Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Le politiche di remunerazione degli amministratori nelle società quotate tra la massimizzazione del valore per gli azionisti e il perseguimento della sostenibilità ambientale e sociale: un percorso ancora agli inizi (di Ilaria Capelli, Professoressa associata di diritto commerciale, Università degli Studi dell'Insubria)


Le politiche di remunerazione degli amministratori delle società quotate sono oggetto di una specifica regolazione solo da tempi relativamente recenti. La rilevanza che ora si attribuisce alla remunerazione discende dall’acquisita consapevolezza in merito agli effetti delle politiche di remunerazione sui processi decisionali degli amministratori. Con riferimento alla parabola normativa che ha interessato queste politiche, si possono individuare sostanzialmente due momenti di discontinuità: il primo, coincidente con l’entrata in vigore dell’art. 123-ter T.U.F. (a seguito della l. 4 giugno 2010, n. 96), si focalizza su pervasivi obblighi di trasparenza, con l’obiettivo di ottenere i migliori sistemi di remunerazione e incentivazione possibili, in grado di allineare gli interessi degli azionisti e degli amministratori in una prospettiva di lungo periodo; il secondo, che ha preso avvio dall’attuazione della SHRD II nel nostro ordinamento, entra nel contenuto delle politiche di remunerazione e si rivolge alla tutela di interessi esterni alla società, sinteticamente riconducibili alla sostenibilità ambientale e sociale.

L’attuale assetto normativo, consolidatosi nel 2019, impone di verificare se, almeno con riferimento al settore delle remunerazioni degli amministratori delle società quotate, il legislatore abbia messo espressamente in discussione il principio dello Shareholder Value; oppure, se le nuove regole siano il risultato di un tentativo, solo parziale, di inserire nuovi criteri premiali (non finanziari) per gli amministratori delle società quotate, in un panorama ancora sostanzialmente immutato. La collocazione della disciplina dettata in tema di politiche di remunerazione nell’ambito di un più ampio complesso normativo, di cui fanno parte anche le previsioni del Codice di Corporate Governance, le norme che regolano il rendiconto di sostenibilità dell’impresa e, in prospettiva, la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), consente di verificare la coerenza degli obiettivi perseguiti con le più moderne istanze a favore degli stakeholder.

The Directors' compensation policies in public companies between the shareholder value maximization and the environmental and social sustainability: a path at early stage

The directors’ compensation policies of public companies have only been subject to specific regulation since relatively recent times. The compensation’s relevance is the result of the acquired awareness of the effects of remuneration policies on the decision-making processes of directors. Concerning the regulation, there are two moments of transitions: the first, coinciding with the entry into force of art. 123-ter TUF (Law No. 96 of 4 June 2010), focuses on pervasive transparency obligations, with the aim of obtaining the best possible remuneration and incentive systems, capable of aligning the interests of shareholders and directors in a long-term perspective; the second moment of transition, which started with the implementation of the SHRD II in our legal system, enters the content of remuneration policies and is aimed at the protection of interests external to the company, broadly attributable to environmental and social sustainability.

The current regulatory framework, consolidated in 2019, requires verifying whether, at least with reference to the directors’ compensations in public companies, the legislator has expressly questioned the principle of Shareholder Value; or, if the new rules are the result of a weak attempt to insert new (non-financial) reward criteria for the directors, in a panorama that is still substantially unchanged. The awareness of the existence of a complex system, composed of the compensation discipline, the Corporate Governance Code, the rules of the company’s sustainability report and, in the future, of the Corporate Sustainability Due Diligence (CSDDD), makes it possible to verify the consistency of the objectives pursued with the most modern requests in favor of the stakeholders.

Sommario/Summary:

1. La parabola normativa e le sue recenti origini: la rilevanza dei processi decisionali interni. - 2. La remunerazione degli amministratori in tempi di crisi. - 3. La trasparenza delle politiche di remunerazione: come “allineare” gli interessi degli amministratori a quelli dei soci. - 4. Il contenuto delle politiche di remunerazione dopo l’attuazione della SHRD II: la rilevanza della sostenibilità ambientale e sociale. - 5. L’applicazione delle regole sulle politiche di remunerazione e la rilevanza del “contesto” normativo, tra norme di legge e soft law. - 6. Conclusioni: un percorso ancora incompleto. - NOTE


1. La parabola normativa e le sue recenti origini: la rilevanza dei processi decisionali interni.

L’attenzione del nostro legislatore verso le politiche di remunerazione degli amministratori delle società quotate è relativamente recente: nel nostro Paese, l’obbligo di redigere e pubblicare la relazione sulla politica di remunerazione e sui compensi corrisposti è stato introdotto solo nel 2010 (art. 123-ter T.U.F.), con rilevanti modifiche nel 2019, a seguito dell’attuazione della SHRD II (Seconda Shareholders’ Rights Directive, attuata con il d.lgs. 10 maggio 2019, n. 49). Le regole appena richiamate sono, nella sostanza, il risultato di una complessa evoluzione in cui si intrecciano, come vedremo, interventi del legislatore europeo e domestico, soft law, raccomandazioni e norme di legge. Il momento iniziale di questa vicenda, almeno in ordine alle politiche europee, può essere convenzionalmente riconosciuto nell’emanazione della raccomandazione 2004/913/CE, relativa alla promozione di un regime adeguato circa la remunerazione degli amministratori delle società quotate: lo scopo del documento consiste nel promuovere la trasparenza della politica di remunerazione seguita dalla società [1]. Pochi anni dopo, si è aggiunta la raccomandazione 2009/385/CE che, nel proseguire nell’ampliamento degli ambiti di trasparenza, favorisce un maggiore controllo da parte degli azionisti e, soprattutto, interviene per la prima volta, e timidamente, nel merito delle politiche di remunerazione, giungendo anche a fissare i principi di una “sana” politica retributiva [2]. Questi primi interventi, sostanzialmente orientati a garantire la trasparenza delle politiche di remunerazione, hanno avuto il merito di dare una rilevanza “esterna” a specifiche scelte private, posto che l’ammontare della remunerazione degli amministratori delle società quotate e la struttura della remunerazione stessa (si pensi, ad esempio, alla possibilità di articolare una componente fissa ed una variabile) [3] rappresentano, nell’ottica di un’impostazione tradizionale che attribuisce agli amministratori l’esclusivo compito di massimizzare il valore per i soci, fatti privati che riguardano unicamente gli investitori e i manager [4]. Ciò trova conferma anche nel Terzo considerando della già citata raccomandazione 2009/385/CE, in cui si precisa che la necessità di prevedere appositi principi relativi alla struttura [...]


2. La remunerazione degli amministratori in tempi di crisi.

La propensione al rischio degli amministratori e gli effetti delle decisioni delle grandi imprese sugli interessi di soggetti “esterni”, quali appunto gli stakeholder, acquisiscono una specifica rilevanza in tempi di crisi [8]. Ciò ha trovato conferma nelle diverse crisi sistemiche che hanno condizionato la nostra economia negli ultimi due decenni: si pensi, ad esempio, alla Crisi finanziaria globale degli anni 2007 e 2008, nonché alle conseguenze economiche della Crisi Pandemica e della appena successiva Guerra russo-ucraina; a ciò si aggiungono, in questi anni, gli effetti del cambiamento climatico e le crescenti forme di diseguaglianza sociale ed economica [9], a volte così estreme da mettere a repentaglio il basilare rispetto dei diritti umani [10]. Le instabilità derivanti dalle crisi sistemiche hanno dato rilevanza generale e politica alle decisioni economiche delle grandi imprese, mettendo fortemente in discussione scelte di business che prima erano generalmente considerate accettabili, caratterizzate dalla massimizzazione degli sforzi nel breve termine e da una correlativa sottovalutazione dei rischi e delle ricadute per la collettività [11]. In concreto, le crisi possono rendere sostanzialmente inefficaci i piani di incentivazione tradizionali [12], e parallelamente rendono più pericolosa un’eccessiva assunzione del rischio da parte degli amministratori [13], intensificando la presenza di rilevanti esternalità negative: ciò comporta una maggiore attenzione verso il processo decisionale adottato dagli amministratori nel compiere le scelte di gestione, specialmente in circostanze in grado di aggravare i limiti cognitivi dei manager e le conseguenze sulla collettività degli eventuali azzardi morali. Non stupisce, dunque, che l’amplissimo dibattito dottrinale sulla rilevanza degli interessi degli stakeholder nell’ambito delle decisioni delle grandi imprese abbia preso grande vigore in occasione delle appena citate crisi sistemiche [14]; in questo contesto, anche le più importanti istituzioni economiche mondiali hanno riconosciuto, tra le cause della Crisi finanziaria globale del 2008, un’eccessiva propensione al rischio nel processo di adozione delle decisioni imprenditoriali [15]. In particolare, poi, il Rapporto de Larosière (The high-level group on financial supervision in the EU, del 25 [...]


3. La trasparenza delle politiche di remunerazione: come “allineare” gli interessi degli amministratori a quelli dei soci.

Le norme dedicate alle politiche di remunerazione non sono solo di recente introduzione, ma sono anche caratterizzate da una repentina evoluzione, in cui si riconoscono due importanti momenti di discontinuità. Il primo è focalizzato sulla trasparenza delle politiche di remunerazione: l’art. 123-ter T.U.F. entrato in vigore a seguito dell’art. 24 l. 4 giugno 2010, n. 96, che ha delegato il governo per l’attuazione delle Raccomandazioni della Commissione 2004/913/CE e 2009/385/CE, prevede, appunto, specifici obblighi di trasparenza nei confronti dei soci e, come vedremo, dei terzi. Il secondo irrompe nel dominio del merito delle politiche di remunerazione: con le modifiche apportate al già evocato art. 123 ter T.U.F. ad opera dell’art. 3, d.lgs. 10 maggio 2019, n. 49, che attua la direttiva 2017/828/UE (SHRD II), nonché con il disposto dell’art. 9-bis SHRD (a sua volta richiamato dall’art. 123-ter, settimo comma, T.U.F.) sono stati conservati i già evocati obblighi di trasparenza, ma si aggiungono ulteriori elementi volti a delineare i contenuti della politica di remunerazione concretamente adottata dall’organo di gestione, mediante un riferimento esplicito alla necessità di perseguire interessi a lungo termine e il richiamo alle finalità di sostenibilità ambientale e sociale [22]. Le due fasi evolutive appena richiamate si sono succedute in un contesto temporale abbastanza ravvicinato (tra il 2010 e il 2019), durante il quale si è progressivamente esteso il dibattito circa l’attualità della tradizionale impostazione incentrata sullo shareholder value a fronte della rilevanza di interessi ulteriori rispetto a quelli strettamente coinvolti dal contratto sociale. L’attuale assetto normativo, consolidatosi nel 2019, impone di verificare se, almeno con riferimento al settore delle remunerazioni degli amministratori delle società quotate, il legislatore abbia messo espressamente e definitivamente in discussione la concezione tradizionale che individua, come unico obiettivo della società, la soddisfazione dell’interesse dei soci alla massima valorizzazione dei loro investimenti; oppure se le nuove regole siano il risultato di un tentativo, solo parziale, di inserire nuovi criteri premiali (non finanziari) per gli amministratori delle società quotate, in un panorama ancora sostanzialmente caratterizzato dalla [...]


4. Il contenuto delle politiche di remunerazione dopo l’attuazione della SHRD II: la rilevanza della sostenibilità ambientale e sociale.

Come si anticipava, nella descritta parabola normativa il secondo momento di discontinuità corrisponde alle modifiche apportate all’art. 123-ter, terzo comma bis, T.U.F., dal d.lgs. 10 maggio 2019, n. 49, in attuazione della SHRD II: le nuove regole vanno a precisare che la politica di remunerazione “contribuisce” (testuale) alla strategia aziendale, al perseguimento degli interessi a lungo termine e alla sostenibilità della società. L’art. 9-bis SHRD, inoltre, espressamente richiamato dall’art. 123-ter, settimo comma, T.U.F., fa un chiaro riferimento alla sostenibilità ambientale e sociale. Permangono, sostanzialmente inalterati, gli obblighi di trasparenza sulle politiche di remunerazione e sui compensi appena presi in considerazione, ai quali si aggiunge appunto una disciplina che mostra di entrare specificamente nel merito delle politiche stesse: non solo si nega la legittimità di un agire caratterizzato da un breve orizzonte, volto a soddisfare le immediate pretese di una ristretta cerchia di soggetti [39], ma soprattutto si impone di dare concreta rilevanza anche alle esigenze ambientali e sociali, con l’effetto che, come si precisa nella SHRD II, i risultati degli amministratori «dovrebbero essere valutati utilizzando criteri sia finanziari sia non finanziari, inclusi, ove del caso, fattori ambientali, sociali e di governo» [40]. L’art. 9-bis SHRD che, come si diceva, è richiamato dal settimo comma del­l’art. 123-ter, contiene ulteriori indicazioni sul versante dei contenuti: con riferimento alla politica relativa alla remunerazione variabile, infatti, la norma precisa che devono essere indicati i criteri da utilizzare basati sui risultati finanziari e non finanziari, «tenendo conto, se del caso, dei criteri relativi alla responsabilità sociale d’impresa»; inoltre, il complesso delle informazioni rivolte agli azionisti e al pubblico deve includere la metodologia utilizzata per tenere conto «del compenso e delle condizioni di lavoro dei dipendenti della società nella determinazione della politica di remunerazione» (art. 9-bis, sesto comma), contribuendo a rivelare il grado di sostenibilità dell’impresa e, in particolare, la sostenibilità sociale [41]. Il legislatore, infine, non si limita ad esigere che, nel merito, la politica di remunerazione sia funzionale al [...]


5. L’applicazione delle regole sulle politiche di remunerazione e la rilevanza del “contesto” normativo, tra norme di legge e soft law.

Come si diceva, le politiche di remunerazione non rappresentano solo la sintesi di decisioni strategiche già adottate (in relazione al compenso degli amministratori), ma sono anche in grado di produrre effetti sullo stesso procedimento di assunzione delle decisioni degli amministratori e, in prospettiva, sulla propensione al rischio di costoro. Il riferimento alla sostenibilità ambientale e sociale nelle politiche di remunerazione è in grado, almeno in via di principio, di condizionare il comportamento degli amministratori delle società quotate [44]. Vi sono, tuttavia, due tratti distintivi della disciplina in questione che meritano un approfondimento. Il primo consiste nell’innegabile ampiezza e varietà delle scelte riconducibili alla sostenibilità ambientale e sociale, in mancanza di qualsiasi indicazione in ordine al “peso” che le scelte di sostenibilità devono avere rispetto alla strategia complessiva dell’impresa. Il secondo riguarda l’assenza di effettive forme di reazione, o di un concreto apparato sanzionatorio, da attivare nel caso in cui le norme risultino violate [45]. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, le disposizioni sulla trasparenza delle politiche di remunerazione vanno ad agevolare, come si osservava, quelle forme di reazione provenienti dal mercato che possano riequilibrare i rapporti negoziali. Si tratta di reazioni, nella sostanza, affidate all’iniziativa di quei soci che siano in grado di trovare la forza di contrapporsi, specialmente quando si tratti di scongiurare situazioni “estreme” di indebita estrazione di ricchezza da parte del management. Allo stesso tempo, la trasparenza consente agli investitori, e ai futuri soci, di giudicare positivamente o negativamente le politiche di remunerazione, con le relative conseguenze sul valore e l’appetibilità delle azioni. Con l’attuazione della SHRD II, e l’intervento diretto sui contenuti delle politiche di remunerazione, ci si poteva attendere un diverso approccio circa la concreta azionabilità delle norme, specialmente quando una reazione risulti necessaria perché le esigenze di sostenibilità sociale o ambientale, magari correttamente richiamate nella Relazione sulla politica di remunerazione e sui compensi corrisposti, sono in concreto disattese, dissimulate da una più o meno riuscita operazione di greenwashing. Le [...]


6. Conclusioni: un percorso ancora incompleto.

Come si è avuto modo di osservare, la disciplina in tema di politiche di remunerazione per gli amministratori delle società quotate si inserisce in un sistema la cui evoluzione risulta orientata verso un progressivo consolidamento della rilevanza dei profili di sostenibilità ambientale e sociale, sia con riferimento alla gestione, sia avendo riguardo agli scopi che l’ente programmaticamente si impone di proseguire. Se si guarda alla sola disciplina in tema di politiche di remunerazione, e al percorso fin qui tracciato a partire dalle regole di trasparenza per giungere a norme che prevedono specifici contenuti di sostenibilità ambientale e sociale nelle politiche stesse, si può certamente apprezzare una sorta di progressione, nel senso della sopravvenuta e sempre maggiore rilevanza di interessi “esterni” nell’ambito di decisioni che fino a pochi anni addietro erano confinate nel perimetro degli affari riservati. Non mancano, tuttavia, numerosi indizi che restituiscono all’interprete l’idea di avere a disposizione, anche qui, un quadro normativo incompleto e destinato a mutare nel tempo. Come si osservava, la normativa vigente legittima la gestione orientata verso il perseguimento degli interessi a lungo termine e la sostenibilità ambientale e sociale, ma mancano del tutto strumenti efficaci, diversi rispetto all’eventuale dissenso dei soci, in grado di contrastare quelle politiche di remunerazione che adottino un contenuto effettivamente contrario rispetto a quanto stabilito dall’art. 123-ter, terzo comma bis, T.U.F. [67]. La presenza e l’attività degli investitori istituzionali può temperare l’amplissima discrezionalità affidata in via di principio agli amministratori nel determinare le politiche di remunerazione (e, per ciò che qui interessa, i termini concreti relativi alla sostenibilità sociale e ambientale cui si riferisce la legge). Costoro, infatti, possono introdurre nel proprio agire criteri e vincoli specifici [68], indipendenti rispetto alla garanzia di rendimenti immediati e, invece, rivolti a valorizzare un buon impianto strategico complessivo della società, ben comunicato e che dia la garanzia di tenere in dovuta considerazione gli interessi “esterni”, rilevanti per la società medesima [69]. Ma anche il temperamento dei problemi di agenzia passa tramite le dinamiche [...]


NOTE
Fascicolo 3 - 2023