca [20], ha permesso di gettare nuova luce sulla formazione del giurista, portando anche ad anticipare la data dell’esame al 30 aprile 1537, laddove la storiografia aveva ipotizzato, per oltre un secolo, che l’anno fosse il 1538, stando all’ordinaria durata degli studi giuridici che si sapeva intrapresi all’epoca del forzato trasferimento a Bologna dovuto ai drammatici eventi del 1532 [21]. Documenti che pure Luigi Franchi aveva cercato ma senza successo, specificando di essersi recato a Bologna «per avere prove anche più positive e dirette dell’alunnato e della presenza dello Stracca» e ricevendo «dalla cortesia del chiar. Direttore di quell’Archivio di Stato, comm. Malagola, assicurazione non esistervi nulla che vi si riferisca» [22].
Dell’anno 1537, purtroppo, mancano però dall’Archivio di Stato i Libri secreti, dai quali si sarebbe potuto evincere su quali argomenti lo Stracca era stato esaminato, come aveva risposto alle domande e altri particolari che ci avrebbero potuto aiutare a capire le inclinazioni del giovane giurista e magari riscontrare un precoce interesse per lo ius mercatorum. Le fonti a nostra disposizione si limitano quindi agli Atti del collegio di diritto civile e agli Atti del collegio di diritto canonico. Grazie ad essi, sono comunque molte le informazioni che la storiografia ha saputo ricavare: dalle speciali dispense necessarie a sostenere l’esame in anticipo e in loco pauperis, cioè nella sacrestia della cattedrale di San Pietro per limitare i costi, alla composizione della commissione d’esame.
Le due dispense che gli vennero concesse vanno ricondotte, con ogni probabilità, alla difficile condizione economica della famiglia a seguito dell’esilio. Addottorarsi in anticipo significava iniziare quanto prima la carriera forense e sostenere l’esame pubblico nella sacrestia comportava certamente un risparmio notevole.
I nomi dei professori che più lo influenzarono sono noti: Ugo Boncompagni, futuro papa Gregorio XIII, a cui Stracca dedicò due opere (il Tractatus de assecurationibus, e le Annotationes in Responsa Cravettae), Lodovico Gozzadini, civilista bolognese, autore di celebri consilia, Agostino Berò, docente di diritto civile e canonico presso lo Studium felsineo per quasi cinquant’anni, e infine Pier Paolo Parisio, canonista e civilista, professore a Padova e a Bologna, nominato uditore generale delle cause in Camera apostolica in quello stesso 1537, vescovo di Nusco l’anno successivo e infine cardinale, anche lui autore di consilia che molto furono utilizzati dal nostro Autore. Quando arrivò il momento di addottorarsi, però, Boncompagni era solo soprannumerario e non ancora dottore collegiato, Gozzadini era morto († 1536) e Parisio aveva già lasciato lo Studium bolognese per dedicarsi alla carriera ecclesiastica. Stracca scelse dunque Agostino Berò e Andrea Angelelli come promotori per entrambi gli esami, maestri prediletti che avrebbero dovuto aiutarlo nella preparazione della temuta prova finale. Normalmente erano due ma, in casi eccezionali, il rettore poteva consentire che fossero tre, ad esempio se il candidato era nobile, ricco o «impegnato in un ufficio che comportava un grande onore» [23]. Se i primi due furono promotori sia per l’esame di diritto civile che per quello di diritto canonico, Stracca scelse Girolamo Grati come terzo promotore di diritto civile e Paolo Pini come terzo promotore di diritto canonico.
Il dottorato venne dunque conseguito in entrambe le discipline lo stesso giorno, il 30 aprile 1537, davanti ad una commissione presieduta dall’arcidiacono della cattedrale Tommaso Campeggi, vescovo di Feltre e giurista, coadiuvato dal vicario Giovanni Ludovico Bovio, dottore in utroque e docente di ius civile a Bologna.
Alessia Legnani Annichini ha sottolineato come alcuni dei giuristi sopraccitati furono anche giudici della Mercanzia di Bologna, cioè del tribunale che era competente per dirimere le controversie di natura commerciale, ipotizzando che la scelta di tali promotori non fosse casuale ma dovuta ad una particolare inclinazione e ad un interesse famigliare per i traffici mercantili. In particolare Berò, Angelelli e Pini ricoprirono più volte la carica di giudice del Foro dei mercanti cittadino mentre Grati fu sindaco della Gabella grossa, cioè dell’ufficio preposto alla riscossione dei dazi sulle merci di importazione ed esportazione (carica ricoperta anche da Angelelli e Pini) [24]. Per quanto riguarda l’elenco dei giuristi chiamati ad esaminare il giovane anconetano, si rimanda al saggio di Legnani Annichini “Una laurea in esilio” più volte citato. Basti qui sottolineare che tutti svolsero l’ufficio di sindaco della Gabella grossa e ben sette furono giudici del Foro dei mercanti cittadino. Una circostanza giustificata dal fatto che, dal 1468, era stato stabilito che tale magistrato dovesse essere scelto tra i legum doctores del collegio bolognese di diritto civile, mentre già dal 1432 erano stati assegnati ai doctores bolognesi i «dazi della Gabella grossa, con il congiunto obbligo di mantenere il naviglio a garanzia del pagamento degli stipendi dei lettori» [25]. Fatti che ridimensionano, ma non annullano, il peso della scelta di giuristi legati al mondo mercantile come promotori.
Tra la fine degli studi e la pubblicazione della sua opera più celebre passarono sedici anni. Benvenuto, quindi, aveva circa quarantaquattro anni ed era all’apice della sua carriera all’interno delle strutture politico-amministrative della città di Ancona quando pubblicò il De mercatura. Non stupisce pertanto che il trattato fosse dedicato al Consiglio anconetano e che mirasse, attraverso l’unione della disciplina del diritto mercantile e marittimo in un unico corpus, a migliorare i rapporti sociali, evitando liti e spese correlate.
Fu il maestro Ambrogio Nicandro a impreziosire l’opera con alcuni versi, lodando l’amico di sempre con un tocco di eleganza umanistica:
Mercator, navis, decoctor, sponsio iura,
Quae sibi deposcunt, prompta libellus habet.
Haec olim a Iurisconsultis facta fuerunt,
Sparsa sed, et varijs mista voluminibus:
Quae modo digessit docta compage Venetus
Straccha, honor Anconae, et gloria rara fori.
Addidit, et multa antiquis ignota, suopte
Marte inventa, vetus quae sibi ius cupiat.
Ergo alijs iuris tam praestat vatibus ille,
Quam qui multorum munera solus obit [26].
Nicandro sottolineava dunque come Benvenuto Stracca fosse stato il primo a riunire in un’unica opera argomenti già trattati dai giuristi (come la definizione di mercante, la disciplina della nave, il fallimento o le regole di garanzia), ma dispersi in vari volumi. Non solo. Stracca, onore di Ancona e gloria del foro, aveva anche aggiunto a tali nozioni molte “cose” antiche da lui stesso scoperte, fino ad allora rimaste sconosciute, compiendo quindi da solo il compito di molti.
Un giurista addottorato in utroque a Bologna, perfettamente addentro alle dinamiche del diritto comune, che decide di trattare la materia commerciale nel suo complesso attribuendole una dignità pari a quella del diritto civile. Questo è l’autore del De mercatura, un’opera che doveva essere utile, certo, ma anche dotta. Un’opera che andava scritta in latino, la lingua del diritto. L’operazione di Stracca si distingue pertanto da quelle di altri giuristi che avevano scritto, prima di lui, trattati dedicati a singoli istituti (si pensi al Tractatus solemnis de constituto di Baldo degli Ubaldi, al De duobus fratribus attribuito a Pietro degli Ubaldi o al Tractatus de assecurationibus et sponsionibus del portoghese Pedro de Santarém, spesso edito insieme al De mercatura) [27]. L’opera più celebre di Stracca si proponeva infatti una trattazione complessiva del diritto commerciale e marittimo, seppure non così sistematica come spesso si è detto. Ma l’iniziativa di Stracca si distingueva anche da quelle dei mercanti che, prima di lui, avevano cercato di mettere, per così dire, ordine nel caos. Valga un esempio per tutti, quello del mercante ragusano Benedetto Cotrugli, che scrisse il suo Libro dell’arte di mercatura (meglio conosciuto come Della mercatura e del mercante perfetto) nel 1458, anche se l’opera venne pubblicata solo nel 1573 [28]. Un paragone è possibile perché Cotrugli studiò diritto a Bologna, pur non riuscendo ad addottorarsi: «(…) in sullo più bello dello nostro philosophare io fui rapito dello studio et ripiantato nella mercantia, la quale per necessità mi convenne sequire, et abandonare l’amenità e l’armonia dolce dello studio al quale ero totalmente dedito» [29].
Ma c’è di più. Cotrugli scrisse la sua opera a poco più di quarant’anni [30], all’incirca la stessa età di Stracca al momento della pubblicazione del De mercatura, e la impreziosì di moltissime citazioni di autori classici (a partire da Aristotele e Cicerone nel proemio). Esercitò a Venezia, Firenze, Barcellona, Aigues-Mortes e infine a Napoli, dove venne ammesso alla corte aragonese e frequentò un entourage umanistico di altissimo livello, ma ciò che in questo contesto più conta è sicuramente la formazione giuridica, seppure incompleta. Scrisse il suo trattato sulla base di una constatazione precisa ed esplicita: «(…) et dolsemi che questa arte tanto necesaria, tanto bisognosa et utile sia divenuta in mano delli indoti et indisciplinati homini, et governata sanza modo, sanza ordine, con abusione et sanza leggie, et dalli savi posposta et pretermisa (…)» [31].
Pertanto, già cento anni prima della pubblicazione dell’opera che viene comunemente considerata come la prima trattazione scientifica dedicata al diritto commerciale, un mercante, non digiuno di diritto, si doleva della confusione che regnava nell’ambito di un’arte tanto utile come quella della mercatura, degli abusi e dell’assenza di leggi, e dell’indifferenza dei “savii” ovvero, si potrebbe intendere, dei giuristi.
Eppure l’opera di Cotrugli era profondamente diversa. Non un trattato giuridico ma una sorta di manuale del perfetto mercante, una summa delle esperienze di un uomo navigato da lasciare ai posteri, da cui lo stile (dopo un esordio alquanto accademico) piuttosto conciliante, quasi didattico, mentre nella trattazione trovavano spazio regole morali e religiose [32]. Ecco come lo stesso Cotrugli descriveva il contenuto dell’opera: «(…) nel primo tracteremo della inventione, forma et quidità d’essa mercatura; nel secondo, del modo debbe observare lo mercante circa la religione et lo culto divino; nel terzo, delli costumi del mercante circa le virtù morali et politiche; nel quarto et ultimo, del mercante et suo governo circa la casa et la famiglia et lo vivere economico» [33].
E infine la lingua: Cotrugli scelse il volgare, anche se di impronta piuttosto letteraria e verosimilmente più vicino al latino che alla lingua parlata dai mercanti del tempo. Fu una scelta alquanto sofferta ma l’unica possibile, riteneva il ragusano, perché la sua opera fosse veramente utile: «(…) mi parve che fussi necessario lo scrivere in quella lingua che fussi più commune et più intelligibile a mercanti, al’utilità de quali era ordinata l’opera nostra. Et per questa sola cagione mi rivolsi dal mio principale proposito dello scrivere in Latino et infine mi ridussi a scrivere in vulgare, di che prendo scusa, perché lo fo, come è detto, per utilità de mercanti, benché l’opera non sia sì degna come sarebbe stata s’io l’avessi scripta in sermone Latino» [34].
Stracca riuscì a compiere un’impresa di cui si sentiva l’esigenza da tempo, ma per realizzare la quale erano necessarie delle qualità non comuni. Lui le possedeva tutte. Al contrario di Cotrugli, Stracca gli studi li concluse, non solo in diritto civile ma anche in diritto canonico, e a tempo di record. La sua era una famiglia nobile, inserita nell’ambiente del commercio, competente nel campo del diritto, con un ruolo di primo piano nelle dinamiche politico-amministrative della città. Benvenuto aveva dunque tutte le virtù necessarie per comporre un’opera che è rimasta giustamente famosa come una pietra miliare nella storia del diritto commerciale.
Charles Donahue Jr., con le sue considerazioni, pare non sia riuscito ad offuscare il “vivido raggio” descritto da Franchi anche se le “perfette linee sistematiche” di cui parlava quest’ultimo sono senza dubbio un’esagerazione. Stracca fu certamente uno straordinario innovatore nella sua volontà di attribuire una dignità fino ad allora sconosciuta al diritto commerciale ma i suoi metodi erano profondamente tradizionali. Da giurista immerso nel contesto culturale del mos italicus, realizzò un’opera utile con gli strumenti che aveva a disposizione, facendo continuamente riferimento agli autori che lo avevano preceduto, concentrandosi su questioni pratiche come le procedure, e condendo il tutto con una certa dose di sensibilità storico-antiquaria, tipica dell’umanesimo giuridico.
In tutto e per tutto, un uomo e un giurista del suo tempo.
[1] L. Franchi, Benvenuto Stracca: giureconsulto anconitano del secolo XVI, note bio-bibliografiche, Roma, E. Loescher, 1888, 1. L’opera è stata ristampata a Firenze dall’editore Gozzini nel 1975.
[2] M. Chiaudano, voce Stracca Benvenuto, in Noviss. dig. it., XVIII, Torino, Utet, 1971, 468 ss.; J. Fajardo, voce Benvenuto Stracca (Benvenutus Straccha) (1509-1578), in Juristas Universales, II, Juristas modernos. Siglos XVI al XVIII: de Zasio a Savigny, a cura di R. Domingo, Madrid-Barcelona, Marcial Pons, 2004, 191 ss.; V. Piergiovanni, voce Stracca, Benvenuto (Ancona, 1509-ivi, 1578), in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), diretto da I. Birocchi, E. Cortese, A. Mattone, M.N. Miletti, II, Bologna, Il Mulino, 2013, 1920 ss.; S. Gialdroni, Tractatus de mercatura seu mercatore (Treatise on Commerce or on the Merchant), in The Formation and Transmission of Western Legal Culture. 150 Books that Made the Law in the Age of Printing, ed. by S. Dauchy, G. Martyn, A. Musson, H. Pihlajamäki, A. Wijffels, Cham, Springer International Publishing, 2016, 96 ss.; A. Legnani Annichini, voce Stracca, Benvenuto, in Dizionario biografico degli italiani, 94, Roma, Istituto della Enciclopedia Treccani, 2019, 286 ss. Già nel 1909 Alessandro Lattes, nel suo contributo sulla Rivista di diritto commerciale volto a celebrare il centenario della nascita del “primo commercialista italiano”, riconosceva che ben poco si poteva aggiungere alle ricerche di Franchi, decidendo quindi di concentrarsi sull’opera del nostro Autore anziché sulla biografia: A. Lattes, Lo Stracca giureconsulto, in Riv. dir. comm., 1909, I, 624 ss. Tendenzialmente questa è anche l’impostazione degli articoli più approfonditi e recenti, come nel caso di: L. Brunori, Benvenuto Stracca: abogado y fundador del derecho comercial “científico” (1509-1578), in Historia del derecho y abogacía. Seminario International. Histoire du droit et de la profession d’avocat. Séminaire International, 2020, reperibile in https://hal.science/hal-03099743/
document, e G.S. Pene Vidari, La giustificazione della “mercatura” e l’inserimento del diritto dei mercanti nel diritto comune da parte di Benvenuto Stracca, in Riv. di storia del dir. it., 2020, XCIII, 9 ss. Un’eccezione è costituita da: A. Mordenti, I giuristi e la nascita del mondo moderno. Benvenuto Stracca anconitano, in Quaderni storici delle Marche, 1966, 1, 236 ss. Tra i contributi più recenti non si può non citare il volume collettaneo Benvenuto Straccha. Ex antiquitate renascor, Atti del convegno di Ancona 22 febbraio 2013, Ancona, Gabbiano, 2014, con contributi, tra gli altri, di V. Piergiovanni e G.S. Pene Vidari.
[3] L. Franchi, (nt. 1), 2.
[4] Ivi, 28.
[5] C. Donahue Jr., Benvenuto Stracca’s De Mercatura: Was There a Lex mercatoria in Sixteenth-Century Italy?, in From lex mercatoria to commercial law, a cura di V. Piergiovanni, Berlin, Duncker & Humblot, 2005, 69 ss.
[6] Ivi, 80.
[7] Ivi, 106.
[8] Ibidem.
[9] V. Piergiovanni, Il diritto dei mercanti e la dottrina giuridica in età moderna. Considerazioni comparative tra Benvenuto Stracca e Gerard Malynes, in Relations between the ius commune and English law, a cura di R.H. Helmholz, V. Piergiovanni, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009, 185 ss., poi ripubblicato in Atti della Società Ligure di Storia Patria, nuova serie, LII/1-2, 2012, 1315 ss., disponibile online. In realtà Piergiovanni prendeva in considerazione anche il Tractatus solemnis de constituto del commentatore Baldo degli Ubaldi, le Decisiones de mercatura della Rota civile di Genova e il Tractatus de assecurationibus et sponsionibus mercatorum di Pedro de Santarém, sui quali vedi infra, par. 4.
[10] Sul trattato di Malynes si veda ad es.: S. Gialdroni, Gerard Malynes e la questione della lex mercatoria, in Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte (ZSS), Germ. Abt., 2009, 126, 38 ss.
[11] A. Legnani Annichini, Una laurea in esilio. Benvenuto Stracca e i suoi maestri, in Annali di storia delle università italiane, 2021, 2, 223 ss.
[12] L. Franchi, (nt. 1), 7 ss. Secondo la ricostruzione di Luigi Franchi, la famiglia visse un momento di difficoltà finanziaria dopo la morte del bisnonno di Benvenuto, Francesco, nel 1420 ca. La vedova, Nicolosa, venne infatti “inabilitata” dal Comune su richiesta dei figli in quanto aveva dissipato il patrimonio familiare mentre questi erano assenti da Ancona a causa delle loro attività commerciali, che svolgevano (pare) soprattutto con Venezia. A porre le basi della ricchezza della famiglia sarebbe stato invece un Anton Giacomo, zio del padre del nostro Autore, con il quale condivideva non solo il nome ma anche la professione di notaio.
[13] Alessia Legnani Annichini ha recentemente sottolineato che dai verbali dell’esame di laurea del figlio il nome risulta essere Giovanni Giacomo, ma deve trattarsi dell’errore di un copista: A. Legnani Annichini, (nt. 11), 225. È lo stesso Benvenuto infatti a chiamare Anton Giacomo il padre mentre ne tesse le lodi nella prefazione del suo trattato sulle assicurazioni: Parens (..) meus Antonius Jacobus, vir (nisi me pietas fallit) bene doctus et esperiens (..): L. Franchi, (nt. 1), 17.
[14] A. Legnani Annichini, (nt. 2), 286.
[15] Per le informazioni sulla vita di Benvenuto Stracca contenute in questo paragrafo si veda soprattutto: L. Franchi, (nt. 1), 18 ss.
[16] A. Barbagli, Giuristi moderni tra fedeltà al mos italicus e suggestioni culte. Le citazioni umanistiche nel trattato De mercatura di Benvenuto Stracca (1553), in Historia et Ius, 2019, 15, paper 4, reperibile in http://www.historiaetius.eu/uploads/5/9/4/8/5948821/barbagli_15.pdf.
[17] Bolla del 10 marzo 1539.
[18] L. Franchi, (nt. 1), 37.
[19] Ivi, 36.
[20] ASBo, Atti del collegio di diritto civile, 28 (1501-1539), c. 176v e ASBo, Atti del collegio di diritto canonico, 23 (1524-1537), c. 263v, trascritti in appendice a: A. Legnani Annichini, (nt. 11), 236 s. La scoperta si deve agli studi di Maria Teresa Guerrini sui laureati in diritto dello Studio bolognese in età moderna: M.T. Guerrini, “Qui voluerit in iure promoveri”. I dottori in diritto nello Studio di Bologna (1501-1796), Bologna, CLUEB, 2005, 162. Una notizia passata inizialmente inosservata tra la grande mole dei documenti raccolti da Guerrini. A dare il giusto rilievo ad una scoperta che arricchisce non poco la nostra conoscenza dello Stracca, sono stati, nel 2013, tre archivisti dell’Archivio di Stato di Ancona: C. Giacomini, G. Giubbini, G. Sturba, Nuovi documenti su Benvenuto Stracca, in Notiziario del porto di Ancona, 2013, 13, 15 ss., cit. in A. Legnani Annichini, (nt. 11), 224, nt. 6. Un passaggio di consegne descritto da Alessia Legnani Annichini che nel suo contributo, più volte richiamato, ha analizzato i verbali di laurea nello specifico contesto storico-giuridico dell’iter studiorum bolognese in età moderna, con particolare riguardo alla scelta dei doctores chiamati a presentare ed esaminare lo Stracca.
[21] L. Franchi, (nt. 1), 25 ss. È bene notare però che, stando agli statuti delle università e dei collegi bolognesi, si richiedevano otto anni di frequenza per addottorarsi in diritto civile e sei per addottorarsi in diritto canonico, che potevano essere abbreviati rispettivamente a sette e quattro nel caso si fossero seguiti i corsi di entrambi i diritti: A. Legnani Annichini, (nt. 11), 226, nt. 17.
[22] L. Franchi, (nt. 1), 26, nt. 1.
[23] A. Legnani Annichini, (nt. 11), 231.
[24] Ivi, 233.
[25] Ivi, 235.
[26] La citazione è tratta dall’edizione Lugduni, 1556.
[27] Si veda: M. Fortunati, Il De mercatura: struttura, contenuti e metodo, in Benvenuto Stracca, Tractatus de mercatura, sev mercatore, a cura di M. Cian, Torino, Giappichelli, 2023, 79 ss.
[28] Un ritardo di centoquindici anni che ha certamente influito sul testo, che è passato per varie mani dopo l’estinzione della famiglia dell’Autore. B. Cotrugli, Della mercatura et del mercante perfetto, Vinegia, all’Elefanta, 1573; esistono diverse edizioni moderne, una a cura di Ugo Tucci (Venezia, Arsenale, 1990) e un’altra a cura di Vera Ribaudo (Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2016). Quest’ultima è reperibile online. Nell’ambito dello stesso progetto che ha portato all’edizione critica curata da Ribaudo, è stata pubblicata anche la prima traduzione inglese dell’opera: B. Cotrugli, The Book of the Art of Trade, a cura di C. Carraro, G. Favero, Cham, Springer International Publishing Palgrave Macmillan, 2017. Per questo saggio è stata utilizzata l’edizione di Tucci.
[29] B. Cotrugli, Il libro dell’arte di mercatura, a cura di U. Tucci, Venezia, Arsenale, 1990, Proemio, 134.
[30] La sua nascita viene fatta risalire da Tucci (ivi, 27) al 1416 circa, mentre la stesura del suo trattato dovrebbe risalire al 1458: ivi, 39.
[31] Ivi, Proemio, 134
[32] Ivi, 40.
[33] Ivi, Proemio, 136.
[34] Ivi, 135.