Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
G. Giappichelli Editore

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Note di lettura: Giuseppe Terranova e Il ragionamento giuridico (di Mario Libertini, Professore emerito, Sapienza Università di Roma)


 

 

L’improvvisa scomparsa di Giuseppe Terranova ha bruscamente interrotto il diario intellettuale che Giuseppe aveva iniziato a pubblicare nel 2015 con “Elogio dell’approssimazione” e aveva proseguito, nel 2021, con “Il giurista e il suo linguaggio. Un diario che, con il libro recensito, segnava un importante passaggio verso ulteriori sviluppi, e non certo un punto di arrivo.

Nei confronti di “Elogio dell’approssimazione”, in occasione di una presentazione seminariale tenutasi alla “Sapienza” di Roma e poi in una recensione [1], avevo espresso in giudizio, che qui vorrei richiamare per sommi capi.

Osservavo in quella sede, con ammirazione, che il libro di Terranova costituiva un originale esempio di riflessione approfondita di un giurista positivo, che aveva accumulato importanti esperienze di studio di istituti del diritto commerciale e del diritto privato generale, sulle principali tesi e questioni della filosofia del diritto contemporanea.

Il pregio del contributo di T. si manifestava – a mio avviso – nella coerenza delle tesi sostenute, percepibile al di là dell’andamento un po’ rapsodico del­l’esposizione. La riflessione di T. muoveva da precise scelte filosofiche, con solide radici nel relativismo occidentale e nella correlativa idea di razionalità limitata, da cui derivavano due corollari: la tolleranza verso tutte le idee e l’apprezzamento verso le conclusioni “approssimative” (da intendere nel senso di “provvisorie” e non di confusamente definite); un apprezzamento fondato sulla convinzione della necessità di ricercare collettivamente punti di condivisione su queste soluzioni provvisorie, pur riconoscendone la non definitività, in quanto senza una tale disponibilità non sarebbero possibili coesione sociale e ordine politico.

Sulla base di questa netta assunzione di fondo, acquisita come un a priori della propria meditazione, T. affrontava i problemi apicali della filosofia del diritto muovendosi nella prospettiva centrale delle nostre “civiltà del libro” (per usare l’espressione di Alain Supiot), in cui la sapienza umana è soprattutto attività di soggetti-impegnati nell’esame di un testo superiore e vincolante. In questa prospettiva, T. giungeva a due conclusioni, in contrasto drammatico fra loro: la negazione di un significato oggettivo e vincolante del testo, data la naturale e inevitabile “porosità” del linguaggio naturale e dei testi normativi che lo utilizzano (con conseguente rifiuto del positivismo legalistico e del formalismo interpretativo), e [continua..]