Rivista Orizzonti del Diritto CommercialeISSN 2282-667X
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Azioni a voto multiplo: dalla ritrosia alla proposta di adozione nel mercato comune europeo (di Irene Pollastro, Ricercatrice di diritto commerciale, Università degli Studi di Torino)


Il contributo analizza la recente proposta di direttiva della Commissione Europea che, con il dichiarato obiettivo di favorirne la quotazione, fornisce un possibile quadro regolatorio per l'adozione delle azioni a voto multiplo da parte delle piccole e medie imprese che mirino all’ammissione alla negoziazione delle proprie partecipazioni su di uno SME growth market.

Multiple Voting Shares: from reluctance to the proposed adoption in the European common market

The paper analyses the European Commission's recent proposal for a Directive, which, with the final goal of encouraging their listing, provides a possible regulatory framework for the adoption of multiple voting shares by small and medium-sized enterprises aiming to be admitted to trading on a SME growth market.

Sommario/Summary:

1. Introduzione. - 2. Le proposte del legislatore europeo. - 2.1. La limitazione e le caratteristiche dei mercati di crescita per le PMI. - 2.2. Le azioni a voto plurimo: il dibattito, i dati e il rapporto con gli altri CEMs. - 2.2.1. La prospettiva temporale: il momento della quotazione. - 2.3. Gli strumenti di tutela degli azionisti di minoranza. - 2.3.1. Le maggioranze qualificate. - 2.3.2. I limiti quantitativi. - 2.3.3. Le clausole sunset. - 2.3.3.1. Categorie di azioni e conversione. - 3. La situazione italiana: stato dell’arte e linee di riforma. - NOTE


1. Introduzione.

Il 7 dicembre 2022, nel complesso di iniziative comprese nel Listing Act Package, ed in linea con gli obiettivi della Capital Markets Union (d’ora innanzi, CMU), la Commissione Europea ha pubblicato una nuova proposta di direttiva che ha ad oggetto la possibilità di emettere azioni a voto multiplo (MVS) per tutte le società che decidano di quotarsi nei c.d. SME growth markets, ossia i mercati “di crescita” indirizzati alle società PMI [1]. La scelta del legislatore europeo si pone nel solco di una tendenza che, a dispetto dell’opposizione teorica di diversi studiosi e operatori, è assai diffusa nel mercato; si rivolge, inoltre, a un particolare segmento del mercato, quello delle PMI, che, con ogni evidenza, necessita più di altri di poter accedere a nuove fonti di finanziamento al fine di perseguire i propri obiettivi di crescita. La quotazione appare, senz’altro, una via privilegiata per il raggiungimento di detti scopi ma, come la stessa Commissione evidenzia nel Memorandum illustrativo della proposta, è altresì un’opzione spesso nemmeno considerata dalle piccole imprese, in gran parte iniziative a carattere familiare o da start up innovative, in ragione della perdita del controllo che fisiologicamente deriverebbe dalla diluizione conseguente alla quotazione [2]. L’intervento dell’Unione si rende vieppiù necessario anche in ragione della grande frammentazione che ancora permane tra gli Stati Membri quanto alla possibilità (e ai limiti) di emissione di azioni a voto plurimo e, più in generale, all’utilizzo di strutture c.d. dual class che permettano un’allocazione non proporzionale del diritto di voto: infatti, come si vedrà più precisamente oltre, alcuni Stati, come Svezia o Danimarca, hanno una durevole tradizione giuridica sul punto, ammettendo le azioni a voto plurimo dall’inizio dell’evoluzione del loro mercato finanziario [3]; altri, come l’Italia, sono passati da un divieto duraturo ad un (relativamente) recente cambio di rotta [4]; vi sono, infine, alcuni ordinamenti in cui il divieto permane (si pensi a Germania e Austria).


2. Le proposte del legislatore europeo.

Le proposte contenute nella direttiva si concentrano, di fatto, su tre snodi fondamentali in evidente stretta correlazione reciproca che si muovono tra, ed integrano tra loro, regole di diritto societario (relative agli strumenti da utilizzare e alle relative tutele) e di diritto dei mercati finanziari (che riguardano il momento dell’ammissione alla negoziazione dei titoli). In estrema sintesi, il primo punto concerne la delimitazione della misura ad un preciso segmento di mercato, ossia quello degli SME growth markets: tale scelta trova la sua ratio, da un lato, nella circostanza per cui gli incentivi alla crescita delle PMI tramite nuovi canali di finanziamento sono in cima alla lista degli obiettivi generali della CMU sin dal 2015 [5], dall’altro, occorre pure considerare che, a livello pratico e guardando oltre la generale ricerca di un “level playing field” nel mercato comune, proprio le PMI sono le imprese con minore capacità finanziaria e, quindi, meno in grado di far fronte ad una eventuale trasferimento della sede in un altro ordinamento dell’Unione per giovarsi di regole indisponibili nel proprio. Il secondo snodo riguarda l’individuazione dello strumento più adatto a garantire il mantenimento del controllo nelle mani dei fondatori della società, senza un necessario investimento proporzionale: la scelta ricade sulle azioni a voto multiplo pur esistendo, come noto, una serie di altri istituti, denominati control enhancing mechanisms (CEMs), che perseguono finalità di fatto coincidenti, pur con modalità operative anche notevolmente differenti che li rendono, nel contesto della proposta, meno appetibili. Inoltre, si propone una regolamentazione sull’adozione dello strumento anche sotto il profilo temporale, che è, appunto, limitato alla sola fase di primo ingresso nel mercato, in coerenza con il generale intento di favorire, appunto, la sola quotazione; l’eventuale possibilità di conservare perpetuamente lo strumento, o di mantenerlo anche in caso di quotazione non riuscita, è lasciata alla discrezione dei singoli Stati membri, senza alcuna indicazione a livello europeo. Il terzo ed ultimo punto, sul quale la Commissione rimane naturalmente più elastica, è relativo ai necessari contrappesi che l’adozione di una struttura di voto non proporzionale richiede in ragione dei rischi insiti nella stabilizzazione del controllo [...]


2.1. La limitazione e le caratteristiche dei mercati di crescita per le PMI.

Come noto, i mercati di crescita per le PMI sono una particolare categoria di trading venues o, per meglio dire, una sub-categoria di multilateral trading facilities (MTF) che, ai sensi dell’art. 33 della direttiva MiFID II, decidono di registrarsi come tali proponendosi, dunque, agli investitori come mercati specializzati in piccole e medie imprese e garantendo alle imprese stesse un alleggerimento degli oneri necessari per la quotazione. Per quanto concerne il mercato, per poter ottenere “l’etichetta” di SME GMs, gli MTF devono, anzitutto, rispettare un requisito dimensionale, in forza del quale almeno il 50% degli emittenti quotati su di esso debbono essere PMI; a loro volta, ai sensi dell’art. 4(1)(13) della direttiva MiFID II, sono considerate piccole o medie imprese quelle con capitalizzazione inferiore a 200.000.000 euro nei tre anni precedenti. Il regolamento delegato 2017/565 UE chiarisce, poi, questi requisiti. In primis, l’art. 77, specifica che, anche per società ammesse alla negoziazione da meno di tre anni, la misura di capitalizzazione per essere considerata PMI è sempre quella dei 200.000.000 euro, mentre per quelle che non hanno strumenti di capitale negoziati (non-equity instruments) occorre guardare al più recente bilancio annuale o consolidato per verificare il rispetto di almeno due dei tre seguenti criteri: un numero medio di dipendenti inferiore a 250 nel corso dell’esercizio, un totale di bilancio non superiore a 43.000.000 euro e un fatturato annuo netto non superiore a 50.000.000 euro. Per quanto concerne, poi, la soglia percentuale del 50%, esse dovrà essere calcolata in base a quanto previsto dal successivo art. 78, e il suo mancato rispetto una tantum non comporterà l’automatica perdita della qualifica come SME GMs, che avverrà, invece, solo qualora il numero di PMI quotate su quel mercato sia inferiore al 50% degli emittenti per tre anni consecutivi [7]. A tal proposito giova, per inciso, ricordare che, nonostante non tutte le società quotate sugli SME GMs siano PMI, a tutte si applicano le stesse regole, indipendentemente dalla loro dimensione; in coerenza con tale prospettiva, anche la proposta della Commissione si rivolge a tutte le società – quindi, anche a quelle non considerabili piccole e medie imprese ai sensi delle norme poc’anzi ricordate – che intendano quotarsi per la prima volta su un [...]


2.2. Le azioni a voto plurimo: il dibattito, i dati e il rapporto con gli altri CEMs.

Chiunque abbia frequentato un po’ di letteratura sul tema, è conscio del fatto che il dibattito sulle strutture dual-class, specie realizzate con azioni a voto multiplo, è «uno degli argomenti più controversi degli ultimi anni» [13]. Da un lato ci sono gli oppositori dell’istituto, che ritengono che il ricorso ad esso vada, quando non vietato, perlomeno fortemente limitato, a causa dei numerosi rischi connessi: l’estrazione di benefici privati, il rafforzamento dei vertici gestori, con una corrispondente importante limitazione al mercato del ricambio del controllo in casi di gestione divenuta inefficiente, e, in generale, il moral hazard dei detentori di questi titoli, che potrebbero agire indisturbati in assenza di minoranze capaci di controllarli (e attivare, eventualmente, adeguati strumenti di reazione) [14] o, comunque, di corretti incentivi a compiere le scelte più ragionevoli, in assenza di un significativo rischio di capitale proprio [15]. Dall’altro lato, altrettanto numerosi studi argomentano e dimostrano che non sempre all’adozione della regola di perfetta proporzionalità corrisponde un c.d. “value enhancing role”, ma che, al contrario, a determinate condizioni sono proprio le deviazioni da detto modello a favorire un accrescimento del valore sociale, contribuendo talora, ove opportuno, a limitare la forza di voto di soci portatori di interessi prevalentemente esterni a quelli sociali, talora, invece, ad agevolarla [16]; inoltre, la possibilità di quotarsi con strutture dual-class consente anche alle società più innovative di accedere ai mercati senza perdere il controllo, arginando altresì le pressioni degli attivisti che mirano al profitto nel breve periodo [17]. Un campo di elezione particolare per lo studio (e la confutazione) dell’ef­ficienza indiscriminata della regola one share-one vote è quello delle acquisizioni societarie: anche in questo caso, gli studi si dividono sul valore del mantenimento della regola di stretta proporzionalità tra voto e investimento. E infatti, mentre taluni ritengono che la perfetta proporzionalità nella distribuzione del voto sia il mezzo non solo per evitare di rendere i takeover troppo costosi o addirittura impossibili, ma anche per scongiurare l’acquisizione del controllo da parte di un “inefficient bidder”, ossia un [...]


2.2.1. La prospettiva temporale: il momento della quotazione.

Oltre alla scelta dello strumento da utilizzare al fine di conservare il controllo nelle mani dei fondatori, la proposta della Commissione si esprime anche sul momento preciso in cui la sua adozione deve avvenire, ossia la fase di pre-quotazione. Questa opzione, oltre ad essere del tutto coerente con il dichiarato obiettivo della direttiva, ossia quello di favorire l’apertura al mercato delle PMI e di ampliare, così, i canali a loro disposizione per il reperimento di capitali, appare altresì una delle meno controverse. La letteratura sul tema fa infatti rilevare, in maniera pressoché unanime, che, con una struttura dual-class adottata ante quotazione, gli azionisti di controllo (e a cascata la società) sopportano integralmente le scelte fatte in punto di allocazione dei diritti di voto, dal momento che il prezzo delle azioni che si formerà in sede di prima offerta pubblica terrà conto (anche) di questa circostanza [33]; diversamente accade qualora i voti multipli siano introdotti post quotazione, poiché, in quel caso, gli effetti redistributivi, in termini di spostamento di ricchezza verso i titolari di quelle azioni, potrebbero essere rilevanti [34]. Inoltre, come già a più riprese evidenziato e come anche è facilmente intuibile, è proprio nella fase di primo ingresso sul mercato che occorre salvaguardare i fondatori della società da un’importante diluizione che, nei fatti, neutralizzerebbe gli effetti benefici ricercati con l’IPO: vero è che la società quotandosi potrebbe avere accesso a nuovi finanziamenti per sviluppare il proprio progetto imprenditoriale che però, se gli ideatori perdessero il controllo, non potrebbe poi più essere realizzato, o perlomeno non nei termini immaginati. Per giunta, come si avrà modo di argomentare meglio oltre, è al più con il passare del tempo e l’esaurimento della forza propulsiva dell’idea dei founders che il mantenimento di un controllo troppo stabile potrebbe divenire inefficiente, mentre tali problemi non si verificano, appunto, in fase di quotazione. La prova dell’opportunità di tale scelta si riviene, poi, anche nella prassi, ove uno sguardo ai mercati internazionali dimostra che i dual-class listing sono in costante crescita [35]. Quanto alla prospettiva temporale resta, infine, da osservare che la Commissione sceglie di [...]


2.3. Gli strumenti di tutela degli azionisti di minoranza.

Una delle parti più interessanti della proposta di direttiva, che riflette certamente la soluzione di compromesso che la Commissione europea pare proporre, in ragione delle già descritte differenze tra i diversi Paesi dell’Unione, riguarda i cosiddetti safeguards, elencati all’art. 5. In particolare, il primo comma, oltre ad un generale principio di parità di trattamento degli azionisti, impone come tutele “minime” a favore dei soci “ordinari”, che tutti gli Stati debbono adottare: (a) che la decisione relativa all’adozione di strutture multiple voting ed ogni sua successiva modifica che incida sui diritti di voto debbano essere prese nell’assemblea generale, con l’approvazione di una maggioranza qualificata da calcolarsi come specificato nelle singole legislazioni nazionali. Inoltre, nel caso in cui ci siano diverse classi di azioni, la modifica dovrà essere approvata altresì con voto separato delle assemblee speciali relative alle classi di azioni interessate dalla modifica; (b) che il peso delle azioni a voto multiplo nelle decisioni che riguardino l’esercizio di altri diritti degli azionisti, in particolare in assemblea generale, sia limitato: (i) tramite l’introduzione di un limite massimo di voti attribuibili a ciascuna azione ed una percentuale massima di capitale che le azioni a voto multiplo possono rappresentare; oppure (ii) tramite una restrizione all’esercizio dei voti multipli relativi a dette azioni su questioni di competenza dell’assemblea generale che richiedano l’approvazione di una maggioranza qualificata. Il secondo comma, invece, suggerisce ulteriori tutele che gli Stati membri potranno, a loro discrezione, aggiungere a quelle obbligatorie descritte sopra, e cioè: (a) una previsione che impedisca che i voti multipli assegnati alle relative azioni siano trasferiti a terzi, inter vivos o mortis causa, quindi in ogni circostanza in cui passerebbero in capo ad un soggetto diverso dal titolare originario delle azioni (c.d. transfer-based sunset clause); (b) una previsione che imponga la “scadenza” dei voti multipli attribuiti alle relative azioni al decorrere di un determinato periodo di tempo (c.d. time-based sunset clause); (c) una previsione che imponga la “scadenza” dei voti multipli attribuiti alle relative azioni al realizzarsi di un determinato evento (c.d. event-based sunset [...]


2.3.1. Le maggioranze qualificate.

La prima misura a tutela degli azionisti di minoranza riguarda, naturalmente, la necessità che le decisioni che riguardano l’emissione di nuove azioni a voto multiplo siano prese dall’assemblea generale, con voto a maggioranza qualificata dei suoi componenti, calcolato secondo le norme previste da ogni singolo Paese. Pacifico essendo questo primo requisito, qualche dubbio in più potrebbe essere generato dalla seconda parte del periodo di cui all’art. art. 5, primo comma, lett. a), che prevede l’intervento delle assemblee speciali in ogni caso in cui i diritti di altre categorie già presenti siano interessate dalla delibera dell’assemblea generale. Ovviamente il problema si pone solo nel caso in cui già fossero presenti altre classi di azioni, e non invece per quello di prima emissione di una nuova categoria [36]. La questione che, invece, pare ancora controversa e fonte di possibili discrasie, anche a livello interpretativo e tra i diversi Paesi dell’Unione, riguarda il momento dell’introduzione di una nuova categoria, laddove siano già presenti altre classi diverse di azioni, o, ancora, della modifica dei diritti di una delle categorie esistenti: in altri termini, ci si chiede se in queste circostanze il voto separato dell’assemblea speciale debba intervenire solo in caso di pregiudizio diretto e in senso deteriore dei diritti della categoria incisa (es. riduzione del peso dei voti multipli da 10 a 5) oppure anche in caso di pregiudizio indiretto delle altre categorie [37]. Per quanto concerne la situazione italiana, pur dichiarandosi la dottrina maggioritaria concorde sulla seconda opzione, è proprio sulla delimitazione della nozione stessa del concetto di pregiudizio indiretto che occorre fare chiarezza, indagando ogni circostanza caso per caso. Il primo punto di discussione riguarda la circostanza in cui, per effetto di una delibera della maggioranza dell’assemblea generale che, ad esempio, aumenti i voti multipli attributi alle corrispondenti azioni da 2 a 3, si verifichi una modifica in senso deteriore del peso delle altre categorie di azioni: la questione si risolve, in altre parole nell’interrogativo circa la necessaria tutela del c.d. diritto al rango, ossia al mantenimento del proprio peso proporzionale all’interno della società. La risposta appare senz’altro positiva, se solo si considerano le numerose norme, [...]


2.3.2. I limiti quantitativi.

L’art. 5, primo comma, lett. b), i) propone, quale alternativa al ridimensionamento del peso delle azioni a voto multiplo di cui alla lett. b), ii) del medesimo art. 5, la previsione di un numero massimo di voti che possono esse attribuiti alla singola azione e altresì la percentuale massima di capitale che dette azioni possono rappresentare. La prima delle due misure pare senz’altro opportuna se solo si considera il fatto che, senza alcun limite, diventerebbe impossibile controllare la leva azionaria garantita da tali strumenti. In particolare, si sottolinea che, in presenza di un capitale composto da azioni ordinarie e azioni con voto multiplo possedute dal solo azionista di riferimento con un limite di tre voti per azione, come quello previsto dall’ordinamento italiano, questi avrebbe, con il 25% di capitale, il controllo dell’assemblea ordinaria, e con il 40% quello dell’assem­blea straordinaria; con un limite di 10 voti per azioni, che pare ad oggi il più diffuso, le soglie scenderebbero a 9,09% per l’assemblea ordinaria e 16,67% per quella straordinaria [45]. Naturalmente, come accade per ogni misura strettamente numerica, la scelta sarà in qualche modo arbitraria e forse non adatta ad ogni singola situazione, ma potrà, certamente, riflettere quella che mediamente è la soluzione ideale in considerazione della normativa del singolo Paese (in rapporto all’esi­stenza di altri CEMs e alla loro misura, così come alle tutele disponibili e fors’anche alla percentuale minima di flottante necessaria per poter continuare a negoziare le proprie azioni su un dato mercato); in aiuto dei legislatori potrà, poi, venire anche l’osservazione dell’atteggiamento tendenziale dei mercati nazionali e stranieri simili [46]. Occorre infine considerare che, pur non essendo detto limite presente in tutte le legislazioni che ammettono le MVS, sarebbe opportuno monitorare in che limiti e misure le società si servano dello strumento nella pratica (tenendo sempre a mente il presupposto per cui le società sono spinte, nei fatti, ad adeguarsi al “gradimento” del mercato). Forse meno chiara appare l’efficacia della seconda misura, ossia l’im­posizione (anche) di una quota massima di capitale che le azioni a voto multiplo possono rappresentare. Anzitutto, anche in questo caso la percentuale precisa dovrebbe essere [...]


2.3.3. Le clausole sunset.

Proprio sulla scia dell’ormai inevitabile presenza di MVS nel mercato, negli ultimi anni la letteratura di Law & Finance, anche quella più restia riguardo a queste strutture, ha trovato nelle c.d. sunset clauses una valida soluzione per le distorsioni che una durata perpetua del privilegio sul voto parrebbe causare. Tale intuizione nasce, anche sulla scorta delle molte dual-class IPOs di aziende “tecnologiche”, dall’idea secondo cui, se i fondatori della società, in possesso di una idea altamente innovativa (ma poco capitale), debbono essere agevolati ad entrare nel mercato per reperire liquidità mantenendo saldo il controllo allo scopo di poter realizzare il loro visionario progetto imprenditoriale senza temere “scalate” o pressioni da investitori che vogliano massimizzare i proprio ritorni nel breve periodo [49], è pure vero che tale forza propulsiva potrebbe non conservarsi per sempre rendendo, nel tempo, sub-ottimale o addirittura deleterio il mantenimento di un controllo stabile. Tale ragionamento appare, tra l’altro, coerente con la nota tendenza evidenziata dal filone di studi sulla sopravvivenza al passaggio generazionale delle c.d. family firms (paradigma delle società a controllo concentrato, con un fondatore “forte” che dà avvio al business): al netto di statistiche ed ecosistemi differenti, è dato largamente diffuso quello che vede una percentuale nettamente inferiore al 50% di società che sopravvivono al passaggio alla seconda generazione, a causa di eredi non sufficientemente talentuosi, competenti, o volenterosi di proseguire il progetto imprenditoriale. Numerosissimi sono i recenti studi teorici ed empirici che, sposando la teoria della necessaria presenza di un termine di scadenza per i voti multipli attribuiti agli azionisti di controllo, dimostrano come di sovente accada che le società con strutture dual-class si quotino “a premio”, ma che proprio con il passare del tempo si veda poi decrescere significativamente il valore del titolo; in conseguenza di ciò, alcuni si interrogano altresì sul periodo “ottimale” di durata del privilegio, individuandolo in 5-10 anni (modello della time-based sunset clause) [50]. Ci sono, tuttavia, alcuni autori che ritengono che pure l’adozione di un meccanismo di sunset non sia la panacea per tutti i mali connessi alle MVS: una [...]


2.3.3.1. Categorie di azioni e conversione.

Un ultimo profilo su ci vale la pena brevemente riflettere sono le conseguenze dell’adozione di MVS corredate di clausole sunset e, in particolare, la qualificazione giuridica della fattispecie che viene a verificarsi in seguito alla realizzazione dell’evento cui il tramonto del voto è legato. Ragionando secondo le categorie del sistema giuridico nostrano, si tratta di azioni a voto plurimo “condizionato” che, al verificarsi dell’evento dedotto in condizione, perdono il loro beneficio in via definitiva, dando quindi origine ad un fenomeno di conversione automatica in azioni ordinarie. Nonostante il tramonto della maggiorazione del voto appaia simile, è del tutto evidente la differenza con il modello della loyalty share: una azione siffatta, al realizzarsi della condizione (trasferimento), non si converte, ma circola come tale, perdendo solo momentaneamente il privilegio ad essa connesso, che potrà “rivivere” qualora l’acquirente soddisfi nuovamente i requisiti (possesso continuativo per due anni). Per contro, con l’impiego di clausole sunset, la conversione comporta che il titolo cambi definitivamente natura, con tutte le conseguenze del caso specie in punto di variazione del suo valore e di incorporazione nel titolo di una situazione di pati, che potrebbe essere imposta dalla legge o dai regolamenti di mercato [62].


3. La situazione italiana: stato dell’arte e linee di riforma.

Le circostanze che hanno condotto, in tempi relativamente recenti, alla rimozione del divieto di voto multiplo nell’ordinamento italiano sono ben note: se, da un lato, la relazione al d.l. n. 91/2014 la etichettava come una generica iniziativa volta a favorire la quotazione, le vicende concrete che hanno portato (o, forse, accelerato) all’introduzione del voto plurimo e maggiorato nel nostro ordinamento sono altrettanto acclarate [63]. All’esito di quella riforma, dunque, la legislazione societaria italiana prevede: i) la possibilità, per le società chiuse, di creare azioni con diritto di voto plurimo, anche per particolari argomenti o subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative, con un limite di tre voti per azione (art. 2351, quarto comma, c.c.). Tali titoli non possono, invece, essere emessi ex novo dalle società quotate, che potranno, però, mantenere quelli eventualmente già presenti pre-quotazione, ed emetterne di nuovi con le stesse caratteristiche solo in casi aumento di capitale gratuito o a pagamento senza esclusione o limitazione del diritto d’opzione, fusione o scissione (art. 127-sexiesu.f.); ii) la possibilità, per le società quotate, di emettere azioni a voto maggiorato, nella misura massima di due voti, che si maturano a seguito dell’iscrizione consecutiva per ventiquattro mesi in un apposito elenco (art. 127-quinquies u.f.). Nel caso in cui il capitale della società quotata preveda già una classe di azioni a voto plurimo emesse ante-quotazione, non potrà dotarsi di alcun altro meccanismo di moltiplicazione del voto, compreso quello garantito dal voto maggiorato (art. 127-sexies, terzo comma, t.u.f.)[64]. Le differenze tra i due istituti sono coerenti con la letteratura di law & finance analizzata sopra: le azioni a voto plurimo a disposizione delle società chiuse costituiscono una categoria di azioni, che mantiene stabilmente il proprio voto e sono, dunque, idonee a blindare il controllo nelle mani dei fondatori della società prima di procedere alla quotazione. Il voto maggiorato è, invece, un premio per gli azionisti long-term che, in ragione della duratura detenzione del titolo, dimostrano di avere interesse (anche) alla gestione della società e, infatti, non si tratta di una categoria di azioni, ma una misura applicata in maniera eguale a tutto il capitale: la [...]


NOTE