Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Economia circolare e principio di esaurimento del marchio (di Bernardo Calabrese, Professore associato di diritto commerciale, Università degli studi di Verona)


Il presente contributo analizza il tema dell’economia circolare, quale cambio di paradigma in chiave sostenibile del modello industriale e di mercato, nella prospettiva dei diritti di proprietà industriale che possono ostacolarne l'attuazione.

Peculiare rilievo assume il marchio, quale diritto esclusivo che, per la sua tendenziale affissione sul prodotto, risulta capace di impedire in maniera incisiva le attività indipendenti di rivitalizzazione dei prodotti esausti, quali in particolare rigenerazione e riciclo creativo (upcycling).

A tale riguardo, si propone una rilettura evolutiva del principio di esaurimento e dei relativi motivi legittimi di opposizione allo stesso, con specifico riferimento al limite della modifica o alterazione del prodotto, al fine di individuare un effettivo e corretto margine di operatività per le attività di rigenerazione e riciclo creativo come promosse nel contesto dell'e­conomia circolare.

Circular economy and the principle of exhaustion for trademarks

This paper analyzes the topic of circular economy, as a paradigm shift to a sustainable industrial and market model, from the perspective of intellectual property rights that can hinder its implementation.

Peculiar prominence is given to the trademark, as an exclusive right that, due to its tendency to be affixed to the product, is capable of incisively preventing independent activities of revitalization of worn-out products, such as in particular regeneration and upcycling.

In this regard, it is proposed an evolutionary reinterpretation of the principle of exhaustion and the related legitimate reasons for opposition, with specific reference to the limit of product modification or impairment, in order to identify an effective and correct margin of operation for regeneration and upcycling activities as promoted in the context of the circular economy.

Sommario/Summary:

1. L’economia circolare quale cambio di paradigma del modello industriale e di mercato. - 2. Una sfida paradigmatica per il diritto industriale: il principio di esaurimento alla prova dell’economia circolare. - 3. Schematizzazione del problema: l’economia circolare come rigenerazione e riciclo creativo (upcycling). - 4. (segue). L’esaurimento come principio unitario per privative diverse e il peculiare rilievo del marchio. - 5. Riscontri giurisprudenziali a supporto dell’esaurimento in caso di riutilizzo di contenitori marchiati. - 6. Esaurimento del marchio e opponibilità di motivi legittimi. - 7. Il fulcro del problema sull’esaurimento del marchio nei casi di rigenerazione o upcycling: la modifica o alterazione del prodotto e una rilettura evolutiva secondo il nuovo paradigma dell’economia circolare. - 8. Osservazioni conclusive: una possibile “chiusura del cerchio”. - NOTE


1. L’economia circolare quale cambio di paradigma del modello industriale e di mercato.

La cosiddetta «economia circolare» rappresenta la declinazione del nuovo paradigma della sostenibilità a livello di modello economico-produttivo [1], secondo l’ambizioso programma politico di transizione industriale in chiave ecologica che l’Unione europea si è prefissata di intraprendere [2]. Detto modello non si riduce alla rivalutazione di pratiche – tanto antiche quanto sagge – di risparmio e riuso, bensì intende la circolarità come coniugazione innovativa degli obiettivi di crescita economica (e correlato benessere sociale) con la capacità del sistema di autoalimentarsi [3]: in sostanza, le risorse oggetto di sfruttamento devono essere rinnovabili o comunque ricollocabili utilmente all’interno del ciclo produttivo, così da evitare idealisticamente un saldo negativo nel consumo delle materie prime e nel relativo impatto ambientale, in termini – qui sta invero la novità del modello – non puramente eventuali ma propriamente strutturali del sistema, il quale deve integrare tale fattore di (auto)sostenibilità già in fase di progettazione, ovverosia, secondo l’invalsa definizione, deve risultare «restorative and regenerative by design» [4]. Senza entrare nel merito di un discorso evidentemente più complesso, i toni alquanto rosei delle dichiarazioni programmatiche europee non possono nascondere le perplessità circa l’effettiva capacità salvifica di questo nuovo modello, non tanto perché andrebbe quanto meno condiviso su scala globale [5], ma perché più probabilmente (e pessimisticamente) solo svolte tecnologiche rivoluzionarie (se non utopistiche) [6] potrebbero cambiare la traiettoria di un’evoluzione «antropocenica» non in grado altrimenti di sottrarsi alle sue «magnifiche sorti e progressive» [7]. Tuttavia, se anche non risolutivo, è del pari vero che l’impatto benefico del­l’economia circolare potrebbe non essere affatto trascurabile [8] e che, al netto di ogni dubbio di efficacia, la sua impostazione resta apprezzabile nel promuovere approcci di conservazione del valore rispondenti a “buon senso” economico [9]. Pertanto, l’eventuale scetticismo non legittima il discredito verso questa azione politica, la quale anzi – data la gravità della [...]


2. Una sfida paradigmatica per il diritto industriale: il principio di esaurimento alla prova dell’economia circolare.

Le sfide poste dall’economia circolare in materia di diritto industriale sono molteplici [13]. Tra queste, spicca l’effetto di blocco che può ostacolare le pratiche circolari: infatti, l’obiettivo di rivitalizzare risorse produttive ormai esauste nella loro utilità primaria può scontrarsi con i diritti di privativa che potenzialmente persistono sulle stesse, escludendone la libera utilizzazione economica [14]. Anche solo per suggestione terminologica [15], ciò porta immediatamente all’at­tenzione il principio di esaurimento, quale istituto che più di ogni altro investe la circolazione sul mercato dei beni oggetto di proprietà industriale [16]. L’esaurimento, quale principio trasversale a tutta la proprietà industriale e intellettuale, si sostanzia, come noto, in una regola apparentemente semplice: il titolare non può far valere i propri diritti di esclusiva per limitare l’ulteriore circolazione dei prodotti protetti dopo la prima immissione in commercio, da questi effettuata direttamente o con il suo consenso, salva l’esistenza di legittimi motivi [17]. Tuttavia, basta approcciarsi alla ricostruzione del suo fondamento razionale per comprendere subito la natura complessa (e controversa) dell’istituto [18]: la stessa giurisprudenza è ondivaga nel qualificare l’esaurimento, talora come “principio” espressione della libertà economico-commerciale di circolazione delle merci, rispetto al quale la proprietà industriale si pone quale deroga eccezionale [19]; talora esso stesso quale “eccezione” ai diritti di proprietà industriale, a sua volta passibile di contro-eccezione a favore di questi ultimi per i citati motivi legittimi di opposizione [20]. Di certo, due sono i tratti fondamentali che emergono: da un lato, lo stretto legame tra l’esaurimento e il funzionamento del mercato, in particolare nella sua veste europea [21]; dall’altro lato, la connaturata esigenza di bilanciamento tra interessi contrapposti ad esso sottesa [22]. Entrambi questi tratti costitutivi, invero, rivelano la matrice prettamente “politica” del principio di esaurimento nella costruzione del modello di mercato [23]. Orbene, la nuova cornice paradigmatica non può che riportare l’attenzione su tale principio, nel rinnovato conflitto [...]


3. Schematizzazione del problema: l’economia circolare come rigenerazione e riciclo creativo (upcycling).

Sul piano fenomenologico, deve notarsi come il nuovo paradigma dell’econo­mia circolare si traduca in attività che intervengono in vario modo sulle risorse produttive presenti sul mercato, con l’obiettivo di recuperarne l’utilità residua e reimmetterle nel ciclo commerciale [25]. Nell’arco di uno spettro definitorio assai sfaccettato, ai fini che qui interessano possono sintetizzarsi tre categorie principali [26]: il mero riuso, implicante al più attività di semplice riparazione del prodotto usato; la rigenerazione, come attività di ripristino della funzionalità del prodotto esausto; il riciclo creativo (upcycling), quale attività di rielaborazione del prodotto dismesso in chiave trasformativa [27]. La prima ipotesi, quella del mero riuso, appare subito di minor rilievo. Essa, infatti, può farsi coincidere con la rivendita di prodotti usati, ossia, con un’attività commerciale già perfettamente integrata nel paradigma economico (pre)esistente quale classico mercato secondario [28]: come tale, essa è tendenzialmente compatibile con i diritti esclusivi altrui, appunto esauritisi dopo la cosiddetta “prima vendita” dell’esemplare usato, quand’anche riparato [29]. Maggiore problematicità circonda la seconda ipotesi, in quanto l’attività di rigenerazione presuppone un intervento sensibilmente più incisivo sul prodotto già messo in circolazione. Peraltro, tale categoria racchiude al suo interno pratiche anche molto distanti tra loro [30]: essa può includere la “distruzione creatrice” tipica del riciclo in senso stretto, dove il prodotto esausto viene sottoposto a procedimenti di estrazione e ricostruzione della sua materia costitutiva [31]; può riguardare la reintegrazione della sostanza del prodotto, come nel ripristino degli elementi principali divenuti inservibili [32]; può implicare operazioni più ridotte, dove si sostituiscono componenti secondari logorati con idonei pezzi di ricambio (nuovi o a loro volta di recupero) [33]. Sebbene tali situazioni siano accomunate dall’omoge­neità della destinazione funzionale tra prodotto rigenerato e prodotto originario, è evidente come la diversa entità dell’intervento tecnico possa incidere a sua volta sulle relative valutazioni in [...]


4. (segue). L’esaurimento come principio unitario per privative diverse e il peculiare rilievo del marchio.

Come accennato, l’esaurimento è principio a vocazione generale, essendo riconosciuto in via trasversale ai diritti di proprietà industriale e intellettuale [39]. Tuttavia, l’effettiva unitarietà di principio deve fare i conti con le differenze tra le singole privative, le quali esprimono diverse funzioni giuridiche tutelate che possono essere variamente incise dalle pratiche in questione [40]. Ne consegue che il problema giuridico del conflitto tra economia circolare e privative immateriali, lasciando da parte gli ostacoli derivanti da strategie di portata fattuale [41], deve scomporsi in ragione dei rispettivi profili di rilievo rispetto al prodotto [42]: ossia, l’aspetto identitario-commerciale, di cui al marchio; l’aspetto estetico-ornamentale, di cui ai disegni e modelli; l’aspetto tecnico-utilitario, di cui ai brevetti [43]. Ciascuno di tali aspetti meriterebbe adeguato approfondimento, ma, nei limiti di questa sede, ci si concentrerà sul marchio, solo apparentemente meno centrale per la questione e che, invece, suscita problematiche tutt’altro che secondarie [44]. In prima approssimazione, infatti, potrebbe ritenersi che il marchio sia il diritto di proprietà industriale di minor rilievo ai fini della valutazione di legittimità di pratiche circolari intraprese da imprenditori terzi. Ciò per ragioni proprie dell’i­stituto, riguardante il segno distintivo e non, dunque, il «risultato tecnico» o il «valore sostanziale» del prodotto [45]. Basti però porre mente a come il riutilizzo del prodotto marchiato reiteri quasi inevitabilmente l’uso commerciale del segno, come tale astrattamente rientrante nell’esclusiva del titolare, per comprendere subito quanto il marchio non sia affatto innocuo in termini di capacità d’impatto sulla circolazione di mercato [46]. Al contempo, e per converso, potrebbe ritenersi che in materia di marchio la questione sia già risolta ex lege: è, infatti, lo stesso dettato normativo, tanto eurounitario ex art. 15, secondo comma, reg. (UE) n. 1001/2017, quanto nazionale ex art. 5, secondo comma, c.p.i., a negare espressamente l’esaurimento del marchio in caso di modifica o alterazione dei prodotti, quale legittimo motivo tipizzato di opposizione [47], così da eliminare apparentemente ogni margine operativo per [...]


5. Riscontri giurisprudenziali a supporto dell’esaurimento in caso di riutilizzo di contenitori marchiati.

Come anticipato, l’applicazione del principio di esaurimento a tali ipotesi si presenta più complessa di quanto sembri, a dispetto del dettato normativo. In tale prospettiva, la giurisprudenza in materia di marchio offre notevoli spunti di interesse [53]. Se, infatti, non viene disconosciuto il punto di partenza normativo tale per cui l’esaurimento del marchio è escluso in caso di modifica o alterazione del prodotto [54], è altrettanto vero che è stata affermata la liceità di pratiche dove il terzo riutilizzatore aveva eseguito operazioni materiali sullo stesso. Segnatamente, la giurisprudenza europea ha negato l’azionabilità dei diritti di marchio nel caso di bombole di gas ririempite [55] e rimesse in circolazione da fornitori diversi dal titolare [56]. Tale riconoscimento in favore dell’esaurimento appare particolarmente rilevante se si considera che la forma stessa della bombola era protetta come marchio tridimensionale, risultando dunque immanente alla circolazione del prodotto [57]. Ciononostante, rispetto alle ragioni del­l’e­sclusiva, la Corte di giustizia ha ritenuto prevalente l’interesse generale verso un mercato concorrenziale, esplicantesi nella facoltà proprietaria di pieno sfruttamento del bene materiale da parte degli acquirenti e, specularmente, nella libertà economica di prestare servizi indipendenti aventi ad oggetto il bene stesso [58]. Sulla stessa linea, recentemente, si è confermata la legittimità della commercializzazione di bombolette per acqua frizzante del pari ririempite e rivendute da fornitori terzi [59]. Anche in tal caso, il marchio del titolare risultava per certi versi inseparabile dal prodotto, essendo direttamente inciso sulla bomboletta [60]. Tuttavia, le medesime esigenze di tutela del mercato concorrenziale hanno portato i giudici europei a pronunciarsi analogamente in favore dell’esaurimento dei diritti di privativa [61]. In entrambe le sentenze, nel giungere a tali conclusioni, la Corte di giustizia ha tenuto in debito conto la questione dei legittimi motivi di opposizione all’esauri­mento [62]. Il principio di diritto risulta quindi subordinato a tale clausola di salvaguardia dei diritti di marchio, ma, in concreto, il giudizio è stato fortemente indirizzato dalla stessa Corte, la quale si è premurata di indicare i [...]


6. Esaurimento del marchio e opponibilità di motivi legittimi.

Secondo una constatazione pacifica, i legittimi motivi di opposizione all’e­saurimento del marchio costituiscono un elenco aperto e non tassativo [66]. A fronte di tale atipicità, essi tendono ad essere raggruppati in ragione delle corrispondenti funzioni giuridicamente tutelate del marchio cui presiedono [67], tradizionalmente suddivise sulla scorta della giurisprudenza europea in funzione distintiva, di garanzia qualitativa e pubblicitaria [68]. Partendo dalla funzione distintiva, il pregiudizio che può fondare un legittimo motivo di opposizione all’esaurimento è quello derivante dalla confusione del pubblico quanto all’origine commerciale, ove l’uso del segno suggerisca un collegamento imprenditoriale o comunque un rapporto speciale tra terzo concorrente e titolare del marchio [69]. In tale ottica, gli stessi criteri valorizzati dalla giurisprudenza nella casistica sui contenitori marchiati paiono applicabili anche alle pratiche di rigenerazione e upcycling: anche in questi casi, infatti, vi è la possibilità di rappresentare correttamente la diversa origine imprenditoriale del prodotto ripristinato o trasformato (ivi inclusa tale sua stessa natura), in particolare tramite apposita aggiunta del marchio proprio a quello originario, a mo’ di attestazione soggettiva autonoma (e non di disclaimer “giustificatorio”) [70]. Peraltro, anche per il mercato della rigenerazione e del riciclo creativo può valorizzarsi una ormai diffusa consapevolezza dei consumatori [71], sempre più propensi ad acquistare tali prodotti alternativi [72]. Passando alla funzione di garanzia qualitativa, rettamente intesa come non decettività quanto alla qualità identitaria del prodotto marchiato [73], può sostenersi che quelle stesse modalità informative che salvaguardano la funzione distintiva siano idonee ad escludere ogni pregiudizio anche su questo ulteriore piano: dopo tutto, se il consumatore è in grado di discernere l’effettiva origine commerciale del prodotto rigenerato o upcycled, è del pari conscio della diversa imputabilità imprenditoriale quanto alle mutate qualità dello stesso [74]. In tal senso, il marchio aggiuntivo vale quasi a tutelare lo stesso titolare del marchio originario, rendendo responsabile l’imprenditore successivo degli eventuali difetti del [...]


7. Il fulcro del problema sull’esaurimento del marchio nei casi di rigenerazione o upcycling: la modifica o alterazione del prodotto e una rilettura evolutiva secondo il nuovo paradigma dell’economia circolare.

I riscontri suesposti sembrano incoraggianti nel concludere per la possibile liceità delle pratiche in oggetto, subordinatamente alla medesima condizione di un’apposizione aggiuntiva, in forma corretta e adeguata, del marchio dell’im­presa di rigenerazione o upcycling. A ben guardare, però, il problema non può dirsi realmente risolto, trovando il suo ostacolo principale a monte dei profili trattati: non, dunque, nei motivi legittimi atipici di opposizione all’esaurimento del marchio, ma in quello tipizzato ex lege, ossia la modifica o alterazione del prodotto [101]. In altre parole, occorre chiedersi se rigenerazione e upcycling possano beneficiare di tale giurisprudenza favorevole o se, invece, a ciò osti a priori l’obiettiva manipolazione del prodotto altrui. In effetti, entrambe le pronunce citate vertono su bombole che, di per sé, non subiscono alcuna alterazione o modifica sostanziale: l’og­getto in questione, dunque, potrebbe intendersi piuttosto come un mero prodotto usato, da cui discenderebbe l’agevolazione nella successiva circolazione di mercato [102]. In tal senso, è immediato obiettare che oggetto dell’offerta non è certo il solo contenitore, ma anzi (e soprattutto) il relativo contenuto [103]. In questa più realistica ottica d’insieme, il prodotto è senz’altro mutato nella sua condizione originaria, eppure il marchio ivi persistente è stato ritenuto passibile di esaurimento. Tuttavia, la peculiare natura di contenitore dei prodotti controversi non pare trascurabile. Essi, infatti, sono tendenzialmente destinati ad essere riutilizzati senza particolari interventi tecnici, salvo quelli necessari al loro ririempimento [104]. Ciò differenzia tale situazione da quella dei prodotti rigenerati, i quali richiedono un ripristino più invasivo della loro funzionalità; a maggior ragione la differenza intercorre in caso di upcycling, dove il prodotto è autonomamente trasformato se non addirittura stravolto [105]. A ciò potrebbe obiettarsi che le pratiche circolari qui analizzate mostrano forti affinità con le attività economiche di ririempimento concorrente del contenitore marchiato, nel senso che le pur rilevate – e, come si dirà, a loro modo rilevanti – differenze tecniche non mutano il comune significato concorrenziale di [...]


8. Osservazioni conclusive: una possibile “chiusura del cerchio”.

In chiusura, la rilettura evolutiva così proposta non significa affatto che il semplice “sbandieramento” dell’economia circolare valga a disinnescare l’oppo­nibilità all’esaurimento per ogni ipotesi di modifica o alterazione del prodotto. In particolare, se per la rigenerazione i dubbi sono minori, per l’upcycling il discorso impone invece maggiore cautela, stante la profonda ambivalenza di tali pratiche nell’agganciamento al relativo brand [116]. Quanto alla rigenerazione, la sua caratteristica di ricostituire la sostanza tecnica del prodotto esausto [117], conservandone la destinazione funzionale, la rende più prossima al riciclo in senso stretto [118]. Così, nel rispetto delle dovute accortezze, paiono oggi replicabili gli stessi argomenti storicamente addotti a sostegno del mercato dell’usato “riparato” [119]. Anche la rigenerazione, però, non è priva di sfumature ulteriori, che rivelano come il ruolo del marchio originario non sia ininfluente e possa dunque assumere fattezze pregiudizievoli [120]. Quanto all’upcycling, il parallelo risulta meno immediato. Segnatamente, la trasformazione del prodotto originale che accomuna le pratiche di riciclo creativo rappresenta un fattore problematico, dal momento che, in certi casi, potrebbe svalutare il ruolo funzionale del segno distintivo ivi riportato (ancor più che nei contenitori) e però, in altri casi, potrebbe anche sortire l’effetto opposto di amplificare la centralità del marchio altrui (quasi a farlo diventare il contenuto) [121]. Di certo, le attività che si risolvano in mero parassitismo commerciale non possono trovare copertura sotto l’egida dell’economia circolare [122], fermo restando che tale modello pur si fonda su basi concorrenziali che presuppongono il profitto imprenditoriale [123]. Come anticipato, la valutazione concreta non può che rimettersi ad un apprezzamento caso per caso. A tale proposito, però, la rilettura proposta, oltre a muoversi de iure condito, pare avere il pregio di offrire sufficiente flessibilità, essendo calibrata in ragione del concreto pregiudizio cagionato al marchio originario a fronte dell’altrui obbligo di presentazione corretta e leale del prodotto rigenerato o upcycled [124]. Pertanto, essa può costituire una soluzione [...]


NOTE